La sindrome di Peter Pan - Università degli Studi di Catania

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La sindrome di Peter Pan - Università degli Studi di Catania
l'università degli studenti
stono invece, e occorre ricordarlo
in una società che rende invisibili
gli esclusi dal banchetto dei consumi opulenti, tra giovani di ceto
sociale diverso: per una quota cospicua di ragazzi, soprattutto del
Sud, la giovinezza non è affatto una
lunga e comoda moratoria in attesa di assumere ruoli adulti, ma è
una stagione breve in cui essi fanno precoci e inique esperienze di
lavori dequalificati e malpagati, necessari non solo a contribuire al
bilancio delle famiglie di origine, ma
anche a far fronte ai bisogni di nuovi nuclei messi in piedi troppo precocemente.
Emblematici del coesistere al
Sud di modelli di famiglia molto
diversificati sono i dati forniti
dall’Istat sulla fecondità di alcune
grandi città italiane nella seconda
metà degli anni ’90: Catania registra uno dei tassi più bassi di fecondità (0.9 figli per donna), ma è
allo stesso tempo la città con la più
alta percentuale di figli nati fuori
La sindrome di Peter Pan
Il punto di vista di un giovane universitario
Davide Giordano
È
ormai risaputo come si sia mediamente allungata la vita ‘
da giovane’dell’
Italiano moderno, soprattutto se meridionale. Mentre infatti
soltanto qualche decennio fa, raggiunta la maggiore età, o appena dopo, ci si emancipava dal
nucleo familiare d’
origine per crearne uno nuovo
e sostentarlo col proprio lavoro; oggi si tende a
stazionare comodamente nella casa natale anche oltre i trenta anni.
Il ‘
giovane-cresciuto’vive di solito una condizione agiata, frequentando i pubs e le discoteche
più in voga, posteggia la propria intelligenza negli atenei molto più di quanto il disco-orario non
permetta; accede (se riesce) con ritardo in un precario mondo del lavoro, si sposa tardivamente
rinviando la nascita del primo figlio al quale, nella maggior parte dei casi, non ne seguirà un secondo.
Si assiste, dunque, da molti anni ad un fenomeno di reviviscenza della famiglia nella scala dei
valori dei più giovani, la famiglia di origine, che –
ha ragione la professoressa Palidda – richiede
minor impegno in termini di responsabilità e fatica, assicura protezione, denaro, servizi in cambio
di qualche ora quotidiana di più o meno fittizia
dedizione.
La permanenza in famiglia dei giovani-cresciuti,
infatti, avviene soltanto a patto di una rinegoziazione dei rapporti con i genitori, i quali subiscono
la presenza intermittente dei figli impegnati nello
studio, nel lavoro, nei divertimenti, nelle scappatelle più o meno giustificate, pur di vederli felici e
in salute. Ciò ha prodotto una generazione di giovani che fa fatica a crescere o che non vuole crescere…
Le cause di tale deficit si possono addurre alla
carenza di lavoro, al tipo di educazione impartita
dagli adulti, al benessere e all’autonomia di cui
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godono oggi i giovani o, più a monte, all’
incertezza economica, sociale, culturale, relazionale in
cui si è costretti a vivere nella società di oggi. In
un mondo che cambia troppo rapidamente politica, tecnologia, lingua, costumi, significati, mode,
la giovinezza non è più un periodo di preparazione in attesa di un futuro da adulti, ma il suo prolungarsi è il riflesso di una società che stenta a
raggiungere un proprio equilibrio, una stabilità
latrice di certezze e costringe le nuove generazioni al perpetuo ruolo di Peter pan.
Pertanto, non è certamente ragionevole sostenere che alla base di questo fenomeno vi sia la
rivalutazione della famiglia come nucleo primario di valori sui quali si fonda e si permea il tessuto della convivenza sociale. Piuttosto ciò che spinge tantissimi giovani a prolungare la permanenza nella propria famiglia di origine è un fenomeno di tipo culturale analogo a quello che si verificò tra la fine degli anni ’
60 e gli inizi degli anni
’
70 ma sostanzialmente opposto. Infatti, mentre
in quel periodo i giovani tendevano ad anticipare
l’
uscita dal proprio nucleo familiare di appartenenza oggi si verifica il contrario. Sicuramente alla
base di quel fenomeno vi era un movimento culturale, quello della beat generation, che rifletteva
il bisogno di costruire una società diversa, un mondo di valori differenti da quelli compassati della
società borghese, sintomatico di una tendenza a
valorizzare l’
altro e il diverso. Alla base, invece,
dell’
attuale fenomeno di stagnazione dei giovani
nella famiglia d’
appartenenza non c’
è un movimento culturale, nessun principio di genesi di una
società migliore, piuttosto, come già detto, la tendenza di una classe generazionale anomala che
vuole preservarsi dalle fatiche e dalle paure che
può riservare una società sempre più complessa
e problematica.