studisociali - Aksaicultura
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STUDISOCIALI Ilcircolodelmeglio (“Per tutto l’uomo e per tutti gli uomini”) °°°°° Numero 5-febbraio 2012 Pag 2. Copertina: “Nobigbanks”: il guaio è la finanza, non l’impresa 3. Fisco: Tassa sulle transazioni finanziarie ultraveloci 15. Fisco: Tre fratelli evasori. Ma anche il mio artigiano…. 16. Imprese pubbliche: Un +0,6% che a noi pare importante 17. Imprese pubbliche: Difendiamo Terna 18. Previdenza: Ma soprattutto, regole uguali per tutti 20. Previdenza: Pensionati dubitabili 21. Politica: Sfigato sarà lei 24. Gramsci di sempre: Odio gli indifferenti 26. Società: Bambini usati per adescare 27. Testimoni: Il coraggio dei giusti. Franco Perlasca racconta 29. Spiritualità: Se la tentazione del potere ci minaccia 31. Artigianato: Il presepio di Santa Galla 32. Arte: Guggenheim all’Arca di Vercelli 34. La Terra: E il Kazakhistan, lo conoscete? 35. Racconti andini: Los tapaditos 36.Formazione: I corsi ma anche gli incontri monografici 36. Infamiglia: Marcello Vita dell’esperienza salesiana 36. Appuntamenti: I delitti irrisolti 37. Dibattito: Ma rischia di prevalere il pessimismo °°°°°°° °°°°° Copertina “NOBIGBANKS”: IL GUAIO E’ LA FINANZA NON L’IMPRESA “NobigBanks” significa alla lettera “No Grandi Banche”. E’ un movimento che nasce dietro la lezione pesantissima della crisi economica, o meglio finanziaria, esplosa nel 2008 in tutto il mondo e tuttora gravemente in atto. E lancia un appello che ci sembra giusto diffondere. Non entriamo nel merito della complessiva impostazione degli autori, e, ad esempio, non approviamo il loro uso generalizzato di pseudonimi, che può indebolire la credibilità e la forza della testimonianza. Ma guardiamo alla sostanza di quanto viene proposto o segnalato: la crisi che ha investito l’economia planetaria dal 2008 deriva dal sopravvento della finanza sull’impresa, dal sopravvento della banca speculativa sulla banca ordinaria, e dalla teoria del massimo profitto come legge dell’economia: tuttora drammaticamente insegnata nella generalità delle facoltà di economia e commercio. Tutte e tre le distorsioni sono riconducibili entro limiti di correttezza, ma occorre che i cittadini siano consapevoli, tecnicamente oltre che politicamente, del problema, e ne traggano anche conseguenze di comportamento personale. Molti già lo fanno, comprese diverse imprese da noi conosciute, che al laccio mortale della finanza e della banca speculativa si sono da tempo sottratte realizzando una integrale partecipazione dei lavoratori nell’impresa. Come è per il caso, fortunatamente venuto alla ribalta, della marchigiana Loccioni. Ecco il testo del manifesto: °°°°° Siamo un gruppo di amici appassionati di politica, ma soprattutto co-titolari di questo mondo, e ci impegniamo per mettere mano ad alcune cose importanti. Non troverete primedonne fra noi; operiamo sotto pseudonimo per evitare del tutto il problema dei padri e padrini. Troppe persone sono deluse e indignate, ma non sanno cosa fare. Il Comitato NoBigBanks nasce in risposta a una esigenza fondamentale del nostro tempo: fermare l’impoverimento della popolazione e dell’economia ad opera di un sistema dominato dagli squali della finanza. Non siamo controllati da alcun partito o ideologia di destra o di sinistra, ma ci rifacciamo ai grandi personaggi che hanno cambiato la storia con azioni coraggiose, quali Franklin Delano Roosevelt, Abramo Lincoln, Enrico Mattei. Crediamo nello sviluppo economico come precondizione per il progresso sociale e culturale di tutti, e respingiamo ogni visione oligarchica ed imperiale. Che cosa chiediamo: innanzitutto la separazione tra le attività finanziarie ordinarie e quelle speculative. Si tratta di ripristinare la divisione stabilita dal Glass-Steagall Act voluto dal presidente americano Franklin Delano Roosevelt nel 1933: le banche di investimento vanno divise dalle banche commerciali, in modo da proteggere le attività dell’economia reale (depositi, mutui, prestiti alle imprese) dalla bisca dei mercati parassitari, da lasciare al loro destino, senza alcun salvataggio pubblico per chi continua a provocare le crisi. (Comitato No Big Banks) Fisco “TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE ULTRAVELOCI”: COSA VUOLE ESSERE? Non sono grande esperto di finanza: ma mi ha sempre lasciato perplesso il gioco vorticoso di una finanza palesemente staccata dall’andamento reale dell’economia. E’ come se in realtà denaro e finanza non fossero al servizio dell’economia, cioè del miglioramento di produzione e circolazione di ricchezza, come dovrebbe essere, ma, al contrario utilizzassero l’economia, cioè in fondo il lavoro della gente, per produrre una immane quantità di ricchezza fittizia che pochi intascano a velocità supersonica e altrettanto velocemente nascondono affinchè non se ne veda con chiarezza il carattere speculativo, cioè di sfruttamento e di alterazione delle condizioni reali del lavoro e dell’economia. No, non parlo affatto della finanza buona, quella trasparente, per la quale chi accumula risparmio lo investe direttamente nel miglioramento della produzione o della qualità della vita, oppure lo presta con ragionevole interesse a chi desidera investirlo. Parlo proprio della finanza sporca, quella che neanche sfiora il mondo produttivo, che si consuma nel gioco di borsa come in un immane casinò fine al vizio di chi specula, che è fatta di promesse senza beni e di scommesse senza lavoro. E sono dell’idea, sì, che sia doveroso distinguere le due finanze, tenere soltanto quella pulita ed eliminare l’altra. I modi? Certo bisogna ragionarci con umiltà, perché non può trattarsi di imporre ad altri i nostri principi politici o morali ma soltanto di impedire l’immoralità e i suoi guasti, economici e sociali. E mi sembra che questa proposta di tassare le transazioni finanziarie ultraveloci, che non riesce ancora a sfondare la resistenza degli interessi speculativi collegati a livello mondiale, sia una idea solida e positiva, da promuovere per migliorare nettamente la situazione. Che non è solo italiana ma planetaria. Se ne sta parlando molto in Europa, ma anche in altre parti del mondo. Ve la trasmetto per riflessione da condividere, così come l’ho ricevuta, con lo stesso intento, da Fausto Felli, il quale da anni opera per una economia dell’equità e per uno stato sociale solidale. Vi ho appena apportato quelle pochissime semplificazioni di linguaggio necessarie per sciogliere gli snodi più ostici della terminologia tecnica usata in alcuni punti. °°°°° La crisi finanziaria che stiamo ancora vivendo è solo l'ultima di una lunga serie. Tra le più recenti ricordiamo quella che ha colpito il Sudest asiatico nel 1997, e quelle nazionali che hanno colpito il Messico, la Russia, il Brasile, l’Argentina. Mentre due miliardi di esseri umani sono esclusi dall'accesso al credito, una finanza ipertrofica e sempre più scollegata dall'economia reale sposta montagne di soldi virtuali 24 ore su 24 all'ossessiva ricerca del massimo profitto nel più breve tempo possibile. Tra il 1980 e il 2005 il volume complessivo delle transazioni finanziarie è passato dal 109% al 316% del valore della produzione mondiale. Questo significa che circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari che in un anno nell'economia reale. I cittadini hanno pagato un caro prezzo per la crisi: il nostro denaro non è stato usato per promuovere un’economia migliore; è stato messo a rischio; è stato investito in un “casinò finanziario”; la crisi ha avuto conseguenze pesantissime sulla vita delle persone in tutto il mondo e per salvare il sistema finanziario che l'ha causata sono stati effettuati enormi salvataggi con questi nostri soldi; oggi dobbiamo sopportare tagli alle spese sociali e piani di austerità perché i conti pubblici sono disastrati. Insomma, agli speculatori finanziari vanno gli utili, ai cittadini ed agli Stati vanno i danni. Tutto questo mentre a distanza di oltre tre anni dallo scoppio della crisi stiamo ancora aspettando delle normative per regolamentare la finanza. Eppure ad ogni crisi finanziaria si ripete “mai più un simile collasso”, “servono più regole”. Al di là delle dichiarazioni, è ora di promuovere delle misure concrete per fermare la speculazione. COS'È LA TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE La proposta di tassa sulle transazioni finanziarie – TTF – è sostanzialmente quella di istituire un'imposta piccolissima su ogni compravendita di strumenti finanziari: lo 0,05%. Questo non scoraggerebbe i normali investimenti sui mercati, mentre è ben diversa la situazione per chi specula comprando e vendendo titoli nell'arco di pochi secondi o addirittura di millesimi di secondo e che dovrebbe pagare, secondo la proposta di ttf, la tassa per ogni transazione. Realizzando 100 operazioni di compravendita sullo stesso titolo dovrebbe pagare la TTF 100 volte, il che renderebbe l'operazione speculativa economicamente onerosa. Gli acquisti realizzati con orizzonti di lungo periodo non subirebbero invece effetti apprezzabili. Questo significa che piccoli risparmiatori, fondi pensione e altri investitori istituzionali trarrebbero beneficio dall'imposta, il cui peso ricadrebbe su attori altamente speculativi. In altre parole la tassa rappresenta uno strumento di straordinaria efficacia nel contrastare il “casinò finanziario” e nel riportare la finanza al suo ruolo originario: non un fine per produrre denaro dal denaro nel più breve tempo possibile, ma un mezzo al servizio dell'economia e della società. La ttf si limita dunque ai mercati finanziari. Altri trasferimenti, come i pagamenti per beni e servizi, le prestazioni lavorative, le rimesse dei migranti, i prestiti interbancari e ogni operazione delle banche centrali, non verrebbero tassati in alcun modo. La dimensione della finanza è tale per cui anche un'imposta dello 0,05% permetterebbe di generare ogni anno un gettito di 200 miliardi di euro nella sola Europa e di 650 miliardi di dollari su scala mondiale, da destinare allo stato sociale, alla cooperazione allo sviluppo, alla lotta contro i cambiamenti climatici, ad altri obiettivi di civiltà per tutti. ULTERIORI VANTAGGI Il freno alla speculazione e la generazione di un gettito sono unicamente i due effetti più immediati di una TTF, ma le ricadute positive sono molte di più: 1. Oggi le attività finanziarie sono tassate in maniera inadeguata o non lo sono per nulla, in particolare rispetto alla tassazione sul lavoro. La TTF va quindi nella direzione di una maggiore giustizia fiscale. 2. A pagare la tassa sarebbero i grandi attori della finanza, e in particolare quelli a vocazione speculativa. La TTF è dunque uno strumento di redistribuzione delle ricchezze su scala globale e obbliga la finanza a pagare almeno una parte del costo della crisi che ha generato. 3. Si ridà alla sfera politica una forma di controllo su quella finanziaria adottando una misura che permette di tutelare la stabilità finanziaria intesa come bene pubblico globale. 4. Viene diminuito il volume complessivo delle attività finanziarie, liberando risorse che si possono investire nell'economia reale e riequilibrando le enormi disparità tra economia reale e attività finanziarie. 5. L'imposta permetterebbe di migliorare la trasparenza e la tracciabilità dei flussi finanziari. 6. La maggioranza delle grandi imprese è oggi controllata da attori finanziari e investitori istituzionali che hanno come obiettivo profitti a breve e la massimizzazione del valore delle azioni, non uno sviluppo sostenibile dell'impresa. Questo crea instabilità per il mondo produttivo. La TTF permetterebbe di porre un forte freno a tale fenomeno, provvedendo a una “definanziarizzazione dell'economia”; 7. La Ttf avrebbe ulteriori ricadute positive per il settore produttivo. L'eventuale minimo costo supplementare della tassa sarebbe ampiamente compensato dalla maggiore stabilità dei cambi, dell'importexport e dei prezzi delle materie prime. LE PROPOSTE E IL PERCORSO DEGLI ULTIMI ANNI La campagna 005 è sostenuta da una trentina di associazioni noprofit, molte delle quali impegnate da anni a favore di una maggiore giustizia fiscale globale. Nel 2001 la Focsiv, con molte altre organizzazioni, ha lanciato la campagna “Tobin Hood, una tassa per lo sviluppo”. L'anno successivo, un’ampia coalizione coordinata dall'associazione Attac ha portato a consegnare al parlamento italiano un disegno di legge di iniziativa popolare con il sostegno di quasi 180.000 firme per chiedere l'introduzione della Tobin Tax, un'imposta sulle transazioni valutarie. La proposta prende il nome dal premio Nobel per l'economia James Tobin, che per primo la avanzò negli anni '70. Nel corso di 9 audizioni, dal 2003 al 2005, ben 26 luminari vennero ascoltati; tra questi figuravano 10 esperti internazionali, a cominciare dal capo di gabinetto economico del presidente francese Chirac. Ma le Commissioni Parlamentari Finanze ed Affari Esteri – pur esprimendo orientamento favorevole – lasciarono decadere i tempi del dibattito parlamentare chiudendo così l’iter legislativo della proposta, che non è mai stata discussa in parlamento. Una dimostrazione del fatto che i principali ostacoli verso l'approvazione di una simile soluzione non sono di natura tecnica ma politica, e in particolare nell'enorme potere della lobby finanziaria, che si oppone, nonostante la crisi degli ultimi anni, a qualunque forma di regolamentazione e ancora più di tassazione. LA SITUAZIONE ATTUALE: UN CONTESTO POLITICO FAVOREVOLE Se proposte di tassazione delle transazioni finanziarie in passato erano viste come difficilmente realizzabili, oggi, anche a causa della crisi finanziaria esplosa nel 2008, diversi governi europei, Francia, Spagna, Germania ed altri ancora, così come il parlamento europeo, la sostengono apertamente. Se l'Italia si aggiungesse a questi Paesi, si potrebbe raggiungere la massa critica necessaria per l’adozione della ttf nell'area euro. Gli effetti di una ttf sarebbero estremamente positivi nel nostro Paese, dove la struttura produttiva è fondata sulle piccole e medie imprese. Chi esporta vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute; la quotazione del petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile; diminuirebbero le possibilità di attacchi sui titoli di Stato, a tutela dei piccoli risparmiatori. Il recente esempio di Grecia e Irlanda ha chiarito le possibili conseguenze tanto economiche quanto sociali di tali attacchi. L'Italia, anche in ragione delle dimensioni del debito pubblico, non può certo ritenersi al riparo. LA CAMPAGNA ZEROZEROCINQUE In Italia sul tema ttf sono state presentate ed approvate in Commissione Affari Esteri tre risoluzioni favorevoli che sono poi convenute in due proposte di Legge, una alla Camera e l’altra al Senato. “Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo assistito a notevoli cambiamenti nello scenario dell’economia mondiale e la crisi dei mercati finanziari di tutti i Paesi ne è la drammatica testimonianza “ recita l’incipit della Relazione della Proposta di Legge Parlamentare (Camera dei Deputati) N. 3740 del 30 Settembre 2010, per “l’istituzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie in favore di interventi di solidarietà nazionale ed internazionale”. Una proposta sottoscritta da rappresentanti di tutti i Gruppi Parlamentari, eccezion fatta per la Lega Nord. E' ora necessario un ulteriore salto di qualità per chiedere il pieno sostegno delle istituzioni italiane all'adozione della TTF. La pressione delle organizzazioni della società civile e dell'opinione pubblica è fondamentale. Occorre superare l'enorme potere delle lobby finanziarie, che si oppongono a qualunque forma di imposta o regolamentazione. I cittadini, le lavoratrici e i lavoratori, le imprese produttive, hanno già pagato un conto fin troppo salato per una crisi provocata dall'avidità degli speculatori finanziari e dall'assenza di regole e controlli. Un conto che si traduce in perdita di posti di lavoro, in aumento del debito pubblico, in aumento delle povertà tanto nel Sud del mondo quanto da noi, in maggiore insicurezza, in minori tutele sociali. E' oggi possibile invertire la rotta e iniziare a chiedere ai responsabili della crisi di pagare una parte sostanziale del conto. LA CAMPAGNA IN ITALIA È PROMOSSA E SOSTENUTA DA Acli, ActionAid, Adiconsum, Adiconsum Basilicata, Arci, Attac, Azione Cattolica, Banca Popolare Etica, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Cgil, CINI Coordinamento Italiano Network Internazionali, Comitato Italiano per la Sovranità Alimentare, Cisl, Cittadinanzattiva, Consorzio Città dell’Altra Economia, Consorzio Sociale Goel, CVX Italia, Economia Alternativa, Equociquà, Fair, Fiba Cisl, FOCSIV – Volontari nel Mondo, Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Gcap Coalizione Italiana Contro la Povertà, Legambiente, Lega Missionaria Studenti, Libertà e Giustizia, Lunaria, Microdanisma, Mani Tese, Mag Verona, Oxfam Italia, Reorient, Save the Children, Sbilanciamoci, Social Watch Italia, Unponteper, Volontari Terzo Mondo – Magis, Wwf Italia. UNA DOMANDA TECNICA: È NECESSARIO APPLICARLA IN TUTTO IL MONDO? Il ministro dell'Economia Tremonti, pur riconoscendo che la discussione è "affascinante sul piano etico, politico e anche tecnico", dichiarò che la tassa sulle transazioni finanziarie è un'ipotesi praticabile solo a livello globale, altrimenti "è una specie di suicidio". Per questo, secondo il ministro, occorrerebbe “andare al G20, perché se non la fanno tutti è un boomerang". Questo sembra essere il principale impedimento ad un pieno e convinto sostegno dell'Italia alla ttf. Diversi argomenti vanno però nella direzione opposta, e dimostrano come sia possibile applicare la tassa sulle transazioni finanziarie ttf anche in un numero limitato di Paesi. 1. Come applicare la tassa: approccio centralizzato o decentralizzato? L'applicazione può avvenire in maniera centralizzata. Ogni transazione effettuata in un Paese che adotta la ttf è soggetta al pagamento della tassa (principio territoriale). Secondo questo approccio verrebbero tassate le operazioni realizzate fisicamente in Italia, come ad esempio alla Borsa di Milano. Questa modalità necessiterebbe effettivamente di un'applicazione della ttf a livello internazionale per evitare triangolazioni con Paesi che non la adottano, aprendo a una possibilità di elusione. E' però possibile un secondo approccio che supera questo problema: un approccio decentralizzato. Ogni residente di un Paese che applica la ttf è legalmente tenuto a pagarla (principio personale o individuale), indipendentemente da dove la transazione ha materialmente avuto luogo. Questo significa che un cittadino italiano sarebbe soggetto al pagamento anche per operazioni estero su estero. Il gettito riscuotibile in Italia corrisponderebbe inoltre esattamente alle operazioni realizzate da imprese e cittadini del nostro Paese, indipendentemente dal fatto che tali operazioni vengano eseguite alla Borsa di Milano, alle Isole Cayman o dal computer di casa. In questa modalità, ogni persona fisica o giuridica residente in Italia è quindi soggetta al pagamento della tassa. Disegnando la proposta di ttf con questa seconda modalità, le possibilità di elusione diventano enormemente minori. 2. Le possibilità di elusione. L'approccio decentralizzato lascia aperta una minima eventualità di elusione. Se per i cittadini e le “normali” operazioni sui mercati finanziari tale possibilità diventa molto remota, i soggetti più speculativi, quali gli hedge fund, potrebbero essere spinti a operare dall'estero. Questi attori già oggi sono solo in minima parte residenti sul nostro territorio. Soprattutto, l'economia italiana non trae alcun beneficio da operazioni di compravendita che si concludono in breve tempo, facendo entrare e uscire capitali dal nostro Paese con l'unico obiettivo di estrarre profitti nel più breve tempo possibile. Questi capitali non portano ricchezza o sviluppo all'Italia, ma, al contrario, sono proprio le operazioni che hanno un maggiore effetto di destabilizzazione sui mercati ed impatti negativi sull'economia nazionale. A spostarsi verso i Paesi che non applicano la ttf sarebbero quindi le operazioni puramente speculative. Questo significa un incentivo notevole ad applicarla per quelle giurisdizioni che non vogliono ridursi a essere un puro casinò finanziario. 3. Eludere conviene? C'è un altro motivo forte che spinge a pensare che l'elusione sarebbe minima. Chi opera sui mercati finanziari non si limita a considerare il costo della transazione nello scegliere dove operare. La solidità del mercato stesso, la sua dimensione, la certezza delle regole e dei pagamenti, l'organizzazione, sono fattori altrettanto importanti. Finché il pagamento di una tassa dello 0,05% è inferiore al costo legato allo spostamento, gli operatori rimarranno nel mercato di riferimento e pagheranno la tassa. Nuovamente, quelli spinti ad andarsene potrebbero essere i soggetti più speculativi e avvezzi al rischio. Soggetti a cui si può rinunciare più che volentieri e che migrerebbero ancora di più verso le nazioni che non dovessero applicare la ttf, aumentandone l'instabilità e incentivandoli ad aderire a loro volta. 4. Ideare la TTF in maniera appropriata. L'esperienza dimostra che è possibile disegnare la tassa in modo da minimizzare le possibilità di elusione ed evasione. In Gran Bretagna esiste da anni la Stamp Duty, un'imposta dello 0,5%, ovvero dieci volte più di quanto proposto per la TTF, applicata su ogni compravendita di azioni di imprese britanniche. E' stata concepita in modo che un investitore non diventa legalmente proprietario di un'azione finché non dimostra l'avvenuto pagamento dell'imposta. In questo modo l'elusione è praticamente nulla. La tassa ha generato nel 2006 una cifra vicina ai 5 miliardi di euro, e la City di Londra, vero e proprio cuore pulsante della finanza mondiale, non sembra certo soffrire di una mancanza di liquidità. A Wall Street, la borsa di New York, esiste un'imposta su tutte le imprese quotate sui due mercati principali, il New York Stock Exchange e il NASDAQ. L'imposta attuale è pari allo 0,003%, e il gettito viene utilizzato per finanziare l'ente di controllo e supervisione dei mercati, la SEC (l’equivalente della nostra CONSOB). E' stata dimezzata dall'Amministrazione Bush perché il gettito era “eccessivo”. Differenti imposte su specifiche transazioni finanziarie sono già in essere in molti altri Paesi. I detrattori citano come esempio negativo quello della Svezia, che aveva introdotto un'imposta su alcune operazioni finanziarie già negli anni '80, con effetti disastrosi (fuga dei capitali e delle transazioni verso altri mercati). Il motivo principale del fallimento risiedeva nell'aver progettato la tassa in maniera sbagliata. Il punto centrale non è quindi il numero di Paesi che applica la tassa, ma il modo in cui questa viene ideata e realizzata. Gli esempi concreti già esistenti indicano che sarebbe abbastanza semplice pensare la ttf in modo da iniziare ad applicarla in un primo gruppo di Paesi, per poi estenderla progressivamente su scala globale. 5. Se non ci si prova nemmeno... Il discorso tecnico prescinde da considerazioni più generali. Il fatto che si possa ipotizzare una remota eventualità di eludere un'imposta non può rappresentare un argomento contro la sua applicazione. Tutte le forme di tassazione possono dare luogo a elusione o evasione. Questo non può essere un motivo per non attuarle, a meno di non volere abolire tutte le tasse e quindi l'idea stessa di Stato moderno. 6. L'egoismo degli investitori. Un'altra obiezione alla “fuga dalla tassa” è che essa dà per scontato che tutti gli individui abbiano preferenze volte unicamente al proprio interesse. L’economia sperimentale ci dice però che l’insieme di preferenze degli individui è molto più variegato (avversione alla diseguaglianza, reciprocità, altruismo, e altre). Fuori dagli esperimenti di laboratorio, le preferenze rivelate dai comportamenti osservati sul mercato confermano che gli individui, quando risparmiano, non cercano solo e sempre il massimo rendimento per il livello di rischio che vogliono sopportare, ma soddisfano bisogni più complessi. Quindi ci sarà anche una quota di persone che compenserà il fastidio di dover pagare con il beneficio di contribuire a qualcosa a cui dà un valore. In altri termini esiste una disponibilità a pagare per il tipo di obiettivo e di finalità che si propone la TTF. 7. Un segnale per la comunità internazionale Ammesso che l'ideale sarebbe una TTF applicata su scala globale, se l'Italia si unisse a Francia, Germania, Spagna, Belgio e agli altri Paesi dell'area euro che si sono già schierati a favore della TTF, si potrebbe raggiungere una massa critica sufficiente per una sua veloce adozione. Oltre ai vantaggi immediati per le economie europee, si tratterebbe di un segnale di grande forza nella direzione di una sua applicazione in altre nazioni, e progressivamente su scala mondiale. ALLEGATO 2: LE ALTRE CRITICHE RICORRENTI Come nel caso della Tobin Tax, alcune critiche emergono con regolarità nel dibattito riguardante l’attuazione di imposte su strumenti finanziari. Numerosi studi hanno permesso di fare chiarezza sulle principali questioni tecniche e di rispondere alle critiche sollevate. Le principali riguardano: 1. Avrebbe effetti negativi per i mercati e la liquidità, e quindi per l'economia. Gli esempi della City di Londra e di Wall Street a New York, riportati in precedenza, permettono di smentire tale affermazione. Di fatto nei due mercati più grandi, più liquidi e più sviluppati del mondo esiste già un'imposta su alcune transazioni finanziarie. E' vero che l'applicazione dell'imposta ridurrebbe la liquidità dei mercati, visto che uno degli scopi dichiarati è proprio quello di diminuire il numero delle transazioni. Meno liquidità può significare in concreto che gli investitori dovrebbero aspettare mediamente più tempo per vendere i propri titoli. Sono però opportune due considerazioni: in primo luogo la TTF colpirebbe in misura molto maggiore le transazioni di brevissimo termine mentre l'impatto sulle operazioni su titoli già oggi meno liquidi sarebbe molto minore. Il calo di liquidità riguarderebbe quindi i titoli maggiormente usati per operazioni speculative. In secondo luogo la diminuzione della liquidità, legata al piccolo aumento dei costi dovuto alla tassa, riporterebbe i costi delle singole transazioni al livello a cui erano 10 o 15 anni fa, quando i mercati erano già sufficientemente liquidi. Tali eventuali costi sarebbero più che compensati, per l'insieme dell'economia, i risparmiatori e il sistema produttivo, dalla diminuzione dei rischi e dell'instabilità sui mercati. 2. La TTF diminuisce l'efficienza dei mercati. L'applicazione di imposte può avere effetti distorsivi, e i sostenitori del libero mercato affermano che la TTF diminuirebbe l'efficienza dei mercati finanziari, il cui primo scopo deve essere quello di garantire l'allocazione ottimale delle risorse economiche tra chi ha bisogno di capitali (le imprese) e chi ha dei risparmi da investire (famiglie, privati). In effetti la TTF comporterebbe una riduzione della dimensione dei mercati finanziari. Tale imposta, però, frenerebbe le scommesse a carattere speculativo, non gli scambi legati all'economia reale. In questo senso la TTF permetterebbe a mercati finanziari di dimensione ridotta di assolvere altrettanto bene la loro funzione, visto che azioni e obbligazioni emessi dalle imprese e i risparmi dei cittadini sarebbero meno in balia delle tempeste speculative. In pratica la TTF permetterebbe di liberare enormi risorse, che oggi non hanno alcuna utilità per il corretto funzionamento dei mercati finanziari e che potrebbero essere reinvestite nell'economia reale. 3. Le attività speculative hanno anche effetti positivi. Alcuni analisti sostengono che le attività di breve termine e speculative contribuiscono alla formazione dei giusti prezzi per gli strumenti finanziari: gli speculatori si dirigono verso gli strumenti sottovalutati e vendono quelli con un prezzo troppo alto, contribuendo così al raggiungimento dell'equilibrio sui mercati. Questo può essere vero finché le attività speculative sono marginali rispetto alla dimensione complessiva dei mercati. Quando la speculazione rappresenta il grosso delle transazioni, le ‘bolle’ e l'instabilità sono la norma. Secondo gli ultimi dati, il volume delle transazioni valutarie è circa 70 volte superiore a quello del commercio di beni e servizi. Anche dopo la crisi, il valore degli strumenti derivati ha continuato a salire, toccando nel 2009 i 203mila miliardi di dollari, quasi trenta volte il totale delle attività delle banche. E' davvero difficile sostenere in buona fede che sia necessario un 99% di speculazione per trovare il giusto prezzo dell'1% di attività nell'economia reale. La realtà è che l'enorme massa di denaro a breve termine alla ricerca della massimizzazione del profitto ha un gigantesco effetto destabilizzante sul valore degli strumenti finanziari e sull'economia reale. Esattamente l'opposto di quanto sostenuto dai detrattori della ttf. 4. L'imposta può essere elusa o evasa tramite particolari operazioni finanziarie. Un problema può sorgere per le transazioni che non vengono realizzate sui mercati regolamentati, ma al di fuori di essi e direttamente tra due soggetti privati. E' il caso dei derivati negoziati over the counter (OTC). Tanto l'UE quanto il G20 hanno dichiarato che tali operazioni dovranno essere regolamentate, e entro il 2012 gli OTC dovranno essere negoziati su piattaforme elettroniche. Questo significa che anche queste operazioni verrebbero intercettate, al pari di tutte le altre, per formare la base imponibile della ttf. 5. regolamentazione o gettito. Un tasso basso per la Ttf non frenerebbe i fenomeni speculativi. Al contrario, un alto tasso scoraggerebbe qualsiasi operazione, e la tassa non riscuoterebbe gettito. I due effetti più interessanti della Ttf, quello di freno alla speculazione e l'utilizzo come mezzo per reperire nuove risorse, sarebbero quindi incompatibili. Anche questo argomento si rivela privo di validità, come confermato da tutti gli studi condotti sul tema, e soprattutto come prova l'esperienza fatta nei Paesi dove imposte simili esistono già. A seconda del tasso applicato, si potrà decidere se l'effetto prevalente debba essere quello di riscuotere un gettito o quello di frenare gli eccessi speculativi. Con un tasso dello 0,05% i due effetti possono coesistere senza problemi. 6. La ttf non risolverebbe i problemi alla base dell'attuale crisi finanziaria. E' sicuramente vero che una TTF non rappresenta la panacea di tutti i problemi del mondo finanziario, né i suoi proponenti lo hanno mai sostenuto. E' però altrettanto vero che questa misura potrebbe dare un importante contributo. Come afferma il premio Nobel per l'economia Paul Krugmani, “gli investimenti sbagliati non sono tutta la storia della crisi. Quello che ha trasformato cattivi investimenti in una catastrofe è stata l'eccessiva dipendenza del sistema finanziario dai soldi a breve termine”. 7. La fattibilità tecnica. La TTF potrebbe essere applicata in maniera relativamente semplice, e a costi estremamente bassi. Le transazioni finanziarie sulle borse di tutto il mondo vengono registrate su piattaforme elettroniche Sarebbe sufficiente un apposito software per prelevare l'imposta e versarla in automatico all'ente preposto a raccogliere il gettito. Evitare le piattaforme elettroniche al fine di eludere l'imposta si rivelerebbe molto più costoso e rischioso. Il costo amministrativo dell'imposta sarebbe con ogni probabilità estremamente ridotto. Anche in questo caso l'esempio della Stamp Duty in Gran Bretagna può essere di aiuto: le autorità stimano che il costo sia meno dello 0,05% del gettito raccolto. Per fare un confronto, il costo amministrativo dell'applicazione dell'imposta sugli utili delle imprese è pari allo 0,7% del gettito, ovvero in proporzione 14 volte superiore. ALLEGATO 3: UTILIZZO E GESTIONE DEL GETTITO Uno dei principali vantaggi della tassa sulle transazioni finanziarie risiede nell'enorme gettito che garantirebbe. Con un'imposta dello 0,05% parliamo di 200 miliardi di euro l'anno nel caso di una sua applicazione in Europa e di 650 miliardi di dollari l’anno se applicata su scala globale. Rimangono aperte due questioni. Prima: come impiegare questi soldi e per quali attività? Seconda: chi gestirebbe il gettito e chi dovrebbe occuparsi della raccolta e della supervisione? Riguardo il primo punto, le reti della società civile internazionale che spingono per l'introduzione della tassa chiedono che la metà del gettito venga impiegata su scala nazionale nei Paesi che l'hanno adottata, l'altra metà per scopi internazionali, finanziando interventi di lotta alla povertà e ai cambiamenti climatici. Il 50% del gettito sarebbe quindi gestito da ogni singolo Stato e destinato alle sue spese sociali, al welfare, a rimettere in sesto i conti pubblici disastrati dalla crisi, spostando il conto della crisi stessa dai cittadini che ne hanno già pagato le conseguenze ai grandi attori della finanza che ne rivestono le maggiori responsabilità. La tassa permetterebbe quindi di prelevare delle risorse dai grandi attori della finanza per “restituirle” ai cittadini. Dall'altra parte, quello sulle transazioni finanziarie è un tipico esempio di tassa globale, la cui applicazione può contribuire a tutelare un bene comune – la stabilità finanziaria internazionale – e il cui gettito può finanziare altri beni comuni. Il peso della crisi ricade anche, e forse soprattutto, sui Paesi più poveri, che non hanno nessuna responsabilità per la crisi e che, non avendo dei mercati finanziari sviluppati, non trarrebbero beneficio da un utilizzo del gettito per politiche nazionali. In questo quadro, la metà delle entrate dovrebbe essere utilizzata per obiettivi internazionali, ovvero per la lotta ai cambiamenti climatici, per la cooperazione e l'aiuto allo sviluppo e per il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Considerando il gettito, la TTF potrebbe dare un contributo di grande rilevanza in tutti questi ambiti. La seconda domanda riguarda la gestione della tassa. Si possono ipotizzare due casi opposti e una serie di situazioni intermedie. A un estremo, i singoli paesi riscuotono il gettito e ne decidono l'impiego. L'intero processo viene quindi gestito a livello nazionale. In questo caso i paesi con i mercati finanziari più sviluppati (Usa, Gran Bretagna, Germania) raccoglierebbero il grosso delle entrate. All'estremo opposto, il processo viene interamente gestito a livello internazionale dove un'istituzione ad hoc, sotto l'egida dell'ONU, si occupa di tutti gli aspetti. Questa seconda ipotesi presenta diversi vantaggi: rispecchia l'idea di una “tassa globale” e permette di rafforzare la cooperazione internazionale. Uno dei motivi principali della crisi nasce dall'esistenza di un solo mercato finanziario globale senza frontiere, mentre le leggi e le normative sono ancorate agli StatiNazione. Una gestione sovranazionale della TTF permetterebbe di introdurre delle regole globali in risposta a dei problemi globali. Dall'altra parte, però, al momento un tale meccanismo è difficile da ipotizzare e rischierebbe di allungare notevolmente i tempi di attuazione della tassa, mentre uno dei suoi vantaggi principali risiede nella semplicità tecnica della proposta. Bisognerebbe che le autorità nazionali siano disposte a rinunciare alla propria sovranità in materia fiscale. Per rendersi conto di tale difficoltà basta citare l'esempio dell'Unione Europea, che ha adottato un mercato unico, una moneta unica, la libera circolazione delle persone, ma dove i singoli Paesi mantengono un controllo ferreo riguardo alle politiche fiscali e alla gestione delle entrate. Per questo, una delle ipotesi proposte è quella di partire con un'imposta che faccia capo ai singoli governi, i quali si impegnano a vincolare il 50% delle entrate a obiettivi internazionali. Progressivamente, con l'entrata a regime della tassa sulle transazioni finanziarie, ci si può poi spostare verso una gestione sempre più internazionale, raggiungendo gli altri vantaggi segnalati. Fisco TRE FRATELLI EVASORI: MA ANCHE IL MIO ARTIGIANO… Apprezzabilissimo: il ristorante-pizzeria, nel cuore della nostra Garbatella, a partire dal primo gennaio 2012 ha allargato la sua offerta culinaria e ora, oltre alla cucina italiana, che già presentava i suoi piatti di pesce fresco e le sue pizze saporite, enumera fritti towok, cous cous, palla valenciana e altro: una vera attrattiva. Piccola azienda che cresce. In concreto. Mi fa piacere. Anche per l’economia del mio paese. Per giunta, non si paga il coperto: cosa molto giusta in quanto il coperto mica il cliente se lo mangia; perché dovrebbero farmelo pagare, se vado lì per mangiare? Il servizio va incluso nel prezzo del piatto che ordino. E’ anche più semplice. Se poi considero che i Tre Fratelli sono immersi, appunto, nel cuore di Garbatella, uno dei più bei quartieri di Roma, mi sento ancora meglio; “Toh – osserva ammirata mia figlia: - non ci avevo fatto caso: questo è il bar dei Cesaroni… quasi quasi ogni tanto ci si può venire anche a fare una passeggiata… Un solo neo abbiamo trovato in questa Pizzeria-Ristorante: non ci hanno rilasciato la ricevuta fiscale. Fretta? Dimenticanza? E’ vero che il locale era affollato… è vero anche che in fondo abbiamo preso soltanto quattro pizze “a portar via”…: ma il piglio della consegna senza ricevuta era proprio molto sereno e “normale”. E questo mi ha colpito. Mi sono un po’ risentito e mi sono detto: Coi tempi che corrono…Beh, se torno qui gli chiedo la ricevuta, oppure mi perdono come cliente. Ma, due giorni dopo, il mio pensiero si è fermato d’improvviso sull’artigiano che è venuto a ripararmi una taparella in casa: meno di mezz’ora di lavoro, trenta euro (ne voleva quaranta, di primo acchito); sono stato a guardare e gli ho detto educatamente: Quaranta… mezz’ora di lavoro… proprio quaranta? Non vedo neanche ricevuta... E’ stato comprensivo: Vabbè, famo trenta, ma nun me chieda ricevuta, sennò dovrei di’ cinquanta: governo ladro… In fondo, perché affannarsi a cercare risposte complicate a problemi semplicissimi? La questione dell’economia italiana è appunto semplicissima e poco più che duplice: - Qualche milione di italiani non paga le tasse, anche fra i piccoli che sputano veleno contro ogni governo e contro gli evasori; Standard and Poors, e simili mostruosità, hanno la criminale fortuna di essere ascoltate da un codazzo di speculatori interessati e da una opinione pubblica di babbei, nonostante la loro dimostrata inaffidabilità e manipolatività di analisi. Siamo davvero strani, anche noi… Imprese pubbliche CONSUMI ELETTRICI NEL 2011: UN +0,6% (CHE A NOI PARE IMPORTANTE) (Grande linea di trasmissione elettrica) Per i consumi elettrici italiani il 2011 si chiude con un leggero incremento, segnale, da un lato, della condizione ancora rallentata della nostra economia, ma dall’altro della dinamica reattiva non assente. "Per il secondo anno consecutivo dopo il calo del 2009 – quando i consumi scesero del 5,7% - nel 2011 la domanda di elettricità registra un segno più", sottolinea una nota di Terna, la società pubblica che gestisce la rete di trasmissione nazionale dell’energia elettrica, l’ultimo baluardo di presenza strategica pubblica salvata dall’insana privatizzazione del colosso Enel. E’ una notizia buona: sosteniamo anche il lavoro di Terna, guardiamolo da vicino, manteniamolo pubblico e sociale. Imprese pubbliche DIFENDIAMO TERNA Ma chi è, Terna? Costola del vecchio Enel Nazionale, del quale ha rilevato la gestione delle grandi reti di trasporto dell’energia elettrica, Terna negli ultimi tempi si è vista applicare dal governo la Robin Tax, che le costa circa 210 milioni di euro all’anno, e che ha portato di fatto la sua tassazione fino al 61%. Spropositata. Alla Robin Tax va associato un forte ritardo da parte dell’Autorità nei pagamenti della remunerazione del servizio di trasmissione e dispacciamento dell’energia elettrica e degli altri connessi, che si aggira intorno ai 20 mesi. Ritardo che è a sua volta parte del più generale vizio e malvezzo della pubblica amministrazione di pagare senza affidabilità i fornitori, costringendoli spesso a ridurre l’occupazione o gli investimenti, o a diventare a loro volta inaffidabili. Un recente documento di consultazione dell’Autorità per l’Energia in materia di tariffe elettriche propone un nuovo regime che vuol riconoscere a Terna un aumento dal 6,8% al 7,2%, troppo basso peraltro per recuperare i due svantaggi sopracitati. Se rimarrà confermata questa proposta da parte dell’Autorità, la società pubblica si vedrà costretta a ridimensionare gli investimenti sulla rete di trasmissione italiana (sono stati 5 miliardi di euro negli ultimi 5 anni). Il che causerà una ripercussione anche sull’indotto delle circa 400 ditte esterne (soprattutto nei settori edile e metalmeccanico) impegnate per oltre 170 cantieri e oltre 10.000 addetti. E’ stata soprattutto la Flaei-Cisl a evidenziare questa situazione attraverso incontri e comunicati, nell’intento di premere sull’Autorità per provvedimenti più equitativi, ma anche di ipotizzare in via alternativa un abbattimento della Robin Tax, da finalizzare agli investimenti annuali e all’occupazione diretta e indotta, per sostenere la crescita della rete elettrica per lo sviluppo dell’economia italiana. Previdenza: MA SOPRATTUTTO REGOLE UGUALI PER TUTTI Silvano Miniati è stato a lungo uomo del lavoro, sindacalista della Uil e poi componente del Cnel. Su diverse cose non abbiamo avuto posizioni uguali, ma la sua riflessione e la sua proposta in materia previdenziale, qui di seguito pubblicate, ci paiono assolutamente condivisibili. °°°°° La delicatezza della situazione politica ed economica impone a tutti noi l’obbligo di analizzare ogni provvedimento del governo Monti con il massimo di saggezza e realismo, soprattutto quando la parte migliore di un provvedimento rischia di essere oscurata dalle parti che non sono invece condivisibili. Per quanto riguarda le pensioni, abbiamo già detto in altre sedi quanto sia inaccettabile qualsiasi provvedimento che intervenga per bloccare o rallentare un meccanismo di indicizzazione pur imperfetto e dannoso per i pensionati. Si tratta di un meccanismo che, sommando i suoi effetti a quelli delle addizionali e della mancata restituzione del fiscal drag, ha provocato in meno di dieci anni la riduzione del valore reale di una pensione media di circa il 30%. Altrettanto negativa appare la decisione di intervenire sull’età pensionabile senza affrontare contestualmente il problema dei lavori usuranti e dei disoccupati over 45 che non riescono a ritrovare il lavoro. Esiste, tuttavia, tra le proposte avanzate dalla ministro Fornero, una idea di grande rilievo che, se attuata seriamente, potrà finalmente portare alla realizzazione di un sistema previdenziale con regole davvero uguali per tutti. Decidere il passaggio al sistema contributivo per tutti, se lo si facesse realmente, rappresenterebbe una svolta epocale, sostanzialmente identica a quella dell’adozione del Conto previdenziale personale. Cerchiamo di riepilogare in modo sintetico il perché sarebbe lecito parlare di svolta epocale. Passare tutti al contributivo significa che, per ogni cittadino, giovane precario, parlamentare, grande manager o generale che sia, valgono le stesse regole. A ben vedere, la legge Dini conteneva questa scelta, che fu poi volutamente disattesa a fronte delle prime reazioni negative. Oggi si ripresenta l’occasione e sia il governo che le forze politiche e il sindacato non possono perdere di nuovo una occasione storica. A nessuno peraltro sfugge il fatto che stabilire regole uguali per tutti da domani, azzera una giungla di privilegi ma non interviene su quelli già goduti o in essere: intervenire su questi ultimi non sarà un percorso agevole. Le prime avvisaglie in materia non sono incoraggianti. Fini e Schifani, dopo aver discusso con la ministro Fornero, avanzano una proposta per le pensioni dei deputati, che appare chiaramente inaccettabile. Che senso ha riproporre per i deputati e senatori età diverse da quelle previste dalla legge? Se 65/67 anni rappresentano il limite fissato dalla legge, questo deve valere per tutti. Sarebbe oltretutto incomprensibile una norma che fissasse la pensione a 65 anni per chi ha fatto una sola legislatura e a 60 per chi ne ha fatte più di una. Il principio della assoluta parità nelle regole e nei trattamenti andrebbe invece valorizzato al massimo, non perdendo l’occasione per dare una verniciata di equità ad un sistema che, per il futuro, non avrebbe più bisogno di interventi traumatici. In questa prospettiva, anche la scelta delle pensioni integrative previste nei contratti potrebbe finalmente riprendere vigore, a condizione che lo Stato compia scelte chiare e incisive per sostenerle. (Silvano Miniati) Previdenza PENSIONATI DUBITABILI Nello scorso numero abbiamo pubblicato, nell’ambito di una più vasta riflessione in materia di giustizia distributiva, il trattamento pensionistico rilevato dalle cronache di stampa per Giuliano Amato: circa 30.000 euro mensili; trattamento venuto alla ribalta della cronaca per un dibattito televisivo sul sistema previdenziale e sui veri e presunti privilegi della “casta”. L’elenco delle ”pensioni dubitabili” dal punto di vista della giustizia distributiva è lungo e ne fanno ampiamente parte anche nomi meno benemeriti del paese. Né ci pare cosa ingiusta renderli noti, trattandosi di distribuzione della ricchezza collettiva. Non è in discussione l’aver ottenuto “regolarmente o meno, dal punto di vista della legge” simili pensioni: Amato ha detto di sentirsela del tutto meritata, la sua pensione, e noi sappiamo che è così, in quanto la legge appunto gli ha consentito in trasparenza di costruirsi un simile trattamento. Ma ci chiediamo, come ci chiedevamo nel numero scorso, se nel consorzio civile, che ancora tanti casi di povertà fino all’indigenza non riesce a risolvere, sia lecito alla stessa legge consentire simili accumuli e disparità di ricchezza, non solo del resto in materia di pensioni ma anche in materia di stipendi e di rendite da capitale. Cosa potrà mai aver prodotto per la collettività, sempre secondo le cronache di stampa, Mauro Santinelli, che ha operato nella telefonia, per percepire dall’Inps una pensione lorda mensile di 90.246,55 euro, pari a 3.258,90 al giorno?! E Mauro Gambaro, che ha operato nella finanza, per percepire dall’Inps euro 51.160,28 al mese, pari a 1.847,45 euro al giorno?! Per quale professionalità strabiliante e per quale contributo alla ricchezza collettiva è concepibile percepire trattamenti simili? Si può davvero “meritarli onestamente”, come si esprimeva Amato? Sarebbe interessante, o meglio sarebbe curioso, anche sapere cosa mai si può fare di cifre simili; comprare case? Comprare alberghi? Comprare fabbriche? Per ipersistemare i figli? Per iperviaggiare? Per oziare contemplando l’umanità affaticata dall’alto di una lussuosissima villa? E poi? Ma questa è proprio solo curiosità: il problema sociale reale resta quello di conciliare trattamenti di simile ammontare con la mancanza di risorse collettive per dare un lavoro al nostro vicino di casa rimasto disoccupato e con famiglia da allevare. I tre signori citati non sono parlamentari: a conferma della ulteriore osservazione, pur essa doverosa, che la “casta” non è fatta solo di politici. Politica SFIGATO SARA’ LEI Giuseppe, te lo ricordi Martone, che prendeva parte alle nostre riunioni fiume con i giovani imprenditori sulle nuove forme di rappresentanza al Cnel? Quelle in cui il coordinatore era Luca Diotallevi?... Adesso a quanto sembra tocca al figlio una carriera super, cominciata con l’essere rimbalzato agli onori della cronaca dopo il suo primo intervento pubblico da quando è viceministro: l’intervento sugli studenti universitari “sfigati”…. (Stefano) (Michel Martone, sottosegretario) Sì, Stefano: ricordo quelle nostre riunioni al Cnel. Nutrivamo molte speranze, molto entusiasmo, e qualche dubbio, fin da allora. Riflettendo sul malinconico incidente degli “sfigati” pensavo proprio a quelle nostre riunioni chiedendomi se quel nostro Martone fosse il padre del fustigatore degli studenti “sfigati”… Nel frattempo mi è capitata fra le mani anche una risentita nota, mi pare di ambienti universitari bolognesi (ma potrei sbagliarmi) che dice: “Nell'autobiografia presente sul suo sito, Michel Martone si definisce di madrelingua francese; sfoga le sue inquietudini scrivendo su alcuni giornali, e ha il suo habitat naturale nell’università italiana. Un enfant prodige che ha bruciato le tappe diventando professore ordinario a 29 anni e viceministro a soli 38. Quando recentemente, a Roma, durante un incontro pubblico sull’apprendistato, ha definito gli studenti che non si laureano entro i 28 anni degli sfigati, ha fatto sobbalzare sulla sedia non pochi ventenni italiani. Non tanto per il linguaggio usato; la parola sfigato ormai è entrata nell’uso quotidiano: rappresenta perfettamente una tipologia di persona che è artefice della propria sfortuna. Quello che lascia perplessi è che il professore viceministro Martone ha detto solo una parte della verità, omettendo quella più scandalosa. In Italia esistono tre tipologie di studenti. La prima, quella più numerosa, studia e si laurea in tempo. Nonostante il sistema universitario italiano sia obsoleto e non all’altezza degli standard europei ed occidentali. Per tutto il percorso formativo questa tipologia di studenti si trova alle prese con professori che non sono al servizio degli studenti stessi ma al servizio dei propri interessi o delle cordate o delle famiglie (a volte politiche) che rappresentano. La seconda tipologia è quella definita da Martone degli sfigati. E’ vero: e forse si parcheggiano negli atenei delle principali città italiane. Per varie ragioni sono in ritardo con gli esami e con il percorso di studi. Andrebbero scossi. E’ anche vero però che essi fanno comodo al sistema. Pagano regolarmente le rette, affollano le aule e sono parte integrante della tradizione universitaria italiana. Perché non approvare, come succede in altri paesi europei, la norma che un esame può essere sostenuto al massimo due volte? Perché non porre dei limiti agli anni fuori corso? La terza tipologia di studenti è composta da figure diligenti e brillanti. Brillanti soprattutto per il cognome che portano. Bruciano le tappe non tanto per le capacità che hanno (a volte indubbie) ma per le spintarelle che ricevano da amici e da amici degli amici. A volte quelli che spingono (il più delle volte impongono) sono le madri. A volte i nonni. Spesso sono i padri. Leggiamo il curriculum di Michel Martone e capiamo qualcosa. Professore ordinario di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Teramo. Professore incaricato di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli. Nella stessa Università insegna anche “Politiche di gestione e risoluzione dei conflitti sociali” presso la School of Goverment, nell’ambito del master universitario in “Affari Politici Italiani”. Ha insegnato diritto del mercato del lavoro e storia del movimento sindacale presso la scuola di specializzazione in diritto sindacale, del lavoro e della previdenza sociale, dell’Università “La Sapienza”; insegna Rapporti Speciali di Lavoro presso il master per consulente d’impresa dell’Università di Roma 3, e storia del diritto presso il corso di laurea in scienze giuridiche dell’Università Lumsa. E’ stato componente della commissione scientifica per la semplificazione amministrativa e la riforma della disciplina del rapporto alle dipendenze della pubblica amministrazione. E’ stato segretario della commissione scientifica per la redazione di uno Statuto dei Lavori istituita presso il Gabinetto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. E’ stato nominato “Former Aspen Junior Fellows” dall’Aspen Institute Italia ed è stato selezionato per partecipare agli Aspen Seminar for Leaders di Aspen (Usa).E’ avvocato del foro di Roma, abilitato al patrocinio presso le magistrature superiori. Leggiamo ora il curriculum di Antonio Martone, padre del viceministro, e capiamo ancora di più. Magistrato ordinario dal novembre 1965. Giudice della “sezione lavoro” del tribunale di Roma. Componente eletto del Consiglio Superiore della Magistratura per il quadriennio 1981-1985. Dal 1986 ininterrottamente in servizio presso la Corte di Cassazione con funzione di sostituto procuratore generale. Dal luglio 2009 avvocato generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione. In pensione di anzianità dal 10 luglio 2010. Assistente presso la cattedra di diritto del lavoro della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma dal 1964; docente di diritto processuale del lavoro presso la Scuola di Perfezionamento in Diritto Sindacale e del Lavoro della detta Università dall’anno accademico 1972-1973 all’anno accademico 1986-87. Docente di diritto del lavoro presso la Luiss di Roma dall’anno accademico 1975-1976 all’anno accademico 1987-1988; professore associato per il gruppo di discipline “Diritto del Lavoro”; componente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro dal 1989 al 2005; presidente della Commissione per le nuove rappresentanze (1989-1995). Presidente del nucleo di valutazione della spesa relativa al pubblico impiego (19962000). Presidente del comitato del CNEL per la formulazione dei pareri sulla rappresentatività sindacale (dal 2000 al 2005). Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati dal febbraio al novembre 1999. Dall’ottobre 1996 al dicembre 2002 componente eletto del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. Dal dicembre 2003 al marzo 2006 e dal marzo 2006 al settembre 2009 componente della commissione di garanzia dell’attuazione della legge sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali. In entrambi i trienni è stato eletto all’unanimità Presidente della Commissione. Secondo voi Michel Martone a quale categoria di studente tipo corrisponde? Sicuramente in Italia spesso non si ereditano solo i beni ma anche le qualifiche. La prossima volta non parliamo solo degli “sfigati” che marciscono all’università; parliamo anche dei “fortunati” che…”. °°°°° Praticamente è inutile proseguire nella pubblicazione del documento. Non ricordo neppure da dove esattamente l’ho preso. E del resto con qualche sua considerazione non sono nemmeno d’accordo: tanti studenti che si laureano dopo i 28 anni, ad esempio, sono in realtà studenti-lavoratori che per poter studiare fanno a volte vari mestieri, spesso in più luoghi;e quando è così io mi sento dalla loro parte, dalla parte del loro diritto a essere in università anche a trent’anni; e poi… ma chi ha potuto mai sostenere la scemenza che l’università debba essere fatta “solo” per i giovani? Mi ha colpito però soprattutto il fatto che, casualmente, appena un paio di giorni dopo la polemica sugli studenti “sfigati”, la radio, una radio seria, quella del Sole24Ore, abbia ripreso e trasmesso la documentazione scritta, in particolare gli atti del verbale di concorso, con cui il neoviceministro vinse a suo tempo la cattedra di professore ordinario presso l’Università La Sapienza, appena 29enne: un autentico record. Gli atti riportano le ampie riserve e perplessità di tre valutatori su cinque circa i titoli e la qualità dei contributi scientifici espressi da Martone, e uno di tali valutatori lo definisce esplicitamente inadeguato; sulla candidata concorrente con Martone per la stessa cattedra, invece, tutti e cinque i componenti la commissione sono concordi: “ha tutti i requisiti per accedere alla nomina”. La cattedra fu attribuita a Martone. Che ve ne pare? Gramsci di sempre ODIO GLI INDIFFERENTI Noi non “odiamo” gli indifferenti: non possiamo farlo. La nostra speranza cristiana sarebbe contraddetta alla radice. Ma certo quella degli indifferenti è per noi una delle categorie più indigeste e distruttive che la storia, anche attuale, ci ponga davanti. A volte consapevoli ed a volte no, gli indifferenti sono in effetti la palla più pesante al piede di ogni lotta del bene contro il male. Anche perché si nascondono, fanno finta di nulla, si voltano dall’altra parte, continuando a fare professione di schieramento per il bene: e lasciano in realtà in solitudine chi per il bene (anche loro) continua a lottare. Il brano famoso di Antonio Gramsci non ha perso nulla della sua originaria attualità e ci viene proposto da Maria Teresa Spina per una ripubblicazione che sia punto di rinnovata riflessione comune sui problemi dell’attuale realtà politica e sociale. °°°°° Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall’impresa eroica. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza, all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto che l’apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa. I destini di un’epoca son manipolati a seconda delle visioni ristrette, degli scopi immediati, della ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un ‘eruzione, un terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si proponevano. I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale, non di pungente senso di responsabilità storica che vuole tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun genere. Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi di come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime. Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel sacrificio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del bene che l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato perché non è riuscito nel suo intento. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti. (Antonio Gramsci). Società BAMBINI UTILIZZATI PER ADESCARE Se vi capita di incrociare per strada o in altri luoghi bambini che piangono e vi dicono: "Mi sono perso, portatemi a questo indirizzo...", non lo fate, ma andate piuttosto con il bimbo al comando di polizia o dei carabinieri perchè con molta probabilità state incappando in un sistema nuovo che i maniaci usano per adescare donne e violentarle. Una sera, mentre percorrevo una via secondaria per tornare a casa, ho notato, sul seggiolino di un'auto ferma al bordo della strada, un bambino coperto da un panno. Non so spiegare perchè non mi sono fermata. E’ stato istintivo. Quando sono arrivata a casa ho telefonato alla polizia, la quale mi ha assicurato che sarebbe andata a vedere. Nel contempo, però, ecco quello di cui la polizia mi ha informata: le bande di malviventi stanno escogitando nuovi stratagemmi perchè gli automobilisti (soprattutto donne e in zone isolate) fermino il proprio veicolo e ne scendano. Il metodo praticato da certe bande consiste appunto nel posizionare una macchina lungo la strada con un falso bebè seduto dentro, aspettando che una donna si fermi per andare a vedere quello che lei crede essere un bimbo abbandonato. Da notare che la macchina è solitamente ferma vicino a un bosco o ad un campo con l'erba alta: la persona che ha la malaugurata idea di fermarsi sarà probabilmente trascinata nel bosco, violentata, derubata. Non fermatevi mai, ma chiamate il 113 appena possibile, raccontando quello che avete visto e dove l'avete visto, ma continuate la vostra strada. Un altro espediente dei malviventi: se, mentre state guidando, vi arrivano delle uova sul parabrezza, non fermatevi, ma soprattutto non azionate il lavavetri, perchè le uova miste all'acqua diventano collose e vi oscurerebbero il parabrezza fino a più del 90%. Sareste allora costretti a fermarvi al bordo della strada diventando anche in questo caso potenziali vittime di criminali. (Cinzia Prandini) (assistente presso la Questura di Milano). Testimoni IL CORAGGIO DEI GIUSTI: FRANCO PERLASCA RACCONTA Giancarlo Cocco ha scritto questo articolo per Raivaticano del 26 ottobre scorso, dopo aver incontrato il figlio di Giorgio Perlasca, in un comune convegno (50&Più-Gold Age) che abbiamo dedicato a “L’albero delle virtù: la vera rivoluzione è la virtù”. Perlasca è figura portata fortunatamente alla ribalta della pubblica opinione alcuni anni fa con un film di grande successo, che ha avuto per protagonista indimenticabile il bravissimo attore Luca Zingaretti, ormai più conosciuto nel gergo cinematografico come “commissario Montalbano”. °°°°° La vicenda di Giorgio Perlasca, che riuscì a salvare nel 1944 oltre 5.000 ebrei a Budapest, è nota grazie al film televisivo mandato in onda dalla nostra Rai qualche anno fa e interpretato da Luca Zingaretti. Pochi sanno che per salvare questi cittadini ungheresi di religione ebraica fu fondamentale anche il ruolo di monsignor Angelo Rotta, Nunzio Apostolico nell’area balcanica, e del suo segretario monsignor Gennaro Verolino. Giorgio Perlasca e Angelo Rotta sono stati riconosciuti Giusti tra le nazioni dallo Yad Vashem. La vicenda di Giorgio e dei contatti da lui avuti con Rotta è stata rievocata venerdì 21 ottobre 2011 al Palacongressi di Rimini dal figlio Franco Perlasca. Giorgio Perlasca e monsignor Rotta il titolo di Giusti se lo sono guadagnato pienamente. Quello di “giusto” è, nel caso specifico, il valore di chi è riuscito ad opporsi al male e ha trovato la forza di scegliere una via diversa da quella imposta dall’aberrante programma di eliminazione di esseri umani da parte dei nazisti. Da giovane, Giorgio Perlasca, originario di Como, aderì in maniera convinta al partito fascista, e nel 1923 combattè come volontario nella guerra civile di Spagna in appoggio alle truppe nazionaliste del generale Franco. Nel 1943 Perlasca si trovava a Budapest per conto di una ditta italiana che importava carne per l’esercito. L’8 settembre, giorno dell’armistizio fra l’Italia e gli alleati angloamericani, nella capitale ungherese egli prestò fedeltà al giuramento fatto al re, rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Per questo motivo si trovò a essere ricercato dai tedeschi che intendevano arrestarlo per tradimento. Fu costretto a rifugiarsi presso l’ambasciata spagnola ottenendo una cittadinanza fittizia e trasformando il suo nome in Jorge. Cominciò ad aiutare l’ambasciatore spagnolo Sans Briz nell’opera umanitaria di protezione verso gli ebrei di Budapest attraverso rilascio di salvacondotti. Tale operazione fu organizzata con la collaborazione di varie ambasciate e in particolare di quella del Vaticano, retta all’epoca dal nunzio apostolico Angelo Rotta, che forniva falsi certificati di battesimo e passaporti per far espatriare nell’allora Palestina britannica. Rotta ed il fido segretario Gennaro Verolino lavorarono per sottrarre il maggior numero di ebrei al viaggio che li avrebbe portati a morire ad Auschwitz. In quei mesi di occupazione nazista del 1944 la nunziatura redasse e distribuì oltre 25.000 “lettere di protezione” con le quali si poteva scampare alla deportazione. Quando, in novembre, l’ambasciatore spagnolo decise di lasciare l’Ungheria per non riconoscere il governo filonazista, Perlasca con un’astuta messa in scena riuscì a spacciarsi per ambasciatore stilando la lettera della sua stessa nomina. Da quel momento cominciò con la “nuova qualifica” a concedere lasciapassare e a firmare documenti che garantivano protezione a migliaia di ebrei perseguitati. Questa vicenda restò sconosciuta per più di quarant’anni perché Giorgio Perlasca non cercò mai la gloria; egli considerava la sua azione una normale reazione alle terribili ingiustizie di cui era stato testimone. Franco Perlasca, il figlio, venne a conoscenza della verità solo alla fine degli anni 1980, quando alcune donne ebree ungheresi pubblicarono sul giornale della comunità di Budapest un annuncio per rintracciare “quell’ambasciatore spagnolo che aveva salvato le loro vite”. In una breve intervista che ci ha concesso al termine della tavola rotonda, Franco, presidente della Fondazione Perlasca, ci ha rivelato che “prima del Natale 1944 mio padre andò a confessarsi da monsignor Rotta e gli confidò che non era spagnolo, dicendogli chi fosse realmente e dove avesse la famiglia. Il nunzio apostolico capì e gli disse: Non si preoccupi, se succede qualcosa l’avverto. Mio padre, monsignor Rotta ed il suo segretario Verolino collaborarono in quei mesi terribili in maniera intensa e la nunziatura contribuì a salvare migliaia di persone; una targa nel castello di Budapest li ricorda come “Giusti”. Essi sono in sostanza degli eroi che mantengono un atteggiamento riservato perché hanno la sensazione di avere fatto solamente il loro dovere. La parola giusto ha origine da una storia della tradizione ebraica che racconta l’esistenza al mondo di trentasei giusti. Nessuno sa chi siano, né loro sanno di esserlo, ma quando il male prende il sopravvento sulla terra queste persone caricano i destini del mondo sulle loro spalle e si oppongono alle ingiustizie. (Giancarlo Cocco) Spiritualità SE LA TENTAZIONE DEL POTERE CI MINACCIA Il 29 gennaio scorso, quarta domenica ordinaria nel ciclo liturgico, la Chiesa ha proposto come seconda lettura della Messa un brano del vangelo di Marco, che recita: “In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea”. “Insegnava come uno che ha autorità, e non come gli scribi…”. Ci è parso stimolante pubblicare di seguito per i lettori di Studisociali il commento a questo brano del vangelo, lasciatoci da don Franco Amatori, di Santa Maria in via Lata. °°°°° Chi è quel tale posseduto da uno spirito impuro che cominciò a gridare contro Gesù proprio durante una celebrazione liturgica, in sinagoga, di sabato? Quante volte, nella mia esperienza di parroco, ho dovuto tenere testa a persone e situazioni arroganti, abituate a ottenere privilegi o coperture di abusi estranei a qualunque regola e a qualunque Vangelo... Un comportamento calmo, leale, non remissivo, è sufficiente per mandare su tutte le furie lo spirito impuro. Don Pino Puglisi tolse dalla strada ragazzi e bambini. Il fatto che togliesse alimento alla mafia diede molto fastidio ai boss che lo consideravano un ostacolo. Così il 15 settembre 1993 venne ucciso, davanti al portone di casa. Triste storia che può essere narrata con numerose varianti di nomi e di luoghi. Con immensa ammirazione ricordiamo Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador, ucciso sull’altare perché colpevole di essersi pienamente schierato dalla parte dei poveri. Non ci meravigliamo se il mandante potesse essere anche uno che siede al primo banco nella sinagoga o nella chiesa. È così facile nascondere odio e vendetta dietro comportamenti ossequiosi, perfino dietro religiosità formale e ostentata. Se non ti sottometti al boss devi aspettarti qualunque sgambetto o tradimento. Ecco che cominciamo a capire quale potere occulto rappresenta quell’uomo, all’apparenza tanto religioso e osservante, che apostrofa Gesù brutalmente, nella sinagoga di Cafarnao. Se non stronca subito quel tale che insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi perderà il prestigio e l’omertà dei suoi picciotti. Gesù, con la sua personalità e con i suoi discorsi, è un’insidia che lo scruta fino in fondo e non gli permetterà più la sua ipocrisia: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». Il Vangelo lascia capire che quel giorno nella sinagoga ci fu un drammatico scontro tra Gesù e quell’uomo: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tuttavia Gesù non lo scaccia dalla sinagoga; caccia lo spirito impuro. Vuole la conversione dell’uomo e una purificazione di tutta la comunità riunita di sabato nella sinagoga. La presenza di quello spirito impuro è una malattia della comunità, non solo di quell’uomo. Fa pensare allo spirito che sostiene e alimenta le mafie e i sistemi politici corrotti. Il fatto raccontato dal Vangelo mette pesantemente il dito anche su un altro aspetto: dove stavano i rabbi, gli scribi e i responsabili di quella sinagoga? Non si erano mai accorti di niente? O anche loro facevano parte del sistema? Solo con l’apparire di Gesù viene messo in evidenza lo stridore di quella situazione? Per il nostro tempo, “c’è da chiedersi se l'istituzione ecclesiastica non paghi quell'eccesso di politicizzazione che ha caratterizzato il suo recente passato. Quel passaggio, che ha trasformato i suoi vertici in protagonisti politici, non può non avere lasciato in una parte dell'opinione pubblica il senso di una assimilazione delle gerarchie ecclesiastiche al ceto politico. L'equazione tra Chiesa e «casta» nuoce all'immagine della Chiesa”. (G. Brunelli in Il Regno Attualità N. 22 del 15/12/2011 pag.729) Siamo scandalizzati e disorientati quando un capo religioso finge di non vedere la corruzione di persone che si dichiarano religiose, e pretendono campo libero per scandali e abusi. Certi silenzi sono più colpevoli degli stessi soprusi e lasciano una triste orma, difficile da cancellare. Il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire. Ci sentiamo affettuosamente schierati con la nostra Chiesa quando è attaccata perché testimone limpida di Vangelo; e tristemente umiliati quando ci sembra assente, attenta ad altro, senza chiarezza, compromessa con altri poteri strani e occulti. Cosa può fare la comunità dei discepoli di Gesù per mettere in crisi il grigiore delle indolenze e della corruzione, ravvivare la sua esigenza di verità, e pretendere cambiamento di stile? San Paolo scriveva dal carcere: Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, a causa del quale io soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non può essere incatenata! (2Ti 2,8-9). Lo scandalo della verità che fa arrabbiare lo spirito impuro non ci permette di puntare il dito se prima non abbiamo chiarito in che modo anche noi siamo la Chiesa di Gesù. (Franco Amatori) Artigianato IL PRESEPIO DI SANTA GALLA Giustamente è stato segnalato con il Premio Fantasia di Garbatella, il 4 gennaio 2012, il grande presepe meccanico dell’artigiano Dante Pica: 150 scene di vita quotidiana in movimento, ricostruite con legno, carta, filo e altri materiali umili; vita quotidiana della Roma come è ma soprattutto come era; ed anche dell’umanità come è stata sempre. I mietitori che affastellano il grano, l’oste che mesce il suo vino ai commensali, la massaia che mette in tavola la sua cucina, il fabbro che arrota ed aguzza coltelli e vanghe, i giocatori di carte che discutono, ma anche… il portiere che para un calcio di rigore, il ricercatore con i suoi lambicchi... Lo scenario del tempo, anzi uno scenario quasi fuori del tempo, sopra il tempo, nel quale il mistero di Gesù Cristo, uomo e Dio, è vissuto terrenamente duemila anni fa e vive ogni giorno fra gli uomini. Questo tipo di artigianato, curatissimo, dettagliatissimo, dinamicissimo, è arte: quell’arte chiamata minore che dovrebbe essere incoraggiata fin dalla più tenera età nei bambini che hanno talento, ed entrare per la strada maestra nei meccanismi educativi della scuola e nei luoghi di incontro fra generazioni, che la scuola stessa dovrebbe promuovere. La premiazione del 4 gennaio si è svolta presso il Teatro in Portico, alla parrocchia di Santa Galla, in Roma, presenti le autorità del municipio competente, con Paolo Masini vicepresidente della commissione scuola del comune di Roma, Giovanna Mirella Arcidiacono e Giulia Giannone, animatrici dell’Associazione Il Tempo Ritrovato. Riferimento per il presepio dinamico: Dante Pica, tel.06.5120133. Arte GUGGHENEIM ALL’ARCA DI VERCELLI (Spazio Arca, in San Marco di Vercelli) Inaugurato nel novembre 2007 con la mostra Peggy Guggenheim e l’immaginario surreale, lo spazio Arca è oggi riconosciuto come sede espositiva importante per le arti visive nella città di Vercelli. Oltre a ospitare le mostre Guggenheim organizzate dalla Regione Piemonte e dal Comune in collaborazione con la Collezione Guggenheim di Venezia, lo spazio ospita mostre di bel livello e di ampio richiamo durante tutto l’anno. Nell’estate 2009 vi si è tenuta la mostra Adi Design Index - Le eccellenze del design piemontese. A seguire ha avuto luogo la mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin Peggy Guggenheim, la casa, gli amici,Venezia, che ha delineato un ritratto della nota collezionista americana nella sua dimensione più personale e intima, sullo sfondo della Venezia degli anni ‘60 e ’70. Un giovane Berengo incontra Peggy Guggenheim e la ritrae nella sua casa, Palazzo Venier dei Leoni, tra gli amici italiani e in compagnia di alcuni vecchi amici americani, fornendo uno spaccato di quella originale atmosfera che distinse la vita degli artisti che si riunirono intorno a Peggy nella casa veneziana. Nel 2008 Arca aveva ospitato eventi diversi spaziando dall’arte contemporanea all’architettura e allo sport: la prima mostra della collezione del Fondo Regionale di Arte Contemporanea promosso dalla Regione Piemonte in collaborazione con Artissima, la mostra Slow architecture for living, una esposizione per il centenario del primo scudetto conquistato dalla ProVercelli con in mostra la Coppa del Mondo 2006, e altro. La struttura Arca ha una forma elementare, è un parallelepipedo di metri 28.90x6.60, uno sviluppo espositivo lineare di m. 66.90, una superficie espositiva di 281 metri quadrati, una superficie di calpestio di 190.74 metri quadrati; occupa solo parzialmente la navata centrale della Chiesa di San Marco, è semplicemente appoggiata al pavimento e non ha punti di contatto né con le colonne né con le pareti; presenta una copertura vetrata che consente la visione delle volte dall’interno dello spazio espositivo; è autoportante sia impiantisticamente sia a livello dei servizi poiché ospita al suo interno tutte le funzioni peculiari di una struttura espositiva. Occupando solo parzialmente la navata centrale, la struttura Arca determina all’interno della Chiesa di San Marco due differenti spazi: uno circoscritto da Arca, dotato di tutte le tecnologie che garantiscono gli standard internazionali per l’esposizione di opere d’arte, e uno, più ampio, costituito dalle navate laterali e dall’intera abside, disponibile per eventi indipendenti collegati alle esposizioni da interne o esse. Tre sono quindi i fattori di interesse che giocano contemporaneamente in San Marco nel corso di una mostra: l’esposizione delle opere internamente ad Arca, gli eventi sviluppati esternamente e, compatibilmente con le condizioni di sicurezza dei visitatori, le attività di restauro degli affreschi. Il prossimo evento sarà “I Giganti dell’avanguardia: Mirò, Mondrian, Calder e le collezioni Guggenheim”, programmato dal 3 Marzo al 10 Giugno 2012. L’appuntamento si concentra sulle opere di tre padri delle avanguardie storiche del secolo scorso: Joan Mirò, tra i fondatori del Surrealismo, Alexander Calder, sodale di Mirò e protagonista dell’avanguardia astratta, e Piet Mondrian, membro fondatore del movimento De Stijl, uno dei massimi pensatori dell’astrazione nella prima metà del Novecento. (Luca Lisco) La Terra E IL KAZAKHSTAN… LO CONOSCETE? Intanto cominciamo con il segnalarne il nome: si chiama Aksaicultura, ed è un’associazione che si occupa, in assoluto volontariato, della diffusione della lingua e della cultura italiana nel Kazakhstan, uno dei paesi meno conosciuti del mondo e uno dei più affascinanti dell’Asia. Lo conobbero per il vero, già tantissimi anni fa, molti stranieri, anche italiani; per una precisa ragione economica: il petrolio. Anche il nostro Eni vi fece investimenti consistenti, e vi ha lasciato traccia notevole. Aksaicultura nasce proprio dall’avventura di un gruppo di italiani andati laggiù molti anni fa per il lavoro dell’Eni e diventati amici ed appassionati di questo paese. Aksai organizza così soprattutto borse di studio per ragazzi kazaki che aspirano a parlare la nostra lingua e attraverso di essa a entrare in possesso di competenze e opportunità positive diffuse in Occidente. Ma non solo. Gianluca Chiarenza, fondatore e guida dell’Associazione, vi aggiunge le iniziative della sua umanità aperta e solidale, sicchè l’Associazione costituisce luogo di cultura e insieme di umanità solidale. Si può entrarci in contatto, direttamente o attraverso il sito www.aksaicultura.net. Fra le iniziative recenti è la pubblicazione del libro "Un segno nella sabbia", romanzo di cui l’autore, Roberto D’Amico, ha messo a disposizione per due anni i diritti editoriali come contributo al lavoro culturale di Aksai. Lo leggeremo con attenzione. Non potendo effettuare alcuna vendita, l’associazione invia una copia del libro a ogni richiedente a fronte di una offerta con la causale: Donazione pro libro. Il ricavato serve appunto per realizzare nuove borse di studio per gli studenti kazaki ai quali viene insegnata la lingua italiana. Leggende andine LOS TAPADITOS: ORO DEGLI INCAS Continuiamo la pubblicazione delle leggende andine scritte da Josè Alberto: un contributo alla progressiva conoscenza reciproca di culture e valori. °°°°° Un giorno sono arrivato nella città di Chincha Alta e, mentre stavo seduto nella piazza principale di quella città, accanto a me ho sentito parlare un gruppo di anziani, che dicevano: “Quel signore, proprietario di quel grande magazzino, è diventando ricco grazie a los tapaditos”. Mi sono avvicinato a loro perché la conversazione era molto interessante e ho chiesto: “Scusate se mi intrometto nella vostra conversazione. Cosa sono quelli che voi chiamate tapaditos?”. E loro mi hanno risposto: “Tapaditos significa coprire quello che tu vedi e non farlo scappare”. Quindi questi anziani hanno iniziato a raccontarmi che da giovani, quando si spostavano dalla città alle pampas con il bestiame per trovare i pascoli, o quando dovevano percorrere almeno 3 o 4 giorni a cavallo per andare a vendere il bestiame nella capitale, poteva accadere in qualsiasi momento del giorno o della notte che all’improvviso ti attraversasse la strada un animale d’oro o un fuoco ardente, spostandosi a grande velocità e scomparendo altrettanto rapidamente. Secondo loro, in quel momento uno doveva prendere un sacco, una coperta o un tessuto qualsiasi e con grande rapidità andare a coprire l’animale d’oro o il fuoco ardente. Se non lo si faceva quello scompariva, ma se si riusciva a prenderlo bisognava scavare subito nel posto esatto in cui lo si era preso, fino a che non si trovava il tesoro sepolto. Se l’animale era grande o il fuoco era alto significava che anche il tesoro era molto grande. Tante persone di questa regione sono diventate ricche grazie ai tapaditos di Chincha Alta. Ho domandato anche il perché di questi tesori nascosti e uno di loro mi ha risposto: “Quando sono arrivati gli spagnoli in Sud America, per la sete d’oro saccheggiavano diverse città Inca, portandosi dietro gli oggetti d’oro. Il re Inca, al vedere questa situazione, ordinò a tutto l’impero di nascondere l’oro dagli spagnoli e tanti nascosero i tesori sotto terra, lontano dalle città, affinché gli spagnoli non li trovassero. Questi tesori sono stati dimenticati e abbandonati per secoli, in attesa che i legittimi proprietari tornassero a prenderseli”. Mi sono sentito molto impressionato al racconto di questi anziani. Se un giorno ti capita di passare per Chincha Alta, portati una coperta nelle pampas, perché potresti essere il prossimo a trovarti con un tapadito; e in tal caso non pensarci due volte: prendilo subito perché il tesoro ti aspetta! (José Alberto Chávez del Río) Formazione I CORSI MA ANCHE GLI INCONTRI MONOGRAFICI Rispondendo ai quesiti di alcuni amici precisiamo che sulle materie oggetto di corsi istituzionali annunciati dal Circolodelmeglio, e cioè Scienza Politica, Diritto Pubblico e Costituzionale, Management e Gestione d’Impresa, il Circolodelmeglio realizza anche incontri monografici a domanda, relativi a singoli e specifici aspetti delle stesse materie. Infamiglia MARCELLO VITA DELL’ESPERIENZA SALESIANA Caro Giuseppe, gli amici di un tempo, compresi quelli più veri, hanno cominciato a lasciarci; a volte anche nella solitudine di un lettino di ospedale. Questa volta è capitato a Marcello Vita, il nostro indimenticabile compagno di studi e di ideali. Ti allego il riferimento telefonico della famiglia per il contatto. Noi speriamo di vederci il 31 gennaio, festa di don Bosco. Un abbraccio, Silvio. Ho ricevuto il messaggio domenica 15 gennaio da Silvio Vitone, comune amico di studi e di esperienza giovanile. Avevo perso di vista Marcello da molti anni, credo addirittura dal 1967 o 1968: ma non lo avevo mai dimenticato. Nei nomignoli che connotavano tutti noi in quella bella comunità di vita e di ideali, lui era, in prevalenza, “il sagrestano”, se ricordo bene: per il suo frequente dedicarsi ai servizi della liturgia comunitaria. Era un ragazzo di temperamento amichevole e mite, ma anche attivo e coraggioso. Un compagno gradito. La sua perdita, per quanto non sia la prima in assoluto fra quanti condividemmo quell’avventura educativa in una medesima fascia di età, ci porta a riflettere, come osserva Silvio, sul grande ciclo della vita che anche per la nostra generazione raggiunge la sua maturità. Potrei dire che non ne ho molta paura. Chissà cosa ne pensano gli altri vecchi amici di quegli anni… Appuntamenti I DELITTI IRRISOLTI Il penalista Paolo Palleschi affronta uno dei capitoli più inquietanti della scienza giuridica di sempre: quello dei delitti irrisolti. Scacco alla giustizia ed ai suoi frequenti eccessi di sicurezza, richiamo etico ed allarme politico e sociale per gli operatori della giustizia. Il tema è anche uno dei più delicati ed affascinanti nella specifica situazione del nostro paese, nella quale si intreccia con quello della lentezza defatigante dei tempi processuali. L’appuntamento è per venerdì 24 febbraio alle ore 18, presso l’Istituto San Giovanni Evangelista, in Roma, via Livorno 91. Riferimento: tel.06.44232969. Dibattito MA RISCHIA DI PREVALERE IL PESSIMISMO Caro Giuseppe, ti ringrazio molto per il tuo augurio di buon 2012 ma ti confido che sono pessimista sul nostro futuro. Sono infatti sempre più disgustato della politica, specialmente quella italiana. Da sempre sono stati capaci di tartassare il popolo (sovrano), di calpestare i diritti del popolo (sovrano), di sfruttare il popolo (sovrano) e di fare quasi solo i propri interessi. Questo negli anni ci ha portato alla situazione odierna. Parlano di alzare il Pil ma poi comprano auto straniere per i servizi di Stato, per la Polizia di Stato, per gli Enti Statali e le Aziende a Partecipazione Statale. Abbiamo auto blu dell’Audi, auto e moto della polizia della Bmw, auto dei vigili urbani Toyota, autobus dell'Atac Mercedes, ambulanze Mercedes, ecc. Vogliono che il popolo (sovrano) acquisti Titoli di Stato ma loro giocano in borsa con titoli stranieri... Sono sempre più stanco e sempre più convinto che difficile sia il rimedio. Nel momento in cui la politica ci ha fatto credere di aver fatto un passo indietro mentre in realtà ha solo "nascosto la mano" per continuare a depredarci senza assumersene la responsabilità, non ci resta che tenerci stretti gli affetti più cari, quelli che per fortuna nessuno ci può carpire. Ti auguro dal profondo del cuore di trascorrere un sereno 2012 insieme a tutti i tuoi cari. (Paolo) Con Paolo Ercolani continua un dialogo, anche al di fuori di Studisociali, teso a studiare insieme i modi più efficaci per “non arrendersi”. Del resto egli stesso è ben lontano, nonostante le parole sconfortate che questa volta ci scrive, dal mollare l’impegno. Qui desideriamo soltanto ricordargli che non siamo affatto soli nella lotta! °°°°° °°°°°°°°°° °°°°°° I CRITERI REDAZIONALI CHE INFORMANO STUDISOCIALI 1.I materiali pubblicati da questa Letteraperta sono liberamente fruibili da chi lo desidera. In caso di riproduzione si prega, appena, di citare fonte ed eventuale firma di quanto riprodotto. 2.La Letteraperta propone riflessioni liberamente messe a disposizione da quanti partecipano alla ricerca di Studisociali. Quanto firmato da ogni autore resta naturalmente responsabilità dello stesso. 3.Studisociali favorisce, quando richiesto, il contatto diretto fra i partecipanti alla Letteraperta ed alla Scuola del Circolodelmeglio. 4. Per contattare Studisociali, chiedere di ricevere regolarmente i suoi scritti, chiedere di essere rimossi dall’indirizzario, inviare commenti, contributi, proposte, è sufficiente scrivere a: [email protected]; oppure a [email protected]. °°°°°°° °°°°°