Vincenza Pellegrino Brevi Riflessioni sul percorso di ascolto

Transcript

Vincenza Pellegrino Brevi Riflessioni sul percorso di ascolto
Vincenza
Pellegrino
Brevi
Riflessioni
sul
percorso
di
ascolto
“Giovani
in
cerca
di
Identità”
‐
COSA
INTENDIAMO
PER
‘PERCORSO
DI
ASCOLTO’
SULL’IDENTITÀ
GIOVANILE?
Le
realtà
associative
coinvolte
nel
progetto
“Giovani
Identità”
coordinato
da
Forum
Solidarietà
rappresentano
“Parme”
diverse,
gruppi
sociali
differenti,
mondi
che
coesistono
in
una
città
appunto,
ma
che
sono
distanti
culturalmente
e
socio‐economicamente.
Da
un
lato
c’erano
i
ragazzi\e
e
i
genitori
della
Scuola
per
l’Europa,
dall’altro
le
persone
che
frequentano
il
Laboratorio
Famiglia
del
quartiere
Oltretorrente,
e
poi
i
giovani
del
CNGEI
(‘gruppo
scout
laico’),
l’Associazione
Milleunmondo,
l’Associazione
Libera‐mente
ecc.
Il
passaggio
iniziale
tra
noi
è
stato
proprio
quello
di
capire
come
focalizzare
il
tema
in
questi
diversi
contesti
perché,
certo,
posta
così
(nei
termini
di
‘identità
giovanile’),
la
questione
risulta
eccessivamente
vasta.
Non
mi
dilungo
infatti
su
come
il
termine
‘identità’
sia
oggi
utilizzato
in
modi
molto
differenti,
(forse
a
volte
abusato)
per
indicare
ora
le
modalità
con
cui
le
persone
si
auto‐definiscono
o
vengono
attribuite
a
determinati
gruppi,
ora
le
modalità
con
cui
incarnano
(materialmente)
e
agiscono
i
ruoli
sociali,
ecc.
L’identità
appare
e
scompare
a
seconda
di
come
la
definiamo
e
di
come
la
osserviamo,
appunto,
ora
in
chiave
‘culturale’
(a
quali
modelli,
valori,
‘icone’
mi
ispiro
definendomi
in
relazione
ad
altri?),
ora
in
chiave
‘sociale’
(quale
pratiche
e
comportamenti
mi
definiscono
nell’interazione
quotidiana
con
altri),
sempre
in
riferimento
ad
un
altro
significativo
(rispetto
al
quale
appunto
mi
percepisco
e
mi
definiscono)
e
sempre
in
maniera
relativamente
circostanziata
(quando
cambia
l’altro
di
riferimento
cambia
l’io
che
io
definisco
e
che
agisco).
Ma
senza
entrare
nella
complessità
delle
definizioni
sull’identità,
che
si
moltiplicano
senza
sosta
in
ambito
sociologico
e
antropologico,
già
lavorando
con
i
referenti
delle
associazioni
coinvolte
è
apparso
chiaro
come
nei
diversi
contesti
i\le
ragazzi\e
della
nostra
città
(e
in
generale
le
persone
coinvolte)
mettessero
al
centro
aspetti
diversi
del
discorso.
In
alcuni
contesti
ad
es.
emergeva
come
centrale
la
questione
degli
‘spazi
sociali
attraversati
dai
ragazzi’
sia
materialmente
che
simbolicamente
(essere
di
Parma
o
essere
del
mondo?
voler
viaggiare,
prepararsi
a
partire
è
la
fine
degli
spazi
chiusi,
la
fine
del
confronto
reale
con
il
luogo?).
In
altri
invece
il
discorso
era
centrato
sull’idea
di
confronto
tra
generazioni
e
culture
(il
discorso
sulle
seconde
generazioni:
il
desiderio
di
esprimersi
nel
contesto
cittadino
e
la
fatica
di
confrontarsi
con
i
limiti
materiali
e
psicologici
dell’idea
di
un
‘destino
acquisito
dai
genitori’).
In
altri
ancora
parlare
di
identità
giovanile
sembrava
aprire
all’idea
del
‘travaglio
da
scelta’,
vale
a
dire
all’idea
di
un
periodo
marcatamente
caratterizzato
dalle
peregrinazioni
tra
innumerevoli
proposte
di
‘esperienze’
e
‘valori’
(e
quindi
si
alludeva
spesso
a
‘identità
precarie’),
insomma
a
operare
scelte
che
la
società
(e
i
genitori)
‐
divenuti
così
‘democratici’
‐
paiono
proporre
senza
sosta
ai
ragazzi,
‘liberi’
e
‘affaticati’
(“a
tratti
smarriti
poiché
se
tutto
è
da
provare
allora
nulla
è
abbastanza
buono
per
essere
una
sosta”).
Insomma,
i
diversi
gruppi
chiedevano
di
parlare
di
diverse
cose
perché
diversi
sono
gli
aspetti
della
giovinezza
che
premono
nei
diversi
contesti
sociali.
E
così
abbiamo
fatto:
il
nostro
ascolto
si
è
focalizzato
a
cogliere
il
modo
in
cui
si
costruiscono
nella
città
diversi
discorsi
sull’essere
giovani,
sul
dover‐essere
in
età
giovanile,
sul
poter‐essere
in
età
giovanile.
Concretamente,
abbiamo
realizzato
alcuni
incontri
(chiamarli
focus
group
è
un
poco
improprio,
anche
se
il
metodo
teoricamente
prescelto
era
quello,
poiché
il
numero
dei
partecipanti
è
stato
a
volte
inferiore
alle
7
persone
ecc.,
ma
in
ogni
modo
l’espressione
rende
l’idea
di
come
noi
ci
siamo
preparati
agli
incontri,
pensando
a
giochi
e
stimoli
che
potessero
orientare
la
discussione,
come
appunto
si
fa
nei
focus
group)
con:
‐
i
genitori
Scuola
Europea
(dai
quali
abbiamo
riportato
a
casa
cartelloni
pieni
di
parole
e
molti
appunti);
‐
i\le
ragazzi\e
Scuola
Europea
(dai
quali
abbiamo
riportato
numerosi
scritti
dei
ragazzi
sull’idea
di
futuro
e
sull’idea
di
‘legame
con
la
propria
città’);
‐
le
madri
del
Laboratorio
Famiglia
Oltretorrente;
‐
i\le
ragazzi\e
del
gruppo
Scout
CNGEI
(dai
quali
abbiamo
riportato
il
materiale
uscito
da
un
gioco
sul
legame
tra
identità
e
valori).
Abbiamo
poi
estrapolato
da
questo
percorso
di
ascolto
alcune
ricorrenze
e
differenze,
perché
si
facessero
evidenti
alcuni
‘nodi
concettuali’
sulla
giovinezza
e
le
identità
giovanili.
Questo
materiale
di
riflessione,
uscito
dai
‘focus’,
è
stato
infine
dibattuto
con
le
associazioni
e
si
è
deciso
di
evidenziare
alcuni
aspetti
tematici,
che
presenterò
nel
prossimo
paragrafo.
Questi
aspetti
tematici
sono
stati
poi
proposti
agli
attori
del
gruppo
Tangram
–
Teatro
dell’Oppresso
–
per
farne
stimoli
(cognitivi
ma
anche
emotivi)
per
i
ragazzi
delle
scuole
superiori
che
il
7
maggio
sarebbero
stati
presenti
al
Laboratorio
OST
(Open
Space
Technology),
ultimo
passaggio
della
nostra
‘catena
di
ascolto’.
‐
COSA
È
EMERSO
DALL’ ASCOLTO?
Innanzi
tutto,
confrontando
gruppi
di
giovani
e
di
adulti
sull’idea
di
‘giovinezza
oggi’
e
di
‘identità
giovanile
oggi’,
ci
aspettavamo
emergessero
i
fantasmi
del
‘conflitto
tra
generazioni’:
voi
siete
questo,
noi
vorremmo
essere
quest’altro!
Ed
invece,
come
tanta
parte
della
letteratura
sociologica
oggi
tende
a
evidenziare,
il
conflitto
tra
generazioni
pare
farsi
evanescente
(almeno
nelle
rappresentazioni
che
le
persone
ne
hanno).
Si
certo,
i
genitori
a
volte
“premono
e
stufano”;
si
certo,
i
ragazzi\e
a
volte
“preoccupano
per
la
loro
superficialità”,
discorsi
comuni,
ma
scavando
nelle
conversazioni
tutti
paiono
lavorare
insieme
al
destino
di
ciascuno,
senza
definirsi
per
contrapposizione,
anzi
riconoscendo
che
uno
degli
obbiettivi
è
ora
“restare
insieme
per
tutta
la
vita”.
Un
nuovo
scenario
che
non
parla
di
relazioni
familiari
in
decadenza,
come
nella
seconda
metà
del
secolo
scorso
si
era
ipotizzato,
ma
anzi
di
una
rafforzata
volontà
di
prossimità,
di
una
grande
aspettativa
di
prossimità
affettiva.
Ciò
che
appare
è
invece
una
fatica
comune
a
giovani
e
adulti,
quella
di
ricomporre
tra
loro
elementi
divergenti
nella
definizione
della
identità
giovanile:
c’è
l’idea
di
essere
arrivati
ad
un
‘punto
della
storia’
dove
non
si
compongono
più
facilmente
pressioni
e
modelli
sociali
divergenti,
ad
esempio
inviti
a
studiare
le
lingue
e
a
viaggiare,
da
un
lato,
ed
inviti
a
occuparsi
del
proprio
luogo
(a
fare
volontariato
ecc.)
dall’altro
lato;
inviti
a
‘spaziare’
e
inviti
a
‘restare’,
ecc.
Tensioni
tra
le
proposte,
i
desideri,
le
pressioni
culturali
divergenti
che
mettono
in
scena
il
contesto
contemporaneo,
che
disorientano
insieme
(e
non
gli
uni
contro
gli
altri)
i
genitori
e
gli\le
adolescenti.
Ma
per
tornare
più
precisamente
su
quelle
che
ho
chiamato
‘tensioni’
indicate
all’interno
dei
discorsi
raccolti,
eccone
alcune:
Performance
VS
Qualità
di
vita;
Eccellenza
VS
Norma
Vi
è
in
alcuni
contesti
(parlo
della
Scuola
per
l’Europa
ma
anche
dei
ragazzi
CNGEI)
l’idea
che
un
ragazzo\a
oggi
debba
assumersi
la
responsabilità
dell’impegno
e
che
l’impegno
si
traduca
nell’individuazione
di
‘propri
punti
di
forza’,
nel
perseguimento
delle
proprie
eccellenze
(che
va
di
pari
passo
con
l’identificazione
dei
propri
limiti).
È
come
dire:
“dobbiamo
capire
cosa
ci
permette
di
esprimere
il
nostro
particolare
potenziale
e
perseguirlo
con
tenacia”.
Dobbiamo
divenire
responsabilmente
eccellenti
in
qualcosa.
Come
se
appunto
la
responsabilità
(l’idea
di
impegno)
si
traducesse
inevitabilmente
nella
differenziazione
(“ognuno
di
noi
eccelle
in
qualcosa
di
diverso”)
e
nella
assunzione
dell’eccellenza
(“se
non
vuoi
sprecare
la
giovinezza
e
la
vita
devi
capire
in
cosa
sei
capace
e
diventare
molto
bravo
in
quello”).
In
questo
modo,
farsi
‘carico
della
propria
identità’
(e
della
sua
riuscita
nel
mondo)
è
assumersi
simbolicamente
un
‘carico
performativo’
(esprimere
alcune
componenti
del
proprio
repertorio
al
meglio!),
oltre
che
di
sacrificio
rispetto
a
quanto
non
ci
sentiamo
di
essere
compiutamente
(lasciar
andare,
almeno
in
senso
di
‘autorappresentazione
di
sé’,
gli
aspetti
in
cui
ci
sentiamo
deboli,
che
dovremmo
appunto
‘lasciare
ad
altri’).
Così,
gli
individui
giovani
trovano
collocazione
in
un
mondo
che
percepiscono
(ed
è)
competitivo:
selezionare,
impegnarsi,
eccellere.
I
genitori,
in
maniera
speculare,
vedono
l’esercizio
della
responsabilità
(almeno
in
parte)
come
capacità
di
raggiungere
obbiettivi,
di
avere
riscontri
‘elevati’
su
certe
proprie
doti
(su
quali
scegliere
lasciano
spesso
crescente
libertà,
come
vedremo).
Insomma,
se
lo
spazio
per
le
molte
identità
che
premono
e
vogliono
essere
riconosciute
è
‘l’eccellenza’
(o
il
successo,
che
dire
si
voglia)
si
apre
uno
scenario
di
‘scomparsa
dei
normali’,
di
illegittimità
della
vita
normale.
Tutti
però,
ragazzi\e
e
adulti,
percepiscono
come
rischio
(e
come
grande
fatica)
questo
imperativo,
tutti
sentono
che
la
qualità
di
vita
in
contesto
di
performance
obbligata
non
è
poi
così
elevata.
Inoltre,
tutti
paiono
essere
consapevoli
di
una
cosa:
se
i
modelli
che
abbiamo
ascoltato
(le
definizioni
di
eccellenza)
insistono
spesso
sulla
scuola
(la
buona
riuscita
scolastica)
come
anticamera
al
lavoro,
sulla
capacità
di
fare
bene
il
proprio
mestiere,
ecc.,
non
dimentichiamo
però
che
altri
modelli
performativi
(da
tutti
indicati
come
negativi)
esercitano
altrettanta
influenza:
l’eccellenza
dei
corpi,
l’illegittimità
della
bruttezza
e
della
vecchiaia,
la
definizione
di
successo
che
passano
i
media
(seppure
razionalmente
criticati,
nell’immaginario
che
abbiamo
descritto
‐
orientato
appunto
alla
eccellenza
‐
trovano
terreno
fertile).
Cittadinanza
locale
VS
cittadinanza
globale
Il
mondo
si
è
fatto
tutto
intero
ai
nostri
occhi,
lo
immaginiamo
come
spazio
percorribile,
le
distanze
si
sono
accorciate,
gli
scambi
moltiplicati
in
maniera
imprevedibile
solo
50
anni
fa.
Alcuni
ragazzi
e
genitori
incontrati
pensano
che
percorrere
questo
spazio
larghissimo
sia
una
delle
mission
a
cui
i
giovani
di
oggi
siano
destinati:
per
questo
si
formano
alle
lingue,
ad
essere
capaci
di
lasciare
il
destino
in
cui
sono
nati
per
impegnarsi
ovunque
nel
mondo,
e
soprattutto
in
quelli
che
appaiono
come
i
suoi
centri
culturali
sociali
economici
più
vitali
(spesso
è
nominata
Londra
ma
anche
Hong
Kong).
Per
loro,
la
giovinezza
appare
una
palestra
per
il
futuro
spostamento.
Ciò
che
si
vive
in
giovinezza
è
una
vita
di
passaggio,
la
vita
giovane
non
è
destinata
ad
essere
il
posto
in
cui
si
getta
il
seme
della
via
adulta,
ma
è
appunto
il
prepararsi
ad
‘un
salto’.
Gli
amori
giovanili
sono
e
devono
essere
di
passaggio
(per
non
essere
un
freno,
un
legame
che
non
permette
di
spiegare
le
vele
verso
l’altrove,
materiale
o
simbolico
che
sia)
e
così
forse
anche
altre
passioni.
Da
un
lato
quindi
vi
sono
coloro
che
si
preparano
costantemente
al
viaggio,
proiettandosi
in
un
futuro
lontano
dalla
propria
città
(che
in
tal
senso
non
è
più
il
posto
in
cui
materialmente
si
esercita
la
propria
pressione,
il
proprio
progetto
sul
mondo
reale
proponendosi
all’esterno
del
proprio
cerchio).
Il
profilo
della
città
reale
e
dei
suoi
problemi
si
allontana.
Non
si
conoscono
i
nomi
delle
strade
e
delle
persone.
Si
hanno
poche
critiche
da
fare
a
‘come
va
Parma’
(già
la
domanda
sembra
strana:
“io
sono
giovane,
cosa
vuoi
che
sappia
come
va
Parma?”).
Paradossalmente,
per
aprire
la
propria
mentalità
(“dobbiamo
studiare
le
lingue
e
capire
che
siamo
cittadini
del
mondo”)
si
chiude
l’esercizio
critico
rispetto
al
mondo
locale
(“non
ho
niente
di
cui
lamentarmi
perché
la
città
che
attraverso
io
comunque
sono
poche
strade
e
quello
che
vedo
mi
va
bene”).
Insomma,
preparazione
al
viaggio
e
frequentazione
materiale
e
concreta
del
mondo
in
cui
si
vive
paiono
contrapporsi
a
tratti
(a
quale
cittadinanza
globale
è
possibile
formare
davvero
i
giovani
se
essi
non
fanno
mai
pratica
di
cittadinanza
locale?).
Diverso
invece
il
discorso
di
altri
ragazzi
e
genitori
che
sono
approdati
a
Parma
da
altre
parti
del
mondo,
che
sono
immigrati
a
Parma:
lo
spazio
lo
hanno
già
effettivamente
e
materialmente
percorso
ed
ora
sono
tesi
a
imparare
la
città,
le
sue
vie,
le
offerte,
i
limiti.
Le
condizioni
sociali
sono
diverse,
e
le
critiche
alla
città
si
moltiplicano.
Verità
(valori
e
norme)
VS
libertà
Dai
ragazzi\e
emerge
spesso
che
la
cosa
importante
è
consumare
(vagliare,
considerare)
diverse
proposte
circa
i
valori,
e
poi
scegliere.
Che
bisogna
fare
prima
molte
esperienze
(viaggi,
amori,
studi
diversi)
per
poi
sapere
chi
si
è.
Che
bisogna
‘non
fissarsi
troppo’
su
alcune
cose
quando
si
è
giovani
ma
prima
provarne
molte.
La
libertà,
per
essere
agita,
necessità
di
molti
cambiamenti,
secondo
i
nostri
testimoni,
e
questo
in
parte
spiegherebbe
la
difficoltà
per
le
‘identità
giovani’
di
esprimere
valori
o
elementi
per
cui
spendersi
oggi,
da
indicare
oggi
come
ineludibili
nella
‘buona
giovinezza’
e
se
vogliamo
nella
‘buona
vita’.
Se
questa
forse
è
una
caratteristica,
uno
stato
di
animo
(in
tempi
moderni
almeno)
che
potremmo
più
generalmente
riferire
alla
giovinezza,
la
novità
è
che
anche
i
genitori
paiono
condividerlo,
paiono
sentirsi
i
garanti
di
questo
‘consumo
di
esperienze’,
del
fatto
che
i
figli\le
figlie
provino
molte
e
diverse
esperienze,
dimensioni,
inclinazioni,
che
provino
e
riprovino
a
fare
la
lista
‐
potremmo
dire
–
delle
‘priorità’
(provare
a
spendersi
per
gli
altri
e
per
il
benessere
fisico
e
per
la
riuscita
intellettuale
e…,
poi
vediamo
cosa
succede).
A
differenza
del
passato,
quindi,
l’adolescenza
pare
essere
in
continuità
con
la
vita
infantile
e
con
quella
adulta
in
un
percorso
di
sperimentazione
di
strade
diverse,
e
non
invece
essere
frattura
(o
momento
del
dubbio)
rispetto
alle
proposte
adulte
(non
solo
a
parole
ma
in
base
all’esempio).
In
realtà
inoltre,
quando
si
scava
nelle
conversazioni,
i
testimoni
percepiscono
come
si
tratti
di
‘libertà
di
orientamento
autonomo’
molto
apparenti
perché
i
modelli
impliciti
di
riuscita
personale
(che
è
un
concetto
molto
presente,
abbiamo
visto),
pur
non
veicolati
dai
genitori
e
anzi
apparentemente
osteggiati,
paiono
essere
percepiti
come
costrittivi
(“sii
bella!!
Non
è
un
imperativo
poco
costrittivo,
anzi…
Non
è
una
esperienza
che
hai
la
forza
di
non
fare”).
Relazioni
educative:
parole
VS
presenze
Un
altro
aspetto
che
emerge,
soprattutto
dagli
adulti,
è
quello
della
mancanza
di
spazi
(di
tempi!)
per
la
condivisione,
tanto
che
le
vite
di
bambini,
adolescenti,
adulti
di
una
famiglia
sembrano
parallele
(ci
si
rivede
solo
a
sera,
dopo
il
lavoro,
le
attività
ecc.).
In
tal
senso,
i
modi
in
cui
vogliamo
apparire
noi
genitori
ai
figli
(i
modi
in
cui
più
o
meno
consapevolmente
trasmettiamo
ciò
in
cui
crediamo
ad
esempio,
o
come
viviamo
il
corpo,
l’essere
donna
o
uomo
ecc.)
sono
compressi
in
spazi
di
vita
concretamente
molto
limitati
e
perciò
vengono
‘intellettualizzati’,
‘verbalizzati’
(“La
sera
racconto
sempre
storie
ai
miei
figli
per
dirgli
quale
è
la
morale
della
vita
per
me”).
Il
‘succo’
(il
modo
in
cui
ci
si
passano
le
indicazioni
sulla
propria
identità)
sta
nelle
parole
e
non
nel
vissuto
comune,
e
aumenta
sempre
la
porzione
di
tempo
in
cui
i
ragazzi\le
ragazze
sono
esposti
a
modelli
identitari
veicolati
dai
coetanei
e
dai
Media.
La
testimonianza
di
una
madre
africana
è
emblematica:
“Non
c’era
bisogno
di
insegnarmi
a
parole
cosa
doveva
contare
per
me
e
come
io
stavo
cambiando,
cosa
significava
diventare
adulti.
Io
vivevo
con
i
miei
e
con
i
miei
parenti
di
tutte
le
età,
assorbivo
i
loro
valori
stando
insieme
a
fare
le
cose
insieme.
Nessuno
mi
ha
mai
detto:
padre
e
madre
si
devono
aiutare.
Io
vedevo
i
miei
fare
le
cose
insieme
tutto
il
giorno.
Oggi
poi
alla
sera
cerchiamo
di
dire
queste
cose
a
parole
ai
nostri
figli
stanchi
per
la
giornata
e
anche
noi
stanche.”
In
tal
senso
le
‘identità’
si
sarebbero
fatte
troppo
incerte,
troppo
sperimentali,
poiché
‘laboratori
individuali’
(sin
da
bambini
ci
si
trova
esposti
a
giornate
‘in
solitaria’,
lontani
da
coloro
che
sono
i
nostri
‘altri
di
riferimento’).
La
incapacità
di
essere
gli
uni
‘esempio’
agli
altri,
di
orientarci
a
vicenda,
pare
una
questione
di
tempo,
ed
emerge
il
desiderio
di
ridiscutere
i
tempi
da
dedicare
alle
relazioni
rispetto
a
quelli
da
dedicare
alla
produzione,
al
lavoro
(vasto
tema
rispetto
al
quale
gli
adulti
paiono
oggi
voler
riprendere
parola).
‐
QUALE
È
IL
PROSSIMO
PASSO?
Queste
conversazioni
possono
aprire
a
molte
domande,
e
ci
hanno
spinti
ad
alcune
ipotesi
rispetto
alle
‘voci
interne’
che
possono
animare
le
‘identità
giovanili’:
Devo
eccellere?
Riesco
a
eccellere?
Se
tutti
eccelliamo
ce
la
facciamo?
Sono
all’altezza
di
questa
roba?che
fatica?
Sono
libero
di
essere
normale?
Sono
libero
di
essere
‘medio’?
Ad
esempio,
un
corpo
medio
(una
bellezza
normale)
è
‘
inammissibile’?
Quali
distanze
devo
prendere
dai
genitori?
Cosa
penso
delle
loro
vite?
Voglio
essere
meglio.
Avere
più
successo.
Ma
in
cosa?
Se
mi
vedono
per
quello
che
io
mi
sento,
li
deludo?
In
cosa?
Viaggiare
è
un
modo
di
essere
un
grande?
E’
il
principale
modo
di
diventare
qualcuno?
Penso
molto
a
partire…?
Mi
sto
preparando
o
sto
vivendo?
Ma
io
sono
fuori
dal
mondo
che
c’è
qui
a
Parma
o
no?
A
parte
i
miei
amici,
conosco
Parma?
dovrei
conoscerla,
oppure
è
roba
da
adulti?
Non
devo
buttare
le
occasioni.
Devo
cercare
le
occasioni
e
le
esperienze.
Ma
cosa
è
un’occasione,
un’esperienza
che
mi
fa
‘meglio
di
adesso’?
Mi
chiedono
troppo.
Faccio
fin
troppo.
Scuola,
sport,
simpatia,
bellezza,
e
poi
essere
gentile
con
tutti…
Son
stanco\a.
O
no?
Mi
chiedono
troppo.
O
no?
Sento
pressioni.
O
no?
Ma
cosa
sono
le
pressioni?
Molto
altro
si
potrebbe
‘gettare
come
esca’.
Ma
questa
parte,
questa
libera
associazione
tra
idee,
la
lasciamo
ai
ragazzi\alle
ragazze
nel
laboratorio
dell’Open
Space
Technology
(OST).
Il
prossimo
passo
infatti
è
l’OST!