DANZARE IL MONDO
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DANZARE IL MONDO
DANZAREILMONDO Frammenti di paesaggio a macchie di crescita Sentieri nell’antropologia del paesaggio Relazione Prof. Matteo Meschiari La tesi di Paolo Maccagno dal titolo Danzare il Mondo e con due sottotitoli, Frammenti di paesaggio a macchie di crescita e Sentieri nell’antropologia del paesaggio, si configura come una ricerca ampiamente originale sul rapporto UomoNatura. Mentre il titolo offre un compendio evocativo del punto di vista del candidato, che auspica un approccio danzato (metaforicamente, ma anche come incontro corporeo) dell’uomo con lo spazio terrestre, i sottotitoli forniscono due coordinate più strettamente concettuali per illustrare struttura e ambito della ricerca. L’idea di “frammento” indica in modo dichiarativo il proposito di non voler sviluppare un discorso tradizionale e sequenziale sui temi esaminati, ma si affida a un uso molto antico e molto attuale di rappresentazione del mondo e del sapere. In particolare, il frammento, con la sua natura incompiuta e metonimica, appare a Maccagno come la formula espositiva più omogenea al soggetto trattato: il paesaggio, sistema di macchie di crescita, non può essere imbrigliato in un flusso unitario di parola ma, in qualche misura, deve informare di sé la struttura stessa del discorso, che deve farsi, appunto, “paesaggistica”. Così “frammenti” e “macchie di crescita” sono due poli di un’unica struttura: spazio del testo e spazio concreto si fanno specchio a vicenda, con un testo che diventa paesaggio e un paesaggio che accetta di essere rappresentato come testo. Di qui tutta l’architettura della tesi, che si potrebbe definire un’antologia paesaggistica di citazioni paesaggistiche. Vorrei attirare l’attenzione su questo aspetto, perché non si tratta di un semplice centone, desunto da opere e pensieri racimolati con gusto soggettivo. Al contrario, occorre notare la portata strutturale dell’impianto: al centone contrapporrei infatti un’altra metafora culta del Medio Evo, quella della mellificatio, dove il raccogliere pollini concettuali è in funzione non di un mero collezionismo ma di una trasformazione alchemica. A ben osservare, si noterà infatti che i frammenti sono organizzati per risuonare l’uno nell’altro, per farsi eco a distanza o in posizione contigua, e insomma, trascelti, riorganizzati, mescolati e riordinati, producono un discorso che non assomiglia a nessuno dei testi di origine. L’originalità è invece quella sottile degli spazi bianchi tra un frammento e l’altro, proprio nel senso che è la struttura soggiacente alle macchie di testo che produce incontri/scontri di idee. Per usare l’immagine scelta dal candidato, un paesaggio non è fatto solo di macchie, ma anche delle loro crescite, e proprio a queste crescite occorre prestare attenzione per entrare in modo corretto nella lettura verbale e visiva del lavoro. Questa idea strutturante, infatti, non interessa solo i singoli capitoli, ma si ramifica a tutta la ricerca, in un gioco di specchi tra i capitoli che in molte occasioni risuonano l’uno nell’altro. Proprio per questo Maccagno non ha voluto procurare un indice tradizionale, ma ha approntato una sorta di mappa topologica dei temi trattati, una mappa resa graficamente come un sistema a macchie in cui contiguità, sovrapposizioni, distanze, scavalcamenti, arrontondano in paesaggio la materia trattata. Questa idea cartografica e rizomatica del sapere copre tendenzialmente tutti gli ambiti-macchie-terreni che il candidato ha ritenuto coerenti al proprio discorso. In particolare: conoscenza del mondo come danza; due modelli di pensiero, meccanicistico e complesso; l’eredità genetico-cognitiva di Homo sapiens sapiens; il corpo come strumento conoscitivo; l’ecologia sacra; le tracce di paesaggio nella cultura, sulla scorta di Cézanne, Minkkinen Arno Rafael, Marco Pieri, Dancing Cities, Werner Herzog, Hamish Fulton, Roberto Ghidoni, Angelo D’Arrigo, Troll, Sami Rintala, e altri singoli individui o gruppi che hanno lasciato segni artistici, concettuali e umani sul pensiero-paesaggio; i giochi di paesaggio, dove gioco ed esplorazione sono tutt’uno, alla ricerca di un’interazione giocata con la realtà; e, per concludere, il vasto universo della Wilderness. Nelle molte pagine di osservazioni, frammenti antologici, lampi di immagini che compongono ciascun “terreno” della sua mappa-paesaggio, Maccagno non si limita a scegliere un ordine interno, ma apre piste trasversali tra i capitoli, tra i campi del sapere che attraversa, linkando come in un ipertesto-rizoma le aree affini o lontane. Qui comprendiamo allora che i “sentieri” del secondo sottotitolo non sono solo una metafora, ma funzionano come un invito a trasformare la conoscenza in “conoscenza camminata”, realmente. Si può anzi dire che il pensiero perennemente bipede di Maccagno, la sua camminata, il suo correre verso un desiderio di essere e di sapere, è il cuore pulsante del lavoro, un grande sistema cardiocircolatorio che pompa emozione e entusiasmo a una materia altrimenti straniera e distante come è e deve essere tutta la Wilderness. Il risultato è un unicum come unico e irripetibile è ogni paesaggio. Un lavoro che, per fortuna, almeno per una volta, non è inscrivibile in una definizione, ma richiede una parola empatica per essere descritto. Posso allora concludere: personalmente ritengo che il valore ultimo di questa ricerca sia quello di aver racchiuso in un contenitore magmatico una micro-biblioteca di Babele del paesaggio. E una biblioteca pensante. Qualcosa in grado di accompagnare coloro che del paesaggio ha fatto una meta di amore e militanza. Matteo Meschiari