Vincenza Pellegrino Brevi Riflessioni sul percorso di ascolto
Transcript
Vincenza Pellegrino Brevi Riflessioni sul percorso di ascolto
Vincenza Pellegrino Brevi Riflessioni sul percorso di ascolto “Giovani in cerca di Identità” ‐ COSA INTENDIAMO PER ‘PERCORSO DI ASCOLTO’ SULL’IDENTITÀ GIOVANILE? Le realtà associative coinvolte nel progetto “Giovani Identità” coordinato da Forum Solidarietà rappresentano “Parme” diverse, gruppi sociali differenti, mondi che coesistono in una città appunto, ma che sono distanti culturalmente e socio‐economicamente. Da un lato c’erano i ragazzi\e e i genitori della Scuola per l’Europa, dall’altro le persone che frequentano il Laboratorio Famiglia del quartiere Oltretorrente, e poi i giovani del CNGEI (‘gruppo scout laico’), l’Associazione Milleunmondo, l’Associazione Libera‐mente ecc. Il passaggio iniziale tra noi è stato proprio quello di capire come focalizzare il tema in questi diversi contesti perché, certo, posta così (nei termini di ‘identità giovanile’), la questione risulta eccessivamente vasta. Non mi dilungo infatti su come il termine ‘identità’ sia oggi utilizzato in modi molto differenti, (forse a volte abusato) per indicare ora le modalità con cui le persone si auto‐definiscono o vengono attribuite a determinati gruppi, ora le modalità con cui incarnano (materialmente) e agiscono i ruoli sociali, ecc. L’identità appare e scompare a seconda di come la definiamo e di come la osserviamo, appunto, ora in chiave ‘culturale’ (a quali modelli, valori, ‘icone’ mi ispiro definendomi in relazione ad altri?), ora in chiave ‘sociale’ (quale pratiche e comportamenti mi definiscono nell’interazione quotidiana con altri), sempre in riferimento ad un altro significativo (rispetto al quale appunto mi percepisco e mi definiscono) e sempre in maniera relativamente circostanziata (quando cambia l’altro di riferimento cambia l’io che io definisco e che agisco). Ma senza entrare nella complessità delle definizioni sull’identità, che si moltiplicano senza sosta in ambito sociologico e antropologico, già lavorando con i referenti delle associazioni coinvolte è apparso chiaro come nei diversi contesti i\le ragazzi\e della nostra città (e in generale le persone coinvolte) mettessero al centro aspetti diversi del discorso. In alcuni contesti ad es. emergeva come centrale la questione degli ‘spazi sociali attraversati dai ragazzi’ sia materialmente che simbolicamente (essere di Parma o essere del mondo? voler viaggiare, prepararsi a partire è la fine degli spazi chiusi, la fine del confronto reale con il luogo?). In altri invece il discorso era centrato sull’idea di confronto tra generazioni e culture (il discorso sulle seconde generazioni: il desiderio di esprimersi nel contesto cittadino e la fatica di confrontarsi con i limiti materiali e psicologici dell’idea di un ‘destino acquisito dai genitori’). In altri ancora parlare di identità giovanile sembrava aprire all’idea del ‘travaglio da scelta’, vale a dire all’idea di un periodo marcatamente caratterizzato dalle peregrinazioni tra innumerevoli proposte di ‘esperienze’ e ‘valori’ (e quindi si alludeva spesso a ‘identità precarie’), insomma a operare scelte che la società (e i genitori) ‐ divenuti così ‘democratici’ ‐ paiono proporre senza sosta ai ragazzi, ‘liberi’ e ‘affaticati’ (“a tratti smarriti poiché se tutto è da provare allora nulla è abbastanza buono per essere una sosta”). Insomma, i diversi gruppi chiedevano di parlare di diverse cose perché diversi sono gli aspetti della giovinezza che premono nei diversi contesti sociali. E così abbiamo fatto: il nostro ascolto si è focalizzato a cogliere il modo in cui si costruiscono nella città diversi discorsi sull’essere giovani, sul dover‐essere in età giovanile, sul poter‐essere in età giovanile. Concretamente, abbiamo realizzato alcuni incontri (chiamarli focus group è un poco improprio, anche se il metodo teoricamente prescelto era quello, poiché il numero dei partecipanti è stato a volte inferiore alle 7 persone ecc., ma in ogni modo l’espressione rende l’idea di come noi ci siamo preparati agli incontri, pensando a giochi e stimoli che potessero orientare la discussione, come appunto si fa nei focus group) con: ‐ i genitori Scuola Europea (dai quali abbiamo riportato a casa cartelloni pieni di parole e molti appunti); ‐ i\le ragazzi\e Scuola Europea (dai quali abbiamo riportato numerosi scritti dei ragazzi sull’idea di futuro e sull’idea di ‘legame con la propria città’); ‐ le madri del Laboratorio Famiglia Oltretorrente; ‐ i\le ragazzi\e del gruppo Scout CNGEI (dai quali abbiamo riportato il materiale uscito da un gioco sul legame tra identità e valori). Abbiamo poi estrapolato da questo percorso di ascolto alcune ricorrenze e differenze, perché si facessero evidenti alcuni ‘nodi concettuali’ sulla giovinezza e le identità giovanili. Questo materiale di riflessione, uscito dai ‘focus’, è stato infine dibattuto con le associazioni e si è deciso di evidenziare alcuni aspetti tematici, che presenterò nel prossimo paragrafo. Questi aspetti tematici sono stati poi proposti agli attori del gruppo Tangram – Teatro dell’Oppresso – per farne stimoli (cognitivi ma anche emotivi) per i ragazzi delle scuole superiori che il 7 maggio sarebbero stati presenti al Laboratorio OST (Open Space Technology), ultimo passaggio della nostra ‘catena di ascolto’. ‐ COSA È EMERSO DALL’ ASCOLTO? Innanzi tutto, confrontando gruppi di giovani e di adulti sull’idea di ‘giovinezza oggi’ e di ‘identità giovanile oggi’, ci aspettavamo emergessero i fantasmi del ‘conflitto tra generazioni’: voi siete questo, noi vorremmo essere quest’altro! Ed invece, come tanta parte della letteratura sociologica oggi tende a evidenziare, il conflitto tra generazioni pare farsi evanescente (almeno nelle rappresentazioni che le persone ne hanno). Si certo, i genitori a volte “premono e stufano”; si certo, i ragazzi\e a volte “preoccupano per la loro superficialità”, discorsi comuni, ma scavando nelle conversazioni tutti paiono lavorare insieme al destino di ciascuno, senza definirsi per contrapposizione, anzi riconoscendo che uno degli obbiettivi è ora “restare insieme per tutta la vita”. Un nuovo scenario che non parla di relazioni familiari in decadenza, come nella seconda metà del secolo scorso si era ipotizzato, ma anzi di una rafforzata volontà di prossimità, di una grande aspettativa di prossimità affettiva. Ciò che appare è invece una fatica comune a giovani e adulti, quella di ricomporre tra loro elementi divergenti nella definizione della identità giovanile: c’è l’idea di essere arrivati ad un ‘punto della storia’ dove non si compongono più facilmente pressioni e modelli sociali divergenti, ad esempio inviti a studiare le lingue e a viaggiare, da un lato, ed inviti a occuparsi del proprio luogo (a fare volontariato ecc.) dall’altro lato; inviti a ‘spaziare’ e inviti a ‘restare’, ecc. Tensioni tra le proposte, i desideri, le pressioni culturali divergenti che mettono in scena il contesto contemporaneo, che disorientano insieme (e non gli uni contro gli altri) i genitori e gli\le adolescenti. Ma per tornare più precisamente su quelle che ho chiamato ‘tensioni’ indicate all’interno dei discorsi raccolti, eccone alcune: Performance VS Qualità di vita; Eccellenza VS Norma Vi è in alcuni contesti (parlo della Scuola per l’Europa ma anche dei ragazzi CNGEI) l’idea che un ragazzo\a oggi debba assumersi la responsabilità dell’impegno e che l’impegno si traduca nell’individuazione di ‘propri punti di forza’, nel perseguimento delle proprie eccellenze (che va di pari passo con l’identificazione dei propri limiti). È come dire: “dobbiamo capire cosa ci permette di esprimere il nostro particolare potenziale e perseguirlo con tenacia”. Dobbiamo divenire responsabilmente eccellenti in qualcosa. Come se appunto la responsabilità (l’idea di impegno) si traducesse inevitabilmente nella differenziazione (“ognuno di noi eccelle in qualcosa di diverso”) e nella assunzione dell’eccellenza (“se non vuoi sprecare la giovinezza e la vita devi capire in cosa sei capace e diventare molto bravo in quello”). In questo modo, farsi ‘carico della propria identità’ (e della sua riuscita nel mondo) è assumersi simbolicamente un ‘carico performativo’ (esprimere alcune componenti del proprio repertorio al meglio!), oltre che di sacrificio rispetto a quanto non ci sentiamo di essere compiutamente (lasciar andare, almeno in senso di ‘autorappresentazione di sé’, gli aspetti in cui ci sentiamo deboli, che dovremmo appunto ‘lasciare ad altri’). Così, gli individui giovani trovano collocazione in un mondo che percepiscono (ed è) competitivo: selezionare, impegnarsi, eccellere. I genitori, in maniera speculare, vedono l’esercizio della responsabilità (almeno in parte) come capacità di raggiungere obbiettivi, di avere riscontri ‘elevati’ su certe proprie doti (su quali scegliere lasciano spesso crescente libertà, come vedremo). Insomma, se lo spazio per le molte identità che premono e vogliono essere riconosciute è ‘l’eccellenza’ (o il successo, che dire si voglia) si apre uno scenario di ‘scomparsa dei normali’, di illegittimità della vita normale. Tutti però, ragazzi\e e adulti, percepiscono come rischio (e come grande fatica) questo imperativo, tutti sentono che la qualità di vita in contesto di performance obbligata non è poi così elevata. Inoltre, tutti paiono essere consapevoli di una cosa: se i modelli che abbiamo ascoltato (le definizioni di eccellenza) insistono spesso sulla scuola (la buona riuscita scolastica) come anticamera al lavoro, sulla capacità di fare bene il proprio mestiere, ecc., non dimentichiamo però che altri modelli performativi (da tutti indicati come negativi) esercitano altrettanta influenza: l’eccellenza dei corpi, l’illegittimità della bruttezza e della vecchiaia, la definizione di successo che passano i media (seppure razionalmente criticati, nell’immaginario che abbiamo descritto ‐ orientato appunto alla eccellenza ‐ trovano terreno fertile). Cittadinanza locale VS cittadinanza globale Il mondo si è fatto tutto intero ai nostri occhi, lo immaginiamo come spazio percorribile, le distanze si sono accorciate, gli scambi moltiplicati in maniera imprevedibile solo 50 anni fa. Alcuni ragazzi e genitori incontrati pensano che percorrere questo spazio larghissimo sia una delle mission a cui i giovani di oggi siano destinati: per questo si formano alle lingue, ad essere capaci di lasciare il destino in cui sono nati per impegnarsi ovunque nel mondo, e soprattutto in quelli che appaiono come i suoi centri culturali sociali economici più vitali (spesso è nominata Londra ma anche Hong Kong). Per loro, la giovinezza appare una palestra per il futuro spostamento. Ciò che si vive in giovinezza è una vita di passaggio, la vita giovane non è destinata ad essere il posto in cui si getta il seme della via adulta, ma è appunto il prepararsi ad ‘un salto’. Gli amori giovanili sono e devono essere di passaggio (per non essere un freno, un legame che non permette di spiegare le vele verso l’altrove, materiale o simbolico che sia) e così forse anche altre passioni. Da un lato quindi vi sono coloro che si preparano costantemente al viaggio, proiettandosi in un futuro lontano dalla propria città (che in tal senso non è più il posto in cui materialmente si esercita la propria pressione, il proprio progetto sul mondo reale proponendosi all’esterno del proprio cerchio). Il profilo della città reale e dei suoi problemi si allontana. Non si conoscono i nomi delle strade e delle persone. Si hanno poche critiche da fare a ‘come va Parma’ (già la domanda sembra strana: “io sono giovane, cosa vuoi che sappia come va Parma?”). Paradossalmente, per aprire la propria mentalità (“dobbiamo studiare le lingue e capire che siamo cittadini del mondo”) si chiude l’esercizio critico rispetto al mondo locale (“non ho niente di cui lamentarmi perché la città che attraverso io comunque sono poche strade e quello che vedo mi va bene”). Insomma, preparazione al viaggio e frequentazione materiale e concreta del mondo in cui si vive paiono contrapporsi a tratti (a quale cittadinanza globale è possibile formare davvero i giovani se essi non fanno mai pratica di cittadinanza locale?). Diverso invece il discorso di altri ragazzi e genitori che sono approdati a Parma da altre parti del mondo, che sono immigrati a Parma: lo spazio lo hanno già effettivamente e materialmente percorso ed ora sono tesi a imparare la città, le sue vie, le offerte, i limiti. Le condizioni sociali sono diverse, e le critiche alla città si moltiplicano. Verità (valori e norme) VS libertà Dai ragazzi\e emerge spesso che la cosa importante è consumare (vagliare, considerare) diverse proposte circa i valori, e poi scegliere. Che bisogna fare prima molte esperienze (viaggi, amori, studi diversi) per poi sapere chi si è. Che bisogna ‘non fissarsi troppo’ su alcune cose quando si è giovani ma prima provarne molte. La libertà, per essere agita, necessità di molti cambiamenti, secondo i nostri testimoni, e questo in parte spiegherebbe la difficoltà per le ‘identità giovani’ di esprimere valori o elementi per cui spendersi oggi, da indicare oggi come ineludibili nella ‘buona giovinezza’ e se vogliamo nella ‘buona vita’. Se questa forse è una caratteristica, uno stato di animo (in tempi moderni almeno) che potremmo più generalmente riferire alla giovinezza, la novità è che anche i genitori paiono condividerlo, paiono sentirsi i garanti di questo ‘consumo di esperienze’, del fatto che i figli\le figlie provino molte e diverse esperienze, dimensioni, inclinazioni, che provino e riprovino a fare la lista ‐ potremmo dire – delle ‘priorità’ (provare a spendersi per gli altri e per il benessere fisico e per la riuscita intellettuale e…, poi vediamo cosa succede). A differenza del passato, quindi, l’adolescenza pare essere in continuità con la vita infantile e con quella adulta in un percorso di sperimentazione di strade diverse, e non invece essere frattura (o momento del dubbio) rispetto alle proposte adulte (non solo a parole ma in base all’esempio). In realtà inoltre, quando si scava nelle conversazioni, i testimoni percepiscono come si tratti di ‘libertà di orientamento autonomo’ molto apparenti perché i modelli impliciti di riuscita personale (che è un concetto molto presente, abbiamo visto), pur non veicolati dai genitori e anzi apparentemente osteggiati, paiono essere percepiti come costrittivi (“sii bella!! Non è un imperativo poco costrittivo, anzi… Non è una esperienza che hai la forza di non fare”). Relazioni educative: parole VS presenze Un altro aspetto che emerge, soprattutto dagli adulti, è quello della mancanza di spazi (di tempi!) per la condivisione, tanto che le vite di bambini, adolescenti, adulti di una famiglia sembrano parallele (ci si rivede solo a sera, dopo il lavoro, le attività ecc.). In tal senso, i modi in cui vogliamo apparire noi genitori ai figli (i modi in cui più o meno consapevolmente trasmettiamo ciò in cui crediamo ad esempio, o come viviamo il corpo, l’essere donna o uomo ecc.) sono compressi in spazi di vita concretamente molto limitati e perciò vengono ‘intellettualizzati’, ‘verbalizzati’ (“La sera racconto sempre storie ai miei figli per dirgli quale è la morale della vita per me”). Il ‘succo’ (il modo in cui ci si passano le indicazioni sulla propria identità) sta nelle parole e non nel vissuto comune, e aumenta sempre la porzione di tempo in cui i ragazzi\le ragazze sono esposti a modelli identitari veicolati dai coetanei e dai Media. La testimonianza di una madre africana è emblematica: “Non c’era bisogno di insegnarmi a parole cosa doveva contare per me e come io stavo cambiando, cosa significava diventare adulti. Io vivevo con i miei e con i miei parenti di tutte le età, assorbivo i loro valori stando insieme a fare le cose insieme. Nessuno mi ha mai detto: padre e madre si devono aiutare. Io vedevo i miei fare le cose insieme tutto il giorno. Oggi poi alla sera cerchiamo di dire queste cose a parole ai nostri figli stanchi per la giornata e anche noi stanche.” In tal senso le ‘identità’ si sarebbero fatte troppo incerte, troppo sperimentali, poiché ‘laboratori individuali’ (sin da bambini ci si trova esposti a giornate ‘in solitaria’, lontani da coloro che sono i nostri ‘altri di riferimento’). La incapacità di essere gli uni ‘esempio’ agli altri, di orientarci a vicenda, pare una questione di tempo, ed emerge il desiderio di ridiscutere i tempi da dedicare alle relazioni rispetto a quelli da dedicare alla produzione, al lavoro (vasto tema rispetto al quale gli adulti paiono oggi voler riprendere parola). ‐ QUALE È IL PROSSIMO PASSO? Queste conversazioni possono aprire a molte domande, e ci hanno spinti ad alcune ipotesi rispetto alle ‘voci interne’ che possono animare le ‘identità giovanili’: Devo eccellere? Riesco a eccellere? Se tutti eccelliamo ce la facciamo? Sono all’altezza di questa roba?che fatica? Sono libero di essere normale? Sono libero di essere ‘medio’? Ad esempio, un corpo medio (una bellezza normale) è ‘ inammissibile’? Quali distanze devo prendere dai genitori? Cosa penso delle loro vite? Voglio essere meglio. Avere più successo. Ma in cosa? Se mi vedono per quello che io mi sento, li deludo? In cosa? Viaggiare è un modo di essere un grande? E’ il principale modo di diventare qualcuno? Penso molto a partire…? Mi sto preparando o sto vivendo? Ma io sono fuori dal mondo che c’è qui a Parma o no? A parte i miei amici, conosco Parma? dovrei conoscerla, oppure è roba da adulti? Non devo buttare le occasioni. Devo cercare le occasioni e le esperienze. Ma cosa è un’occasione, un’esperienza che mi fa ‘meglio di adesso’? Mi chiedono troppo. Faccio fin troppo. Scuola, sport, simpatia, bellezza, e poi essere gentile con tutti… Son stanco\a. O no? Mi chiedono troppo. O no? Sento pressioni. O no? Ma cosa sono le pressioni? Molto altro si potrebbe ‘gettare come esca’. Ma questa parte, questa libera associazione tra idee, la lasciamo ai ragazzi\alle ragazze nel laboratorio dell’Open Space Technology (OST). Il prossimo passo infatti è l’OST!