Le armi e la legittima difesa. Le armi: acquisto, detenzione e porto.

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Le armi e la legittima difesa. Le armi: acquisto, detenzione e porto.
Le armi e la legittima difesa.
È stato acutamente osservato che una società che ammette la legittima
difesa non può negare ai singoli il possesso e il diritto a portare armi, che
rappresentano l’essenziale strumento per rendere concreta tale facoltà.
Da qui la stretta connessione tra due temi (detenzione delle armi e
legittima difesa) che, peraltro, hanno una loro propria autonomia.
Saremmo tutti felici di poter confinare le armi all'ambito puramente
storico o sportivo e così, in effetti, è per molti di noi, grazie al fatto che
viviamo in una società sufficientemente ordinata e pacifica.
Non dimentichiamoci però che la nostra pace è salvaguardata anche da
circa quattrocentomila appartenenti alle forze di polizia, persone che
ogni giorno escono di casa armate per prestare il loro servizio a tutela
della sicurezza dei cittadini.
Basterebbe solo questa considerazione per confinare l'idea di una società
senz'armi nel novero delle belle utopie.
Ciò premesso, non potendo certamente in poche righe esaminare tutti gli
aspetti d’interesse sia in tema di normativa sulle armi sia in quello della
legittima difesa, cercherò di accennare ai temi principali, quanto meno
nell'ambito del comune interesse.
Le armi: acquisto, detenzione e porto.
Prima di parlare della legittima difesa, cerchiamo di capire entro quali
limiti il nostro ordinamento consente ad un privato di possedere un’arma
e di usarla.
Molti credono che in Italia vi sia una normativa molto restrittiva in tema
di acquisto e di detenzione d’armi ma ciò – almeno fino ad oggi – non è
vero. Anzi, la nostra è forse una delle più permissive al mondo. Chiunque
può acquistare un'arma semplicemente recandosi in armeria ed esibendo
una licenza di porto d'armi. Se ne è sprovvisto, può chiedere al questore
della provincia in cui risiede una speciale autorizzazione, che si chiama
“nulla osta”. Addirittura, una simile facoltà è concessa anche allo
straniero residente in Italia.
Una volta acquistata l'arma, occorre solamente denunciarne la
detenzione presso il commissariato o, se manca, presso la stazione dei
carabinieri del luogo in cui ci si risiede o in cui l'arma sarà tenuta.
Non occorre nessuna autorizzazione per detenere l'arma. La stessa
procedura vale per l'acquisto delle munizioni (impropriamente chiamate
“proiettili”).
Esiste il dovere di custodire in modo diligente le armi detenute e di non
lasciarle alla portata di minori o di persone incapaci. Nella maggior parte
dei casi, può essere sufficiente tenerle sotto chiave in un cassetto o in un
mobile, facendo lo stesso per le munizioni.
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Come dirò in seguito, non è obbligatorio tenere le armi scariche né tanto
meno smontate, perché una delle ragioni per cui si possono tenere in
casa è, per l'appunto, l'intenzione di usarle per difesa (cd. “difesa
abitativa”).
Chi vuole usare un'arma fuori della propria abitazione, ha necessità di
un’apposita autorizzazione, che si chiama “licenza di porto”. Ne esistono
più tipologie. Essenzialmente sono il porto di fucile per uso di caccia, il
porto di fucile per il tiro a volo e il porto di pistola o rivoltella per difesa
personale.
Quest'ultima licenza, che ha come specifica finalità la difesa personale,
viene rilasciata con molta parsimonia dai prefetti, che non si
accontentano – come previsto dalla legge – di un “dimostrato bisogno” di
andare armati, ma esigono invece che l'interessato dimostri una
situazione di particolare esposizione al pericolo (come nel caso di chi
maneggia abitualmente ingenti somme di denaro oppure di professionisti
esposti a minacce e così via). Sta di fatto, che ogni anno in Italia vengono
rilasciate o rinnovate circa quarantamila licenze di porto di pistola o
rivoltella per difesa personale, cui sono da aggiungerne circa
sessantamila analoghe licenze rilasciate alle guardie giurate per il loro
servizio. Le persone interessate al rilascio di una licenza per difesa sono
certamente molte di più!
Le altre licenze menzionate sono destinate ad attività sportive (caccia o
tiro a volo) ma servono anche per potere acquistare armi senza dovere
ogni volta chiedere il nulla osta al questore. Normalmente, queste licenze
non possono essere negate alle persone maggiorenni incensurate e che
abbiano buona condotta ma il rilascio presuppone che la persona attesti
con un’apposita certificazione medica che è in possesso di determinati
requisiti psicofisici.
Chi porta un'arma deve ovviamente conformarsi a norme di prudenza e a
determinate disposizioni di legge (come quella che vieta di portare armi
in pubbliche riunioni, sui treni, sugli aerei).
Al momento del rilascio della licenza occorre documentare la propria
abilità tecnica. In seguito, per i semplici cittadini non c'è alcun obbligo di
seguire corsi o sessioni di tiro mentre tale obbligo è previsto per le
guardie giurate e per gli appartenenti alle forze di polizia.
Legittima difesa
Si tratta di uno dei temi più spinosi del diritto penale. Diciamo subito che
non esiste un confine netto tra la difesa “legittima” e quella che tale non
è. La definizione è contenuta nel codice penale (art. 52):
“Non è punibile
chi ha commesso il fatto, per
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esservi stato costretto dalla necessità di difendere
un diritto proprio od altrui contro il
pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre
che la difesa sia proporzionata all’offesa”.
In queste poche righe è contenuta una serie di prescrizioni che
dovrebbero guidare la condotta di chi si trovasse nella situazione di
doversi difendere e che - pur nella concitazione del momento – dovrebbe
tenere conto di una serie di alternative possibili, tanto da graduare in
modo appropriato la reazione all’aggressione altrui.
Una recente legge, approvata nel corso della passata legislatura, ispirata
forse ad un maggiore liberismo in materia di legittima difesa, ha
aggiunto un ulteriore comma al citato articolo 52:
“Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e
secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione
di cui al primo comma del presente
articolo se taluno legittimamente presente in
uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente
detenuta o altro mezzo idoneo al
fine di difendere:
a) la propria o altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è
desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma
si applica anche nel caso in cui il fatto sia
avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove
venga esercitata un’attività commerciale,
professionale o imprenditoriale”.
Questa disposizione – nelle intenzioni di chi l’ha introdotta – avrebbe
dovuto ridurre il margine di discrezionalità del giudice nel decidere se
una persona, aggredita all’interno della propria abitazione, abbia o no
legittimamente fatto uso di un’arma per difendersi.
Una recentissima sentenza della Cassazione ha però raffreddato gli
entusiasmi (o gli allarmismi) di chi aveva potuto interpretare la nuova
legge come una sorta di “licenza di uccidere” da parte del padrone di
casa nei confronti del ladro o del rapinatore, introdottosi illecitamente
nell’abitazione.
Nella specie, la Cassazione ha stabilito che, anche alla luce delle nuove
norme, deve escludersi la giustificazione della legittima difesa alla
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persona che spara al ladro in fuga.
Il punto che spesso è oggetto di malintesi è se sia legittimo sparare al
ladro che fugge con la refurtiva. La risposta a tale quesito ci porta al
cuore del problema.
L’opinione prevalente è, infatti, che l’utilizzo dell’arma o di altro mezzo
analogamente idoneo, con modalità lesive dell’interesse alla vita o
all’incolumità dell’aggressore, è legittimo solo per contrastare un
pericolo di pregiudizio incidente sull’identico bene della vita o
dell’incolumità dell’aggredito o di altri.
L’idea prevalente è dunque quella secondo cui non è legittimo sparare o
comunque uccidere per difendere beni patrimoniali ma solo per tutelare
la vita propria o di altri. In altre parole, la lesione inflitta per difesa deve
essere dello stesso tipo di quella che l’aggressore potrebbe infliggere
all’aggredito.
Oltre a ciò, occorre:
 che l’aggressione sia ingiusta;
 l’inevitabilità del pericolo;
 la proporzione tra difesa ed offesa;
 che la reazione sia l’unica possibile e che non sia sostituibile con
altra meno dannosa per l’aggressore;
 che l’aggressione sia ancora in atto (attualità del pericolo).
Manca in concreto una sorta di “manuale della legittima difesa”, che
permetta a ciascuno di valutare esattamente, nel breve tempo a
disposizione, quale reazione possa essere considerata adeguata e
proporzionata dal giudice.
Ciò dipende dal fatto che l’ordinamento, pur non vietandola, vede con un
certo sfavore la difesa privata, sulla base dell’assioma che il compito di
tutelare i cittadini sia rimesso allo Stato e che i singoli non devono fare
uso della forza per difendersi ma ricorrere alla magistratura o alle forze
di polizia per trovare tutela.
Si tratta in sostanza di una concreta esplicazione della teoria del
“contratto sociale”, attribuita a Rousseau, secondo la quale alla base
dello stato moderno vi è un “patto” tra i cittadini, che rinunciano a parte
della loro libertà in favore di un ordinamento statale, che garantisca
ordine e giustizia.
Un’applicazione concreta di tale principio è presente anche in due
articoli del codice penale, il 392 e il 393, che vietano di farsi ragione da
sé medesimi con violenza alle cose o, rispettivamente, alle persone,
quando è possibile “ricorrere al giudice”.
In sintesi, potremmo dire che il contratto sociale trova applicazione in
tutti i casi, salvo quello in cui la situazione concreta impedisca
l’intervento degli organi dello stato preposti alla tutela dei cittadini. Tale
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ipotesi, che dovrebbe essere residuale, accade invece con frequenza
nella realtà di tutti i giorni, perché non sempre è possibile l’intervento
immediato di un poliziotto o di un magistrato. Con questo però lo stato
non rinuncia facilmente al suo privilegio di amministrare giustizia e
tende a restringere il più possibile lo spazio dell’autotutela privata.
Conclusione
Nessun ordinamento giuridico può vietare la legittima difesa, per la
semplice ragione che gli organi dello stato non possono essere
dappertutto né tutelare il singolo cittadino in ogni momento della sua
giornata.
L’uso delle armi per la difesa personale è riconosciuto dalla legge, ma
incontra limiti ben precisi, non sempre facilmente individuabili dal
comune cittadino ma spesso anche dal giurista.
La legittima difesa non ha nulla a che vedere con il farsi giustizia da sé.
Chi si serve della forza (non importa se delle armi o di altra natura) per
far valere le proprie ragioni non esercita un diritto ma commette un
reato.
Biagio Mazzeo
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