Notiziario 2007 - Piccole Sorelle del Vangelo

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Notiziario 2007 - Piccole Sorelle del Vangelo
le Piccole Sorelle del Vangelo
di Charles de Foucauld
Notizie dalla Fraternità
aprile 2007
S O M MA R I O
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Fraternità di Salapumbé
Fraternità di Mejicanos
Fraternità de La Courneuve
Fraternità de La Inmaculada
Fraternità di Aulnay-sous-Bois
Fraternità de La Inmaculada
Fraternità di Port-au-Prince
Fraternità di Aulnay-sous-Bois
Fraternità di Vicenza
Fraternità di Foggia
Fraternità di Bar
Fraternità di Antsirabé
2007
Il “Dio Amore” è questa
misteriosa realtà dell’Amore
increato, infinito ed eterno,
venuto incontro a noi nel volto
umile e familiare di Gesù, nei
battiti del suo cuore che era
contemporaneamente fraterno e infinitamente misericordioso, perché divino.
L’Amore eterno si è fatto compassione nel
Cristo e si è personalizzato al punto di raggiungere
ciascuno di noi nel più profondo di noi stessi. Infatti tutto ciò che c’era di divino in questo Amore
si è completamente umanizzato quando il Verbo si
è fatto carne e l’amore si è messo a parlare il linguaggio di un cuore umano.
Fr. René Voillaume
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Aprile 2007
Cari fratelli e sorelle, parenti, amici e benefattori,
ecco il nostro notiziario che racconta alcune
delle esperienze di vita di questo anno trascorso nelle
varie fraternità.
Arriva da voi nel tempo pasquale, un tempo
che ci ricorda come “Dio ha tanto amato il mondo da
dare la sua vita per noi”.
Nella scelta dei temi abbiamo voluto fare eco
alla bella enciclica di Benedetto XVI, intitolata “Dio è Amore”, perché se non
mettiamo l’amore nel programma della nostra vita, vane sono la nostra fede e la
nostra ragione di essere una congregazione religiosa.
È proprio nel cammino pasquale di morte e risurrezione, sperimentate
nella nostra stessa vita, che tocchiamo con mano quanto Dio ci ami.
Spesso, attraverso l’esperienza del peccato prendiamo coscienza, tragicamente, come Pietro, che solo se ci lasciamo raggiungere dal suo amore e dal
suo perdono possiamo essere salvi.
Il mondo oggi è come come “una società spezzata, con molti punti di
frattura, in cui una notevole quantità di persone sono nella sofferenza.” (Relazione
Dagens dei Vescovi francesi 1996)
Un mondo in cui è quasi impercettibile il rumore della foresta che cresce, mentre si è assaliti dal fracasso degli alberi che cadono (proverbio africano).
Per vedere “la salvezza di Dio bisogna forse ricercarla con la lente di ingrandimento, dato che sembra tanto difficile da scoprire? Eppure quanti segni forti
di un Dio così meraviglioso si possono decodificare! La cosa più straordinaria è che
in Gesù, il Verbo fatto carne, Dio si sia mostrato così umano”. (Relazione Dagens dei
Vescovi francesi 1996)
Come frère Charles, che è stato affascinato dal volto amico del diletto
fratello e Signore Gesù, noi siamo invitati a ravvivare la nostra fede in questo
tempo pasquale: credere che Dio è straordinariamente umano, credere che vuo-
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le veramente salvarci. Egli viene a tenderci la mano, perché la traversata della
vita spesso non è una passeggiata tranquilla, ma un arduo cammino contro
corrente.
La lettera agli Efesini ci ricorda che “Nella sua persona Egli ha ucciso
l’odio”. Attaccarsi a questa mano tesa è rinunciare a scendere a patti con l’odio,
con la morte, con lo status quo dei disfattismi di ogni genere. È anche osare di
essere annunciatori del suo Amore per le persone che incrociamo sul nostro
cammino: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo
il cammino?” (Lc.24,31)
Un giorno un catechista spiegava così la salvezza che ci viene da Gesù
Cristo: “Il nostro Dio non è restato a guardarci dall’alto seduto sul suo trono,
ma è sceso alla nostra altezza, si è messo in ginocchio davanti alla sua creatura
esausta e poi l’ha messa sulle sue spalle, per farla diventare grande. Poi tutte e
due hanno continuato la strada più volentieri.
Il nostro augurio è che tutti possiate essere testimoni di questo nostro
Dio al servizio dell’uomo “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro
Dio” (Is.52,10), tutti conquistati da questa forza contagiosa del Dio Amore, Deus
Caritas, Jesus Caritas.
Le piccole sorelle del Vangelo
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CAMERUN: FRATERNITÀ DI SALAPUMBÉ
Accettare un Amore per donarlo a nostra volta in terra africana
“Amare il prossimo è anche una strada per incontrare Dio e quindi il
chiudere gli occhi davanti al prossimo rende ciechi anche davanti a Dio”.
(Benedetto XVI, Dio è Amore, n.16)
Il giorno della Santa Trinità abbiamo avuto la gioia di celebrare nella
nostra parrocchia di Salapoumbé il battesimo di 13 adulti e 16 bambini baka
(pigmei). Una comunità numerosa e molto partecipe li ha accompagnati con
la sua preghiera. Alla fine della celebrazione risuonava nella nostra bella chiesa
l’eco di un canto: “Nga à ‘o te mò a ye Komba”, “Noi ti lodiamo, Signore”.
Erano uomini e donne che si preparavano a questo sacramento da quattro anni; degli uomini e delle donne che attraverso l’ascolto della Parola di Dio,
hanno saputo accogliere la buona Notizia del suo Amore per ogni essere umano.
Il desiderio di fare conoscere il Signore e la sua immensa bontà ci anima
nel nostro compito di evangelizzazione e i battesimi sono il frutto visibile della
risposta dell’uomo all’offerta dell’Amore di Dio.
Fra i nuovi battezzati c’era anche Joduma, sua moglie Namboko e la
loro bambina Jannette. Joduma e Namboko, come tutti i battezzati già sposati
col rito ancestrale, hanno preso l’impegno di un matrimonio civile monogamico per poter ricevere il sacramento del matrimonio cristiano: una vera testimonianza di fede nell’amore fedele di Dio, soprattutto qui, dove il matrimonio
cristiano è tanto raro!
Quando abbiamo proposto a Joduma di diventare animatore di un centro prescolare per i bambini, si stava ancora preparando per il battesimo. Prendere una decisione non era facile per lui: diventare animatore voleva dire lasciare
il suo progetto personale, le sue occupazioni per accogliere un altro progetto…
quello che un Altro aveva preparato in quel momento per lui.
“Amare il prossimo è pure una strada per incontrare Dio e chiudere gli
occhi di fronte al proprio prossimo rende ciechi anche davanti a Dio”, così il papa
Benedetto XVI, nella sua prima enciclica “Deus Caritas est”, ci spiega il legame
inseparabile tra amore di Dio e amore del prossimo, sottolineato anche nella
1ª lettera di Giovanni.
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Joduma, dopo aver riflettuto con sua moglie, ha accettato di animare
il centro prescolare con questa esclamazione venuta dal suo cuore: “Io voglio
aiutare i miei fratelli!”
Nadia con una
vicina di Salapumbé
Io collaboro con lui per la valutazione di ogni bambino. Il “prescolare”
è una tappa molto importante, che prepara alle scuole elementari dello Stato.
Quello di cui siamo stati sempre convinti fin dall’inizio era che bisognava, certo, aiutare i bambini pigmei a istruirsi e che potessero, quindi, andare
a scuola come tutti gli altri, ma bisognava anche e soprattutto amarli, conoscerli, incoraggiarli ogni giorno… per esempio offrendo una piccola merenda alla
ricreazione: molti di loro, infatti, vengono a scuola senza mangiare!
“La cosa essenziale, di cui l’uomo sofferente ha bisogno, è la donazione personale piena d’amore”, dice il Papa e noi abbiamo potuto constatare, nella nostra
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avventura, come certi bambini abbiano incominciato piano piano a sorridere e
ad avere fiducia.
Cerchiamo di far nascer in loro la fede nel Signore Gesù: per questo
ogni lunedì mattina la giornata incomincia con la catechesi: i bambini ascoltano
con molta attenzione e alla fine facciamo una piccola preghiera. Noi riconosciamo in loro la presenza dell’Amore di Dio che li accompagna, anche se non ne
sono molto coscienti!
L’Amore di Dio si incarna ogni giorno nelle nostre relazioni con tutte
le persone che ci circondano, soprattutto i più deboli e i più poveri! Questo è
quello che cerchiamo di vivere, umilmente, nella routine quotidiana…
Ma in questo cammino di amore il primo ad amarci è sempre il Signore e Benedetto XVI ricorda che: “Colui che vuole donare amore deve a sua volta
riceverlo come un dono. L’uomo può sicuramente, come ci dice il Signore, diventare
sorgente di fiumi di acqua viva (Gv.7,37-38). Ma per diventare questa sorgente
deve egli stesso continuare ad abbeverarsi alla sorgente prima e originaria che è Gesù
Cristo. Dal suo cuore trafitto sgorga l’amore di Dio” (Gv.19,34).
Sì, io devo diventare capace di ricevere il dono di Cristo per poter dopo
donare a mia volta. Egli mi ama gratuitamente e la mia risposta consiste nell’accogliere questo dono ogni giorno. È l’esperienza personale e intima di sentirsi
amati e quindi perdonati.
Malgrado le mie fragilità, le mie debolezze, le mie infedeltà nel cammino dell’Amore, il cuore può sempre aprirsi ad un nuovo orizzonte che cambia
la vita di ogni giorno.
Piccola sorella Nadia Sannipoli
“Il nostro cuore è di ghiaccio o di fuoco,
caldo o freddo,
se è caldo per gli uomini
lo sarà anche per Dio”
Fr. Charles, Meditazioni sui Vangeli
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SALVADOR: FRATERNITÀ DI MEJICANOS
La fondazione “Amor”: per amare educando
“Colui che cade in un buco,
non aspetta dal suo vicino che discenda nel buco con lui,
ma che lo aiuti piuttosto a uscirne”.
(Proverbio Africano)
Trovandomi alla fraternità di Azet per un periodo di riposo, vi scrivo,
non per raccontarvi questo mio soggiorno, ma per parlarvi di J.M., un ragazzo della “Fondazione Amor”. Benché lontana, non ho dimenticato tutti questi
bambini che seguiamo e che vorremmo salvare dagli artigli della delinquenza.
La storia di J.M. potrebbe anche essere quella di F., A., oppure D…
J.M. è un ragazzino di 12 anni, che ho incontrato la prima volta nel
dicembre del 2005. L’ho conosciuto grazie a un suo amico e vicino di casa che
viene al centro diurno della Fondazione Amor, dove lavoro. Aveva sentito parlare della Fondazione da questo amico e voleva far parte dei bambini che vi sono
accolti. Mancavano pochi giorni a Natale e il centro era chiuso per due settimane. Gli ho detto che sarei ritornata a trovarlo a casa sua in gennaio perché mi
raccontasse la sua storia e mi spiegasse il motivo per cui voleva venire al centro.
Il giorno del primo incontro avevo parlato con le sue zie, che vivono in
una “champa” (capanna di latta e di legno) accanto alla sua. Mi avevano detto
che era orfano, che viveva con un fratello e una sorella più grandi, che passava
il suo tempo per la strada e non c’era nulla da fare per lui. Avevo promesso che
avrei ripreso contatto con loro in gennaio, dopo le feste. In quel momento non
mi sono affatto preoccupata di come quel ragazzino avrebbe passato le feste,
visto che viveva con un fratello e una sorella e vicino alle zie.
In gennaio sono ritornata, come promesso, per vederlo e per parlargli.
Mi rivedo seduta sul gradino del marciapiede dove sua zia vende la frutta, alla
fermata dell’autobus.
J.M. non era molto loquace nel raccontarmi la sua storia; voleva soprattutto che gli dicessi che poteva venire al Centro dall’indomani…; ma le cose
non sono così semplici, ci vuole un minimo di informazioni.
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Piccola sorella Maryse alla fondazione Amor
Quel giorno fu soprattutto la zia che mi raccontò la sua storia. I tre fratelli avevano vissuto con la mamma fino al giorno della sua morte, nel gennaio
del 2005. Dalle sue parole ho potuto capire che era stata nel giro della prostituzione e che era morta di AIDS. Queste cose non si dicono apertamente, ci si
vergogna e si teme il giudizio e il rifiuto degli altri.
La mamma non si occupava dei figli, che erano lasciati a se stessi. Per
questo motivo il maggiore, di 18 anni, non è mai andato a scuola e non sa né
leggere né scrivere. Ho cercato di incoraggiarlo ad andare alla scuola serale;
c’è andato tre mesi e poi ha smesso. La sorella, di 15 anni, frequenta la scuola
media; l’anno scorso con la morte della mamma non ha frequentato, ma quest’anno vuole continuare. J.M. ha cominciato più volte la prima elementare, ma
non è mai arrivato alla fine.
I tre fratelli vivono insieme, ma ognuno si sbroglia da sé cercando come
sopravvivere. Il fratello maggiore lavora in una piccola officina meccanica della
zona. La sorella fa qualche lavoretto in una famiglia del quartiere. J.M., che non
manca di iniziativa e di idee, trova da mangiare qua e là rendendo piccoli servizi;
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a volte nei fine settimana accompagna una vicina allo stadio, dove raccolgono
le lattine vuote per poi rivenderle, arrivando a guadagnare fino a dieci dollari.
Ecco la situazione in cui vive J.M.
Fin dai primi incontri mi sono affezionata a questo ragazzino e ho voluto aiutarlo a tirarsi fuori da questa situazione. Sentivo in lui desiderio e interesse,
anche se a volte aveva delle reazioni inspiegabili, come la lumaca che rientra
nel guscio quando le si toccano i cornetti. Si lascerà guidare? Saprà resistere al
richiamo della strada e della libertà? Dovrò conquistare la sua fiducia.
Innanzitutto gli propongo di aiutarlo a iscriversi a scuola; è il buon
momento perché l’anno scolastico comincia in gennaio. Sua zia, sorella di sua
madre, accetta di accompagnarlo. Parlo con la direttrice e la maestra per spiegare a grandi linee la vita di J.M., perché gli diano la possibilità di studiare, pur
con tutti i rischi che si prendono. Si offrono di aiutarlo e, dopo qualche difficoltà, eccolo iscritto in terza elementare, lui che non ha mai terminato la prima.
Bisogna trovare una divisa: pantaloni marrone e camicia bianca e poi comperare
quaderni e matite.
Non so come abbia fatto il nostro J.M., ma eccolo, tutto orgoglioso,
vestito con l’uniforme e con una cartella piena di quaderni, penne e matite. E
non è tutto: da gennaio fino al giorno in cui sono andata a salutarlo, in luglio,
non ha perso neppure un giorno di scuola. Un bel successo!
La cosa non è andata allo stesso modo per il Centro dove un’educatrice
aiuta a fare i compiti e altre attività. J.M. frequenta in maniera irregolare e trova
sempre una scusa buona alle sue assenze: non si sveglia in tempo, o preferisce
restare a guardare la televisione o vagabondare per la strada. Altre volte si giustifica dicendo che l’uniforme, che ha lavato, non è asciutta.
Siccome va a scuola nel turno del pomeriggio (la scuola si fa in due turni, mattino e pomeriggio,per permettere a un numero più grande di bambini di
frequentarla), dovrebbe venire al Centro di mattina, a partire dalle 9, restarvi a
mangiare a mezzogiorno e poi partire alle 13 per la scuola. Una buona organizzazione, vero? Ma con lui non funziona.
Quando non lo vediamo per diversi giorni, vado a casa sua a vedere. A
volte non c’è…
Queste visite sono state l’occasione per entrare nella “champa”, fatta di
latta arrugginita che sta quasi per crollare. È un tugurio. Ci sono tre letti sfondati senza lenzuola né coperte e poi vestiti sporchi in ogni dove. Che miseria!…
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In mezzo a tutto quel disordine troneggia la piccola televisione appoggiata su
un asse. Per l’elettricità non è difficile: un filo che passa tra due assi arriva dalla
“champa” delle zie; c’è un certo vantaggio ad avere dei muri non troppo solidi!
Fuori, in un piccolo spazio sul lato della “champa”, dei bidoni pieni d’acqua, un
catino per il bucato e una corda per stendere su cui vedo appesa ad asciugare la
bella camicia bianca della divisa scolastica. Mi arrabbio un po’ di fronte ad un
tale spettacolo, ma ognuno dei fratelli dà la colpa all’altro… e capisco perché
stanno il meno possibile in questo tugurio.
In luglio, prima di partire, sono andata a scuola per vedere come va
J.M. e per parlare con la maestra che incontro regolarmente per seguire il suo
andamento scolastico. Mi ha detto che era molto contenta di lui e che pensava
di fargli saltare una classe perché era più avanti degli altri bambini e, vista l’età,
questa sarebbe stata una cosa buona per lui. Però per fare questo era necessario
l’aiuto della Fondazione.
Abbiamo parlato con J.M. per fargli capire che, se voleva beneficare di
questa possibilità, doveva promettere di andare almeno tre giorni alla settimana
alla Fondazione. Gli ho spiegato che non avrei potuto seguirlo in questi tre mesi
e che perciò doveva responsabilizzarsi. Ho capito dal suo sguardo che potevo
fidarmi di lui. So che posso anche contare sulla maestra, che farà di tutto per
sostenerlo.
Ecco a che punto ho lasciato J.M. in luglio. Come lo ritroverò? Sorpresa… che spero sarà buona. “Primero Dios” (Dio per primo), come si dice in
Salvador.
Piccola sorella Maryse Duté
“Questi metodi lenti e ingrati,
con dei popoli così lontani da noi in tanti modi,
…uno di questi metodi lenti e ingrati
è l’educazione
per mezzo del contatto e dell’istruzione”
Fr. Charles all’abate Caron
9 giugno 1908, parlando dei Tuareg
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FRANCIA: FRATERNITÀ DI LA COURNEUVE
Un amore totalizzante e per sempre
“L’Amore cerca la sua esclusività nel senso del ‘per sempre’.
L’amore comprende la totalità dell’esistenza in ogni sua dimensione.
La sua promessa mira al definitivo: l’amore mira all’eternità”.
(Benedetto XVI, Dio è amore, n° 6)
In un mondo dove non si cerca più ciò che è definitivo, dove l’impegno
a lungo termine perde il suo valore, dove la vita religiosa è per le persone ingenue, ho comunque potuto pronunciare, nella serenità e nella pace profonda, i
miei voti “perpetui” il 3 settembre 2005.
Come si arriva a questa scelta di vita? Come ci si prepara a vivere questo
momento così importante?
Certo, contano molto gli anni vissuti in fraternità, tempo necessario
per scoprire e approfondire ciò che, insieme alle mie sorelle, desideriamo vivere
seguendo le intuizioni e la vita di Charles de Foucauld e del nostro fondatore
Padre Renè Voillaume. Poi c’è un cammino di fede che si approfondisce e prende radici nella vita e questo in una relazione d’amore.
L’essere umano è un essere di relazione e per realizzarsi ha bisogno
d’amare e di essere amato. Questo è vero per ogni relazione umana e bisogna
correre dei rischi per amare.
Soprattutto bisogna rischiare di donare senza ricevere niente in cambio,
rischiare anche di sentirsi traditi. Quante relazioni umane si spezzano, per questo, tra genitori e figli, tra coppie, tra amici…
Scegliere la vita religiosa può sembrare, in un certo senso, di scegliere
un Amore sicuro! Allora è una vita senza rischi? Sicuramente no! Prima di tutto
direi che non ho scelto ma, cercando di essere vera con me stessa, ho sentito
che dovevo assumere il rischio di provare questa forma di vita religiosa, che è la
Fraternità. Mi sembrava, infatti, che rispondesse al desiderio che sentivo in me
di vivere “a pieno” il Vangelo.
La mia partenza per la Fraternità, mi ricordo di averla presentata alla
messa dei bambini, come “il fare un passo nel vuoto, sicura che Qualcuno mi
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avrebbe impedito di cadere in fondo al precipizio”, se questa vita fosse stata la
risposta alla chiamata del Signore.
Il rischio è quello d’imparare giorno dopo giorno a rispondere a questo
amore che non ti lascia mai, che è sempre lì, per primo, anche quando sembra
essere assente e che richiede d’imparare a rispondere con amore e sempre meglio. Un Amore che diventa esigente! Come scoprire questo Amore?
Credo semplicemente nel vivere quotidiano, quando si deve conciliare
il desiderio, che a volte è piuttosto un sogno, (il sogno di donare la propria
vita), con la realtà, spesso mediocre, che si vive. Una vita banale, come quella
di tutti.
Posso dire che, la realtà che mi si è imposta attraverso la malattia, è stata una
buona scuola di vita e, nello
stesso tempo, è stata per me la
prova, la certezza che il Signore
mi chiamava a vivere una vita
religiosa.
Benché avessi il desiderio di scoprire un’altra cultura, un altro popolo e pensassi
di poterne condividere la vita,
benché pensassi d’imparare ciò
che è l’essenziale di una vita e
desiderassi condividere i doni
ricevuti, ho tuttavia dovuto
ammettere che forse il Signore non aveva bisogno di me,
L’abbraccio di pace di Bruna col suo Vescovo
almeno, non come io l’avevo
pensato e previsto. Eppure si
canta “Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani… oggi, per condurre gli
uomini a sé… Cristo non ha mani”.
Ho potuto vivere con una certa serenità il tempo della malattia perché il
Signore mi teneva nella sua Mano e ho potuto, non so bene come, dargli fiducia
e riposarmi in Lui.
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Questo mi ha aiutata anche a dire il mio “si” a questo amore e per me
oggi, vivere nella fraternità, significa accettare il rischio d’imparare a rispondere
in modo sempre più adeguato a questo Amore che è lì, presente nella mia vita e
che mi precede sempre.
Dopo un anno è con gioia che vorrei, attraverso queste righe, ringraziare tutti quelli che hanno partecipato a questa celebrazione, tutti coloro che
erano in comunione con noi attraverso la preghiera, tutti quelli che con generosità e grande disponibilità hanno lavorato e hanno permesso che la celebrazione
fosse una bella festa e un momento forte di lode e di ringraziamento.
Festa dell’Amore di Dio per ognuna delle sue creature.
Piccola sorella Bruna Faldi
“ Questo amore
è un amore così grande
che basta a nutrire una vita,
senza nessuna occupazione esterna”
Fr. Charles a suo cugino Louis
23 giugno 1895
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ECUADOR: FRATERNITÀ DE LA IMMACULADA
Una bella esperienza d’amore vissuto lassù, sulle montagne
“Amando gli uomini si impara ad amare Dio”.
(Fr. Charles a Louis Massignon,
maggio 1912)
“Il ladro viene solo per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché
abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv.10,10).
La “pachamama” (la Madre Terra) ci dà tutto. Tutta la creazione è armonia: Dio, l’essere umano, la natura…
Ten è una persona di grandi ideali, con un cuore che si intenerisce nella
gioia come nella tristezza. È sempre pronta a donarsi.
La realtà tocca i suoi sentimenti più nobili, per esempio quando vede
che quelli che hanno il potere non sono mai sazi e vogliono sempre di più, per
loro la vita non ha più un valore sacro. Preferiscono uccidere la vita pur di avere
maggior prestigio, forza e potere.
I mezzi di comunicazione sono i loro alleati preferiti per alienare le
mentalità, anche con violenza, una violenza camuffata da sviluppo straordinario, atto a produrre una nuova generazione d’avanguardia.
I poveri sono stanchi di soffrire, ma nonostante questo, lavorano duro
e non si lasciano cadere le braccia, anche se a volte fanno buon viso a cattivo
gioco. In mezzo a tutto questo brilla una piccola luce che ha la forza dell’amore,
la forza di ciò che è nascosto ma che esiste nel profondo dell’essere umano, quasi
prigioniero dentro di lui.
Ten vuole vivere qualcos’altro, ma non sa bene cosa…
Il suo amico Lan la invita a salire in montagna, per vivere per un po’
con la sua famiglia. Ten accetta l’invito, anche se dentro di sé sente un certo
timore.
Vivendo con la famiglia di Lan, Ten entra poco a poco nella vita del
popolo della montagna. Si rende conto di quanto questa comunità sia unita e di
tutti gli sforzi che i suoi membri fanno per migliorare la loro vita.
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Un giorno due persone del
villaggio si ammalano gravemente;
sono talmente povere che neppure la
loro famiglia può aiutarle.
In questa situazione Ten si
sente spinta ad agire ma si dice: “Da
sola non ce la farò, vado a chiedere ai
vicini del villaggio cosa fare”.
Questi si riuniscono e aiutano quelle due persone, organizzandosi dando loro denaro e cibo.
Questa disponibilità di servizio tocca profondamente il cuore di Ten e
Lan, che si rendono conto della forza
che un popolo può avere quando si
organizza e quando ciascuno offre la
propria collaborazione.
Ten e Lan continuano a vegliare sui loro amici malati. Li vanno
a trovare all’ospedale e si rallegrano
di vedere che stanno meglio. Sentono
che in loro si è accesa una fiamma,
la fiamma dell’amicizia e dell’amore.
Questo amore per i più poveri arde
sempre di più.
Alcuni vicini assistono i due
malati: lavano la loro biancheria,
danno loro da mangiare, portano loro
maglie di lana e “espadrillas” perché
non abbiano più freddo, li pettinano
perché siano dignitosi e ben curati.
Ten, una donna india
Ten: “Sai, Lan, non tutti nel villaggio hanno risposto alla domanda di
aiuto, però quelli che sono venuti mi hanno fatto riflettere non tanto con le
parole, quanto con il loro agire. Sono uomini e donne di carità che continuano
a fare il bene nonostante le critiche degli altri”.
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Lan: “I miei genitori hanno sempre detto che ciò che deve motivare le
persone è l’amore di Dio e del prossimo e che, se mettessimo questo in pratica,
il mondo sarebbe più umano”.
Ten: “Sono quasi cinque mesi che sono qui, devo tornare a casa e scendere dalla montagna. Ho sentito la bontà di Dio e la generosità che ognuno porta in cuore. Dio ti benedica; grazie di avermi permesso questa bella esperienza.
Me ne vado, non col cuore vuoto, ma al contrario col desiderio di continuare a
impegnarmi con ogni mio fratello, ovunque lo incontri”.
(Parabola a partire da una storia vera)
Piccola sorella Maritza Alvarez
“Che le loro fraternità siano
dei luoghi d’amore…”
Costituzioni delle Piccole Sorelle del Vangelo
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FRANCIA: FRATERNITÀ DE AULNAY-SOUS-BOIS
Uno sguardo d’amore che fa esistere
“Avere per ogni essere umano, chiunque esso sia,
i sentimenti di un tenero fratello”.
(Fr. Charles)
Aulnay è una di quelle periferie parigine che sono state teatro di disordini e
guerriglie urbane. Nadia ci racconta come cerca di seminare pace in questo contesto.
Andando al lavoro alla cappella S. Paolo (faccio l’animatrice pastorale),
in uno di questi giorni di inizio luglio, vedo qualcosa che mi fa rabbrividire: il
panificio, che era stato risparmiato dalle violenze di novembre, non esiste più. È
l’epilogo di una notte violenta.
Infatti questa notte la polizia ha inseguito un ladro di automobili, i giovani del quartiere hanno incominciato a tirare sassi ai poliziotti e, come ultimo
atto, hanno incendiato tre negozi.
“Siamo seduti su un barile di esplosivo!” dice un poliziotto.
“La tensione cresce ogni giorno”, gli fa eco un rappresentante del
Comune.
Ci sono alcune famiglie che traslocano dopo 30-40 anni di residenza:
“Non possiamo più vivere qui” dicono.
Dopo le violenze di novembre, sentivamo che “il fuoco(letteralmente!) covava sotto la cenere” e che niente era risolto nei nostri quartieri a nord di Aulnay.
Hanno forse ragione quelli che dicono: “Che cosa può uscire di buono
da Aulnay?”
Non so perché ci sia questa voglia di distruggere, di bruciare strutture
che servono a tutti.
Non sono né psicologa, né sociologa e non so fare analisi, ma per quanto mi riguarda e per ciò che so fare, penso che sia estremamente importante
tessere relazioni, aiutare la gente a incontrarsi, a creare un tessuto umano: è
l’ossigeno che permette di vivere!
Gesù non ha smesso di ripetere che non era “solitario”, che era in comunione con il Padre. Questo ci può sembrare molto bello e di alta densità spirituale, ma può restare un discorso vuoto, fatto solo di parole. Però Egli mette
in pratica queste parole quando tesse legami con le persone che incontra, gente
di ogni origine e situazione.
Nemmeno si accontenta che lo vengano a cercare, ma va verso di loro,
sempre pronto a dire una parola che dà vita.
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Se il Vangelo ci racconta tutti questi incontri di Gesù, penso che sia
questa la dimensione della vita che siamo chiamati a vivere, in primo luogo per
dire che Dio è Amore, cioè relazione, apertura…
Come vivere questa realtà qui a Aulnay, dove la violenza e la paura
sembrano aver ragione?
Mi sembra fondamentale rispondere con gesti eloquenti, con impegni
che vanno in questo senso.
Dio è Amore, ma l’Amore non è un sentimento: è un impegno.
“Cercate il bene” (Am.5,14) e il bene è molto concreto: è fare tutto il
possibile perché l’altro si senta bene, si senta meglio…
Gli incontri che organizzo alla cappella San Paolo con i genitori dei ragazzi che vengono al catechismo hanno questo scopo. Quest’anno ho proposto
quattro incontri biblici, ma mi chiedevo come fare, visto che non tutti sanno
leggere il francese. Allora dopo aver proposto di guardare un video ho scelto
un’immagine sul tema, ho proposto di dividersi in gruppetti e di discutere a
partire da tre domande. Abbiamo finito l’incontro condividendo le riflessioni e
pregando insieme.
“E allora? – si potrebbe obiettare – Tutto qui? Non è gran ché!”
E invece sì! Genitori che trovano un luogo dove esprimere la loro fede,
le loro difficoltà… Uomini e donne che condividono ciò che possono della loro
vita, talvolta così difficile… Sì, il Signore è presente in questi incontri e poiché
è amore, non può che gioire!
Piccola sorella Nadia al corso di alfabetizzazione
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Un altro luogo dove si creano legami è il gruppo di donne che incontro
ogni settimana al corso di alfabetizzazione per adulti: due senegalesi, cinque
magrebine, tutte mussulmane e una laotiana.
Si deve veramente stare bene quando si riesce a scrivere la propria firma, a leggere alcune sillabe, a pronunciare una parola, poi una frase…
Poi ci sono i legami che si creano tra di loro e con me, sempre accolta
come “un’ospite di Dio” quando vado a trovarle. Poiché Dio è relazione, apertura, deve gioire di questo dialogo interreligioso nel quotidiano!
La vigilia di Natale, i giovani mussulmani del quartiere, che si incontrano regolarmente con i giovani della nostra cappella, ci hanno consegnato
una lettera di auguri, che ho letto alla messa della notte di Natale in una chiesa
gremitissima. Un applauso ha accolto questi auguri.
A questo messaggio di pace abbiamo risposto in occasione della loro
festa di Aid-el-Kebir.
Tenendo conto di questo lavoro che già si fa, l’équipe pastorale mi ha
incaricata di formare un gruppetto di persone che coordini le relazioni e le iniziative con i credenti mussulmani.
Sono felicissima di questo perché “…il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa… è esigito dal profondo rispetto che si deve
verso tutto ciò che lo Spirito, che soffia dove vuole, ha operato nell’uomo…
Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la Chiesa oggi: in effetti la incitano a scoprire e a riconoscere i segni della presenza di Cristo e dell’azione
dello Spirito”. (Dal documento “Dialogo e annuncio” della Conferenza Episcopale per il Dialogo
Interreligioso e della Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli)
Ho incominciato citando Charles de Foucauld, voglio finire con frate
Christian de Chergé, monaco di Tiberine in Algeria, rapito e ucciso con altri sei
monaci nel 1996.
Scrive nel suo testamento: “Ecco che potrò, se piace a Dio, fissare il mio
sguardo in quello del Padre, per contemplare con Lui i suoi figli dell’Islam, come
Lui li vede, tutti illuminati dalla gloria di Cristo, frutti della sua Passione, investiti
del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di creare la comunione e di
ristabilire la somiglianza, ‘giocando’ con le differenze…”.
Molti uomini e donne, qui a Aulny, sono impegnati in varie associazioni. Credenti di diverse religioni, oppure non credenti, cercano di avere questo
sguardo “innamorato dell’uomo” e Dio sicuramente gioisce di questo, perché
è Amore.
Piccola sorella Nadia Rizzardi
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EQUADOR: FRATERNITÀ DE LA IMMACULADA
Il quotidiano: una scuola d’amore
Un bambino gioca per la strada
pieno di gioia.
Una mamma torna stanca dal lavoro
dei campi.
Un mendicante ci chiede del pane
per la giornata.
Tanti volti che incontro ogni giorno.
Scorgo nei loro occhi un riflesso di Dio.
“Quello che avete fatto ad uno di questi
piccoli lo avete fatto a me” (Mt. 25,40)
Dio ci dà appuntamento
sulle strade della vita,
è un Dio d’amore.
Non vale niente. È tonto!
Tutti deridono Pacho.
Lo accogliamo alla “scuola alternativa”
del villaggio e riesce ad integrarsi.
Alla fine dell’anno è una delle “star”
alla festa di chiusura.
“Tu sei prezioso ai miei occhi, perché
sei degno di stima e ti amo” (Is. 43,4)
Dio ci chiama
ciascuno per nome,
è un Dio d’amore.
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Un incidente nei campi,
un bambino muore, un figlio unico.
Suo cugino è morto in un altro
incidente due anni fa.
La comunità veglia il bambino.
Lacrime, disperazione. “Perché?”
“Mio Dio, perché mi
hai abbandonato?” (Mc. 15,34)
Dio condivide la nostra
condizione umana fino alla fine,
è un Dio d’amore.
Ramona si ammala gravemente, per
dieci giorni sta tra la vita e la morte.
Suo figlio, adulto handicappato
mentale e fisico, rimane solo. Che fare?
Una gara di solidarietà si mette in
atto nella comunità.
Siamo commosse da questa
profonda umanità:
sono nuove strade che si aprono.
“Sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza” (Gv. 10,10)
Dio è il Dio della vita
e della speranza,
è un Dio d’amore.
Piccola sorella Christine Kohler
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HAITI: FRATERNITÀ DI PORT-AU-PRINCE
Storia di un “cuore a cuore”: Gesù ci attira a sé
La spiritualità di Charles de Foucauld è molto legata
al Sacro Cuore, a giusto titolo,
perché fr. Charles è stato fortemente marcato dal messaggio
di misericordia proposto da
questa devozione.
Dal 1899 al 1913, gli
anni della maturità, fr. Charles esprime in modo visibile la
sua devozione al Sacro Cuore
disegnando il logo del cuore
sormontato dalla croce, che
metterà come intestazione sulle
lettere, meditazioni e libretti di
appunti, e sulla sua tunica.
A Beni-Abbes il disegno del Sacro Cuore sarà il quaDisegno fatto da fr. Charles
dro centrale della cappella.
sul muro della cappella di Bénì Abbès
Dopo il 1913 non troviamo più traccia di questo emblema né sulle sue carte, né sul suo abito bianco, ma la preghiera e il desiderio
che il Cuore di Gesù possa risplendere, restano sempre presenti nei suoi scritti
e nella sua vita.
Dopo le rivelazioni a santa Margherita Maria Alacoque, nel XVII secolo, a Paray le Monial (Francia), la devozione al sacro Cuore si diffonde e si
afferma nella Chiesa, soprattutto nel XIX secolo, incoraggiata da papa Leone
XIII, con l’enciclica “Annum Sacrum” del 1899.
In Francia, questa devozione si rende particolarmente visibile con la
costruzione della Basilica di Montmartre, dedicata al Sacro Cuore, cominciata
nel 1881 e terminata nel 1919. A Montmartre nel 1885, prima ancora che la
costruzione sia terminata, il Santissimo Sacramento è esposto giorno e notte,
24
a significare che “il Cuore di Cristo trafitto è la rivelazione dell’Amore di Dio
manifestato nella celebrazione dell’Eucaristia e nell’adorazione del Santissimo Sacramento”.
Sappiamo quanto fr. Charles amasse andare a pregare alla Basilica, ogni
volta che gli era possibile. Era anche in relazione con la confraternita della Basilica. È interessante notare che il Sacro Cuore con le braccia spalancate, in piedi
sul globo terrestre, disegnato da fr. Charles, riprende l’immagine diffusa dal
Santuario e approvata da papa Leone XIII.
Fr. Charles la mette anche sul frontespizio dei Regolamenti e Costituzioni dei Piccoli Fratelli e Piccole Sorelle del Sacro Cuore.
La basilica di Montmartre dedicata al Sacro Cuore
Il significato di questa immagine è molto ricco: rappresenta il Risorto
e nello stesso tempo il Crocifisso, espressione della sovranità di Gesù su tutta la
terra e nella vita di ciascuno.
Nel corso degli anni1899-1900 (data della pubblicazione dell’Enciclica del Papa), fr. Charles adotta l’emblema del cuore sormontato dalla croce,
accompagnato dalle parole latine “Jesus Caritas”: la prima parola scritta al di
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sopra del disegni e l’altra al di sotto. Il cuore e la croce sono di colore rosso su
fondo bianco. Rosso come il sangue, sangue versato, donato per amore. Questo
piccolo simbolo ha la forza di riassumere, a colpo d’occhio, il “nocciolo” della
fede cristiana, la nostra fede.
Fr. Charles scrive: “Questo cuore sul mio abito è lì per ricordarmi Dio e gli
uomini, ricordarmi di amarli”. (Appunti personali)
L’abate Huvelin aveva detto di questo suo figlio spirituale: “Ha fatto
della religione un amore”.
L’esperienza di accoglienza, di perdono, di misericordia, vissuta dal giovane Charles un giorno di fine ottobre 1886 (data della sua conversione) è stata
così forte e travolgente, che il suo più grande desiderio sarà di testimoniare e annunciare specialmente alle “nazioni infedeli”, l’amore di Dio, che Dio è amore.
Nelle sue meditazioni fr. Charles mette in bocca a Gesù le parole che
spiegano il simbolo del cuore: “il riassunto di tutta la religione è il mio Cuore... Il
mio cuore ti ricorda che Dio è amore e che tu sarai perfetto solo nella misura in cui
gli assomiglierai e gli sarai unito”. (Meditazioni 1898-1915)
Questa unione si manifesta e
si realizza nella vicinanza e nel servizio agli altri. È ancora Gesù che dice
a fr. Charles: “È l’amore che deve raccoglierti in me, non l’allontanamento
dai miei figli. Vedi me in loro e, come
ho fatto io a Nazaret, vivi con loro,
perduto in Dio”. (Diario 1904-1905)
E ancora: “Amare il prossimo,
per arrivare in questo modo ad amare
Dio: questi due amori non possono stare l’uno senza l’altro. Come acquistare
l’amore di Dio? Praticando la carità
verso gli uomini”. (Opere spirituali)
In questo modo fr. Charles
unifica i due comandamenti dell’Antico Testamento interiorizzandoli, secondo la parola di Gesù, come l’unico comandamento dell’Amore.
Frère Charles a Benì Abbès
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Nel corso della storia, la
devozione al Sacro Cuore non ha
mancato di critiche: come venerare
un “organo”? Perché attribuire tanta
importanza a una parte del corpo?
Fr. Charles non sembra essere toccato da questi interrogativi: per
lui Gesù è Amore e l’immagine del
cuore è l’espressione intensa e concreta di questo amore. Il Cuore di Gesù
è Gesù stesso, Gesù che ama il Padre
e gli uomini.
Nei suoi scritti fr. Charles si
rivolge al Cuore di Gesù e lo prega
come una persona: il Sacro cuore è
Gesù che vive e sempre ama gli uomini.
Charles de Foucauld
Lo prega così: “Sacro Cuore
di Gesù, ti supplichiamo, facci amare
Dio come tu vuoi che lo amiamo, avvolgi i nostri cuori nelle tue fiamme, te li doniamo e te li consacriamo per sempre. Fa che in essi bruci quel fuoco che sei venuto ad
accendere sulla terra, infiammali, fa che brucino e che loro stessi infiammino gli altri
e non cessino di essere ogni giorno più ardenti e luminosi, fino al nostro ultimo respiro. Per la tua più grande gloria, in te, per te e per mezzo di te. O cuore così tenero e
dolce, così amante e così amabile, del nostro Diletto Gesù”. (Regolamento e Direttorio)
Al capitolo 37 dei “Regolamenti” dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore
fr. Charles spiega la portata spirituale di questo nome che ha scelto per la congregazione che vorrebbe fondare.
Scrive: “Siamo degni del nostro sacro nome: siamo ardenti di amore come
il Cuore di Gesù. Amiamo tutti gli uomini, fatti a immagine di Dio, come questo
Cuore che ha tanto amato gli uomini. Amiamo Dio per se stesso e per lui dobbiamo
amare tutti gli uomini. Amiamo Dio come lo ama il Cuore di Gesù… Amiamolo
come lui e vogliamo unicamente il suo bene”. (Regolamento e Direttorio)
Nelle Costituzioni delle Piccole Sorelle del Sacro Cuore, il primo articolo dice che la missione delle Piccole Sorelle è di “far regnare Gesù e la carità nei
loro cuori ed intorno a loro”.
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L’amore è contagioso, si diffonde, non lascia indifferenti, ma attira,
trasforma, riscalda, illumina. L’amore assomiglia al fuoco che brucia e rende
brucianti È di questo fuoco che le Piccole Sorelle e i Piccoli Fratelli devono
vivere e rendere testimonianza.
L’emblema che Fr. Charles
metteva su tutti i suoi scritti
Ciò non si realizza in un sol giorno: il
fuoco ha bisogno di essere alimentato per restare vivo e dinamico, per bruciare e scaldare.
Allo stesso modo il nostro desiderio di amare:
ha bisogno di essere unito alla Sorgente per
restare limpido ed essere capace di dissetare.
Le nostre Costituzioni ce lo ricordano: “La Sorgente di ogni apostolato è nel Cuore
di Cristo, primo ed unico apostolo, e nella Chiesa a cui ha affidato questa missione. Il loro slancio apostolico si alimenta all’Amore che brucia
nel Cuore di Cristo per suo Padre e per tutti gli
uomini, in particolare per i più piccoli”.
(Costituzioni delle Piccole Sorelle del Vangelo, n.4,1-2)
Possa questo desiderio crescere senza posa nei nostri cuori per poter dire
come fr. Charles:
“L’amore di Dio, l’amore degli uomini è tutta la mia vita, sarà tutta la mia
vita, lo spero”.
Piccola Sorella Luisa Dell’Orto
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FRANCIA: FRATERNITÀ DI AULNAY-SOUS-BOIS
Camminare accompagnati con amore
“Sì, l’amore è ‘estasi’, non nel senso di un momento di ebrezza,
ma estasi come cammino, come esodo permanente,
che va dall’io chiuso su se stesso
verso la liberazione, verso la scoperta di se stesso,
anzi, verso la scoperta di Dio”.
Benedetto XVI, Dio è Amore, n.6
Quaresima 2006, nella nostra diocesi di Seine-Saint Denis… Per il
secondo anno consecutivo si propone ai cristiani la possibilità di vivere un
“ritiro nelle vita ordinaria”. Si trattava di rischiare un’avventura… in realtà fu una bella
avventura!
Si sono presentate circa settanta
persone e noi eravamo una trentina di volontari per accompagnarli nel loro percorso.
C’erano persone di tutte le età, paesi e professioni. Questo ritiro si doveva svolgere nel
loro quadro abituale di vita: vita di lavoro,
di famiglia, vita di giovani o di pensionati.
Come primo punto ognuno si impegnava a prendere ogni giorno un “tempo
per Dio”, variabile secondo le situazioni e le
possibilità di ciascuno. Un tempo per accogliere la Parola di Dio meditata e pregata.
Forse avremo solo dieci minuti da
dedicare al mattino prima di andare al lavoro, ma la Parola ci accompagnerà durante
tutte le nostre attività, pronta a riemergere
La cappellina della fraternità di Aulnay
nei momenti un po’ vuoti, forse alla fermata di un semaforo o durante il tragitto sui mezzi pubblici, o in mezzo alle molteplici piccole attività quotidiane…. Si tratta di imparare di nuovo a rivolgerci
verso Dio, che è sempre fedele e presente accanto a noi.
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È stato un bel percorso quaresimale sia per i partecipanti che per gli
accompagnatori. Ci sono stati anche dei momenti più difficili, in cui emergeva
l’esigenza di fare verità su se stessi, su Dio e sugli altri.
Ogni settimana i partecipanti incontravano il proprio “accompagnatore” per fare il punto del cammino personale e anche ogni settimana ci incontravamo tutti per una introduzione alla tappa successiva e per un momento di
preghiera comunitaria.
Poiché l’amore è il motivo di ogni vita, già dalla prima settimana ci è
stato proposto di considerare l’appello di Dio che ci invita ad una Alleanza di
amore con Lui.
Nella quinta settimana noi seguiamo Gesù nella sua PASSIONE e
RESURREZIONE.
“Io sono la resurrezione e la vita. Credi tu questo? Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, Colui che viene nel mondo” (Gv. 11,27).
Il nostro Dio non è indifferente alla sofferenza umana e alla morte. Si
fa vicino ai suoi amici nel cordoglio, si commuove e si turba interiormente per
la loro sofferenza. Piange davanti alla tomba del suo amico Lazzaro.
E noi? Abbiamo abbastanza fede per credere che Dio soffre con noi?
Che è turbato dalla nostra sofferenza? Che è al nostro fianco?
“Io sono la resurrezione. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. Credi tu?”
(Gv. 11,26).
Ora è a me che è posta questa domanda: “Credi tu?”.
Personalmente, ho avuto la gioia di accompagnare due partecipanti.
Altri ho potuto aiutarli attraverso l’ascolto e il sostegno della mia preghiera e
qualche volta anche con un consiglio. Ma ciò che vorrei dire a ciascuno di loro è
soprattutto un “grazie”. Accogliendo ciascuno vedevo il Signore agire in loro.
Spesso mi ritornava in mente il racconto del roveto ardente e Dio che
dice a Mosè:
“Togliti i sandali, perché il luogo sul quale stai è santo” (Es. 3,5).
Che questa bella avventura d’amore possa approfondirsi in ciascuna
delle nostre vite. Il Signore è paziente e fedele. Ritorniamo sempre a Lui.
Piccola sorella Maithé
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“Come la pioggia e la neve
scendono giù dal cielo e non vi ritornano
senza aver fecondato la terra,
così è della Parola che esce dalla mia bocca.
Non torna a me senza effetto,
senza aver compiuto ciò che avevo voluto”
(Is. 55,10)
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ITALIA: FRATERNITÀ DI VICENZA
Amare è risvegliare il bambino che è in noi
“Non c’è niente di meglio per l’anima
che farne un’anima meno triste”.
P. Verlaine
“C’era una volta e forse c’è ancora, in un tempo non molto lontano e
in un mondo non molto diverso, un bambino un po’ “strano”… “Strano?” vi
chiederete. Si, STRANO. “Strano” è un modo di dire che usa la gente quando
non capisce qualcosa e allora dice “strano” per non dire “matto”… Come tutti
gli altri bambini, questo bambino mangiava, dormiva e cresceva, ma, come nessun altro, il suo cuore sussultava e si gonfiava di emozione.
Un giorno incontrò in un angolo della strada un uomo vestito di stracci. Allora il cuore del bambino si gonfiò tanto che una grossa goccia rossa gli uscì
dal naso e al contatto con l’aria si solidificò.
Proseguivano i giorni e proseguivano gli incontri. Al bambino
“strano” succedeva sempre la “strana”
cosa: il cuore traboccava di emozione, dal naso perdeva una goccia che
poi si solidificava in una buffa bolla
rossa che rimaneva appiccicata, proprio al centro del viso. Accortosi del
potere del suo “naso rosso”, il bambino “strano” faceva a tutti la sua
“magia”: al manager impegnatissimo
– preso solo dal suo lavoro – offriva
l’azzurro della calma, all’anziano depresso dava un po’ di rosso passione;
alla donna intrappolata nella ricerca
della ricchezza materiale tendeva un
po’ di indaco spirituale; alla persona
diversamente abile portava un po’ di
arancione di vita, e così via… per ciascuno il suo colore!
Maria Cristina con un’anziana
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Fu così che il bambino scoprì che la sua “stranezza” diventava un dono:
quello di salire in alto sulle ali della fantasia e di cavalcare i colori dell’arcobaleno! Poiché il bambino faceva ridere un po’ tutti, molti incominciarono a chiamarlo “il clown” come quei personaggi di spettacolo che al circo fanno divertire
la gente. Vi auguro di incontrarne uno anche voi, poiché l’Amore e la Fantasia
del naso rosso “COLORANO” la vita.” (Tratto da Vip Clown news – anno 2- n° 1)
Perché vi racconto tutto questo? Perché da poco faccio una formazione con una associazione che raggruppa circa 1600 clown: visitano i malati in
71 ospedali, vanno in Brasile dai bambini di strada, organizzano dei corsi per
insegnare le attività circensi ai giovani delle nostre periferie sensibili. A Vicenza
siamo circa 70.
Avevo sentito parlare dei clown presenti in ospedale già da molto tempo, quando ero in Francia. Mi era venuta la voglia di diventare clown per poter
giocare con i bambini in ospedale, trascorrere un momento di serenità con gli
anziani in casa di riposo, con i diversamente abili nelle comunità terapeutiche…
con un allegro “naso rosso”!
Non “si fa” il clown, “si è” clown, si fanno venir fuori le emozioni che
ci abitano, i gesti che ci permettono di incontrare l’altro facendo vibrare il suo
cuore. Il sorriso è uno strumento benefico che ci permette di affrontare le difficoltà della vita.
Maria Cristina e gli altri clown in una manifestazione in piazza
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“Sorridi di me, per il mio naso rosso,
sorridi di me e dei miei buffi palloncini,
ti ritrovi a sorridere con me,
ad osservare in modo diverso la sofferenza
che ti costringe in questo letto.
Mi guardi in fondo agli occhi,
uno sguardo che arriva fino all’anima,
mi chiedi risposte che no ho.
Posso solo aprire il mio cuore,
raccogliere le tue lacrime e
trasformarle in un abbraccio,
in un sorriso, in un naso rosso solo per te.”
(VIP ITALIA ONLUS)
(Viviamo in positivo)
Questo inverno ho disegnato dei pagliacci per decorare le finestre della
casa famiglia dove lavoro. Molti allora mi hanno detto: tu potresti essere uno di
questi clown che vengono a trovarci!
Al lavoro mi chiamano già “suor Perla”!
Il mio nome da “clown” è MADREPERLA. Qui a Vicenza le suore
sono chiamate “Madre”. Ho aggiunto “perla”, perché in essa si riflettono i colori
dell’arcobaleno. Il lavoro del mio personaggio clown è di andare in cerca di
perle, di cercare la perla che si nasconde nel più profondo del cuore, come in
fondo al mare della vita… E così scopro il profumo prezioso dell’esistenza in
tanti gesti, sorrisi, attimi magici del nostro quotidiano. “Perla” in greco si dice
“margarites”, da cui deriva il nome di un fiore di campo: margherita.
Quando realizzo un’icona del volto di Cristo, di Maria, di un Angelo,
traspare dalla pittura la stessa Luce che fa brillare lo sguardo di gioia, compassione, tenerezza. Sul nostro abito “clown” indossiamo un camice decorato con
tanti disegni allegri. Sul mio ho disegnato i tesori che ci sono in fondo al mare,
tanti pesci rossi che guizzano felici, farfalle, stelle con lunghe scie luminose, e
un’enorme ostrica con la PERLA.
Non conosco ancora le tecniche per l’animazione, improvviso, in più
sono molto timida e allergica ai prodotti per il trucco… Do semplicemente
quello che sono: accompagno gli altri clown e incoraggio tutti con uno splendido sorriso rosso e lo sguardo luminoso dei miei occhi color “madreperla”.
Patch Adams, il medico clown da cui ci ispiriamo, dice:
“Useremo l’AMORE come la medicina più efficace”.
Piccola Sorella Maria Cristina Ciana
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ITALIA: FRATERNITÀ DI FOGGIA
Un amore attraversato dalle sofferenze della divisione e della malattia
Vorrei dire qualcosa su ciò che vivo agli Ospedali Riuniti di Foggia
come volontaria.
Faccio parte dell’A.V.O. (Associazione Volontari Ospedalieri) che assicura e coordina questo servizio su scala nazionale.
Tutti i lunedì mattina vado nel reparto di ematologia; d’accordo con il
Cappellano porto la Comunione a chi lo desidera.
Al primo incontro con i malati non mi presento come suora (l’AVO è
una associazione a confessionale; la croce è sotto il grembiule bianco), ma molto
presto gli ammalati lo scoprono, soprattutto quando cominciano a chiedermi
di dove sono (il mio accento romano mi tradisce), cosa faccio a Foggia, se ho il
marito foggiano, quanti figli ho, ecc.
Rimango spesso stupita nel vedere come quasi tutti, uomini e donne,
mettono la loro vita e la loro salute nelle mani di Dio.
Certo non per tutti è così facile e io sto attenta a non forzare, ma appena posso io ne approfitto per parlare del Signore, nostra sola speranza.
In questo reparto hanno tutti delle malattie gravi: leucemie, linfomi,
anemie gravi ecc. In genere non si fanno troppe illusioni sulla loro guarigione,
ma lottano tutti con coraggio fino all’ultimo.
Periodicamente ritornano in ospedale per dei cicli di chemioterapia o
per dei controlli; questo fa sì che nascano piccole amicizie.
Molto tempo lo passo nelle stanze sterili dove i malati sono più soli e
angosciati per l’esito incerto della terapia e per le sofferenze che vi sono legate.
Spesso mi domandano la Comunione e diventa una occasione per pregare un po’ insieme.
A volte lascio loro la preghiera di abbandono del beato Carlo de Foucauld, e se non hanno più la forza o il coraggio di leggerla, propongo loro di
dirla io a voce alta. Spesso delle lacrime nei loro occhi mi dicono fino a che
punto la seguono con il cuore. Più di un volta la comunione che ho dato loro è
stata l’ultima della loro vita.
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Normalmente non incontro le famiglie, perché non è orario di visita,
ma con i malati più gravi c’è quasi sempre presente un familiare e allora posso
dire anche a loro una parola di conforto, di speranza, …ma è così difficile!
Quando arriva la malattia tutta la famiglia è coinvolta e sconvolta, soprattutto quando ci sono bimbi che aspettano a casa, allora l’angoscia delle
giovani mamme è grande.
Carla e Marie Christine in una via del quartiere
Esco dall’ospedale con tutti quei volti nel cuore e li porto nella mia preghiera. Davanti a loro mi sento piccola e impotente; il mistero della sofferenza
è davvero grande.
Io non posso fare altro che affidarli tutti al Signore: è la nostra missione
di intercessione come Piccole Sorelle.
Piccola sorella Carla Staccioli
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ITALIA: FRATERNITÀ DI BARI
Un Dio che si incontra nei nostri “incontri”
“Tutta la storia dell’umanità
è storia del bisogno di amare
e di essere amati”.
(Giovanni Paolo II)
Una volta alla settimana aiuto una ragazzina di dodici anni a fare i
compiti.
L’ultimo giorno che ci vediamo, in modo del tutto inaspettato, la mia
“alunna” comincia ad esprimere tutte le sue paure: la paura di Dio, la paura di
parlarGli, la paura della morte… Inutile dirle ciò a cui io credo, tutto sembra
scivolare via: Gesù rimane una favola e la vita dopo la morte un’illusione.
D’altronde come potrebbe essere altrimenti?
Quando si ha un papà in prigione, una mamma segnata dalle prove
della vita, uno zio che è morto giovane – e la colpa ricade su Dio –, come si può
credere in un Dio liberatore, amante, appassionato dell’uomo?
Mi chiedo pure che senso può avere per lei la Cresima, che presto
riceverà.
Eppure arrivato quel giorno, sembra contenta e coinvolta in ciò che sta
accadendo.
Alla fine della celebrazione corro verso di lei: i nostri sguardi si incrociano e ci abbracciamo sorridendo.
Ripenso a tutto ciò che abbiamo vissuto insieme: la difficoltà per svolgere i compiti, le nostre discussioni e i nostri scontri, ma anche il suo impegno
e le sue confidenze, il nostro ridere e il nostro cantare…
Non credo ci siano stati dei grandi risultati scolastici, ma credo che un
legame si sia creato con i colori dell’Amore di Dio!
“Dio è grande!”
Con i suoi 22 anni, non può che avere i sogni delle ragazze della sua
età, ma sfortunatamente la realtà è tutt’altra: la sua casa è una piccola baracca, senz’acqua né elettricità, dove abita con i suoi genitori e per vivere chiede
l’elemosina (unico mezzo di sopravvivenza per il momento, visto che vorrebbe
trovare un lavoro).
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Marta ed Elisa mentre si recano al lavoro
Ogni tanto riesce a mandare dei soldi anche ai suoi fratelli rimasti
nel suo Paese d’origine, dove la sua famiglia ha perso tutto a causa delle inondazioni.
La vita è dura per lei: la vedo stringermi la mano e, con le lacrime agli
occhi, raccontarmi le sue umiliazioni e la sua tristezza; ma la vedo anche regalare
il suo bel sorriso ai passanti senza pretendere nulla in cambio e rispondere con
un “grazie” che viene dal cuore a coloro che le danno qualcosa.
Ci ha raccontato che è ortodossa, ma non abbiamo mai parlato di religione.
Un giorno, dopo che la sua mamma era uscita di prigione, incarcerata
perché clandestina, mi sembra giusto farle prendere coscienza della gravità della
situazione: il rischio di rimanere in Italia senza permesso di soggiorno, le sue
possibili conseguenze, ecc.
Mi lascia parlare e alla fine mi dice: “Dio è grande!”.
Rimango senza parole.
Le avevo prospettato un bel quadro oscuro, un’altra strada senza uscita…
ed è lei che mi ricorda che c’è sempre Dio e che Lui non può abbandonarci.
Sì, Dio è grande, ma bisogna essere “piccoli” come lei, per confidare nel
suo Amore.
Piccola sorella Marta
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Amando,
non fatevi prendere solo dagli aspetti tecnici…
Egli vi domanda di amare qualcuno,
di amarlo con amicizia,
teneramente,
come una persona
e non come una “caso da risolvere”.
Fr. René Voillaume
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FRATERNITÀ DE ANTSIRABÈ
L’amore: una boccata di ossigeno
“Quando ti abbiamo visto malato
o in prigione
e siamo venuti a visitarti?”
(Mt. 25,39)
Sono andata a visitare la prigione un po’ in punta di piedi, perché era
un ambiente che non conoscevo e che, del resto, non mi attirava in modo particolare.
Ma piccola sorella Nella, che vi lavorava già da diversi anni, ne parlava
con entusiasmo.
L’ho accompagnata una domenica per la Messa e mi sono commossa
nel vivere questa celebrazione con una comunità così vivace e partecipativa.
Dopo quell’esperienza ci sono tornata altre volte e mi sono lasciata
prendere il cuore al punto che quella è diventata la mia parrocchia.
Dopo la messa andavo nella sezione femminile e restavo a parlare con
le donne.
Poco alla volta mi hanno insegnato il gergo della prigione: ci sono le
“avvisate”, cioè quelle in attesa di giudizio; le “condannate”, cioè quelle che sanno già quanto tempo dovranno restare in prigione, le “viaggiatrici”; cioè quelle
sostenute materialmente dalla famiglia. Infatti il carcere dà una alimentazione
insufficiente e i prigionieri dipendono dagli aiuti esterni.
Mi hanno insegnato ad aspettare con impazienza il giorno del giudizio
o la grazia, che il Presidente delle Repubblica può accordare all’inizio dell’anno
o in occasione della festa nazionale.
Con loro gioisco per una liberazione o soffro per una pena più pesante
di quello che si aspettavano.
Una domenica stavo parlando con una donna quando ho visto un po’
di trambusto nel piccolo cortile e ho chiesto cosa stesse succedendo. Una dete-
40
Agnese davanti alla prigione
nuta doveva andare in ospedale, ma non aveva una famiglia che si occupasse di
lei; le sue compagne hanno fatto una colletta tra di loro perché potesse almeno
comperarsi da mangiare durante la degenza.
Penso che questo episodio sia stato quello che mi ha spinto a lavorare
in quell’ambiente.
Con l’aiuto delle ragazze che stanno facendo un periodo di formazione
nella nostra fraternità, abbiamo potuto cominciare un laboratorio di ricamo per
le donne, una biblioteca per uomini, donne e minorenni, un corso di francese
per i ragazzi, un piccolo laboratorio di disegno per gli uomini.
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Col passare dei giorni sono nate altre iniziative, come per esempio il
lavoro di alcuni uomini che trasformano vecchie monete in anelli.
Sono tutti mezzi che li aiutano a non sentirsi soli, sentono che contano
per qualcuno, che c’è gente che pensa a loro. Questo è essenziale in un luogo
chiuso come la prigione, con tante costrizioni e dove la promiscuità è pesante da
vivere. Sono sempre stupita nel vedere la loro gioia quando ci sono dei “vahiny”
(quelli che non sono della famiglia), che vengono a visitarli.
Ci sono anche tante belle cose, luminose, per chi sa vederle. La mamma
dell’ultimo bambino nato in prigione non ha famiglia, è una giovane donna abbandonata anche dal ragazzo che l’ha messa incinta. Non può ancora lavorare,
ma ogni sera il suo piatto fa il giro delle altre donne e quando arriva a lei è colmo
di una buona porzione di riso accompagnato da qualcos’altro.
Jessica ha 14 mesi, è nata
in prigione, anche il suo papà è
carcerato e si trova nella sezione maschile. I genitori di questa
bimba, insieme ad altri membri
della famiglia sono accusati di
ricettazione. Sono in prigione
da più di un anno e mezzo e
non sono ancora stati giudicati.
La domenica, alla Messa, il papà
si mette all’inizio di un banco,
dalla parte degli uomini e la
mamma fa la stessa cosa dalla
parte delle donne. Così il papà
può godersi la bambina almeno
per il tempo della preghiera.
Jessica è un raggio di
sole per tante donne frustrate
per la lontananza dai loro figli
ed è un po’ di gioia per tutti
quegli uomini che ritrovano un
po’ d’innocenza in questa bambina, che prendono in braccio
con tanta delicatezza.
Agnese con un’amica
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Oltre alla domenica, vado alla prigione due pomeriggi alla settimana ed
ora ci vado più volentieri, non tanto per il lavoro che devo fare, ma perché vado
ad incontrare degli amici, perché sono contenta di passare un bel po’ di tempo
con loro. Se io porto loro un po’ di aria dall’esterno, ricevo in cambio un po’ di
“ossigeno interiore”, che mi aiuta ad avere un altro sguardo sugli avvenimenti e
sulle persone.
Piccola sorella Agnese
Padre mio,
io mi abbandono a te,
fa di me ciò che ti piace,
qualunque cosa tu faccia di me
ti ringrazio.
Sono pronto a tutto,
accetto tutto,
purchè la tua volontà si compia in me
e in tutte le tue creature.
Non desidero niente altro, mio Dio.
Depongo la mia anima nelle tue mani,
te le dono, mio Dio,
con tutto l’amore del mio cuore,
perché ti amo
ed è per me un’esigenza d’amore donarmi,
rimettermi nelle tue mani,
con infinita fiducia,
perché tu sei mio Padre.
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