Mediazione e attività della Svizzera in Africa

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Mediazione e attività della Svizzera in Africa
Dipartimento federale degli affari esteri DFAE
Direzione politica DP
Divisione politica IV, Sicurezza umana
BERNA, 1° OTTOBRE 2008
MEDIAZIONE E ATTIVITÀ DELLA SVIZZERA IN AFRICA
Mediazione e facilitazione
Contribuendo a favorire uno sviluppo sostenibile, pacifico e stabile degli Stati, l’impegno per la pace e
il sostegno dei processi di pace figurano fra gli obiettivi prioritari della politica estera della Svizzera.
Dalla fine della guerra fredda la grande maggioranza dei conflitti interni violenti si è risolta grazie ai
negoziati di pace. Negli ultimi sette anni soltanto 5 conflitti sono terminati con la vittoria di una parte e
17 mediante negoziati. La maggioranza degli stessi ha visto la partecipazione di attori terzi in veste di
mediatori o facilitatori al processo di pace. Anche la Svizzera è mediatrice e facilitatrice nei processi di
pace.
Mediazione
Nell’ambito della mediazione una parte terza riceve un mandato dalle parti in conflitto. La parte terza
non solo rende possibile l’incontro delle parti bensì le sostiene nella ricerca di soluzioni sostanziali.
Può
• consegnare la proposta di soluzione di una parte all’altra parte,
• mediare tra le parti sul piano dei contenuti e
• formulare proprie proposte.
Facilitazione
Nell’ambito della facilitazione la parte terza sostiene, facilita e stimola il contatto tra le parti in conflitto,
senza coinvolgersi a livello sostanziale nei negoziati. È eletta liberamente dalle parti in conflitto.
Provvede affinché le parti possano
• incontrarsi in un luogo neutro,
• discutere possibili soluzioni del conflitto,
• giungere a negoziati e
• firmare un accordo.
Di regola oggi i negoziati di pace costituiscono processi molto complessi condotti da un mediatore
sperimentato. Questo è sostenuto da esperti che hanno raccolto esperienze in svariati settori
(strutture statali, diritto costituzionale, elezioni, riforma del settore di sicurezza, disarmo e
reintegrazione di ex combattenti nonché superamento del passato).
Colloqui con tutti le parti in conflitto
Chi considera i negoziati di pace uno strumento idoneo alla soluzione dei conflitti non nutre dubbi sulla
necessità di un dialogo con tutte le parti in conflitto, siano esse Governi, gruppi rivoltosi, minoranze
etniche e sociali. In primo luogo un mediatore deve tuttavia convincere i gruppi armati parastatali e i
Governi della necessità di aprirsi a negoziati; talvolta quest’opera di convincimento può durare anni.
Fortunatamente l’avvio di negoziati si rivela oggi sempre più agevole anche se, come mostrano gli
esempi dello Sri Lanka e del Darfur, non è detto che essi culminino in un accordo di pace. Può anche
succedere che un accordo di pace negoziato dalle delegazioni delle parti in conflitto e prossimo alla
firma non sia firmato dai capi ribelli, com’è stato il caso della Lord Resistance Army (LRA) in Uganda.
Gli insuccessi possono sempre verificarsi.
Il compito del mediatore è assai delicato poiché implica la necessità di interloquire con persone il cui
agire è in netto contrasto con i nostri valori morali. Si farebbe perciò volentieri a meno di un contatto
diretto con questi "bad guys", i quali possono essere Governi o capi ribelli che fanno consapevolmente
della popolazione civile le vittime di conflitti bellici, compiono crimini di guerra, contro l’umanità o
addirittura genocidi e sono chiamati a risponderne dinnanzi al giudice, com’è stato il caso di Slobodan
Milosevic, Radovan Karadzic o Joseph Kony.
Nelle trattative con questo tipo di parti s’impone grande prudenza e, prima di avviare negoziati,
occorre chiarire con precisione l’identità delle parti ai negoziati, i motivi alla base degli stessi e il loro
contenuto oltre che i tempi in cui essi devono aver luogo e i limiti entro i quali vanno svolti. Un
esempio di tali limiti consiste nell’esclusione di un’amnistia per capi ribelli o presidenti di Governo
accusati dal Tribunale penale internazionale.
L’impegno svizzero
La Svizzera è mondialmente riconosciuta come parte terza importante. Dal 2000 il Dipartimento
federale degli affari esteri (DFAE) è stato coinvolto in oltre 20 negoziati di pace distribuiti in15 Paesi 1 .
L’esercizio di questo suo ruolo avviene secondo modalità diverse, ad esempio con l’impegno diretto di
ambasciatori o specialisti (Special Peace Building Advisers) nei negoziati oppure con l’invio di esperti
in team di mediazione diretti dall’ONU, dall’African Union (AU) o da organizzazioni africane regionali
quali ad esempio la IGAD (Inter-Governmental Authorithy on Development). Talvolta il DFAE
interviene anche indirettamente, con sostegni finanziari all’ONU o a ONG. È in stretta collaborazione
con parecchie ONG, fra cui il Centre for Humanitarian Dialogue. In due casi il DFAE ha anche
collaborato con due privati – il professor Jean-Pierre Gontard in Colomia ed Alexis Keller – nell’ambito
dell’Iniziativa di Ginevra.
Sudan
Accordo di armistizio nella regione dei Monti Nuba: Un ambasciatore svizzero ha assunto nel
gennaio 2002 sul Bürgenstock la conduzione di un team di mediazione svizzero-statunitense nonché
mediato con successo un accordo di armistizio nelle regioni dei Monti Nuba. Tale accordo ha
contribuito in modo essenziale ai negoziati di pace tra Sudan del Nord e del Sud.
Accordo di pace tra Sudan del Nord e del Sud: Un esperto svizzero in materia di federalismo e di
mediazione coinvolto nei negoziati di pace nella regione dei Monti Nuba ha proposto, in veste di
membro del team di mediazione IGAD sotto Lazaro Sumbeiywo – un generale keniano –, elementi
importanti dell’accordo di pace nonché condotto negoziati con le parti.
Darfur: L’esperto ha collaborato anche ai primi negoziati di pace per il conflitto nel Darfur ad Abuja.
L’accordo di pace è stato tuttavia firmato soltanto da uno dei numerosi movimenti ribelli del Darfur e
dal governo sudanese. I conflitti non sono ancora cessati.
D’intesa con la AU-UNO Darfur Mission, uno Special Peacebuilding Adviser della Svizzera lavora dallo
scorso inverno principalmente con i movimenti ribelli e offre loro capacity building onde migliorare le
loro competenze nei negoziati e elaborare opzioni negoziali congiunte; il processo di pace ad Abuja
era tra l’altro fallito a causa della forte frammentazione dei movimenti ribelli e del fatto che gli stessi si
trovavano, oltre che nell’impossibilità di sviluppare opzioni negoziali congiunte, anche in una posizione
subordinata rispetto al governo sudanese.
Le attività di mediazione nel Sudan sono sostenute da un programma di promovimento della pace.
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Aceh indonesiano, Nepal, Sri Lanka, Georgia, Balcani, Cipro, Israele–regioni palestinesi occupate,
Israele-Siria, Sudan, Uganda, Repubblica centrafricana, Somalia, Burundi, Colombia, Messico
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Somalia
Un esperto svizzero sostiene da diversi anni il governo di transizione a Baidoa, nel processo
costituzionale e di riconciliazione attuato con molte esitazioni nel quadro di un progetto dell’ONU in
Somalia.
Burundi
Un esperto svizzero era responsabile per l’elaborazione dei progetti dell’accordo di pace del 2000 ad
Arusha, nell’ambito dei negoziati di pace tra il governo del Burundi e i movimenti ribelli Hutu, guidati
dapprima da Julius Nyerere e, alla sua morte, da Nelson Mandela in veste di Senior-Mediator.
Negli ultimi anni la Svizzera ha finanziato la ONG “Initiatives et Changement International de Caux”
nel Burundi. I suoi collaboratori in loco sostengono la mediazione in Sudafrica tra il governo e il
movimento ribelle Palipehutu-FLN. Essi intervengono segnatamente in veste di mediatori tra il team di
mediazione sudafricano e il FLN, a causa della scarsa fiducia che quest’ultimi nutrono nei confronti
della mediazione sudafricana. Il Peacebuilding Adviser svizzero cura sul posto un vasto programma
per il promovimento della trasformazione dei conflitti e lavora a stretto contatto con i collaboratori di
“Initiatives et Changement International de Caux”.
Uganda
Riak Machar, vicepresidente del Sudan del Sud, ha avviato nel 2006 un processo di mediazione tra il
governo ugandese e la Lord Resistance Army (LRA), invitando la Svizzera a inviare un esperto in
mediazioni. Consapevole del fatto che la Corte penale internazionale (ICC) abbia condannato Joseph
Kony, capo della LRA, e quattro suoi comandanti, il DFAE si è impegnato nel processo di pace
formulando comunque chiare condizioni preliminari fra cui l’intento di informare la Corte penale
internazionale (ICC) sui passi essenziali intrapresi e la volontà di rifiutare in ogni caso una prospettata
amnistia da parte dell’Uganda nei confronti di Kony e dei suoi comandanti. L’esperto svizzero ha
elaborato la struttura dell’intero processo negoziale e formulato una proposta di accordo di armistizio
("Cessation of Hostilities"); quest’ultimo è già stato firmato da ambo le parti nell’agosto 2006. Da allora
nel Nord dell’Uganda regna la pace e i circa 1.5 milioni di Acholi scappati dalla guerra cruenta e
sanguinosa e sopravvissuti in campi di rifugiati soltanto grazie agli aiuti internazionali in beni alimentari
hanno potuto così ritornare ai loro villaggi.
Questo rapido successo ha fatto sì che anche l’ONU e diversi Stati hanno preso parte al processo di
pace. Come d’intesa, l’esperto svizzero si è ritirato dai negoziati quando, in una procedura sommaria
che ha visto la partecipazione degli Acholi, sono stati fissati in un accordo i meccanismi tradizionali in
materia penale di riconciliazione e, in alternativa all’ICC, è stata istituita una camera penale nazionale
della corte suprema per i crimini commessi durante la guerra civile. L’accordo di pace è stato firmato
dal governo nell’aprile 2008 ma non da Joseph Kony, il quale non nutre alcuna fiducia nella
correttezza della procedura giudiziaria: il team di mediazione non è infatti riuscito a dissipare i dubbi di
Kony nei confronti del governo ugandese.
Sostegno di mediatori e facilitatori nell’Africa francofona
Uno degli obiettivi essenziali della Svizzera consiste nel rafforzamento della mediazione e della
facilitazione in Africa, in principal modo nei Paesi francofoni. Nel febbraio 2007 la Svizzera ha
organizzato di concerto con l’“Organisation internationale de la Francophonie” (OIF) un seminario a
Ginevra che ha visto la partecipazione di 40 personalità africane d’alto rango, mediatrici in conflitti nel
loro continente. L’incontro è stata un’occasione di scambio di esperienze e di dialogo sulle possibilità
di ampliare gli strumenti di mediazione. Nel luglio 2008 ha diretto congiuntamente a “Initiatives et
Changement International” (Caux) un altro seminario di mediazione nell’Africa francofona, nell’intento
di rafforzare la rete di contatti e lo scambio di conoscenze tra i mediatori dell’Africa occidentale e
centrale.
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La Svizzera sostiene i mediatori anche a livello regionale, come nel Ciad e nella Repubblica
centrafricana, in quanto Paesi che partecipano agli sforzi per la pace. Ha inoltre organizzato nel
dicembre 2007 a Yaoundé, unitamente al Centro delle Nazioni Unite per i diritti umani e la
democrazia, un seminario con circa venti partecipanti provenienti dai due Paesi menzionati. Il
seminario ha permesso un’analisi approfondita dei conflitti e ha fornito ai partecipanti gli strumenti
grazie i quali potranno esercitare in modo ottimale il loro ruolo attivo nei dialoghi politici all’interno dei
loro Paesi.
Nella Repubblica centrafricana un collaboratore del Pool svizzero di esperti per la promozione civile
della pace del DFAE ha organizzato, in collaborazione con l’ONG swisspeace e l’ONU, un workshop
per membri di governo, di partiti d’opposizione, della popolazione civile e di movimenti ribelli nel
quadro del dialogo tra tutti i partiti a Bangui (Repubblica centrafricana). I delegati hanno elaborato
nell’ambito di un gioco di ruoli le soluzioni ad altri conflitti, riguardanti ad esempio l’utilizzazione
dell’acqua del Nilo. Riuscire a elaborare soluzioni insieme al “nemico“ ha costituito un’esperienza
pregnante che ha influito molto positivamente sui dialoghi successivi.
Dallo scorso autunno la Svizzera s’impegna nel Mali e nel Niger ad allacciare una serie di contatti al
fine di sostenere il dialogo politico sul piano regionale e nazionale e ai più alti livelli.
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