studisociali - Aksaicultura

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studisociali - Aksaicultura
STUDISOCIALI
Ilcircolodelmeglio
(“Per tutto l’uomo e per tutti gli uomini”)
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Numero 5-febbraio 2012
Pag 2. Copertina: “Nobigbanks”: il guaio è la finanza, non l’impresa
3. Fisco: Tassa sulle transazioni finanziarie ultraveloci
15. Fisco: Tre fratelli evasori. Ma anche il mio artigiano….
16. Imprese pubbliche: Un +0,6% che a noi pare importante
17. Imprese pubbliche: Difendiamo Terna
18. Previdenza: Ma soprattutto, regole uguali per tutti
20. Previdenza: Pensionati dubitabili
21. Politica: Sfigato sarà lei
24. Gramsci di sempre: Odio gli indifferenti
26. Società: Bambini usati per adescare
27. Testimoni: Il coraggio dei giusti. Franco Perlasca racconta
29. Spiritualità: Se la tentazione del potere ci minaccia
31. Artigianato: Il presepio di Santa Galla
32. Arte: Guggenheim all’Arca di Vercelli
34. La Terra: E il Kazakhistan, lo conoscete?
35. Racconti andini: Los tapaditos
36.Formazione: I corsi ma anche gli incontri monografici
36. Infamiglia: Marcello Vita dell’esperienza salesiana
36. Appuntamenti: I delitti irrisolti
37. Dibattito: Ma rischia di prevalere il pessimismo
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Copertina
“NOBIGBANKS”:
IL GUAIO E’ LA FINANZA
NON L’IMPRESA
“NobigBanks” significa alla lettera “No Grandi Banche”. E’ un movimento che nasce
dietro la lezione pesantissima della crisi economica, o meglio finanziaria, esplosa nel
2008 in tutto il mondo e tuttora gravemente in atto. E lancia un appello che ci sembra
giusto diffondere. Non entriamo nel merito della complessiva impostazione degli
autori, e, ad esempio, non approviamo il loro uso generalizzato di pseudonimi, che
può indebolire la credibilità e la forza della testimonianza. Ma guardiamo alla sostanza
di quanto viene proposto o segnalato: la crisi che ha investito l’economia planetaria
dal 2008 deriva dal sopravvento della finanza sull’impresa, dal sopravvento della
banca speculativa sulla banca ordinaria, e dalla teoria del massimo profitto come
legge dell’economia: tuttora drammaticamente insegnata nella generalità delle facoltà
di economia e commercio.
Tutte e tre le distorsioni sono riconducibili entro limiti di correttezza, ma occorre che i
cittadini siano consapevoli, tecnicamente oltre che politicamente, del problema, e ne
traggano anche conseguenze di comportamento personale. Molti già lo fanno,
comprese diverse imprese da noi conosciute, che al laccio mortale della finanza e della
banca speculativa si sono da tempo sottratte realizzando una integrale partecipazione
dei lavoratori nell’impresa. Come è per il caso, fortunatamente venuto alla ribalta,
della marchigiana Loccioni.
Ecco il testo del manifesto:
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Siamo un gruppo di amici appassionati di politica, ma soprattutto co-titolari di
questo mondo, e ci impegniamo per mettere mano ad alcune cose importanti.
Non troverete primedonne fra noi; operiamo sotto pseudonimo per evitare
del
tutto
il
problema
dei
padri
e
padrini.
Troppe persone sono deluse e indignate, ma non sanno cosa fare. Il Comitato
NoBigBanks nasce in risposta a una esigenza fondamentale del nostro tempo:
fermare l’impoverimento della popolazione e dell’economia ad opera di un
sistema
dominato
dagli
squali
della
finanza.
Non siamo controllati da alcun partito o ideologia di destra o di sinistra, ma ci
rifacciamo ai grandi personaggi che hanno cambiato la storia con azioni
coraggiose, quali Franklin Delano Roosevelt, Abramo Lincoln, Enrico Mattei.
Crediamo nello sviluppo economico come precondizione per il progresso sociale
e culturale di tutti, e respingiamo ogni visione oligarchica ed imperiale.
Che cosa chiediamo: innanzitutto la separazione tra le attività finanziarie
ordinarie e quelle speculative. Si tratta di ripristinare la divisione stabilita
dal Glass-Steagall Act voluto dal presidente americano Franklin Delano
Roosevelt nel 1933: le banche di investimento vanno divise dalle banche
commerciali, in modo da proteggere le attività dell’economia reale (depositi,
mutui, prestiti alle imprese) dalla bisca dei mercati parassitari, da lasciare al
loro destino, senza alcun salvataggio pubblico per chi continua a provocare le
crisi.
(Comitato No Big Banks)
Fisco
“TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE ULTRAVELOCI”:
COSA VUOLE ESSERE?
Non sono grande esperto di finanza: ma mi ha sempre lasciato perplesso il
gioco vorticoso di una finanza palesemente staccata dall’andamento reale
dell’economia. E’ come se in realtà denaro e finanza non fossero al servizio
dell’economia, cioè del miglioramento di produzione e circolazione di ricchezza,
come dovrebbe essere, ma, al contrario utilizzassero l’economia, cioè in fondo
il lavoro della gente, per produrre una immane quantità di ricchezza fittizia
che pochi intascano a velocità supersonica e altrettanto velocemente
nascondono affinchè non se ne veda con chiarezza il carattere speculativo, cioè
di sfruttamento e di alterazione delle condizioni reali del lavoro e
dell’economia.
No, non parlo affatto della finanza buona, quella trasparente, per la quale chi
accumula risparmio lo investe direttamente nel miglioramento della produzione
o della qualità della vita, oppure lo presta con ragionevole interesse a chi
desidera investirlo. Parlo proprio della finanza sporca, quella che neanche
sfiora il mondo produttivo, che si consuma nel gioco di borsa come in un
immane casinò fine al vizio di chi specula, che è fatta di promesse senza
beni e di scommesse senza lavoro.
E sono dell’idea, sì, che sia doveroso distinguere le due finanze, tenere soltanto
quella pulita ed eliminare l’altra. I modi? Certo bisogna ragionarci con umiltà,
perché non può trattarsi di imporre ad altri i nostri principi politici o morali ma
soltanto di impedire l’immoralità e i suoi guasti, economici e sociali. E mi
sembra che questa proposta di tassare le transazioni finanziarie
ultraveloci, che non riesce ancora a sfondare la resistenza degli interessi
speculativi collegati a livello mondiale, sia una idea solida e positiva, da
promuovere per migliorare nettamente la situazione. Che non è solo italiana
ma planetaria.
Se ne sta parlando molto in Europa, ma anche in altre parti del mondo. Ve la
trasmetto per riflessione da condividere, così come l’ho ricevuta, con lo stesso
intento, da Fausto Felli, il quale da anni opera per una economia dell’equità e
per uno stato sociale solidale. Vi ho appena apportato quelle pochissime
semplificazioni di linguaggio necessarie per sciogliere gli snodi più ostici della
terminologia tecnica usata in alcuni punti.
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La crisi finanziaria che stiamo ancora vivendo è solo l'ultima di una lunga serie.
Tra le più recenti ricordiamo quella che ha colpito il Sudest asiatico nel 1997, e
quelle nazionali che hanno colpito il Messico, la Russia, il Brasile, l’Argentina.
Mentre due miliardi di esseri umani sono esclusi dall'accesso al credito, una
finanza ipertrofica e sempre più scollegata dall'economia reale sposta
montagne di soldi virtuali 24 ore su 24 all'ossessiva ricerca del massimo
profitto nel più breve tempo possibile.
Tra il 1980 e il 2005 il volume complessivo delle transazioni finanziarie è
passato dal 109% al 316% del valore della produzione mondiale. Questo
significa che circolano più soldi in quattro giorni sui mercati finanziari
che in un anno nell'economia reale.
I cittadini hanno pagato un caro prezzo per la crisi: il nostro denaro non è
stato usato per promuovere un’economia migliore; è stato messo a rischio; è
stato investito in un “casinò finanziario”; la crisi ha avuto conseguenze
pesantissime sulla vita delle persone in tutto il mondo e per salvare il sistema
finanziario che l'ha causata sono stati effettuati enormi salvataggi con questi
nostri soldi; oggi dobbiamo sopportare tagli alle spese sociali e piani di
austerità perché i conti pubblici sono disastrati. Insomma, agli speculatori
finanziari vanno gli utili, ai cittadini ed agli Stati vanno i danni.
Tutto questo mentre a distanza di oltre tre anni dallo scoppio della crisi stiamo
ancora aspettando delle normative per regolamentare la finanza. Eppure ad
ogni crisi finanziaria si ripete “mai più un simile collasso”, “servono più regole”.
Al di là delle dichiarazioni, è ora di promuovere delle misure concrete per
fermare la speculazione.
COS'È LA TASSA SULLE TRANSAZIONI FINANZIARIE
La proposta di tassa sulle transazioni finanziarie – TTF – è sostanzialmente
quella di istituire un'imposta piccolissima su ogni compravendita di strumenti
finanziari: lo 0,05%. Questo non scoraggerebbe i normali investimenti sui
mercati, mentre è ben diversa la situazione per chi specula comprando e
vendendo titoli nell'arco di pochi secondi o addirittura di millesimi di
secondo e che dovrebbe pagare, secondo la proposta di ttf, la tassa per ogni
transazione. Realizzando 100 operazioni di compravendita sullo stesso titolo
dovrebbe pagare la TTF 100 volte, il che renderebbe l'operazione speculativa
economicamente onerosa. Gli acquisti realizzati con orizzonti di lungo periodo
non subirebbero invece effetti apprezzabili. Questo significa che piccoli
risparmiatori, fondi pensione e altri investitori istituzionali trarrebbero beneficio
dall'imposta, il cui peso ricadrebbe su attori altamente speculativi.
In altre parole la tassa rappresenta uno strumento di straordinaria efficacia nel
contrastare il “casinò finanziario” e nel riportare la finanza al suo ruolo
originario: non un fine per produrre denaro dal denaro nel più breve tempo
possibile, ma un mezzo al servizio dell'economia e della società. La ttf si limita
dunque ai mercati finanziari. Altri trasferimenti, come i pagamenti per beni e
servizi, le prestazioni lavorative, le rimesse dei migranti, i prestiti interbancari
e ogni operazione delle banche centrali, non verrebbero tassati in alcun modo.
La dimensione della finanza è tale per cui anche un'imposta dello 0,05%
permetterebbe di generare ogni anno un gettito di 200 miliardi di euro nella
sola Europa e di 650 miliardi di dollari su scala mondiale, da destinare allo
stato sociale, alla cooperazione allo sviluppo, alla lotta contro i
cambiamenti climatici, ad altri obiettivi di civiltà per tutti.
ULTERIORI VANTAGGI
Il freno alla speculazione e la generazione di un gettito sono unicamente i due
effetti più immediati di una TTF, ma le ricadute positive sono molte di più:
1. Oggi le attività finanziarie sono tassate in maniera inadeguata o non lo sono
per nulla, in particolare rispetto alla tassazione sul lavoro. La TTF va quindi
nella direzione di una maggiore giustizia fiscale.
2. A pagare la tassa sarebbero i grandi attori della finanza, e in particolare
quelli a vocazione speculativa. La TTF è dunque uno strumento di
redistribuzione delle ricchezze su scala globale e obbliga la finanza a
pagare almeno una parte del costo della crisi che ha generato.
3. Si ridà alla sfera politica una forma di controllo su quella finanziaria
adottando una misura che permette di tutelare la stabilità finanziaria intesa
come bene pubblico globale.
4. Viene diminuito il volume complessivo delle attività finanziarie, liberando
risorse che si possono investire nell'economia reale e riequilibrando le enormi
disparità tra economia reale e attività finanziarie.
5. L'imposta permetterebbe di migliorare la trasparenza e la tracciabilità dei
flussi finanziari.
6. La maggioranza delle grandi imprese è oggi controllata da attori finanziari e
investitori istituzionali che hanno come obiettivo profitti a breve e la
massimizzazione del valore delle azioni, non uno sviluppo sostenibile
dell'impresa. Questo crea instabilità per il mondo produttivo. La TTF
permetterebbe di porre un forte freno a tale fenomeno, provvedendo a una
“definanziarizzazione dell'economia”;
7. La Ttf avrebbe ulteriori ricadute positive per il settore produttivo.
L'eventuale minimo costo supplementare della tassa sarebbe ampiamente
compensato dalla maggiore stabilità dei cambi, dell'importexport e dei prezzi
delle materie prime.
LE PROPOSTE E IL PERCORSO DEGLI ULTIMI ANNI
La campagna 005 è sostenuta da una trentina di associazioni noprofit,
molte delle quali impegnate da anni a favore di una maggiore giustizia fiscale
globale. Nel 2001 la Focsiv, con molte altre organizzazioni, ha lanciato la
campagna “Tobin Hood, una tassa per lo sviluppo”. L'anno successivo,
un’ampia coalizione coordinata dall'associazione Attac ha portato a consegnare
al parlamento italiano un disegno di legge di iniziativa popolare con il sostegno
di quasi 180.000 firme per chiedere l'introduzione della Tobin Tax, un'imposta
sulle transazioni valutarie. La proposta prende il nome dal premio Nobel per
l'economia James Tobin, che per primo la avanzò negli anni '70. Nel corso di 9
audizioni, dal 2003 al 2005, ben 26 luminari vennero ascoltati; tra questi
figuravano 10 esperti internazionali, a cominciare dal capo di gabinetto
economico del presidente francese Chirac. Ma le Commissioni Parlamentari
Finanze ed Affari Esteri – pur esprimendo orientamento favorevole – lasciarono
decadere i tempi del dibattito parlamentare chiudendo così l’iter legislativo
della proposta, che non è mai stata discussa in parlamento.
Una dimostrazione del fatto che i principali ostacoli verso l'approvazione di una
simile soluzione non sono di natura tecnica ma politica, e in particolare
nell'enorme potere della lobby finanziaria, che si oppone, nonostante la
crisi degli ultimi anni, a qualunque forma di regolamentazione e ancora più di
tassazione.
LA SITUAZIONE ATTUALE: UN CONTESTO POLITICO FAVOREVOLE
Se proposte di tassazione delle transazioni finanziarie in passato erano viste
come difficilmente realizzabili, oggi, anche a causa della crisi finanziaria
esplosa nel 2008, diversi governi europei, Francia, Spagna, Germania ed altri
ancora, così come il parlamento europeo, la sostengono apertamente. Se
l'Italia si aggiungesse a questi Paesi, si potrebbe raggiungere la massa critica
necessaria per l’adozione della ttf nell'area euro.
Gli effetti di una ttf sarebbero estremamente positivi nel nostro Paese, dove la
struttura produttiva è fondata sulle piccole e medie imprese. Chi esporta
vedrebbe ridotto il rischio di speculazioni sulle valute; la quotazione del
petrolio e delle materie prime sarebbe più stabile; diminuirebbero le possibilità
di attacchi sui titoli di Stato, a tutela dei piccoli risparmiatori. Il recente
esempio di Grecia e Irlanda ha chiarito le possibili conseguenze tanto
economiche quanto sociali di tali attacchi. L'Italia, anche in ragione delle
dimensioni del debito pubblico, non può certo ritenersi al riparo.
LA CAMPAGNA ZEROZEROCINQUE
In Italia sul tema ttf sono state presentate ed approvate in Commissione Affari
Esteri tre risoluzioni favorevoli che sono poi convenute in due proposte di
Legge, una alla Camera e l’altra al Senato. “Nel corso dell’ultimo decennio
abbiamo assistito a notevoli cambiamenti nello scenario dell’economia
mondiale e la crisi dei mercati finanziari di tutti i Paesi ne è la drammatica
testimonianza “ recita l’incipit della Relazione della Proposta di Legge
Parlamentare (Camera dei Deputati) N. 3740 del 30 Settembre 2010, per
“l’istituzione di un’imposta sulle transazioni finanziarie in favore di interventi di
solidarietà nazionale ed internazionale”. Una proposta sottoscritta da
rappresentanti di tutti i Gruppi Parlamentari, eccezion fatta per la Lega
Nord.
E' ora necessario un ulteriore salto di qualità per chiedere il pieno sostegno
delle istituzioni italiane all'adozione della TTF. La pressione delle organizzazioni
della società civile e dell'opinione pubblica è fondamentale. Occorre superare
l'enorme potere delle lobby finanziarie, che si oppongono a qualunque forma di
imposta o regolamentazione. I cittadini, le lavoratrici e i lavoratori, le imprese
produttive, hanno già pagato un conto fin troppo salato per una crisi provocata
dall'avidità degli speculatori finanziari e dall'assenza di regole e controlli. Un
conto che si traduce in perdita di posti di lavoro, in aumento del debito
pubblico, in aumento delle povertà tanto nel Sud del mondo quanto da noi, in
maggiore insicurezza, in minori tutele sociali. E' oggi possibile invertire la rotta
e iniziare a chiedere ai responsabili della crisi di pagare una parte sostanziale
del conto.
LA CAMPAGNA IN ITALIA È PROMOSSA E SOSTENUTA DA
Acli, ActionAid, Adiconsum, Adiconsum Basilicata, Arci, Attac, Azione Cattolica,
Banca Popolare Etica, Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, Cgil,
CINI Coordinamento Italiano Network Internazionali, Comitato Italiano per la
Sovranità Alimentare, Cisl, Cittadinanzattiva, Consorzio Città dell’Altra
Economia, Consorzio Sociale Goel, CVX Italia, Economia Alternativa,
Equociquà, Fair, Fiba Cisl, FOCSIV – Volontari nel Mondo, Fondazione Culturale
Responsabilità Etica, Gcap Coalizione Italiana Contro la Povertà, Legambiente,
Lega Missionaria Studenti, Libertà e Giustizia, Lunaria, Microdanisma, Mani
Tese, Mag Verona, Oxfam Italia, Reorient, Save the Children, Sbilanciamoci,
Social Watch Italia, Unponteper, Volontari Terzo Mondo – Magis, Wwf Italia.
UNA DOMANDA TECNICA: È NECESSARIO APPLICARLA IN TUTTO IL
MONDO?
Il ministro dell'Economia Tremonti, pur riconoscendo che la discussione è
"affascinante sul piano etico, politico e anche tecnico", dichiarò che la tassa
sulle transazioni finanziarie è un'ipotesi praticabile solo a livello globale,
altrimenti "è una specie di suicidio". Per questo, secondo il ministro,
occorrerebbe “andare al G20, perché se non la fanno tutti è un boomerang".
Questo sembra essere il principale impedimento ad un pieno e convinto
sostegno dell'Italia alla ttf. Diversi argomenti vanno però nella direzione
opposta, e dimostrano come sia possibile applicare la tassa sulle transazioni
finanziarie ttf anche in un numero limitato di Paesi.
1. Come applicare la tassa: approccio centralizzato o decentralizzato?
L'applicazione può avvenire in maniera centralizzata. Ogni transazione
effettuata in un Paese che adotta la ttf è soggetta al pagamento della tassa
(principio territoriale). Secondo questo approccio verrebbero tassate le
operazioni realizzate fisicamente in Italia, come ad esempio alla Borsa di
Milano. Questa modalità necessiterebbe effettivamente di un'applicazione della
ttf a livello internazionale per evitare triangolazioni con Paesi che non la
adottano, aprendo a una possibilità di elusione. E' però possibile un secondo
approccio che supera questo problema: un approccio decentralizzato. Ogni
residente di un Paese che applica la ttf è legalmente tenuto a pagarla
(principio personale o individuale), indipendentemente da dove la
transazione ha materialmente avuto luogo. Questo significa che un cittadino
italiano sarebbe soggetto al pagamento anche per operazioni estero su estero.
Il gettito riscuotibile in Italia corrisponderebbe inoltre esattamente alle
operazioni
realizzate
da
imprese
e
cittadini
del
nostro
Paese,
indipendentemente dal fatto che tali operazioni vengano eseguite alla Borsa di
Milano, alle Isole Cayman o dal computer di casa. In questa modalità, ogni
persona fisica o giuridica residente in Italia è quindi soggetta al pagamento
della tassa. Disegnando la proposta di ttf con questa seconda modalità, le
possibilità di elusione diventano enormemente minori.
2. Le possibilità di elusione. L'approccio decentralizzato lascia aperta una
minima eventualità di elusione. Se per i cittadini e le “normali” operazioni sui
mercati finanziari tale possibilità diventa molto remota, i soggetti più
speculativi, quali gli hedge fund, potrebbero essere spinti a operare dall'estero.
Questi attori già oggi sono solo in minima parte residenti sul nostro territorio.
Soprattutto, l'economia italiana non trae alcun beneficio da operazioni
di compravendita che si concludono in breve tempo, facendo entrare e
uscire capitali dal nostro Paese con l'unico obiettivo di estrarre profitti nel più
breve tempo possibile. Questi capitali non portano ricchezza o sviluppo
all'Italia, ma, al contrario, sono proprio le operazioni che hanno un maggiore
effetto di destabilizzazione sui mercati ed impatti negativi sull'economia
nazionale. A spostarsi verso i Paesi che non applicano la ttf sarebbero quindi le
operazioni puramente speculative. Questo significa un incentivo notevole ad
applicarla per quelle giurisdizioni che non vogliono ridursi a essere un puro
casinò finanziario.
3. Eludere conviene? C'è un altro motivo forte che spinge a pensare che
l'elusione sarebbe minima. Chi opera sui mercati finanziari non si limita a
considerare il costo della transazione nello scegliere dove operare. La solidità
del mercato stesso, la sua dimensione, la certezza delle regole e dei
pagamenti, l'organizzazione, sono fattori altrettanto importanti. Finché il
pagamento di una tassa dello 0,05% è inferiore al costo legato allo
spostamento, gli operatori rimarranno nel mercato di riferimento e pagheranno
la tassa. Nuovamente, quelli spinti ad andarsene potrebbero essere i soggetti
più speculativi e avvezzi al rischio. Soggetti a cui si può rinunciare più che
volentieri e che migrerebbero ancora di più verso le nazioni che non dovessero
applicare la ttf, aumentandone l'instabilità e incentivandoli ad aderire a loro
volta.
4. Ideare la TTF in maniera appropriata. L'esperienza dimostra che è
possibile disegnare la tassa in modo da minimizzare le possibilità di elusione ed
evasione. In Gran Bretagna esiste da anni la Stamp Duty, un'imposta dello
0,5%, ovvero dieci volte più di quanto proposto per la TTF, applicata su ogni
compravendita di azioni di imprese britanniche. E' stata concepita in modo che
un investitore non diventa legalmente proprietario di un'azione finché non
dimostra l'avvenuto pagamento dell'imposta. In questo modo l'elusione è
praticamente nulla. La tassa ha generato nel 2006 una cifra vicina ai 5 miliardi
di euro, e la City di Londra, vero e proprio cuore pulsante della finanza
mondiale, non sembra certo soffrire di una mancanza di liquidità.
A Wall Street, la borsa di New York, esiste un'imposta su tutte le imprese
quotate sui due mercati principali, il New York Stock Exchange e il NASDAQ.
L'imposta attuale è pari allo 0,003%, e il gettito viene utilizzato per finanziare
l'ente di controllo e supervisione dei mercati, la SEC (l’equivalente della nostra
CONSOB). E' stata dimezzata dall'Amministrazione Bush perché il gettito era
“eccessivo”. Differenti imposte su specifiche transazioni finanziarie sono già in
essere in molti altri Paesi. I detrattori citano come esempio negativo quello
della Svezia, che aveva introdotto un'imposta su alcune operazioni finanziarie
già negli anni '80, con effetti disastrosi (fuga dei capitali e delle transazioni
verso altri mercati). Il motivo principale del fallimento risiedeva nell'aver
progettato la tassa in maniera sbagliata. Il punto centrale non è quindi il
numero di Paesi che applica la tassa, ma il modo in cui questa viene ideata e
realizzata. Gli esempi concreti già esistenti indicano che sarebbe abbastanza
semplice pensare la ttf in modo da iniziare ad applicarla in un primo gruppo di
Paesi, per poi estenderla progressivamente su scala globale.
5. Se non ci si prova nemmeno... Il discorso tecnico prescinde da
considerazioni più generali. Il fatto che si possa ipotizzare una remota
eventualità di eludere un'imposta non può rappresentare un argomento contro
la sua applicazione. Tutte le forme di tassazione possono dare luogo a
elusione o evasione. Questo non può essere un motivo per non attuarle, a
meno di non volere abolire tutte le tasse e quindi l'idea stessa di Stato
moderno.
6. L'egoismo degli investitori. Un'altra obiezione alla “fuga dalla tassa” è
che essa dà per scontato che tutti gli individui abbiano preferenze volte
unicamente al proprio interesse. L’economia sperimentale ci dice però che
l’insieme di preferenze degli individui è molto più variegato (avversione alla
diseguaglianza, reciprocità, altruismo, e altre). Fuori dagli esperimenti di
laboratorio, le preferenze rivelate dai comportamenti osservati sul mercato
confermano che gli individui, quando risparmiano, non cercano solo e sempre il
massimo rendimento per il livello di rischio che vogliono sopportare, ma
soddisfano bisogni più complessi. Quindi ci sarà anche una quota di persone
che compenserà il fastidio di dover pagare con il beneficio di contribuire a
qualcosa a cui dà un valore. In altri termini esiste una disponibilità a pagare
per il tipo di obiettivo e di finalità che si propone la TTF.
7. Un segnale per la comunità internazionale Ammesso che l'ideale
sarebbe una TTF applicata su scala globale, se l'Italia si unisse a Francia,
Germania, Spagna, Belgio e agli altri Paesi dell'area euro che si sono già
schierati a favore della TTF, si potrebbe raggiungere una massa critica
sufficiente per una sua veloce adozione. Oltre ai vantaggi immediati per le
economie europee, si tratterebbe di un segnale di grande forza nella direzione
di una sua applicazione in altre nazioni, e progressivamente su scala mondiale.
ALLEGATO 2: LE ALTRE CRITICHE RICORRENTI
Come nel caso della Tobin Tax, alcune critiche emergono con regolarità nel
dibattito riguardante l’attuazione di imposte su strumenti finanziari. Numerosi
studi hanno permesso di fare chiarezza sulle principali questioni tecniche e di
rispondere alle critiche sollevate. Le principali riguardano:
1. Avrebbe effetti negativi per i mercati e la liquidità, e quindi per
l'economia. Gli esempi della City di Londra e di Wall Street a New York,
riportati in precedenza, permettono di smentire tale affermazione. Di fatto nei
due mercati più grandi, più liquidi e più sviluppati del mondo esiste già
un'imposta su alcune transazioni finanziarie.
E' vero che l'applicazione dell'imposta ridurrebbe la liquidità dei mercati, visto
che uno degli scopi dichiarati è proprio quello di diminuire il numero delle
transazioni. Meno liquidità può significare in concreto che gli investitori
dovrebbero aspettare mediamente più tempo per vendere i propri titoli. Sono
però opportune due considerazioni: in primo luogo la TTF colpirebbe in misura
molto maggiore le transazioni di brevissimo termine mentre l'impatto sulle
operazioni su titoli già oggi meno liquidi sarebbe molto minore. Il calo di
liquidità riguarderebbe quindi i titoli maggiormente usati per operazioni
speculative. In secondo luogo la diminuzione della liquidità, legata al piccolo
aumento dei costi dovuto alla tassa, riporterebbe i costi delle singole
transazioni al livello a cui erano 10 o 15 anni fa, quando i mercati erano già
sufficientemente liquidi. Tali eventuali costi sarebbero più che compensati, per
l'insieme dell'economia, i risparmiatori e il sistema produttivo, dalla
diminuzione dei rischi e dell'instabilità sui mercati.
2. La TTF diminuisce l'efficienza dei mercati. L'applicazione di imposte può
avere effetti distorsivi, e i sostenitori del libero mercato affermano che la TTF
diminuirebbe l'efficienza dei mercati finanziari, il cui primo scopo deve essere
quello di garantire l'allocazione ottimale delle risorse economiche tra chi ha
bisogno di capitali (le imprese) e chi ha dei risparmi da investire (famiglie,
privati). In effetti la TTF comporterebbe una riduzione della dimensione dei
mercati finanziari. Tale imposta, però, frenerebbe le scommesse a
carattere speculativo, non gli scambi legati all'economia reale. In questo
senso la TTF permetterebbe a mercati finanziari di dimensione ridotta di
assolvere altrettanto bene la loro funzione, visto che azioni e obbligazioni
emessi dalle imprese e i risparmi dei cittadini sarebbero meno in balia delle
tempeste speculative. In pratica la TTF permetterebbe di liberare enormi
risorse, che oggi non hanno alcuna utilità per il corretto funzionamento dei
mercati finanziari e che potrebbero essere reinvestite nell'economia reale.
3. Le attività speculative hanno anche effetti positivi. Alcuni analisti
sostengono che le attività di breve termine e speculative contribuiscono alla
formazione dei giusti prezzi per gli strumenti finanziari: gli speculatori si
dirigono verso gli strumenti sottovalutati e vendono quelli con un prezzo troppo
alto, contribuendo così al raggiungimento dell'equilibrio sui mercati. Questo
può essere vero finché le attività speculative sono marginali rispetto alla
dimensione complessiva dei mercati. Quando la speculazione rappresenta il
grosso delle transazioni, le ‘bolle’ e l'instabilità sono la norma.
Secondo gli ultimi dati, il volume delle transazioni valutarie è circa 70 volte
superiore a quello del commercio di beni e servizi. Anche dopo la crisi, il valore
degli strumenti derivati ha continuato a salire, toccando nel 2009 i 203mila
miliardi di dollari, quasi trenta volte il totale delle attività delle banche. E'
davvero difficile sostenere in buona fede che sia necessario un 99% di
speculazione per trovare il giusto prezzo dell'1% di attività nell'economia reale.
La realtà è che l'enorme massa di denaro a breve termine alla ricerca della
massimizzazione del profitto ha un gigantesco effetto destabilizzante sul
valore degli strumenti finanziari e sull'economia reale. Esattamente
l'opposto di quanto sostenuto dai detrattori della ttf.
4. L'imposta può essere elusa o evasa tramite particolari operazioni
finanziarie. Un problema può sorgere per le transazioni che non vengono
realizzate sui mercati regolamentati, ma al di fuori di essi e direttamente tra
due soggetti privati. E' il caso dei derivati negoziati over the counter (OTC).
Tanto l'UE quanto il G20 hanno dichiarato che tali operazioni dovranno essere
regolamentate, e entro il 2012 gli OTC dovranno essere negoziati su
piattaforme elettroniche. Questo significa che anche queste operazioni
verrebbero intercettate, al pari di tutte le altre, per formare la base
imponibile della ttf.
5. regolamentazione o gettito. Un tasso basso per la Ttf non frenerebbe i
fenomeni speculativi. Al contrario, un alto tasso scoraggerebbe qualsiasi
operazione, e la tassa non riscuoterebbe gettito. I due effetti più interessanti
della Ttf, quello di freno alla speculazione e l'utilizzo come mezzo per reperire
nuove risorse, sarebbero quindi incompatibili.
Anche questo argomento si rivela privo di validità, come confermato da tutti gli
studi condotti sul tema, e soprattutto come prova l'esperienza fatta nei Paesi
dove imposte simili esistono già. A seconda del tasso applicato, si potrà
decidere se l'effetto prevalente debba essere quello di riscuotere un gettito o
quello di frenare gli eccessi speculativi. Con un tasso dello 0,05% i due effetti
possono coesistere senza problemi.
6. La ttf non risolverebbe i problemi alla base dell'attuale crisi
finanziaria. E' sicuramente vero che una TTF non rappresenta la panacea di
tutti i problemi del mondo finanziario, né i suoi proponenti lo hanno mai
sostenuto. E' però altrettanto vero che questa misura potrebbe dare un
importante contributo. Come afferma il premio Nobel per l'economia Paul
Krugmani, “gli investimenti sbagliati non sono tutta la storia della crisi. Quello
che ha trasformato cattivi investimenti in una catastrofe è stata l'eccessiva
dipendenza del sistema finanziario dai soldi a breve termine”.
7. La fattibilità tecnica. La TTF potrebbe essere applicata in maniera
relativamente semplice, e a costi estremamente bassi. Le transazioni
finanziarie sulle borse di tutto il mondo vengono registrate su piattaforme
elettroniche Sarebbe sufficiente un apposito software per prelevare l'imposta
e versarla in automatico all'ente preposto a raccogliere il gettito. Evitare le
piattaforme elettroniche al fine di eludere l'imposta si rivelerebbe molto più
costoso e rischioso. Il costo amministrativo dell'imposta sarebbe con ogni
probabilità estremamente ridotto.
Anche in questo caso l'esempio della Stamp Duty in Gran Bretagna può
essere di aiuto: le autorità stimano che il costo sia meno dello 0,05% del
gettito raccolto. Per fare un confronto, il costo amministrativo dell'applicazione
dell'imposta sugli utili delle imprese è pari allo 0,7% del gettito, ovvero in
proporzione 14 volte superiore.
ALLEGATO 3: UTILIZZO E GESTIONE DEL GETTITO
Uno dei principali vantaggi della tassa sulle transazioni finanziarie risiede
nell'enorme gettito che garantirebbe. Con un'imposta dello 0,05% parliamo di
200 miliardi di euro l'anno nel caso di una sua applicazione in Europa e di 650
miliardi di dollari l’anno se applicata su scala globale.
Rimangono aperte due questioni. Prima: come impiegare questi soldi e per
quali attività? Seconda: chi gestirebbe il gettito e chi dovrebbe occuparsi della
raccolta e della supervisione? Riguardo il primo punto, le reti della società civile
internazionale che spingono per l'introduzione della tassa chiedono che la metà
del gettito venga impiegata su scala nazionale nei Paesi che l'hanno adottata,
l'altra metà per scopi internazionali, finanziando interventi di lotta alla
povertà e ai cambiamenti climatici. Il 50% del gettito sarebbe quindi
gestito da ogni singolo Stato e destinato alle sue spese sociali, al welfare, a
rimettere in sesto i conti pubblici disastrati dalla crisi, spostando il conto della
crisi stessa dai cittadini che ne hanno già pagato le conseguenze ai grandi
attori della finanza che ne rivestono le maggiori responsabilità. La tassa
permetterebbe quindi di prelevare delle risorse dai grandi attori della finanza
per “restituirle” ai cittadini.
Dall'altra parte, quello sulle transazioni finanziarie è un tipico esempio di tassa
globale, la cui applicazione può contribuire a tutelare un bene comune – la
stabilità finanziaria internazionale – e il cui gettito può finanziare altri beni
comuni. Il peso della crisi ricade anche, e forse soprattutto, sui Paesi più
poveri, che non hanno nessuna responsabilità per la crisi e che, non avendo dei
mercati finanziari sviluppati, non trarrebbero beneficio da un utilizzo del gettito
per politiche nazionali. In questo quadro, la metà delle entrate dovrebbe
essere utilizzata per obiettivi internazionali, ovvero per la lotta ai cambiamenti
climatici, per la cooperazione e l'aiuto allo sviluppo e per il raggiungimento
degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Considerando il gettito, la TTF potrebbe
dare un contributo di grande rilevanza in tutti questi ambiti.
La seconda domanda riguarda la gestione della tassa. Si possono ipotizzare
due casi opposti e una serie di situazioni intermedie. A un estremo, i singoli
paesi riscuotono il gettito e ne decidono l'impiego. L'intero processo viene
quindi gestito a livello nazionale. In questo caso i paesi con i mercati finanziari
più sviluppati (Usa, Gran Bretagna, Germania) raccoglierebbero il grosso delle
entrate. All'estremo opposto, il processo viene interamente gestito a livello
internazionale dove un'istituzione ad hoc, sotto l'egida dell'ONU, si occupa di
tutti gli aspetti.
Questa seconda ipotesi presenta diversi vantaggi: rispecchia l'idea di una
“tassa globale” e permette di rafforzare la cooperazione internazionale. Uno dei
motivi principali della crisi nasce dall'esistenza di un solo mercato finanziario
globale senza frontiere, mentre le leggi e le normative sono ancorate agli StatiNazione. Una gestione sovranazionale della TTF permetterebbe di introdurre
delle regole globali in risposta a dei problemi globali. Dall'altra parte,
però, al momento un tale meccanismo è difficile da ipotizzare e rischierebbe di
allungare notevolmente i tempi di attuazione della tassa, mentre uno dei suoi
vantaggi principali risiede nella semplicità tecnica della proposta. Bisognerebbe
che le autorità nazionali siano disposte a rinunciare alla propria sovranità in
materia fiscale. Per rendersi conto di tale difficoltà basta citare l'esempio
dell'Unione Europea, che ha adottato un mercato unico, una moneta unica, la
libera circolazione delle persone, ma dove i singoli Paesi mantengono un
controllo ferreo riguardo alle politiche fiscali e alla gestione delle entrate.
Per questo, una delle ipotesi proposte è quella di partire con un'imposta che
faccia capo ai singoli governi, i quali si impegnano a vincolare il 50% delle
entrate a obiettivi internazionali. Progressivamente, con l'entrata a regime
della tassa sulle transazioni finanziarie, ci si può poi spostare verso una
gestione sempre più internazionale, raggiungendo gli altri vantaggi
segnalati.
Fisco
TRE FRATELLI EVASORI:
MA ANCHE IL MIO ARTIGIANO…
Apprezzabilissimo: il ristorante-pizzeria, nel cuore della nostra Garbatella, a
partire dal primo gennaio 2012 ha allargato la sua offerta culinaria e ora,
oltre alla cucina italiana, che già presentava i suoi piatti di pesce fresco e le
sue pizze saporite, enumera fritti towok, cous cous, palla valenciana e altro:
una vera attrattiva. Piccola azienda che cresce. In concreto. Mi fa piacere.
Anche per l’economia del mio paese. Per giunta, non si paga il coperto: cosa
molto giusta in quanto il coperto mica il cliente se lo mangia; perché
dovrebbero farmelo pagare, se vado lì per mangiare? Il servizio va incluso nel
prezzo del piatto che ordino. E’ anche più semplice. Se poi considero che i Tre
Fratelli sono immersi, appunto, nel cuore di Garbatella, uno dei più bei
quartieri di Roma, mi sento ancora meglio; “Toh – osserva ammirata mia figlia:
- non ci avevo fatto caso: questo è il bar dei Cesaroni… quasi quasi ogni tanto
ci si può venire anche a fare una passeggiata…
Un solo neo abbiamo trovato in questa Pizzeria-Ristorante: non ci hanno
rilasciato la ricevuta fiscale. Fretta? Dimenticanza? E’ vero che il locale era
affollato… è vero anche che in fondo abbiamo preso soltanto quattro pizze “a
portar via”…: ma il piglio della consegna senza ricevuta era proprio molto
sereno e “normale”. E questo mi ha colpito.
Mi sono un po’ risentito e mi sono detto: Coi tempi che corrono…Beh, se torno
qui gli chiedo la ricevuta, oppure mi perdono come cliente.
Ma, due giorni dopo, il mio pensiero si è fermato d’improvviso sull’artigiano che
è venuto a ripararmi una taparella in casa: meno di mezz’ora di lavoro, trenta
euro (ne voleva quaranta, di primo acchito); sono stato a guardare e gli ho
detto educatamente: Quaranta… mezz’ora di lavoro… proprio quaranta? Non
vedo neanche ricevuta... E’ stato comprensivo: Vabbè, famo trenta, ma nun
me chieda ricevuta, sennò dovrei di’ cinquanta: governo ladro…
In fondo, perché affannarsi a cercare risposte complicate a problemi
semplicissimi? La questione dell’economia italiana è appunto semplicissima e
poco più che duplice:
-
Qualche milione di italiani non paga le tasse, anche fra i piccoli che
sputano veleno contro ogni governo e contro gli evasori;
Standard and Poors, e simili mostruosità, hanno la criminale fortuna
di essere ascoltate da un codazzo di speculatori interessati e da una
opinione pubblica di babbei, nonostante la loro dimostrata inaffidabilità e
manipolatività di analisi.
Siamo davvero strani, anche noi…
Imprese pubbliche
CONSUMI ELETTRICI NEL 2011:
UN +0,6%
(CHE A NOI PARE IMPORTANTE)
(Grande linea di trasmissione elettrica)
Per i consumi elettrici italiani il 2011 si chiude con un leggero incremento,
segnale, da un lato, della condizione ancora rallentata della nostra economia,
ma dall’altro della dinamica reattiva non assente. "Per il secondo anno
consecutivo dopo il calo del 2009 – quando i consumi scesero del 5,7% - nel
2011 la domanda di elettricità registra un segno più", sottolinea una nota di
Terna, la società pubblica che gestisce la rete di trasmissione nazionale
dell’energia elettrica, l’ultimo baluardo di presenza strategica pubblica salvata
dall’insana privatizzazione del colosso Enel.
E’ una notizia buona: sosteniamo anche il lavoro di Terna, guardiamolo da
vicino, manteniamolo pubblico e sociale.
Imprese pubbliche
DIFENDIAMO TERNA
Ma chi è, Terna? Costola del vecchio Enel Nazionale, del quale ha rilevato la
gestione delle grandi reti di trasporto dell’energia elettrica, Terna negli ultimi
tempi si è vista applicare dal governo la Robin Tax, che le costa circa 210
milioni di euro all’anno, e che ha portato di fatto la sua tassazione fino al
61%. Spropositata.
Alla Robin Tax va associato un forte ritardo da parte dell’Autorità nei
pagamenti della remunerazione del servizio di trasmissione e dispacciamento
dell’energia elettrica e degli altri connessi, che si aggira intorno ai 20 mesi.
Ritardo che è a sua volta parte del più generale vizio e malvezzo della pubblica
amministrazione di pagare senza affidabilità i fornitori, costringendoli spesso a
ridurre l’occupazione o gli investimenti, o a diventare a loro volta inaffidabili.
Un recente documento di consultazione dell’Autorità per l’Energia in materia di
tariffe elettriche propone un nuovo regime che vuol riconoscere a Terna un
aumento dal 6,8% al 7,2%, troppo basso peraltro per recuperare i due
svantaggi sopracitati.
Se rimarrà confermata questa proposta da parte dell’Autorità, la società
pubblica si vedrà costretta a ridimensionare gli investimenti sulla rete di
trasmissione italiana (sono stati 5 miliardi di euro negli ultimi 5 anni). Il che
causerà una ripercussione anche sull’indotto delle circa 400 ditte esterne
(soprattutto nei settori edile e metalmeccanico) impegnate per oltre 170
cantieri e oltre 10.000 addetti.
E’ stata soprattutto la Flaei-Cisl a evidenziare questa situazione attraverso
incontri e comunicati, nell’intento di premere sull’Autorità per provvedimenti
più equitativi, ma anche di ipotizzare in via alternativa un abbattimento della
Robin Tax, da finalizzare agli investimenti annuali e all’occupazione diretta e
indotta, per sostenere la crescita della rete elettrica per lo sviluppo
dell’economia italiana.
Previdenza:
MA SOPRATTUTTO
REGOLE UGUALI PER TUTTI
Silvano Miniati è stato a lungo uomo del lavoro, sindacalista della Uil e poi
componente del Cnel. Su diverse cose non abbiamo avuto posizioni uguali, ma la sua
riflessione e la sua proposta in materia previdenziale, qui di seguito pubblicate, ci
paiono assolutamente condivisibili.
°°°°°
La delicatezza della situazione politica ed economica impone a tutti noi l’obbligo di
analizzare ogni provvedimento del governo Monti con il massimo di saggezza e
realismo, soprattutto quando la parte migliore di un provvedimento rischia di essere
oscurata dalle parti che non sono invece condivisibili.
Per quanto riguarda le pensioni, abbiamo già detto in altre sedi quanto sia
inaccettabile qualsiasi provvedimento che intervenga per bloccare o rallentare un
meccanismo di indicizzazione pur imperfetto e dannoso per i pensionati.
Si tratta di un meccanismo che, sommando i suoi effetti a quelli delle addizionali e
della mancata restituzione del fiscal drag, ha provocato in meno di dieci anni la
riduzione del valore reale di una pensione media di circa il 30%.
Altrettanto negativa appare la decisione di intervenire sull’età pensionabile senza
affrontare contestualmente il problema dei lavori usuranti e dei disoccupati over 45
che non riescono a ritrovare il lavoro.
Esiste, tuttavia, tra le proposte avanzate dalla ministro Fornero, una idea di
grande rilievo che, se attuata seriamente, potrà finalmente portare alla realizzazione
di un sistema previdenziale con regole davvero uguali per tutti.
Decidere il passaggio al sistema contributivo per tutti, se lo si facesse realmente,
rappresenterebbe una svolta epocale, sostanzialmente identica a quella dell’adozione
del Conto previdenziale personale.
Cerchiamo di riepilogare in modo sintetico il perché sarebbe lecito parlare di svolta
epocale. Passare tutti al contributivo significa che, per ogni cittadino, giovane
precario, parlamentare, grande manager o generale che sia, valgono le stesse
regole. A ben vedere, la legge Dini conteneva questa scelta, che fu poi volutamente
disattesa a fronte delle prime reazioni negative. Oggi si ripresenta l’occasione e sia il
governo che le forze politiche e il sindacato non possono perdere di nuovo una
occasione storica.
A nessuno peraltro sfugge il fatto che stabilire regole uguali per tutti da domani,
azzera una giungla di privilegi ma non interviene su quelli già goduti o in essere:
intervenire su questi ultimi non sarà un percorso agevole.
Le prime avvisaglie in materia non sono incoraggianti. Fini e Schifani, dopo aver
discusso con la ministro Fornero, avanzano una proposta per le pensioni dei deputati,
che appare chiaramente inaccettabile. Che senso ha riproporre per i deputati e
senatori età diverse da quelle previste dalla legge? Se 65/67 anni rappresentano
il limite fissato dalla legge, questo deve valere per tutti. Sarebbe oltretutto
incomprensibile una norma che fissasse la pensione a 65 anni per chi ha fatto una sola
legislatura e a 60 per chi ne ha fatte più di una. Il principio della assoluta parità nelle
regole e nei trattamenti andrebbe invece valorizzato al massimo, non perdendo
l’occasione per dare una verniciata di equità ad un sistema che, per il futuro, non
avrebbe più bisogno di interventi traumatici.
In questa prospettiva, anche la scelta delle pensioni integrative previste nei
contratti potrebbe finalmente riprendere vigore, a condizione che lo Stato compia
scelte chiare e incisive per sostenerle.
(Silvano Miniati)
Previdenza
PENSIONATI DUBITABILI
Nello scorso numero abbiamo pubblicato, nell’ambito di una più vasta
riflessione in materia di giustizia distributiva, il trattamento pensionistico
rilevato dalle cronache di stampa per Giuliano Amato: circa 30.000 euro
mensili; trattamento venuto alla ribalta della cronaca per un dibattito televisivo
sul sistema previdenziale e sui veri e presunti privilegi della “casta”. L’elenco
delle ”pensioni dubitabili” dal punto di vista della giustizia distributiva è lungo e
ne fanno ampiamente parte anche nomi meno benemeriti del paese. Né ci pare
cosa ingiusta renderli noti, trattandosi di distribuzione della ricchezza
collettiva.
Non è in discussione l’aver ottenuto “regolarmente o meno, dal punto di
vista della legge” simili pensioni: Amato ha detto di sentirsela del tutto
meritata, la sua pensione, e noi sappiamo che è così, in quanto la legge
appunto gli ha consentito in trasparenza di costruirsi un simile trattamento.
Ma ci chiediamo, come ci chiedevamo nel numero scorso, se nel consorzio
civile, che ancora tanti casi di povertà fino all’indigenza non riesce a risolvere,
sia lecito alla stessa legge consentire simili accumuli e disparità di
ricchezza, non solo del resto in materia di pensioni ma anche in materia di
stipendi e di rendite da capitale.
Cosa potrà mai aver prodotto per la collettività, sempre secondo le cronache di
stampa, Mauro Santinelli, che ha operato nella telefonia, per percepire
dall’Inps una pensione lorda mensile di 90.246,55 euro, pari a 3.258,90 al
giorno?!
E Mauro Gambaro, che ha operato nella finanza, per percepire dall’Inps euro
51.160,28 al mese, pari a 1.847,45 euro al giorno?!
Per quale professionalità strabiliante e per quale contributo alla ricchezza
collettiva è concepibile percepire trattamenti simili? Si può davvero “meritarli
onestamente”, come si esprimeva Amato?
Sarebbe interessante, o meglio sarebbe curioso, anche sapere cosa mai si può
fare di cifre simili; comprare case? Comprare alberghi? Comprare fabbriche?
Per ipersistemare i figli? Per iperviaggiare? Per oziare contemplando l’umanità
affaticata dall’alto di una lussuosissima villa? E poi? Ma questa è proprio solo
curiosità: il problema sociale reale resta quello di conciliare trattamenti di
simile ammontare con la mancanza di risorse collettive per dare un lavoro al
nostro vicino di casa rimasto disoccupato e con famiglia da allevare.
I tre signori citati non sono parlamentari: a conferma della ulteriore
osservazione, pur essa doverosa, che la “casta” non è fatta solo di politici.
Politica
SFIGATO SARA’ LEI
Giuseppe,
te lo ricordi Martone, che prendeva parte alle nostre riunioni fiume con i giovani
imprenditori sulle nuove forme di rappresentanza al Cnel? Quelle in cui il coordinatore
era Luca Diotallevi?...
Adesso a quanto sembra tocca al figlio una carriera super, cominciata con l’essere
rimbalzato agli onori della cronaca dopo il suo primo intervento pubblico da quando è
viceministro: l’intervento sugli studenti universitari “sfigati”….
(Stefano)
(Michel Martone, sottosegretario)
Sì, Stefano: ricordo quelle nostre riunioni al Cnel. Nutrivamo molte speranze, molto
entusiasmo, e qualche dubbio, fin da allora. Riflettendo sul malinconico incidente degli
“sfigati” pensavo proprio a quelle nostre riunioni chiedendomi se quel nostro Martone
fosse il padre del fustigatore degli studenti “sfigati”…
Nel frattempo mi è capitata fra le mani anche una risentita nota, mi pare di ambienti
universitari bolognesi (ma potrei sbagliarmi) che dice:
“Nell'autobiografia presente sul suo sito, Michel Martone si definisce di madrelingua
francese; sfoga le sue inquietudini scrivendo su alcuni giornali, e ha il suo habitat
naturale nell’università italiana. Un enfant prodige che ha bruciato le tappe diventando
professore ordinario a 29 anni e viceministro a soli 38. Quando recentemente, a
Roma, durante un incontro pubblico sull’apprendistato, ha definito gli studenti che non
si laureano entro i 28 anni degli sfigati, ha fatto sobbalzare sulla sedia non pochi
ventenni italiani. Non tanto per il linguaggio usato; la parola sfigato ormai è entrata
nell’uso quotidiano: rappresenta perfettamente una tipologia di persona che è artefice
della propria sfortuna. Quello che lascia perplessi è che il professore viceministro
Martone ha detto solo una parte della verità, omettendo quella più scandalosa.
In Italia esistono tre tipologie di studenti. La prima, quella più numerosa, studia
e si laurea in tempo. Nonostante il sistema universitario italiano sia obsoleto e non
all’altezza degli standard europei ed occidentali. Per tutto il percorso formativo questa
tipologia di studenti si trova alle prese con professori che non sono al servizio degli
studenti stessi ma al servizio dei propri interessi o delle cordate o delle famiglie (a
volte politiche) che rappresentano.
La seconda tipologia è quella definita da Martone degli sfigati. E’ vero: e forse si
parcheggiano negli atenei delle principali città italiane. Per varie ragioni sono in ritardo
con gli esami e con il percorso di studi. Andrebbero scossi. E’ anche vero però che essi
fanno comodo al sistema. Pagano regolarmente le rette, affollano le aule e sono
parte integrante della tradizione universitaria italiana. Perché non approvare, come
succede in altri paesi europei, la norma che un esame può essere sostenuto al
massimo due volte? Perché non porre dei limiti agli anni fuori corso?
La terza tipologia di studenti è composta da figure diligenti e brillanti. Brillanti
soprattutto per il cognome che portano. Bruciano le tappe non tanto per le capacità
che hanno (a volte indubbie) ma per le spintarelle che ricevano da amici e da amici
degli amici. A volte quelli che spingono (il più delle volte impongono) sono le madri. A
volte i nonni. Spesso sono i padri.
Leggiamo il curriculum di Michel Martone e capiamo qualcosa.
Professore ordinario di diritto del lavoro presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli studi di Teramo. Professore incaricato di diritto del lavoro
presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli. Nella
stessa Università insegna anche “Politiche di gestione e risoluzione dei conflitti sociali”
presso la School of Goverment, nell’ambito del master universitario in “Affari Politici
Italiani”. Ha insegnato diritto del mercato del lavoro e storia del movimento sindacale
presso la scuola di specializzazione in diritto sindacale, del lavoro e della previdenza
sociale, dell’Università “La Sapienza”; insegna Rapporti Speciali di Lavoro presso il
master per consulente d’impresa dell’Università di Roma 3, e storia del diritto presso il
corso di laurea in scienze giuridiche dell’Università Lumsa. E’ stato componente della
commissione scientifica per la semplificazione amministrativa e la riforma della
disciplina del rapporto alle dipendenze della pubblica amministrazione. E’ stato
segretario della commissione scientifica per la redazione di uno Statuto dei
Lavori istituita presso il Gabinetto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. E’
stato nominato “Former Aspen Junior Fellows” dall’Aspen Institute Italia ed è stato
selezionato per partecipare agli Aspen Seminar for Leaders di Aspen (Usa).E’ avvocato
del foro di Roma, abilitato al patrocinio presso le magistrature superiori.
Leggiamo ora il curriculum di Antonio Martone, padre del viceministro, e
capiamo ancora di più.
Magistrato ordinario dal novembre 1965. Giudice della “sezione lavoro” del tribunale di
Roma. Componente eletto del Consiglio Superiore della Magistratura per il quadriennio
1981-1985. Dal 1986 ininterrottamente in servizio presso la Corte di Cassazione con
funzione di sostituto procuratore generale. Dal luglio 2009 avvocato generale della
Repubblica presso la Corte di Cassazione. In pensione di anzianità dal 10 luglio 2010.
Assistente presso la cattedra di diritto del lavoro della Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università “La Sapienza” di Roma dal 1964; docente di diritto processuale del
lavoro presso la Scuola di Perfezionamento in Diritto Sindacale e del Lavoro della detta
Università dall’anno accademico 1972-1973 all’anno accademico 1986-87. Docente di
diritto del lavoro presso la Luiss di Roma dall’anno accademico 1975-1976 all’anno
accademico 1987-1988; professore associato per il gruppo di discipline “Diritto del
Lavoro”; componente del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro dal 1989 al
2005; presidente della Commissione per le nuove rappresentanze (1989-1995).
Presidente del nucleo di valutazione della spesa relativa al pubblico impiego (19962000). Presidente del comitato del CNEL per la formulazione dei pareri sulla
rappresentatività sindacale (dal 2000 al 2005). Presidente dell’Associazione
Nazionale Magistrati dal febbraio al novembre 1999. Dall’ottobre 1996 al dicembre
2002 componente eletto del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria. Dal
dicembre 2003 al marzo 2006 e dal marzo 2006 al settembre 2009 componente della
commissione di garanzia dell’attuazione della legge sugli scioperi nei servizi pubblici
essenziali. In entrambi i trienni è stato eletto all’unanimità Presidente della
Commissione.
Secondo voi Michel Martone a quale categoria di studente tipo corrisponde?
Sicuramente in Italia spesso non si ereditano solo i beni ma anche le qualifiche. La
prossima volta non parliamo solo degli “sfigati” che marciscono all’università; parliamo
anche dei “fortunati” che…”.
°°°°°
Praticamente è inutile proseguire nella pubblicazione del documento. Non ricordo
neppure da dove esattamente l’ho preso. E del resto con qualche sua considerazione
non sono nemmeno d’accordo: tanti studenti che si laureano dopo i 28 anni, ad
esempio, sono in realtà studenti-lavoratori che per poter studiare fanno a volte vari
mestieri, spesso in più luoghi;e quando è così io mi sento dalla loro parte, dalla parte
del loro diritto a essere in università anche a trent’anni; e poi… ma chi ha potuto
mai sostenere la scemenza che l’università debba essere fatta “solo” per i giovani?
Mi ha colpito però soprattutto il fatto che, casualmente, appena un paio di giorni dopo
la polemica sugli studenti “sfigati”, la radio, una radio seria, quella del Sole24Ore,
abbia ripreso e trasmesso la documentazione scritta, in particolare gli atti del verbale
di concorso, con cui il neoviceministro vinse a suo tempo la cattedra di professore
ordinario presso l’Università La Sapienza, appena 29enne: un autentico record. Gli atti
riportano le ampie riserve e perplessità di tre valutatori su cinque circa i titoli e
la qualità dei contributi scientifici espressi da Martone, e uno di tali valutatori lo
definisce esplicitamente inadeguato; sulla candidata concorrente con Martone per la
stessa cattedra, invece, tutti e cinque i componenti la commissione sono concordi: “ha
tutti i requisiti per accedere alla nomina”.
La cattedra fu attribuita a Martone. Che ve ne pare?
Gramsci di sempre
ODIO GLI INDIFFERENTI
Noi non “odiamo” gli indifferenti: non possiamo farlo. La nostra speranza
cristiana sarebbe contraddetta alla radice. Ma certo quella degli indifferenti è
per noi una delle categorie più indigeste e distruttive che la storia, anche
attuale, ci ponga davanti. A volte consapevoli ed a volte no, gli indifferenti
sono in effetti la palla più pesante al piede di ogni lotta del bene contro il male.
Anche perché si nascondono, fanno finta di nulla, si voltano dall’altra parte,
continuando a fare professione di schieramento per il bene: e lasciano in realtà
in solitudine chi per il bene (anche loro) continua a lottare.
Il brano famoso di Antonio Gramsci non ha perso nulla della sua originaria
attualità e ci viene proposto da Maria Teresa Spina per una ripubblicazione che
sia punto di rinnovata riflessione comune sui problemi dell’attuale realtà
politica e sociale.
°°°°°
Odio gli indifferenti. Credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere
partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi
vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare. Indifferenza è
abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il
novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più
splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle
mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi
gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere
dall’impresa eroica.
L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi,
che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che si ribella
all’intelligenza e la strozza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, il
possibile bene che un atto eroico (di valore universale) può generare, non è
tanto dovuto all’iniziativa dei pochi che operano, quanto all’indifferenza,
all’assenteismo dei molti. Ciò che avviene, non avviene tanto perché
alcuni vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini
abdica alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi solo la
spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi solo la rivolta farà
abrogare, lascia salire al potere gli uomini che poi solo un ammutinamento
potrà rovesciare. La fatalità che sembra dominare la storia non è altro appunto
che l’apparenza illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo. Dei fatti
maturano nell’ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo,
tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne
preoccupa. I destini di un’epoca son manipolati a seconda delle visioni ristrette,
degli scopi immediati, della ambizioni e passioni personali di piccoli gruppi
attivi, e la massa degli uomini ignora, perché non se ne preoccupa. Ma i fatti
che hanno maturato vengono a sfociare; ma la tela tessuta nell’ombra arriva a
compimento: e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra
che la storia non sia che un enorme fenomeno naturale, un ‘eruzione, un
terremoto, del quale rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto,
chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo
ultimo si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro
che egli non ha voluto, che egli non è responsabile. Alcuni piagnucolano
pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si
domandano: se avessi anch’io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far
valere la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che è successo? Ma
nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza, del loro scetticismo,
del non aver dato il loro braccio e la loro attività a quei gruppi di cittadini che,
appunto per evitare quel tal male, combattevano, di procurare quel tal bene si
proponevano.
I più di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di
fallimenti ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili
piacevolezze. Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità. E non
già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta non siano capaci di
prospettare bellissime soluzioni dei problemi più urgenti, o di quelli che, pur
richiedendo ampia preparazione e tempo, sono tuttavia altrettanto urgenti. Ma
queste soluzioni rimangono bellissimamente infeconde, ma questo contributo
alla vita collettiva non è animato da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità
intellettuale, non di pungente senso di responsabilità storica che vuole
tutti attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun
genere.
Odio gli indifferenti anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di
eterni innocenti. Domando conto ad ognuno di essi di come ha svolto il
compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto
e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di
non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze virili della mia parte già pulsare
l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena
sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso,
alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che
stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano nel
sacrificio; e colui che sta alla finestra, in agguato, voglia usufruire del bene che
l’attività di pochi procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo
svenato perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
(Antonio Gramsci).
Società
BAMBINI UTILIZZATI PER ADESCARE
Se vi capita di incrociare per strada o in altri luoghi bambini che piangono e vi dicono:
"Mi sono perso, portatemi a questo indirizzo...", non lo fate, ma andate piuttosto
con il bimbo al comando di polizia o dei carabinieri perchè con molta probabilità
state incappando in un sistema nuovo che i maniaci usano per adescare donne e
violentarle.
Una sera, mentre percorrevo una via secondaria per tornare a casa, ho notato, sul
seggiolino di un'auto ferma al bordo della strada, un bambino coperto da un panno.
Non so spiegare perchè non mi sono fermata. E’ stato istintivo. Quando sono arrivata
a casa ho telefonato alla polizia, la quale mi ha assicurato che sarebbe andata a
vedere. Nel contempo, però, ecco quello di cui la polizia mi ha informata: le bande di
malviventi stanno escogitando nuovi stratagemmi perchè gli automobilisti (soprattutto
donne e in zone isolate) fermino il proprio veicolo e ne scendano. Il metodo praticato
da certe bande consiste appunto nel posizionare una macchina lungo la strada con un
falso bebè seduto dentro, aspettando che una donna si fermi per andare a vedere
quello che lei crede essere un bimbo abbandonato.
Da notare che la macchina è solitamente ferma vicino a un bosco o ad un campo con
l'erba alta: la persona che ha la malaugurata idea di fermarsi sarà probabilmente
trascinata nel bosco, violentata, derubata. Non fermatevi mai, ma chiamate il 113
appena possibile, raccontando quello che avete visto e dove l'avete visto, ma
continuate
la
vostra
strada.
Un altro espediente dei malviventi: se, mentre state guidando, vi arrivano delle
uova sul parabrezza, non fermatevi, ma soprattutto non azionate il lavavetri, perchè
le uova miste all'acqua diventano collose e vi oscurerebbero il parabrezza fino a più
del 90%. Sareste allora costretti a fermarvi al bordo della strada diventando anche in
questo
caso
potenziali
vittime
di
criminali.
(Cinzia Prandini)
(assistente presso la Questura di Milano).
Testimoni
IL CORAGGIO DEI GIUSTI:
FRANCO PERLASCA RACCONTA
Giancarlo Cocco ha scritto questo articolo per Raivaticano del 26 ottobre
scorso, dopo aver incontrato il figlio di Giorgio Perlasca, in un comune
convegno (50&Più-Gold Age) che abbiamo dedicato a “L’albero delle virtù: la
vera rivoluzione è la virtù”. Perlasca è figura portata fortunatamente alla
ribalta della pubblica opinione alcuni anni fa con un film di grande successo,
che ha avuto per protagonista indimenticabile il bravissimo attore Luca
Zingaretti, ormai più conosciuto nel gergo cinematografico come “commissario
Montalbano”.
°°°°°
La vicenda di Giorgio Perlasca, che riuscì a salvare nel 1944 oltre 5.000 ebrei a
Budapest, è nota grazie al film televisivo mandato in onda dalla nostra Rai
qualche anno fa e interpretato da Luca Zingaretti. Pochi sanno che per salvare
questi cittadini ungheresi di religione ebraica fu fondamentale anche il
ruolo di monsignor Angelo Rotta, Nunzio Apostolico nell’area balcanica, e del
suo segretario monsignor Gennaro Verolino.
Giorgio Perlasca e Angelo Rotta sono stati riconosciuti Giusti tra le nazioni
dallo Yad Vashem. La vicenda di Giorgio e dei contatti da lui avuti con Rotta è
stata rievocata venerdì 21 ottobre 2011 al Palacongressi di Rimini dal figlio
Franco Perlasca.
Giorgio Perlasca e monsignor Rotta il titolo di Giusti se lo sono guadagnato
pienamente. Quello di “giusto” è, nel caso specifico, il valore di chi è riuscito ad
opporsi al male e ha trovato la forza di scegliere una via diversa da quella
imposta dall’aberrante programma di eliminazione di esseri umani da
parte dei nazisti. Da giovane, Giorgio Perlasca, originario di Como, aderì in
maniera convinta al partito fascista, e nel 1923 combattè come volontario nella
guerra civile di Spagna in appoggio alle truppe nazionaliste del generale
Franco. Nel 1943 Perlasca si trovava a Budapest per conto di una ditta italiana
che importava carne per l’esercito.
L’8 settembre, giorno dell’armistizio fra l’Italia e gli alleati angloamericani,
nella capitale ungherese egli prestò fedeltà al giuramento fatto al re,
rifiutando di aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Per questo motivo
si trovò a essere ricercato dai tedeschi che intendevano arrestarlo per
tradimento. Fu costretto a rifugiarsi presso l’ambasciata spagnola ottenendo
una cittadinanza fittizia e trasformando il suo nome in Jorge.
Cominciò ad aiutare l’ambasciatore spagnolo Sans Briz nell’opera umanitaria di
protezione verso gli ebrei di Budapest attraverso rilascio di salvacondotti. Tale
operazione fu organizzata con la collaborazione di varie ambasciate e in
particolare di quella del Vaticano, retta all’epoca dal nunzio apostolico
Angelo Rotta, che forniva falsi certificati di battesimo e passaporti per
far espatriare nell’allora Palestina britannica. Rotta ed il fido segretario
Gennaro Verolino lavorarono per sottrarre il maggior numero di ebrei al viaggio
che li avrebbe portati a morire ad Auschwitz.
In quei mesi di occupazione nazista del 1944 la nunziatura redasse e distribuì
oltre 25.000 “lettere di protezione” con le quali si poteva scampare alla
deportazione. Quando, in novembre, l’ambasciatore spagnolo decise di lasciare
l’Ungheria per non riconoscere il governo filonazista, Perlasca con un’astuta
messa in scena riuscì a spacciarsi per ambasciatore stilando la lettera della sua
stessa nomina. Da quel momento cominciò con la “nuova qualifica” a
concedere lasciapassare e a firmare documenti che garantivano protezione a
migliaia di ebrei perseguitati.
Questa vicenda restò sconosciuta per più di quarant’anni perché Giorgio
Perlasca non cercò mai la gloria; egli considerava la sua azione una normale
reazione alle terribili ingiustizie di cui era stato testimone. Franco Perlasca, il
figlio, venne a conoscenza della verità solo alla fine degli anni 1980, quando
alcune donne ebree ungheresi pubblicarono sul giornale della comunità di
Budapest un annuncio per rintracciare “quell’ambasciatore spagnolo che aveva
salvato le loro vite”.
In una breve intervista che ci ha concesso al termine della tavola rotonda,
Franco, presidente della Fondazione Perlasca, ci ha rivelato che “prima del
Natale 1944 mio padre andò a confessarsi da monsignor Rotta e gli confidò che
non era spagnolo, dicendogli chi fosse realmente e dove avesse la famiglia. Il
nunzio apostolico capì e gli disse: Non si preoccupi, se succede qualcosa
l’avverto. Mio padre, monsignor Rotta ed il suo segretario Verolino
collaborarono in quei mesi terribili in maniera intensa e la nunziatura contribuì
a salvare migliaia di persone; una targa nel castello di Budapest li ricorda
come “Giusti”.
Essi sono in sostanza degli eroi che mantengono un atteggiamento riservato
perché hanno la sensazione di avere fatto solamente il loro dovere. La parola
giusto ha origine da una storia della tradizione ebraica che racconta l’esistenza
al mondo di trentasei giusti. Nessuno sa chi siano, né loro sanno di esserlo, ma
quando il male prende il sopravvento sulla terra queste persone caricano
i destini del mondo sulle loro spalle e si oppongono alle ingiustizie.
(Giancarlo Cocco)
Spiritualità
SE LA TENTAZIONE DEL POTERE
CI MINACCIA
Il 29 gennaio scorso, quarta domenica ordinaria nel ciclo liturgico, la Chiesa ha
proposto come seconda lettura della Messa un brano del vangelo di Marco, che
recita:
“In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafarnao,]
insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro
come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi
era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo:
«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il
santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito
impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore,
tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento
nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli
obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della
Galilea”.
“Insegnava come uno che ha autorità, e non come gli scribi…”. Ci è parso
stimolante pubblicare di seguito per i lettori di Studisociali il commento a
questo brano del vangelo, lasciatoci da don Franco Amatori, di Santa Maria in
via Lata.
°°°°°
Chi è quel tale posseduto da uno spirito impuro che cominciò a gridare contro
Gesù proprio durante una celebrazione liturgica, in sinagoga, di sabato?
Quante volte, nella mia esperienza di parroco, ho dovuto tenere testa a
persone e situazioni arroganti, abituate a ottenere privilegi o coperture di
abusi estranei a qualunque regola e a qualunque Vangelo... Un
comportamento calmo, leale, non remissivo, è sufficiente per mandare su tutte
le furie lo spirito impuro.
Don Pino Puglisi tolse dalla strada ragazzi e bambini. Il fatto che togliesse
alimento alla mafia diede molto fastidio ai boss che lo consideravano un
ostacolo. Così il 15 settembre 1993 venne ucciso, davanti al portone di casa.
Triste storia che può essere narrata con numerose varianti di nomi e di luoghi.
Con immensa ammirazione ricordiamo Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San
Salvador, ucciso sull’altare perché colpevole di essersi pienamente schierato
dalla parte dei poveri.
Non ci meravigliamo se il mandante potesse essere anche uno che siede al
primo banco nella sinagoga o nella chiesa. È così facile nascondere odio e
vendetta dietro comportamenti ossequiosi, perfino dietro religiosità formale e
ostentata. Se non ti sottometti al boss devi aspettarti qualunque sgambetto o
tradimento.
Ecco che cominciamo a capire quale potere occulto rappresenta quell’uomo,
all’apparenza tanto religioso e osservante, che apostrofa Gesù brutalmente,
nella sinagoga di Cafarnao. Se non stronca subito quel tale che insegnava
loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi perderà il prestigio e
l’omertà dei suoi picciotti. Gesù, con la sua personalità e con i suoi discorsi, è
un’insidia che lo scruta fino in fondo e non gli permetterà più la sua ipocrisia:
«Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il
santo di Dio!».
Il Vangelo lascia capire che quel giorno nella sinagoga ci fu un drammatico
scontro tra Gesù e quell’uomo: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro,
straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tuttavia Gesù non lo scaccia dalla
sinagoga; caccia lo spirito impuro. Vuole la conversione dell’uomo e una
purificazione di tutta la comunità riunita di sabato nella sinagoga. La presenza
di quello spirito impuro è una malattia della comunità, non solo di
quell’uomo. Fa pensare allo spirito che sostiene e alimenta le mafie e i sistemi
politici corrotti.
Il fatto raccontato dal Vangelo mette pesantemente il dito anche su un altro
aspetto: dove stavano i rabbi, gli scribi e i responsabili di quella
sinagoga? Non si erano mai accorti di niente? O anche loro facevano parte del
sistema? Solo con l’apparire di Gesù viene messo in evidenza lo stridore di
quella situazione?
Per il nostro tempo, “c’è da chiedersi se l'istituzione ecclesiastica non paghi
quell'eccesso di politicizzazione che ha caratterizzato il suo recente passato.
Quel passaggio, che ha trasformato i suoi vertici in protagonisti politici, non
può non avere lasciato in una parte dell'opinione pubblica il senso di una
assimilazione delle gerarchie ecclesiastiche al ceto politico. L'equazione tra
Chiesa e «casta» nuoce all'immagine della Chiesa”. (G. Brunelli in Il Regno
Attualità N. 22 del 15/12/2011 pag.729)
Siamo scandalizzati e disorientati quando un capo religioso finge di non vedere
la corruzione di persone che si dichiarano religiose, e pretendono campo libero
per scandali e abusi. Certi silenzi sono più colpevoli degli stessi soprusi e
lasciano una triste orma, difficile da cancellare.
Il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli
ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà
morire. Ci sentiamo affettuosamente schierati con la nostra Chiesa quando è
attaccata perché testimone limpida di Vangelo; e tristemente umiliati
quando ci sembra assente, attenta ad altro, senza chiarezza, compromessa
con altri poteri strani e occulti. Cosa può fare la comunità dei discepoli di Gesù
per mettere in crisi il grigiore delle indolenze e della corruzione, ravvivare la
sua esigenza di verità, e pretendere cambiamento di stile?
San Paolo scriveva dal carcere: Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di
Davide, è risuscitato dai morti, secondo il mio vangelo, a causa del quale io
soffro fino a portare le catene come un malfattore; ma la parola di Dio non
può essere incatenata! (2Ti 2,8-9).
Lo scandalo della verità che fa arrabbiare lo spirito impuro non ci permette di
puntare il dito se prima non abbiamo chiarito in che modo anche noi siamo la
Chiesa di Gesù.
(Franco Amatori)
Artigianato
IL PRESEPIO DI SANTA GALLA
Giustamente è stato segnalato con il Premio Fantasia di Garbatella, il 4 gennaio
2012, il grande presepe meccanico dell’artigiano Dante Pica: 150 scene di vita
quotidiana in movimento, ricostruite con legno, carta, filo e altri materiali
umili; vita quotidiana della Roma come è ma soprattutto come era; ed anche
dell’umanità come è stata sempre. I mietitori che affastellano il grano, l’oste
che mesce il suo vino ai commensali, la massaia che mette in tavola la sua
cucina, il fabbro che arrota ed aguzza coltelli e vanghe, i giocatori di carte che
discutono, ma anche… il portiere che para un calcio di rigore, il ricercatore con
i suoi lambicchi... Lo scenario del tempo, anzi uno scenario quasi fuori del
tempo, sopra il tempo, nel quale il mistero di Gesù Cristo, uomo e Dio, è
vissuto terrenamente duemila anni fa e vive ogni giorno fra gli uomini.
Questo tipo di artigianato, curatissimo, dettagliatissimo, dinamicissimo, è arte:
quell’arte chiamata minore che dovrebbe essere incoraggiata fin dalla più
tenera età nei bambini che hanno talento, ed entrare per la strada maestra nei
meccanismi educativi della scuola e nei luoghi di incontro fra generazioni, che
la scuola stessa dovrebbe promuovere.
La premiazione del 4 gennaio si è svolta presso il Teatro in Portico, alla
parrocchia di Santa Galla, in Roma, presenti le autorità del municipio
competente, con Paolo Masini vicepresidente della commissione scuola del
comune di Roma, Giovanna Mirella Arcidiacono e Giulia Giannone, animatrici
dell’Associazione Il Tempo Ritrovato.
Riferimento per il presepio dinamico: Dante Pica, tel.06.5120133.
Arte
GUGGHENEIM
ALL’ARCA DI VERCELLI
(Spazio Arca, in San Marco di Vercelli)
Inaugurato nel novembre 2007 con la mostra Peggy Guggenheim e l’immaginario
surreale, lo spazio Arca è oggi riconosciuto come sede espositiva importante per le
arti visive nella città di Vercelli. Oltre a ospitare le mostre Guggenheim organizzate
dalla Regione Piemonte e dal Comune in collaborazione con la Collezione Guggenheim
di Venezia, lo spazio ospita mostre di bel livello e di ampio richiamo durante tutto
l’anno.
Nell’estate 2009 vi si è tenuta la mostra Adi Design Index - Le eccellenze del design
piemontese. A seguire ha avuto luogo la mostra fotografica di Gianni Berengo Gardin
Peggy Guggenheim, la casa, gli amici,Venezia, che ha delineato un ritratto della nota
collezionista americana nella sua dimensione più personale e intima, sullo sfondo
della Venezia degli anni ‘60 e ’70. Un giovane Berengo incontra Peggy
Guggenheim e la ritrae nella sua casa, Palazzo Venier dei Leoni, tra gli amici italiani e
in compagnia di alcuni vecchi amici americani, fornendo uno spaccato di quella
originale atmosfera che distinse la vita degli artisti che si riunirono intorno a Peggy
nella
casa
veneziana.
Nel 2008 Arca aveva ospitato eventi diversi spaziando dall’arte contemporanea
all’architettura e allo sport: la prima mostra della collezione del Fondo Regionale di
Arte Contemporanea promosso dalla Regione Piemonte in collaborazione con
Artissima, la mostra Slow architecture for living, una esposizione per il centenario del
primo scudetto conquistato dalla ProVercelli con in mostra la Coppa del Mondo
2006,
e
altro.
La struttura Arca ha una forma elementare, è un parallelepipedo di metri 28.90x6.60,
uno sviluppo espositivo lineare di m. 66.90, una superficie espositiva di 281 metri
quadrati, una superficie di calpestio
di
190.74 metri quadrati; occupa solo
parzialmente la navata centrale della Chiesa di San Marco, è semplicemente
appoggiata al pavimento e non ha punti di contatto né con le colonne né con le pareti;
presenta una copertura vetrata che consente la visione delle volte dall’interno dello
spazio espositivo; è autoportante sia impiantisticamente sia a livello dei servizi poiché
ospita al suo interno tutte le funzioni peculiari di una struttura espositiva.
Occupando solo parzialmente la navata centrale, la struttura Arca determina
all’interno della Chiesa di San Marco due differenti spazi: uno circoscritto da Arca,
dotato di tutte le tecnologie che garantiscono gli standard internazionali per
l’esposizione di opere d’arte, e uno, più ampio, costituito dalle navate laterali e
dall’intera
abside,
disponibile
per
eventi
indipendenti
collegati
alle
esposizioni
da
interne
o
esse.
Tre sono quindi i fattori di interesse che giocano contemporaneamente in San Marco
nel corso di una mostra: l’esposizione delle opere internamente ad Arca, gli eventi
sviluppati esternamente e, compatibilmente con le condizioni di sicurezza dei
visitatori,
le
attività
di
restauro
degli
affreschi.
Il prossimo evento sarà “I Giganti dell’avanguardia: Mirò, Mondrian, Calder e le
collezioni Guggenheim”, programmato dal 3 Marzo al 10 Giugno 2012.
L’appuntamento si concentra sulle opere di tre padri delle avanguardie storiche del
secolo scorso: Joan Mirò, tra i fondatori del Surrealismo, Alexander Calder, sodale di
Mirò e protagonista dell’avanguardia astratta, e Piet Mondrian, membro fondatore del
movimento De Stijl, uno dei massimi pensatori dell’astrazione nella prima metà del
Novecento.
(Luca Lisco)
La Terra
E IL KAZAKHSTAN…
LO CONOSCETE?
Intanto cominciamo con il segnalarne il nome: si chiama Aksaicultura, ed è
un’associazione che si occupa, in assoluto volontariato, della diffusione della
lingua e della cultura italiana nel Kazakhstan, uno dei paesi meno conosciuti
del mondo e uno dei più affascinanti dell’Asia.
Lo conobbero per il vero, già tantissimi anni fa, molti stranieri, anche italiani;
per una precisa ragione economica: il petrolio. Anche il nostro Eni vi fece
investimenti consistenti, e vi ha lasciato traccia notevole.
Aksaicultura nasce proprio dall’avventura di un gruppo di italiani andati
laggiù molti anni fa per il lavoro dell’Eni e diventati amici ed appassionati di
questo paese. Aksai organizza così soprattutto borse di studio per ragazzi
kazaki che aspirano a parlare la nostra lingua e attraverso di essa a entrare in
possesso di competenze e opportunità positive diffuse in Occidente. Ma non
solo. Gianluca Chiarenza, fondatore e guida dell’Associazione, vi aggiunge le
iniziative della sua umanità aperta e solidale, sicchè l’Associazione costituisce
luogo di cultura e insieme di umanità solidale. Si può entrarci in contatto,
direttamente o attraverso il sito www.aksaicultura.net.
Fra le iniziative recenti è la pubblicazione del libro "Un segno nella sabbia",
romanzo di cui l’autore, Roberto D’Amico, ha messo a disposizione per due
anni i diritti editoriali come contributo al lavoro culturale di Aksai. Lo
leggeremo con attenzione. Non potendo effettuare alcuna vendita,
l’associazione invia una copia del libro a ogni richiedente a fronte di una
offerta con la causale: Donazione pro libro. Il ricavato serve appunto per
realizzare nuove borse di studio per gli studenti kazaki ai quali viene insegnata
la lingua italiana.
Leggende andine
LOS TAPADITOS:
ORO DEGLI INCAS
Continuiamo la pubblicazione delle leggende andine scritte da Josè Alberto: un
contributo alla progressiva conoscenza reciproca di culture e valori.
°°°°°
Un giorno sono arrivato nella città di Chincha Alta e, mentre stavo seduto nella
piazza principale di quella città, accanto a me ho sentito parlare un gruppo di anziani,
che dicevano: “Quel signore, proprietario di quel grande magazzino, è diventando
ricco grazie a los tapaditos”.
Mi sono avvicinato a loro perché la conversazione era molto interessante e ho chiesto:
“Scusate se mi intrometto nella vostra conversazione. Cosa sono quelli che voi
chiamate tapaditos?”.
E loro mi hanno risposto: “Tapaditos significa coprire quello che tu vedi e non farlo
scappare”. Quindi questi anziani hanno iniziato a raccontarmi che da giovani, quando
si spostavano dalla città alle pampas con il bestiame per trovare i pascoli, o quando
dovevano percorrere almeno 3 o 4 giorni a cavallo per andare a vendere il bestiame
nella capitale, poteva accadere in qualsiasi momento del giorno o della notte che
all’improvviso ti attraversasse la strada un animale d’oro o un fuoco ardente,
spostandosi a grande velocità e scomparendo altrettanto rapidamente. Secondo loro,
in quel momento uno doveva prendere un sacco, una coperta o un tessuto qualsiasi e
con grande rapidità andare a coprire l’animale d’oro o il fuoco ardente. Se non lo si
faceva quello scompariva, ma se si riusciva a prenderlo bisognava scavare subito nel
posto esatto in cui lo si era preso, fino a che non si trovava il tesoro sepolto. Se
l’animale era grande o il fuoco era alto significava che anche il tesoro era molto
grande. Tante persone di questa regione sono diventate ricche grazie ai tapaditos di
Chincha Alta.
Ho domandato anche il perché di questi tesori nascosti e uno di loro mi ha risposto:
“Quando sono arrivati gli spagnoli in Sud America, per la sete d’oro
saccheggiavano diverse città Inca, portandosi dietro gli oggetti d’oro. Il re Inca, al
vedere questa situazione, ordinò a tutto l’impero di nascondere l’oro dagli spagnoli e
tanti nascosero i tesori sotto terra, lontano dalle città, affinché gli spagnoli non li
trovassero. Questi tesori sono stati dimenticati e abbandonati per secoli, in attesa che
i legittimi proprietari tornassero a prenderseli”.
Mi sono sentito molto impressionato al racconto di questi anziani. Se un giorno ti
capita di passare per Chincha Alta, portati una coperta nelle pampas, perché potresti
essere il prossimo a trovarti con un tapadito; e in tal caso non pensarci due volte:
prendilo subito perché il tesoro ti aspetta!
(José Alberto Chávez del Río)
Formazione
I CORSI MA ANCHE
GLI INCONTRI MONOGRAFICI
Rispondendo ai quesiti di alcuni amici precisiamo che sulle materie oggetto di
corsi istituzionali annunciati dal Circolodelmeglio, e cioè Scienza Politica, Diritto
Pubblico
e
Costituzionale,
Management
e
Gestione
d’Impresa,
il
Circolodelmeglio realizza anche incontri monografici a domanda, relativi a
singoli e specifici aspetti delle stesse materie.
Infamiglia
MARCELLO VITA
DELL’ESPERIENZA SALESIANA
Caro Giuseppe,
gli amici di un tempo, compresi quelli più veri, hanno cominciato a lasciarci; a volte
anche nella solitudine di un lettino di ospedale. Questa volta è capitato a Marcello
Vita, il nostro indimenticabile compagno di studi e di ideali. Ti allego il riferimento
telefonico della famiglia per il contatto. Noi speriamo di vederci il 31 gennaio, festa di
don Bosco. Un abbraccio,
Silvio.
Ho ricevuto il messaggio domenica 15 gennaio da Silvio Vitone, comune amico di studi
e di esperienza giovanile. Avevo perso di vista Marcello da molti anni, credo
addirittura dal 1967 o 1968: ma non lo avevo mai dimenticato. Nei nomignoli che
connotavano tutti noi in quella bella comunità di vita e di ideali, lui era, in prevalenza,
“il sagrestano”, se ricordo bene: per il suo frequente dedicarsi ai servizi della liturgia
comunitaria. Era un ragazzo di temperamento amichevole e mite, ma anche attivo e
coraggioso. Un compagno gradito. La sua perdita, per quanto non sia la prima in
assoluto fra quanti condividemmo quell’avventura educativa in una medesima fascia di
età, ci porta a riflettere, come osserva Silvio, sul grande ciclo della vita che anche per
la nostra generazione raggiunge la sua maturità. Potrei dire che non ne ho molta
paura. Chissà cosa ne pensano gli altri vecchi amici di quegli anni…
Appuntamenti
I DELITTI IRRISOLTI
Il penalista Paolo Palleschi affronta uno
dei capitoli più inquietanti della scienza
giuridica di sempre: quello dei delitti
irrisolti. Scacco alla giustizia ed ai suoi
frequenti eccessi di sicurezza, richiamo
etico ed allarme politico e sociale per gli
operatori della giustizia. Il tema è
anche
uno
dei
più
delicati
ed
affascinanti nella specifica situazione
del nostro paese, nella quale si intreccia
con quello della lentezza defatigante dei
tempi processuali.
L’appuntamento è per venerdì 24
febbraio alle ore 18, presso l’Istituto
San Giovanni Evangelista, in Roma, via
Livorno 91.
Riferimento: tel.06.44232969.
Dibattito
MA RISCHIA DI PREVALERE IL PESSIMISMO
Caro Giuseppe,
ti ringrazio molto per il tuo augurio di buon 2012 ma ti confido che sono pessimista sul
nostro futuro. Sono infatti sempre più disgustato della politica, specialmente quella
italiana. Da sempre sono stati capaci di tartassare il popolo (sovrano), di calpestare
i diritti del popolo (sovrano), di sfruttare il popolo (sovrano) e di fare quasi solo i
propri interessi. Questo negli anni ci ha portato alla situazione odierna.
Parlano di alzare il Pil ma poi comprano auto straniere per i servizi di Stato, per la
Polizia di Stato, per gli Enti Statali e le Aziende a Partecipazione Statale. Abbiamo auto
blu dell’Audi, auto e moto della polizia della Bmw, auto dei vigili urbani Toyota,
autobus dell'Atac Mercedes, ambulanze Mercedes, ecc.
Vogliono che il popolo (sovrano) acquisti Titoli di Stato ma loro giocano in borsa con
titoli
stranieri...
Sono sempre più stanco e sempre più convinto che difficile sia il rimedio.
Nel momento in cui la politica ci ha fatto credere di aver fatto un passo indietro
mentre in realtà ha solo "nascosto la mano" per continuare a depredarci senza
assumersene la responsabilità, non ci resta che tenerci stretti gli affetti più cari,
quelli che per fortuna nessuno ci può carpire.
Ti auguro dal profondo del cuore di trascorrere un sereno 2012 insieme a tutti i tuoi
cari.
(Paolo)
Con Paolo Ercolani continua un dialogo, anche al di fuori di Studisociali, teso a
studiare insieme i modi più efficaci per “non arrendersi”. Del resto egli stesso è ben
lontano, nonostante le parole sconfortate che questa volta ci scrive, dal mollare
l’impegno. Qui desideriamo soltanto ricordargli che non siamo affatto soli nella lotta!
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I CRITERI REDAZIONALI CHE INFORMANO STUDISOCIALI
1.I materiali pubblicati da questa Letteraperta sono liberamente fruibili da chi
lo desidera. In caso di riproduzione si prega, appena, di citare fonte ed
eventuale firma di quanto riprodotto.
2.La Letteraperta propone riflessioni liberamente messe a disposizione da
quanti partecipano alla ricerca di Studisociali. Quanto firmato da ogni autore
resta naturalmente responsabilità dello stesso.
3.Studisociali favorisce, quando richiesto, il contatto diretto fra i partecipanti
alla Letteraperta ed alla Scuola del Circolodelmeglio.
4. Per contattare Studisociali, chiedere di ricevere regolarmente i suoi scritti,
chiedere di essere rimossi dall’indirizzario, inviare commenti, contributi,
proposte, è sufficiente scrivere a: [email protected]; oppure a
[email protected].
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