Kleist, pedagogia dell`abisso

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Kleist, pedagogia dell`abisso
Kleist, pedagogia dell’abisso
Quando nel 1801 Heinrich von Kleist legge Critica della ragion pura
di Immanuel Kant entra in una profonda crisi. Figlio
dell’illuminismo settecentesco ma con la sensibilità, le visioni, del
primo grande romanticismo tedesco, lo scrittore prussiano aveva
vocato il suo lavoro intellettuale alla conoscenza e diffusione della
verità. Nelle Lettere alla fidanzata Wilhelmine von Zenge1, Kleist
narra, come in un diario di viaggio, i suoi percorsi per l’Europa dal
1800, ma sempre si rivolge alla giovane donna – aveva 20 anni
quando Kleist, ventitreenne, s’innamorò di lei – in una sorta di
furore pedagogico, con istruzioni, quiz, “compiti per casa” che
Minetta doveva eseguire rendendone conto nelle lettere di risposta.
Le lettere del grande scrittore e drammaturgo sono ora pubblicate
dalla casa editrice SE di Milano nella cura e traduzione di Ervino
Pocar2. Oltre alle missive a Wilhelmine, il volume raccoglie
nell’epilogo le lettere a Marie von Kleist3, Ulrike von Kleist4, Sophie
Müller, Ernst Friedrich Peguilhen, nelle quali Heinrich annuncia il
suicidio.
Leggere le lettere di Kleist in successione cronologica è scorrere
una narrazione, come se non si trattasse di una raccolta di missive
ma di un romanzo epistolare. È una lettura dal profumo antico:
l’immagine delle lettere inviate in giro per l’Europa tramite i
vetturini postali che correvano da una località all’altra su carrozze
trainate da cavalli ed era raro che i dispacci fossero smarriti...
Wilhelmine (Minetta) von Zenge (Francoforte sull’Oder 1780-1852) fu la fidanzata
di Kleist negli anni 1800-02. Due anni dopo la rottura del fidanzamento sposò
Wilhelm Y. Krug, professore di filosofia all’Università di Francoforte e poi (1805)
alla cattedra di Kant a Königsberg.
2 HEINRICH VON KLEIST, Lettere alla fidanzata, SE, Milano 2010, 174 pagine.
3 Marie Margarete Philippine von Kleist (1761-1831), nata von Gualtieri, sposò il
sottotenente Friedrich Christian von Kleist (1764-1820), cugino del poeta. Cfr. op.
cit. nota a p. 157.
4 Ulrike Philippine von Kleist (1774-1849), seconda sorella di Heinrich. Cfr. KARIN
RESCHKE, Verfolgte des Glücks. Findebuch der Henriette Vogel, Rotbuch Verlag,
Berlin 1982, trad. it. di Lieselotte Longato L’inventario di Henriette Vogel, Giunti
Barbèra, Firenze 1989.
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Che cos’è il male?
Annota Pocar5 che quando Kleist – che di Kant conosceva solo la
Critica della ragion pratica - lesse la Critica della ragion pura, ne fu
sconvolto. Il tema della verità, alla cui conoscenza il poeta tedesco
aveva dedicato ogni energia, si sbriciolava davanti ai suoi occhi. Se i
sensi, anziché rivelarci la realtà delle cose, possono ingannarci, ma
se a ingannarci sulla verità del mondo è anche l’intelletto, nulla è
piú sicuro. Nella drammatica lettera del 22 marzo 1801 Kleist
scrive:
“Se gli uomini avessero davanti agli occhi due vetri verdi,
dovrebbero concludere che gli oggetti osservati attraverso questi
vetri sono verdi, e non potrebbero mai stabilire se l’occhio mostri
loro le cose cosí come realmente sono o non attribuisca ad esse
qualche proprietà che appartiene non alle cose, bensí all’occhio. Lo
stesso accade per l’intelletto. Noi non possiamo decidere se quanto
chiamiamo verità sia realmente verità o soltanto apparenza. In
questo secondo caso, la verità che conquistiamo vivendo non esiste
piú dopo la morte, e ogni sforzo per far nostra una realtà che ci
segua anche nella tomba è vano... [...] Il mio unico, il mio piú alto
scopo è crollato e non ne ho piú alcuno...”.6
Riprendendo quanto aveva già confessato il 13 novembre 1800 in
una lettera da Berlino, Kleist rifiuta un lavoro che gli assicuri una
rendita. Nella stessa lettera in cui confida a Wilhelmine il crollo di
ogni certezza dopo la lettura di Kant, Kleist aggiunge:
“Cara Wilhelmine, lasciami viaggiare. Lavorare non posso, non mi
è possibile, non saprei per quale scopo farlo. Se rimanessi a casa,
dovrei stare con le mani in mano, e pensare. Perciò preferisco
muovermi, e pensare. Gli spostamenti nel corso del viaggio mi
saranno piú propizi che il rimanere fermo a tormentarmi”.7
Nel gorgo di pensieri che attraversa tutte le lettere, il 15 agosto
1801 Kleist riflette da Parigi:
“In verità, quando si consideri che è necessaria l’intera esistenza
per imparare come dovremmo vivere, che persino in punto di morte
non riusciamo a sapere cosa il cielo ci riservi, che nessuno conosce
lo scopo della sua esistenza e il proprio destino, che la ragione
umana è incapace di comprendere se stessa e l’anima e la vita e la
realtà circostante, che dopo millenni ancora si dubita se esiste un
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Lettere alla fidanzata, op. cit., p. 156.
Ivi, p. 108.
Ivi, p. 109.
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diritto... può Dio pretendere da esseri siffatti una responsabilità?
Non si dica che una voce interiore ci rivela, in segreto o con
chiarezza, che cosa sia il bene. Quella medesima voce che
suggerisce al cristiano di perdonare il nemico, induce lo zelandese
ad arrostirlo e a divorarlo con devozione... [...] Che cosa significa,
con riferimento all’effetto, fare il male? Che cosa è male? Male
assoluto? In mille modi sono unite e intrecciate le cose del mondo,
ogni azione è madre di milioni di altre azioni e spesso la peggiore
produce la migliore... Dimmi, chi su questa terra ha mai fatto
qualcosa di male? Qualcosa che sia male per tutta l’eternità?”.8
È un passo importante per leggere molte opere di Kleist, comprese
quelle minori come, tra i racconti, la novella La mendicante di
Locarno che è un apologo sulla carità negata e la successiva
dannazione.9
Wilhelmine e il furore pedagogico
Heinrich sente il dovere di “istruire” Minetta non solo sul ruolo e i
doveri che avrà in futuro come moglie ma anche sulle regole che la
ragazza deve seguire come fidanzata. Domande, quesiti a cui ella
deve rispondere; l’elenco dei doveri; letture consigliate. Kleist non è
mai sfiorato dal dubbio che ciò che è interessante o fondamentale
per lui possa non esserlo per lei. Il giovane vuole che la fidanzata
sia istruita e dedita al piacere dell’intelligenza. Così nella primavera
del 1800 da Francoforte sull’Oder le invia “Quesiti per esercitazioni
di pensiero”.10 Nove domande come “compiti per casa”. Quando lei,
diligente, compila la lettera-compitino lui si rallegra ma ne critica
forma e stile. Sono queste lettere che rivelano di Kleist il carattere di
Narciso fragile e nevrotico, romanticamente alla ricerca della
perfezione e della verità, per capitolare poi, come si è visto, proprio
sul tema della verità, davanti alla filosofia di Kant. Nella postfazione
Pocar parla di “furore pedagogico”.11
Ma in questo contesto spicca un tema particolarmente
interessante: i doveri della moglie verso il marito.
Heinrich torna piú volte sul tema dei doveri fra coniugi e il suo è
certamente un pensiero da storicizzare: ci sono passaggi che oggi
Ivi, p. 131. I corsivi sono nel testo.
Una nuova traduzione della novella è firmata da Lorenzo De Nobili e Stephanie
Warnke per la collana “Mercanti nel tempio” di Amos Edizioni (Mestre 2011, 32
pagine), edizione che pubblica a fronte della versione italiana anche il testo
tedesco.
10 Lettere alla fidanzata, op. cit, pp. 15-21.
11 Ivi, p. 161.
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suonano assolutamente fuori tempo: “[...] il marito è non solo il
marito di sua moglie, ma anche un cittadino dello stato, mentre la
donna non è altro che la moglie di suo marito; [...] il marito non ha
soltanto doveri verso la moglie, ma anche doveri verso la patria,
mentre la donna non ha altri doveri se non quelli riguardo al
marito; [...] di conseguenza, la felicità della donna è bensí un
compito importante e indiscutibile del marito, ma non l’unico,
mentre la felicità del marito è il solo compito della moglie [...]. La
felicità del marito [...] è l’unico oggetto della donna; la moglie [...]
opera con tutta l’anima per il marito, non appartiene a nessun altro
se non a lui e gli appartiene totalmente; [...] la moglie è felice purché
lo sia il marito, il marito invece non lo è sempre quando lo è la
moglie e questa deve pensare a renderlo felice. Il marito riceve
dunque infinitamente di piú dalla moglie che lei dal marito”.12 Nella
lettera da Würzburg del 16 settembre 1800 Kleist ribadisce questo
concetto in una piú ampia visione storico-sociale: “La tua
destinazione, cara amica, o piú generalmente la destinazione della
donna, è fuori di ogni dubbio e palese; quale altra infatti potrebbe
essere se non questa, di divenire madre e di allevare per il mondo
uomini virtuosi?”.13 Ma non è finita: e se l’amore dovesse finire? Nel
caso di Heinrich e Wilhelmine, sostiene lui, sarebbe tutta colpa
della donna: “Io non sono volubile, non sono incostante, non
inseguo le gonnelle e disprezzo la ricchezza; se un giorno dovessi
negarti il mio cuore, dovresti ascriverne la colpa a te stessa, non a
me. Come infatti il mio amore fu opera tua, non mia, cosí anche il
suo durare è soltanto opera tua, non mia”.14 Arriva anche a
scrivere, a inizio lettera, da Reichenbach il 5 settembre 1800: “Due
cose vorrei sapere con certezza. Cosí mi sarebbe piú facile
consolarmi dell’assoluta mancanza di tue notizie: primo, se sei viva;
secondo, se mi ami”.15
Quando tra una peregrinazione e l’altra, un crollo di certezze e un
umore continuamente oscillante tra euforia e disillusione, Kleist
deciderà di non tornare piú in Germania ma di stabilirsi in Svizzera
per fare il contadino, inviterà Minetta a seguirlo ma lei rifiuterà e il
loro fidanzamento sarà sciolto. Al di là delle idee sul ruolo della
donna nella società e nel matrimonio, legate al contesto storico
ottocentesco, questi passaggi delle lettere alla fidanzata rivelano un
Kleist fortemente legato all’idealismo romantico, persino astratto.
12
13
14
15
Ivi,
Ivi,
Ivi,
Ivi,
pp. 20-21.
p. 63.
p. 105.
p. 49.
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Viaggi e paesaggi
La solitudine della natura
Il paesaggio, la natura (roccia, abisso, torrente, foresta...), la città
nel suo disegno urbanistico e nella sua architettura sono temi
congeniali a uno scrittore tedesco. Kleist è un ottimo narratore di
viaggi, ed è soprattutto qui che le lettere rivelano un fascino
narrativo che lo avvicina al romanzo epistolare (ed è bella anche la
narrazione interrotta, con quell’epilogo che salta nove anni, dal
1802 al 1811). Il racconto del viaggio notturno verso Dresda (lettera
del 3-4 settembre 1800, cinque del mattino) è di una bellezza
assoluta:
“Proprio davanti a noi si stendeva un paesaggio come uno scenario
trasparente. Percorremmo una strada paurosamente bella tagliata
nella roccia a metà di una rupe. A destra avevamo la parete
rocciosa, con i suoi cespugli sporgenti, a sinistra il brusco abisso
che fa deviare il corso della Mulde, e al di là del rapido torrente rupi
nere coperte di boschi, sopra i quali la luna saliva in un cielo
finalmente sereno”.16
Poeta tedesco innamorato del “suo” paesaggio, al punto da
esclamare: “Quale magnifico dono del cielo è una bella patria!”17,
Kleist è un lirico, ma nella letteratura di lingua tedesca il paesaggio
non è ornamento, décor, della narrazione, arazzo, tappeto, quinta: il
paesaggio tedesco è animistico, è vivo, è elemento della narrazione
alla pari dei personaggi, e se anche Kleist negli anni in cui scriveva
le lettere a Wilhelmine fosse profondamente influenzato da
Rousseau, il poeta è legato, illuminato da dentro, da una ricca
tradizione germanica che, come il nostro Leopardi (l’unico
romantico europeo d’Italia), vede nella natura mistero, coscienza,
metafora del divino o della sua assenza. È la natura la casa del
poeta, la forma e il suono del suo cuore:
“Come potrei godere con tanta letizia e serenità la splendida
natura che ora mi circonda? [...] La solitudine immersi nella natura,
ecco la pietra di paragone della coscienza. In società, per le strade, a
teatro la coscienza può tacere perché gli oggetti agiscono solo
sull’intelletto e per essi non necessita il cuore. Ma quando si ha
dinanzi il creato immenso, nobile, sublime... allora sí che il cuore è
necessario, e lo si sente agitarsi nel petto e urgere alla coscienza. Il
primo sguardo vola via nella natura, il secondo si insinua
segretamente nell’intima coscienza. Se allora ci vediamo squallidi,
16
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Ivi, p. 38.
Ivi, p. 45, l’incipit della lettera da Lungwitz del 5 settembre 1800.
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tutti soli in quell’ideale di bellezza, la serenità svanisce e bisogna
dire addio a gioie e piaceri. Allora ci sentiamo stringere il petto, non
riusciamo a comprendere le cose elevate e divine e passiamo ottusi
e insensibili come schiavi attraverso i palazzi dei loro padroni.
Allora il silenzio delle foreste ci angoscia, lo scrosciare della fonte ci
atterrisce, la presenza di Dio ci opprime e ci perdiamo tra la folla
per dimenticare noi stessi, con il desiderio di non ritrovarci mai, mai
piú”.18
La natura è solitudine, sgomento, ha la bellezza di un piccolo fiore
di montagna baciato dalla rugiada dell’alba e dell’orrido che taglia
improvviso il cammino, che spaventa e affascina. Si legga lo
stupendo passo sull’alba nella lettera da Würzburg del 19-23
settembre 180019, dove Kleist aggiunge che nella sua solitudine la
natura è musica, i suoni un concerto:
“Ma talvolta, quando nel crepuscolo cammino solitario incontro al
soffio del vento di ponente, soprattutto se chiudo gli occhi, sento
autentici concerti, completi, con tutti gli strumenti, dal tenero flauto
al rombante contrabbasso. Cosí mi ricordo in modo particolare di
quando, ragazzo, nove anni fa20, risalivo il Reno e camminavo contro
il vento della sera e le onde dell’aria e dell’acqua rumoreggiavano
intorno a me, e all’improvviso udii uno struggente adagio con tutto
il fascino della musica, con tutte le frasi melodiche e l’armonia
dell’accompagnamento. Era un effetto come d’orchestra [...]; anzi
credo persino che tutto quanto i savi della Grecia concepirono
sull’armonia delle sfere non sia stato piú tenero, piú bello, piú
celestiale di quella strana fantasticheria”.21
Lo stile romantico si rivela cangiante nei paragoni, come nella
lettera da Berlino dell’11-12 gennaio 1801:
“Un pensiero è contenuto nella tua lettera, Wilhelmine, che mi
colma di indicibile gioia e speranza, un pensiero del quale la mia
anima aveva sete come la rosa ha sete di rugiada sotto la vampa
meridiana... un pensiero che non osavo trapiantare nella tua anima
perché, come l’arancio, non tollera trapianti e dà frutto solamente
quando lo fanno crescere le forze naturali del terreno [...]”.22
O nella descrizione del corso del fiume Elba, un passo di grande
letteratura:
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19
20
21
22
Ivi, pp. 44-45
Ivi, p. 64.
Nel 1791, a 14 anni.
Lettere alla fidanzata, op. cit., pp. 64-65
Ivi, p. 93.
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“Da Töplitz ci addentrammo in Boemia fino a Lowositz, che giace
alle falde meridionali dei Monti Metalliferi, nel punto in cui entra
l’Elba. Come una fanciulla che si presenti tra uomini, cosí l’Elba
appare snella e limpida fra le rocce: si avvicina silenziosa, con passo
timido, e la rude compagnia le si affolla intorno, tagliandole la
strada per guardare il suo volto di creatura luminosamente pura,
ma essa, senza indugiare, si divincola e fugge via arrossendo...”.23
Ma si legga anche24 la pittorica descrizione, alla Friedrich, del
castello di Lichtenstein e di quella “vasta campagna come un
tappeto intessuto di villaggi, di giardini e foreste”.
La fine
La lettura delle Lettere alla fidanzata non offre solo la possibilità di
conoscere un documento eccezionale del giovanissimo Kleist, tra
giornale di viaggio, diario, epistola e abbozzo di letteratura, di
entrare meglio nella biografia del grande scrittore tedesco, ma
permette anche di leggere – con gli occhi di uno dei suoi maggiori
interpreti – un’epoca a cavallo tra l’entusiasmo razionalista
dell’illuminismo e i brividi romantici che avrebbero fatto a pezzi le
certezze della raison.
Nelle lettere di Kleist c’è tutto. Dei circa 200 documenti che
costituiscono l’epistolario dell’autore della Marchesa von O. e Il
principe di Homburg, Ervino Pocar ne sceglie 40 destinate a
Wilhelmine von Zenge e a Ulrike25 e 10 nell’epilogo, tra cui l’ultima,
celebre, a Ulrike da Stimming presso Potsdam del 21 novembre
1811, giorno del suicidio sulle rive del Piccolo Wannsee a Berlino
(Stimming è l’oste nei pressi di Potsdam da cui Heinrich lasciò “una
valigetta di cuoio, nera, suggellata, e una cassettina, anch’essa
suggellata, contenente scritti per Vogel, lettere, denaro, capi di
vestiario e anche libri”,26 oste che divenne una sorta di esecutore
testamentario).
Il 21 novembre Kleist, prima del suicidio con l’amica Adolphine
Henriette Vogel, malata di tumore,27 scrisse a Marie (anche a lei
Heinrich chiese di morire con lui28), a Peguilhen, a Ulrike; è in
Ivi, p. 119.
Ivi, p. 47.
25 Una parte delle lettere inviatele da Heinrich furono distrutte dalla stessa
Wilhelmine o dalla sorella, cfr. “Postfazione” di Ervino Pocar, op. cit. p. 163.
26 Ivi, p. 151.
27 Nata lo stesso anno di Heinrich (1777), sposata con Louis Vogel, contabile della
Banca Agricola di Berlino, aveva una bimba di 10 anni. Kleist la conobbe grazie ad
Adam Müller, fondatore con il poeta della rivista Phöbus.
28 Ibidem.
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questa lettera – che conclude come un testamento spirituale il libro
curato da Pocar – che si legge la famosa e disperata frase “In verità,
per me non esisteva possibilità di soccorso su questa terra”29.
Il “Meridiano” delle opere
Heinrich von Kleist, Opere, a cura e con un saggio introduttivo di
Anna Maria Carpi (Mondadori, Milano 2011, pp. XCII-1380)
comprende teatro, racconti, saggi (compreso l’importante “Il teatro
di marionette”), scritti vari (poesie, scritti politici, favole e aneddoti,
articoli per i Berliner Abendblätter ), notizie sui testi e note di
commento e una formidabile bibliografia, oltre al saggio Kleist, il
“genio sinistrato” di Anna Maria Carpi, che cura anche l’attenta
cronologia. Il volume raccoglie quindi tutte le opere di Kleist tranne
le lettere.
Anna Maria Carpi è una delle firme piú raffinate della nostra
germanistica. Insegna Letteratura tedesca all’Università Ca’ Foscari
di Venezia, è autrice di saggi su Kleist, Mann, Benn, Celan e molti
altri. Come autrice ha pubblicato i romanzi E sarai per sempre
giovane (Bollati Boringhieri, 1996) e Il principe scarlatto (La
Tartaruga, 2002), oltre alla biografia Un inquieto batter d’ali. Vita di
Kleist (Mondadori, 2005). È anche una delle voci piú belle della
poesia italiana: A morte Talleyrand (Campanotto, 1993), Compagni
corpi (Scheiwiller, 2004), E tu fra i due chi sei (Scheiwiller, 2007),
L’asso nella neve – Poesie 1990-2010 (Transeuropa, 2011).
Dicembre 2011
29
Ivi, p. 153.
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