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ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 1-2 INDICE Editoriale Editorial M. Prearo ……..……………………………………………………………. ITTIOPATOLOGIA Pubblicazione quadrimestrale Rivista ufficiale della Società Italiana di Patologia Ittica Direttore responsabile: Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti Responsabile scientifico: Dott. Marino Prearo c/o Laboratorio Specialistico di Ittiopatologia, Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 10154 Torino Tel.: 011-2686251 Fax: 011-2474458 E-mail: [email protected] Comitato scientifico: Prof.ssa Maria Letizia Fioravanti Prof. Francesco Quaglio Prof. Pietro Giorgio Tiscar Segreteria S.I.P.I.: Dott. Marino Prearo Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Via Bologna, 148 – 10154 Torino Tel.: 011-2686251 Fax: 011-2474458 E-mail: [email protected] Autorizzazione: Tribunale di Udine n° 10 del 27 marzo 1990 3 pag. 5 PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Indagine sulle problematiche sanitarie di Haliotis tuberculata in allevamento con focus particolare sulle infestazioni da policheti perforanti Survey on health problems of cultured Haliotis tuberculata with a particular focus on infestations by bring polychaetes E.A.V. Burioli, M.L. Fioravanti, O. Mordenti, S. Huchette ……..………… PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Aggiornamento sulla diffusione della plerocercosi da Diphyllobothrium latum in pesci lacustri dell’Italia settentrionale e rischi per il consumatore Update on diffusion of Diphyllobothrium latum plerocercosis in lake fish from Northern Italy and risks for the consumer S. Bianchini, A. Gustinelli, M Caffara, M. Prearo, M.L. Fioravanti …….… PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Effetto di diete integrate con carvacrolo sulla risposta immunitaria aspecifica e sulla resistenza a Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax) Effect of carvacrol supplemented diets on aspecific immune response and resistance to Listonella anguillarum of European sea bass (Dicentrarchus labrax) D. Assante, C. Bulfon, D. Volpatti ……………………………...…….…… pag. 19 pag. 33 PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Indagine sulla parassitofauna di anguille selvatiche e d’allevamento Survey on parasitofauna of wild and farmed eels M. Leone, A. Gustinelli, M.L. Fioravanti ..………………………………... pag. 51 Validazione di una multiplex PCR per l’identificazione di Vibrio alginolyticus e Vibrio parahaemolyticus e applicazione allo screening di isolati ittici Validation of a multiplex PCR for Vibrio alginolyticus and Vibrio parahaemolyticus identification and use for the screening of fish isolates Codice ISSN: ISSN 2281-8189 F. Zuccon, S. Colussi, S. Bertuzzi, L. Serracca, T. Scanzio, M. Prearo, P.L. Acutis ………………………………………………………………... Volume 9, Numero 1-2 SEMINARIO “GARRA DAY” Risultati di prove di riproduzione artificiale di Garra rufa Results of artificial reproduction trials of Garra rufa Foto di copertina: Prostomio di Spionidae. Foto da Burioli et al., 2012. pag. G. Bastone, A. Di Biase, O. Mordenti ..………………………………... 1 pag. 63 pag. 73 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 1-2 Referees: Abete Maria Cesarina Agnetti Francesco Beraldo Paola Bossù Teresa Bovo Giuseppe Bozzetta Elena Caffara Monica Ciulli Sara Colorni Angelo D’Amelio Stefano Di Guardo Giovanni Dörr Ambrosius Josef Martin Elia Antonia Concetta Figueras Antonio Fioravanti Maria Letizia Florio Daniela Galeotti Marco Galuppi Roberta Ghittino Claudio Guandalini Emilio Gustinelli Andrea Manfrin Amedeo Marcer Federica Marino Giovanna Mattiucci Simonetta Merella Paolo Mutinelli Franco Prearo Marino Quaglio Francesco Regoli Francesco Romalde Jesus Lopez Rubini Silva Salati Fulvio Scapigliati Giuseppe Tampieri Maria Paola Tiscar Pietro Giorgio Volpatti Donatella Zaghini Anna Zanoni Renato Giulio 2 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 3-4 Editoriale Editorial Marino Prearo Responsabile Scientifico della Rivista ITTIOPATOLOGIA ______________________________ Cari Soci, ce l’abbiamo fatta! È finalmente nata la rivista on-line. Il parto è stato lungo, faticoso, travagliato, oserei dire distocico, ma ci siamo riusciti. …. con il consueto ritardo, ma esce! Come forse avrete potuto osservare, la Società Italiana di Patologia Ittica cambia look per venire incontro a tutte le esigenze dei soci e soprattutto per tenere il passo con i tempi moderni (Monti & Spending review docet …); anche il sito ha cambiato veste grafica e nel breve termine ci saranno ancora dei miglioramenti per cercare di far sopravvivere in questi tempi oscuri e tempestosi la nostra Società scientifica e la nostra Rivista; uso sempre il termine “nostra” perché ritengo che questa associazione e il suo organo editoriale siano una cosa comune che tutti noi dovremmo far sopravvivere e crescere nel tempo. Il Consiglio Direttivo attualmente in carica, il Direttore Responsabile della rivista e il sottoscritto abbiamo cercato in tutti i modi di rendere la società e la rivista ITTIOPATOLOGIA maggiormente fruibile ai nostri soci, incappando in numerose peripezie e difficoltà che hanno spesso minato la buona volontà, la pazienza e la perseveranza di chi ci lavora del tutto gratuitamente. Nonostante tutto ci siamo riusciti e con una punta di orgoglio voglio ringraziare il Presidente, Claudio Ghittino ed il Vice Presidente, Paola Beraldo, assieme a tutto il Consiglio Direttivo, per l’impulso e il sostegno ricevuto e il Direttore Responsabile, Maria Letizia Fioravanti, che ha infaticabilmente appoggiato, coordinato e profuso energie perché questo progetto potesse nascere. Ora, utilizzando una frase ampiamente usufruita dal sottoscritto nei passati editoriali che però esplicita esattamente il mio pensiero, ma soprattutto le mie aspettative e le mie speranze, tocca a voi far crescere e vivere nel migliore dei modi la S.I.P.I. e ITTIOPATOLOGIA. Forse il sogno dei decani della Società, quando hanno fatto nascere questa rivista, ora si può realmente avverare. Tornando ai cambiamenti, mi sembra opportuno in questo frangente parlare delle novità relative alla rivista on-line; la veste grafica resta pressappoco identica alla precedente (si è pensato di aumentare il carattere per una maggiore fruibilità a video); verranno però implementate le tipologie di lavori pubblicati, cercando di venire incontro maggiormente alle esigenze dei soci e di chi può fruire della Rivista; oltre che i lavori scientifici e le comunicazioni brevi che subiranno il consueto processo di peer review, le 3 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 3-4 monografie, le tesi premiate e le note tecniche, si è pensato di inserire anche delle schede tecniche e casi clinici che vorrete sottoporre all’attenzione dei soci, con modalità ancora da individuare. Nel giro di pochi mesi saranno accessibili in rete tutti gli articoli pubblicati nella Rivista ITTIOPATOLOGIA, oltre che quelli nel vecchio Bollettino; resterà visionabile solamente dai soci in regola con il pagamento delle quote societarie, l’ultimo anno della Rivista, a cui si potrà accedere solamente mediante apposita password, con un meccanismo che vi verrà sottoposto a breve dalla Segreteria della Società. Pertanto, questo numero che mi accingo a pubblicare rappresenta il primo passo verso questo totale rinnovamento, che nel giro di pochi mesi si compirà producendo, spero, un miglioramento del prodotto, una sua maggiore espansione, una maggiore regolarità e una riduzione dei costi di gestione, di pubblicazione e di spedizione dell’ormai obsoleto formato cartaceo. Il Responsabile Scientifico di ITTIOPATOLOGIA Marino Prearo 4 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Indagine sulle problematiche sanitarie di Haliotis tuberculata in allevamento con focus particolare sulle infestazioni da policheti perforanti # Survey on health problems of cultured Haliotis tuberculata with a particular focus on infestations by boring polychaetes # Erika Astrid Virginie Burioli 1*, Maria Letizia Fioravanti 2, Oliviero Mordenti 2, Sylvain Huchette 3 1 Corso di Laurea in Acquacoltura ed Ittiopatologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; 3 France Haliotis SCEA, Lilia Kérazan, 29880 Plouguerneau, France. _______________________________ RIASSUNTO – Recentemente l’allevamento del mollusco gasteropode Haliotis tuberculata, abalone europeo, è stato intrapreso in Irlanda ed in Francia. In generale, le acque fredde proteggono questo mollusco dall’insorgenza di malattie batteriche e parassitarie, ma la colonizzazione della conchiglia da parte di policheti perforanti rappresenta un importante problema in grado di causare una riduzione del valore commerciale e degli indici di crescita. Nel corso di questo studio, condotto in Bretagna su animali allevati con differenti tecniche, si è dimostrato che l’età ed il sistema d’allevamento sono importanti fattori che influenzano l’intensità della infestazione. I policheti raccolti dagli abaloni appartenevano a due diverse famiglie: Spionidae, come già descritto in precedenti studi (Clavier, 1992) e Sabellidae, qui riportata per la prima volta nell’abalone europeo. Gli studi morfologici hanno indicato che i policheti Spionidae appartenevano a diverse specie dei generi Polydora/Boccardia. Sebbene non sia stato possibile condurre mediante osservazione morfologica l’identificazione tassonomica dei Sabellidae a livello di genere e specie, almeno due distinte specie erano presenti. La prevalenza e l’intensità dei Sabellidi era molto bassa, ma un solo esemplare era in grado di causare lesioni della conchiglia molto gravi. I risultati di questo studio hanno mostrato come la prevalenza sia positivamente correlata all’età dell’ospite e come il sistema d’allevamento possa influenzare fortemente l’intensità d’infestazione dei policheti perforanti: molto bassa negli allevamenti a terra, dove l’acqua viene filtrata e le procedure igieniche vengono applicate routinariamente alle vasche e più elevata in maricoltura, in particolare se condotta in policoltura ed in aree a basso ricambio idrico, con crescita rallentata e performance produttive ridotte. SUMMARY – In recent years, shellfish farming of Haliotis tuberculata, the European abalone, has started in Ireland and France. In general, cold waters protect the gastropod from bacterial and parasitic diseases but the shell colonization by boring polychaetes is an important problem causing a reduction of marketability and growth rate. During this study conducted in Brittany on animals reared with different culture techniques we showed that age and farming methods are determinant factors that influence the intensity of infestation. The polychaetes collected from abalone shells belonged to two different families: Spionidae, as referred in previous works (Clavier, 1992) and Sabellidae, reported for the first time in European abalone. Morphological studies indicated that Spionidae polychaetes belonged to different species of the genera Polydora/Boccardia. The taxonomic identification of Sabellidae at genus/species level was not reached by morphological exam, but at least two distinct species seemed to be present. Prevalence and intensity of infestation by Sabellidae were low but a single specimen was able to cause very heavy lesions of the shell. The results of this study showed that prevalence is positively linked to host age and that the farming system can strongly influence the infection intensity of boring polychaetes: very low in in-land farms, where water is filtered and hygienic procedures are routinely applied to tanks, and higher in mariculture, in particular in polyculture and areas with a low water turnover, with slow growth and performance indexes reduction. # Sintesi della tesi: "Haliotis tuberculata: allevamento e problematiche sanitarie”. Key words: Haliotis tuberculata; Farming methods; Boring polychaetes; Spionidae; Sabellidae. _______________________________ * Corresponding author: c/o Corso di Laurea in Acquacoltura ed Ittiopatologia, Facoltà di Medicina Veterinaria, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; E-mail: [email protected]. 5 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 INTRODUZIONE Per contrastare la forte pressione di pesca sugli stock selvatici, il Giappone è stato il pioniere dell’acquacoltura dell’abalone ed oggi la produzione mondiale ammonta a circa 40.000 tonnellate, provenienti per il 95% da attività d’acquacoltura e principalmente da allevamenti intensivi siti in Cina. Sebbene l’abalone fosse considerato in passato un alimento di lusso, negli ultimi anni sono nati diversi allevamenti anche in Europa, principalmente in Francia ed Irlanda dove viene prodotta la specie europea, Haliotis tuberculata. Uno dei principali problemi nell’allevamento degli abaloni è rappresentato dalle infestazioni da policheti perforanti che non causano una mortalità diretta, ma interferiscono con la crescita, facilitano la predazione e danneggiano fortemente il valore commerciale del prodotto. Per questi motivi, la società France Haliotis di Plouguerneau (Francia), in Bretagna nord occidentale, ha promosso un’indagine volta a determinare se l’età degli abaloni e la tipologia ed il sito d’allevamento rappresentino fattori in grado di influenzare la prevalenza e l’intensità d’infestazione dei policheti. Nel corso di questa indagine si è voluto inoltre studiare l’appartenenza tassonomica degli esemplari di policheti riscontrati e condurre esami istopatologici al fine di effettuare osservazioni più generali sullo stato sanitario degli abaloni allevati. Haliotis tuberculata Haliotis tuberculata (Linnaeus, 1758) è presente esclusivamente in Europa e Nord Africa su tutti i tratti di litorale roccioso da 0 a -30 m. Questi gasteropodi presentano caratteri molto primitivi, la conchiglia è poco spiralizzata con l’ultima spira molto ampia, dotata di 3 - 9 pori respiratori ed un ipostraco madreperlaceo molto spesso; gli esemplari più grandi possono raggiungere 135,5 mm. Il piede è molto sviluppato in quanto rappresenta fino al 40% del peso totale dell’animale e costituisce la parte edibile. E’ un animale gonocorico. La maturità sessuale viene raggiunta tra i 3 ed i 5 anni d’età. In Bretagna, il periodo di deposizione si estende da giugno ad agosto. La crescita è molto lenta, in media 2,5 cm/anno, e varia da un individuo all’altro, continuando per tutta la vita dell’animale che può durare oltre 10 anni, ma rallentando notevolmente dopo i 6 anni d’età. La temperatura è un fattore importante per la crescita, con optimum intorno a 18°C (McBride & Conte, 2001). Allevamento di Haliotis tuberculata Nel 2008 la produzione europea di abaloni, rappresentata esclusivamente dalla specie Haliotis tuberculata, ammontava a 70 tonnellate, di cui 25 tonnellate provenienti da attività d’acquacoltura. Attualmente le imprese europee che gestiscono tutto il ciclo di produzione sono quattro. L’ingrasso può essere eseguito in maricoltura o in allevamenti a terra. In maricoltura, i giovanili di circa un anno provenienti da nursery a terra sono allevati in strutture in mare per un ciclo d’ingrasso che dura da tre a quattro anni. In Bretagna (Francia) coesistono tre tecniche d’ingrasso. La società France Haliotis, che ha incoraggiato questa indagine, utilizza gabbie in plastica di 0,5 m³ supportate da filari. Le gabbie si trovano a 3-11 metri dalla superficie a seconda della marea e del coefficiente idrodinamico. All’interno, gli abaloni sono stabulati in coppette usate in 6 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 genere per la captazione delle larve di ostriche e la densità è abbastanza ridotta, in media 10-15 kg/m³. Le gabbie sono rifornite di alghe fresche ogni due settimane. Nelle concessioni, il forte idrodinamismo dovuto alle maree ed alle correnti garantisce sempre un’acqua di buona qualità. Un’altra tecnica consiste nell’utilizzare, per la fase d’ingrasso in mare, delle sacche di rete plastificata con maglie da 0,8 cm ponendo gli abaloni in policoltura con ostriche e Littorina littorea a bassa densità di allevamento. Le sacche, all’interno delle quali sono disposte coppette identiche a quelle usate nelle gabbie, sono disposte su speciali tavole poste a 0,5 m dal fondale. L’alimentazione anche in questo caso è costituita da macroalghe fresche. Le concessioni si trovano in una zona riparata dalle correnti e sotto una colonna d’acqua di 0-6 metri. Infine, l’allevamento a terra permette un management più regolare delle condizioni d’allevamento e una somministrazione più facile del cibo: nella zona in studio si tratta di piccole unità di produzione, con densità d’allevamento media (21 kg/m³) ed alimentazione artificiale. Malattie di Haliotis tuberculata Anche se le acque relativamente fredde del Nord Atlantico limitano l’insorgenza di malattie, gli abaloni possono essere colpiti da diversi agenti patogeni. Alcune malattie degli aliotidi sono incluse nella lista della World Organisation for Animal Health (OIE): infezioni da Perkinsus olseni, da Xenohaliotis californiensis e da Herpesvirus. Nessuno di questi agenti rientra nella lista di malattie inserita nella legislazione comunitaria (Direttiva 2006/88/CE). In H. tuberculata gli episodi di mortalità in allevamento sono stati attribuiti quasi sempre a Vibrio harveyi (sin. V. carchariae) (Nicolas et al., 2002). I sintomi della vibriosi (Blister Disease) sono rappresentati principalmente dalla presenza di macchie chiare a livello degli organi e, soprattutto, di pustole bianche sul piede. Possono anche essere presenti dei rigonfiamenti a livello del pericardio e l’emolinfa assume un colore giallo-marrone. La mortalità può raggiungere il 60% del lotto colpito. Gli episodi avvengono in genere tra settembre ed ottobre. V. harveyi rappresenta il patogeno più temibile nell’acquacoltura di H. tuberculata. La Withering Syndrome-Rickettsia Like Procaryote (WS-RLP) (Balsiero et al., 2006) è causata da una Rickettsia, Candidatus Xenohaliotis californiensis. La malattia si manifesta con atrofia del tessuto muscolare, seguita dalla morte dell’animale colpito. A livello istologico si osserva l’inclusione del patogeno nelle cellule epiteliali, che assumono una forma ovoidale di 17 x 55 μm. L’infezione si localizza principalmente nella parte posteriore dell’esofago, nella ghiandola digestiva e nell’intestino. Sono state inoltre descritte diverse malattie parassitarie sostenute da protozoi in abaloni, ma nella specie H. tuberculata solo Haplosporidium montforti è stato rinvenuto in diversi tessuti ed organi: connettivo, branchie, ghiandola digestiva e muscolo (Ford et al., 2001; Balsiero et al., 2006). Alcune infestazioni da metacercarie di trematodi digenei sono state inoltre descritte in H. tuberculata (Marino et al., 2005). La conchiglia degli abaloni è spesso colonizzata da epibionti, ma in caso di presenza di policheti perforanti e di infestazioni molto intense, lo stato sanitario e la crescita dell’ospite possono essere compromessi. L’epibionte diventa allora un parassita. I policheti sono vermi anellidi diffusi quasi esclusivamente in ambiente marino. Alcune 7 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 specie sedentarie ricavano una galleria nei substrati calcarei (e quindi anche nelle conchiglie dei molluschi) e si nutrono di particelle organiche in sospensione nell’acqua. Sono state descritte diverse famiglie di policheti perforanti quali spionidi, terebellidi e sabellidi. I caratteri tassonomici più evidenti per determinare la famiglia di appartenenza sono rappresentati da: presenza di un paio di tentacoli scanalati e primi metameri dotati di un paio di branchie - per gli spionidi; presenza di diversi tentacoli - per i terebellidi; presenza di un “ventaglio” molto ramificato - per i sabellidi. I parapodi sono modificati: il notopodio è atrofizzato e le setole ventrali formano degli uncini. I caratteri tassonomici principali utilizzati per determinare il genere negli spionidi sono: la forma delle setole e degli uncini, la forma della caruncola del protostomio, il numero delle branchie, la forma del pigidio. Per i sabellidi, oltre ai caratteri appena elencati, si considera anche la forma dei radioli. MATERIALI E METODI Campionamento Nel mese di settembre 2010 sono stati condotti diversi campionamenti di soggetti di Haliotis tuberculata nelle gabbie di maricoltura di France Haliotis (FH) (Plouguerneau, Francia) al fine di rilevare i dati di prevalenza, intensità d’infestazione ed entità delle lesioni causate da policheti perforanti in relazione all’età degli esemplari. Sono stati prelevati in totale 53 esemplari appartenenti a 5 diversi cicli produttivi, dalla generazione del 2005 a quella del 2009 (Tabella 1). Le gabbie da sottoporre al prelievo sono state individuate in funzione dell’età e della densità degli animali contenuti, sempre di almeno 10 kg/m³. Il campionamento è stato eseguito usando una randomizzazione sistematica, con 1 individuo prelevato ogni 10. Per evitare che fattori ambientali quali le correnti potessero influenzare il risultato, si è preferito selezionare gabbie situate nella stessa area delle concessioni. Nello stesso periodo, per verificare se esiste una correlazione tra tipo di allevamento e prevalenza/intensità d’infestazione, sono stati raccolti campioni di individui della stessa età (nati nel 2006) da tre aziende alioticole della zona caratterizzate da tipologie di allevamento diverse. Inoltre è stato esaminato un campione di 8 abaloni selvatici con dimensioni >9 cm per i quali però non è stato possibile determinare con esattezza l’età (Tabella 2). N. Id. lotto N. Id. gabbia Anno di nascita degli individui N. individui campionati Densità di animali in gabbia F1 38 2008 13 10 kg/m³ F2 34 2007 8 10 kg/m³ F3 35 2006 8 10 kg/m³ F4 28 2005 12 10 kg/m³ F5 53 2009 12 10 kg/m³ Tabella 1 – Campionamento di abaloni dalle gabbie di maricoltura. Table 1 – Samplings of abalones from cages. N. Id. lotto Luogo di campionamento Tipologia di allevamento N. individui campionati G1-2 Ile de Groix A terra 15 F3 Aber Wrac’h Maricoltura/gabbie 8 A1 Aber Wrac’h Maricoltura/sacche retate in policoltura con ostriche 10 S1 Baia di Roscoff Selvatici 8 Tabella 2 – Campionamento di abaloni da diversi sistemi d’allevamento. Table 2 – Samplings of abalones from different farming systems. 8 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 Nell’azienda in policoltura situata a tre km da FH sono stati prelevati anche 6 esemplari di Crassostrea gigas per poter paragonare l’epifauna presente nei soggetti di questa specie con quella osservata in Haliotis. Durante il trasporto gli individui sono stati mantenuti in acqua marina, posti in contenitori isotermici muniti di aeratore ed esaminati entro le 24 ore successive. Esami di laboratorio Ogni individuo è stato privato della conchiglia e le parti molli del gasteropode sono state poste in formalina tamponata al 10% dopo un’attenta osservazione volta a rilevare la presenza di eventuali anomalie morfologiche e alterazioni patologiche. La conchiglia veniva immersa in acqua marina ed immediatamente osservata allo stereomicroscopio. I policheti, grazie ai loro tentacoli molto mobili, risultano facilmente rilevabili e per ogni conchiglia ne è stato rilevato il numero, con due conte successive, e la famiglia di appartenenza, determinabile dal tipo di appendici del capo, annotando la zona della conchiglia colpita. Il calcolo dei valori di prevalenza (N° animali parassitati/N° animali esaminati), intensità d’infestazione (N° parassiti per ospite) ed intensità d’infestazione media (N° totale parassiti/N° soggetti parassitati) è stato effettuato secondo le indicazioni di Bush et al. (1997). Ogni conchiglia è stata poi asciugata, marcata e fotografata per evidenziare le lesioni macroscopiche ed alcune sono state sottoposte ad esame radiografico presso l’ex Dipartimento Clinico Veterinario (ora Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie) della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Bologna. Per poter isolare e fissare i policheti ai fini di una loro successiva identificazione si è dovuto ricorrere talvolta alla frantumazione della conchiglia. Gli esemplari di policheti vivi ed integri sono stati fotografati ed in seguito fissati in alcool etilico 70%. In laboratorio sono stati poi studiati alcuni caratteri tassonomici mediante osservazione di uncini, pigidio, tentacoli, branchie e prostomio, previa chiarificazione in alcool glicerinato (1:1). I risultati ottenuti sono stati sottoposti ad elaborazione statistica, ponendo particolare attenzione alle prevalenze ed alle intensità di infestazione in relazione a sito di prelievo/allevamento, età, sesso e taglia dell’ospite. Non sono stati inclusi nell’elaborazione statistica gli 8 soggetti selvatici in quanto non era possibile individuarne l’età esatta e non risultavano essere rappresentativi delle problematiche derivanti dalle infestazioni da policheti nell’allevamento dell’abalone. Non sono stati considerati anche 5 soggetti dell’allevamento a terra provenienti dall’Irlanda e con pregressi problemi di mineralizzazione della conchiglia estranei alla parassitosi. L’elaborazione statistica dei dati è stata condotta mediante analisi della varianza (ANOVA), test del χ2, McNemar e test di Mann-Whitney; le valutazioni statistiche sono state effettuate mediante l’utilizzo del programma statistico per PC SPSS13.0, mentre per quanto concerne la significatività dei risultati ottenuti è stato assunto quale limite il valore di probabilità a due code pari a 0,05 (P≤ 0,05). 9 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 RISULTATI In base alla rilevazione dei valori d’intensità d’infestazione nei lotti di abaloni di diversa età (da 1 a 5 anni) prelevati presso la maricoltura di FH, si osserva un incremento progressivo dell’intensità d’infestazione media nell’arco dei primi 4 anni ed una leggera flessione nei soggetti di 5 anni di età (Grafico 1). Grafico 1 – Intensità d'infestazione media di policheti perforanti in relazione all'età degli abaloni prelevati presso France Haliotis. Graphic 1 – Mean infection intensity of boring polychaetes with reference to age of Haliotis tuberculata from France Haliotis. L’elaborazione statistica ha evidenziato una prevalenza e un’intensità media significativamente maggiori nei soggetti di taglie >20 grammi e 43 mm, con una buona corrispondenza con l’andamento dei valori in base all’età, mentre non ha rilevato differenze significative per quanto concerne il sesso. L’indagine svolta invece nei diversi allevamenti è stata condotta su un totale di 91 soggetti. In Tabella 3 sono riportati i dati relativi alle percentuali di positività per policheti evidenziate negli abaloni esaminati in relazione alla provenienza, con indicazione dei valori di prevalenza relativi alla famiglia di appartenenza dei policheti reperiti. Ai fini dell’elaborazione statistica, come già specificato in Materiali e Metodi, non sono stati presi in considerazione 5 soggetti provenienti dall’estero e caratterizzati da gravi problemi pregressi di demineralizzazione e gli 8 soggetti selvatici esaminati. 10 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 Tipologia sistema di produzione Numero soggetti Positivi x policheti % Positivi x Spionidi % Positivi x Sabellidi % Coinfezione % A terra 20* 15 75 15 75 0 0 0 0 53 27 50,9 27 50,9 0 0 0 0 10 10 100 10 100 8 80 8 80 8* 91 8 60 100 65,9 8 56 100 61,5 4 16 50 17,6 4 12 50 13,1 FH Maricoltura in gabbie Maricoltura in sacche in policoltura Selvatici Totale Tabella 3 – Prevalenze di policheti Spionidi e Sabellidi rilevate negli abaloni esaminati in relazione a sistema d’allevamento (* non includi nell’analisi statistica). Table 3 – Prevalence of Spionid and Sabellid Polychaetes in Haliotis tuberculata with reference to farming system (* not included in statistical analysis). Per poter meglio valutare l’influenza del sistema d’allevamento sull’entità dell’infestazione da policheti perforanti, sono stati posti in comparazione solo i valori di intensità d’infestazione rilevati nei soggetti di pari età (generazione 2006) allevati nei diversi sistemi produttivi, evidenziando valori di intensità media significativamente più alti (p<0,001) nei soggetti allevati in policoltura (Grafico 2). Come già specificato, non sono stati considerati i soggetti selvatici, non rappresentativi della realtà d’allevamento e di età non determinabile. Segnaliamo tuttavia che gli esemplari selvatici campionati, con dimensioni superiori a 9 cm, avevano presumibilmente un’età maggiore rispetto agli individui allevati considerati nell’indagine e presentavano un valore d’intensità d’infestazione media pari a 50 policheti, con forti differenze individuali. Il rilevamento della posizione delle singole gallerie su ogni conchiglia parassitata ha evidenziato come la zona tra columella e pori respiratori e la zona dell’apice siano quelle più colpite dai policheti, probabilmente perché in queste aree lo spessore della conchiglia è maggiore. In linea generale la zona del margine destro e l’area centrale vengono coinvolte solo con il progressivo estendersi dell’infestazione a tutta la conchiglia. Come si deduce dai dati riportati in tabella 3, i Sabellidi sono stati riscontrati solo in soggetti allevati in policoltura ed in abaloni selvatici, mentre non sono mai stati osservati nei soggetti allevati a terra o in gabbia, dove è stata riscontrata sempre la sola presenza di policheti Spionidi. Si osserva comunque come nei soggetti selvatici ed in quelli allevati in policoltura l’intensità d’infestazione media di policheti sabellidi sia sempre bassa, rispettivamente di 1,7 e 2,7 e con valori massimi di 3 e 5 policheti/ospite. Le osservazioni condotte a livello della conchiglia nelle 6 ostriche hanno permesso di rilevare solo la presenza di policheti spionidi. 11 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 Grafico 2 – Intensità d’infestazione media di policheti in abaloni della stessa generazione (4 anni) provenienti da diversi sistemi di allevamento. Graphic 2 – Mean infection intensity of boring polychaetes in Haliotis tuberculata of same age (4 years) coming from different farming systems. A livello macroscopico non sono state riscontrate lesioni o alterazioni a carico delle parti molli. Tuttavia, in un esemplare proveniente dalla policoltura che presentava una forte intensità d’infestazione da policheti e una conchiglia molto danneggiata, sono state ritrovate nel mantello tre perle di forma irregolare di circa 2 mm. Le gallerie dei policheti sono ben visibili all’interno della conchiglia: quelle degli spionidi hanno una forma a U o intricata, quelle dei sabellidi sono spesso situate nella zona della columella ed in genere sono dritte. I pori respiratori presentano spesso delle deformazioni che possono condurre alla formazione di una singola fessura lungo tutta la conchiglia, lasciando vulnerabili gli organi della cavità palleale. In casi estremi, la conchiglia è talmente fragile e porosa da frantumarsi. Quando il polichete perfora accidentalmente la parete interna della conchiglia, il gasteropode deposita uno strato di conchiolina marrone per riparare velocemente la lesione (Fleury et al., 2008). In seguito, dopo qualche mese si forma uno strato calcareo che può raggiungere uno spessore importante modificando notevolmente la forma della conchiglia. Anche se la prevalenza di sabellidi è risultata essere molto bassa, va evidenziato come un singolo esemplare sembri essere in grado di causare lesioni molto importanti. Nel caso documentato (Figura 1) un esemplare di sabellide, lungo circa 4 cm, aveva perforato la conchiglia e sulla superficie interna si era depositato un importante strato di conchiolina fino alla formazione di una cavità piena di sedimenti maleodoranti, comunemente chiamata “mud blister”. Sulla parte esterna della conchiglia si potevano osservare talvolta piccolissimi fori, molto più evidenti all’interno della conchiglia e di colore giallo, che potevano essere attribuibili alla presenza di un porifero perforante riferibile al genere Cliona. La forma delle gallerie causate dai policheti perforanti risulta ben visibile nelle immagini ottenute dalle radiografie (Figura 2). Ne possiamo distinguere di diverse 12 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 forme: alcune sono molto intricate, altre hanno una forma ad U caratteristica, secondo McDiarmid et al. (2004), di Polydora/Boccardia. Le lesioni dovute a Cliona sp. si presentano come dei piccoli fori nella conchiglia, collegati uno all’altro. B A Figura 1 – Deposito di conchiolina (A) e formazione di blister (B) con perforazione dovuta ad un singolo esemplare di polichete sabellide. Figure 1 – Conchiolin deposit (A) and blister formation (B) with shell perforation due to a single sabellid polychaetes. A B C D Figura 2 – Immagini radiografiche che schematizzano l’evoluzione delle lesioni causate da policheti perforanti nell’abalone (da individuo integro, A, a completa distruzione della conchiglia, D). Figure 2 – Radiographic images which show the development of lesions caused by boring polychaetes in abalone (from intact specimen, A, to shell destruction, D). L’osservazione dei caratteri morfologici dei policheti perforanti riscontrati negli abaloni esaminati ha permesso di riferirli alle famiglie Spionidae e Sabellidae. Per quanto concerne gli spionidi, le caratteristiche rilevate a livello di prostomio (Figura 3A), pigidio (Figura 3C) e, soprattutto, l’assetto delle chete presenti nel 5° segmento (Figura 3B), ha permesso di farli riferire al genere Polydora grazie anche al supporto 13 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 fornito dal dr. Massimo Ponti del Dipartimento di Ecologia Ambientale di Ravenna, esperto di macrobenthos e policheti. Non è stato invece possibile condurre una classificazione più precisa dei sabellidi, che richiedono un’elevata competenza per un’identificazione su base morfologica. Sono stati raffigurati rispettivamente il caratteristico prostomio dotato di radiole (Figura 3F), il pigidio (Figura 3G) ed il 5° segmento (Figura 3D). Le indagini molecolari eseguite in seguito dalla Dott.ssa Martina Merighi hanno confermato, nel caso della famiglia Spionidae, l’appartenenza al genere Polydora (syn. Boccardiella) all’interno del quale sono, con elevata probabilità presenti 6 specie distinte, evidenziabili dai valori di divergenza variabili da 1,2% a 2,6% e nella famiglia Sabellidae si sospetta la presenza di due specie distinte, ma l’assenza di sequenze disponibili non ha permesso di determinare il genere di appartenenza. L’esame istologico non ha evidenziato quadri patologici di rilievo. Tuttavia un esemplare di 4 anni proveniente dalla maricoltura presentava un ascesso a livello del muscolo del piede con una forte infiltrazione emocitaria ed un rammollimento del tessuto circostante molto simile a quelle descritte nella Blister Disease riferibile ad infezioni da Vibrio spp. Lo stesso individuo presentava nel rene una congestione emocitaria con essudato eosinofilo ed un’importante necrosi dei tubuli renali con sospetta presenza di batteri. In alcuni esemplari selvatici erano presenti aree di degenerazione delle fibre muscolare e del tessuto connettivo, senza infiltrazione emocitaria, ma con la sospetta presenza di cocchi. Nel tessuto muscolare e nel mantello di alcuni individui provenienti da maricoltura e policoltura erano presenti zone otticamente vuote, non ben delimitate, all’interno delle quali si osservano colonie miste di batteri filamentosi e bacilli. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI Dal nostro studio risulta che la prevalenza di infestazione da policheti è estremamente elevata (fino al 100%) negli individui di più di tre anni d’età. Gli esemplari con conchiglia inferiore ai 43 mm non sembrano essere colpiti dalla parassitosi. Lo studio effettuato sulle cinque generazioni della maricoltura ha stabilito una relazione positiva tra età degli abaloni ed intensità d’infestazione, come è già stato osservato in H. rubra (McDiarmid et al., 2004) e in H. tuberculata (Clavier, 1992). Il risultato osservato nella generazione 2005, ovvero un’intensità d’infestazione media inferiore rispetto al 2006 potrebbe essere spiegato dal fatto che questo lotto rappresenta le rimanenze di vendita, ovvero gli individui con crescita lenta che presentavano in media una dimensione della conchiglia inferiore a gli individui del 2006. Osservazioni dirette delle lesioni e radioscopie hanno evidenziato come la colonizzazione della conchiglia inizi dalle zone più spesse (apice e columella) per poi diffondersi a tutta la superficie in caso di forte infestazione. Questo porta a presupporre che sia necessario un certo spessore della conchiglia per fornire un habitat idoneo al polichete. Le conchiglie che presentano una struttura intrinseca irregolare sembrano essere maggiormente colpite. In casi di forte infestazione è da supporre che la crescita sia rallentata nel tentativo di riparare le lesioni. 14 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 A B C F D E G Figura 3 - A) prostomio di Spionidae; B) pigidio di Spionidae; C) uncini del 5° segmento di Spionidae; D) uncini e chete del 5° segmento di Sabellidae; E) prostomio di Sabellidae con radioli; F) esemplare in toto di Sabellidae; G) pigidio di Sabellidae. Figure 3 – A) prostomium of Spionidae; B) pygidium of Spionidae; C) hooks of 5° segment from Spionidae; D) hooks and chaetes of 5° segment from Sabellidae; E) prostomium of Sabellidae with radioli; F) Sabellid specimen in toto; G) pygidium of Sabellidae. 15 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 Le radiografie hanno inoltre permesso di osservare come il porifero Cliona sp. non sia un problema da sottovalutare. Nonostante le lesioni siano poco visibili dall’esterno, il porifero perforante si sviluppa nello spessore della conchiglia, rendendola fragile. Si nota inoltre come gli abaloni colpiti da Cliona sp. o ricoperti da cirripedi presentino infestazioni da policheti molto più blande, fatto che potrebbe essere spiegabile da meccanismi di competizione per lo spazio. I risultati ottenuti hanno dimostrato come la tipologia di allevamento influenzi fortemente l’intensità d’infestazione da policheti perforanti: molto bassa nel caso degli allevamenti a terra, dove l’acqua è filtrata ed il fondo delle vasche accuratamente pulito, maggiore in maricoltura, ma con valori più elevati in policoltura, compromettendo la crescita degli abaloni. Le sacche della policoltura, formate da una rete a maglie strette, si riempiono velocemente di detriti impedendo una buona circolazione dell’acqua e sono disposte molto vicine al fondale, in una zona a bassa profondità con scarso flusso idrodinamico. In effetti, le gabbie della maricoltura permettono un migliore ricambio idrico e sono disposte in una zona di corrente dove il fondale sabbioso è privo di detriti. Dagli ultimi studi di Sato-Okoshi et al. (2008) risulta che quando il giovane polichete esce nell’ambiente esterno possiede già i due palpi alimentari e cinque segmenti. Sembra capace di nuotare solo per un breve periodo e si fissa quindi al supporto più vicino che incontra. Considerando questo comportamento, sembra ovvio che un riciclo dell’acqua limitato, un basso profilo idrodinamico, la vicinanza del fondale e l’accumulo di sedimenti e materiale organico possano favorire la parassitosi da policheti. Non si sa molto invece della riproduzione e del ciclo larvale dei sabellidi perforanti. L’identificazione tassonomica dei policheti campionati su base morfologica risulta in linea con lavori precedenti (Clavier, 1992), che hanno descritto nell’abalone spionidi appartenenti al genere Polydora/Boccardia. Durante la nostra indagine sono stati rinvenuti inoltre alcuni sabellidi perforanti. Nessun appartenente a questa famiglia era stato fino ad ora descritto in abaloni nel continente europeo e gli esemplari rinvenuti appaiono morfologicamente diversi dalle specie descritte in H. discus hannai (Aviles et al., 2007) ed in H. rufescens (Moore, 2007). La prevalenza e l’intensità di infestazione dei policheti sabellidi si sono attestati intorno a valori molto bassi, ma da un punto di vista sanitario questa problematica è da tenere in debita considerazione in quanto la presenza di un singolo individuo può provocare lesioni molto più importanti rispetto a quelle causate dagli spionidi anche perché gli individui possono raggiungere, secondo osservazioni effettuate su un soggetto selvatico, dimensioni ragguardevoli (>4 cm). L’assenza di sabellidi nelle ostriche campionate fa presupporre che la parassitosi osservata negli abaloni in policoltura non sia correlabile alla convivenza con le ostriche, ma bensì alla tecnica e/o al sito di allevamento. Poiché le tecniche di allevamento a terra sembrano influenzare negativamente le proprietà organolettiche dell’abalone, la maricoltura in gabbia potrebbe rappresentare un idoneo sistema di produzione alternativo, ma in tal caso i problemi sanitari causati dai policheti perforanti andranno tenuti in opportuna considerazione. 16 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 5-18 RINGRAZIAMENTI L’indagine è stata effettuata grazie alla collaborazione della società France Haliotis ed è stata inserita all’interno del progetto SUDEVAB. Si ringraziano il Prof. Francesco Quaglio dell’Università di Padova, il Prof. Fabio Marino dell’Università di Messina e l’ex-Dipartimento Clinico Veterinario della Facoltà di Medicina Veterinaria di Ozzano Emilia (BO). Si ringrazia inoltre il dr. Massimo Ponti del Dipartimento di Ecologia Ambientale di Ravenna per il supporto offerto nell’identificazione dei policheti. BIBLIOGRAFIA Aviles F., Rozbaczylo N., Herve M. & Godoy M. (2007). First report of polychaetes from the genus Oriopsis (Polychaeta: Sabellidae) associated with the Japanese abalone Haliotis discus hannai and other native molluscs in Chile. J. Shellfish Res., 26, 3: 863-867. Balsiero P., Aranguren R., Gestal C., Novoa B. & Figueras A. (2006). Candidatus Xenohaliotis californiensis and Haplosporidium montforti associated with mortalities of abalone H. tuberculata cultured in Europe. Aquaculture, 258: 63-72. Bush A.O., Lafferty K.D., Lotz J.M. & Shostak A.W. (1997). Parasitology meets ecology on its own terms: Margolis et al. revisited. J. Parasitol., 83: 575-583. Clavier J. (1992). Infestation of Haliotis tuberculata shells by Cliona celata and Polydora species. In: Shepherd S.A., Tegner M.J., Guzman del Proo S.A. (Eds), Abalone of the world: biology, fisheries and culture, Proceedings of the 1st International Symposium on Abalone. Fishing News Books, Cambridge, MA, La Paz, Baja California Sur, Mexico, September 21-25 1989: 16-20. Fleury C., Marin F., Marie B., Luquet G., Thomas J., Josse C., Serpentini A. & Lebel J.M. (2008). Shell repair process in the green ormer H. tuberculata: a histological and microstructural study. Tissue and Cell, 40, 3: 207-218. Ford S.E., Xu Z. & Debrosse G. (2001). Use of particle filtration and UV irradiation to prevent infection by Haplosporidium nelsoni and Perkinsus marinus in hatchery-reared larval and juvenile oysters. Aquaculture, 94: 37-49. Marino F., Bambir S., Lanteri G., Rapisarda G. & Macrì B. (2005). Contributo alla conoscenza di alcune patologie dell’abalone in allevamento sperimentale. Ittiopatologia, 3: 217-222. McBride S. & Conte F.S. (2001). California abalone aquaculture. Bulletin of University of California, Davis. Department of Animal Science, 6: 96-104. McDiarmid H., Day R. & Wilson R. (2004). The ecology of polychaetes that infest abalone shells in Victoria, Australia. J. Shellfish Res., 23, 4: 1179-1188. Moore J.D., Robbins J.C.I., Grosholz T.T. & Edwin D. 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Tesi 1a classificata al Premio “SIPI 2011” 18 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Aggiornamento sulla diffusione della plerocercosi da Diphyllobothrium latum in pesci lacustri dell’Italia settentrionale e rischi per il consumatore Update on diffusion of Diphyllobothrium latum plerocercosis in lake fish from Northern Italy and risks for the consumer Stefania Bianchini 1, Andrea Gustinelli 2, Monica Caffara 2, Marino Prearo 3, Maria Letizia Fioravanti 2* 1 Corso di Laurea Magistrale in Sicurezza e Qualità dei Prodotti di Origine Animale, Facoltà di Medicina Veterinaria; 2 Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Ozzano Emilia (BO); 3 Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Torino. ______________________________ RIASSUNTO - Nei distretti lacustri sub-alpini svizzeri, francesi ed italiani si è assistito di recente ad una recrudescenza delle zoonosi parassitarie legate al consumo di prodotti ittici d’acqua dolce crudi o poco cotti, come ad esempio la Difillobotriasi sostenuta dal cestode Diphyllobothrium latum. Scopo di questa ricerca è stato quello di definire l’attuale diffusione della plerocercosi nelle specie ittiche dei laghi di Como, Iseo e Garda, al fine di ottenere un aggiornamento epidemiologico e colmare la carenza di dati in merito alla diffusione di questa zoonosi nei bacini lacustri in esame. In particolare si è prestata particolare attenzione alla specie Perca fluviatilis, in quanto principale ospite intermedio d’elezione per D. latum in Italia. Inoltre sono stati presi in considerazione alcuni esemplari di specie ittiche considerate ospiti paratenici, quali luccio e bottatrice e pesci appartenenti a specie potenzialmente coinvolte nel ciclo biologico del parassita (i.e. coregone) e/o di notevole importanza commerciale nelle realtà lacustri prese in esame (i.e. agone). In totale sono stati esaminati 514 soggetti, 203 provenienti dal lago di Como, 141 dal lago di Iseo, 170 dal lago di Garda. I risultati di questa indagine parassitologica hanno permesso di individuare la presenza di larve plerocercoidi di D. latum rispettivamente nel 30,8% e nel 15,7% dei persici prelevati nel lago di Como e d’Iseo, mentre quelli del lago di Garda sono risultati negativi. La presenza del parassita è stata inoltre evidenziata nel 66,6% dei lucci e nel 38,5% delle bottatrici provenienti dal lago di Como, mentre tutte le altre specie sono risultate negative. Tali risultati indicano quindi una diffusa presenza della plerocercosi da D. latum nelle popolazioni ittiche del lago di Como e, in misura minore, nei persici del lago d’Iseo, evidenziando la necessità di applicare idonee procedure di profilassi e controllo per evitare la trasmissione del parassita all’uomo in seguito al consumo di questi prodotti ittici sotto forma di preparazioni culinarie non idonee a garantire l’inattivazione delle larve plerocercoidi. SUMMARY - A resurgence of parasitic zoonoses associated with the consumption of raw or undercooked freshwater fish, such as the Diphyllobothriasis due to the cestode Diphyllobothrium latum, has recently been observed in Swiss, French and Italian sub-alpine lake districts. The purpose of this research was to define the current diffusion of D. latum plerocercosis in fish populations from Como, Iseo and Garda lakes in order to update and complete the epidemiological data on this zoonotic parasitosis in these lacustrine environments. Main attention was given to the species Perca fluviatilis, considered the second intermediate host of choice for D. latum in Italy. Pike (Esox lucius) and burbot (Lota lota) were also taken into consideration as paratenic hosts, and whitefish (Coregonus spp.) and shad (Alosa fallax lacustris) were also examined as commercially important fish species potentially involved in the biological cycle of the parasite. A total of 514 subjects were examined, 203 from Como Lake, 141 from Iseo Lake and 170 from Garda Lake. The results of this parasitological survey have allowed us to identify the presence of D. latum plerocercoid larvae in 30.8% and 15.7% of perch sampled in Como Lake and Iseo Lake respectively, while the perch from Garda Lake were negative. The presence of the parasite was also highlighted in 66.6% of the pike and in 38.5% of burbot from Como Lake, while all the other species were negative. The results of this survey, therefore, showed a widespread presence of D. latum plerocercoid larvae in fish populations of Como Lake and, to a lesser extent, in perch from Iseo Lake, pointing out the need to apply appropriate hygienic procedures and control plans aimed at preventing the transmission of the parasite to humans by consumption of these fish as culinary preparations not suitable to guarantee the inactivation of plerocercoid larvae. Key words: Diphyllobothrium latum; Plerocercoid larvae; Italian sub-alpine Lakes; Northern Italy. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Via Tolara di sopra, 50 - Ozzano Emilia (BO); Tel.: 051-2097068; Fax: 051-2097039; E-mail: [email protected]. 19 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 INTRODUZIONE Le zoonosi parassitarie di origine ittica in generale e quelle legate agli ambienti dulciacquicoli in particolare, sono state associate nel passato a paesi economicamente sottosviluppati o in via di sviluppo, ma recentemente l’espansione del mercato globale, il miglioramento delle vie di trasporto commerciali e l’aumento dei flussi migratori ha ampliato enormemente i limiti geografici delle aree a rischio (Chai et al., 2005). Questi fattori, associati ad altri quali i recenti cambiamenti delle abitudini alimentari, la gestione degli animali acquatici e dei prodotti derivati, le scarse condizioni igienico-sanitarie o la carente educazione sanitaria applicata all’alimentazione, hanno portato la comunità internazionale a valutare attentamente l’impatto sanitario e socio-economico di queste problematiche, particolarmente evidente in Asia (Orlandi et al., 2002; WHO, 1995; 2004), ma progressivamente sempre più importante a livello globale. Nei paesi occidentalizzati, dove l’interesse del mondo medico e scientifico si era concentrato negli ultimi anni soprattutto su problematiche sanitarie derivanti da parassitosi di pesci marini, quali ad esempio l’anisakiasi, l’attenzione si sta allargando ad alcune parassitosi di animali acquatici d’acqua dolce che possono presentare un risvolto zoonosico e risultare quindi di notevole importanza in sanità pubblica. In Italia in particolare si è assistito di recente ad una recrudescenza di zoonosi parassitarie di origine ittica legate ad ambienti dulciacquicoli che si credevano pressoché scomparse dal territorio nazionale, come ad esempio la difillobotriasi sostenuta dal cestode Diphyllobothrium latum. Questo fenomeno ha posto in evidenza come anche nel nostro paese persistano le condizioni utili al mantenimento del ciclo biologico di questo parassita. La Difillobotriasi o plerocercosi da Diphyllobothrium latum (Cestoda: Pseudophyllidea) ha rappresentato in passato nel nostro paese un’importante zoonosi di origine ittica diffusa nei distretti lacustri settentrionali riconducibile al consumo di pesci di lago, affumicati a freddo o insufficientemente cotti, parassitati dalle larve plerocercoidi del parassita. La rilevanza di questa parassitosi portò al suo inserimento nel Regolamento di Polizia Veterinaria del 1954 come malattia dei pesci soggetta a denuncia. L’applicazione di piani di controllo e profilassi, basati essenzialmente su sistemi di canalizzazione fognaria e depurazione delle acque reflue, volti ad impedire l’introduzione nelle acque libere delle uova del parassita eliminate con le feci dall’ospite definitivo (primariamente l’uomo), ha permesso di ridurre notevolmente la diffusione di questa parassitosi, senza però raggiungere una sua eradicazione dal territorio nazionale. Negli ultimi anni si è registrato un nuovo aumento dell’incidenza di casi umani di Difillobotriasi nelle aree dei laghi subalpini tra Italia, Svizzera e Francia, indicando come sussista la presenza di alcuni fattori che permettono una permanenza attiva del parassita in questi ambienti lacustri (Dupuoy-Camet & Peduzzi, 2004). Scopo di questa ricerca è stato quello di definire l’attuale diffusione della plerocercosi da D. latum nelle specie ittiche dei laghi di Como, Iseo e Garda al fine di ottenere un aggiornamento epidemiologico ed individuare i possibili rischi per il consumatore. 20 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 MATERIALI E METODI Nel periodo compreso tra settembre 2010 e febbraio 2011 sono state condotte indagini parassitologiche volte alla ricerca di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum in specie ittiche dei laghi sub-alpini di Como, Iseo e Garda (Figura 1). Oliveto Lario Lago di Como Lago di Iseo Costa Volpino (BG) Lago di Garda Garda (VR) Figura 1 - Sistemi lacustri sottoposti a campionamento (in rosso le località di campionamento). Figure 1 - Lakes under study (sampling sites in red). Si è prestata particolare attenzione alla specie Perca fluviatilis, in quanto storicamente più coinvolta nel determinismo di casi umani in qualità di secondo ospite intermedio d’elezione per D. latum in Italia. Inoltre sono stati presi in considerazione alcuni esemplari di specie ittiche comunemente considerate ospiti paratenici o di trasporto, quali luccio (Esox lucius) e bottatrice (Lota lota) e pesci appartenenti a specie potenzialmente coinvolte nel ciclo biologico del parassita (coregone – Coregonus spp. – e persico sole – Lepomis gibbosus) e/o di notevole importanza commerciale nelle realtà lacustri prese in esame (agone – Alosa fallax lacustris). In totale sono stati esaminati 514 soggetti, 203 dal lago di Como, 141 dal lago di Iseo, 170 dal lago di Garda, come riportato nel dettaglio in Tabella 1. I campioni venivano prelevati presso pescatori professionali al momento dello sbarco e subito trasportati in laboratorio all’interno di contenitori refrigerati. In laboratorio ogni pesce veniva pesato, misurato e sottoposto ad esame parassitologico completo secondo procedure standard. Per la ricerca delle larve plerocercoidi di D. latum si procedeva ad 21 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 attento esame visivo della cavità addominale e delle masse muscolari, che venivano sfilettate ed esaminate direttamente o mediante transilluminatore. Specie Ittica Persico reale (Perca fluviatilis) Luccio (Esox lucius) Bottatrice (Lota lota) Coregone (Coregonus spp.) Agone (Alosa fallax lacustris) Persico sole (Lepomis gibbosus) Totale Lago di Como 120 9 13 18 18 25 203 Lago di Iseo 121 20 141 Lago di Garda 154 4 2 10 170 Totale 395 13 15 28 38 25 514 Tabella 1 – Specie ittiche e numero di soggetti esaminati dai laghi di Como, Iseo e Garda. Table 1 – Fish species and number of fish examined in Como, Iseo and Garda Lakes. I parassiti rinvenuti venivano isolati dai tessuti dell’ospite mediante aghi da dissezione, contati e quindi fissati in alcool 70° per la successiva identificazione. Tutte le osservazioni venivano annotate su una scheda appositamente preparata, registrando la sede di rinvenimento di ogni larva (muscolo destro, muscolo sinistro, cavità viscerale). I valori di prevalenza ed intensità d’infestazione sono stati calcolati in base a quanto riportato da Bush et al. (1997). L’identificazione di specie delle larve plerocercoidi su base morfologica è stata condotta utilizzando la chiave d’identificazione proposta da Andersen & Gibson (1989), in quanto unico strumento tassonomico valido per l’identificazione delle larve plerocercoidi delle specie europee dulciacquicole del genere Diphyllobothrium. RISULTATI I risultati di questa indagine parassitologica hanno permesso di individuare la presenza di larve plerocercoidi di cestodi Pseudophyllidea rispettivamente nel 30,8% e nel 15,7% dei persici prelevati nel lago di Como e d’Iseo, soprattutto in sede muscolare (Figura 2), mentre quelli del lago di Garda sono risultati negativi. La presenza del parassita è stata inoltre evidenziata nel 66,6% dei lucci e nel 38,3% delle bottatrici, prevalentemente a livello delle sierose viscerali (Figura 3), provenienti dal lago di Como, mentre tutte le altre specie sono risultate negative. Tutte le larve plerocercoidi reperite sono state identificate su base morfologica come Diphyllobothrium latum. 22 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 Figura 2 – Larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum (freccia) localizzate in diversi settori del muscolo laterale di pesce persico (Perca fluviatilis). Figure 2 – Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae (arrow) localized in different sectors of lateral muscle in European perch (Perca fluviatilis). Figura 3 – Larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum (freccia) localizzate a livello di sierosa peritoneale (a sinistra) e fegato (a destra) di un luccio (Esox lucius). Figure 3 – Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae (arrow) localized on peritoneum (left) and liver (right) in pike (Esox lucius). In Tabella 2 vengono riportati i risultati degli esami parassitologici condotti per la ricerca di larve plerocercoidi di D. latum nei pesci campionati presso il lago di Como, con i relativi valori di prevalenza ed intensità d’infestazione. 23 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 Lago di Como Specie ittica Perca fluviatilis Esox lucius Lota lota Coregonus spp. Alosa fallax lacustris Lepomis gibbosus Totale N° esaminati N° positivi Prevalenza (%) 120 9 13 18 18 25 203 37 6 5 0 0 0 48 30,8 66,6 38,5 23,6 Intensità d’infestazione Min. Mass. Media 1 4 2 2 53 13,3 1 43 9,4 - Tabella 2 – Valori di prevalenza ed intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum nelle specie ittiche del lago di Como. Table 2 – Prevalence and intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in fish species from Como Lake. Nella tabella seguente (Tabella 3) viene riportato il numero di larve plerocercoidi di D. latum reperite nel muscolo laterale sinistro, nel muscolo laterale destro e nella cavità viscerale, con indicazione dei valori di intensità media e range (minimomassimo) rilevati per ogni specie ittica risultata positiva per D. latum. Lago di Como N° di larve plerocercoidi Intensità d’infestazione Specie ittica N° positivi msx mdx cv Tot. Min. Mass. Media Perca fluviatilis 37 36 26 13 75 1 4 2,1 Esox lucius 6 3 10 67 80 2 53 13,3 Lota lota 5 0 1 46 47 1 43 9,4 Tabella 3 – Valori di intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum e loro localizzazione in specie ittiche del lago di Como (mdx=muscolo laterale destro; msx=muscolo laterale sinistro; cv=cavità viscerale). Table 3 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae with reference to localization in fish species from Como Lake (mdx=right lateral muscle; msx=left lateral muscle; cv=visceral cavity). Nelle tabelle sottostanti vengono riportati i valori di intensità d’infestazione media e range (minimo-massimo) a livello di muscolo sinistro, muscolo destro e cavità viscerale. 24 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 Lago di Como Intensità d’infestazione muscolo sx Specie ittica N° esaminati N° positivi Min. Mass. Media Perca fluviatilis 120 18 1 3 1,44 Esox lucius 9 1 3 3 3 Lota lota 13 0 0 0 Tabella 4 – Valori di intensità d’infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dal muscolo sinistro di specie ittiche del lago di Como. Table 4 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from in fish species from left lateral muscle in fish species from Como Lake. Lago di Como Intensità d’infestazione muscolo dx Specie ittica N° esaminati N° positivi Min. Mass. Media Perca fluviatilis 120 23 1 4 1,52 Esox lucius 9 2 2 8 5 Lota lota 13 1 1 1 1 Tabella 5 – Valori di intensità d'infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dal muscolo destro di specie ittiche del lago di Como. Table 5 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from right lateral muscle in fish species from Como Lake. Lago di Como Specie ittica Perca fluviatilis Esox lucius Lota lota N° esaminati N° positivi 120 9 13 8 6 4 Intensità d’infestazione visceri Min. Mass. Media 1 3 1,62 1 42 11,16 1 43 11,5 Tabella 6 – Valori di intensità d'infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dalla cavità viscerale di specie ittiche del lago di Como. Table 6 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from visceral cavity in fish species from Como Lake. Nella Figura 4 vengono schematizzati i valori di intensità media delle larve plerocercoidi di D. latum nei pesci persico del lago di Como in base alla loro localizzazione. 25 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 CV Figura 4 – Rappresentazione grafica dei valori di intensità media delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum nei pesci persico del lago di Como in base alla localizzazione. Figure 4 – Scheme of intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in European perch from Como Lake with regard to localization. Per quanto riguarda il Lago d’Iseo, di seguito vengono riportati in Tabella 7 i valori di prevalenza ed intensità d’infestazione delle larve plerocercoidi di D. latum riscontrati nei pesci esaminati. Lago di Iseo Specie ittica Perca fluviatilis Alosa fallax lacustris N° esaminati N° positivi Prevalenza (%) 121 20 19 0 15,7 - Intensità d’infestazione Min. Mass. Media 1 3 1,57 - Tabella 7 – Valori di prevalenza ed intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum nelle specie ittiche del lago di Iseo. Table 7 – Prevalence and intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in fish species from Iseo Lake. 26 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 Nella tabella sottostante (Tabella 8) vengono indicati il numero di larve plerocercoidi isolate dal muscolo laterale sinistro e dal muscolo laterale destro dei persici positivi provenienti dal lago d’Iseo, con indicazione dei valori di intensità media e range (minimo-massimo). Lago di Iseo N° di larve plerocercoidi Intensità d’infestazione Specie ittica N° positivi mdx msx cv Min. Mass. Media Perca fluviatilis 19 14 16 0 1 3 1,57 Tabella 8 - Valori di intensità d'infestazione di larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum e loro localizzazione in specie ittiche del lago di Iseo (mdx=muscolo laterale destro; msx=muscolo laterale sinistro; cv=cavità viscerale). Table 8 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae with reference to localization in fish species from Iseo Lake (mdx=right lateral muscle; msx=left lateral muscle; cv=visceral cavity). In tabella 9 vengono riportati i valori di intensità d’infestazione di larve plerocercoidi di D. latum a livello di muscolo laterale sinistro e muscolo laterale destro. Specie ittica N° positivi Perca fluviatilis 19 Lago di Iseo Intensità d’infestazione muscolo sx Min Max Media 1 3 1,6 Intensità d’infestazione muscolo dx Min. Mass. Media 1 3 1,55 Tabella 9 – Valori di intensità d'infestazione delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum isolate dal muscolo laterale sinistro e destro in pesci persico del lago di Iseo. Table 9 – Infection intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae isolated from left and right lateral muscle of European perch from Iseo Lake. Nella Figura 5 vengono schematizzati i valori di intensità media delle larve plerocercoidi di D. latum nei pesci persico del lago di Iseo in base alla loro localizzazione. 27 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 Figura 5 – Rappresentazione grafica dei valori di intensità media delle larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum nei pesci persico del lago di Iseo in base alla localizzazione. Figure 5 – Scheme of intensity values of Diphyllobothrium latum plerocercoid larvae in European perch from Iseo Lake with regard to localization. Per quanto riguarda il Lago di Garda, nettamente contrastanti sono stati i risultati derivanti dalle analisi effettuate rispetto ai campioni provenienti dai Laghi di Como e Iseo: tutti i 170 pesci esaminati, 154 persici, 4 lucci, 2 bottatrici e 10 coregoni sono risultati negativi all’esame parassitologico per larve plerocercoidi di D. latum. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI I risultati di questa indagine parassitologica hanno permesso di individuare la presenza di larve plerocercoidi di D. latum rispettivamente nel 30,8% e nel 15,7% dei persici provenienti dal lago di Como e d’Iseo, mentre quelli del lago di Garda sono risultati negativi. Andando a comparare i valori di positività per larve plerocercoidi di D. latum rilevati nel pesce persico nel corso delle indagini effettuate in passato con quelli ottenuti nel corso di questa ricerca va sottolineato innanzitutto come negli ultimi decenni si siano svolte numerose attività di monitoraggio volte a definire la diffusione della plerocercosi ittica da D. latum nel Lago di Como, mentre risultano essere molto scarsi i dati relativi agli altri due bacini lacustri presi in considerazione in questa indagine. Le uniche indagini condotte su pesci persico del lago di Garda e d’Iseo risalgono infatti ai primi anni ‘70 (Borroni & Grimaldi, 1973), ad eccezione di un esiguo numero di persici (37) del lago d’Iseo analizzati nel 2005 da Gustinelli (2008) e risultati negativi per la presenza di D. latum, come riportato in Tabella 10. 28 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 I valori di intensità d’infestazione media, di poco superiori a 1,5, sono risultati lievemente superiori rispetto a quelli riportati da Borroni & Grimaldi (1974) in pesci persico del lago Maggiore. Riferimenti bibliografici Parona (1887) Scolari (1955) Borroni & Grimaldi (1973) Gustinelli (2008) Wicht et al. (2009) Presente ricerca (2010-11) Prevalenza media (%) Lago di Lago Lago di Como d’Iseo Garda 10,9 0 25 0 0 16 25 0,4 29,8 0 30 30,8 15,7 0 Tabella 10 – Dati sulla prevalenza della plerocercosi da Diphyllobothrium latum in persici provenienti dai laghi di Como, Iseo e Garda (1887-2010). Tab Table 10 – Data on prevalence of Diphyllobothrium latum plerocercosis in European perch from Como, Iseo and Garda Lakes (1887-2010). La presenza del parassita è stata inoltre evidenziata nel 66,6% dei lucci e nel 38,5% delle bottatrici provenienti dal lago di Como, mentre tutte le altre specie sono risultate negative. Appare interessante il reperto di larve plerocercoidi di D. latum a livello muscolare anche in due lucci ed in una bottatrice, specie ittiche in cui in genere il parassita si localizza in sede viscerale. I risultati delle indagini oggetto della presente tesi indicano quindi una diffusa presenza della plerocercosi da D. latum nelle popolazioni ittiche del lago di Como e, in misura minore, nei persici del lago d’Iseo, evidenziando la necessità di applicare idonee procedure di profilassi e controllo per evitare la trasmissione del parassita all’uomo in seguito al consumo di questi prodotti ittici sotto forma di preparazioni culinarie non idonee a garantire l’inattivazione delle larve plerocercoidi. Uno dei punti critici che in letteratura è considerato determinante nel condizionare il mantenimento di uno stato di endemia della parassitosi è sicuramente il mancato controllo degli scarichi fognari afferenti al lago o ai fiumi immissari per mezzo di depuratori funzionanti. Ne è esempio paradigmatico la Finlandia, che fino agli anni ’50 presentava un’incidenza della difillobotriasi umana superiore al 20% dell’intera popolazione, con valori del 100% nelle popolazioni residenti nelle zone orientali, e che attraverso la sistematica canalizzazione degli scarichi urbani ed il trattamento dei reflui fognari raggiunse dopo vent’anni rispettivamente valori del 2 e del 10% nelle suddette popolazioni (Dick et al., 2001). 29 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 Attualmente in questo paese, così come in Svezia, vengono riportati circa 20 casi di difillobotriasi umana per anno (Lavikainen, 2010). In Italia la difillobotriasi da Diphyllobothrium latum è stata ritenuta in passato la zoonosi parassitaria di origine ittica di maggiore importanza sul territorio nazionale, tanto da essere inserita nel Regolamento di Polizia Veterinaria del 1954 quale malattia dei pesci soggetta a denuncia. Dopo alcuni decenni di segnalazioni sporadiche, nell’ultimo decennio si è assistito, in alcuni distretti lacustri sub-alpini di Italia (Lago Maggiore, Iseo e Como), Svizzera e Francia, ad una recrudescenza delle infestazioni umane (Schiavo, 1997) con un numero di casi sicuramente sottostimato a causa dell’aspecificità dei sintomi (Dupuoy-Camet & Peduzzi, 2004). Nonostante l’applicazione di piani di controllo e profilassi, basati essenzialmente su sistemi di canalizzazione e depurazione degli scarichi fognari volti ad impedire l’introduzione nelle acque libere delle uova del parassita eliminate con le feci dall’ospite definitivo, abbia permesso di ridurre la diffusione di questa parassitosi, non si è mai giunti ad una sua completa eradicazione dal territorio nazionale, come dimostrato dai casi umani individuati nei distretti del lago di Como e d’Iseo negli ultimi anni (Vaiani et al., 2006). D’altronde i dati raccolti da Legambiente nel 2010 (www.legambiente.it) indicherebbero proprio in questi bacini lacustri gravi carenze negli impianti di canalizzazione e depurazione fognaria, con condizioni di elevato inquinamento microbiologico. Poiché la trasmissione della parassitosi dal pesce all’uomo è sempre legata alla via alimentare ed in particolare al consumo di prodotti ittici crudi o poco cotti, si può inoltre affermare che, oltre all’effettuazione di idonei esami ispettivi sui pesci, l’educazione sanitaria applicata alle consuetudini alimentari riveste un ruolo molto importante nella prevenzione di questa zoonosi parassitaria di origine ittica. A tal proposito va evidenziato come, anche se l’introduzione di pratiche culinarie esotiche abbia favorito notevolmente in questi ultimi anni il consumo di pesce crudo, in Italia alcuni prodotti tipici locali siano rappresentati da preparazioni a crudo a base di pesce lacustre come ad esempio il carpaccio di pesce persico e di lavarello. Per quanto concerne il pesce persico proveniente dalle aree a rischio sarebbero quindi da evitare tutte quelle pratiche che prevedono il consumo di pesce crudo, poco cotto, marinato o affumicato a freddo, tenendo presente che le larve plerocercoidi sono rapidamente devitalizzate a temperature >56°C (cinque minuti) e a -10°C (8-72 ore a seconda dello spessore del filetto) (Morishita et al., 1973; Peduzzi & BoucherRondoni, 2001). In conclusione, alla luce dei nostri risultati e di quanto riportato dalla European Food Safety Authority (EFSA) nella “Scientific Opinion on risk assessment of parasites in fishery products” del 2010, dove si ribadisce come tutte le specie ittiche selvatiche debbano essere considerate potenzialmente a rischio di trasmissione di parassiti zoonotici soprattutto se i prodotti da esse derivati vengono consumati crudi o praticamente crudi, appare necessario ampliare le indagini epidemiologiche sulla presenza/diffusione di parassiti ittici zoonotici in tutti gli areali di pesca dulciacquicoli, al fine di approfondire le conoscenze sull’epidemiologia di D. latum nelle popolazioni ittiche lacustri nazionali ed i fattori che ne permettono la permanenza e la trasmissione all’uomo. 30 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 19-32 RINGRAZIAMENTI Le attività di ricerca di questa tesi sono state condotte nell’ambito del progetto PRIN08 “Elminti di interesse zoonosico in specie ittiche dulciacquicole nazionali” finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. BIBLIOGRAFIA Andersen K.I. & Gibson D.I. (1989). A key to three species of larval Diphyllobothrium Cobbold, 1858 (Cestoda Pseudophyllidea) occurring in European and North America freshwater fish. System. Parasitol., 13: 3. Borroni I. & Grimaldi E. (1973). Frequenza dell’infestione muscolare da larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum (Cestoda Pseudophyllidea) nel pesce persico (Perca fluviatilis) dei laghi italiani (anni 1968-1970). Riv. Parassitologia, 34, 1: 45-54. Borroni I. & Grimaldi E. (1974). Ecologia dell’infestione da larve plerocercoidi di Diphyllobothrium latum (Cestoda Pseudophyllidea) a carico delle specie ittiche del lago Maggiore. Riv. Parassitologia, 35, 4: 129-144. Bush A.O., Lafferty K.D., Lotz J.M. & Shostak A.W. (1997). Parasitology meets ecology on its own terms: Margolis et al. revisited. J. Parasitol., 83: 575-583. Chai J.Y., Murrel K.D. & Lymbery A.J. (2005). Fish-borne parasitic zoonoses: Status and issues. Int. J. Parasitol., 35: 1233-1254. Dick T.A., Nelson P.A. & Choudhury A. (2001). Diphyllobothriasis: update on human cases, foci, patterns and sources of human infections and future considerations. Southeast Asian J. Tropical Med. Public Health, 32: 59-76. Dupuoy-Camet J. & Peduzzi R. (2004). Current situation of human Diphyllobothriasis in Europe. Biologi Italiani, 9: 15-19. EFSA Panel on Biological Hazards (BIOHAZ) (2010). Scientific Opinion on risk assessment of parasites in fishery products. EFSA Journal, 8, 4: 1543. [91 pp.]. doi:10.2903/j.efsa.2010.1543. Gustinelli A. (2008). Elminti di interesse zoonosico in specie ittiche dulciacquicole nazionali. Tesi di Dottorato di ricerca in Epidemiologia e Controllo delle Zoonosi, XX ciclo, Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Lavikainen A. (2010). Human medical view on zoonotic parasites. Acta Veterinaria Scandinavica, 52 (Suppl. 1): S4. Morishita K., Komiya Y. & Matsubayashi H. (1973). Progress of medical parasitology in Japan. Ed. 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Tesi 2a classificata al Premio “SIPI 2011” 32 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 PREMIO TESI “S.I.P.I. 2011” Effetto di diete integrate con carvacrolo sulla risposta immunitaria aspecifica e sulla resistenza a Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax) # Effect of carvacrol supplemented diets on aspecific immune response and resistance to Listonella anguillarum of European sea bass (Dicentrarchus labrax) # Dario Assante1*, Chiara Bulfon2, Donatella Volpatti2 1 Corso di Laurea triennale in Biotecnologie Medico-Veterinarie, Università degli Studi di Udine; 2 Dipartimento di Scienze degli Alimenti, Università degli Studi di Udine. ______________________________ RIASSUNTO - In acquacoltura, negli ultimi anni, è aumentato l’interesse per lo sviluppo di strategie alternative ai farmaci tradizionali per il controllo delle malattie, viste le severe disposizioni legislative che limitano l’impiego di antibiotici e altri chemioterapici spesso associato alla selezione di ceppi batterici antibiotico-resistenti e all'accumulo di residui potenzialmente pericolosi per l'ambiente e per il consumatore. In particolare l’attenzione dei ricercatori si è concentrata sull’impiego di sostanze naturali in grado di potenziare la risposta immunitaria e la resistenza alle malattie delle specie ittiche allevate. Tra queste, i fito-additivi ottenuti da piante medicinali sembrano rappresentare un’alternativa ottimale ai farmaci in quanto dotati di proprietà antibatteriche ed immunostimolanti, facilmente reperibili in commercio, poco costosi e biocompatibili. Tra le diverse biomolecole disponibili, il carvacrolo (2-metil5-(1-metil)-fenolo), componente principale (70-80%) degli oli essenziali di origano e timo (famiglia Labiatae), rappresenta un candidato interessante. Pertanto, lo scopo della tesi è stato quello di valutare l'effetto di diete integrate con basse concentrazioni di carvacrolo (0,025 e 0,05%) su risposta immunitaria aspecifica (proteine, immunoglobuline, lisozima nel siero, fagocitosi, "burst ossidativo", contenuto di mieloperossidasi e pinocitosi dei leucociti) e resistenza a Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax), specie marina importante per l'acquacoltura mediterranea, al fine di ipotizzare un suo impiego come immunostimolante e antibatterico naturale in acquacoltura. SUMMARY – Due to the strict laws limiting the use of antibiotics and other chemotherapeutic agents, which are often associated with the selection of antibiotic resistant strains and the accumulation of residues potentially dangerous to the environment and the consumer, the interest on alternative strategies for the diseases control in aquaculture is increasing. In particular the attention of researchers is focusing on the use of natural substances that can enhance the immune response and disease resistance of farmed fish species. The phyto-additives derived from medicinal plants seem to represent a promising alternative to drugs, since they display antibacterial and immunostimulant properties, are easily marketable, inexpensive and biocompatible. Among several biomolecules, carvacrol (2-methyl-5-(1-methyl)-phenol), the main component (70-80%) of the essential oils of oregano and thyme (Labiatae family), is an interesting candidate. Therefore, the aim of the present thesis was to evaluate the effect of diets supplemented with low concentrations of carvacrol (0.025% and 0.05%) on non-specific immune response (proteins, immunoglobulins, lysozyme in serum, phagocytosis, "oxidative burst", content of myeloperoxidase and pinocytosis of leukocytes) and resistance to Listonella anguillarum of European sea bass (Dicentrarchus labrax), a marine species important for the Mediterranean fish farming. This in order to propose its use as immunostimulant and/or natural antibacterial agent in aquaculture. # Sintesi della tesi: "Il carvacrolo come fitoterapico nel branzino (D. labrax): valutazione dell'attività antibatterica e immunomodulante mediante prove in vitro e in vivo". Key words: European sea bass; Dicentrarchus labrax; Phyto-additives; Carvacrol; Immune response; Disease resistance; Listonella anguillarum. _____________________________ * Corresponding Author: c/o DIAL, Università degli Studi di Udine, via Sondrio 2 - 33100 Udine. Tel.: 0432558173; Fax: 0432-558199; E-mail: [email protected]. 33 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 INTRODUZIONE L’acquacoltura mondiale ha vissuto nel corso degli anni un crescente sviluppo in termini produttivi, ma anche sotto l’aspetto qualitativo e di sicurezza del prodotto. Tuttavia, condizioni di allevamento intensivo e stress rendono i pesci altamente suscettibili alle malattie infettive, che rappresentano il problema più grave per questo settore, causando pesanti perdite economiche. L'utilizzo di disinfettanti e antibiotici nel controllo delle malattie viene oggi largamente criticato perché è spesso molto costoso, porta alla selezione di ceppi batterici antibiotico-resistenti e all'accumulo di residui pericolosi per l'ambientale e per la salute pubblica (FAO/WHO/OIE, 2006). In tale contesto, la ricerca è orientata verso l'utilizzo di prodotti naturali come alternativa ai farmaci di sintesi e come promotori della crescita. In particolare, di recente è aumentato l'interesse verso l'impiego, anche in acquacoltura, di fito-additivi ottenuti da piante medicinali (Jeney et al., 2009; Harikrishnan et al., 2011). Essi sono dotati di proprietà antimicrobiche ed immunostimolanti, sono facilmente disponibili in commercio, poco costosi e biocompatibili (Mohamad & Abasali, 2010). Tra biomolecole disponibili, il carvacrolo (2-metil-5-(1-metil)-fenolo), componente principale (70-80%) degli oli essenziali di origano e timo (famiglia Labiatae) (Burt, 2004; De Vincenzi et al., 2004), rappresenta un candidato interessante. Tale composto chimico è registrato legalmente come additivo alimentare dal Consiglio d'Europa (2000), dalla FAO/OMS (2001) e dalla U.S. Food and Drug Administration (2010). Di recente l'aggiunta nella dieta di oli essenziali di origano ricchi in carvacrolo (CRINA Poultry and Pigs) è stata proposta per migliorare le performance di crescita e la salute negli animali d'allevamento (Baser, 2008). Gli oli essenziali contenenti carvacrolo esplicano un'azione biostatica e/o biocida contro molti batteri, lieviti e funghi e di conseguenza trovano impiego come conservanti alimentari (Burt, 2004; Zhou et al., 2007). L'azione inibente del carvacrolo verso i batteri è simile a quella di altri composti fenolici e avviene tramite danneggiamento e conseguente aumento della permeabilità a protoni e ioni potassio della membrana, perdita del pool intracellulare di ATP e perturbazione del potenziale d'azione (Helander et al., 1998; Ultee et al., 2002). Inoltre, come altri composti fenolici, esso presenta una vasta gamma di attività biologiche: inibisce il rilascio di specie reattive dell'ossigeno e dell'azoto, riduce l'aggregazione piastrinica, agisce come anti-infiammatorio inibendo COX-1 e COX-2, è un agente anti-mutageno e anti-tumorale (Baser, 2008). Le informazioni riguardanti il suo ruolo come immunostimolante sono invece, piuttosto controverse. Esperimenti condotti nel suino evidenziano che il carvacrolo, somministrato per via alimentare, promuove la proliferazione di cellule CD4+, CD8+ e MHC-II+ (Walter & Bilkei, 2004), mentre altri autori hanno osservato che i leucociti circolanti di maiale sono apparentemente insensibili al trattamento con carvacrolo (Nofrarias et al., 2006; Bimczock et al., 2008). Fino ad ora la somministrazione di carvacrolo nelle specie ittiche risulta scarsamente documentata. Diete contenenti 0,05% di carvacrolo somministrate per 8 settimane in pescegatto (Ictalurus punctatus) hanno promosso la crescita dei pesci e l'attività degli enzimi plasmatici antiossidanti superossido dismutasi e catalasi, nonché la resistenza ad un challenge con Aeromonas hydrophila (Zheng et al., 2009). Tilapie alimentate per 2 settimane con una dieta integrata con carvacrolo (0,02%) hanno mostrato una minor mortalità rispetto ai controlli dopo infezione con Edwardsiella tarda 34 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 (Rattanachaikunsopon & Phumkhachorn, 2010). Questi risultati preliminari fanno pensare che il carvacrolo potrebbe essere impiegato come additivo alimentare in mangimi per pesci, allo scopo di promuoverne la crescita e la resistenza alle malattie. Tuttavia, risultano necessari ulteriori approfondimenti per comprendere il suo ruolo come antiossidante e immunostimolante nelle specie ittiche. Lo scopo della tesi è stato quello di valutare l'effetto di diete integrate con basse concentrazioni di carvacrolo (0,025 e 0,05%) su risposta immunitaria e resistenza a Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax), specie marina importante per l'acquacoltura mediterranea ed europea. MATERIALI E METODI Pesci e condizioni di allevamento Giovanili di branzino (Dicentrarchus labrax) acquistati da una avannotteria commerciale (Agroittica Toscana S.p.A., Piombino, LI) sono stati mantenuti presso l'acquario sperimentale del Dipartimento di Scienze Animali (DIAN) dell'Università degli Studi di Udine. La taglia dei soggetti all’inizio dell’esperimento era 69,2 ± 0,22 grammi. La stabulazione è avvenuta in vasche di vetroresina rettangolari (capienza 0,5 m3), alimentate con acqua di mare a ricircolo (salinità 27,6 mg/l, ossigeno 6 mg/l, temperatura media 20°C, pH 7,3). I soggetti destinati alla sperimentazione non avevano subito precedentemente nessun trattamento profilattico e/o chemioterapico. Disegno sperimentale Due gruppi di branzini (N=70) sono stati alimentati per 9 settimane con una dieta pellettata, formulata con componenti di origine biologica dalla sezione di Acquacoltura del Dipartimento di Scienze Animali (Università di Udine) ed integrata con due diverse dosi di carvacrolo (5-isopropil-2-metiletilfenolo, Sigma Aldrich, cod. 282197): 0,025% e 0,05%. Tali livelli sono stati scelti in base a precedenti esperimenti condotti in pescegatto (Zheng et al., 2009), tilapia (Rattanachaikunsopon & Phumkhachorn, 2010) e orata (Malvisi, risultati non pubblicati). Si è stimato che al termine della prova di alimentazione la quantità totale di carvacrolo ingerito dai pesci sarebbe stata comunque inferiore alla DL50 del composto nella cavia (810 mg/kg, Sigma-Aldrich safety sheet). Dopo l’integrazione le diete sono state pellettate e conservate a 4°C fino al momento della somministrazione. Un gruppo di controllo (CTR, N=70) è stato alimentato con la medesima dieta priva di carvacrolo. I branzini sono stati alimentati due volte al giorno ad libitum. Prelievo di sangue e rene anteriore I branzini sono stati sottoposti a prelievo di sangue periferico e rene anteriore dopo 1, 4 e 8 settimane dall'inizio della somministrazione. Dieci soggetti per ciascun gruppo sono stati anestetizzati con benzocaina (Sigma Aldrich, 0,03 g/l), e sottoposti a prelievo ematico dalla vena caudale. Il siero è stato ottenuto mediante coagulazione del sangue a 4°C per 4 ore e centrifugazione a 1500xg per 15 minuti. Cinque soggetti per gruppo sono stati soppressi mediante overdose di anestetico per il prelievo del rene anteriore. Ad ogni campionamento l’organo è stato prelevato in sterilità e mantenuto in soluzione 35 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 salina bilanciata di Hank (HBSS, Sigma-Aldrich) in ghiaccio fino al momento della purificazione dei leucociti. Proteine e immunoglobuline totali nel siero Il contenuto di proteine totali è stato determinato con metodo di Bradford (Bradford, 1976). Diluizioni seriali dei campioni di siero (40 μl), preparate in micropiastra da 96 pozzetti, sono state mescolate con 200 μl di reattivo Bradford (Sigma-Aldrich). É stata misurata l’assorbanza a 595 nm mediante lettura allo spettrofotometro (TECAN Sunrise). Concentrazioni note di albumina di siero bovino (BSA, Sigma) sono state utilizzate come standard. Le immunoglobuline (Ig) sono state separate dalle altre proteine sieriche mediante precipitazione con polietilenglicole (Siwicki & Anderson, 1993). Cinquanta µl di siero sono stati mescolati con un volume equivalente di PEG (Sigma-Aldrich, PM 10.000 kDa) al 12% in acqua bidistillata (ddH2O). Dopo incubazione per 2 ore a temperatura ambiente (RT), i campioni sono stati centrifugati a 5000xg per 15 minuti, al fine di precipitare le immunoglobuline complessate con Poly(ethylene glycol) (PEG). Il surnatante è stato raccolto e sottoposto a dosaggio proteico. La concentrazione delle Ig totali è stata calcolata sottraendo il contenuto di proteine del surnatante da quello delle proteine totali dei campioni. Attività del lisozima nel siero L'attività del lisozima nel siero è stato misurata utilizzando un metodo turbidimetrico descritto da Parry et al. (1965), basato sulla lisi del batterio sensibile, Gram+, Micrococcus lysodeikticus. Il batterio liofilizzato (Sigma) è stato risospeso (0,2 mg/ml) in tampone sodio fosfato 0,067 M (Sigma-Aldrich) pH 6,3 e 200 μl della sospensione sono stati mescolati in micropiastra con 10 μl di siero. Pozzetti senza batterio sono stati usati come controllo negativo mentre diluizioni crescenti di lisozima sono state utilizzate per la curva standard. La riduzione di assorbanza (torbidità) a 540 nm è stata misurata con lettore TECAN Sunrise ad intervalli di 10 minuti durante l'incubazione di 1 ora a RT. Una diminuzione di assorbanza di 0,001/min corrisponde ad una Unità di attività di lisozima/ml. Purificazione di leucociti da rene anteriore La purificazione dei leucociti da rene anteriore è stata effettuata secondo la metodica descritta da Galeotti et al. (1996). Tutte le fasi sono state eseguite mantenendo i campioni di tessuto o di cellule in ghiaccio e in Hanks' Balanced Salt solution (HBSS) opportunamente addizionato di NaCl per renderlo isosmotico per il branzino (360 mOsm/kg). Dopo pressatura del rene in HBSS, il surnatante è stato raccolto in provetta conica e lasciato sedimentare in ghiaccio per 10 minuti, al fine di eliminare i frammenti grossolani. La sospensione è stata centrifugata a 200xg per 10 minuti a 4°C e le cellule, raccolte e risospese in HBSS, sono state stratificate su gradiente di Histopaque (Sigma) a densità 1119 e 1077. I leucociti sono stati separati mediante centrifugazione a 480xg per 25 minuti a 4°C, contati mediante camera di Thoma e risospesi in HBSS alla concentrazione di 1x107 cellule/ml. Attività di fagocitosi 36 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 L’attività di fagocitosi dei leucociti è stata determinata spettrofotometricamente seguendo la metodica elaborata da Seeley et al. (1990) ed opportunamente modificata. Duecentocinquanta µl di sospensione leucocitaria (1x107 cellule/ml in HBSS) sono stati mescolati con 500 µl di lievito Saccaromyces cerevisiae colorato con rosso Congo (2 x108 cellule/ml in HBSS) e incubati a RT per 1 ora e 30 minuti. Quindi è stato aggiunto 1 ml di HBSS ghiacciato e 1 ml di Histopaque® 1119 è stato iniettato con pipette Pasteur sul fondo della provetta. I campioni sono stati centrifugati a 800xg per 5 minuti per separare i leucociti dal lievito non fagocitato. I leucociti sono stati lavati con HBSS e incubati overnight a 37°C con 200 μl di Tripsina EDTA 10x (Sigma-Aldrich). L’assorbanza di ciascun campione è stata misurata allo spettrofotometro (Tecan Sunrise) a 510 nm, usando Tripsina-EDTA 10x come bianco. Attività di burst ossidativo La produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) è stata misurata mediante saggio di chemiluminescenza in micropiastra con luminolo (5-ammino-1,2,3,4tetraidroftalazin-1,4-dione 37%, Sigma), utilizzando il forbolo 12-miristato 13-acetato (PMA, Sigma) come sostanza stimolante. La metodica adottata è stata ricavata da Coteur et al. (2002) e parzialmente modificata. In micropiastra da 96 pozzetti con fondo nero (NUNC) sono stati mescolati 100 μl di PMA (20 μg/ml) in HBSS, 50 μl/pozzetto di luminolo 2 mM in HBSS e 50 μl/pozzetto di leucociti alla concentrazione di 1x107 cellule/ml. Ogni campione è stato valutato in duplicato in presenza e in assenza di PMA. La luminescenza sviluppata è stata misurata durante 60 minuti di incubazione ad intervalli di 5 minuti, alla temperatura costante di 25°C (integration time = 0,5 sec; photomultiplier gain = 180, Tecan). Ogni lettura eseguita sui leucociti stimolati con PMA è stata decurtata della lettura corrispondente, relativa allo stesso campione di cellule non stimolate. La produzione di ROS è stata valutata in termini di risposta cumulativa (RLU/107 cellule/ml), intesa come somma delle singole letture effettuate nel corso dei 60 minuti di incubazione. Contenuto di perossidasi Il contenuto totale di perossidasi dei leucociti è stato misurato con una metodica descritta da Salinas et al. (2008) per l’orata e adattata al branzino. Ottocentosettanta μl di sospensione di leucociti (1x106 cellule/ml) sono stati incubati per 5 minuti con 30 μl di cetyltrimethylammonium bromide (cTAB, Sigma) 0,06% in HBSS. I campioni sono stati centrifugati a 400xg per 10 minuti, quindi 150 μl di surnatante sono stati mescolati in piastra da 96 pozzetti con 25 μl di 3,3’,5,5’-tetramethylbenzidine hydrochloride (TMB, Sigma) 10 mM e 25 μl di H2O2 5 mM. Dopo 60 secondi la reazione è stata bloccata con 50 μl di H2SO4 2M. La densità ottica è stata letta a 450 nm mediante spettrofotometro (Tecan Sunrise). Attività di pinocitosi L’attività di pinocitosi dei leucociti è stata determinata secondo la metodica descritta da Mathews et al. (1990), adattata da Skouras et al. (2003) e parzialmente modificata. Ogni campione di leucociti è stato valutato in duplicato come segue: in una piastra da 96 pozzetti 100 µl/pozzetto di sospensione cellulare contenente 1x107 cellule sono stati incubati con 75 µl/pozzetto di Rosso neutro (23 mg/l in HBSS) per 2 ore e mezza a 37 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 temperatura ambiente. Il colorante non incorporato dalle cellule è stato eliminato mediante due lavaggi con PBS e centrifugazione della piastra a 300xg per 5 minuti. La piastra è stata quindi lasciata asciugare all’aria e i leucociti adesi al fondo dei pozzetti sono stati lisati aggiungendo 100 µl/pozzetto di alcool-acido (3% HCl e 97% etanolo) e 100 µl/pozzetto di PBS. L’assorbanza è stata misurata mediante lettore spettrofotometrico (TECAN Sunrise) a 492 nm. Infezione sperimentale con Listonella (Vibrio) anguillarum Al termine del periodo di somministrazione del carvacrolo sono state condotte due infezioni sperimentali, utilizzando un ceppo virulento di Listonella (Vibrio) anguillarum sierotipo O1 (Dr. Manfrin, IZSVe), suscettibile in vitro al carvacrolo (prove preliminari condotte dagli autori). I batteri sono stati coltivati in TSB (bioMérieux) addizionato con 1,5% di NaCl a 23 ± 2°C fino al raggiungimento della fase logaritmica di crescita, quindi lavati e risospesi in PBS. La concentrazione batterica è stata determinata mediante stima spettrofotometrica della densità ottica a 610 nm, e il numero effettivo di UFC/ml è stato confermato mediante conta su terreno solido TSA (bioMérieux). Le dosi utilizzate nelle prove di infezione sono state scelte dopo aver definito la dose letale 50 (DL50) e la dose letale 70 (DL70) nel corso di prove preliminari (European Pharmacopoeia, 2001). Nel primo esperimento, è stata utilizzata una sospensione batterica di 2x106 ufc/ml, mentre nel secondo esperimento una sospensione di 6x106 ufc/ml. Branzini di ciascun gruppo sperimentale (N=25) sono stati anestetizzati con benzocaina (0,03 grammi/litro) e sottoposti ad iniezione intraperitoneale (200 μl/soggetto) con la sospensione batterica a concentrazione nota. La mortalità è stata registrata per 15 giorni ed espressa come mortalità cumulativa percentuale (Nordmo, 1997). I soggetti morti sono stati sottoposti ad esame anatomopatologico ed analisi microbiologiche per confermare la diagnosi di vibriosi. La protezione conferita dal carvacrolo è stata espressa come percentuale relativa di sopravvivenza (Amend, 1981; European Pharmacopoeia, 2001) secondo un approccio abitualmente proposto per la valutazione dell'efficacia dei vaccini: RPS = [1- (% mortalità pesci trattati/% mortalità gruppo controllo)] x 100. Elaborazione dei dati ed analisi statistica I risultati relativi ai parametri immunitari sono stati elaborati statisticamente mediante test ANOVA ad una via (per i parametri umorali P<0,01, per i parametri cellulari P<0,05) e le differenze tra le medie dei gruppi sperimentali sono state comparate con il test di Duncan. I risultati delle prove di challenge sono stati analizzati mediante test esatto di Fisher (P<0,01). Tutti i dati sono stati elaborati utilizzando il programma SPSS17 considerando come variabile il livello di carvacrolo nella dieta. RISULTATI Proteine e immunoglobuline totali nel siero 38 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 La concentrazione media delle proteine sieriche dei soggetti di controllo è risultata compresa tra 28 mg/ml e 46 mg/ml, valori che rientrano nell’intervallo fisiologico suggerito dalla letteratura per le specie ittiche. Dopo 1 settimana di alimentazione con il carvacrolo, i pesci alimentati con la dieta allo 0,025% di carvacrolo hanno mostrato un livello di proteine e immunoglobuline totali nel siero significativamente più elevato (P<0,01) rispetto agli altri gruppi sperimentali. L'alimentazione con carvacrolo ha determinato una loro progressiva diminuzione rispetto ai livelli rilevati nel gruppo di controllo nel corso delle 7 settimane successive di sperimentazione: una diminuzione significativa (P<0,01) è stata osservata nei branzini alimentati con la dieta allo 0,05% dopo 4 e 8 settimane e nei branzini alimentati con la dieta allo 0,025% dopo 8 settimane (Figura 1a; 1b). Attività del lisozima nel siero L'attività del lisozima nei pesci di controllo ha assunto valori tra 550 U/ml e 586 U/ml nel corso della prova (Figura 1c). I soggetti alimentati con la dieta con 0,05% carvacrolo hanno mostrato una diminuzione significativa dell'attività del lisozima dopo 4 settimane di alimentazione (P<0,01), mentre nei pesci alimentati con la dieta allo 0,025% una diminuzione significativa dell'attività del lisozima è stata osservata dopo 8 settimane (P<0,01). Attività di fagocitosi Entrambe le dosi di carvacrolo hanno indotto un aumento dell'attività di fagocitosi dei leucociti dopo 8 settimane, tuttavia le differenze osservate tra i gruppi sperimentali non sono risultate significative a causa della elevata variabilità individuale (P>0,05) (Figura 2a). Attività di "burst ossidativo" L'attività di "burst ossidativo" dei leucociti è risultata significativamente inferiore (P<0,05) nei branzini alimentati con la dieta allo 0,05% di carvacrolo dopo 1 settimana di prova rispetto a quella rilevata nei pesci alimentati con la dieta di controllo CTR e la dieta allo 0,025% di carvacrolo. Dopo 4 e 8 settimane di alimentazione non sono state riscontrate, invece, differenze statistiche (P>0,05) tra i gruppi sperimentali (Figura 2b). Contenuto di perossidasi L'inclusione del carvacrolo nella dieta non ha influenzato significativamente il contenuto di perossidasi dei leucociti (P>0,05) (dati non mostrati). 39 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 total proteins (mg/mL) 60,0 a a 50,0 a 40,0 b c b b 30,0 b a a 20,0 10,0 0,0 1 week 4 weeks control 8 weeks 0.025% carvacrol 0.05% carvacrol b total immunoglobulins (mg/mL) 40,0 a 35,0 30,0 a 25,0 20,0 a a b b b b 15,0 c 10,0 5,0 0,0 1 week 4 weeks control 0.025% carvacrol 700,0 lysozyme activity (U/mL) a a 600,0 8 weeks 0.05% carvacrol c a a a b a a b 500,0 400,0 300,0 200,0 100,0 0,0 1 week control 4 weeks 0.025% carvacrol 40 8 weeks 0.05% carvacrol ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 Figura 1 - Effetto del carvacrolo somministrato con la dieta su proteine totali del siero (mg/mL) (a), immunoglobuline totali del siero (mg/mL) (b), attività del lisozima nel siero (U/mL) (c) dopo 1, 4 e 8 settimane di alimentazione con le diete sperimentali. Le barre verticali indicano i valori medi + la deviazione standard (n=10). Le differenze statistiche tra i gruppi entro ciascun campionamento sono indicate con lettere diverse (P<0,01). Figure 1 - Effect of the dietary carvacrol level on serum total proteins (mg/mL) (a), serum total immunoglobulins (mg/mL) (b), serum lysozyme activity (U/mL) (c) after 1, 4 and 8 weeks of feeding the test diets. Vertical bars indicate average values + standard deviation (n=10). Statistical differences among groups within each sampling time are indicated with different letters (P<0.01). Attività di pinocitosi La somministrazione del carvacrolo ha indotto un aumento dell'attività di pinocitosi in gruppi di pesci alimentati con il livello 0,05% rispetto agli altri gruppi, dopo 4 settimane (P<0,05). Nessuna differenza significativa è stata rilevata tra i gruppi dopo 8 settimane di alimentazione (P>0,05) (Figura 2c). Infezione sperimentale con Listonella (Vibrio) anguillarum La somministrazione orale di carvacrolo ha conferito ai branzini una significativa protezione nei confronti di L. anguillarum O1, riducendo la severità della malattia e la mortalità conseguente all’infezione. L'andamento della mortalità registrata nel corso delle due prove di infezione (prima prova con dose infettante 2x106 UFC/ml, 200 µl/soggetto; seconda prova con dose infettante 6x106 UFC/ml, 200 µl/soggetto) è risultato simile, ma la dose batterica alta ha determinato, come atteso, una mortalità cumulativa maggiore sia nei pesci di controllo che in quelli alimentati con il carvacrolo e un anticipo nell’inizio della mortalità, rispetto alla dose batterica minore (Figura 3). Nella prima prova di infezione la mortalità è iniziata 2 giorni dopo l’infezione nel gruppo di controllo, dopo 3 giorni nei soggetti alimentati con carvacrolo 0,025% e dopo 4 giorni nei soggetti alimentati con carvacrolo 0,05%. Nei pesci alimentati con carvacrolo 0,025% la mortalità cumulativa è risultata significativamente minore (P<0,01) rispetto a quella dei controlli a partire dal 3° giorno fino alla fine della sperimentazione (controllo = da 27% a 36%; carvacrolo 0,025% = da 0% a 9%). La mortalità cumulativa dei branzini alimentati con carvacrolo 0,05% è risultata significativamente minore (P<0,01) rispetto a quella dei controlli non trattati al terzo giorno post infezione (controllo = 27%; carvacrolo 0,05% = 8%), mentre nei giorni successivi e al termine della prova tale differenza non è risultata statisticamente importante (P>0,05) (controllo = 36%; carvacrolo 0,05% = 25%). L'alimentazione con la percentuale bassa di carvacrolo ha garantito una RPS pari a 75% mentre l'alimentazione con la percentuale maggiore una RPS del 31%. 41 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 a phagocytosis (O.D. at 510 nm) 0,20 0,18 0,16 0,14 0,12 0,10 0,08 0,06 0,04 0,02 0,00 1 week 4 weeks control 8 weeks 0.025% carvacrol 0.05% carvacrol b respiratory burst (RLU) 60000 50000 40000 a a 30000 b 20000 10000 0 1 week control 4 weeks 8 weeks 0.025% carvacrol 0.05% carvacrol c pinocytosis (O.D. at 492 nm) 0,05 a ab 0,04 b 0,03 0,02 0,01 0,00 1 week control 4 weeks 0.025% carvacrol 42 8 weeks 0.05% carvacrol ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 Figura 2 – Effetto del carvacrolo somministrato con la dieta su fagocitosi (D.O. a 510 nm) (a), burst ossidativo (RLU, risposta cumulativa 1 ora) (b), pinocitosi (D.O. a 492 nm) (c) dopo 1, 4 e 8 settimane di alimentazione con le diete sperimentali. Le barre verticali indicano i valori medi + la deviazione standard (n=5). Le differenze statistiche tra i gruppi entro ciascun campionamento sono indicate con lettere diverse (P<0,05). Figure 2 – Effect of the dietary carvacrol level on HK leukocytes phagocytosis (O.D. at 510 nm) (a), respiratory burst (RLU, 1 h cumulative response) (b), pinocytosis (O.D. at 492 nm) (c) after 1, 4 and 8 weeks of feeding the test diets. Vertical bars indicate average values + standard deviation (n=5). Statistical differences among groups within each sampling time are indicated with different letters (P<0.05). cumulative mortality % control 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 0 1 2 0.025% carvacrol 0.05% carvacrol a * * * * * * * * * * * * * 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 days post infection cumulative mortality % control 100 90 80 70 60 50 40 30 20 10 0 0.05% carvacrol 0.025% carvacrol * * b 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 days post infection Figura 3 – Mortalità cumulativa in seguito ad infezione sperimentale intraperitoneale con Listonella anguillarum. Dose 2x106 ufc/mL (200 µL/soggetto) (n=25) (a); Dose 6x106 ufc/mL (200 µL/soggetto) (n=25) (b). *Differenze significative rispetto al controllo (P<0,01). Figure 3 – Cumulative mortality due to intraperitoneal infection with Listonella anguillarum. Dose 2x106 CFU/mL (200 µL/fish) (n=25) (a); Dose 6x106 CFU/mL (200 µL/fish) (n=25) (b). *Significant differences compared to control group (P<0.01). 43 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 Nella seconda prova di infezione la mortalità è stata registrata a partire dal 2° giorno post infezione in tutti i gruppi sperimentali. La mortalità cumulativa dei branzini alimentati con carvacrolo 0,025% è risultata significativamente minore (P<0,01) rispetto a quella dei controlli al 3° e 4° giorno post infezione, mentre successivamente le differenze osservate non erano statisticamente significative (P>0,05). I pesci trattati con carvacrolo 0,05% hanno mostrato una mortalità inferiore rispetto al gruppo di controllo, ma le differenze rilevate non erano significative (P>0,05). DISCUSSIONE E CONCLUSIONI In acquacoltura, negli ultimi anni, è aumentato l’interesse verso lo sviluppo di strategie alternative ai farmaci tradizionali per il controllo delle malattie, viste le severe disposizioni legislative che limitano l’impiego di antibiotici e altri chemioterapici, spesso associato alla selezione di ceppi batterici antibiotico-resistenti e all'accumulo di residui potenzialmente pericolosi per l'ambiente e per il consumatore. In particolare l’interesse dei ricercatori si è concentrato sull’impiego di sostanze naturali in grado di potenziare la risposta immunitaria e la resistenza alle malattie delle specie ittiche allevate. Tra queste, le piante sembrano rappresentare una alternativa ottimale ai farmaci in quanto contengono diversi principi attivi (alcaloidi, flavonoidi, pigmenti, composti fenolici, terpenoidi, steroidi) dotati di proprietà antibatteriche ed immunostimolanti e allo stesso tempo risultano facilmente reperibili in commercio, poco costose e biocompatibili (Mohamad & Abasali, 2010). In letteratura, sono numerosi gli studi dedicati alla valutazione delle proprietà antimicrobiche ed immunomodulanti di prodotti derivati dalle piante (estratti, oli essenziali, parti di pianta, ecc.) o composti bioattivi purificati dalle piante, nelle specie ittiche, nell'ottica di un loro possibile utilizzo in acquacoltura (Jeney et al., 2009; Harikrishnan et al., 2011). In tale contesto, la ricerca condotta nell'ambito della tesi ha avuto lo scopo di indagare l'effetto del carvacrolo, un composto fenolico contenuto negli oli essenziali di alcune piante aromatiche delle famiglie Labiatae, sulla risposta immunitaria e sulla resistenza nei confronti di Listonella anguillarum del branzino (Dicentrarchus labrax), al fine di ipotizzare un suo impiego (o quello delle piante officinali che lo contengono) come immunostimolante e antibatterico naturale in acquacoltura. A tal fine il carvacrolo è stato integrato in una dieta biologica a due diverse dosi (0,025% e 0,05%) e somministrato in giovanili di branzino per 9 settimane. Dopo 1, 4 e 8 settimane di alimentazione, i branzini sono stati sottoposti a prelievo di sangue e rene anteriore al fine di studiare alcuni parametri di immunità aspecifica: proteine, immunoglobuline e lisozima nel siero, fagocitosi, "burst ossidativo", contenuto di mieloperossidasi (MPO) e pinocitosi dei leucociti. Le proteine del siero includono diversi elementi umorali dell’immunità aspecifica, come immunoglobuline, albumine, transferrina, agglutinine, precipitine, lisozima e un loro aumento è solitamente associato ad un potenziamento della risposta immunitaria (Magnadóttir, 2006). Entrambe le diete contenenti carvacrolo hanno determinato una diminuzione delle proteine e delle immunoglobuline totali rispetto al gruppo di controllo. Tale variazione è risultata significativa dopo 4 settimane di alimentazione nei soggetti alimentati con la dose alta di carvacrolo (0,05%) e dopo 8 settimane nei pesci 44 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 alimentati con la dose bassa (0,025%). Soltani et al. (2010) non hanno osservato alcuna variazione nel livello di tali parametri in carpe (Cyprinus carpio) alimentate per 8 settimane con Zataria multiflora (Labiatae), pianta medicinale contenente carvacrolo. Nel nostro caso il livello proteico nel siero dei gruppi trattati potrebbe essere stato influenzato da un cambiamento dell’assorbimento della mucosa intestinale, che viene alterato dal contatto con il carvacrolo alimentare, come dimostrato nel suino (Michiels et al., 2008; 2010). Tuttavia la diminuzione delle proteine circolanti da noi osservata non ha influenzato la crescita dei branzini e gli indici zootecnici valutati nel corso della prova non sono risultati diversi tra i branzini alimentati con il carvacrolo e quelli di controllo (dati non mostrati). Il lisozima è un importante componente del sistema immunitario umorale aspecifico dei pesci, presente nel sangue, nel muco, in diversi organi e sintetizzato da monociti e neutrofili. Esso causa la lisi dei batteri, induce l’attivazione del sistema del complemento e favorisce la fagocitosi fungendo da opsonina (Magnadóttir, 2006; Saurabh & Sahoo, 2008). La sua attività nel siero è diminuita a seguito della somministrazione del carvacrolo, risultando significativamente più bassa dopo 4 settimane nei branzini alimentati con carvacrolo 0,05% e dopo 8 settimane nel gruppo di branzini alimentati con carvacrolo 0,025%. Il carvacrolo potrebbe interferire con la secrezione o l’attività del lisozima, in particolare in tempi brevi se viene somministrato a dosi alte e in tempi più lunghi se la sua concentrazione nella dieta è minore. Una diminuzione dell’attività del lisozima, seppur non significativa, è stata riscontrata anche in pescegatto (Ictalurus punctatus) al termine di una prova sperimentale simile alla presente, in cui i soggetti sono stati alimentati per 8 settimane con una dieta integrata da 0,05% di carvacrolo (Zheng et al., 2009). La somministrazione di Zataria multiflora in carpa non ha avuto, invece, alcun effetto sulla funzionalità del lisozima (Soltani et al., 2010), mentre in sarago pizzuto (Diplodus puntazzo) l’uso dell’origano (Origanum minitiflorum), un’altra pianta aromatica della famiglia delle Labiatae ricca di carvacrolo, nel trattamento di Myxobolus sp. ha determinato un aumento dell’attività di questo enzima nel siero (Karagouni et al., 2005). La fagocitosi è il più importante meccanismo cellulare del sistema immunitario nonspecifico dei teleostei e insieme con i componenti umorali costituisce la prima linea di difesa contro gli agenti patogeni. I fagociti (monociti/macrofagi e neutrofili) inglobano i microrganismi e li uccidono mediante degranulazione, attivazione metabolica e rilascio di specie reattive dell'ossigeno e dell'azoto ad azione microbicida (Neumann et al., 2001). Durante l’attività di “burst ossidativo” i neutrofili inoltre rilasciano perossidasi (MPO), enzimi contenuti nei granuli azurofili, che contribuiscono alla loro azione antimicrobica (Rodriguez et al., 2003). Il carvacrolo ha indotto un aumento, seppur non significativo, dell'attività di fagocitosi dei leucociti purificati da rene anteriore rispetto ai controlli. In letteratura non sono disponibili informazioni in merito all’effetto di questo composto sui fagociti dei pesci o dei mammiferi. Tuttavia Karagouni et al. (2005) non hanno osservato variazioni nel numero di cellula fagocitarie e nella loro attività di fagocitosi in sarago pizzuto infestato da Myxobolus sp. e trattato con origano, ricco in carvacrolo. In questa tesi l’attività di “burst ossidativo” dei leucociti è stata quantificata dopo stimolazione con PMA mediante chemiluminescenza con luminolo, che consente di misurare la quantità intracellulare ed extracellulare di specie tossiche dell’ossigeno, come l’anione superossido (O2-), il perossido di idrogeno (H2O2), il 45 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 radicale idrossido (OH) (Coteur et al., 2002). In generale la produzione di ROS nei branzini alimentati con il carvacrolo è risultata inferiore a quella dei soggetti di controllo, suggerendo un suo probabile effetto antiossidante. Tale riscontro è in accordo con quanto dimostrato da altri autori per un altro composto fenolico, il resveratrolo, contenuto nelle radici di Veratrum grandiflorium e in altre piante, quali uva, frutti di bosco e arachidi. In vitro esso causa una significativa diminuzione della produzione di ROS da parte dei leucociti renali di rombo (Psetta maxima) stimolati con PMA, a livelli paragonabili a quelli misurati in presenza di acido ascorbico (sostanza antiossidante di riferimento), analogamente a quanto accade nei mammiferi. Viene ipotizzato che il resveratrolo penetri nelle cellule inibendo la produzione di ROS oppure che funga da “scavenger” per limitare lo stress ossidativo (Castro et al., 2008). I nostri risultati sono poi in accordo con quelli osservati in pescegatto (Ictalurus punctatus) alimentato con la stessa dose (0,05%) di carvacrolo per 8 settimane. Nei soggetti trattati è stato misurato un leggero aumento nel plasma dell’attività della superossido dismutasi e della catalasi, due enzimi che intervengono nei meccanismi antiossidanti delle cellule (Zheng et al., 2009). Inoltre, anche il contenuto di MPO dei leucociti, la cui attività è strettamente correlata con la produzione di ROS, è diminuito nel corso della prova in entrambi i gruppi di branzini alimentati con il carvacrolo (dati non mostrati). Una inibizione delle MPO intracellulari ed extracellulari è stata dimostrata anche da Castro et al. (2008) dopo stimolazione in vitro dei leucociti di rombo con resveratrolo. La pinocitosi è un meccanismo mediante il quale goccioline di liquido vengono incorporate da una cellula e tale processo è essenziale per la funzionalità dei macrofagi, in quanto consente l'assorbimento e la degradazione di macromolecole, ma può anche avere un ruolo nella captazione e nella processazione degli antigeni (Weeks et al., 1987). Nei branzini alimentati con il carvacrolo è stato rilevato un aumento dell’attività di pinocitosi dei leucociti, evidente soprattutto nei soggetti alimentati con la dose più alta dopo 4 settimane. Al termine della prova di alimentazione con il carvacrolo sono state effettuate due infezioni sperimentali utilizzando un ceppo virulento di L. anguillarum sierotipo O1 (dosi 2x106 ufc/ml e 6x106 ufc/ml). La mortalità cumulativa dei branzini alimentati con il carvacrolo è risultata minore rispetto a quella dei controlli non trattati al termine di entrambe le prove, tuttavia le differenze osservate tra i soggetti trattati e i controlli sono risultate significative solo al termine del primo challenge. I valori di RPS ottenuti sono stati pari a 75% nei branzini alimentati con 0,025% di carvacrolo e pari a 31% nei branzini alimentati con 0,05% di carvacrolo. A titolo comparativo possiamo considerare quanto riportato da Yiagnisis et al. (2009), secondo cui branzini alimentati per 100 giorni con una dieta integrata con olio essenziale di origano (Origanum vulgare) sono risultati più resistenti ad un'infezione sperimentale con L. anguillarum (6x106 ufc/ml), con una RPS del 34%. In sintesi, diete integrate con percentuali di carvacrolo pari a 0,025% e 0,050% non sono in grado di stimolare efficacemente le risposte immunitarie aspecifiche del branzino, ma sembrano indurre una maggiore resistenza nei confronti delle infezioni causate da L. anguillarum. La protezione conferita dal carvacrolo potrebbe dipendere da un suo “bio-accumulo” in fase di pre-challenge e dalla sua conseguente azione antibatterica in vivo, piuttosto che dall’intervento di una efficace risposta immunitaria. Prove in vitro, non contemplate in questa parte della tesi, hanno dimostrato infatti una 46 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 33-49 diretta azione antibatterica del carvacrolo nei confronti di questo patogeno. Tuttavia, ulteriori indagini sono necessarie per definire il meccanismo d'azione di questo composto chimico e per chiarire se dosi più elevate sono associate ad effetti collaterali e/o tossicità. BIBLIOGRAFIA Amend D.F. (1981). Potency testing of fish vaccines. 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Oltre a ciò, bisogna annoverare le problematiche di natura parassitologica, indicate come possibili concause della progressiva diminuzione degli stock naturali di anguilla. Questa indagine parassitologica, condotta tra ottobre 2010 e marzo 2011, ha avuto lo scopo di studiare la parassitofauna di anguille selvatiche e d’allevamento in Italia, con particolare attenzione al reperto di parassiti d’importanza produttiva e sanitaria, anche in relazione a possibili risvolti zoonosici. Sono state esaminate 49 anguille provenienti da un allevamento intensivo situato nella provincia di Ferrara, 8 anguille selvatiche pescate in una valle da pesca della provincia di Gorizia ed un esemplare pescato nel Lago di Garda (Verona). Tutti gli esemplari sono stati sottoposti ad esame parassitologico completo, che ha permesso di evidenziare la presenza di almeno una specie parassitaria nel 94,8% delle anguille esaminate. In particolare, tutte le anguille selvatiche esaminate sono risultate parassitate, mentre nelle 49 anguille d’allevamento si è osservata una percentuale di positività pari al 93,9%. Sono stati reperiti i seguenti parassiti: protozoi ciliati (Trichodina sp.) e flagellati (Cryptobia sp.), myxozoa (Myxidium giardi e Myxobolus sp.), elminti monogenei (Pseudodactylogyrus sp. e Gyrodactylus sp.), digenei (Bucephalus anguillae, Deropristis inflata e Brachyphallus sp.), nematodi (Anguillicoloides crassus e larve di Contracaecum sp.), acantocefali allo stadio larvale e crostacei copepodi (Ergasilus sp.). I risultati di questa indagine hanno mostrato notevoli differenze di ordine qualitativo e quantitativo nella composizione della parassitofauna in anguille allevate selvatiche. SUMMARY – The European eel (Anguilla anguilla) is considered globally one of the most important species for fishery and aquaculture. In recent decades eels have undergone a substantial reduction in natural stocks, either due to biological factors and because the human impact determined by excessive fishing pressure and progressive degradation of natural environments. In addition, parasitological problems may be mentioned among the possible contributory causes of progressive decline of natural stocks of Anguilla anguilla. This parasitological survey, conducted between October 2010 and March 2011, was aimed to study the parasitofauna of wild and farmed eels in Italy, with particular attention to the parasites that may have a negative impact on productive indexes and health, including potential zoonotic agents. Forty-nine eels from an intensive farm located in the province of Ferrara, 8 wild eels caught in a lagoon located in Gorizia province and one eel caught in Garda Lake (Verona) were examined. All specimens were subjected to parasitological examination which showed the presence of at least one parasite species in 94.8% of the eels examined, in particular 93.9% of the farmed eels and all the wild eels. The following parasites were found: ciliates (Trichodina sp.) flagellates (Cryptobia sp.), myxozoans (Myxidium giardi and Myxobolus sp.), monogeneans (Pseudodactylogyrus sp. and Gyrodactylus sp.), digeneans (Bucephalus anguillae, Deropristis inflata e Brachyphallus sp.), nematodes (Anguillicoloides crassus and larval stages of Contracaecum sp.), larval stages of acanthocephalans and copepod crustaceans (Ergasilus sp.). The results of this survey have shown substantial qualitative and quantitative differences between the composition of parasitofauna in farmed and wild eels. Key words: Eel; Anguilla anguilla, Parasitofauna; Italy; Anguillicoloides crassus, Myxidium giardi, Contracaecum sp. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Via Tolara di sopra, 50 - Ozzano Emilia (BO); Tel.: 051-2097068; Fax: 051-2097039; E-mail: [email protected] 51 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 INTRODUZIONE In Italia, così come in altri paesi europei, l’anguilla europea (Anguilla anguilla) ha sempre rappresentato una delle specie più importanti per la pesca e per l’acquacoltura. Considerando il complesso ciclo biologico e le difficoltà tecniche che ancora non consentono di effettuare la riproduzione dell’anguille in cattività, gli stadi giovanili da destinare all’allevamento ed al ripopolamento sono sempre stati catturati in natura. Negli ultimi decenni si è registrata una drastica riduzione degli stock naturali che ha condotto la Commissione Europea ad emanare, nel 2007, il Regolamento (CE) n. 1100/2007 che ha istituito misure per la ricostituzione dello stock di anguilla europea. Parallelamente, il CITES (Convention on International Trade in Endangered Species) nel 2007 ha proposto ed ottenuto l’inserimento – avvenuto nel marzo 2009 dell’anguilla europea nell’allegato II e nel 2008 questa specie è stata inserita nella IUCN Red List of Threatened Species come “critically endangered”. La forte riduzione degli stock naturali di anguilla europea registrata negli ultimi decenni è stata ascritta a numerosi fattori, fra cui in particolare l’impatto antropico determinato dalle eccessive pressioni di pesca e dal progressivo degrado degli ambienti naturali. Oltre a ciò, le problematiche di natura parassitologica sono state indicate quali possibili concause della progressiva diminuzione degli stock naturali di questa specie ittica. L’importanza degli agenti parassitari può essere ben rappresentata dall’introduzione e dalla diffusione del nematode Anguillicoloides crassus nelle popolazioni europee nella seconda metà degli anni ‘80. Questo parassita ematofago, introdotto in Europa dai Paesi Asiatici e diffusosi nella maggior parte degli stati europei grazie alla commercializzazione di stadi giovanili di anguilla a scopo d’allevamento, si è diffuso a macchia d’olio anche nelle popolazioni allevate e selvatiche di anguille italiane, con gravi ripercussioni sulle condizioni di benessere e rendimento produttivo. Inoltre, localizzandosi a livello della vescica natatoria, questo parassita è stato imputato di causarne alterazioni funzionali così gravi da mettere a rischio la capacità migratoria delle anguille massivamente parassitate. Dopo un’intensa produzione scientifica di lavori inerenti la fauna parassitaria delle anguille selvatiche ed allevate in Italia, fiorita alla fine degli anni ’80 e nella prima metà degli anni ’90, nell’ultimo decennio le ricerche su tale argomento sono state piuttosto scarse, ad eccezione dei lavori di Di Cave et al. (2001) e di Culurgioni et al. (2010), entrambi condotti sulla parassitofauna di anguille selvatiche. Si è quindi condotta un’indagine parassitologica allo scopo di studiare la parassitofauna di anguille d’allevamento e selvatiche per poterne definire la composizione in termini qualitativi e quantitativi ed effettuare considerazioni di carattere produttivo e sanitario, anche in relazione al potenziale zoonosico di alcuni agenti parassitari. MATERIALI E METODI L’indagine è stata condotta tra ottobre 2010 e marzo 2011 ed ha previsto la conduzione di 10 campionamenti per un totale di 58 soggetti. In particolare sono state esaminate 49 anguille provenienti da un allevamento intensivo sito nella provincia di 52 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 Ferrara, 8 anguille selvatiche pescate in una valle da pesca della provincia di Gorizia ed un esemplare pescato nel Lago di Garda (Verona) (Tabella 1). Campione Data 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Ottobre 2010 Novembre 2010 Novembre 2010 Novembre 2010 Dicembre 2010 Febbraio 2011 Febbraio 2011 Febbraio 2011 Febbraio 2011 Marzo 2011 Legenda: A=adulto; R=ragano Sito di campionamento Allevamento Ferrara Allevamento Ferrara Allevamento Ferrara Allevamento Ferrara Valle da pesca (GO) Allevamento Ferrara Allevamento Ferrara Lago di Garda (VR) Valle da pesca (GO) Allevamento Ferrara TOTALE Stadio di crescita A A A A A R A A A A N. soggetti esaminati 2 4 12 3 5 12 12 1 3 4 58 Tabella 1 – Dati relativi a mese e sito di campionamento, stadio di crescita e numero di soggetti esaminati. Table 1 – Month and sampling site, stage of growth and number of specimens examined. Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad esame parassitologico completo secondo procedure standard. Per ogni parassita reperito si registrava la localizzazione ed il numero, al fine di poter calcolare l’intensità d’infestazione (Bush et al., 1997). L’identificazione dei protozoi e dei Myxozoa veniva condotta mediante osservazione diretta dei preparati microscopici e consultazione di chiavi tassonomiche specifiche (Bykhovskaya-Pavlovskaya et al., 1964; Lom & Dykova, 1992). Gli elminti venivano invece isolati, puliti in soluzione fisiologica, fissati in alcool 70% e successivamente chiarificati in lattofenolo o glicerina per lo studio delle caratteristiche morfologiche. Per l’identificazione degli elminti sono stati utilizzati manuali tassonomici di riferimento (Moravec, 1994; Hoffmann, 1999; Gibson et al., 2002; Jones et al., 2005; Bray et al., 2008) e lavori scientifici specifici. RISULTATI E DISCUSSIONE I risultati degli esami parassitologici hanno permesso di evidenziare differenze nella composizione della parassitofauna delle anguille selvatiche ed allevate sia in termini qualitativi che quantitativi. 53 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 Il 94,8% (55/58) dei soggetti esaminati ha mostrato la presenza di almeno una specie parassitaria, in particolare il 100% delle anguille selvatiche esaminate (9/9) ed il 93,9% delle anguille di allevamento (46/49). L’indagine ha permesso di reperire numerosi taxa parassitari: protozoi ciliati (Trichodina sp.) e flagellati (Cryptobia sp.), myxozoa (Myxidium giardi e Myxobolus sp.), elminti monogenei (Pseudodactylogyrus sp. e Gyrodactylus sp.), digenei (Bucephalus anguillae, Deropristis inflata e Brachyphallus sp.), nematodi (Contracaecum spp. allo stadio larvale e Anguillicoloides crassus), acantocefali allo stadio larvale e crostacei copepodi (Ergasilus sp.). Nella Tabella 2 e nei Grafici 1, 2 e 3 vengono riportati nel dettaglio i risultati delle analisi parassitologiche condotte su anguille selvatiche e d’allevamento. Anguille selvatiche (N = 9) Anguille allevate (N = 49) Parassiti N. Positivi Prevalenza (%) N. Positivi Prevalenza (%) Trichodina sp. 1 11,1 7 14,3 Cryptobia sp. 5 10,2 Myxidium giardi 3 33,3 37 75,5 Myxobolus sp. 7 14,3 Pseudodactylogyrus sp. 1 11,1 18 36,7 Gyrodactylus sp. 3 6,1 Bucephalus anguillae 8 88,8 Deropristis inflata 2 22,2 Brachyphallus sp. 1 11,1 Anguillicoloides crassus 37 75,5 Contracaecum sp. (larve) 3 33,3 Acantocefali (larve) 5 55,5 Ergasilus sp. 1 11,1 Tabella 2 – Percentuali di positività per parassiti osservate nelle anguille selvatiche ed allevate. Table 2 – Percentages of positivity for parasites in wild and farmed eels. 54 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 Grafico 1 – Percentuali di positività per parassiti riscontrate in anguille selvatiche e d’allevamento. Graphic 1 – Percentage of positivity for parasites in wild and farmed eels. 3 2 Grafici 2 e 3 – Percentuali di positività per parassiti riscontrate in anguille d’allevamento (2) e selvatiche (3). Graphics 2 and 3 – Percentage of positivity for parasites in farmed (2) and wild (3) eels. La presenza di trematodi digenei è stata riscontrata solo nelle anguille selvatiche, pressoché in tutti i soggetti esaminati provenienti da ambienti vallivi. Sono stati reperiti 55 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 digenei appartenenti alle specie Bucephalus anguillae (Bucephalidae) (88,8%) e, in minor misura, alla specie Deropristis inflata (Deropristidae) (22,3%) ed al genere Brachyphallus (Hemiuridae) (11,1%). La specie Bucephalus anguillae risulta già descritta in anguille delle valli di Comacchio e del Mar Adriatico settentrionale (Dezfuli et al., 2009) e, recentemente, in Sardegna (Culurgioni et al., 2010). B. anguillae è un parassita specialista che da adulto vive nell’intestino delle anguille presenti in ambienti marini e salmastri (Gargouri-Ben Abdallah & Maamouri, 2002). Precedentemente è stata segnalata in Italia la specie B. polymorphus in anguille provenienti dagli stessi areali (Di Cave et al., 2001) e da lagune costiere tirreniche (Kennedy et al., 1997). Il digeneo Deropristis inflata è stato descritto ampiamente fin dalla seconda metà dell’800 in Italia in anguille selvatiche pescate nelle province di Padova e Trieste (Molin, 1861; Stossich, 1885). Nel ‘900 è stato poi segnalato in diversi ambienti acquatici nazionali: in Sardegna (Mola, 1928; Culurgioni et al., 2010), in valli dell’Emilia-Romagna (Canestri Trotti et al., 1990), nelle Valli di Comacchio (Dezfuli et al., 1992) ed in lagune del Tirreno e dell’Adriatico (Paggi et al., 1988; Kennedy et al., 1997; Berilli et al., 2000; Di Cave et al., 2001). Per quanto concerne i digenei del genere Brachyphallus reperiti in questa indagine, va innanzitutto specificato che non risultano a tutt’oggi descrizioni di questi parassiti in anguille presenti sul territorio nazionale. Da un punto di vista morfologico gli esemplari reperiti presentavano forti similitudini con la specie B. crenatus, descritta nell’anguilla in Germania (Palm et al., 1999), in Danimarca (Køie, 1988) e nel mar Baltico (Sulgostowska, 1993). Si tratta di un parassita non specifico dell’anguilla, ma segnalato in diverse specie di teleostei, la cui ampia diffusione sarebbe da correlare alla distribuzione del gasteropode Retusa obtusa, che ne rappresenta il primo ospite intermedio (Køie, 1991). Fra i parassiti riscontrati esclusivamente nelle anguille selvatiche vanno poi annoverati i nematodi Anisakidae del genere Contracaecum, che include specie che riconoscono quali ospiti definitivi pinnipedi e uccelli ittiofagi. L’osservazione morfologica degli stadi larvali dei nematodi anisakidi reperiti non ha permesso di giungere ad una loro identificazione a livello di specie, anche se alcuni caratteri morfologici potrebbero farli riferire a Contracaecum rudolphii, specie descritta da Mattiucci et al. (2007) e Dezfuli et al. (2009) in anguille di sistemi lagunari salmastri in Italia. Inoltre solo in anguille selvatiche sono state riscontrate larve cistacante di acantocefali. Culurgioni et al. (2010) hanno ipotizzato che alcune larve cistacante di acantocefali da loro reperite in anguille della laguna di Cagliari, seppure di difficile identificazione a livello di specie, possano essere riferite alla specie Telosentis exiguus, di comune riscontro in teleostei lagunari allo stadio adulto e larvale. Gli altri parassiti riscontrati nelle anguille selvatiche sono rappresentati da singoli reperti del ciliato Trichodina sp., del monogeneo Pseudodactylogyrus sp. e del crostaceo copepode Ergasilus sp., nonché dal myxozoo Myxidium giardi trovato sempre a basse intensità d’infezione. In relazione a Myxidium giardi, va posto in evidenza come si tratti di un parassita myxozoa estremamente diffuso nelle anguille selvatiche e d’acquacoltura presenti in ambienti dulciacquicoli e salmastri. Infezioni massive possono causare gravi episodi di 56 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 mortalità in assenza di sintomi specifici, mentre in presenza di infezioni croniche sono state descritte cachessia e letargia, con peggioramento degli indici di crescita (Kristmundsson & Helgason, 2007). La presenza di questo parassita è stata comunque osservata con maggiori valori di prevalenza e di intensità d’infezione nelle anguille allevate. In particolare, in alcuni soggetti allevati si è rilevata la presenza di oltre 10 cisti/arco branchiale, mentre in quelli selvatici le cisti erano sempre in quantità minori di 2 cisti/arco. Fra i reperti parassitari di maggiore rilevanza nelle anguille d’allevamento, oltre al sopracitato M. giardi va senz’altro citato il nematode Anguillicoloides crassus, reperito nel 75,5% dei soggetti esaminati. L’ospite originario di questo parassita sembra essere Anguilla japonica (Kennedy & Fitch, 1990) e le ipotesi emesse sulla sua comparsa nel contesto europeo la attribuiscono alle importazioni sia di A. japonica (Lefebvre et al., 2002) sia di A. anguilla (Scholz, 1999). La prima segnalazione italiana risale al 1987 (Canestri Trotti, 1987). Nella vescica natatoria, organo elettivo di localizzazione, questo parassita può provocare infiammazione, emorragie, grave fibrosi e rottura della parete (Würzt & Tarashecwski, 2000). Nel caso di massive infestazioni la funzionalità della vescica natatoria può essere seriamente compromessa (Kennedy, 2007) e si possono registrare negli animali parassitati segni clinici quali letargia, lieve anemia e maggiore suscettibilità a stress di diversa natura. Il ciclo biologico di questo parassita è indiretto e la sua realizzazione è legata soprattutto ad ambienti dulciacquicoli o a bassa salinità dove sono presenti gli ospiti intermedi e paratenici idonei allo sviluppo del parassita (Kennedy et al., 1997). Studi recenti hanno dimostrato definitivamente l’importanza della salinità quale fattore limitante per la diffusione di A. crassus (Jakob et al., 2009). È apparso inoltre interessante il reperto di una percentuale di positività piuttosto elevata (36,7%) del monogeneo Pseudodactylogyrus sp. nelle anguille d’allevamento. Questo parassita branchiale è ritenuto una delle cause più comuni di problemi sanitari negli allevamenti intensivi di anguilla, soprattutto se a ricircolo (Kennedy, 2007), a causa del ciclo diretto del parassita che si riproduce per oviparità. Nella presente ricerca i rischi sanitari correlati alla presenza di Pseudodactylogyrus sp. non è stato ritenuto rilevante alla luce delle basse intensità d’infestazione rilevate (1-2 parassiti/arco branchiale). Parimenti anche il ciliato Trichodina sp., riscontrato a livello di branchie e cute nel 14,3% dei soggetti esaminati, ha presentato sempre valori d’intensità molto bassi. 57 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 B A D C E F G H I Figura 1 - A: spore di Myxidium giardi; B: Trichodina sp.; C: Brachyphallus sp.; D: Bucephalus anguillae; E: Deropristis inflata; F: vescica natatoria di anguilla parassitata da Anguillicoloides crassus; G: due esemplari adulti di Anguillicoloides crassus; H: porzione anteriore di larva di terzo stadio di Contracaecum sp.; I: larva cistacanta di acantocefalo incistata. Figure 1 - A: spores of Myxidium giardi; B: Trichodina sp.; C: Brachyphallus sp.; D: Bucephalus anguillae; E: Deropristis inflata; F: swim bladder of eel parasitised by Anguillicoloides crassus; G: two adult specimens of Anguillicoloides crassus; H: anterior part of Contracaecum sp. third stage larva; I: encysted acanthocephalan cystacanth larva. 58 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 Diversamente il flagellato Cryptobia sp., riferibile presumibilmente alla specie C. branchialis, è stato evidenziato nelle branchie del 55,5% dei soggetti allevati, spesso con elevate intensità d’infezione. Questo protozoo viene considerato un ectocommensale opportunista, ma in caso di massive infezioni, come da noi evidenziato in alcuni soggetti di piccola taglia, è in grado di determinare lesioni branchiali di rilievo (Lom & Dykova, 1992). Fra gli altri reperti parassitari riscontrati nelle anguille d’allevamento vanno infine citati il myxozoo Myxobolus sp. (14,3%) ed il monogeneo Gyrodactylus sp. (6,1%). Myxobolus sp. è un parassita a ciclo indiretto che prevede diverse specie di oligocheti quali ospiti intermedi/alternati e che quindi, parimenti a M. giardi, risulta diffuso in tutti quegli ambienti acquatici in cui questi invertebrati sono presenti. Gyrodactylus sp. è invece un monogeneo a ciclo diretto che si riproduce per viviparità e che trova nelle condizioni stesse dell’allevamento intensivo (elevate densità di biomassa, ecc.) i fattori condizionanti la sua trasmissione e diffusione. Gli esemplari reperiti sembrano essere riferibili alla specie G. anguillae, già descritto in passato in Italia nello stesso ospite (Di Cave et al., 2001). La specie Anguilla anguilla era considerata l’ospite originario di questo parassita, ma successivamente alcuni studi condotti in Australia su popolazioni di anguille appartenenti alle specie A. australis e A. reinhardtii hanno fatto ipotizzare che possa trattarsi di un parassita di origine australiana introdotto accidentalmente nelle popolazioni europee (Ernst et al., 2000). Nonostante la presenza di questo monogeneo non sia stata evidenziata con valori di intensità d’infestazione importanti, si deve tenere presente che la girodattilosi può rappresentare una possibile causa di ridotta alimentazione e/o anoressia, con conseguenti effetti negativi sugli indici produttivi degli animali colpiti. CONCLUSIONI In base ai risultati di questo studio, la composizione della parassitofauna delle anguille allevate e di quelle selvatiche ha mostrato notevoli differenze di ordine qualitativo e quantitativo. Seppur vada tenuto in considerazione il numero ridotto di animali selvatici esaminati (9 soggetti), appare evidente come in questa categoria i parassiti predominanti siano rappresentati dal digeneo Bucephalus anguillae e da stadi larvali di acantocefali e di nematodi del genere Contracaecum, assenti invece nelle anguille d’allevamento. Dati che risultano in linea con i risultati ottenuti nel corso di recenti indagini parassitologiche condotte da Culurgioni et al. (2010). Diversamente, nelle anguille allevate le specie dominanti sono rappresentate dal nematode Anguillicoloides crassus e dal myxozoo Myxidium giardi, nonostante la presenza di numerosi parassiti a ciclo diretto (Trichodina sp., Cryptobia sp., Pseudodactylogyrus sp. e Gyrodactylus sp.) debba essere considerata un potenziale rischio sanitario qualora l’intensità d’infezione dovesse presentare valori elevati. In Italia la mancanza di presidi terapeutici antiparassitari autorizzati per l’acquacoltura rappresenta un ostacolo per quanto concerne il controllo delle parassitosi, evidenziando l’importanza di agire in termini preventivi mediante l’applicazione routinaria di buone procedure igienico-sanitarie e gestionali di allevamento. 59 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 51-62 Riguardo il riscontro di parassiti potenzialmente zoonotici nelle anguille esaminate, va posta in evidenza la presenza di larve di terzo stadio del nematode anisakide Contracaecum sp. in tre soggetti selvatici. Sebbene gli ospiti definitivi idonei di questo parassita negli ambienti dulciacquicoli siano rappresentati da uccelli ittiofagi (soprattutto cormorani per C. rudolphii), il potenziale zoonosico di alcune specie Contracaecum (C. multipapillatum) è stato dimostrato mediante prove sperimentali condotte su conigli (Barros et al., 2004). La localizzazione viscerale delle larve e le modalità di consumo dell’anguilla nel nostro Paese rendono comunque trascurabile il rischio zoonotico di questi parassiti. In conclusione, di particolare interesse da un punto di vista sanitario nelle anguille d’allevamento appaiono l’anguillicolosi e le parassitosi sostenute da agenti a ciclo diretto quali i protozoi ciliati e flagellati ed i monogenei. A tal proposito bisogna considerare che numerosi fattori biotici e abiotici possono favorire l’insorgenza di vere e proprie malattie parassitarie in grado di causare importanti perdite produttive e, in taluni casi, episodi di mortalità. In relazione all’anguillicolosi, che prevede l’intervento di crostacei copepodi e di pesci rispettivamente quali ospiti intermedi e paratenici nel ciclo biologico del parassita, solo interventi rivolti all’introduzione di animali indenni ed all’eliminazione/riduzione di questi organismi nell’acqua di alimentazione e d’allevamento potrebbe risultare efficace nel controllo della parassitosi. Questi interventi risultano però di difficile applicazione nelle realtà produttive nazionali, che non prevedono in genere il trattamento delle acque superficiali in entrata. Diversamente, negli allevamenti alimentati con acqua di pozzo e negli impianti a ricircolo non sussistono le condizioni idonee alla realizzazione del ciclo biologico del parassita ed alla sua trasmissione. Per quanto concerne gli elminti a ciclo indiretto riscontrati nelle anguille selvatiche, la diffusa presenza, negli ecosistemi naturali, di organismi invertebrati e vertebrati che possono fungere da ospiti intermedi, paratenici o definitivi nel loro ciclo biologico giustifica ampiamente i valori elevati di prevalenza riscontrati in questa ricerca. BIBLIOGRAFIA Barros L.A., Tortelly R., Pinto R.M. & Gomes D.C. (2004). Effects of experimental infections with larvae of Eustrongylides ignotus Jäegerskiold, 1909 and Contracaecum multipapillatum (Drasche, 1882) Baylis, 1920 in rabbits. Arq. Bras. Med. Vet. Zootec., 56, 3: 325-332. Berilli F., Di Cave D., De Liberato C., Kennedy C.R. & Orecchia P. (2000). Comparison of richness and diversity of parasite communities among eels from Tyrrhenian and Adriatic lagoons. Parassitologia, 42, (Suppl. 1): 161. Bray R.A., Gibson D. & Jones A. (2008). Keys to the Trematoda. CAB International and Natural History Museum, London. 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Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, Sezione di La Spezia, Via degli Stagnoni, 96 - 19100 La Spezia. ______________________________ RIASSUNTO - L’identificazione delle specie appartenenti al genere Vibrio con le metodiche tradizionali non risulta sempre di facile esecuzione, in particolar modo per l’ampia variabilità biochimica che caratterizza i ceppi ambientali. L’utilizzo di metodi molecolari può pertanto rappresentare un valido aiuto nell’identificazione dei patogeni ittici. A tale scopo è stata sviluppata e validata una PCR multiplex basata sull’amplificazione del gene della collagenasi di Vibrio alginolyticus e il gene della emolisina termolabile (tl) di Vibrio parahaemolyticus. Questa PCR è risultata molto sensibile e specifica e rappresenta un metodo rapido e discriminante per questi due patogeni; applicata allo screening di isolati ittici in parallelo alle metodiche tradizionali, ha consentito di individuare un livello di concordanza medio tra i due approcci. L’applicazione della PCR multiplex ha consentito inoltre di rilevare coinfezioni, erroneamente classificate con le metodiche tradizionali, per il prevalere di un singolo ceppo. SUMMARY - The detection of Vibrio genus species, using standard microbiological methods, is not always easy to make and sometimes leads to wrong interpretation, manly because of the great biochemical variability of the environmental strains. The use of molecular methods may thus be a precise tool for identification of these pathogens. To overcome ambiguous results a multiplex PCR based on the amplification of the collagenase gene for Vibrio alginolyticus and of the thermolabile hemolysin (tl) gene for Vibrio parahaemolyticus was developed and validated. This PCR resulted extremely sensitive and specific and could represent an efficient method for simultaneous detection of these two pathogens. Moreover the new multiplex PCR was used to compare molecular tool based identification of Vibrio alginolyticus and Vibrio parahaemolyticus versus conventional standard microbiological methods and for screening of fish pathogen isolates; a medium rate of agreement between the two approaches was found. Multiplex PCR allowed also the detection of coinfections otherwise unrecognized by the traditional techniques. Key words: Vibrio alginolyticus; Vibrio parahaemolyticus; PCR multiplex; Validation. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Istituto Zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta, Via Bologna, 148 – 10154 Torino. Tel.: 011-2686367; Fax: 011-2686322; E-mail: [email protected]. 63 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 INTRODUZIONE Il genere Vibrio comprende batteri Gram negativi estremamente diffusi negli ecosistemi acquatici. La principale caratteristica di questo genere è la capacità di provocare nell’uomo gravi intossicazioni alimentari dovute al consumo di pesci e molluschi crudi o poco cotti: tra di essi un ruolo di primaria importanza quale agente patogeno spetta a Vibrio cholerae, agente eziologico del colera. Tra i patogeni minori si possono annoverare: Vibrio parahaemolyticus, causa occasionale di gastroenteriti dovute all'ingestione di molluschi o crostacei crudi e contaminati (Yeung & Boor, 2004), Vibrio alginolyticus e Vibrio vulnificus, rari agenti infettivi di ferite cutanee o di sepsi in soggetti immunocompromessi (Coleman et al., 1996; Aubert et al., 2001). I germi appartenenti al genere Vibrio sono da considerarsi anche tra le principali cause di mortalità nella fauna ittica, sia d’allevamento che di cattura. Numerosi episodi di mortalità sono stati descritti in natura a partire dagli anni ’70 (Umbreit & Tripp, 1975), con gravi perdite sul patrimonio ittico soprattutto in estuari, baie o golfi relativamente protetti. In acquacoltura episodi gravi di vibriosi si verificano ogni anno soprattutto in maricoltura, ma alcune di queste specie batteriche sono in grado di causare episodi morbosi di grave entità anche in impianti con specie ittiche dulciacquicole (Prearo et al., 2002; Cozzi & Ciccaglioni, 2005). La classificazione delle Vibrionaceae risulta essere in continua evoluzione; al momento, in tale famiglia sono compresi numerosi generi, tra i quali quelli che rivestono maggiore interesse per la patologia ittica sono Vibrio, Listonella e Photobacterium (Samuelsen et al., 2006; Stephen et al., 2006) di cui vengono riconosciute numerosissime specie, tutte isolate da ambiente acquatico (Buller, 2004). Nonostante i vibrioni non abbiano particolari esigenze nutrizionali e crescano bene nei terreni di coltura comunemente utilizzati, l’identificazione delle varie specie non risulta sempre di facile esecuzione con le tecniche fenotipiche tradizionali, in particolar modo per l’ampia variabilità biochimica dei ceppi ambientali. Lo sviluppo di metodi di biologia molecolare, quali la PCR, ha indubbiamente favorito la corretta caratterizzazione dei ceppi: diverse metodiche di PCR sono state infatti messe a punto per l’identificazione delle svariate specie appartenenti al genere Vibrio (Bej et al. 1999; Kim et al., 1999; Di Pinto et al., 2005). Nel caso specifico di V. parahaemolyticus e V. alginolyticus i metodi biochimici in micrometodo, quali le gallerie API, si sono rivelati talvolta poco attendibili determinando una classificazione di specie errata. Queste due specie presentano inoltre un’elevata similarità genetica del gene che codifica per rRNA 16S, superiore al 99%, (Kita-Tsukamoto et al., 1993; Ruimy et al., 1994) che rende inutilizzabile questa tecnica, comunemente applicata nell’identificazione delle specie batteriche. Nel presente lavoro viene messa a punto e validata una multiplex PCR per l’identificazione delle due specie suddette e ne viene successivamente descritto l’utilizzo su isolati ittici allo scopo di verificare l’attendibilità della caratterizzazione fenotipica degli isolati nonché la caratterizzazione degli stessi in caso di non assegnazione di specie. 64 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 MATERIALI E METODI Per validare la PCR multiplex sono stati utilizzati 15 ceppi certificati DSMZ (Deutsche Sammlung von Mikroorganismen und Zellkulturen) e un ceppo certificato ATCC (American Type Culture Collection) appartenenti al genere Vibrio e al genere Aeromonas (Tabella 1) e 44 ceppi di campo (14 V. parahaemolyticus, 15 V. alginolyticus e 15 V. anguillarum). Vibrio parahaemolyticus Vibrio alginolyticus Vibrio anguillarum Aeromonas allosaccharophila Aeromonas veronii Aeromonas ichthiosmia Aeromonas salmonicida Aeromonas trota Aeromonas hydrophila hydrophila Aeromonas caviae Aeromonas encheleia Aeromonas media Aeromonas hydrophila anaerogenes Aeromonas bestiarium Aeromonas enteropatogenes DSMZ 1027 DSMZ 2171 ATCC 43305 DSMZ 11576 DSMZ 7386 DSMZ 6393 DSMZ 12609 DSMZ 7312 DSMZ 30187 DSMZ 7323 DSMZ 11577 DSMZ 4881 DSMZ 30188 DSMZ 13956 DSMZ 6394 Tabella 1 - Elenco dei ceppi batterici certificati ATCC e DSMZ. Table 1 – List of certified ATCC e DSMZ bacteria strains. Vibrio anguillarum ed Aeromonas spp. sono stati inseriti quali controlli negativi; in particolare germi appartenenti al genere Aeromonas talvolta vengono erroneamente classificati dal punto di vista fenotipico per la somiglianza al genere Vibrio che li caratterizza. I ceppi sono stati coltivati in agar nutritivo (Difco) addizionato al 2% di NaCl. Gli isolati di campo sono stati identificati biochimicamente mediante gallerie API 20E e 20NE (bioMérieux); sono stati sottoposti a valutazione della sensibilità all’agente vibriostatico O129 10 µg e 100 µg ed è stata verificata la loro capacità agglutinante con siero monovalente per V. anguillarum (Bionor Laboratories). Il DNA è stato estratto mediante tecnica freeze-boiling che prevede incubazioni di 10 minuti alternate a 100°C e –80°C con centrifugazione finale a 13000 rpm per 3 minuti e prelievo del surnatante. Ciascun campione estratto è stato quantificato mediante lettura spettrofotometrica a 260 nm e ne è stata valutata la purezza con il calcolo della ratio (OD260/OD280). Prima dell’allestimento della multiplex PCR i ceppi sono stati testati con simplex PCR specifiche per la specie in esame: i ceppi di V. parahaemolyticus sono stati caratterizzati mediante PCR singola per il gene tl (termolisina termolabile) secondo i 65 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 protocolli riportati da Bej et al. (1999); i ceppi di Vibrio alginolyticus sono stati definiti geneticamente mediante amplificazione del gene della collagenasi (Di Pinto et al., 2005); i ceppi di V. anguillarum sono stati caratterizzati mediante amplificazione del gene rpoN (Gonzalez et al., 2004). La reazione di PCR multiplex è stata allestita e validata con l’utilizzo contemporaneo dei primer specifici per i geni tl e collagenasi che permettono di identificare rispettivamente V. parahaemolyticus e V. alginolyticus. Le condizioni di PCR sono state ottimizzate per permettere l’amplificazione dei rispettivi target. Sequenza dei primer 5’-aaa gcg gat tat gca gaa gca ctg-3’ 5’-gct act ttc tag cat ttt ctc tgc-3’ 5’-cga gta cag tca ctt gaa agc c-3’ 5’-cac aac aga act cgc gtt acc-3’ Target Emolisina termolabile (tl) Collagenasi Riferimento bibliografico Bej et al., 1999 Di Pinto et al., 2005 Tabella 2 - Sequenze dei primer utilizzati per la PCR multiplex e PCR simplex dei geni per l’emolisina termolabile (tl) e la collagenasi. Table 2 - Sequences of the primers used in multiplex PCR and simplex PCR amplifying the thermolabile hemolysin (tl) and collagenase genes. La miscela di reazione, condotta su un volume di reazione pari a 50 µl, era così composta: Platinum® qPCR Supermix-UDG (Invitrogen), primer 300 nM riportati (Tabella 2) e circa 150 ng di DNA batterico. La PCR multiplex prevedeva il seguente profilo termico: 50°C per 2 minuti e 95°C per 2 minuti seguiti da 25 cicli 94°C per 30 secondi, 57°C per 30 secondi, 72°C per 60 secondi e un’estensione a 72°C di 5 minuti. La rivelazione dei prodotti di PCR, è stata fatta tramite corsa elettroforetica a 80V per un’ora, su gel di agarosio al 3% con aggiunta di Sybr Safe (Invitrogen). È stato utilizzato il marcatore di peso molecolare AmpliSize Molecular Ruler (50-2000 pb Ladder, BIO-RAD). L’elaborazione delle immagini è stata effettuata mediante Gel Doc (BIO-RAD). La PCR multiplex è stata successivamente applicata a 68 ceppi isolati da prodotti ittici caratterizzati fenotipicamente come V. parahaemolyticus (n=21), V. alginolyticus (n=47); sono stati inoltre inclusi 23 ceppi caratterizzati come Vibrio spp. Quali controlli positivi e negativi sono stati utilizzati i ceppi di riferimento DSMZ. L’analisi dei dati è stata effettuata mediante l’utilizzo del programma informatico STATA SE 10. RISULTATI Come mostrato in Figura 1 (pozzetti 1-15), la PCR multiplex ha correttamente amplificato un prodotto di 450bp, relativo al gene tl sia nei ceppi di riferimento che negli isolati ittici caratterizzati biochimicamente come V. parahaemolyticus e ha evidenziato una banda di 737bp (Figura 3: pozzetti 1-16) del gene collagenasi in quelli caratterizzati come V. alginolyticus. I campioni non appartenenti alle due specie in 66 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 esame quali V. anguillarum (Figura 1: pozzetti 16-19 e Figura 2: pozzetti 1-12) e differenti specie del genere Aeromonas (Figura 4: pozzetti 1-12) non hanno mostrato, come atteso, alcun prodotto di amplificazione. La PCR multiplex applicata per l’identificazione di V. parahaemolyticus e V. alginolyticus si è rivelata di semplice e rapido utilizzo, consentendo un’identificazione certa del patogeno: la sensibilità e la specificità sono infatti risultate del 100%, calcolate ad un livello di confidenza del 95%, con limiti inferiori del 86,3% e 85,0% rispettivamente. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 M 16 17 18 19 450 pb Figura 1 – PCR multiplex applicata a campioni di Vibrio parahaemolyticus e Vibrio anguillarum. Risulta evidente la banda amplificata di 450 paia di basi del gene della emolisina termolabile (tl) di Vibrio parahaemolyticus, pozzetti 114, pozzetto 15 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, nessun amplificato del Vibrio anguillarum, pozzetti 16-19, M marker molecolare. Figure 1 – Multiplex PCR applied to Vibrio parahaemolyticus and Vibrio anguillarum strains. The 450 base pairs amplified band codifying the thermolabile hemolysin (tl ) of Vibrio parahaemolyticus was detected, lanes 1-14, lane 15 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, no amplification of Vibrio anguillarum, lanes 16-19, M molecular weight ladder. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 M Figura 2 - PCR multiplex applicata a campioni di Vibrio anguillarum. Risulta evidente l’assenza di banda, pozzetti 112, M marker molecolare. Figure 2 - Multiplex PCR applied to Vibrio anguillarum strains. No amplification band, lanes 1-12, M molecular weight ladder. 67 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 1314 1516 M 737 pb Figura 3 – PCR multiplex applicata a campioni di Vibrio alginolyticus risulta evidente la banda amplificata di 737 paia di basi, pozzetti 1-15, pozzetto 16 Vibrio alginolyticus DSMZ 2171, M marker molecolare. Figure 3 – Multiplex PCR applied to Vibrio alginolyticus strains. The 737 base pairs amplicon coded by the collagenase gene was detected, lanes 1-15,lane 16 Vibrio alginolyticus DSMZ 2171, M molecular weight ladder. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 M Figura 4 – PCR multiplex applicata su ceppi di Aeromonas spp. DSMZ. Risulta evidente l’assenza di banda, pozzetti 1-12, M marker molecolare. Figure 4 – Multiplex PCR applied to Aeromonas spp. DSMZ strains. No amplification band, lanes 1-12, M molecular weight ladder. La PCR multiplex ha confermato l’identificazione biochimica di V. parahaemolyticus su 14 isolati (58,3%) e di V. alginolyticus su 46 isolati (86,8%). Sette campioni classificati biochimicamente come V. parahaemolyticus sono risultati, secondo l’analisi molecolare V. alginolyticus; un campione di V. alginolyticus è risultato V. parahaemolyticus in disaccordo con i metodi classici; inoltre la PCR di un campione fenotipicamente V. alginolyticus, ha evidenziato entrambe le bande specifiche di 450 e 737bp, indicando la presenza di co-infezione da V. parahaemolyticus e V. alginolyticus (Figura 5). 68 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 L’analisi molecolare dei 23 ceppi di Vibrio spp. ha dato i risultati seguenti: 6 V. alginolyticus (26%), 1 coinfezione (Figura 5) e 16 assenze di banda specifica per V. parahaemolyticus o V. alginolyticus. Sulla base del calcolo della concordanza complessiva tra metodi biochimici e metodi molecolari è stato ottenuto un valore medio di k = 0,5698 (I.C. 95% = 0,3644 -0,7752) secondo Altman. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI La scelta di mettere a punto una PCR multiplex che consentisse di individuare facilmente V. parahaemolyticus e V. alginolyticus è stata motivata sia dall’importanza patologica da essi rappresentata in acquacoltura, sia dal fatto che essi sono tra le specie più frequentemente isolate da materiale ittico repertato nel nostro territorio di competenza. 1 2 3 M 4 5 6 737 pb 450 pb Figura 5 – Rivelazione della coinfezione di Vibrio alginolyticus e Vibrio parahaemolyticus in prodotti ittici mediante PCR multiplex. Pozzetto 1 controllo PCR, pozzetti 2 e 3 isolati di campo, pozzetto 4 Vibrio alginolyticus DMSZ 2171, pozzetto 5 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, pozzetto 6 controllo di estrazione, M marker molecolare. Figure 5 – Detection of Vibrio alginolyticus and Vibrio parahaemolyticus co-infection in fish products by multiplex PCR. Lane 1 blank PCR, lane 2-3 isolated strains, lane 4 Vibrio alginolyticus DMSZ 2171, lane 5 Vibrio parahaemolyticus DSMZ 1027, lane 6 extraction blank, M molecular weight ladder. PCR simplex erano già state descritte per queste due specie (Bej et al., 1999); inoltre una PCR multiplex per l’identificazione di V. parahaemolyticus, V. alginolyticus e V. cholerae, basata sull’amplificazione del gene della collagenasi era stata descritta da Di Pinto et al. (2005); tuttavia la specificità di questa metodica è stata valutata in un numero esiguo di campioni e nel nostro caso non ha fornito i risultati attesi per l’identificazione di V. parahaemolyticus (dati non riportati). Pertanto si è optato per lo sviluppo di un differente sistema di PCR sempre in multiplex poiché la possibilità di 69 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 allestire in un’unica reazione il saggio per l’identificazione di due patogeni diversi ha consentito un minor dispendio economico rispetto alla conduzione di due differenti PCR simplex. La comparazione dei metodi svolta nel presente lavoro ha messo in evidenza un livello di concordanza medio tra metodi molecolari e metodi biochimici per l’identificazione delle due specie di Vibrio in esame. La caratterizzazione molecolare ha mostrato una capacità di identificazione superiore ai metodi biochimici, riuscendo ad attribuire la specie in isolati precedentemente non classificati con i metodi tradizionali. La PCR multiplex, applicata a isolati ittici, ha consentito di rilevare in due casi una coinfezione evidenziando ulteriormente l’inefficacia delle tecniche biochimiche che in tali condizioni conducono invece all’identificazione di un unico patogeno per il prevalere del fenotipo di una specie su quella coinfettante. L’accuratezza e la rapidità rendono pertanto la descritta PCR multiplex uno strumento estremamente efficace a supporto delle tecniche diagnostiche tradizionali. RINGRAZIAMENTI Il presente lavoro è stato eseguito con fondi di Ricerca Corrente del Ministero della Salute. BIBLIOGRAFIA Aubert G., Carricajo A., Vermesch R., Paul G. & Fournier J.M. (2001). Isolation of Vibrio strains in French coastal waters and infection with Vibrio cholerae non-O1/non-O139. La Presse Médicale, 30, 13: 631-633. Bej A.K., Patterson D.P., Brasher C.W., Vickery M.C.L., Jones D.D. & Kaysner C.A. (1999). Detection of total and hemolysin-producing Vibrio parahaemolyticus in shellfish using multiplex PCR amplification of tl, tdh and trh. J. Microbiol. Methods, 36: 215-225. Buller N.B. (2004). Bacteria from fish and other aquatic animals: a practical identification manual. CABI Publishing, Cambridge, MA, USA. Coleman S.S., Melanson D.M., Biosca E.G. & Oliver J.D. (1996). Detection of Vibrio vulnificus biotypes 1 and 2 in eels and oysters by PCR amplification. Appl. Environ. Microbiol., 62, 4: 1378-1382. Cozzi L. & Ciccaglioni G. (2005). Vibrioni patogeni veicolati dai prodotti della pesca. In: Rapporti ISTISAN 05/24: 90-96. Di Pinto A., Ciccarese G., Tantillo G., Catalano D. & Forte V.T. (2005). A collagenase targeted multiplex PCR assay for identification of V. alginolyticus, V. cholerae and V. parahaemolyticus. J. Food Prot., 68, 1: 150-153. Gonzalez S.F., Krug M.J., Nielsen M.E., Santos Y. & Call D.R. (2004). Simultaneous detection of marine fish pathogens by using multiplex PCR and a DNA microarray. J. Clin. Microbiol., 42, 4: 1414-1419. Kim Y.B., Okuda J., Matsumoto C., Takahashi N., Hashimoto S. & Nishibuchi M. (1999). Identification of Vibrio parahaemolyticus strains at the species level by PCR targeted to the toxR gene. J. Clin. 70 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 63-71 Microbiol., 37: 1173-1177. Kita-Tsukamoto K., Oyaizu H., Nanba K. & Shimidu U. (1993). Phylogenetic relationships of marine bacteria, mainly members of the family Vibrionacea, determined on the basis of 16S rRNA sequences. Int. J. System. Bacteriol., 43: 8-19. Prearo M., Agnetti F., Cabra S., Rela E., Panzieri C., Locatelli L., Fariano L. & Ghittino C. (2002). Segnalazione di vibriosi in trote fario d’allevamento. Boll. Soc. It. Patol. Ittica, 33: 10-17. Ruimy R., Breittmayer V., Elbaze P., Lafay B., Boussemart O., Gauthier M. & Christine R. (1994). Phylogenetic analysis and assessment of the genera Vibrio, Photobacterium, Aeromonas, and Plesiomonas deduced from small-subunit rRNA sequences. Int. J. System. Bacteriol., 44: 416-426. Samuelsen O.B., Nerland A.H., Jørgensen T., Schrøder M.B., Svåsand T. & Bergh O. (2006). Viral and bacterial diseases of Atlantic cod Gadus morhua, their prophylaxis and treatment: a review. Dis. Aquat. Org., 71, 3: 239-254. Stephens F.J., Raidal S.R., Buller N. & Jones B. (2006). Infection with Photobacterium damselae subspecies damselae and Vibrio harveyi in snapper, Pagrus auratus with bloat. Aust. Vet. J., 84, 5: 173177. Umbreit T.H. & Tripp M.R. (1975). Characterization of the factors responsible for death of fish infected with Vibrio anguillarum. Can. J. Microbiol., 21, 8: 1272-1274. Yeung P.S. & Boor K.J. (2004). Epidemiology, pathogenesis, and prevention of foodborne Vibrio parahaemolyticus infections. Foodborne Pathog. Dis., 1, 2: 74-88. 71 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 72 72 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 SEMINARIO “GARRA DAY” PER L’UTILIZZO CONSAPEVOLE DI GARRA RUFA (DOCTOR FISH) IN ITTIOTERAPIA E NEI CENTRI ESTETICI TORINO, 30 MARZO 2012 – CESENATICO (FC), 20 APRILE 2012 Risultati di prove di riproduzione artificiale di Garra rufa Results of artificial reproduction trials of Garra rufa Giuseppe Bastone*, Andrea Di Biase, Oliviero Mordenti Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni Ittiche, Cesenatico (FC) ______________________________ RIASSUNTO - Una popolazione di Garra rufa proveniente dalla regione del Kangal in Turchia è stata indagata al fine di identificare i principali parametri biologici, morfologici e riproduttivi della specie. Tale studio si pone l’obiettivo di costituire uno stock di adulti da mantenere e riprodurre in cattività per una sua moltiplicazione su grande scala al fine di fornire sul territorio nazionale, e non solo, pesci esclusivamente appartenenti alla specie in questione da utilizzare nei trattamenti a scopo medico ed estetico. SUMMARY - A Garra rufa population from the region of Kangal in Turkey has been investigated in order to identify the main biological, morphological and reproductive parameters of the species. This study aims at establishing a stock of adults to maintain and reproduce in captivity for its multiplication on a large scale in order to provide the national territory, and beyond, only with fish of the species, to be used in medical and aesthetic treatments. Key words: Garra rufa; Doctor Fish; Artificial reproduction. ______________________________ * Corresponding Author: c/o Università Alma Mater Studiorum di Bologna, Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni Ittiche, via Doria, 5 - Cesenatico (FC); E-mail: [email protected] 73 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 FINALITA’ DELLA RICERCA Il crescente interesse verso i Doctor Fish e la pratica dell’ittioterapia spinge i distributori europei ad acquistare questi pesci principalmente dai paesi asiatici. Tuttavia, molto spesso alcune specie, come il “Chin-Chin” (Tilapia sp.), vengono spacciate e quindi vendute come Garra rufa. Questi pesci non svolgono la stessa azione curativa e possono risultare addirittura dannosi per la salute umana. A livello scientifico, inoltre, esistono scarse informazioni sulla biologia (Akpinar & Aksoylar, 1988; Yalcin-Ozdilek & Ekmekci, 2006) e in particolar modo sulla riproduzione di questa specie mantenuta in ambiente controllato (Sundarabarathy et al., 2005). A tal proposito una popolazione di Garra rufa proveniente dalla regione del Kangal in Turchia è stata indagata al fine di identificare i principali parametri biologici, morfologici e riproduttivi della specie. Tale studio si pone l’obiettivo di costituire uno stock di adulti da mantenere e riprodurre in cattività per una sua moltiplicazione su grande scala. La standardizzazione di tale tecnica permetterà, inoltre, di fornire sul territorio nazionale e non solo, pesci esclusivamente appartenenti alla specie in questione da utilizzare nei trattamenti a scopo medico ed estetico. MATERIALI E METODI La prova ha preso avvio nell’ottobre 2009 con l’acquisto di 200 giovanili di Garra rufa provenienti dalla Turchia. Dopo averne accertato lo stato generale di salute, gli esemplari sono stati sottoposti a un test di caratterizzazione genetico-molecolare mediante moderne tecniche (loci microsatelliti e AFLP già disponibili in letteratura) previo campionamento di tessuti che non pregiudicano la sopravvivenza dell’animale (microcampionatura della pinna dorsale o caudale). Gli individui sono stati genotipizzati al fine di confermare l’effettiva appartenenza alla specie oggetto di studio (Ergene Gözükara & Cavas, 2004). I pesci sono stati, in seguito, introdotti in un impianto a ricircolo presente all’interno della serra ittiologica del Corso di Laurea in Acquacoltura e Igiene delle Produzioni Ittiche di Cesenatico (FC). Dopo un periodo di ambientamento si è dato inizio al programma alimentare che ha portato i pesci al raggiungimento della fase adulta e della maturità sessuale in circa 8 mesi. Scelta dei riproduttori Una volta raggiunta la fase adulta, i soggetti di taglia maggiore sono stati raccolti per le prove di riproduzione. Dopo essere stati anestetizzati con un bagno in fenossietanolo (0,1 cc/l di acqua) si è proceduto al sessaggio dei soggetti. Le femmine si distinguevano per la papilla genitale arrossata e per la conformazione addominale più arrotondata (Figura 1), dovuta alla maggiore voluminosità delle ovaie rispetto ai testicoli, mentre i maschi si distinguevano per una conformazione più slanciata del corpo. Questo metodo di selezione è stato necessario in quanto i pesci, anche se sessualmente maturi, non presentano dimorfismo sessuale. 74 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 Dagli stock di riproduttori raccolti sono stati scartati i soggetti che non presentavano caratteristiche idonee alla riproduzione: sono state eliminate le femmine che non presentavano addome rigonfio e morbido mentre, per i maschi, la selezione è avvenuta sulla base del grado di maturità dei gameti trattenendo solamente i soggetti che risultavano “fluenti” (emissione di liquido seminale) in seguito a pressione addominale. Nel corso della verifica sono stati selezionati per la prova un totale di 154 pesci (56 soggetti di sesso femminile e 98 pesci di sesso maschile). Figura 1 – Femmina con evidente conformazione addominale arrotondata. Figure 1 - Female of Garra rufa with obvious rounded shape of abdomen. 75 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 I riproduttori, prima della riproduzione, sono stati mantenuti suddivisi per sesso per 3 settimane e stabulati in due vasche della capacità di 200 litri ciascuna funzionante a ciclo chiuso e dotata di sistema di filtraggio meccanico-biologico, di aerazione e di regolazione della temperatura dell’acqua (Figura 2). Condizionamento ambientale Durata: 3 settimane Temperatura: 27±1°C Fotoperiodo: 14 h luce/10 h buio Maschi Femmine Tesi G-NF Tesi G-N2F Tesi G-AN Tesi G-A Figura 2 – Schema del programma riproduttivo adottato su Garra rufa. Figure 2 - Scheme of the reproductive program adopted about Garra rufa. 76 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 Determinazione dei parametri biometrici Ai pesci utilizzati per la sperimentazione è stato rilevato il parametro peso (Figura 3) utilizzando una bilancia elettronica specifica per animali vivi con grado di precisione ± 0,01 g e la lunghezza totale mediante calibro digitale (Figura 4). Figura 3 - Pesatura di un adulto di Garra rufa. Figure 3 - Weighing of a Garra rufa adult. Figura 4 - Misurazione della lunghezza di un adulto di Garra rufa. Figure 4 - Measurement of the length of an adult of Garra rufa. 77 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 Dal parametro peso e lunghezza è stato, inoltre, determinato l’indice di Condizione K, espresso dalla formula: 3 Indice Condizione K = W100/LT dove: W = peso in grammi LT = lunghezza totale in centimetri Tale rapporto varia a seconda della specie ittica considerata, in quanto pesci di forma più slanciata hanno valori più bassi ma, in ogni caso, evidenzia in modo efficace la condizione corporea del pesce esaminato e quindi il suo stato nutrizionale. Il fattore di condizione risulta dunque influenzato da innumerevoli situazioni ambientali e, soprattutto trofiche; esso esprime quantitativamente lo stato di maggiore o minore benessere degli individui in relazione alla loro corposità. Asportazione delle gonadi Otto soggetti (4 maschi e 4 femmine) sono stati sacrificati con un bagno in overdose di fenossietanolo (0,5 cc/l di acqua) e sottoposti a biopsia ovarica (Figura 5) per la determinazione dell’Indice Gonado-Somatico (IGS) iniziale (100 x Figura 5 – Soggetto di sesso femminile (sopra) e maschile (sotto) con gonadi in buono stato di maturazione. Figure 5 – Female subject (above) and male (below) with gonads in a good state of maturation. 78 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 peso gonade/peso totale soggetto) (Frenkel & Goren, 1997) e l’individuazione dello stato di maturazione gonadica attraverso l’osservazione con microscopio binoculare di campioni di tessuto ovocitario. Il livello di maturazione è stato determinato utilizzando le indicazioni di Frenkel & Goren (1997): - Stadio 1: vescicola germinale in posizione centrale (oogonia) - Stadio 2: inizio migrazione della vescicola germinale (primary oocytes) - Stadio 3: termine migrazione vescicola germinale (secondary oocytes) - Stadio 4: vescicola germinale in posizione periferica (mature ova). Nell’occasione sono stati inoltre determinati: • peso medio delle gonadi; • numero medio di oociti/g di gonade; • numero medio di oociti/femmina. Predisposizione delle tesi sperimentali Al fine di ottenere la deposizione dei gameti, tutti i soggetti sono stati portati ad un regime ambientale che prevedeva un fotoperiodo lungo (14 ore di luce/10 ore di buio) e una temperatura dell’acqua di 27 ± 1°C; tali condizioni sono state mantenute per tutta la durata della prova. Per la sperimentazione sono state eseguite quattro metodiche riproduttive ciascuna replicata in doppio (Figura 2): - la prima (Tesi G-NF) prevedeva il mantenimento di 28 maschi e 14 femmine (sex ratio 2:1) equamente suddivisi in 2 acquari della capacità di 150 litri caratterizzati da fondo costituito da ciottoli di fiume (2-6 cm di diametro). I pesci sono stati mantenuti per 48 ore nelle medesime vasche, in attesa della riproduzione naturale, dopodiché gli animali sono stati rimossi dagli acquari; - la seconda (Tesi G-N2F) prevedeva il mantenimento di 28 maschi e 14 femmine (sex ratio 2:1) equamente suddivisi in 2 acquari della capacità di 150 litri caratterizzati da fondo in rete metallica rialzato di 15 cm sul quale erano posizionati ciottoli di fiume. Anche in questo caso i pesci sono stati mantenuti in acquario per 48 ore in attesa della riproduzione naturale, dopodiché gli animali sono stati rimossi. L’utilizzo del doppio fondo aveva lo scopo di favorire il passaggio e di conseguenza l’allontanamento delle uova appena deposte dai riproduttori; - la terza (Tesi G-AN) prevedeva il mantenimento di 28 maschi e 14 femmine (sex ratio 2:1) equamente suddivisi in 2 acquari della capacità di 150 litri caratterizzati da fondo costituito da ciottoli di fiume. Prima della loro immissione in vasca le femmine sono state sottoposte ad induzione ormonale mediante trattamento con ipofisi di carpa, mantenute per 24 ore nelle medesime vasche in attesa della riproduzione naturale, dopodiché gli animali sono stati rimossi; - la quarta (Tesi G-A) prevedeva il mantenimento di 14 maschi e 14 femmine (sex ratio 1:1) mantenuti separati in 2 acquari della capacità di 150 litri caratterizzati da assenza di fondo. Prima della loro immissione in vasca le femmine sono state sottoposte ad induzione ormonale mediante trattamento con ipofisi di carpa. Al termine del periodo di latenza gli animali sono stati 79 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 sottoposti alla pratica della riproduzione artificiale mediante tecnica “a secco” (Billard, 1995). Le ipofisi utilizzate presentavano un peso variabile di 2-7 mg ciascuna, erano disidratate in acetone e conservate in ambiente secco. L'estratto ipofisario per l'iniezione è stato preparato immettendo la quantità di ipofisi prestabilita in un piccolo omogenizzatore congiuntamente a soluzione fisiologica (Figura 6). La sospensione così ottenuta, qualora non iniettata immediatamente, può essere conservata in frigorifero a 4°C per molte ore (Rothbard, 1981). La sospensione così ottenuta, qualora non iniettata immediatamente, può essere conservata in frigorifero a 4°C per molte ore (Rothbard, 1981). Figura 6 – Preparazione dell’estratto ipofisario. Figure 6 - Preparation of the extract of pituitary. 80 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 Figura 7 - Bagno in acqua contenente fenossietanolo. Figure 7 - Water bath containing phenoxyethanol. Figura 8 - Iniezione con estratto ipofisario. Figure 8 - Injected with pituitary extract. 81 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 I dosaggi ormonali utilizzati sono stati pari a 5 µg/g peso vivo; per le iniezioni sono state utilizzate siringhe da 1 cc, utilizzate solitamente in campo umano per la somministrazione di insulina. Al fine di ridurre l'effetto stressante di questi trattamenti, i riproduttori, prima di essere iniettati, sono stati sottoposti ad un bagno in acqua contenente fenossietanolo (Figura 7) alla dose di 0,1 cc/l di acqua (Myszkowski et al., 2003). L'iniezione è stata praticata sulla porzione superiore del muscolo dorsale nell'area immediatamente posteriore alla pinna dorsale (Figura 8). Lo stato di torpore dovuto all'anestesia si è risolto rapidamente una volta liberati i pesci nelle vasche da cui erano stati prelevati e nelle quali sono rimasti fino al momento della spremitura (Figura 9). Figura 9 – Fase di spremitura. Figure 9 - Squeezing phase of the Garra rufa female. In occasione della fase di riproduzione artificiale a secco sono stati determinati i seguenti parametri: - periodo di latenza (ore); - numero di femmine che hanno deposto; - quantitativo totale di uova ottenute (g); 82 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 - quantitativo di uova/femmina (g); - numero medio di uova in 1 g di peso; - numero di uova/femmina; - diametro medio delle uova (mm); - durata dello sviluppo embrionale (gradi/giorno). RISULTATI E DISCUSSIONE I parametri biometrici evidenziano un maggiore sviluppo dei soggetti di sesso femminile rispetto a soggetti maschili di pari età: per le femmine, infatti, i valori registrati sono risultati 7,23 ± 1,61 g di peso medio e 79,1 ± 5,8 mm di lunghezza totale mentre, per i maschi i valori registrati sono stati rispettivamente di 4,89 ± 1,06 g e 73,4 ± 5,4 mm (Tabella 1). Il fattore di Condizione K è risultato pienamente favorevole al parametro peso in entrambe i sessi. I maschi, tuttavia, hanno presentato valori inferiori rispetto alle femmine grazie alla conformazione maggiormente slanciata che favorisce il parametro lunghezza (Tabella 1). L’IGS delle femmine è risultato pari a 13,53±2,63 e 5,19±0,60 nei maschi (Tabella 1). Questi valori evidenziando il buono stato di maturazione gonadica dei soggetti esaminati di entrambe i sessi e risultano pienamente in linea con una popolazione ciprinicola in periodo riproduttivo (Billard, 1995). Peso medio (g) Lunghezza media (mm) Indice K IGS Maschi ♂ 4,89±1,06 73,4±5,4 1,22±0,11 5,19±0,60 Femmine ♀ 7,23±1,61 79,1±5,8 1,44±0,13 13,53±2,63 Tabella 1 – Valori medi e deviazione standard di peso, lunghezza, indice K e Indice gonado-somatico (IGS) soggetti in sperimentazione. Table 1 - Mean values and standard deviation of weight, length, index K and gonad-somatic index (IGS) subjects being tested. nei in L’osservazione al microscopio dei campioni di tessuto gonadico ha messo in evidenza in tutti i soggetti la presenza di 3 stadi di maturazione ovarica (Figura 10). Sono stati individuati oociti primari (II), oociti secondari (III) ed è stata registrata la presenza di oociti maturi (IV), indice di una buona attività gametogenetica da parte delle femmine grazie ad un idoneo programma di condizionamento ambientale adottato per la sperimentazione. 83 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 La presenza contemporanea di più stadi ovocitari fa inoltre rientrare Garra rufa nelle specie a maturazione “asincrona”. Questa caratteristica solitamente garantisce periodi di riproduzione lunghi che possono protrarsi anche per parecchi mesi ed è tipica di altre specie che vivono ambienti residuali e “difficili” come Aphanius fasciatus (Mordenti et al., 2007). Figura 10 – Immagini al microscopio di oociti con diversi stadi di maturazione. Figure 10 - Microscope images of oocytes with different stages of maturation. Il numero medio di oociti per grammo di gonade è risultato di 960 ± 59 (Tabella 2) che corrisponde ad una potenzialità produttiva di circa 1.000 uova/femmina (941 ± 58), valore che risulta, in proporzione, notevolmente superiore con quanto osservato da Billard (1995) in ciprinidi termofili di origine asiatica (carpa testa grossa ed argento), mentre risulta inferiore rispetto a femmine di Tilapia zillii (1350 uova) della medesima taglia (El-Sayed & Moharram, 2007). IGS Stadio di maturazione Peso medio gonade (g) N° medio oociti/g gonade N° medio oociti/femmina 13,53±2,63 II-IV 0,98±0,25 960±59 941±58 Tabella 2 – Valori medi e deviazione standard del peso delle gonadi, dello stadio di maturazione, del numero di oociti per grammo di gonade e per femmina. Table 2 – Mean values and standard deviation of the weight of the gonads, of their stage of maturation, the number of oocytes per gram of gonad and for female. 84 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 Per quanto riguarda la riproduzione, la tesi G-NF ha fatto registrare una produzione di larve pari a 7 e 19 soggetti, la tesi G-N2F ha portato alla produzione di 141 e 116 larve, mentre nelle tesi G-AN il numero di pesci ottenuto è stato di 16 e 6. Solamente la tesi G-A, che prevedeva la riproduzione artificiale a secco, non ha portato alla produzione di larve. In termini numerici, i risultati migliori, quindi, si sono ottenuti adottando la riproduzione naturale su doppio fondo (G-N2F) mentre non sono state registrate differenze tra le tesi G-NF e G-AN. La maggiore fecondità in G-N2F, può essere giustificata dall’impossibilità da parte dei riproduttori di poter cibarsi delle uova deposte. In questo caso, infatti, le uova appena emesse e fecondate raggiungevano istantaneamente il fondo dell’acquario rimanendo separate dai riproduttori. Durante la sperimentazione, inoltre, è stata verificata da parte degli operatori la forte voracità dei riproduttori G-NF e G-AN nei confronti delle uova appena emesse. Questo forte cannibalismo può, infine, aver mascherato l’effetto dell’induzione ormonale e l’eventuale differenza di produttività tra le femmine non trattate (G-NF) e quelle trattate con ipofisi di carpa (G-AN). Per quanto riguarda la tesi G-A, i risultati del tutto negativi in termini di numero di larve ottenute non oscurano le numerosi informazioni di carattere biologico ottenute adottando la riproduzione artificiale. L’assenza di larve, infatti, non è derivata dal mancato ottenimento delle uova, ma esclusivamente dalla difficoltà che è stata registrata in occasione della fase di fecondazione. Il numero di femmine che hanno raggiunto l’ovulazione mediante spremitura manuale è risultato di 12 su 14 (85,7%), garantendo una produzione totale di 11,3 g di uova. Peso medio femmine Periodo di latenza (h) Femmine che hanno deposto Totale g uova g uova/femmina N° uova/g N° uova/femmina Diametro uova (mm) Durata sviluppo embrionale (gradi/giorno) 7,53±1,81 da 9 a 12 12 su 14 (85,7%) 11,3±1,12 0,94±0,09 607±89 571±84 1,05±0,1 46±9 Tabella 3 – Quadro generale della deposizione delle femmine trattate. Table 3 – Overview of the deposition of the females treated. 85 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 73-87 In termini numerici il quantitativo di uova ottenuto da ciascuna femmina è risultato di 571 ± 84 (Tabella 3), valore che corrisponde a circa il 60% del potenziale produttivo della specie. Il diametro delle uova è risultato molto elevato rispetto alla dimensione degli animali (1,05 ± 0,1 mm). Dall’analisi al microscopio si è potuto, inoltre, constatare la completa assenza di mucoproteina colloidale e/o di filamenti adesivi sul guscio, aspetto che solitamente caratterizza la maggior parte delle uova di ciprinidi. Attraverso l’osservazione delle uova presenti sotto il doppio fondo (Tesi G-N2F) è stato possibile, infine, risalire alla durata dello sviluppo embrionale (46 ± 9 gradi/giorno). CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE La sperimentazione ha dimostrato che gli aspetti riproduttivi del Garra rufa possono essere controllati in ambiente artificiale. La specie ha evidenziato, infatti, una perfetta capacità di adattamento alla cattività, dote indispensabile per un processo produttivo di tipo acquacolturale ed una positiva risposta al programma di condizionamento ambientale adottato che ha portato all’emissione spontanea dei gameti di una buona parte dei pesci trattati. La sperimentazione ha, inoltre, evidenziato come il forte cannibalismo degli animali nei confronti delle uova emesse rischia di compromettere il risultato in termini di numero di larve prodotte. L’utilizzo della tecnica di riproduzione artificiale a secco, infine, ha messo in luce sia la sensibilità della specie al trattamento ormonale adottato, sia l’elevato potenziale riproduttivo degli animali, ma altresì, ha dimostrato l’inadeguatezza di tale metodica nella fase di fecondazione delle uova. A tal proposito è utile evidenziare una certa difficoltà nella manipolazione di soggetti di taglia ridotta soprattutto in fase di raccolta dei gameti maschili. BIBLIOGRAFIA Akpinar M.A. & Aksoylar M.Y. (1988). Effects of temperature, dietary fatty acids and starvation on the fatty acid composition of Garra rufa (Heckel, 1843). Doga TU Biyol. Dergisi (Ankara), 12: 1-8. Billard R. (1995). Les carpes: biologie et élevage. INRA ed., Paris. El-Sayed H.K.A. & Moharram S.G. (2007). 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Storo (TN) 89 ITTIOPATOLOGIA, 2012, 9: 89-90 Elenco degli sponsor della Società Italiana di Patologia Ittica: Associazione Piscicoltori Italiani (A.P.I.) Verona Biomar Group Italia Monastier di Treviso (TV) EuroFishmarket Castel Maggiore (BO) Fatro S.p.A. Ozzano Emilia (BO) La Casetta in Canada Settimo Torinese (TO) Lamar Udine S.n.c. Remanzacco (UD) Skretting Italia Hendrix S.p.A. Mozzecane (VR) Veronesi S.p.A. Verona Università degli Studi di Udine Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta Torino 90