numero 4 anno VII – 28 gennaio 2015
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www.arcipelagomilano.org numero 4 anno VII – 28 gennaio 2015 edizione stampabile www.arcipelagomilano.org GIULIANO PISAPIA: L’OBBLIGO DI RICANDIDARSI Luca Beltrami Gadola Giuliano Pisapia non può sottrarsi al suo secondo mandato. Ne capisco perfettamente le incertezze ma forse, prima di decidere dovrebbe fare come re Abdallah II di Giordania che anni fa, travestito da taxista, un pomeriggio, andò in giro per Amman stuzzicando i passeggeri per sentire le loro opinioni più genuine e non mediate dalla corte. Capì cosa la gente pensasse di lui. Enrico V, come ci dice Shakespeare, prima della battaglia di Azincourt andò travestito tra le sue truppe per sondarne gli umori e sapere se poteva contare sulla loro fedeltà. Due sondaggi diversi: il popolo e le truppe. Per Pisapia sono due dati indispensabili per capire che aria tira in città e su chi può contare in politica, sgomberando il campo dal timore reverenziale degli uni e la cortigiana piaggeria degli altri. Anche se l’esito non fosse esaltante - opinione pubblica poco favorevole e partiti divisi e scarsamente leali Giuliano Pisapia non può sottrarsi: sarà una corsa in salita con il pericolo soprattutto alla spalle ma deve esser fatta. Rinunciare al secondo mandato sarebbe letto in molti modi, tutti poco gradevoli: timore di una sconfitta, ammissione di propri errori, sensazione di inadeguatezza rispetto alle promesse fatte, poco rispetto per l’elettorato che l’ha votato e per chi l’ha sostenuto; non osare giocare il secondo tempo della partita che in realtà è quello della possibile vittoria di questa compagine politica. Di quest’ultimo aspetto vorrei parlare. Il secondo mandato, per legge l’ultimo, è il più incisivo, il più libero, il più sciolto dagli obblighi di ricercare sostegno politico, non solo ma per Pisapia quello che gli consentirebbe di guardare di più al futuro della città: il famoso progetto. Onestà intellettuale vuole che si riconosca a Sindaco e Giunta la fatica fatta sino a ora per rimettere in sesto la barca e tappare le falle della gestione di Letizia Moratti, destreggiandosi tra gli scippi finanziari del Governo senza troppo gravare sui cittadini. Forse questo tempo non è ancora finito. Quello che si poteva fare in questo clima si è fatto, in particolare mettendo in campo tutte le opportunità non finanziarie in mano alla Giunta come l’assegnazione di edifici comunali per attività assistenziali, sociali e di incentivo all’innovazione. Alcune auspicabili rotture con il passato morattiano non erano praticabili, vedi il caso Expo, o politicamente impercorribili vista la maggioranza, come avere una mano più ferma sulla vicenda M4. Le vicende non sono ancora concluse e sul dopo Expo la partita è ancora tutta da giocare. Probabilmente un anonimo sondaggio in città farebbe emergere con franchezza le critiche per come si sono fatte fin qui le cose e per quelle non fatte: le cosiddette promesse mancate. D’altra parte, anche senza sondaggi, i molti comitati che si oppongono alle iniziative comunali so- no la spia di un disagio crescente legato in particolar modo alla cosiddetta partecipazione: “la grande promessa mancata”. Ne abbiamo parlato troppe volte per ribadire ora quello che sulla partecipazione si dovrebbe sapere e non si vuol sapere: la fatica di capire e imparare. Il peggio, in questa fine di mandato, sarebbe attribuire il nascere dei comitati del “no” a una sorta di “perversione” sociale alimentata e resa possibile dalle oscure forze dei social network e ritenere, di conseguenza, che questi comitati nemmeno siano degni di reale ascolto. La ricorsomania non è un’invenzione della società civile ma un comportamento mutuato dalla politica che ne è maestra, strategia resa possibile da un apparato legislativo esondante, confuso, contradditorio e di incerta interpretazione (al quale non si vuol mettere mano) e che spesso condanna la politica, indebolita, a commettere errori formali e a pagali cari. Che poi la società civile ci vada a nozze è inevitabile soprattutto nei casi per i quali le ragioni della politica non sono né chiare né esplicitate, avvolte in una nebbia che sembra sempre nascondere fini oscuri e dove le scelte contraddicono il più elementare buonsenso. Non vedo dunque alternative per il sindaco Pisapia, salvo motivi personali per i quali la privacy “deve” essere assolutamente rispettosa: "l'obbligo di ricandidarsi". LA RICETTA JUNKER SPIEGATA AL SINDACO METROPOLITANO Giuseppe Longhi La Rappresentanza in Italia della Commissione Europea - Ufficio di Milano, ha ritenuto di chiarire, attraverso l'inserzione “Investimenti, il piano operativo entro metà 2015” (Corriere della sera, 14 gennaio), che il piano Junker per finanziare la crescita dell'UE non consiste in un'erogazione di sovvenzioni per 315 miliardi in tre anni, ma di un piano per attrarre investimenti per quell'importo, grazie alla garanzia di un apposito Fondo (Fondo europeo per gli investimenti strategici - FEIS) finanziato con 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio UE e 5 miliardi provenienti dalla BEI. Così, con una garanzia di 21 miliardi si dovrebbe, secondo Junker, generare un effetto moltiplicatore di 15 voln.4 VII 28 gennaio 2015 te e raggiungere i 315 miliardi. Una “renzata” è stata definita da molti commentatori, ma da prendere molto seriamente. Essa segna la fine dell'epoca dei progetti finanziati a fondo perduto dall'UE e conferma il modello operativo della “tripla elica”, secondo il quale, in un nodo di Moebius, quindi senza soluzioni di continuità, corrono in modo collaborativo pubblica amministrazione (specie quella locale), imprenditori, ricerca. Il motore della tripla elica è dunque una pubblica amministrazione il cui ruolo non è spendere passivamente la ricchezza prelevata ai cittadini ma moltiplicarla di ben 15 volte, in virtù della propria managerialità! Una ve- ra e propria rivoluzione nella storia del nostro Stato. Junker immagina un'Europa in cui abbonda cultura creativa sui fronti delle amministrazioni, dell'imprenditorialità, della cultura; soggetti la cui leadership dovrebbe essere così forte da attrarre verso destinazioni produttive una quota significativa dell'enorme massa di ricchezza oggi monopolizzata dalla speculazione finanziaria internazionale. La visione è completata dal ruolo strategico dell'UE, che consisterebbe nel fornire prevalentemente supporto organizzativo e gestionale e non risorse di finanziamento. Quindi l'efficacia del Fondo europeo per gli investimenti strategici è condizionata dalla capacità della nostra 2 www.arcipelagomilano.org pubblica amministrazione, la quale dovrebbe avere leadership creativa e abilità di facilitatrice, per gestire in modo resiliente i progetti. Ma questo deve fare i conti con il parere UE del 2.6.2014 “Raccomandazione del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2014” il quale richiama l'attenzione su alcuni fattori strutturali di svantaggio del nostro paese: - mancanza di coordinamento e inefficiente ripartizione fra i vari livelli di governo; - inadeguatezza della capacità amministrativa e mancanza di trasparenza, di valutazione e di controllo della qualità nella gestione dei fondi UE; - pesante incidenza della corruzione sul sistema produttivo e sulla fiducia nella politica e nelle istituzioni; - spesa sociale destinata in gran parte agli anziani e poco orientata all'attivazione, che di conseguenza non riesce a contenere i rischi di esclusione sociale e di povertà, aggravati dalla situazione del mercato del lavoro che è ulteriormente peggiorata nel 2013, con un tasso di disoccupazione salito al 12,2% e di disoccupazione giovanile al 40%. Le cose non sembrano migliorare sul fronte degli imprenditori e della politica industriale. Mariana Mazzucato in “L'abisso della disuguaglianza” (La Repubblica, 31.12.2014) ricorda come l'industria si sia finanziarizzata, concentrandosi esageratamente sull'accumulo di liquidità e su misure che rafforzano nel breve termine il titolo azionario, invece di puntare su quelle tipologie di spesa che garantiscono crescita nel lungo periodo, come gli investimenti in ricerca, sviluppo e formazione del capitale umano. Nel contempo la Mazzucato confuta la tesi del governo italiano, secondo il quale l'impedimento alla crescita in Italia risiede nel livello di retribuzione dei lavoratori, per cui la soluzione sarebbe la drastica riduzione del costo del lavoro. La realtà è che l'aumento del costo del lavoro è il risultato del calo di produttività dovuto alla carenza di investimenti pubblici e pri- vati in tutte le aree suscettibili di incrementare capitale umano e innovazione. Alla luce di questa situazione di debolezza sia della pubblica amministrazione sia delle imprese come può l'Italia soddisfare i requisiti per accedere al futuro Fondo europeo per gli investimenti strategici e riprendere la via dello sviluppo? A questo quesito rispondono le succitate Raccomandazioni del Consiglio, che indicano nella riqualificazione delle risorse umane il fattore strategico per rendere efficace il percorso delle riforme attraverso: l'efficienza della pubblica amministrazione, il potenziamento delle misure anticorruzione, il miglioramento della qualità dell'insegnamento e dell'investimento in capitale umano a tutti i livelli di istruzione. Per far progredire l'efficienza della pubblica amministrazione, l'UE indica la necessità di precisare le competenze a tutti i livelli di governo e di un'azione risoluta di miglioramento della capacità di amministrazione, della trasparenza, della valutazione del controllo di qualità a livello regionale, specialmente nelle regioni del Mezzogiorno, per garantire una migliore gestione dei fondi UE. Secondo la filosofia di Junker si dovrebbe aggiungere la capacità di lavorare in modo collaborativo, secondo la logica della piattaforma per attrarre investimenti dall'esterno; quindi addio alla separatezza fra ministeri e fra assessorati, oltre che fra enti centrali e locali ai diversi livelli. Per il potenziamento delle misure anticorruzione, la raccomandazione è di rivedere l'istituto della prescrizione e di rafforzare i poteri dell'autorità nazionale anticorruzione. Ma lo sforzo più importante riguarda la riqualificazione del sapere, attraverso la crescita del capitale umano, grazie a migliori prospettive di sviluppo professionale, all'aumento delle attività di integrazione fra istruzione ed esperienze pratiche, a finanziamenti alle università più cor- relati ai risultati della ricerca e dell'insegnamento, per colmare il ritardo nella capacità di innovazione. Questo radicale miglioramento del capitale umano è condizionato quindi dalla volontà di avviare il settore della pubblica amministrazione e dell'istruzione lungo il percorso dell'industriosità per attrarre risorse, una rivoluzione culturale per soggetti educati al culto della rendita e della difesa passiva del proprio ruolo. Secondo Junker all'amministrazione industriosa spetta l'onere di dirigere la piattaforma collaborativa della tripla elica con imprese e ricerca, sostanzialmente per migliorare l'efficacia di Europa 2020, grazie alla rivalutazione della capacità di leadership degli enti locali nei processi di innovazione. Si apre così un'importante prospettiva per il sindaco metropolitano dell'area milanese (una delle più importanti aree metropolitane europee, quindi fondamentale per lo sviluppo sia dell'Italia che dell'UE): guidare il processo di sostanziale rinnovo del rapporto fra amministratori, cittadini, imprese, in sinergia con il programma di sviluppo delle metropoli europee, che prevede le seguenti priorità: - agenda digitale: contributo alla realizzazione di un mercato unico del digitale connesso; - energia resiliente: intenso sfruttamento delle risorse rinnovabili per contrastare i cambiamenti climatici, con applicazione particolarmente intensa all'edilizia; - difesa della base industriale e coinvolgimento dei giovani per la promozione di un'economia sociale di mercato; - generalizzazione del bilancio integrato, con valutazione della sostenibilità sia per quanto riguarda l'impiego delle risorse, sia l'impatto sulle risorse umane. In fondo la 'renzata' di Junker è povera di risorse monetarie ma è ricca di stimoli per indispensabili innovazioni organizzative per uno sviluppo metropolitano e nazionale basato sulla capacità di attrarre risorse. LA CARENZA DI VISIONE 0 DELLA MIOPIA DEL PALAZZO Roberto Biscardini* Lo scorso anno non ho votato il bilancio 2014 di Palazzo Marino nella speranza che qualcosa cambiasse e che la giunta con uno scatto di orgoglio si decidesse a fare ciò che dopo tre anni e mezzo non era ancora riuscita a mettere in cantiere. Ma anche perché si aprisse tra n. 4 VII - 28 gennaio 2015 giunta, consiglio, forze politiche e città, uno spazio di confronto e di partecipazione assolutamente salutare che non c’è stato. Quattro questioni poste allora ancora oggi sul tappeto. Nonostante le migliori intenzioni la giunta non è riuscita ad affrontare il tema di una diversa organizzazione della macchina comunale. La politica delle grandi scelte (che per merito dell’assessore Maran ha dato finalmente il via ai lavori della M4), è ancora ferma al palo. Il potenziamento del nodo ferroviario di Milano (Secondo Passante compreso), la 3 www.arcipelagomilano.org definizione di un efficace piano dei trasporti che sappia affrontare la crescente domanda di mobilità alla grande scala, l’accordo di programma con RFI sulla valorizzazione o meno degli scali ferroviari, il piano parcheggi e un efficace piano straordinario di investimenti per il fabbisogno casa e per la riqualificazione delle periferie, sono ancora da affrontare. Infine, ci sono volute alcune tremende esondazioni per avviare con Regione e Governo le opere di sistemazione del Seveso a nord di Niguarda, ma nulla si dice delle opere che necessitano a sud, anche in connessione con il progetto di riapertura della Martesana. Sul terreno delle entrate, avremmo potuto portare nelle casse comunali risorse fresche per nuovi interventi e servizi, attraverso una efficace azione di contrasto all’evasione fiscale, ma purtroppo anche su questo terreno rischiamo di aver perso una grande occasione. A questo punto, si può fare in poco tempo ciò che non si fatto finora? Riusciamo a dare una risposta a chi invoca anche in queste ore il bisogno di una visione strategica che finora è sostanzialmente mancata? Si dice che in politica si può, basta volere. Ma a condizione di uscire da quella visione minimalista del buon governo e delle brave persone (che per la politica dovrebbe essere il minimo sindacale e non il massimo), evitando di essere “afflitti da piccolezze” per rilanciare da Milano l’Italia migliore. Primo. Su Expo e sul ruolo di Milano che ospita il più importante evento della storia recente, c’è da domandarsi come mai si è così fragili. E sul dopo Expo ancora peggio. Cosa vuole la nostra città? La più grande questione urbanistica di Milano sembra nelle mani delle cosiddette “manifestazioni di interessi”, dei bandi andati deserti, dei pseudo incarichi alle università o di chi verrà. Perché non confrontarsi con i progetti “degli altri”, con la cultura e i saperi in modo largo? Perche non aprire un confronto con la città alla luce del sole? Perché non confrontarsi con la politica ben sapendo che alla fine spetterà al consiglio comunale tirare le somme. Secondo. Occorre recuperare una visione sulla grandi questioni alla grande scala, quella regionale prima di tutte, da cui ci si è tenuti troppo lontano. Può Milano non dire la sua sulla politica dei trasporti regionali, sulle politiche ambientali, o sulle prospettive della sanità lombarda, senza difendere il proprio straordinario sistema ospedaliero pubblico? Continuiamo a rimanere inerti davanti al loro progressivo impoverimento a favore degli interessi della sanità privata? Perché? Terzo. Occorre un salto di qualità sul tema della qualità urbana (che non si risolve con pur meritevoli interventi di arredo) e sulla qualità delle nostre periferie (che una volta non erano tali) che possono crescere strutturalmente non in densità, ma come straordinari momenti di “mescolanza sociale e funzionale”, luoghi di lavoro, di cultura, di integrazione e di servizi urbani. Quarto. È arrivata la “città metropolitana”, a detta di molti una grande opportunità per un salto di qualità rispetto alla vecchia Provincia, per il rilancio della nostra economia, produttrice di nuovi progetti per rafforzare la competitività e irrobustire il sistema delle imprese. Ma senza un’idea forza di Milano non sarà così. Eppure nemmeno un consiglio comunale è stato convocato sul merito di questa nuova opportunità. Milano avrebbe già potuto intervenire con il suo peso per cambiare il quadro di riferimento di una legge istitutiva folle e scritta male, avrebbe già potuto trovare alleanze istituzionali ed economiche, avrebbe dovuto già creare le condizioni perché nel 2016 ci siano elezioni a suffragio universale del sindaco e del consiglio metropolitano per superare l’obbrobrio delle elezioni di secondo grado. Avrebbe potuto mettersi alla testa di un progetto che a tutt’oggi non c’è. Non l’ha fatto. Perché? Infine. Occorre recuperare una visione istituzionale, alta e forte. Cultura di governo, capacità di indirizzo e di decisione in tempi ragionevolmente brevi. Idee chiare per innovare il governo della città, per rispondere a bisogni crescenti, anche sulle grandi cose. Un programma politico che sta dalla parte dei milanesi che soffrono di più (ceti medi compresi) e di quelli che vedono aumentata la forbice delle diseguaglianze. Nella consapevolezza che la somma di tante piccoli interventi, non fa una politica generale. Una politica che sappia parlare anche a coloro che sono critici o persino delusi, e ai quali non basterà dire “che si sono incontrate molte difficoltà”, né basterà accontentarli con un po’ di demagogia. Una politica che sappia recuperare, anche nei pochi mesi che rimangono, il senso vero della partecipazione allargata e popolare della vittoria del 2011, che non è la vittoria di un sindaco, ma di un idea di cambiamento e di una comunità larga. È in questo quadro di problemi che si colloca il dibattito ormai aperto sul dopo Pisapia uno. AREE IN ATTESA: L’URBANISTICA DEI CAPANNONI Francesco Gastaldi La presenza di un ricco tessuto di piccole e medie imprese non costituisce solo uno degli aspetti più noti della struttura economica e sociale dell’Italia centro-settentrionale, ma anche una delle immagini dominanti del paesaggio urbano. Chi percorre le linee pedemontane alpina e appenninica, oppure la costa adriatica o ancora la pianura toscana incontra una sequenza quasi ininterrotta di edifici destinati ad attività produttive e artigianali, definiti nel linguaggio comune come “capannoni”. In realtà si tratta di spazi più complessi, in molti dei quali prende forma quel particolare modello economico n. 4 VII - 28 gennaio 2015 e sociale che gli economisti hanno chiamato “distretto industriale”: un insieme di piccole e medie imprese strutturate attorno a una filiera produttiva. Il modello di sviluppo basato sui distretti si è realizzato troppo spesso senza una progettualità sul versante urbanistico - architettonico. A livello locale l’industrializzazione diffusa (avvenuta spesso nella sua fase iniziale, in deroga o in assenza di strumenti urbanistici) è stata tollerata e favorita poiché limitava i problemi che i governi locali dovevano affrontare. A partire dai primi anni Novanta, e più recentemente con la crisi economica degli ultimi anni, questi sistemi produttivi hanno però subito processi di parziale dismissione o rilocalizzazione. Nessuno avrebbe potuto immaginare che le “aree traino” del dinamismo economico del paese, soprattutto nell’export, potessero avviarsi verso una spirale di crescente debolezza. Anche le imprese che hanno incrementato le proprie attività, quando non hanno scelto la strada di trasferire la produzione all’estero, si sono spesso spostate all’interno di nuove aree industriali di più recente realizzazio- 4 www.arcipelagomilano.org ne, in lotti di maggiori dimensioni, meglio serviti dal punto di vista logistico. La crisi ha fatto emergere una nuova domanda di governo del territorio, non più legata a una fase espansiva, bensì al problema della dimissione dei “capannoni” (molti dei quali da tempo sotto-utilizzati o in alcuni casi realizzati e mai concretamente utilizzati), delle possibili destinazioni d’uso, della limitazione della crescita edilizia e, più in generale, della transizione verso nuovi modelli di sviluppo, lasciando molti amministratori locali del tutto impreparati. Sarebbe opportuno chiedersi quanto gli “attori della pianificazione” recepiscano effettivamente la crisi, cioè se è in corso un processo di apprendimento / innovazione vero e proprio. Gli strumenti urbanistici generali esistenti sono stati concepiti e approvati generalmente in epoca pre-crisi, quando erano ancora pesantemente influenzati da logiche di sviluppo che si supponevano illimitate, specie per alcuni settori di atti- vità economica. Queste previsioni in pochi anni si sono rivelate vecchie e superate dalle nuove dinamiche dovute alla crisi, e oggi sono difficili da riformulare in un quadro che si caratterizza per incertezza, indeterminazione, scarsa progettualità e debole fiducia nel futuro. L’illusoria speranza della crisi come fenomeno transitorio, con il passare degli anni, si va via via rarefacendo. Nel frattempo si assiste a ulteriori dismissioni di aree industriali a causa di chiusure, delocalizzazioni, riorganizzazioni aziendali, e si è aperta una nuova fase di dismissioni di aree produttive molto diversa dalle precedenti. Per il mercato dei capannoni spesso è difficile l’incontro fra domanda e offerta: ogni azienda e ogni imprenditore ambirebbero ad avere spazi fatti su misura per loro, ma la bassa qualità territoriale degli insediamenti produttivi sparsi, l’assenza di servizi, i tempi della mobilità sono elementi ormai “strutturali” in cui oggi si inserisce il fattore crisi. La riqualificazione, o il riuso, dei contenitori abbandonati li vede trasformati (talvolta) in luoghi di intrattenimento (es. discoteche, palestre, sale prove musicali), spazi creativi o semplicemente depositi, magazzini, sedi di attività nel campo dei servizi. Le aree artigianali si trasformano, oltre che in aree a destinazione commerciale, grazie alla disponibilità di spazi per parcheggio, più raramente in luoghi del terziario. In tutti i casi elencati si assiste generalmente a spostamento di funzioni dai centri urbani verso le aree esterne per cercare di sfruttare i prezzi più convenienti degli affitti e la maggior quantità di spazio disponibile. Le interminabili distese di edifici e capannoni industriali di medio piccola taglia, oggi popolati da cartelli con scritto “affittasi” o “vendesi”, sono spesso incapaci di rispondere alle nuove esigenze delle imprese. È così che, non solo gli edifici, ma anche le aree esterne e circostanti i capannoni o perfino le aree di interi sistemi produttivi si avviano a progressivo degrado. MILANO 2011: “I PROSSIMI CINQUE ANNI SARANNO QUELLI DELLA DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA …” [G. Pisapia] Giuseppe Natale* Così recitava, nel 2011, il Programma del candidato Sindaco Giuliano Pisapia, a pag.4: “ I prossimi cinque anni saranno quelli della democrazia partecipativa, una scommessa positiva sulla volontà e capacità di cambiamento, un atto di fiducia nei confronti dei cittadini.” Vi si affermava categoricamente: “ la partecipazione deve essere uno strumento reale per decidere e governare, dal bilancio partecipato alle scelte di insediamento, di infrastrutture, ecc.”. Si individuavano strumenti e spazi di intervento e partecipazione: lo “Sportello dei Diritti in tutte le zone e in ogni quartiere, per raccogliere segnalazioni dei cittadini su condizioni di strade, scuole, parchi e giardini …”; e “un sistema di controllo permanente svolto da cittadini e utenti dei singoli servizi su qualità, efficacia e rendimento, attuando la legge che prevede un ruolo specifico delle associazioni dei consumatori”. Quanto di quel programma si è realizzato? L’amministrazione Pisapia ha cercato di andare incontro ai cittadini, almeno quelli più informati e impegnati, che hanno provato a partecipare con impegno, anche ritico ma comunque propositivo? La distanza tra cittadini e amministratori si è ac- n. 4 VII - 28 gennaio 2015 corciata oppure si è ulteriormente allungata? Insomma, tra Politica e Società civile, non solo a livello generale e nazionale, ma soprattutto locale, i rapporti sono migliorati o peggiorati? Le risposte alle domande precedenti, purtroppo di segno negativo, sono tutte dentro l’articolo di fondo del direttore di ArcipelagoMilano del 7 gennaio scorso. Partendo dall’affermazione che “partecipazione è affrontare insieme un problema condiviso in quanto problema e cercarne insieme la soluzione”, si constata con amarezza che a Milano in questi tre anni e mezzo si è registrata una “mancanza reale di partecipazione”; e tale mancanza “è un danno inferto al processo di identificazione sociale che dovrebbe legare governati a governanti“. L’articolo di Beltrami Gadola ci stimola a fare, da questa ottica, un bilancio del rapporto tra cittadini e amministrazione Pisapia, in modo laico libero indipendente. Bilancio che né la politica né i mass media provano a fare. Diventa facile prevedere che il distacco tra governanti e governati aumenterà ancora. A meno che i “governati” (almeno la parte più consapevole di essi) non riescano a dimostrare di potere diventare essi stessi cittadini governanti, promuovendo istanze e proposte di interesse comune e generale attraverso strumenti (purtroppo ce ne sono pochi) di democrazia partecipativa e diretta. Di strumenti e spazi di partecipazione attiva al governo del bene comune a disposizione dei cittadini si ha tanto bisogno. Soprattutto da quando è stata introdotta l’elezione diretta del sindaco attraverso un sistema elettorale, maggioritario e premiale, che riduce la rappresentanza reale e plurale, accentra il potere esecutivo in modo monocratico, sminuisce il potere legislativo ed emargina gli organi consiliari. Si sta invece mettendo in discussione il principio della divisione dei poteri e limitando drasticamente l’efficacia degli organi di controllo e di garanzia. Perché l’analisi diventi concreta, cercherò ora di dimostrare che le impegnative dichiarazioni del programma di Pisapia e della sua coalizione sono rimaste sulla carta. Né lo sportello dei diritti né un sistema di controllo permanente sono stati realizzati. I Comitati per Pisapia, strumenti di supporto elettorale, trasformati poi in Comitati per Milano, non sono riusciti – meglio non è stato consentito loro – di poter svolgere il ruolo di veicoli di parte- 5 www.arcipelagomilano.org cipazione dei cittadini e di controllo democratico degli atti dell’amministrazione. Nonostante la buona fede e l’impegno di molti militanti che ancora credono nella “rivoluzione arancione“, si stanno esaurendo le ultime energie partecipative. I Comitati per Milano attraversano una crisi irreversibile. Sul bilancio partecipato, un Comitato di cittadini denominato Audit Debito Pubblico, era riuscito - nonostante ostacoli politico-burocratici ad esaminare in modo critico le voci del bilancio e aveva avanzato alcune proposte (audit sul debito del Comune di Milano, messa in discussione del patto di stabilità , revisione dei costi per Expo, rimodulazione delle imposte comunali a tutela dei redditi bassi). Inascoltato, nonostante qualche presidio a Palazzo Marino. Purtroppo quei cittadini non ce l’hanno fatta e forse hanno mollato: si spera di no! Sono tanti i Comitati che si battono per risolvere problemi gravi che riguardano i quartieri, l’assetto idrogeologico del territorio, l’ambiente, i diritti sociali (casa , istruzione, salute, spazi culturali e di aggregazione, ecc.), la speculazione edilizia, il verde, la mobilità e il trasporto pubblico, le opere devastanti e dispendiose collegate con l’Expo. Questa cittadinanza attiva non è presa in considerazione. Senza voce. Avviso ai naviganti e ai … manovratori: aumenta in modo esponenziale il numero degli elettori di Pisapia che giudicano la sua amministrazione una fotocopia di quelle di centro destra. Amministrazioni, entrambe, accomunate dal pensiero unico del dio mercato, della compatibilità e dell’austerità, dell’uso della città e del territorio funzionale ai grandi interessi della finanza e della rendita, delle grandi e dispendiose opere inquinate da corruzione e criminalità organizzata. Il programma elettorale svolge la funzione dello specchietto per le allodole . Buone intenzioni e tanta ipocrisia. Altre due questioni: M4 e Città Metropolitana. Ha ragione Beltrami Gadola quando afferma in modo categorico che “la vicenda della M4” è il paradigma della “mancanza totale di partecipazione”. L’amministrazione non risponde ai rilievi critici di esperti del settore e non si preoccupa neanche delle riserve e perplessità interne alla sua stessa maggioranza. Ignora l’appello del Forum Civico metropolitano con cui si chiede di non realizzare la M4 per le ragioni di sostenibilità economico – finanziario e ambientale, nonché per una ragione intrinseca in quanto opera ancora una volta milanocentrica, avulsa dal contesto di area vasta mentre si sta costruendo proprio la Città Metropoli- tana (cfr. l’articolo di Ugo Targetti su ArcipelagoMilano del 14 gennaio). L’obiettivo dell’appello è anche quello della partecipazione propositiva finalizzata ad elaborare dal basso e con competenza una proposta di piano strategico di livello metropolitano e policentrico della mobilità e del trasporto pubblico. All’amministrazione Pisapia, come a quelle precedenti, manca una visione strategica che superi i confini amministrativi di Milano; esca dalla tinozza monocentrica; imposti una politica di area metropolitana; e realizzi il superamento del comune unico e l’articolazione in più comuni del capoluogo dentro un sistema equilibrato di città dell’area metropolitana. Sempre su ArcipelagoMilano del 7 gennaio scorso, Valentino Ballabio propone di uscire dall’autoreferenzialità e dall’impasse politico-istituzionali dando la parola ai cittadini metropolitani tramite un referendum d’indirizzo centrato sui quesiti relativi al superamento del centralismo e del gigantismo di Milano e della polverizzazione dei piccoli comuni. Il Forum Civico Metropolitano condivide la proposta e intende mobilitarsi, con altri soggetti disponibili, per promuovere il referendum. *Forum Civico Metropolitano FAMIGLIE E MINORI IMMIGRATI, LA SFIDA DELLA CITTÀ COSMOPOLITA Chiara Lainati* Il tema del futuro cosmopolita della città chiama in causa in modo insistente le nostre politiche pubbliche. Nell’ultimo anno è successo spesso in chiave emergenziale (accoglienza di profughi siriani ed eritrei) se non apocalittica dopo i tragici fatti di Parigi (in particolare nei confronti dei cittadini di religione musulmana, essendo anche appena uscito il bando del Comune sui luoghi di culto), oppure avveniristica con EXPO 2015. Si scorda facilmente la quotidianità che la città vive ormai da tempo nei quartieri, nelle scuole, nei posti di lavoro, dove da anni convivono donne, uomini, famiglie e minori immigrati appena arrivati o insediati da tempo, se non addirittura nati in Italia. Dove da anni i servizi territoriali e le organizzazioni della società civile hanno attivato processi per favorire l’accesso ai diritti e al senso del bene comune e della convivenza. Non senza fatica, perché la città stessa è anche un sistema di luoghi dell’esclusione ma è da questa con- n. 4 VII - 28 gennaio 2015 vivenza quotidiana che dipende il futuro della nostra città cosmopolita. D’altra parte il Comune di Milano ha vissuto alterni periodi storici, solo negli ultimi anni sembra aver avviato un maggior dialogo con il territorio su questi temi, non senza difficoltà e indecisioni. E sicuramente la debolezza delle politiche regionali e nazionali grava su queste dinamiche. A Milano i cittadini stranieri sono 264.238, rappresentano ormai quasi il 20% della nostra popolazione residente e di questi ben un quinto sono minori e la metà donne. Il 40% della popolazione è costituito da coppie e famiglie (Comune di Milano – Settore Statistica 2012). Spesso la tentazione è di catalogarle sotto un’unica etichetta, come “straniere”. La realtà è molto più complessa. Basta guardare ai loro figli: non ci sono solo i nati in Italia e i neoarrivati ma anche quelli che sono arrivati in fasi diverse della loro vita (pre-adolescenti o adolescenti) o anche quelli che vivono migrazioni pendolari tra Italia e paesi di origine. La dimensione transnazionale delle esperienze è quindi molto forte. Una parte importante di queste famiglie si è ricostituita attraverso il ricongiungimento familiare (L.40 / 98). Milano è la terza provincia in Italia interessata dal fenomeno (e la città di Milano ne accoglie all’incirca la metà) e sebbene negli ultimi anni questo abbia conosciuto una lieve flessione dovuta alla crisi (i rientri al paese di origine sono in crescita), tuttavia i ricongiungimenti sono ancora rilevanti. A settembre 2014 a livello provinciale erano in corso 43.000 domande per ricongiungimenti di familiari residenti all’estero (coniugi o figli) con oltre 28.000 nullaosta rilasciati (Min. Interni - dipartimento per le libertà civili e immigrazione). Decidere e intraprendere un ricongiungimento significa non solo affrontare un iter amministrativo ma anche un percorso complesso dell'esistenza che coinvolge la struttura familiare, dapprima provata dal- 6 www.arcipelagomilano.org la distanza del genitore che parte per primo e poi impegnata nella ricomposizione delle relazioni affettive e educative genitore-figlio. Non sono disponibili dati specifici ma l’esperienza dei servizi del territorio ha osservato che in genere il ricongiungimento può avvenire anche dopo lunghi periodi di lontananza, circa 6-7 anni. I minori sono l’anello allo stesso tempo debole e forte di questo processo. Da una parte incontrano forti criticità, perché di frequente non vengono coinvolti nel progetto dai genitori stessi e si ritrovano a vivere dopo molti anni in un nuovo contesto senza essere sempre preparati. Spesso limitati da una “logica di integrazione al ribasso” che ha caratterizzato la prima generazione, incontrano difficoltà a stare nel nuovo sistema scolastico - formativo con conseguenti fatiche nella carriera scolastica e sociale. Dall’altra sono anche il futuro della nostra città, con appartenenze fluide non irrigidite da logiche sedentarie o etnico - nazionali e quindi aperte a sincretismi e forme di partecipazione alla vita sociale e scolastica che alimentano nuove cittadinanze giovanili. Negli ultimi anni il Comune di Milano e molti soggetti del territorio si sono impegnati in progetti di sistema (fi- nanziati da L. 285/97 o dal Fondo Europeo per l’Integrazione) per accompagnare le politiche a individuare linee strategiche intersettoriali per favorire percorsi d’integrazione tra territorio, famiglie e scuola e sostenere così in modo più efficace i progetti d’integrazione dei minori stranieri. Il Centro per famiglie immigrate di Soleterre ONLUS dal 2008 partecipa a questo percorso proponendo un servizio integrato realizzato nell’ambito di una cornice transnazionale, grazie alla collaborazione con staff insediati in alcuni importanti paesi di origine (Marocco, Ucraina e El Salvador) e all’utilizzo di Skype. In questo modo i minori e le loro famiglie vengono accompagnati a comunicare anche a distanza nelle diverse fasi di decisione e realizzazione del ricongiungimento (sia dal punto di vista delle procedure che dal punto di vista del percorso d’inserimento nel nuovo territorio) favorendo un progetto familiare più condiviso. Nel fare questo il servizio offre alle famiglie un orientamento integrato ai principali diritti e relativi servizi (scuola, lavoro salute), prevenendo la frammentazione tipica delle risposte settorializzate del nostro sistema di welfare. In questo modo si intende favorire una mag- giore consapevolezza e competenza informativa delle famiglie immigrate favorendone l’autonomia. *Soleterre ONLUS nota: Questo articolo si basa sull’esperienza che Soleterre ONLUS dal 2008 ha intrapreso sul territorio milanese con il suo Centro per famiglie e cittadini immigrati. Soleterre è un’organizzazione umanitaria che realizza progetti e attività a favore di soggetti in condizione di vulnerabilità. Interviene con strategie di pace e adotta metodologie di partenariato e di co-sviluppo. Per fare questo crede nel lavoro con i cittadini migranti attivandoli non solo come beneficiari ma anche come attori degli interventi di sviluppo socio-economico in Italia e nei paesi di origine. I progetti e i servizi attivi a Milano sono nati grazie a un percorso partecipativo intrapreso con le donne, le famiglie, le comunità e le associazioni immigrate e alla collaborazione con le equipe e i partner di Soleterre operanti in alcuni importanti paesi d’origine: Ucraina, Marocco e El Salvador. Negli ultimi anni Soleterre ONLUS si è radicata sul territorio collaborando con diversi partner territoriali e istituzionali. In tempi recenti ha avviato importanti progetti di sistema. A Milano, in partnership con il Comune e altre organizzazioni del Terzo Settore ha coordinato il progetto “Siamo qui. Minori migranti dal ricongiungimento a percorsi integrati di cittadinanza sul territorio” (2012/FEI/PROG-103292). FUNERALI LAICI: SPAZI IN CITTÀ Paola Bocci Secondo una recente indagine DOXA commissionata dall’UAAR, Unione Nazionale degli Atei e Agnostici Razionalisti, l’Italia resta un Paese fondamentalmente religioso e di fede cattolica, dove più del 75% della popolazione si dichiara credente, la somma di atei e non credenti è intorno al 15%, gli ‘agnostici’ rappresentano circa il 4%, quelli che non definiscono con chiarezza la propria areligiosità il 5%. All’interno di quel 75% , ufficialmente un 5% professa altre religioni, ma resta un dato difficile da quantificare con esattezza, per la difficoltà ad avere un campione rappresentativo di intervistati che fa riferimento alle tante comunità straniere. Negli ultimi anni nel nostro paese è cresciuta l’attenzione verso i valori laici e contemporaneamente, soprattutto nelle grandi città, si è accentuato l’aspetto multiculturale della società. Questo anche a Milano, dove la convivenza e interazione tra culture diverse necessariamente coinvolge la sfera rituale. La nostra comunità, che per storia e prassi ha interpretato i propri riti e le proprie n. 4 VII - 28 gennaio 2015 tradizioni come riferimenti privilegiati e consolidati, sta cambiando ed è compito di un’istituzione che vuole essere aperta e attenta ai cambiamenti che attraversano la sua comunità, accogliere nuovi valori e introdurre pratiche che danno spazio anche a nuove sensibilità e culture. Non fanno eccezione le cerimonie funebri: la commemorazione, la celebrazione del distacco tra chi resta e chi non c’è più è un rito di importanza centrale in tutte le culture, un’opportunità, per una piccola o grande comunità, di riconoscersi, di avere un momento di socialità e vicinanza stretta per condividere ricordi e affetti. Un rito non necessariamente legato a un credo o a una fede religiosa, o alla fede cattolica. Sono stata in questi mesi sollecitata da molti nostri concittadini, perché i desideri di avere per sé e per i propri cari cerimonie e riti di natura laica abbiano risposte pratiche di facile attuazione e luoghi belli e accessibili espressamente dedicate. Un funerale laico non richiede permessi particolari o requisiti speciali, il suo svolgimento è previsto dalla normativa nazionale, che dispone che nel territorio comunale ci siano sale civiche a questo scopo specificatamente attrezzate; non sempre però la norma ha trova applicazione e per queste cerimonie vengono utilizzate sale private di onoranze funebri, sale d’albergo o la casa stessa dei familiari. Si chiamano “Sale del Commiato” o “Sale della memoria”, e spesso per praticità e comodità, sono in prossimità di aree cimiteriali dove si effettua la cremazione. Firenze è stato il primo capoluogo, già dal 2008, a scegliere e destinare spazi civici alternativi in città per lo svolgimento dei funerali laici, coinvolgendo le zone di decentramento e mettendo a disposizione sale attrezzate, disponibili a chiunque ne richiedesse l’utilizzo a questi scopi, con diritto di precedenza agli abitanti del quartiere. Milano ha celebrato addii ai suoi cittadini illustri con camere ardenti allestite in luoghi pubblici non religiosi a loro cari (penso a Franca Rame al Piccolo di via Rovello, ma non è stata la sola), ma questa opportunità 7 www.arcipelagomilano.org risulta ancora complessa e difficile per un cittadino qualsiasi. La strada più semplice è delegare la ricerca dello spazio alle imprese che si occupano della sepoltura stessa, ricerca che si esaurisce il più delle volte tra la grande sala del cimitero di Lambrate, distante e non facilmente raggiungibile se non con mezzi propri, e le sale private nelle sedi delle aziende funebri. La nostra città è ricca di luoghi belli e accoglienti, adatti ad accogliere una piccola o grande comunità che voglia raccogliersi intorno al ricordo e all’affetto per chi non c’è più, che voglia condividere momenti anche di serenità, e perché no, allegria e non solo di tristezza, che la vicinanza ad un cimitero può rendere meno sentiti. Luoghi caldi e accoglienti, luoghi di città, di prossimità, più di uno, di dimensioni diverse, perché una piccola comunità non si senta spersa e una grande non si senta stretta. Alcune sedi dei CAM, di competenza dei consigli di zona, in città potrebbero essere i luoghi ideali per il commiato, come l’ex chiesa sconsacrata degli Angioli in Corso Garibaldi, o come altri luoghi storici cittadini come Villa Litta, la Palazzina Liberty, e molti altri, luoghi conosciuti, riconoscibili e amati. Credo che per questa Amministrazione dedicare uno o più spazi di sua proprietà, dichiararne la disponibilità ad accogliere queste cerimonie di prassi, accogliendo i desideri di molti cittadini che vogliono salutare laicamente i propri cari, sia un segno importante di rispetto delle pari opportunità di tutti i suoi cittadini, qualunque sia la loro cultura, qualunque sia il loro credo. e apprezzo che l'assessore D'Alfonso che ha la competenza ai servizi civici abbia fatto sua questa sollecitazione e dimostrato sensibilità alla proposta e disponibilità a individuare risposte. Un altro passo avanti nel riconoscimento di tutte le sfumature che abitano la nostra comunità di cittadini, un incoraggiamento e accompagnamento del percorso nel dialogo tra le diversità, altrettanto importante come il riconoscimento della necessità di luoghi di culto dignitosi per tutte le religioni. IL QUARTIERE ISOLA A MILANO: UN NUOVO PARADIGMA URBANISTICO SOCIALE? Mario Ricci e Nicola Rovere Il dibattito architettonico e urbanistico sulla città di Milano si è focalizzato, da qualche anno a questa parte, e non solo su questo giornale, sui grandi interventi di rigenerazione urbana che l’hanno ri-portata, almeno dal punto di vista della promozione, a competere con le altre grandi capitali europee. Progetti e realizzazioni che hanno segnato il passaggio per la nostra città, da una “etica della produzione”, a una “estetica del consumo”, in cui le retoriche dell’architettura contemporanea - pensiamo solo all’alleanza stretta tra verde e high-tech - sembrano acquietare emotivamente le ansie suscitate, in particolar modo, dall’estendersi sempre più pervasivo del paesaggio dello sprawl e dalle sue dinamiche speculative, spesso sommerse o ai limiti della legalità. Una polarità che ha spesso distolto l'attenzione dalle ricadute che tali nuovi innesti producono sul tessuto edilizio tradizionale, ma anche e soprattutto sul tessuto socioculturale, in particolar modo se ben consolidato e caratterizzato. Il quartiere Isola-Garibaldi è da questo punto di vista esemplare. Due modelli di città collidono oggi in quest’area di Milano: da una parte la città storica con le sue stratificazione morfologiche e culturali, dall’altra la metropoli globale con le sue retoriche non solo iconografiche. La rigenerazione urbana che sta avvenendo a Porta Nuova sul sedime delle vecchie infrastrutture ferroviarie e sui suoi bordi, rappresenta insieme a City Life, l’emblema per Milano del nuovo approccio market oriented: un ring di grattacie- n. 4 VII - 28 gennaio 2015 li e edifici pubblici che delimitano un nuovo parco urbano (una delle aree pedonali pubbliche più grandi di Milano) che diviene lo specchio dell’edonismo estetico operato dalle nuove figure di developers, portatori di moderni criteri economico finanziari. Un’operazione immobiliare un’enclave isolata e uniformata dal valore iconico di ogni edificio - più che un organico frammento di città, che, come si sa, è stata aspramente criticata da una parte e a-criticamente osannato dall’altra. A nord dell’area di questi grandi interventi il quartiere Isola rappresenta un ultimo frammento della città storica prima dell’indifferenziato paesaggio metropolitano. Il quartiere deve la produzione di località alla sua isolatezza fisica dalla città a causa della costruzione della linea ferroviaria, che costituiva una barriera fisica a sud rispetto al resto del tessuto edilizio. All’Isola c’è poco traffico, non vi è folla, e i bar sono veri punti d’incontro, come nei paesi di provincia: vi si trovano associazioni culturali, atelier artistici e artigianali e librerie; vi si trova una pluralità sociale ricca ed eterogenea assente in altre zone della città. Anche dal punto di vista della morfologia urbana e dell’architettura l’Isola mostra alcuni caratteri distintivi: un tessuto mediamente denso in cui si trovano alcuni palazzi Liberty, case di ringhiera e cortili, edifici razionalisti (Lingeri-Terragni), nodi monumentali in cui si fondono edifici religiosi, pezzi di archeologia industriale, spazi verdi, distribuiti tra piazze, piazzette, e piccoli parchigiardino. Il timore più grande per gli isolani è quello per un processo di gentrification innescato dai nuovi interventi, che inesorabilmente possa snaturare l’identità e l’unicità della zona, favorendo l’arrivo di un nuovo tipo di residenti abbienti e trendy, con il rischio di annacquare le tradizioni proletarie e industriali dell’Isola. Preoccupazione che ha contribuito e rafforzato ulteriormente il collante identitario del quartiere e ha prodotto una sorta di resistenza attenta e critica alle trasformazioni in corso. Formatasi storicamente sul bordo di profonde trasformazioni urbane, l’Isola ha mostrato attraverso la sua genesi storica, e mostra oggi, eccezionali doti di adattamento alla modificazione. Questa capacità di un sistema complesso di adattarsi agli eventi traumatici e alla modificazione delle circostanze, che non è da intendersi come aspirazione conservatrice, viene identificata oggi dalla parola “resilienza”. La resilienza è un modo di resistere senza innalzare barriere, un modo di vincere attraverso il principio taoista della cedevolezza, come vediamo in alcune tecniche di lotta orientale: adattandosi immediatamente alla “forma” del combattimento, e utilizzando a proprio vantaggio “tutte le forze che si vengono a creare in un ravvicinato campo di sinergie fulminee fra due avversari”. Così succede che oggi attraversando il quartiere ci si trova immersi in un clima da comunità locale molto accentuato, ma nello stesso tempo respiriamo un’aria da metropoli globale. Si ha cioè l’impressione - immaginiamo quando gli ultimi edifici 8 www.arcipelagomilano.org saranno completati, e il parco sarà un giardino fiorito - che questi due modelli insediativi possano coesistere generando occasioni e stimoli reciproci. Sarà la forza resiliente del quartiere Isola a interpretare e a mediare gli influssi di un diverso modo di vedere e di vivere tutto orientato all’emotività del consumo, arricchendosi di ulteriori differenze, o il vecchio tessuto connettivo fatto di relazioni sociali e culturali diversificate, oltre che di rapporti spaziotemporali, sarà assorbito, snaturato e omologato dalla forza pervasiva dei nuovi modelli e desideri, creati da un mercato che non è detto possa durare nella sua attuale esuberanza globale? PIÙ CORAGGIO: “AREA C” COSÌ COM’È È INEFFICACE Marco Percoco* La riduzione di inquinamento e congestione è un obiettivo ormai comune a tutti i governi, nazionali e locali. Tra gli innumerevoli strumenti ipotizzati e/o sperimentati, il road pricing è certamente quello che ha suscitato maggiore attenzione nei policy makers. Il pedaggio per entrare nel centro di Londra è solo il caso più celebre di road pricing, sebbene altri casi (alcuni solo degli esperimenti) sono rintracciabili in Norvegia, a Stoccolma, Hong Kong. Anche Milano, nel 2008, ha introdotto il cosiddetto Ecopass, ovvero una tassa da pagarsi all’ingresso del centro storico. L'Ecopass era in vigore dalle 7,30 alle 19,30 nell'area di 8,2 kmq (rispetto ai 181 kmq totali) della città detta “Cerchia dei Bastioni”. Ad essa si poteva accedere attraverso 43 varchi di cui 7 riservati al trasporto pubblico. L'ingresso era gratuito per le vetture meno inquinanti come le automobili a benzina Euro 3 e 4 e i veicoli diesel Euro 4 e 5 con filtro antiparticolato (ed Euro 4 senza filtro antiparticolato fino al 1 giugno 2010), per tutti i veicoli elettrici e ibridi, per i motocicli e per tutti i veicoli dei disabili, taxi, noleggi con conducente, bus, veicoli di pubblico servizio o appartenenti a enti pubblici. L’Ecopass venne sostituito nel gennaio 2012 dall’Area C, una struttura tariffaria che ha standardizzato la tassa e ha ulteriormente ristretto la fruibilità dell’area per i veicoli più inquinanti. È invalsa l’idea per cui l’Ecopass fosse un intervento volto alla riduzione dell’inquinamento, mentre Area C avrebbe l’obiettivo di ridurre la congestione. Non è chiara la ragione per cui vi sia questa distinzione, nel momento in cui la tassa o il divieto cui si è soggetti sub Area C è funzione della tipologia e, dunque, del livello atteso di inqui- nanti prodotti dal motore montato sul veicolo, e non funzione dell’ingombro, ovvero della causa generante il costo esterno da congestione. Complice la crescente discussione politica in vista delle elezioni comunali, si sono riaccesi i riflettori dell’opinione pubblica sull’efficacia di Area C. Le notizie recenti che abbiamo a disposizione non sono confortanti, visto che ci segnalano traffico in aumento nel centro cittadino. È bene, però, rimettere ordine nel dibattito, magari attingendo da alcuni sani principi scientifici che in questo caso potrebbero evitarci di incappare in errori di valutazione invero grossolani. Sia nei periodici rapporti dell’AMAT, che nelle dichiarazioni degli assessori alla mobilità che si sono succeduti dal 2008, che negli articoli di giornale, si riportano statistiche molto (troppo) semplici in cui si comparano i flussi di traffico nel tempo, dimenticando che essi sono dovuti a molti altri fattori (climatici, economici, sociali, etc), cui reagiscono istantaneamente. La non considerazione di queste variabili, ovvero l’utilizzo di semplici confronti nel tempo come strumento di valutazione, comporta necessariamente una stima distorta dell’effetto di Area C. La ricerca a oggi pubblicata su riviste internazionali dei trasporti e che utilizza metodi statistici che tengono conto di molti altri fattori ci offre due risultati incontrovertibili: a) l’inefficacia di Area C (come pure di Ecopass) nel ridurre strutturalmente la concentrazione di qualsiasi inquinante; b) l’inefficacia di Area C da un lato nel ridurre strutturalmente il numero di veicoli circolanti a causa in particolare di un incremento nell’uso di motocicli (+21%) molto inquinanti all’internodi Area C e dall’altra di aumentare il traffico nelle strade a ridosso dell’area medesima,tassata (ovvero, la tassa ha deviato il traffico). Data questa evidenza empirica, è difficile sostenere la non necessità di un’estensione della zona soggetta a road pricing. Inoltre, l’esperienza di Londra pure ci insegna che è necessario prevedere anche un’estesa “Low Emission Zone”, ovvero un’area in cui è interdetta la circolazione a veicoli a impatto ambientale anche medio. Car sharing, bike sharing, “Zone 30” sono interventi la cui utilità non va oltre la semplice dimostrazione, da cui non possiamo ragionevolmente attenderci grandi risultati. Milano è ancora una delle città più inquinate e la più congestionata d’Europa ed è forse giunta l’ora di implementare misure più radicali, per la salute e il benessere dei milanesi stessi. Una vastissima ZTL sul modello della “Low Emission Zone” londinese e un road pricing calibrato sull’effettivo costo ambientale imposto dalle diverse tipologie di veicoli e sull’elasticità dei flussi di traffico al costo del trasporto sarebbero due scelte coraggiose e probabilmente efficaci. Infine, un pensiero accademico, ma con delle forti implicazioni pratiche. Milano non dispone di un modello di simulazione della sua economia integrato con il sistema dei trasporti, come quello di Londra o di Parigi. In tali condizioni è davvero difficile, se non impossibile, immaginare gli effetti di politiche di traffico e il rischio di ragionare seguendo sensazioni personali è davvero troppo alto. *Università Bocconi EXPO: SICUREZZA DOPO I FATTI DI PARIGI, ATTENTI AI TAGLI Ilaria Li Vigni La serie di attentati avvenuti a Parigi nel corso delle scorse settimane hanno messo in allerta il resto n. 4 VII - 28 gennaio 2015 dell’Europa, compreso il nostro paese che, fino a qualche anno fa, non sembrava particolarmente nel miri- no di eventuali azioni terroristiche: i gruppi armati hanno dimostrato di poter “tenere in scacco” una grande 9 www.arcipelagomilano.org capitale europea per ore, addirittura per giorni, dimostrando un’enorme carica criminale e, soprattutto, un’organizzazione nascosta ma certamente efficace e pericolosa. La città di Roma e il Vaticano, sono state dichiarate come primo obiettivo sensibile ma anche Milano è uno dei possibili scenari per un atto terroristico, considerata la simbolicità della nostra città, sia da un punto di vista commerciale sia da un punto di vista culturale. Tali aspetti sono indubbiamente accresciuti dal fatto che il 1° maggio di quest’anno la nostra città sarà ospite della rassegna internazionale Expo 2015 e l’evento porterà a Milano un afflusso di milioni di visitatori prolungato per sei mesi di durata dell’evento. Il luogo ideale, insomma, sembrerebbe, per eventualmente colpire e sviluppare un attentato contro la nostra nazione. Su questo problema si è pronunciato, negli ultimi giorni sull’onda degli ultimi eventi, anche Giuseppe Sala, il commissario unico dell’Esposizione Universale, affermando che Expo “potrebbe essere un bersaglio ideale per il terrorismo”, ma chiarendo che molto si è fatto e altrettanto si farà per scongiurare tale ipotesi, lavorando sulla sicurezza sia per quanto riguarda la prevenzione (aspetto fondamentale), sia per quanto concerne la repressione nella quotidianità. E’ attiva da mesi una task force sulla sicurezza che vede lavorare congiuntamente il Comune, la Prefettura e i vertici di tutte le forze dell’ordine. L’attenzione, naturalmente, sarà puntata sul milione di metri quadrati a Rho - Pero dove si svolgerà l’evento e saranno collocati gli stand dei paesi partecipanti, zona che dovrebbe essere protetta da quasi quattrocento componenti delle forze dell’ordine, tra semplici agenti e graduati. Ma il piano per la sicurezza di Expo è stato immaginato come uno schema a cerchi concentrici, sempre più larghi per non lasciare vuoti di tutela in aree anche non limitrofe ai luoghi dell’esposizione, ma egualmente a rischio sia simbolico sia effettivo per eventuali atti di terrorismo. Infatti, l’area espositiva sarà soltanto il “primo livello” della barriera di controllo delle forze dell’ordine: dalla vigilanza su padiglioni e visitatori si passerà a un controllo capillare in tutti i quartieri della città, anche quelli più periferici. È così che, a regime, dovrebbe arrivare a Milano un “esercito” di circa 2500 rinforzi, tra agenti della Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza. È grazie a loro che, attorno al grande evento, complessivamente dovrebbero lavorare 2.800 uomini che si occuperanno esclusivamente della sicurezza di Expo. Sono gli occhi che sorveglieranno la città chiamata a salire sul palcoscenico internazionale e cercheranno di tutelare gli ospiti e i cittadini, soprattutto in un momento come quello che stiamo vivendo in cui la tensione internazionale è molto forte per il fenomeno del terrorismo. L’operazione coinvolgerà tutte le forze dell’ordine e, nei prossimi mesi, dovrà essere concretizzata, passando dalla teoria alla pratica, tutelando la straordinarietà dell’esposizione universale, ma non dimenticando in alcun modo le esigenze di sicurezza “quotidiana” che una grande città come Milano sempre necessita. Insomma, più uomini, più mezzi, più strutture necessarie a questo appuntamento di estrema importanza per la nostra città. E più fondi per riuscire a tradurre in realtà quelle stime che disegnano la rete di protezione da stendere sulla città: il piano prevede 126 milioni di euro per rinforzi, attrezzature, logistica, da recuperare nell’ambito di competenza di vari dicasteri. Ci auguriamo che, davvero, tali risorse vengano interamente stanziate per assicurare a Milano un effettivo controllo sia preventivo sia repressivo, tutelando la sicurezza dell’evento e dei cittadini e trasformando l’Esposizione Universale di quest’anno in un positivo biglietto da visita, nazionale e internazionale, per il nostro paese e per la nostra città. Scrive Edoardo Croci a proposito di rottamazione edilizia Con la consueta profondità di pensiero, Giuseppe Bonomi affronta in modo innovativo e allo stesso tempo concreto il tema della rottamazione degli edifici, tenendo presenti la necessità di evitare consumo di suolo, di abbellire la città e di generare risorse. Voglio solo ricordare che sul tema i milanesi si sono espressi a favore nell'ambito del quarto dei 5 referendum portati avanti da Milanosimuove (www.milanosimuove.it) e approvati nel 2011 dove si chiede: "la concessione di incentivi per la demolizione e ricostruzione (“rottamazione”) degli edifici a maggiore inef- ficienza energetica e privi di valore storico e architettonico attraverso premi volumetrici?”. Con la sua proposta Bonomi sostanzia in un percorso articolato e fattibile quella richiesta. Un suggerimento prezioso che l'amministrazione comunale farebbe bene a considerare seriamente. MUSICA questa rubrica è a cura di Paolo Viola [email protected] Die Soldaten Con l’opera di Bernd Alois Zimmermann, in scena in questi giorni alla Scala, comincia la vera stagione di n. 4 VII - 28 gennaio 2015 Pereira; “Die Soldaten” è infatti il primo dei sette famosi spettacoli che il nostro nuovo Sovrintendente ha venduto con la sua mano sinistra (quella di Sovrintendente a Salisburgo, quando era ancora in cari- 10 www.arcipelagomilano.org ca) a quella destra (cioè del già designato Sovrintendente a Milano) mettendo a repentaglio la sua carriera e la nostra stagione Expo. Bisogna però dire che non tutto il male vien per nuocere visto che l’opera pare sia molto affascinante e l’impatto sul pubblico considerevolmente positivo. Anche chi – come me – non l’ha ancora vista, è già preso dall’evento e si è messo a studiarlo. Die Soldaten è il capolavoro di un musicista tedesco dalla vita tormentata, ma è anche l’unica opera sua che, insieme a un “Requiem per un giovane poeta” e a un “Concerto per violoncello e orchestra en forme de pas de trois”, viene oggi rappresentata con un minimo di regolarità: Zimmermann nasce vicino a Colonia nel 1918 e vive molto male la giovinezza fra nazismo e guerra (viene arruolato nella Wehrmacht ma presto congedato per una malattia della pelle), ha trent’anni quando frequenta i Corsi estivi di Darmstadt ma soffre di problemi sempre più gravi alla vista e soprattutto soffre di una depressione cronica che lo porterà a buttarsi dalla finestra, sempre nei pressi di Colonia, ad appena cinquantadue anni. Se la vita del musicista è tragica, non è da meno quella dell’autore del testo, lo scrittore e commediografo Jakob Lenz (1751-1792), che fu allievo di Immanuel Kant ed amico di Goethe (con il quale però litiga clamorosamente per un problema di attribuzione di alcune sue opere); rappresentante importante dello “Sturm und Drang”, all’inizio della carriera ha un discreto successo ma poi avrà la vita segnata da una gra- ve malattia mentale che lo porterà dapprima a girovagare senza senso fra i Vosgi, poi a farsi curare fra la Svizzera e la Lettonia (il paese di origine) ed infine a morire a Mosca, solo e senza mezzi di sostentamento. Con “Die Soldaten” Lenz rompe la regola della “unità di tempo, di luogo e di azione” della commedia, contribuendo non poco al rinnovamento del teatro europeo. Se a questa singolare accoppiata di biografie aggiungiamo l’atmosfera del teatro musicale tedesco della prima metà del novecento, dominata dal cupo espressionismo della Lulù e del Wozzeck di Alban Berg, non possiamo meravigliarci che Die Soldaten sia un drammone intriso di pessimismo e di desolazione, un’opera di denuncia della miseria morale, della crudeltà e della corruzione che guerra e vita militare impongono all’umanità; ancor più è una fortissima protesta contro ogni genere di sopraffazione. L’azione è ambientata nelle Fiandre francesi in un’epoca indefinita – “ieri, oggi e domani” – e la vicenda è ormai nota: la protagonista Maria cede alle profferte amorose di un nobile potente e, attratta dal sogno dell’ascesa sociale, tradisce una precedente promessa di matrimonio. Quando il prepotente la lascia, comincia l’ineluttabile declino che la porta a diventare la «puttana dei soldati» e - dopo un fallito tentativo di recupero - a perdere ogni forma di dignità fino a mendicare per strada, irriconoscibile persino al proprio padre. Ciò che rende il capolavoro di Zimmermann tanto difficile da rappresentare è la quantità di artisti e di strumenti ch’esso richiede: 25 cantanti solisti, un’orchestra di 112 elementi - fra cui ben 15 percussionisti - che non riescono a star tutti “in buca” ma devono dilagare fra palchi e sale-prova ed essere riprodotti con altoparlanti collocati nel soffitto e infine, come non bastasse, un complesso “Jazz Combo” di 4 elementi collocato nella barcaccia stampa! Uno sforzo produttivo straordinario per cui si comprende come mai l’opera costituisca una rarità e un evento culturale di grande rilevanza. Scritta a cavallo fra gli anni cinquanta e sessanta, e andata in scena per la prima volta a Colonia nel 1965, la si è vista abbastanza raramente nell'ambito dell'avanguardia (unica volta in Italia, a Firenze, negli anni ‘70), poi è apparsa a Stoccarda nel 1988, a New York nel 1991, a Dresda nel 1995, ad Amsterdam negli anni 2000, alla Biennale della Ruhr nel 2006, a Monaco di Baviera nel 2010, al Festival di Salisburgo nell’agosto del 2012 (nell’allestimento che ora è arrivato alla Scala) e infine a Zurigo nel 2013, e pare che sempre e ovunque abbia ottenuto grande consenso di pubblico. Rispetto alla versione di Salisburgo ha dovuto subire qualche adattamento, per le diverse dimensioni dei due palcoscenici, ma ha conservato lo stesso direttore Ingo Metzmacher, lo stesso regista Alvis Hermanis (un lettone concittadino di Lenz) e in gran parte gli stessi cantanti; la vera novità consiste dunque nel passaggio dai Wienerphilharmoniker all’Orchestra del Teatro alla Scala. Vi saprò dire la prossima settimana! ARTE questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi [email protected] Quando arte e senso civico si fondono Una mostra e a seguire un’asta negli spazi del MUBA, due i famosi street artist coinvolti, due le giovanissime volontarie che hanno dato vita al progetto con un obiettivo: quello di sensibilizzare ed educare i milanesi, giovani e meno giovani, ad aprire gli occhi su ciò che accade di notte per le strade della loro stessa città. Un progetto decisamente ambizioso che porta dal 20 gennaio al 5 febbraio negli spazi della Rotonda della Besana una selezione di opere di Flycat e OZMO in una mostra il cui allestimento prende vita tra vecchi copertoni e sacchi di iuta, a sot- n. 4 VII - 28 gennaio 2015 tolineare quanto in strada possano esserci interessantissime realtà celate e tutte da scoprire. In comune hanno questo il CISOM (Corpo Italiano di Soccorso dell'Ordine di Malta) e gli street artist, non solo di vedere là dove altri non vedono ma di cercare di rendere quel là un luogo meno triste. Jean Blanchaert, critico d’arte e gallerista, commenta nel catalogo che accompagna la mostra «Così cantava Giorgio Gaber nel ’62 in una bellissima canzone “Le strade di notte diventano più grandi ed anche un poco più tristi, è perché non c’è in giro nessuno …”. Ma 43 anni dopo, nel 2015, nelle strade, di notte, c’è in giro qualcuno e le strade diventano meno tristi». Giorgia Baruffaldi Preis e Giulia Solaro del Borgo, le due volontarie che hanno ideato il progetto, raccontano con entusiasmo a chi visita gli spazi all’interno del Museo dei Bambini che Rise Up! La città che non dorme non è solo una mostra finalizzata a raccogliere fondi, è un atto volto a porre luce sul lavoro che il CISOM compie nella città sensibilizzando soprattutto i più giovani. È in questo senso che è stato scelto il Museo 11 www.arcipelagomilano.org dei Bambini come spazio che ospita la mostra, non solo contenitore ma ripetitore del messaggio educativo e facilitatore nella diffusione di esso. Durante la mostra sono stati organizzati infatti, con il supporto del dipartimento educativo del museo, otto laboratori che coinvolgono altrettante scuole medie e istituti superiori della città dove Flycat spie- gherà ai ragazzi l’importanza di esprimersi in modo corretto mediando tra creatività e rispetto delle infrastrutture cittadine. A conclusione del progetto giovedì 5 febbraio ci sarà un doppio appuntamento: alle 18.00 OZMO eseguirà un live painting sul tema della carità, mentre alle 20.00 Clarice Pecori Giraldi, Senior Director, Private Sales di Christie's Europa, batterà all’asta i lavori che i due street artist coinvolti hanno donato per la causa. Rise Up! La città che non dorme 20 gennaio - 5 febbraio 2015 MUBA - Museo dei Bambini Via Enrico Besana, 12 Milano Ingresso gratuito Etty Hillesum maestra di vita Inaugurata nel dicembre 2014 in occasione del centenario della nascita (1914 - 2014) la mostra "Etty Hillesum maestra di vita. Da Amsterdam ad Auschwitz", ospitata negli spazi delle ex cisterne della Fabbrica del Vapore, è stata ora prorogata fino al 31 gennaio. Milano rende così omaggio a Etty Hillesum, giovane donna ebrea di grande profondità intellettuale e ricerca spirituale, vissuta in Olanda e morta ad Auschwitz nel 1943, che ci ha lasciato nei Diari e nelle Lettere la testimonianza di un pensiero controcorrente e anticipatore, per molti versi, di riflessioni attuali ancora oggi. Realizzata in collaborazione con il Comune di Milano, la Casa delle Donne, la Casa della Cultura, la mostra è un tuffo emozionale nella vita dell’autrice, che permette a chi già l’ha conosciuta leggendo i suoi testi, di rincontrarla guardandola negli occhi. Ma consente anche, a chi non si è mai avvicinato a un suo testo, di scoprire una donna che conosceva bene le parole e l’animo umano, e che era capace di declinare le prime usandole per scandagliare a fondo il secondo. La mostra è fatta di brani e foto, provenienti dall’archivio del Museo della Storia Ebraica di Amsterdam, che ritraggono Etty, S. (cui, finalmente, si riesce così a dare un volto), la famiglia di lei e gli amici più cari; pochi i testi curatoriali: quasi come a voler lasciare il visitatore solo nell’incontro con questa donna straordinaria. Profonde e intense, quasi quanto la stessa mostra, le parole dei visitatori che si leggono nei quaderni di commento la mostra: molti salutano Etty e spesso la ringraziano per le riflessioni, spesso per i consigli e in molti per aver esternato dolori condivisi che da soli non sarebbero riusciti a far uscire. "Nei diari e nelle lettere, tradotti in Italia da Adelphi, Etty Hillesum te- stimonia una capacità di introspezione e di osservazione della realtà fuori del comune e ci parla con un profondo accento di verità, senza ricorrere a ricette miracolistiche o palliative, in nome di un indistruttibile e gioioso amore per la vita. I brani selezionati per la mostra “Etty Hillesum maestra di vita” mirano a scuotere il visitatore alla stregua di “colpi di martello” – secondo un’espressione adottata dalla stessa Hillesum – che minano certezze consolidate e luoghi comuni, costringendolo a rovistare nelle viscere del proprio io alla ricerca di verità scomode o sottaciute." Pier Giorgio Carizzoni – Curatore della mostra Etty Hillesum. Cuore pensante della vita - La Fabbrica del Vapore / Spazio ex Cisterne, via Procaccini 4 Tutti i giorni dalle ore 14 alle ore 19.30 (martedì 27 gennaio dalle ore 14 alle 22) Biglietto: 3 euro Quando il cibo si fa mostra Food | La scienza dai semi al piatto, non è solo una mostra dedicata all’alimentazione: è un percorso di avvicinamento e scoperta del processo di produzione di ciò che mangiamo. Anche questa definizione è riduttiva: le quattro sezioni accompagnano il visitatore dalla scoperta dei cibo, dall’origine quando è seme fino alle reazioni chimiche che sottendono la cottura, passando attraverso dettagliate spiegazioni su provenienza storico-geografica, suggerimenti sulle modalità di conservazione o exhibit interattivi. La mostra, in corso fino al 28 giugno 2015 e allestita nelle sale del Museo di Storia Naturale Milano, rappresenta il più importante evento di divulgazione scientifica promosso dal Comune di Milano sul tema di Expo 2015. “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” e costituisce una delle più importanti iniziative del programma di “Expo in Città”. n. 4 VII - 28 gennaio 2015 Tutto nasce dai semi è il titolo della prima sala, nella quale vengono raccontate le diverse classi e famiglie con caratteristiche, provenienza e utilizzo. Decine e decine di barattoli mostrano, portando, in alcuni casi per la prima volta, esemplari che appartengono alle più importanti banche dei semi italiane. Si prosegue poi con Il viaggio e l’evoluzione degli alimenti dove mele, agrumi, riso, caffè e cacao non avranno più segreti: tra giochi interattivi e alberi genealogici, tutto è facilmente accessibile e non superficiale. Grande elemento positivo della mostra è infatti la capacità di rendere fruibili le nozioni più scientifiche a un pubblico differenziato, senza per questo incorrere nel rischio di semplicismo. Che la cucina sia un’arte è risaputo da tempo, ma che alla base di tante ricette vi siano principi di chimica e fisica passa spesso inosservato: la terza sezione della mostra illustra come funzionano alcuni degli elettrodomestici più comuni, con consigli sulla conservazione degli alimenti (sapevate che i broccoli hanno un metabolismo più veloce delle cipolle e che per meglio conservarli andrebbero avvolti in una pellicola di plastica?!) e soluzioni fisico-chimiche ai problemi di chi cucina (cosa fare se la maionese impazzisce?). Quando poi sembra che niente in materia di cibo possa più sorprenderci si giunge all’ultima sala I sensi. Non solo gusto ovvero niente è come sembra: vista, olfatto e tatto anche nel mangiare giocano un ruolo determinante, al punto talvolta di allontanare il gusto dalla reale percezione. Il costo del biglietto è medio alto (12/10 euro), ma la visita merita davvero il prezzo d’ingresso se non altro per cominciare ad affacciarsi nel tema che, grazie ad Expo, ci accompagnerà per tutto il 2015. 12 www.arcipelagomilano.org Food. La scienza dai semi al piatto fino al 28 giugno 2015 Lunedì 09.30 – 13.30 / Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato e Domenica 9.30 – 19.30 / Giovedì 9.30 – 22.30 Biglietto 12/10/6 euro Mostre e buoni propositi per il 2015 Il nuovo anno inizia sempre con i migliori propositi, soprattutto in ambito sportivo e culturale: quest’anno andrò almeno una volta al mese a vedere una mostra, saranno almeno due le sere la settimana dove correre. Sull’aspetto sportivo non possiamo aiutarvi, ma per quanto riguarda le mostre vi segnaliamo ciò che accadrà a Milano nei prossimi mesi. Alcune delle proposte sono più indirizzate a Expo e al tema dell’alimentazione, altre invece più votate a mostrare il meglio dell’italianità a chi per l’occasione visiterà Milano. A Palazzo Reale faranno da padroni due grandissimi artisti, simbolo del genio italiano: Leonardo (dal 14 aprile) e Giotto (dal 2 settembre 2015 al 10 gennaio 2016). La prima è presentata come la più grande mostra su Leonardo mai ideata in Italia, non celebrativa ma trasversale, a cavallo tra arte e scienza mentre la seconda ripercorre lo straordinario lavoro dell’artista fiorentino. Il grande polo espositivo ospiterà mol- to altro: Natura, mito e paesaggio dalla Magna Grecia a Pompei (21 luglio 2015 al 10 gennaio 2016), mostra dedicata a raccontare il paesaggio nel mondo classico, indagando come nei secoli sia cambiato e evoluto il rapporto dell'uomo con la natura che lo circonda; Arte lombarda dai Visconti agli Sforza (marzo – giugno 215) mostra che intende celebrare una delle pagine più gloriose della storia della città di Milano che sotto le due famiglie si affermò come una delle città più importanti d'Europa. La prima grande retrospettiva dedicata a Medardo Rosso (marzo giugno) verrà allestita nelle sale ottocentesche della GAM di Palestro mentre Palazzo della Ragione ospiterà da marzo a settembre Italia inside out, una raccolta di immagini che presentano al pubblico il lavoro collettivo di quei fotografi che, in momenti diversi, e con sensibilità individuale, hanno colto gli aspetti principali della vita del nostro Paese. Se cibo e alimentazione sono i temi attorni ai quali si sviluppa Expo 2015, non mancano di certo mostre che li celebrino: attesissima è infatti Arts & Foods, unica Area tematica di Expo realizzata in città e allestita negli spazi interni ed esterni della Triennale di Milano dal 9 aprile fino al 1 novembre. La grande mostra (7000 mq) metterà a fuoco la pluralità di linguaggi visuali e plastici, oggettuali e ambientali che dal 1851, anno della prima Expo a Londra, fino a oggi hanno ruotato intorno al cibo, alla nutrizione e al convivio. Inoltre farà tappa a Milano dal 28 aprile al 6 settembre la mostra Il Principe dei Sogni. Giuseppe negli arazzi medicei di Pontormo e Bronzino, ospitata prima al Palazzo del Quirinale (fino al 15 aprile) e che concluderà il proprio percorso a Firenze dal 16 settembre al 15 febbraio. La proposta è vastissima e in continua crescita, non resta che segnarsi le preferenze in agenda e non abbandonare i buoni propositi. L’arte di costruire relazioni: Céline Condorelli all’Hangar Bicocca Se un pomeriggio d’inverno un viaggiatore avesse voglia di scoprire Milano attraverso uno dei luoghi simbolo della storia industriale e artistica della città, potrebbe recarsi all’Hangar Bicocca. Una delle mostre recentemente inaugurate nello spazio è la personale di Céline Condorelli, un’artista che vive e lavora fra Londra e Milano. L’esposizione ha un titolo che non passa inosservato: bau bau. L’espressione, che ludicamente richiama al verso di un cane, è anche un omaggio al significato della parola in lingua tedesca, costruzione, e all’esperienza della scuola del Bauhaus. Effettivamente, superate le difficoltà iniziali di approccio all’apparente incomunicabilità dell’arte contemporanea, il percorso espositivo si rivela ricco di spunti sul tema della costruzione e dell’amicizia, sviluppati attraverso sculture, installazioni, video e scritti. L’artista ha una formazione relativa all’architettura e alla cultura visuale, e ha riflettuto a lungo sulle “strutture di sostegno”, ovvero su ciò che supporta, sostiene, appoggia e corregge, sia in senso strutturale che relazionale. L’amicizia diventa per l’artista una dimensione di lavoro e una forma d’azione. I suoi pensieri sull’amicizia sono condensati nel libro The company she keeps, offerto ai visitatori su una scrivania: chiunque può accomodarsi e leggerlo, e chi vuole può anche salire sul tavolo per osservare dall’alto la visuale all’esterno, attraverso l’unica finestra dell’ambiente espositivo, aperta appositamente dalla Condorelli in occasione della mostra. Un altro tema forte è infatti il dialogo con gli spazi dell’Hangar. La mostra è stata pensata in relazione alle precedenti esposizioni (il pannello di legno all’ingresso è lo stesso della mostra precedente di Gusmão e Paiva, e Céline vi ha posto una ven- tola che produce un vento che sospinge lo spettatore attraverso la scoperta delle opere; i video in onda su una piramide di televisori ricordano la babelica torre di Cildo Meireles) così come l’installazione Nerofumo è stata appositamente prodotta attraverso la collaborazione con lo stabilimento Pirelli di Settimo Torinese. Musica che fa da sottofondo nell’ingresso e nei bagni, installazioni che diventano sedute su cui i visitatori possono accomodarsi e colloquiare, tende dorate mosse dal vento: bau bau è una mostra irripetibile in qualsiasi altro luogo, in grado di seminare silenziosi spunti di riflessione negli interessati, curiosità negli scettici, stupore negli appassionati. Giulia Grassini Céline Condorelli, bau bau Hangar Bicocca via Chiese 2, Milano fino al 10 maggio 2015 – da giovedì a domenica 11:00 – 23:00 Ingresso gratuito Nel Blu di Klein e Fontana al Museo del Novecento Uno straordinario racconto di un dopoguerra animato da artisti, colle- n. 4 VII - 28 gennaio 2015 zionisti, intellettuali e mercanti è lo scenario che si immagina faccia da sfondo alla relazione di amicizia tra Yves Klein e Lucio Fontana raccon- 13 www.arcipelagomilano.org tata nella mostra in corso al Museo del Novecento e che immergono chi vi è coinvolto con stimoli visivi e suggestioni intellettuali. Due città, Milano e Parigi, e due artisti, distanti per età anagrafica, provenienza, formazione e stile ma con in comune la ricerca artistica che si articola verso nuove dimensioni spaziali e concettuali. Ripercorrendo il tradizionale allestimento cronologico del Museo ci si accosta progressivamente al rapporto tra i due: più questo si fa intenso e più aumenta la densità di opere che si incontrano dei due artisti. L’apice del sodalizio si raggiunge quando si spalanca la vetrata sopra piazza del Duomo con la Struttura al neon di Lucio Fontana sul soffitto e la distesa blu di Pigment Pur di Klein. Un dialogo straordinario all’interno del quale il visitatore non può che sen- tirsi coinvolto ed estasiato ammiratore. Cinque sono gli anni cui la mostra è dedicata: dal 1957, anno in cui Yves Klein espone per la prima volta a Milano alla Galleria Apollinaire una serie di monocromi blu, al 1962, anno della morte dello stesso Klein. L’inaugurazione della mostra in Brera è l’occasione in cui i due artisti si incontrano per la prima volta e Fontana è tra i primi acquirenti di un monocromo dell’artista francese, diventando poi uno dei suoi più importanti collezionisti in Italia. Nell’esposizione sono documentati cinque anni di lettere, incontri, viaggi e condivisione di due artisti che hanno segnato profondamente, ognuno a modo proprio, la storia dell’arte novecentesca. L’affinità intellettuale e artistica emerge laddove le aperture spaziali di Fontana (fisiche e concettuali) trovano corrispondenza nel procedere di Klein dal monocromo al vuoto. Entrambi perseguono uno spazio immateriale, cosmico o spirituale, che forse appartiene a un’altra realtà. Una mostra da non perdere “Yves Klein Lucio Fontana, Milano Parigi 1957-1962”, che per la ricerca storico-artistica e le scelte curatoriali non appaga solo la fame conoscitiva del visitatore, ma soprattutto fa sì che venga immerso in un mondo blu splendente che offre un profondo godimento emozionale. Klein Fontana. Milano Parigi 1957-1962 Museo del Novecento piazza Duomo fino al 15 marzo 2015 lunedì 14.30 – 19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30 giovedì e sabato 9.30 – 22.30 Biglietti :10/8/5 euro Tra Leonardo e Milano prosegue felicemente il sodalizio Se in una pigra domenica sera emerge nel milanese un’incontenibile voglia di visitare una mostra, quali sono le proposte della città? Intorno alle 19.30 non molte in realtà: Palazzo Reale così come i grandi musei del centro sono già in procinto di chiudere. Una però attira l’attenzione, sarà per la posizione così centrale o forse proprio per il fatto che è ancora aperta. Quella dedicata al genio di Leonardo Da Vinci, affacciata sulla Galleria Vittorio Emanuele, è una mostra in continua espansione che periodicamente si arricchisce di nuovi elementi frutto delle ricerche dal Centro Studi Leonardo3, ideatore e organizzatore della mostra nonché gruppo attento di studiosi. Se Leonardo produsse durante la sua vita un’infinità di disegni e schizzi, L3 si pone come obiettivo quello di studiare a fondo la produzione del genio tostano e renderla fruibile a tutte le tipologie di pubblico con linguaggi comprensibile e divulgativi offrendo un momento ludico di intrattenimento educativo, adatto sia per bambini che per adulti. Quasi 500 mq ricchi di modelli tridimensionali e pannelli multimediali che permettono realmente di scoprire le molteplici sfaccettature del pensiero e dell’operato leonardesco: macchine volanti o articolati strumenti musicali possono essere smontate e rimontate; riproduzioni del Codice Atlantico e di altri manoscritti sono tutte da sfogliare, ingrandire e leggere; ci sono giochi di ruolo a schermo nei quali i visitatori vestono i panni dello stesso Da Vinci. La produzione artistica non è dimenticata, anzi: un’intera sala è dedicata ai più famosi capolavori dell’artista con un grande pannello e due touchscreen dedicati al restauro digitale dell’Ultima cena, alla Gioconda e a due autoritratti dell’autore. Inaugurata nel marzo 2013, prorogata prima fino a febbraio 2014 e ancora fino al 31 ottobre 2015, la mostra ha superato le 250 mila visite imponendosi come centro attrattivo per turisti e cittadini. Un buon risultato, ma forse basso considerando l’alta qualità della mostra e la posizione decisamente strategica. Il successo di pubblico sarebbe stato migliore (forse) con un maggiore rilievo dato dalla stampa e dei social network, e da un costo del biglietto più calmierato. Ma c’è ancora tempo, e l’occasione giusta è alle porte: non perdiamola e anzi, dimostriamo che anche a Milano ci sono centri di ricerca capaci di produrre mostre interessanti senza necessariamente creare allestimenti costosi ed esporre opere o modelli originali. Leonardo3 - Il Mondo di Leonardo 1 marzo 2013 - 31 ottobre 2015 Piazza della Scala, Ingresso Galleria Vittorio Emanuele II Aperta tutti i giorni, dalle 10:00 alle 23:00 compresi festivi Biglietti: 12/10/9 euro Il “re delle Alpi” conquista anche Palazzo della Ragione Quella al Palazzo della Ragione non è solo una mostra di fotografia sui grandi spazi, come riporta il titolo, è un’ode alle avventure e alle montagne di Walter Bonatti. 97 gli scatti presentati in quella che si sta imponendo sempre di più come una sede espositiva di valore della città di Milano. Ma alle grandi fotografie del mondo, alle riproduzioni audio e video si affiancano alcuni degli oggetti che hanno da sempre accompagnato n. 4 VII - 28 gennaio 2015 Bonatti: gli scarponi di cuoio oramai consunti, la Ferrania Condoretta, una piccola macchina fotografica che usò sul Petit Dru, e la macchina per scrivere: una Serio, modello Everest-K2, che gli venne regalata dalla stessa azienda produttrice perché raccontasse la vera storia di ciò che successe sul K2 nel 1954. È forse grazie a quel dono che Bonatti prese ad affiancare all’alpinismo e all’esplorazione delle vette anche la narrazione. Acuto e attento osservatore del mondo, Bonatti attraverso i suoi reportage darà voce a realtà lontane appassionando i lettori delle più grandi riviste italiane, prima tra tutte Epoca. Un uomo decisamente in controtendenza rispetto al contesto nel quale viveva: nell’Italia post-bellica del boom economico Bonatti sceglie l’allontanamento dalla realtà per andare a scoprire mondi nuovi e inesplorati. Mai lo sfiora il pensiero di rimanere, anzi torna sempre a casa 14 www.arcipelagomilano.org per raccontare il suo vissuto: da ciascun viaggio porta con sé racconti, riflessioni e tante, tantissime immagini per far sognare chi non riesce a partire con lui. Le immagini in mostra raccontano dei grandi viaggi, della sua capacità di errare solo e della sua grande ammirazione per la potenza della natura. Emerge anche una certa consapevolezza di sé: durante i suoi viaggi Bonatti escogita una serie di tecniche con fili e radiocomandi che gli consentono di essere non solo parte delle proprie fotografie, ma romantico protagonista, quasi ultimo e affascinante esploratore del mondo.Una mostra che coinvolge il visitatore mescolando avventura, fotografia e giornalismo, giungendo a delineare il profilo di un grande uo- mo che ha contribuito a fare la storia del Novecento. Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi Palazzo della Ragione Milano fino all'8 marzo 2015 - Orari Tutti i giorni: 9.30 - 20.30 // Giovedì e sabato: 9.30 - 22.30 La biglietteria chiude un’ora prima dell’orario di chiusura Lunedì chiuso Ingresso 10 euro Marc Chagall porta la leggerezza a Palazzo Reale Non si può essere a Milano nell’autunno 2014 e non aver visitato la grande retrospettiva dedicata a Marc Chagall, tale è stato il battage pubblicitario che ha tappezzato l’intera città. Non solo, ma Chagall è anche uno di quegli artisti che rimangono nei ricordi anni dopo la fine degli studi, che sembra facile capire e apprezzare e per i quali si è più predisposti a mettersi in fila per andarne a vedere una grande mostra. Su questa scia è stato pensato il percorso che ha condotto all’ideazione della mostra, che prende proprio le mosse dalla domanda “Chi è stato Marc Chagall? E cosa rappresenta oggi?” L’esposizione, a Palazzo Reale fino al 1 febbraio, accompagna il visitatore in una graduale avvicinamento all’artista; attraverso 15 sale e 220 opere si scopre l’artista affiancando l’esperienza artistica alla sua crescita anagrafica. Uomo attento e profondamente sensibile al mondo che lo circonda, Chagall, è figlio ed erede di tre culture con le quali si è confrontato e che nel suo lavoro ritornano spesso: la tradizione ebraica dalla quale eredita figure ricorrenti, come l’ebreo errante, e immagini cariche di simbologie; quella russa, sua terra natia dei bianchi paesaggi e delle chiese con le cupole a cipolla, e quella francese delle avanguardie artistiche, incontrata più volte durante i suoi soggiorni. Queste eredità si manifestano in maniera eterogenea e armonica in uno stile che rimarrà nella storia per essere solo suo: colori pieni di forma e sostanza, animali e uomini coprotagonisti in una sinergia magica, l’atmosfera quasi onirica e l’amore assoluto che ritorna in ogni coppia raffigurata, quello tra Marc e Bella Chagall e che intride di felicità e leggerezza ogni altro oggetto raffigurato intorno a loro. Persino il secondo conflitto mondiale e poi la morte dell’amata Belle paiono non appesantire il suo lavoro, quanto invece lo conducono a una maggiore profondità e pregnanza di significato. L’immediato godimento della mostra, che potrebbe essere ostacolata dalla lunghezza e dal corpus così importante di opere, è dato anche dalla capacità didattica della audioguida e dei pannelli di mediare tra il pensiero e il valore pittorico dell’artista e l’occhio poco allenato del visitatore. I supporti presenti in mostra contestualizzano in maniera chiara il periodo e i lavori del pittore, offrendo tal volta una descrizione, tal volta un approfondimento nelle voci della curatrice Claudia Zevi o dell’erede dell’artista, Meret Meyer. La mostra racconta anche la poliedricità dell’artista: attraverso i costumi, i decori e le grandi scenografie che l’artista ha realizzato per il Teatro Ebraico Kamerny di Mosca emerge lo Chagall sostenitore entusiasta e attivo protagonista in ambito culturale della Rivoluzione d’ottobre; nelle illustrazioni per le Favole di La Fontaine e nelle incisioni per Ma vie (la sua autobiografia) si incontra un altro Chagall ancora, che non teme in nessun modo il mettersi alla prova con qualcosa di nuovo e diverso. Uomo e artista che si fondono in una personalità quasi magica che al termine della percorso espositivo non si può non apprezzare e che sancisce, ancora una volta, il ruolo dell’artista nella storia dell’arte moderna. Marc Chagall. Una retrospettiva 1908 - 1985 - fino al 1 febbraio 2015 Palazzo Reale, piazza del Duomo Milano - da lunedì 26 gennaio apertura straordinaria fino alle h 24 (ultimo ingresso h 22.30) LIBRI questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero [email protected] Gianrico Carofiglio La regola dell’equilibrio Einaudi Editore, Torino, 2014 pp. 280, euro 19,00 Gianrico Carofiglio è un autore che non ha bisogno di presentazioni. Le sue opere sono sempre in cima alle classifiche. E per uno scalatore come lui, conquistare le vette dell’editoria italiana e internazionale, e rimanerci, è stata una grande vittoria. Ci chiediamo quale possa essere il suo segreto. Innegabile la passione, n. 4 VII - 28 gennaio 2015 la determinazione e, soprattutto, la costanza, ma c’è molto di più. Non sarò certo io a svelarvi l’arcano, però un sistema c’è, ed è quello di leggere i suoi libri. Nella continua ricerca dell’equilibrio, sempre in bilico sul bordo di un burrone o sulla cresta di un’onda, Gianrico affronta temi forti, utilizzando personaggi, che un poco gli somigliano. “Era forse il dieci aprile.” Ecco, l’incipit dell’ultimo romanzo, che vede protagonista l’avvocato Guido Guerrieri, eroe mai tramontato dei primi successi dello scrittore. Questa volta Guerrieri è alle prese con un caso difficile. A bussare alla por- 15 www.arcipelagomilano.org ta del suo studio, situato nel centro di Bari, è un ex compagno di liceo e poi di università. Pierluigi Larocca non è solo un amico, non è una persona qualunque. È un uomo intelligente, dotato, che a soli ventiquattro anni è diventato giudice e ora è nel pieno di una folgorante carriera. Larocca si rivolge a Guerrieri perché lo difenda dall’accusa di corruzione, la peggiore cosa che possa capitare a un magistrato. Nelle indagini, l’avvocato è aiutato da un amico poliziotto, Carmelo Tancredi, e da una investigatrice privata, Annapaola, che viaggia con una mazza da baseball nel borsone. Di fronte ai primi risultati, Guerrieri è in crisi. Diviso tra due valori in cui lui crede fermamente: l’amicizia e la morale. Nemmeno prendere a pugni il sacco da boxe, appeso nel soggiorno di casa, riesce a distrarlo dal problema che dovrà affrontare. Neanche fare l’amore con Annapaola, “che da tanto tempo non mi era piaciuto così”. Ci vuole coraggio ad affrontare questo caso, lo stesso coraggio che dimostra di avere l’autore, ex magistrato, a mettere in luce il fango di un ambiente in cui per anni ha lavorato. Larocca è un giudice che vive nel mondo delle sue menzogne e delle sue giustificazioni. Bellissima la citazione dai Fratelli Karamazov: “Chi mente a se stesso e presta ascolto alle proprie menzogne arriva al pun- to di non distinguere più la verità, né in se stesso, né intorno a sé.” Anche se Carofiglio cerca di alleggerisce il dramma della corruzione del potere giudiziario, introducendo scene ironiche e di vita quotidiana, il lettore si troverà nella stessa fogna in cui molti magistrati vivono, con la piena consapevolezza che certe cose succedono. E succedono davvero. Un libro che non si riesce a chiudere nemmeno a notte fonda. Si va avanti finché giunge l’alba, e si arriva all’ultima pagina. Solo allora si respira aria fresca, “sembrava una mattina di quando ero ragazzo”. Cristina Bellon SIPARIO questa rubrica è a cura di E. Aldrovandi e D.Muscianisi [email protected] Avanim | Pietre per la memoria Da martedì 27 gennaio 2015, Giorno della Memoria in ricordo delle vittime dell'Olocausto, è in scena al Teatro Studio Melato Avanim ovvero Pietre della compagnia teatrale israeliana ORTO-DA Theatre Group. Lo spettacolo, in scena fino al 1 febbraio, trae ispirazione dal monumento di Nathan Rapoport in memoria delle vittime della Shoah e dei resistenti del Ghetto di Varsavia posto nel 1948 all’ingresso del Ghetto. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, quando le armate naziste si abbatterono come un uragano sull’Europa, Adolf Hitler inviò un corpo speciale tedesco in Svezia, per individuare ed estrarre uno speciale tipo di granito con il quale scolpire un monumento celebrativo del Terzo Reich. Al termine della guerra, dopo la disfatta nazista, le pietre furono abbandonate. Nel 1946, lo scultore ebreo Nathan Rapoport decise di scolpire una statua che onorasse la memoria dei ribelli del Ghetto di Varsavia e si mise in cerca del granito più adatto allo scopo. Dopo lunghe ricerche, le pietre furono ritrovate, in Svezia: era come se stessero aspettando. Le stesse pietre che avrebbero dovuto rappresentare la grandezza del Terzo Reich sono oggi il simbolo dell’atroce stermino degli Ebrei in Europa. Queste sono le uniche parole di Avanim: tutto il resto è raccontato dai corpi, inizialmente immobili come le pietre del titolo, che lentamente si animano e prendono vita sul palcoscenico. Truccati in modo da rappresentare le figure del monumento di Rapoport, gli attori intraprendono un viaggio intimo nelle coscienze e nel tempo, nelle menti e nelle memorie, nel presente e nella storia. Un percorso poetico e pieno di ironia, nel quale la comicità gioca con il dolore agrodolce del ricordo. Avanim mostra come l’immaginazione e la poesia possano cogliere la bellezza e la speranza anche dal lato più oscuro del genere umano e gli orrendi simboli dell’Olocausto possano dar vita ad uno spettacolo ri- goroso, colorato, a volte sconcertante. Un omaggio, nel 70° anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, a una pagina dolorosa della storia attraverso la delicata fantasia degli Orto-Da. Nato nel 1996 da sei mimi attori, specializzati nel teatro di strada, il gruppo ORTO-DA mutua i proprio nome da “Orto”, radice di ortodosso, e “Da” come Dada. In ebraico il nome rimanda ad altri due concetti: “Or” ovvero luce, “Toda” che vuol dire grazie. In queste radici etimologiche risiede la chiave del lavoro della compagnia: la loro ricerca mira ad armonizzare le radici culturali del teatro di tradizione con l’esplorazione di nuovi territori teatrali. Il gruppo porta in scena una fusione post moderna di mimica e clownerie con un tocco “dark”, danza e visual art, creando uno stile unico, non privo di ironia, che raggiunge il pubblico oltrepassando qualsiasi barriera linguistica e culturale (Ufficio stampa Piccolo Teatro) CINEMA questa rubrica è curata da Anonimi Milanesi [email protected] Corri, ragazzo, corri di Pepe Danquart [Germania Francia, 2013, 108'] conAndrzej e Kamil Tkacz; Elisabeth Duda, Rainer Bock In occasione della giornata della Memoria, il 26, 27 e 28 gennaio, uscirà nelle sale Corri, ragazzo, corn. 4 VII - 28 gennaio 2015 ri di Pepe Danquart, già premio Oscar nel 1994 per il cortometraggio Black Rider in cui affrontava con ironia i temi del razzismo e dell’indifferenza. La storia è tratta dall’omonimo libro di Uri Orlev, edito 16 www.arcipelagomilano.org in Italia da Salani, in cui si raccontano le vicissitudini di Srulik, bimbo polacco di origine ebraica, che, fuggito dal ghetto di Varsavia, riesce a sopravvivere alla guerra, alla Gestapo, alla fame, al freddo dei terribili inverni di occupazione tedesca. Bravissimi i due attori Andrzej e Kamil Tkacz, gemelli, che interpretano il protagonista. Il film, molto toccante emotivamente, mette in scena un’umanità povera, meschina, eroica talvolta, spesso arrogante, ma anche pavida e generosa, e ancora piena di speranza o disperata. Noi umani, insomma. Il piccolo fuggiasco ha ricevuto dal padre un’esortazione: Devi sopravvivere. E per farlo, Srulik deve dimenticare: Dimentica il tuo nome, dimentica me e tua madre, nascondi a tutti chi sei, ma non dimenticare mai che sei ebreo. Il film insiste sulla relazione dimenticanza/memoria. E forse proprio per questo, Corri, ragazzo, corri merita di essere visto. Non è casuale che il regista sia tedesco: in Germania si è coltivata la memoria, e con essa anche la consapevolezza delle colpe collettive, di cosa è stato il nazismo, la guerra, lo sterminio di ebrei, oppositori politici, rom, omosessuali, comunisti ..., c’è stato uno sforzo comune di elaborare qual che era stato, nella volontà che non debba accadere mai più. In Italia questa rielaborazione dei fatti avvenuti, delle leggi razziali, non c’è stata, non collettivamente almeno e il mito degli “Italiani brava gente” si è fatto forte dei lavori di autorevoli studiosi, De Felice in primis. E di responsabilità collettive non si parla. Ma coltivare la memoria di quel che è stato, dovrebbe so- prattutto servire a vedere quel che è adesso. Dall’altra sponda del Mediterraneo, arrivano oggi in Italia tanti giovanissimi, tanti Srulik, che cercano di sopravvivere alla guerra, o che partono nella speranza di poter aiutare le famiglie. Giovanissimi in balia di se stessi, della propria capacità di saper dimenticare e ricordare, di saper sopravvivere. Non sappiamo quanti sono, eppure vivono nelle nostre stesse città. Non possono studiare e noi non ce ne curiamo. Lo Stato fa poco per loro, ma la domanda che un film come Corri, ragazzo, corri dovrebbe suscitare in ciascuno di noi è: cosa faccio io? Cosa potrei fare? Un film che ci può aiutare a riflettere a quale tipo di umanità scegliamo di appartenere. Tootsie IL FOTO RACCONTO DI URBAN FILE IL CIELO SOPRA MILANO http://blog.urbanfile.org/2015/01/27/fotografia-le-foto-strabilianti-di-fabio-polosa/ MILANO ZONA 6 secondo [ Gabriele ] Gabriele Rabaiotti LA ZONA 6 SARÀ MUNICIPALITÀ http://youtu.be/gBenLruc8S8 n. 4 VII - 28 gennaio 2015 17