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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 25 OTTOBRE 2015
Le storie
Bergamo senza confini
Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza
confini» promosso da «L’Eco di Bergamo» in collaborazione con la Fondazione della Comunità Bergamasca. Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per
tre mesi l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a: [email protected].
L’iniziativa
«A New York
a lezione
dal Nobel
per la medicina»
Silvia Pasini. Da Alzano alla Columbia University
ha seguito i seminari dello scienziato Eric Kandel
A 31 anni studiosa di malattie neurodegenerative
VALERIA ROSSI
Silvia Pasini, alzanese,
trentunenne, vive a New York do­
ve lavora come ricercatrice presso
la Columbia University, dal 2010.
Negli anni del liceo scientifico, che
ha frequentato presso l’Istituto
«E. Amaldi» del suo paese, matura
la decisione di iscriversi alla facol­
tà di Biotecnologie alla Bicocca di
Milano «perché – racconta – du­
rante le lezioni del mio professore
di Biologia, oltre ad apprendere
conoscenze, nozioni e formule, ho
respirato l’amore e la passione per
questa materia che hanno deter­
minato, così, la mia scelta». Dopo
la laurea specialistica, conseguita
con la lode nel 2008, ottiene una
borsa di studio ministeriale per il
dottorato, della durata di tre anni,
con la possibilità di poter frequen­
tare all’estero sino alla metà del
periodo stesso, ossia un anno e
mezzo. Prende subito in conside­
razione l’ipotesi di un trasferi­
mento. Destinazione New York, la
città che qualcuno ha definito la
sorgente del mondo, quel mondo
che ti sta addosso e si perde negli
orizzonti.
Diversi i motivi che hanno indi­
rizzato la sua preferenza. «Innan­
zitutto – spiega – lavorare nella
prestigiosa Università della Co­
lumbia significava acquisire note­
vole esperienza e conseguire mag­
giori qualificazioni che avrebbero
ricompensato il grosso sacrificio
della mia partenza. In secondo
luogo per me era indispensabile
possedere un’ottima padronanza
dell’inglese dal momento che, nel
mio contesto professionale, tutto
“parla” in questa lingua: articoli,
testi, congressi. La mia conoscen­
za, allora, era invece poco più che
sufficiente. Per ultimo ero da sem­
pre affascinata e incuriosita dalla
metropoli americana. L’idea era
quella di un’enorme, ricca, frene­
tica città immersa nel caos del
traffico; un luogo che, però, imma­
ginavo ricco di stimoli e opportu­
nità. È stato amore “a prima vista”:
subito al mio arrivo, mentre dal
finestrino dell’aereo si delineava
il più famoso skyline del mondo,
hocapitodiaverpreso la decisione
giusta».
«Il progetto a cui partecipavo
n n Qui ho trovato l’amore:
il matrimonio a
Manhattan con i parenti
collegati via Skype»
SILVIA PASINI
STUDIOSA DI BIOTECNOLOGIE
tendeva a stabilire la funzione di
un gene, precisamente l’ATF4 nel
contesto dell’apprendimento e
della memoria. Attraverso esperi­
menti su topi adulti la ricerca mi­
rava a verificare cosa succedeva
nell’animale nel caso in cui il gene
non fosse stato espresso, ma silen­
ziato. L’obiettivo a lungo termine
era stabilire quanto il gene fosse
responsabile in alcune patologie
neurodegenerative, come il
Parkinson e l’Alzheimer».
«E alla Columbia – prosegue –
ho avuto l’occasione di conoscere
personalmente e ascoltare i semi­
nari di Eric Kandel, professore di
Biofisica e Biochimica, lo psichia­
traeneuroscienziatochenel2000
è stato insignito del premio Nobel
per la medicina, in virtù delle sue
ricerche sulle basi fisiologiche del­
la conoscenza della memoria nei
neuroni».
«All’inizio trascorrevo molte
ore in laboratorio in un silenzio
quasi assordante, ma il timore di
non riuscire a comunicare in mo­
do chiaro e preciso mi tratteneva
– ricorda –. Per fortuna il team dei
colleghi, molti dei quali stranieri,
ripercorrendo il vissuto del pro­
prio arrivo, ha cercato in tutti i
modi di coinvolgermi. Il lavoro,
poi, mi piaceva, mi prendeva così
tanto che spesso vi ritornavo an­
che dopo cena dove trovavo ad
aspettarmi i miei amici topi».
«Sapere che quell’esperienza
avrebbe avuto un peso notevole
nella mia formazione e nel mio
futuro professionale mi rendeva
forte e determinata. Stringevo i
denti e ripetevo il motto che era
diventato il refrain della mia vita
in quel periodo: “Silvia, buttati!”.
Già al mattino presto, prima di re­
carmi al lavoro, consultavo il sito
“Cosa fare oggi a New York” per
scegliere tra le migliaia di propo­
ste e di iniziative. Leggevo tutto
quello che mi passava tra le mani
Bergamo senza confini è un progetto de
e che mi appariva interessante,
scrivendo su un’agendina le paro­
le più significative per arricchire
il mio vocabolario». La città ha
confermato le sue aspettative e si
è mostrata, da subito, giovane e
dinamica,conunagrandeenergia,
quell’energia che Silvia doveva as­
sorbire, fare sua per integrarsi be­
ne e in tempi brevi.
«In questa metropoli, inoltre –
osserva – è impossibile non consi­
derare l’aspetto della multicultu­
ralità:ivagonidellametropolitana
sono il teatro della più ampia rap­
presentazione dell’eterogeneità
delle persone. Tra una fermata e
l’altra salgono e scendono migliaia
di individui così diversi, di tante
razze e nazionalità. Gli sguardi si
incrociano e non ci si sente più
soli: paradossalmente la gente in­
torno ti fa compagnia. Poco prima
di rientrare in Italia per il mio dot­
torato, continua, il mio principal
investigator, il mio tutore, mi pro­
pose di continuare a impegnarmi
nel lavoro di ricerca che avevo in­
trapreso,manonconcluso.Perme
quella richiesta rappresentava un
grande attestato di stima e fiducia
che mi inorgogliva, oltre che una
grossa opportunità da non perde­
re». Così Silvia, caparbia e risoluta,
accetta subito l’incarico sceglien­
do di terminare il suo progetto e
attendere la pubblicazione del la­
voro di ricerca. Contava di fermar­
si lì ancora un anno, massimo due.
Nel frattempo, però, a livello per­
sonale, succede qualcosa che Sil­
via non aveva preventivato, ma
che si traduce con il popolare pro­
verbio: «Al cuor non si comanda».
S’innamora di Mikin, un ragazzo
indiano, che a New York è arrivato
all’età di 18 anni per frequentare
l’università, la sua stessa facoltà,
e che è diventato, poi, suo collega
di laboratorio. L’amore, si sa, spes­
so, scombina le carte e anche i de­
stini. Tanto che nel maggio dello
in collaborazione con
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1.Silvia Pasini, 31 anni, di Alzano vive a New York e presto si trasferirà a Nashville nel Tennessee:
studia le malattie neurodegenerative; tra i suoi docenti anche il Nobel per la medicina Eric Kandel; 2. Il
matrimonio al municipio di Manhattan con il marito Mikin, di origine indiana e i colleghi di lavoro della
Columbia University. I suoi genitori hanno seguito la cerimonia via Skype; 3. Silvia e Mikin immagina­
no il loro futuro negli Stati Uniti, un Paese abituato al multiculturalismo
scorsoannoidueconvolanoanoz­
ze nel Comune di Manhattan alla
presenza dei colleghi come testi­
moni; i parenti assistono alla cele­
brazione dall’Italia e dall’India,
via Skype. Silvia, alla domanda su
cosa immagina nel suo futuro, ri­
mane in silenzio, pensierosa, per
alcuni secondi prima di risponde­
re. «Se ascolto e faccio parlare il
cuore dico che mi vedo in Italia
conmiomarito,circondatadall’af­
fetto dei miei genitori e da quello
delle mie nipotine di cui mi ram­
marico di non vederne la crescita.
Se la risposta è mediata dalla ra­
zionalità so che questa ipotesi è, a
oggi, troppo remota. Innanzitutto
per la realtà lavorativa che, per il
momento,danoimisembratutto­
ra incerta. Abituata, poi, agli
aspetti pluriculturali della società
americana credo che nella nostra
nazione ci siano, al momento, an­
cora troppi pregiudizi e paure nei
confronti delle persone che ap­
partengono ad etnie diverse. E
Mikin sarebbe uno di loro». Tra
qualche tempo, però, un altro
cambiamento è previsto nella vita
di Silvia e di suo marito: entrambi
si trasferiranno a Nashville, nel
Tennessee, per lavorare presso la
Vanderbilt University. Il primo
per ultimare il suo percorso di dot­
torato che in America dura sei an­
ni, lei per lavorare a una nuova
ricerca, sul glaucoma, una patolo­
gia dell’occhio. Il viaggio è solo al­
l’inizio.
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