Dispensa Rossetti 28 aprile 2012 Danno Reddituale
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Dispensa Rossetti 28 aprile 2012 Danno Reddituale
Materiale didattico fornito dal dott. Marco Rossetti in occasione del Seminario del 28 aprile 2012 dal titolo: “ Le voci di danno e il loro computo nella materia contrattuale, extracontrattuale e lavoristica. ” Il danno patrimoniale da riduzione della capacità di guadagno Scheda di inquadramento e criteri di calcolo 1. Nozione. Una lesione della salute causata dall’altrui fatto illecito, oltre a produrre normalmente un danno biologico, può produrre altresì un danno patrimoniale da riduzione della capacità di guadagno. Occorre dunque tenere ben distinte, nel caso di lesione della salute, le perdita di tipo personale, dalle perdita di tipo patrimoniale. La perdita di tipo personale consiste normalmente nella soppressione o nella riduzione di tutte o di parte delle funzioni esistenziali del soggetto leso, ed è un danno biologico (ex multis, Cass., 14-051997, n. 4236; Cass., 24-06-1997, n. 5635; Cass., 25-08-1997, n. 7977). La perdita di tipo patrimoniale può consistere sia nelle erogazioni sostenute per elidere od attenuare gli effetti dell'evento dannoso (ad esempio le spese di cura), sia nella contrazione (attuale potenziale) dei redditi dell'infortunato, determinata dalle lesioni subite. Sussiste quest’ultimo tipo di danno quando, dopo la lesione ed a causa di essa, la vittima non sia più in grado di percepire il medesimo reddito di cui godeva prima del sinistro; ovvero - nel caso non fosse percettore di reddito - non possa più aspirare ad ottenere quel livello reddituale che avrebbe verosimilmente raggiunto in assenza della lesione (Cass. 29.10.2001 n. 13409, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 188; Cass. 27.7.2001 n. 10289, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 193). Il modo in cui una lesione della salute può incidere sull’attività di lavoro della vittima può essere triplice: (a) perdita del reddito (attuale o futura); (b) riduzione del reddito (attuale o futura); ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 1 di 38 (c) maggiore stancabilità o minore efficienza nello svolgimento dell’attività lavorativa (c.d. danno alla cenestesi lavorativa). Ovviamente, i tre effetti possono anche cumularsi, ma essi restano concettualmente ben distinti. Tuttavia soltanto i primi due tipi di danno costituiscono pregiudizi patrimoniali: il danno da maggiore affaticamento (ripetesi, ove disgiunto da conseguenze patrimoniali certe o ragionevolmente presumibili, come un anticipato pensionamento) costituisce un danno alla persona, cioè un danno biologico. Di tale pregiudizio, pertanto, si dovrà tenere conto nella personalizzazione del risarcimento del danno biologico (cfr. la scheda danno biologico), e non già nella liquidazione del danno patrimoniale. Ha infatti osservato, al riguardo, Cass. 24.3.2004 n. 5840, che la risarcibilita' del danno patrimoniale sussiste soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacita' del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della "cenestesi lavorativa", che consiste nella maggiore usura, fatica e difficolta' incontrate nello svolgimento dell'attivita' lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunita'sul reddito della persona offesa (c.d. perdita di chance), risolvendosi in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute. A tal fine il giudice, ove abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziatodel punto di invalidita', ben puo' liquidare la componente costituita dalpregiudizio della cenestesi lavorativa mediante un appesantimento del valoremonetario di ciascun punto, restando invece non consentito il ricorso al pa-rametro del reddito percepito dal soggetto leso; nello stesso senso, Trib. Roma 21.1.1997, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1997, 134; Trib. Roma 24.1.1998, ivi, 1998, 265). 1.1. Convenzioni terminologiche. Poiché, come si è visto, gli effetti personali della lesione della salute vanno tenuti distinti dagli effetti personali, questa distinzione concettuale deve essere appropriatamente rispecchiata da una distinzione lessicale. E' dunque opportuno, con la migliore dottrina, utilizzare il lemma invalidità (temporanea o permanente) per designare le conseguenze, comunque valutabili, di una compromissione della essenza "biologica" dell'individuo: le conseguenze, cioè, di una compromissione che limiti o precluda non questa o quella attività cui il danneggiato era dedito, ma ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 2 di 38 che si riverberi in tutte le attività, di qualsiasi tipo, ivi compresa quella lavorativa, cui il danneggiato era solito attendere prima dei sinistro, e ciò a prescindere da qualsiasi contrazione reddituale. L'invalidità è dunque un danno di tipo biologico, misurabile in termini percentuali secondo un baréme medico legale. Con il lemma incapacità (temporanea o permanente) è invece opportuno designare i riflessi patrimoniali derivanti dalla momentanea o definitiva impossibilità, per il soggetto leso, di svolgere la propria attività lavorativa. 2. Accertamento. 2.1. L'incapacità temporanea di guadagno. Si ha incapacità temporanea di guadagno quando la vittima di lesioni personali (fisiche o psichiche), a causa di queste debba momentaneamente rinunciare all’attività produttiva del proprio reddito, ovvero tollerarne una riduzione. Si tratta, in sostanza, del danno causato dalla forzosa assenza dal lavoro, a sua volta causata dalla lesione della salute. Perché possa ritenersi esistente il danno da incapacità temporanea, il danneggiato deve fornire la prova di due nessi causali: (a) tra le lesioni e l'impossibilità di svolgimento dell'attività lavorativa; (b) tra la durata della malattia e la durata dell'assenza dal posto di lavoro. Di norma, il danno da incapacità temporanea non sussiste per il lavoratore dipendente: infatti, nella maggioranza delle ipotesi, questi godrà per il periodo di forzata assenza dal lavoro dei benefici dell'assicurazione obbligatoria conto gli infortuni o, in mancanza, della tutela patrimoniale accordatagli dall'art. 2110 cod. civ.. In questi casi - quando, cioè, il lavoratore continui a percepire la propria retribuzione anche durante il periodo di inabilità temporanea - va esclusa l'esistenza stessa di un danno risarcibile (Cass. 13.9.1996 n. 8260, in Riv. giur. circ. trasp. 1996, 773; Cass. 6.12.1995 n. 12569, in Arch. circolaz., 1996, 441; Cass. 6.12.1994 n. 10454, in Riv. giur. circ. trasp. 1995, 572; Cass. 15.4.1993 n. 4475, Riv. giur. circ. trasp. 1993, 967; per la giurisprudenza di merito, nello stesso senso, Trib. Firenze 10.5.1991, Arch. circolaz. 1991, 842; Trib. Lanciano 29.5.1991, PQM, 1991, 46; Trib. Bari 3.4.1990 in Arch. circolaz. 1990, 597). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 3 di 38 Tuttavia anche nelle ipotesi in cui il lavoratore continui a percepire la retribuzione durante il periodo di inabilità, può comunque residuare un danno patrimoniale nelle seguenti ipotesi: (a) quando l’assicurazione obbligatoria o volontaria contro gli infortuni sul lavoro non copra il 100% della retribuzione; in questo caso l'autore dell’illecito è tenuto a risarcire al danneggiato la differenza tra la retribuzione che avrebbe normalmente percepito, e la minor somma percepita dall’assicuratore a titolo di indennità giornaliera; (b) quando l'assenza dal lavoro comporti la rinuncia ad utilità extraretributive aggiuntive, come ad esempio tredicesima mensilità (Trib. Firenze 27.5.1968, in Arch. resp. civ. 1969, 139); i compensi in natura (cfr. art. 30 co. Il d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124); i redditi aggiuntivi che trovano la propria fonte in consuetudini locali, come le mance (Cass. 25.9.1990 n. 9702, in Arch. circolaz., 1991, 112; Cass. 25.11.1980 n. 6247, inedita; Cass. 18.5.1976 n. 1775, in Giust. civ., 1976, I, 1268); (c) quando il protrarsi della malattia determini il superamento del c.d. periodo di comporto, e la conseguente risoluzione dei rapporto di lavoro. In quest’ultimo caso, il danno patrimoniale subito dal lavoratore è pari alla capitalizzazione del reddito perduto, secondo quanto si dirà a proposito del danno da incapacità permanente di guadagno. Si badi che, di norma, rispetto al soggetto non percettore di reddito in atto (minore, disoccupato, casalinga, pensionato, minorato) non è concepibile un danno da incapacità temporanea (Cass. 2307-1993, n. 8226, in Resp. civ., 1994, 54). 2.2. L'incapacità permanente di guadagno. Si ha incapacità permanente di reddito (o di guadagno) allorché si verificano due condizioni: (a) il soggetto danneggiato, una volta guarite le lesioni, non ha potuto recuperare interamente la propria complessiva integrità psicofisica; (b) la lesione della salute ha precluso o precluderà al danneggiato - secondo un giudizio di ragionevole verosimiglianza - la possibilità di conservare i propri redditi da lavoro nella stessa misura goduta prima dei sinistro; ovvero di acquisire in futuro ulteriori redditi od incrementi reddituali (Cass. 25.8.2006 n. 18489; Cass. 29.4.2006 n. 10031; Cass. 23.1.2006 n. 1230; Cass. 29.10.2001 n. 13409, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 188; Cass. 27.7.2001 n. 10289, in Foro it. Rep. 2001, Danni civili, n. 193). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 4 di 38 Il presupposto della riduzione della capacità di guadagno (la quale è nozione giuridica) è la riduzione della capacità di lavoro o capacità lavorativa (la quale è nozione medico legale). La capacità di lavoro consiste nella possibilità individuale di dedicarsi ad una attività produttiva, e costituisce il prodotto di un processo formativo al quale concorrono sia le caratteristiche personali naturali dell'individuo, sia le influenze dell'ambiente sociali nel quale l'individuo si forma. Naturalmente, per attività produttiva (o lavoro) deve intendersi il prodotto di qualsiasi applicazione manuale od intellettuale, sottesa da precise cognizioni, che sia produttiva di beni o servizi suscettibili di valutazione economica. Pertanto la riduzione della capacità di guadagno può sussistere quand'anche il danneggiato svolgesse un'attività che - pur non costituendo svolgimento di lavoro subordinato od esercizio di lavoro autonomo - era comunque suscettibile di valutazione economica. L'accertamento del danno causato dalla lesione della capacità produttiva richiede l'esame, da parte dei giudice, di una serie di nessi causali: a) tra fatto lesivo e lesioni; b) tra lesioni e postumi; c) tra postumi ed incapacità di lavoro; d) tra incapacità di lavoro ed incapacità di guadagno. Non basta, quindi, per avere diritto al risarcimento, dimostrare che dopo il sinistro il danneggiato ha cessato l'attività lavorativa precedentemente svolta, oppure ha subito una riduzione dei redditi precedentemente percepiti, perché tra lesione della salute e diminuzione della capacità di guadagno non sussiste alcun rigido automatismo. Ne consegue che in presenza di una lesione della salute, anche di non modesta entità, non può ritenersi ridotta in egual misura la capacità di produrre reddito, ma il soggetto leso ha sempre l'onere di allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso sulla capacità di guadagno (Cass. 14.6.2007 n. 13953; Cass. 29.4.2006 n. 10031). E' necessario, altresì dimostrare, che sia l'assenza dal lavoro, sia la contrazione del reddito, sono in rapporto di causa-effetto rispetto alla lesione della salute. Ha stabilito, a questo riguardo, la S.C. che l'invalidità permanente (totale o parziale), mentre di per sé concorre a dar luogo a danno biologico, non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misura la menomazione ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 5 di 38 fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subìto, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte. Solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo (e non la causa di questo, cioè la riduzione della capacità di lavoro specifica) è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante (Cass. 18.9.2007 n. 19357; Cass. 23.1.2006 n. 1230; Cass. 20.1.2006 n. 1120; Cass. 25.5.2004 n. 10026; Cass. 26.2.2004 n. 3867; Cass. 21.6.1999 n. 6247, in Foro it. Rep. 1999, Danni civili, n. 218; Cass. 3.5.1999 n. 4385, in Foro it. Rep., 1999, Danni civili, n. 215; Cass. 28.4.1999 n. 4231, in Resp. civ., 2000, 110; Cass., sez. III, 02-12-1998, n. 12241, Foro it. Rep. 1998, voce Danni civili, n. 102). Ne consegue che dall’accertata esistenza di una invalidità permanente non può farsi discendere, in modo automatico, la presunzione dell’esistenza di un danno da lucro cessante, poiché quest’ultimo deriva solo da quella invalidità che abbia prodotto una riduzione della capacità di lavoro e di guadagno (Cass. 18.4.2003 n. 6291). Il relativo onere della prova è a carico dall'attore che chiede il risarcimento (Cass. 23.1.2006 n. 1230; Cass. 26.2.2004 n. 3867; Cass. 28.4.1999 n. 4235, in Foro it. Rep. 1999, Danni civili, n. 122), e consiste nella dimostrazione che il soggetto leso svolgesse - o presumibilmente in futuro avrebbe svolto - un'attività lavorativa produttiva di reddito, nonché nella dimostrazione della mancanza di persistenza, dopo l'infortunio, di una capacitìà generica di attendere ad altri lavori, confacenti alle attitudini econdizioni personali ed ambientali dell'infortunato, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte (Cass. 18.4.2003 n. 6291). La S.C. ha tuttavia in qualche caso attenuato il rigore di tali princìpi, ammettendo che la prova di cui si è detto possa essere fornita anche per presunzioni, e che costituisca una presunzione in tal senso la circotanza che il danno biologico abbia causato una invalidità non lieve. Secondo questo orientamento, provata dalla vittima la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa è di una certa entità e non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità (cosiddette "micropermanenti", le quali non producono danno patrimoniale ma costituiscono mere componenti del danno biologico), è possibile presumersi che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 6 di 38 proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività o presumibilmente la svolgerà. In quanto prova presuntiva essa potrà essere superata dalla prova contraria che, nonostante la riduzione della capacità di lavoro specifico, non vi è stata alcuna riduzione della capacità di guadagno e che, quindi, non è venuto a configurarsi in concreto alcun danno patrimoniale (nella specie è stata cassata con rinvio la sentenza della corte di merito che aveva escluso il danno patrimoniale per ridotta capacità lavorativa di un medico chirurgo, cui il sinistro stradale aveva causato la riduzione di funzionalità della mano destra, sull'assunto che, pur sollevato dall'attività in sala operatoria, continuasse a prestare servizio presso la corsia e l'ambulatorio del reparto chirurgico: Cass. 25.1.2008 n. 1690). 2.3. L’accertamento del quantum di capacità reddituale perduta. Il modo in cui va accertata e misurata l’esistenza di una riduzione della capacità di guadagno costituisce uno degli aspetti più controversi del danno qui in esame. L’accertamento dell’esistenza d’una riduzione della capacità di guadagno viene normalmente demandato ad un consulente tecnico medico legale, al quale però vengono posti quesiti molto differenziati. A seconda degli uffici giudiziari (o, talora, dai singoli magistrati) dai quali è stato conferito l’incarico peritale, al medico legale può essere chiesto di volta in volta: (a) di accertare la percentuale di incapacità lavorativa generica residuata alle lesioni; (b) di accertare la percentuale di incapacità lavorativa specifica residuata alle lesioni; (c) di accertare tutte e due le “incapacità” di cui sopra (si veda, al riguardo, l’analisi statistica compiuta da Pagliari, Tipologia di quesiti in tema di danno a persona posti attualmente dai tribunali italiani, in Bargagna e Busnelli (a cura di), Rapporto sullo stato della giurisprudenza in tema di danno alla salute, Padova, 1996, 165). La prassi che, comunque, sembra tralatiziamente prevalente dinanzi agli uffici giudiziari di merito è quella consistente bel chiedere al consulente tecnico medico legale un valore percentuale, il quale dovrebbe misurare il quantum di capacità reddituale (definita “capacità lavorativa specifica”) perduta dal danneggiato. Questa prassi è stata contestata sia da altra parte della giurisprudenza, sia da parte della dottrina medica legale. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 7 di 38 La prima, ha osservato che non può essere demandato la medico legale l’accertamento del danno patrimoniale, che è nozione squisitamente giuridica; l’ausiliario potrà unicamente precisare se i postumi precludano o meno lo svolgimento del lavoro da parte della vittima (Trib. Roma 29.12.2002, Bellardoni c. Natellis, inedita; Trib. Roma 21.3.2002, De Nardi c. Lloyd, inedita; Trib. Roma 8.3.1997, Torre c. SAI, inedita). La seconda, ha rimarcato che una misura percentuale può prestarsi a misurare l’invalidità, che è in generale pensabile come identica per soggetti della stessa età, dello stesso sesso e con identici postumi, ma non l’incapacità, la quale è estremamente soggettiva, e varia a seconda del tipo di lavoro svolto dalla vittima (Norelli, Spunti dottrinari in tema di riduzione della capacità lavorativa specifica, in Danno emergente-lucro cessante, Pisa 1998, 23; Fallani, Accertamento della incapacità lavorativa specifica, in Il danno alla persona: tutela civilistica e previdenziale a confronto, Firenze 1998, 116). 2.4. La prova del danno da incapacità temporanea. La prova del danno da incapacità temporanea va fornita dalla vittima. Se si tratta di lavoratore dipendente, dovrà esibire le buste-paga dei periodo antecedente e di quello successivo al sinistro, dimostrando lo scarto esistente tra le une e le altre. E' consigliabile che la prova sia fornita depositando non solo la busta paga del mese precedente e di quello successivo al sinistro, ma dimostrando altresì i redditi percepiti in un raggio di tempo più ampio: almeno i sei mesi anteriori ed i sei mesi successivi al sinistro. In questo modo, infatti, si evita il rischio di interpretare una riduzione ciclica o transeunte dello stipendio come un effetto delle lesioni e dei postumi ad esse residuati. Se il danneggiato è un lavoratore autonomo, l’assenza di una busta paga rende più difficile l’accertamento del danno. In linea di massima, il pregiudizio in esame può essere dimostrato attraverso la produzione in giudizio: (a) nel caso di artigiani o commercianti, del libro giornale o del registro delle fatture tenuto ai fini dell'IVA, e relativi ad un periodo sufficientemente ampio anteriore e posteriore al sinistro (almeno sei mesi); ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 8 di 38 (b) nel caso di liberi professionisti, del registro delle fatture: in questo caso però il periodo di osservazione dovrà necessariamente essere più ampio, in quanto i compensi percepiti dai professionisti di norma sono relativi a prestazioni che possono richiedere anche vari mesi di esecuzione. Nel caso dei liberi professionisti, si deve tenere conto dei fatto che per molti di essi l'incapacità temporanea comporta di norma non una perdita, ma un semplice differimento degli impegni assunti e quindi della percezione dei relativi compensi. Pertanto la documentata riduzione degli introiti nei giorni immediatamente successivi al sinistro deve essere valutata attentamente, accertando altresì se nei mesi successivi non vi sia stato un incremento superiore alla media dei redditi antesinistro: un accertamento positivo in tal senso potrebbe infatti dimostrare che il professionista ha semplicemente differito i propri impegni (appuntamenti, stipula di atti, colloqui coi cliente, ecc.) e quindi non ha perduto il proprio reddito, ma ne ha differito la percezione. 2.5. La prova del danno da incapacità permanente. Anche la prova del danno da riduzione della capacità di guadagno va fornita dalla vittima. Tuttavia la giurisprudenza ammette, con grande larghezza, il ricorso alle presunzioni semplici ed ai fatti notori, ed in particolare ritiene legittimo desumere l’esistenza del danno patrimoniale da riduzione del reddito dall’entità delle lesioni. Così, nel caso di micropermanenti, dal fatto noto che gli esiti sono di modesta entità, è possibile risalire al fatto ignorato che il danno non ha avuto ripercussioni sulla capacità di guadagno, salvo specifica prova in tal senso da parte del danneggiato (Cass. 1.6.2010 n. 13431; Cass. 18.9.2007 n. 19357; Cass. 25.9.1998 n. 9601, inedita; Cass. 15-10-1997 n. 10114, in Foro it. Rep., 1997, Danni civili, 126; Cass. 20-1-1997 n. 535, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1997, 313; Cass. 4-3-1995 n. 2515, in Foro it. Rep., 1995, Danni civili, 133), e ciò soprattutto quando la vittima svolga un lavoro intellettuale e non manuale (Cass. 20.10.2005 n. 20317). Viceversa, nel caso di lesioni con esiti di entità media o grave, dal fatto noto che gli esiti sono di rilevante entità è possibile risalire (con presunzione semplice, ex art. 2727 c.c.) al fatto ignorato che essi sicuramente incideranno sulla capacità di lavoro del danneggiato. In questo caso, però, le indicazioni desumibili dalla giurisprudenza di legittimità sono assai più incerte: così ad esempio, Cass. 25.1.2008 n. 1690 e Cass. 3-9-1998 n. 8769, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1999, 82, hanno ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 9 di 38 ritenuto che una invalidità permanente superiore al 10% lasci presumere l’esistenza d’un danno patrimoniale da riduzione del reddito, sia pure non proporzionale rispetto alla riduzione della validità; Cass. 17.11.1999 n. 12757, in Riv. giur. circolaz. trasp., 2000, 387, invece, ha escluso che una invalidità del 18% debba necessariamente comportare una riduzione della capacità di lavoro e di guadagno; altre decisioni, come Cass. 10.10.2007 n. 21258 e Cass. 3.2.1999 n. 909, in Dir. ed economia assicuraz., 2000, 1184, hanno ritenuto che dinanzi ad invalidità permanenti rispettivamente - del 30% e del 60% il danno da riduzione della capacità di guadagno “deve di necessità presumersi”, anche in assenza di una specifica prova sul punto da parte della vittima. La prova del danno da incapacità di lavoro permanente, sia per il lavoratore dipendente che per quello autonomo, va fornita dimostrando che, dopo il sinistro ed a causa di esso, la retribuzione o il reddito ha subito una decurtazione non transeunte (cfr. Cass. 10.3.1998 n. 2639, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 485). 2.6. L'art. 137 cod. ass. Una disciplina particolare, in merito alla prova del danno, è dettata dall'art. 137 cod. ass. (d. lg. 7.9.2005 n. 209), il quale costituisce la trasposizione nel nuovo testo unico in materia assicurativa delp revigente art. 4 d.l. 23 dicembre 1976 n. 857 (conv. nella l. 39/77). Secondo tale norma, quando il danno da riduzione della capacità di reddito viene causato dalla suddetta circolazione, il danneggiato può avvalersi di una disciplina privilegiata in punto di prova del danno: per legge infatti si presume che il reddito effettivo da porre a base del calcolo risarcitorio sia quello che risulta dalla denunce fiscali esibite in giudizio, e per l’esattezza: (a) nel caso di lavoro dipendente, si computa il reddito di lavoro al momento del sinistro, maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge; (b) nel caso di lavoro autonomo, si computa il reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni. “In tutti gli altri casi - prosegue la norma, al comma terzo - il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale”. L’art. 137 cod. ass. non impone un metodo particolare di liquidazione del danno patrimoniale, il quale resta sempre quello della capitalizzazione, secondo quanto esposto in precedenza. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 10 di 38 Semplicemente, indica quale debba essere la base di calcolo per la capitalizzazione stessa, indicandone due alternative: o il reddito del danneggiato, o il triplo della pensione sociale. L’art. 137 cod. ass. pone vari ordini di problemi: (a) come la disciplina ivi dettata incida sull’onere della prova; (b) quali siano gli “altri casi” nei quali la liquidazione può avvenire ponendo a base del calcolo il triplo della pensione sociale; (c) quale debba esere la misura del reddito o della pensione sociale da porre a base del calcolo. (A) Onere della prova. Il giudice di legittimità ha precisato che ai fini della liquidazione del danno patrimoniale, anche quando il danneggiato produce in giudizio le dichiarazioni dei redditi, il giudice deve comunque tener conto anche degli incrementi patrimoniali ritraibili con ragionevole certezza dal lavoro già svolto, e non ancora introitati (e quindi non denunciati al fisco) per naturali vicende collegate al particolare tipo di attività (Cass. 25.2.1994 n. 1936, Riv. giur. circ. trasp. 1994, 396; App. Trieste 4.2.1985 n. 44, Riv. giur. circ. trasp. 1986, 328). Il danneggiato può scegliere di avvalersi anche di altri mezzi di prova (testimonianza, presunzione semplice, esibizione di documenti diversi dalle dichiarazioni fiscali), ma tali prove non avranno l'efficacia privilegiata di cui all'art. 137 cod. ass. . Naturalmente, la presunzione di cui all'art. 137 cod. ass. è una presunzione juris tantum, e quindi può essere superata sia dal danneggiato, sia dal danneggiante, il quale ha ovviamente interesse a provare che i redditi percepiti dal danneggiato siano inferiori a quanto risulta dalle dichiarazioni fiscali (Cass. 5.2.1991 n. 1094, Arc. giur. circ. sin. strad. 1991, 473). (B) La liquidazione in base al triplo della pensione sociale. L’espressione “in tutti gli altri casi il reddito che occorre considerare ai fini del risarcimento non può comunque essere inferiore a tre volte l'ammontare annuo della pensione sociale” è stata interpretata in due modi diversi dalla giurisprudenza. Secondo un primo orientamento, l’incso “in tutti gli altri casi” ricmprende l’ipotesi in cui il danneggiato, pur essendo percettore di reddito, ometta diprodurre le dichiarazioni fiscali, ovvero sia percettore di un reddito inferiore al triplo della pensione sociale. Secondo questo orientamento, ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 11 di 38 pertanto, il triplo della pensione sociale costituirebbe una sorta di soglia minima di risarcimento (Trib. Palermo 22.11.1983 n. 2598, Riv. giur. circ. trasp. 1984, 704; App. Cagliari, 25-05-1994, Riv. giur. sarda 1995, 354). L’orientamento in questione è stato avallato in qualche caso anche dalla S.C., la quale ha ritenuto che una volta ritenuta provata l'attività lavorativa svolta dal danneggiato e la compromissione della medesima (quindi l'an debeatur), in mancanza di una prova specifica del di lui reddito, si può correttamente fare ricorso ai criteri di quantificazione del danno indicati dall'art. 4 della legge 26 febbraio 1977 n.39 (nella specie la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che, ritenendo provata l'attività di coltivatore diretto svolta dal danneggiato, ma non conoscendone il reddito effettivo, ha supplito a tale carenza riferendosi a nozioni di comune esperienza ed utilizzando il criterio del reddito presunto: Cass. 6.8.2007 n. 17179). Secondo altro e maggioritario orientamento, per contro, la liquidazione del danno patirnmoniale in base al triplo della pensione sociale è del tutto residuale, e si applica in due ipotesi soltanto: (a) o nel caso in cui il danneggiato non sia titolare di alcun reddito di lavoro; (b) oppure al caso in cui il danneggiato sia titolare di un reddito da lavoro negativo, ovvero con caratteristiche tali (di esiguità, discontinuità o precarietà del lavoro, livello di mansioni inferiori alle capacità professionali del lavoratore) da escludere che esso possa costituire la componente di base del calcolo probabilistico delle possibilità di reddito futuro (Cass. 9.2.1998 n. 1324, in Foro it. Rep. 1998, voce Assicurazione (contratto), n. 13). Pertanto se il danneggiato, pur essendo percettore di reddito, ometta sia di esibire le dichiarazioni fiscali, sia di provare aliunde l'entità del reddito, andrà rigettata la domanda di risarcimento del danno patrimoniale (cfr. Cass. 7.3.1994 n. 2203, Riv. giur. circ. trasp. 1994, 400; Cass. 10.6.1994 n. 5669, Riv. giur. circ. trasp. 1994, 824; Cass. 30.5.1995 n. 6074, Riv. giur. circ. trasp. 1996, 157; Cass. 09-10-1996, n. 8817, Foro it. 1996, I, 3691; Trib. Cassino 21.6.1989 n. 491, Riv. giur. circ. trasp. 1990, 57; Trib. Roma (ord.) 18.2.1996, Salemi c. Nuova Tirrena, inedita). Questo orientamento è stato avallato anche dalla Corte costituzionale, la quale ha ritenuto conforme a Costituzione l'art. 4 d.l. 23 dicembre 1976 n. 857, nella parte in cui consente al soggetto non percettore di reddito di ottenere risarcimenti più elevati di quelli ottenibili dal soggetto che percepisca un reddito inferiore al triplo della pensione sociale (Corte cost. 18.10.1995 n. 445, Riv. giur. circ. trasp. 1996, 101). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 12 di 38 Quando la liquidazione del danno patrimoniale avviene in base al triplo della pensione sociale, occorre: (a) individuare la misura della pensione da utilizzare vigente al momento in cui si è verificato il danno [vedi tabella] (Cass., sez. III, 03-11-1998, n. 10966, in Arch. circolaz., 1998, 1104); (b) rivalutarla al momento della liquidazione (Cass. 21.7.2002 n. 11376) [per il cocnetto ed i criteri di rivalutazione, vedi la scheda relativa]. Pertanto, se la perdita del reddito è differita ad un momento futuro, perché la vittima non era in età lavorativa al momeno del sinistro, occorre distinguere: (a) se la vittima ha raggiunto l’età lavorativa dopo il sinistro, ma prima della liquidazione, la pensione sociale da porre a base del calcolo è quella vigente al momento del raggiungimento dell’età lavorativa (Cass. 21.7.2002 n. 11376); (b) se, per contro, al momento della liquidazione la vittima nn ha ancora raggunto l’età lavorativa, il danno potrà essere liquidato in base alla pensione sociale vigente al momento della liquidazione, ma il risultato andrà scontato al fine di tenere conto dell’anticipato pagamento. (C) L’importo della “pensione sociale” o del reddito da porre a base del calcolo. La “pensione sociale” di cui è menzione nell’art. 137 cod. ass., originariamente prevista dall’art. 26 l. 30.4.1969 n. 153 (“Revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale”), a partire dal 1° gennaio 1996 è stata sostituita da un assegno di base non reversibile, denominato «assegno sociale». Pertanto, sebbene ancora oggi vengano erogate pensioni sociali a coloro che ne abbiano fatto domanda entro il 1995, il riferimento al triplo della pensione sociale, contenuto nell’art. 137 cod. ass., deve oggi intendersi al “triplo dell’assegno sociale” di cui al citato art. 3, comma 6, l. 335/95, e successivi adeguamenti. Per l'anno 2007 l'importo mensile dell'assegno sociale è di 389,36 euro mensili. Ne deriva che, per lo stesso anno, l'importo annuo del suddetto assegno è di 5.061,68 euro (cioè 389,36 x 13). E’ controverso se l’importo dell’assegno sociale da porre a base del calcolo per la liquidazione del danno patrimoniale, ex art. 137 cod. ass., debba includere le cc.dd. “maggiorazioni sociali”, ovvero ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 13 di 38 gli aumenti della pensione (e poi dell’assegno) previsti non già in via generale per tutti i titolari, ma soltanto per quei titolari che soddisfino determinati requisiti (principalmente età avanzata e basso reddito). I principali di questi aumenti sono stati previsti: (a) dall’art. 2, comma 2, l. 140/85, in misura pari a £ 975.000 annue; (b) dall’art. 2 l. 544/88, in misura pari a £ 1.625.000 annue; (c) dall’art. 70 l. 23.12.2000 n. 388, nella misura di € 12,92 mensili per i titolari con età inferiore a settantacinque anni, e di € 20,66 mensili per i titolari con età pari o superiore a settantacinque anni; (b) dall’art. 38, comma 1, lett. b, l. 28.12.2001 n. 448, il quale ha elevato la misura dell’assegno sociale “fino a garantire un reddito proprio pari a 516,46 euro al mese per tredici mensilità”, ma solo per gli ultrasettantenni che non possiedano redditi propri su base annua pari o superiori a 6.713,98 euro. La Corte di cassazione, con riferimento allo specifico aumento previsto dall’art. 2, 2º comma, l. 15 aprile 1985 n. 140, ha ritenuto che di esso dovesse tenersi conto nel calcolo liquidatorio, sul presupposto che tale aumento “è venuto ad aggiungersi alla pensione sociale, cooperando con essa ad individuare il reddito minimo che deve essere assicurato al cittadino ultrasessantacinquenne” (Cass., sez. III, 04-12-1992, n. 12916, in Foro it. Rep. 1992, Danni civili, n. 127; così pure Cass., sez. III, 01-06-2000, n. 7275, in Arch. circolaz., 2000, 659). Il principio affermato dalla S.C., attesa la identità di ratio, appare estensibile anche alle altre ipotesi di maggiorazioni sociali, indiate sub (b), (c) e (d) [vedi Tabella]. Ulteriori problemi sorgono quando la liquidazione debba avvenire, ai sensi dell’art. 137 cod. ass., ponendo a base del calcolo il reddito percepito dalla vittima antesinistro. Come si è visto, tale reddito si determina: (a) per il lavoro dipendente, sulla base del reddito più elevato degli ultimi tre anni, “maggiorato dei redditi esenti e al lordo delle detrazioni e delle ritenute di legge”; (b) per il lavoro autonomo, sulla base del reddito netto più elevato tra quelli dichiarati a fini Irpef negli ultimi tre anni. Tale norma deve intendersi, secondo la S.C., nel senso che per “reddito da attività professionale” dichiarato dal danneggiato ai fini dell'I.R.P.E.F., da prendere a base del calcolo, deve intendersi ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 14 di 38 quello risultante dalla differenza tra il totale dei compensi conseguiti (al lordo delle ritenute d'acconto) ed il totale dei costi inerenti all'esercizio professionale - analiticamente specificati o se per legge consentito, forfettariamente conteggiati -. Da tale importo non devono essere detratti né le ritenute d'imposta, né gli oneri che siano deducibili solo dal reddito complessivo (ex art. 10 del d.P.R. 22.12.1986, n. 917) e non dalla determinazione delle singole voci di reddito (Cass. 9.11.2006 n. 23917). 3. Liquidazione. Danno passato e danno futuro. Prima di esaminare i criteri di liquidazione del danno patrimoniale, è opportuno ricordare alcuni principi generali che debbono presiedere alla liquidazione del danno, allorché si tratta di liquidare danni futuri. Come noto, l'art. 1223 c.c. stabilisce che, sia nel caso di inadempimento contrattuale, sia nel caso di illecito aquiliano (in virtù dei richiamo contenuto nell'art. 2056 c.c.), il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal creditore, come il mancato guadagno". Le due categorie di danno vengono tradizionalmente definite "danno emergente" e "lucro cessante". Tuttavia esse non si identificano con la distinzione tra danni passati e danni futuri. Il danno emergente si distingue dal lucro cessante perché il primo tipo di danno sottrae, distrugge o riduce beni od utilità già esistenti nel patrimonio del danneggiato; il secondo tipo di danno invece lascia di fatto inalterato il patrimonio dei debitore, ma gli impedisce di conseguire utilità che certamente avrebbe conseguito in assenza dell'evento dannoso. In materia di danno alla persona, un esempio di danno emergente è rappresentato dalle spese mediche sostenute per curarsi; un esempio di lucro cessante è rappresentato invece dalla perdita dei compensi causata dalla forzosa rinuncia allo svolgimento della propria attività lavorativa (nella parte, ovviamente, in cui tale perdita non è assorbita da eventuali assicuratori sociali). Il lucro cessante non è dunque un danno futuro: od almeno, futuro in questo tipo di danno è soltanto l'incremento patrimoniale atteso dal danneggiato, se tale incremento viene riguardato con riferimento al momento dei verificarsi dell'evento dannoso. Analogamente, il danno emergente non è un danno passato, in quanto esso può prodursi anche nel futuro: l'esempio classico è quello di chi, costretto a sottoporsi ad un intervento di artroprotesi in ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 15 di 38 conseguenza delle lesioni subite per opera dell'altrui illecito, sa con certezza che ogni x anni dovrà sostituire la protesi, sottoponendosi a nuovi interventi e sostenendo ulteriori spese. Dunque il danno emergente ed il lucro cessante si distinguono per la natura dei beni che colpiscono (rispettivamente, presenti o futuri); il danno presente e quello futuro si distinguono per il momento in cui si verificano, individuato non con riferimento alla condotta illecita, ma con riferimento alla liquidazione. E' presente, cioè, il danno già verificatosi al momento della aestimatio (sia essa volontaria o giudiziale); è futuro il danno non ancora verificatosi in tale momento. Si potrà dunque avere: (-) un danno emergente passato (ad esempio, le spese mediche sostenute in conseguenza delle lesioni alla persona); (-) un danno emergente futuro (ad esempio, le spese mediche che con certezza dovranno essere sostenute in futuro per cure, protesi, controlli resi necessari dalle lesioni alla persona); (-) un lucro cessante passato (ad esempio, i redditi perduti per il periodo che va dal verificarsi dell'evento dannoso al momento della liquidazione); (-) un lucro cessante futuro (ad esempio, i redditi che saranno perduti in futuro, dopo la liquidazione del danno). Questa tetrapartizione è rilevante a vari fini. Infatti: a) la liquidazione dell'ulteriore danno da ritardo nell'adempimento, secondo quanto stabilito da Cass. 17.2.1995 n. 1712, è dovuta solo per i danni passati (siano essi danno emergente o lucro cessante), e non per quelli futuri; b) la liquidazione di un danno che si produrrà nel futuro (sia esso danno emergente o lucro cessante) deve scontare l'applicazione di un coefficiente di capitalizzazione anticipata, in quanto plus dato qui cito dat (Cass. 23.1.2006 n. 1215); al contrario, la liquidazione di un danno passato deve essere di norma attualizzata con un coefficiente di rivalutazione; - la liquidazione del lucro cessante, sia esso passato o futuro, ove causato da atto illecito deve essere sempre compiuta con equo apprezzamento delle circostanze dei caso (art. 2056 co. Il c.c.); tale equa valutazione non è invece utilizzabile nella liquidazione del danno emergente, il quale - anche se futuro - andrà sempre liquidato juxta alligata et probata, e cioè con rigorosa valutazione delle prove (salva, ovviamente, l'applicazione dell'art. 1226 c.c. ove ne ricorrano i presupposti). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 16 di 38 E' opportuno infine ricordare, per concludere sulla distinzione tra danno passato e danno futuro, che per potere provvedere al risarcimento del danno futuro, ossia del danno non ancora verificatosi al momento della liquidazione, è in ogni caso necessario che risulti provata o comunque incontestata l'esistenza di un danno risarcibile, perché possa essere valutato dal giudice in via equitativa, non essendo sufficiente la dimostrazione di un danno solo potenziale o possibile (Cass. 01-06-1993, n. 6109, in Foro it. Rep., 1993, Danni civili, n. 56). 4. La nozione di reddito. Il reddito da assumere a base di calcolo per la liquidazione del danno da lesione della capacità di lavoro deve essere il reddito da lavoro: quel reddito, cioè, per la cui produzione è necessaria la capacità dei percettore. Non possono dunque entrare a far parte dei calcolo risarcitorio le rendite in genere ed i proventi dei capitale. In materia di danni causati da sinistri stradali, la misura del reddito è disciplinata dall'art. 4 I. 39177, in base al quale il reddito si determina: (a) in caso di lavoro dipendente, sulla base del reddito maggiorato dei redditi esenti e delle detrazioni di legge; (b) in caso di lavoro autonomo, sulla base del reddito netto risultante più elevato tra quelli dichiarati dal danneggiato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche degli ultimi tre anni. Si badi comunque che tali norme, di natura eccezionale perché incidenti sulla disciplina dell'onere della prova, non sono applicabili al di fuori della materia dei risarcimento dei danni causati da sinistri stradali. A questo riguardo è opportuno segnalare che viene talora citato, in senso contrario, il decisum di Cass. 3.6.1994 n. 5380, in Corr. giuridico 1994, 1360. In realtà tale sentenza ha affermato un principio sensibilmente diverso: ha, sì, ammesso l'applicabilità dell'art. 4 I. 39177 al di fuori della materia dei sinistri stradali, ma non con riferimento alla disciplina dell'efficacia probatoria privilegiata da attribuire alle risultanze delle dichiarazioni dei redditi, sibbene con riferimento al criterio da adottare per la liquidazione del danno (il triplo della pensione sociale). Deve comunque segnalarsi che la limitazione dei criteri di cui all'art. 137 cod. ass. ai soli casi di danni causati da sinistri stradali porrebbe seri problemi di costituzionalità della norma, sotto il profilo dei rispetto dei principio di uguaglianza. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 17 di 38 Problemi applicativi particolari possono sorgere per particolari componenti del reddito. (A) Spese di produzione del reddito. In passato il giudice di legittimità aveva affermato che il reddito posto a base dei calcolo dovrà essere depurato delle spese di produzione del reddito (ad esempio, quelle di trasporto o di vestiario da lavoro, ove non fornito dal datore di lavoro), in quanto queste rappresentano una uscita e non entrata per il lavoratore (Cass. 28.10.1975 n. 3619, Arc. giur. circ. sin. strad. 1976, 387). In prosieguo di tempo, se pure con riferimento alla materia dei sinistri stradali, il giudice di legittimità ha mutato avviso, affermando al contrario che le spese per la produzione del reddito rientrano tra le "detrazioni di legge" di cui parla l'art. 4 I. 39/77, e dunque vanno computate nel reddito (Cass. 20.8.80 n. 4952, Resp. civ. prev. 1980, 741). (B) Contributi previdenziali. Nel reddito da considerare devono essere compresi anche i contributi previdenziali, in quanto il cessato versamento di essi (ovvero un versamento di entità minore) compromette la posizione previdenziale del danneggiato. (C) Contributi assicurativi obbligatori. Non devono, invece, essere considerati i contributi assicurativi INAIL: infatti la parte di retribuzione destinata a contribuzione INAIL comunque non sarebbe stata goduta dal lavoratore; mentre se il rapporto di lavoro cessa, cessa anche l'assicurazione contro gli infortuni. (D) Imposte. E' tuttora estremamente dibattuto se il reddito da assumere a base dei calcolo liquidatorio debba essere quello al netto o quello al lordo delle imposte. Il problema tuttavia è di agevole soluzione, sol che si ponga mente al dettato dell’art. 6, comma 2, d.p.r. 22.12.1986 n. 917 ("Approvazione dei testo unico delle imposte sui redditi"). Questa norma dispone che "i proventi conseguiti in sostituzione di Redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguire, anche in forma assicurativa, a titolo di ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 18 di 38 risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli costituiti o perduti. Gli interessi moratori e gli interessi per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui tali interessi sono maturati" (d.p.r. 22.12.86 n. 917, art. 6). Ne consegue che, se di norma, le imposte debbono essere ricomprese nel reddito da porre a base dei calcolo risarcitorio, ciò non avviene nel caso di danno da invalidità permanente, per espressa esenzione di legge. Pertanto il reddito da porre a base del calcolo deve essere quello al netto delle imposte: altrimenti, poiché il risarcimento è esente da prelievo fiscale, il danneggiato realizzerebbe un lucro maggiore di quello che avrebbe conseguito se non avesse subito il danno (cfr., in tema di danni da morte, Cass. 21.11.1995 n. 12020, in Resp. civ., 1996, 639). 5. Perdita o riduzione temporanea del reddito (incapacità produttiva temporanea). La liquidazione del danno da incapacità temporanea (totale o parziale) deve avvenire: a) sommando e rivalutando i redditi (o la frazione di essi) perduti al momento della liquidazione; b) sommando e scontando i redditi (o la frazione di essi) ancora non percepiti al momento della liquidazione, ma che sarebbero stati acquisiti con certezza o con verosimile certezza. La rivalutazione, preferibilmente, deve avvenire utilizzando l'indice dei costo della vita elaborato mensilmente dall'ISTAT. Lo sconto dei redditi futuri, ovviamente, deve essere compiuto quando è verosimile che l'incapacità debba protrarsi per periodi superiori all'anno: in caso contrario, infatti, il maggior valore ricavabile dal pagamento anticipato non sarebbe apprezzabile. Lo sconto del reddito futuro deve avvenire secondo la nota formula matematica S C r t 100 ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 19 di 38 Dove S è lo sconto, ovvero la somma da decurtare a causa dei pagamento attuale; C è il capitale liquidato; r è il tasso percentuale di sconto (pari al tasso d'inflazione); t è il tempo. Cosi, per fare un esempio, se la vittima ha perduto la possibilità di svolgere una prestazione d'opera professionale, per la quale avrebbe incassato la somma di € 5.000 soltanto fra un anno, ipotizzando un tasso d’inflazione dei 2%, lo sconto da applicare è: S 5.000.000 2 100 12 12 100.000 e dunque il debito dei danneggiante sarà di € 4.900. Ovviamente, ove, l'anticipo sia inferiore all'anno, la lettera t nella formula che precede andrà sostituita con la frazione di mesi che si intende calcolare (ad esempio, 3/12 per un ritardo di 3 mesi). 6. Perdita o riduzione definitiva del reddito (incapacità produttiva permanente). La liquidazione del danno derivante da lesioni che hanno prodotto una permanente incapacità di lavoro, totale o parziale, è operazione spesso assai complessa, che richiede la valutazione di numerose variabili. Essa presenta problemi peculiari a seconda che sia perduto l'intero reddito od una frazione di esso, ed a seconda che il danneggiato possa o meno utilmente reimpiegare la propria capacità di lavoro. (A) Perdita totale del reddito. La liquidazione del danno patrimoniale consistente nella perdita del reddito può avvenire attraverso la costituzione di una rendita. Questo sistema è tuttavia scarsissimamente applicato. Il metodo più seguito è quello della liquidazione di una somma di denaro che rappresenta il valore capitale di una rendita vitalizia. In applicazione di questo criterio, occorre attualizzare l'intero reddito perduto dal danneggiato in base ad un coefficiente di capitalizzazione. Normalmente, vengono adottati i coefficienti di capitalizzazione per la costituzione delle rendite vitalizie immediate, di cui alla tabella allegata al r.d. 9.10.1922 n. 1403, che ha approvato le tariffe della Cassa nazionale per le assicurazioni sociali. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 20 di 38 Si tenga tuttavia presente che il coefficiente di cui alla suddetta tabella è un coefficiente per la costituzione di una rendita vitalizia, cioè di durata pari alla durata della residua vita futura. Il soggetto danneggiato non avrebbe tuttavia percepito il reddito per tutta la durata della vita, ma solo sino all'età pensionabile. Per tenere conto di questa circostanza, possono in teoria adottarsi due sistemi: (a) si può liquidare il capitale applicando il coefficiente di costituzione della rendita vitalizia, applicando poi un abbattimento (normalmente il 10%) per tenere conto dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa (alcuni giudici di merito tuttavia omettono di applicare l'abbattimento per lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa, in considerazione dei fatto che la tabella allegata al r.d. 1403/22 è stata costruita in base alle tavole di sopravvivenza della popolazione italiana calcolata in base ai censimenti dei 1901 e del 1911, ed alle statistiche mortuarie dei biennio 1910-1912. Poiché da allora la durata della vita media è sensibilmente cresciuta, il coefficiente indicato dalla tabella rende oggi un capitale leggermente inferiore a quello che risulterebbe dall'applicazione di un coefficiente, per cosi dire, aggiornato: in tal senso, Cass. 2.3.2004 n. 4186; Cass. 14.7.2003 n. 11007); (b) oppure si può liquidare il capitale applicando un coefficiente per costituzione di una rendita temporanea (normalmente al tasso dei 4,5%), cioè di una rendita di durata predefinita. In questo caso la durata della rendita sarà pari all'età del danneggiato al momento della liquidazione meno l'età massima pensionabile. La tabella di capitalizzazione temporanea è stata pubblicata da Gentile, Tabelle di capitalizzazione per la liquidazione del danno alla persona, Milano 1950, 41. Si badi che, in tutti e due i casi, la liquidazione del danno va effettuata sommando i redditi già perduti dalla data dell’illecito alla data della liquidazione (e, se necessario, rivalutandoti); e capitalizzando i redditi futuri prevedibilmente conseguibili, sulla base della vita futura residua (Cass. 28-11-1988 n. 6403, in Foro it. Rep. 1988, Danni civili, n. 155; Cass. 18.11.1997 n. 11439, Riv. giur. circ. trasp. 1997, 1998, 58). L'età del danneggiato da prendere in considerazione per individuare il coefficiente di costituzione sia della rendita vitalizia, sia di quella temporanea, deve essere quella del momento della liquidazione, e non quella dei momento dei sinistro. Le formule per la liquidazione di questo tipo di danno saranno dunque: (-) ove si adotti il coefficiente di capitalizzazione vitalizia, ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 21 di 38 D=R1, R2, R3… Rn + (R*k) - 10% ove D è il danno da lucro cessante; R1, R2, R3… Rn, sono i redditi mensili maturati prima della liquidazione, rivalutati in base all'indice ISTAT dei costo della vita relativo all'epoca della maturazione; R è il reddito al momento del sinistro rivalutato al momento della liquidazione; k è il coefficiente di capitalizzazione per le rendite vitalizie, desunto dall'allegato al r.d. 1403122; (-) ove si adotti il coefficiente di capitalizzazione temporanea, D=R1, R2, R3… Rn + (R*t) ove t è il coefficiente di capitalizzazione per le rendite temporanee. (B) Perdita parziale del reddito. La liquidazione del danno da perdita parziale del reddito avviene con i medesimi criteri indicati in precedenza. L'unica differenza consiste nel fatto che a base dei calcolo andrà posto non l'intero reddito, ma quella frazione di esso che è andata perduta. (C) Perdita totale o parziale del reddito, con possibilità di reimpiego. Un caso particolare è costituito dall'ipotesi in cui il lavoratore, a causa della lesione, perda il proprio lavoro ed il reddito che da esso si procurava, ma non perda la possibilità di impiegare proficuamente aliunde le proprie capacità di lavoro. Ricorrendo una simile fattispecie, il danno da perdita del reddito non può essere liquidato attraverso la capitalizzazione di una rendita calcolata sulla presumibile vita futura del danneggiato. A meno che questi non sia molto anziano, deve infatti presumersi sulla base dell'id quod plerumque accidit (art. 115 c.p.c.) che la persona leso, entro un certo arco di tempo, potrà trovare una nuova occupazione. Dunque in questi casi, per evitare sovracompensazioni, è opportuno liquidare il danno da perdita del reddito capitalizzando il reddito perduto in base ad un coefficiente di capitalizzazione temporanea, individuato in base al numero di anni presumibilmente occorrenti al lavoratore per riconvertirsi e trovare un nuovo impiego (preferibilmente, in numero non inferiore a 4-5). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 22 di 38 (D) Perdita presumibile del reddito futuro, in assenza di contrazioni reddituali in atto. Problemi particolari sorgono in quei casi in cui non viene dimostrata una riduzione del reddito in atto, ma è verosimile (ex art. 2727 c.c.) che tale riduzione si verificherà nel futuro. In primo luogo, è opportuno ricordare a questo riguardo che il danno futuro va risarcito non soltanto nelle ipotesi in cui esso si produrrà con assoluta certezza, ma anche quando possa ritenersi partendo dall'esame di situazioni già esistenti - che tale danno si produrrà secondo una ragionevole e fondata previsione (Cass. 17-04-1996, n. 3629, Riv. giur. circ. trasp. 1996, 321; Cass. 16-091996, n. 8281, Foro it. Mass. 1996). "Ragionevole e fondata previsione" vuol dire che il giudice deve esaminare gli elementi attuali (tipo di lavoro, tipo di malattia, tipo di ripercussioni negative di questa su quello), i quali debbono essere certi, e su essi fondare un giudizio prognostico di produzione dell'evento dannoso. E' inammissibile pertanto il ricorso ad ogni "automatismo risarcitorio", ovvero a quelle motivazioni entimematiche nelle quali si afferma che il danno futuro "si presume" sol che l'invalidità permanente superi un certo grado percentuale. Liquidando "automaticamente" il danno da incapacità di reddito quando il danno alla salute supera un certo grado di invalidità si perviene ad una duplicazione risarcitoria, in quanto - come si è visto la maggiore difficoltà incontrata dal lavoratore nello svolgere le proprie mansioni, fermo restando il reddito, costituisce un danno "biologico" e non patrimoniale. Lo strumento della presunzione (artt. 2727, 2729 c.c.) va pertanto maneggiato con estrema attenzione, al fine di evitare sia sovra- che sottocompensazioni. A questo riguardo è opportuno ricordare che, secondo la più recente giurisprudenza dei giudice di legittimità, in materia di ripercussioni della lesione della salute sui redditi di lavoro, occorre distinguere: (a) in caso di macrolesioni, dalla natura sola del danno può desumersi ex art. 2727 c.c. una sicura ripercussione sui redditi da lavoro. In questi casi può dunque affermarsi l'esistenza d'una presunzione de facto di esistenza del danno patrimoniale, e sarà onere dei danneggiante vincerla, dimostrando che in realtà il danneggiato no ha subito alcuna deminutio patrimonii; (b) in caso di microlesioni (tradizionalmente, quelle che si concretano in un grado di invalidità permanente inferiore al 10%), dalla natura del danno si può desumere una presunzione de facto ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 23 di 38 opposta: e cioè che le lesioni non hanno avuto alcuna efficacia sui redditi dal lavoro del danneggiato. In questo caso, sarà onere del danneggiato provare in modo rigoroso la contrazione del reddito (Cass., 20-01-1997, n. 535, Riv. giur. circ. trasp. 1997, 313); (c) nei casi residui, di lesioni di media entità, il ricorso alla presunzione semplice non sarà sempre utilizzabile, ed occorrerà accertare caso per caso gli effetti che le lesioni ed i loro postumi hanno avuto sul reddito del danneggiato. Sulla liquidazione del danno da riduzione futura della capacità di reddito, quando non si registra in atto una perdita patrimoniale, permangono tuttora disparità di vedute tra i giudici di merito. Secondo un primo orientamento, la diminuzione della capacità di reddito può essere misurata percentualmente, e tale determinazione percentuale va demandata ad un c.t.u. medico legale. Ottenuta dal c.t.u. la quota percentuale di riduzione della capacità di reddito, basterà moltiplicare il reddito documentato per tale percentuale. A tale sistema sono state mosse alcune obiezioni. In primo luogo, nel momento in cui si chiede al c.t.u. di determinare in gradi percentuali la riduzione della capacità di guadagno, si chiede al medico legale di accertare qualcosa che travalica lo specifico settore di competenza. Al medico legale può infatti chiedersi senz'altro in che modo la prestazione lavorativa risulti o risulterà impedita o resa difficoltosa, ma non di misurare in termini percentuali la perdita patrimoniale futura. In secondo luogo, è la stessa medicina legale ad escludere che il medico possa misurare in termini percentuali la riduzione della capacità di guadagno (cfr. supra, § 2 e ss.). In terzo luogo, non esiste alcun baréme medico legale dal quale ricavare la riduzione di capacità produttiva, né sarebbe possibile costruirlo, in quanto la riduzione di tale capacità è questione da valutare caso per caso, sfuggente ad ogni generalizzazione. Un sistema alternativo per liquidare il danno futuro da riduzione della capacità di guadagno, quando non sia dimostrata in atto una riduzione del reddito, è quello di apprezzare percentualmente non la riduzione della capacità produttiva, ma la riduzione del reddito. In base a questo sistema, dopo avere domandato ed ottenuto dal c.t.u. una analitica descrizione dei modo in cui la lesione ha inciso sul concreto svolgimento dell'attività lavorativa, occorre in primo luogo stabilire se sia verosimile ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 24 di 38 che i postumi residuati alla lesione, con l'andar del tempo, possano causare una riduzione degli introiti. Si può citare a questo riguardo, come esempio di risposta affermativa, il caso dell'architetto che, a causa di un trauma cranica, aveva progressivamente perduto la capacità di concentrazione. In atto, i redditi dei professionista non avevano subito alcuna riduzione, in quanto essi erano legati a prestazioni professionali ed incarichi assunti prima dei sinistro, e che venivano via via portati regolarmente a termine. Il tipo di postumi residuati al sinistro lasciava tuttavia presumere, con attendibile certezza, che il professionista avrebbe potuto in futuro disimpegnare un numero sempre minore di incarichi. Accertato dunque che i postumi residuati alla lesioni, anche se non hanno ridotto il reddito in atto, lo ridurranno verosimilmente nel futuro, potrà stimarsi in via equitativa l'aliquota di reddito che sarà perduta in futuro, e capitalizzarla secondo la formula già descritta in precedenza, sub B). 6.1. Lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Il coefficiente utilizzato per liquidare il danno nella forma della capitalizzazione è un coefficiente per la costituzione di una rendita vitalizia, cioè di durata pari alla durata della residua vita futura. Il soggetto danneggiato non avrebbe tuttavia percepito il reddito per tutta la durata della vita, ma solo sino all'età pensionabile. Per tenere conto di questa circostanza, possono in teoria adottarsi due sistemi: (a) si può liquidare il capitale applicando il coefficiente di costituzione della rendita vitalizia, applicando poi un abbattimento per tenere conto dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa (Cass. 14.7.2003 n. 11007); (b) oppure si può liquidare il capitale applicando un coefficiente per costituzione di una rendita temporanea (normalmente al tasso dei 4,5%), cioè di una rendita di durata predefinita. In questo caso la durata della rendita sarà pari all'età del danneggiato al momento della liquidazione, meno l'età massima pensionabile. Il primo sistema è quello più utilizzato, anche se esso presenta l’inconveniente di prestarsi a disparità di trattamento, in quanto lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa non è uguale per tutti, ma ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 25 di 38 dipende dall’età dell’infortunato e dal lavoro svolto. Lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa, insomma, non è un dato certo, ma un dato relativo (nella maggior parte dei casi, variabile dal 10 al 35%), rimesso al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 16.5.2003 n. 7629; Cass. 27-4-1995 n. 4642, RFI, 1995, Danni civili, 234), il quale nella determinazione di esso non potrà fare a meno dell’apporto del medico legale. Tuttavia lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa non può essere applicato quando per la costituzione della rendita vitalizia viene utilizzato il coefficiente di cui alla tabella allegata al r.d. 1403/22, la quale è stata calcolata in base alle tavole di sopravvivenza della popolazione italiana, desunta dai censimenti dei 1901 e del 1911, ed alle statistiche mortuarie del biennio 1910-1912. Poiché da allora la durata della vita media è sensibilmente cresciuta, il coefficiente indicato dalla suddetta tabella rende oggi un capitale leggermente inferiore a quello che risulterebbe dall'applicazione di un coefficiente, per così dire, aggiornato, e quindi può in via equitativa omettersi la riduzione per scarto tra vita fisica e vita lavorativa (Cass. 2.3.2004 n. 4186; App. Roma 8-6-1990, in Nuovo dir., 1991, 927). La scelta di questo metodo è stata ritenuta dalla S.C. una valutazione di merito, e come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. 1-7-1998 n. 6420, in Foro it. Rep., 1998, Danni civili, 263; Cass. 4-9-90 n. 9118, in Foro it. Rep. 1990, Danni civili, 158; Cass. 8-11-80 n. 6006, in Arch. circolaz., 1981, 201). 7. Il soggetto non lavoratore: disabili, minori, disoccupati, pensionati, casalinghe. Si è già visto come il soggetto non lavoratore di norma non possa subire alcun danno da incapacità temporanea di guadagno. Anche il soggetto non percettore di reddito può invece subire un danno consistente nella permanente riduzione - o soppressione della capacità di produrre reddito. In questi casi il calcolo liquidatorio è particolarmente difficile, in quanto si tratta di stabilire, in assenza di ogni parametro reddituale attuale di riferimento, in quale misura il reddito del danneggiato potrà contrarsi nel futuro. Un utile criterio, in casi simili, viene fornito dall'art. 137 cod. ass., norma la quale - come si è visto - è stata ritenuta utilizzabile "come parametro", se non proprio in applicazione analogica, anche ai casi di danni non causati da sinistri stradali (Cass. 3.6.1994 n. 5380, Corr. giuridico 1994, 1360). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 26 di 38 Pensionati e disabili. Per il pensionato ed il minorato, di norma, si tratterà di stabilire se essi conservassero o meno al momento dei sinistro (in considerazione dell'età o dei tipo di minorazione) una capacità lavorativa residua, e - soprattutto -in quali ambiti lavorativi fosse spendibile tale capacità. Accertato ciò, il, danno potrà essere liquidato - secondo i criteri visti in precedenza -ponendo a base dei calcolo il presumibile reddito medio di un operaio, impiegato od artigiano addetto a quel particolare settore. Si badi che, in mancanza di indicazioni specifiche addotte dal danneggiato, il "settore" di cui si fa parola può avere una portata vastissima: coincidere, ad esempio, con tutti gli impieghi di concetto in una azienda di medie dimensioni. Minori. La liquidazione del danno da riduzione della capacità di produrre reddito, patito da un minore, è particolarmente difficile, in quanto tale danno va stimato in assenza di ogni parametro reddituale ed attuale di riferimento. Ovviamente, la mancanza di criteri obiettivi per l'esatta quantificazione in denaro del pregiudizio da risarcire non è causa di esclusione del diritto al risarcimento, in quanto il giudice ha sempre il potere-dovere di ricorrere ad una stima equitativa, considerando tutte le circostanze del caso concreto (Cass. 3.1.2005 n. 564; Cass. 26.3.1999 n. 2890; Cass. 15-4-1996 n. 3539; Cass. 4-9-1990 n. 9118). Le circostanze del caso concreto da tenere presente sono - principalmente - l'età dell'infortunato, il suo ambiente sociale e la sua vita di relazione (Cass. 15-4-1996 n. 3539, in Foro it. Rep., 1996, Danni civili, 115). Si è affermato, in particolare, che il giudice deve tener conto non soltanto della rilevanza quantitativa delle lesioni, in termini di percentuale di invalidità medicalmente accertata, ma anche della loro natura e qualità - rispetto alle presumibili opportunità di lavoro che si presenteranno al danneggiato, avuto riguardo alle sue peculiari tendenze ed attitudini -, dell'orientamento eventualmente manifestato dal danneggiato medesimo verso una determinata attività redditizia, dell'educazione dallo stesso ricevuta dalla famiglia e della posizione sociale ed economica di quest'ultima, nonché della situazione del mercato del lavoro e, infine, di ogni altra circostanza oggettivamente o soggettivamente rilevante, ferma restando la possibilità per colui che è chiamato a rispondere di dette lesioni di dimostrare, in forza degli stessi anzidetti criteri, che il minore non risentirà alcun danno dal quel particolare tipo di invalidità (Cass. 15.7.2008 n. 19445). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 27 di 38 Ciò non vuol dire, ovviamente, porre a base della aestimatio del danno il reddito dei genitori: quest’ultimo può essere solo uno dei parametri da prendere in considerazione, ma l'elemento fondamentale è costituito dalle vocazioni manifestate dal minore (tipo di studi, capacità, meritevolezza, interessi), giacché solo in base a questi elementi è possibile stabilire verso quale area lavorativa il minore si sarebbe presumibilmente indirizzato (Cass. 11.5.1989 n. 2150, in Giur. it., 1989, I, 1, 1832). Di recente, tuttavia, la S.C. sembra avere rimeditato la possiblità di liquidare il danno patrimoniale futuro patito da un minore in conseguenza di lesioni personali, facendo ricorso reddito dei genitori: osservato, al riguardo, Cass. 2.10.2003 n. 14678 che il danno patrimoniale da lucro cessante, per un soggetto privo di redditoe a cui siano residuati postumi permanenti in conseguenza di un fatto ille-cito altrui, configura un danno futuro, da valutare con criteri probabilistici, in via presuntiva, e con equo apprezzamento del caso concreto. Pertanto, se occorre valutare il lucro cessante di un minore menomato permanentemente e non sia possibile prevedere la sua futura attivita' lavorativa in base agli studi compiuti o alle sue inclinazioni, rapportati alla posizione economico - sociale della famiglia, non sussiste nessun vizio logico-giuridico della motivazione del giudice di merito che per valutare il reddito futuro di detto minore adotti come parametro di riferimento quello di uno dei genitori, presumendo che il figlio eserciterà la medesima professione del genitore (nello stesso senso, Cass. 30.9.2008 n. 24331; Cass. 15.7.2008 n. 19445). Per la liquidazione concreta del danno in esame, i giudici di merito adottano due metodi diversi. (A) Coloro i quali ritengono che la capacità di guadagno possa essere espressa in termini percentuali (cfr. supra), fissano in via equitativa un reddito figurativo (ad esempio, il reddito medio nazionale: così App. Milano 9.4.1984, in Riv. giur. circ. trasp., 1984, 531), e moltiplicano tale reddito per il grado percentuale di incapacità, e quindi per un coefficiente di capitalizzazione (secondo la formula vista supra). Per il reddito da porre a base del calcolo, tuttavia, altri giudici hanno preferito fare ricorso al salario medio netto di un operaio generico (Trib. Palermo 30.11.1982, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1984, 96), ed altri ancora alla retribuzione media ipotizzabile per la figura professionale verso cui il minore sia presumibilmente indirizzato, sulla base degli studi compiuti (così App. Genova 22.2.1984, in Resp. civ. prev., 1984, 333). La S.C. ha ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 28 di 38 inoltre ritenuto ammissibile, anche al di fuori delle ipotesi di danni causati dalla circolazione dei veicoli, il ricorso triplo della pensione sociale, ex art. 4 d.I. 857/76 (Cass. 3.6.1994 n. 5380, in Corriere giur., 1994, 1360). (B) Coloro, invece, i quali ritengono non percentualizzabile la riduzione della capacità di lavoro, liquidano il danno col metodo seguente: (a) ipotizzando in via equitativa quale sarebbe potuto essere il reddito che il minore avrebbe percepito, se avesse potuto portare a termine i propri studi e realizzare le proprie aspirazioni; (b) ipotizzando il reddito che - sempre presuntivamente ed in via equitativa - il minore potrà percepire, occupandosi in una attività consentitagli dai postumi; (c) capitalizzando la differenza tra questi due redditi (Cass., sez. III, 16-02-2001, n. 2335, in Dir. e giustizia, 2001, fasc. 8, 33; Trib. Roma 8.10.1996, Cressini c. Allianz, inedita). Quale che sia il metodo seguito, quando si procede alla scelta del coefficiente di capitalizzazione bisogna avere due ulteriori accortezze. In primo luogo, occorre utilizzare il coefficiente di capitalizzazione relativo non all’età del danneggiato al momento del sinistro, ma relativo alla presumibile età di inizio dell’attività lavorativa. Infatti, poiché con la capitalizzazione si esprime il valore attuale di una rendita di durata pari alla vita lavorativa del danneggiato, è chiaro che il dies a quo di tale rendita deve coincidere con l’inizio dell’attività lavorativa del danneggiato, altrimenti con la capitalizzazione si risarcirebbe il minore di un danno mai subito, e cioè della perdita dei redditi nel periodo tra la data del sinistro e l’inizio dell’attività lavorativa. In secondo luogo, il risultato ottenuto mediante il calcolo di capitalizzazione deve essere ulteriormente ridotto attraverso un c.d. coefficiente di minorazione, vale a dire un coefficiente di capitalizzazione anticipata. Questo coefficiente è necessario per tenere conto del fatto che, mentre infatti la liquidazione avviene oggi, il danno si sarebbe manifestato soltanto quando il minore avrebbe cominciato a lavorare, e quindi se non si applicasse il coefficiente di minorazione, il danneggiato, questi lucrerebbe sin da subito gli interessi composti su una somma che sarebbe materialmente entrata nel suo patrimonio soltanto fra alcuni anni (Cass. 23.1.2006 n. 1215). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 29 di 38 Così, per fare un esempio, si immagini il caso di un minore del quale si accerti che, per effetto della menomazione, perderà per tutta la vita lavorativa una frazione di reddito pari ad € 1.000 all’anno. Si immagini che il minore abbia 6 anni al momento del sinistro, che avrebbe cominciato a lavorare a 18 anni, e che lo scarto tra vita fisica e vita lavorativa nel caso di specie sia del 20%. La capitalizzazione del reddito perduto sarà dunque pari a 1.000 (reddito perduto) per 19,383 (coefficiente per la costituzione di una rendita vitalizia immediata, al tasso del 4,5%, relativo ad un soggetto di 18 anni), il tutto ridotto del 20% (scarto tra vita fisica e vita lavorativa. Il risultato della capitalizzazione è dunque pari a € 15.506, ma questo non è ancora il danno da liquidare. Occorre infatti tenere conto che il reddito perduto sarebbe entrato nel patrimonio del minore fra 12 anni, e per far ciò occorre moltiplicare il risultato della capitalizzazione per un coefficiente per la capitalizzazione anticipata (o coefficiente di minorazione), relativo ad anni 12, al tasso del 4,5% (0,589). Il danno da liquidare sarà quindi pari a € 9.133,03. Il danno biologico patito da un minore può far sorgere il diritto al ristoro del danno patrimoniale non solo in capo alla vittima, ma anche in capo ai suoi genitori: a questi infatti, nel caso il figlio abbia riportato lesioni gravemente invalidanti sulla futura capacità lavorativa in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, compete anche il risarcimento del danno patrimoniale futuro qualora questo, sulla scorta di oggettivi e ragionevoli criteri rapportati alla circostanze del caso concreto, si prospetti come effettivamente probabile sulla scorta di parametri di regolarità causale, tenuto conto della condizione economica dei genitori, della loro età e di quella del minore gravemente invalido, della prevedibile entità del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che la vittima delle lesioni avrebbe goduto di un reddito proprio (3.4.2008 n. 8546). Casalinga. Qualche considerazione in più merita l'ipotesi della casalinga. Il risarcimento del danno patrimoniale, subito dalla casalinga a causa di lesioni personali conseguite all'altrui fatto illecito, ha trovato soluzioni contrastanti nella giurisprudenza di merito. Alcuni giudici hanno escluso in radice che la casalinga infortunata possa subire un danno patrimonialmente valutabile, oltre il danno biologico (Trib. Cagliari 10.5.1983, Arc. giur. circ. sin. strad. 1984, 613; ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 30 di 38 Trib. Roma 21.5.1987 n. 6132, inedita; Trib. Firenze 24.5.1990, Arc. giur. circ. sin. strad. 1991, 219; App. Milano 19.10.1993, Assicurazioni 1994, II, 2, 126). Quest'ultima, sentenza, in particolare, ha osservato che i cosiddetti "lavori di casa" costituiscono una consueta manifestazione vitale di ogni persona, e che deve pertanto trovare ristoro nell'ambito dei risarcimento del danno biologico). Altri giudici hanno ammesso la possibilità per la casalinga infortunata di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale, ma soltanto a certe condizioni: ad esempio, nel caso in cui i postumi residuati alle lesioni condizionino negativamente le "chances" lavorative future (Trib. Crema 8.6.1989, in Inf. prev. 1990, 632), oppure nel caso in cui tali postumi abbiano ridotto od impedito una attività della danneggiata suscettibile di valutazione economica (Trib. Pisa 16.1.1985, Resp. civ. prev. 1985, 433). Infine, vi sono di quelle pronunce le quali ritengono senz'altro il danno da lucro cessante subito dalla casalinga, sulla base della considerazione che anche le attività domestiche sono economicamente valutabili, ancorché non retribuite. In tale senso, si vedano Trib. Prato 31.5.1990, Arc. giur. circ. sin. strad. 1990, 959; Trib. Ravenna 13.3.1990, Riv. giur. circ. trasp. 1991, 853; Trib. Milano 16.7.1992, Resp. civ. prev. 1993, 348 (in quest'ultimo caso è stato riconosciuto al marito ed al figlio di una casalinga, deceduta in seguito ad un sinistro stradale, il diritto al risarcimento del danno patrimoniale consistente nella perdita delle attività domestiche svolte dalla defunta); App. Venezia 13.5.1993, Riv. giur. circ. trasp. 1994, 638: Trib. Venezia 8.6.1994, Arc. giur. circ. sin. strad. 637. Analoghi contrasti hanno diviso la giurisprudenza di legittimità. Secondo l’orientamento numericamente prevalente, chi svolge attivita' domestica, benche' non percepisca reddito monetizzato, svolge tuttavia un'attivita' suscettibile di valutazione economica: sicche' quello subito in conseguenza della riduzione della propria capacita' lavorativa, se provato, va legittimamente inquadrato nella categoria del danno patrimoniale. Il relativo diritto al risarcimento spetta sia a chi svolge lavori domestici nell'ambito di un nucleo familiare (legittimo o basato su una stabile convivenza), sia a chi li svolga in favore di se stesso, e trova fondamento sui principi costituzionali di cui agli articoli 4, 36 e 37 della Costituzione (da ultimo, Cass. 20.10.2005 n. 20324). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 31 di 38 Secondo un diverso e recente orientamento, invece, la perduta possibilità di provvedere da sé alle incombenze domestiche può sì costituire un danno patrimoniale risarcibile (non soltanto per la casalinga, ma per gli individui di qualunque sesso o condizione), ma a condizione che: (a) i lavori suddetti fossero svolti direttamente dalla vittima, e non demandati a terzi (come colf, lavandaie, ecc.); (b) il danno in questione sia debitamente allegato e provato. In particolare, la perduta possibilità di svolgere lavoro domestico costituisce di norma una ipotesi di danno emergente, consistente nei maggiori costi che la vittima dovrà sostenere per affidare a terzi quelle incombenze cui prima attendeva personalmente; solo eccezionalmente il pregiudizio in questione può comportare anche un lucro cessante, come ad esempio nel caso in cui la cessazione delle attività domestiche riduca gli introiti derivanti dalla partecipazione ad una impresa familiare (Cass. 3.3.2005 n. 4657). Tra i due orientamenti, preferibile appare il secondo. Non può esservi dubbio, in effetti, che il lavoro svolto dalla casalinga è suscettibile di valutazione economica. Ove pertanto la casalinga sia impedita nello svolgimento di tale attività, le spetta una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno sia da incapacità temporanea, sia da incapacità permanente. In questo senso si vedano App. Firenze, 20-12-1995, Toscana giur., 1996, 34; Trib. Treviso, 11 -04-1996, Arc. giur. circ. sin. strad. 1996, 643). Tuttavia, in materia di risarcimento del danno patrimoniale alla casalinga si annidano molti equivoci. Ad esempio, Trib. Treviso 13.11.95, in Riv. giur. circ. trasp. 1996,151, ha affermato che "in materia di risarcimento del danno alla persona derivato dalla circolazione di veicoli a motore o di natanti, il soggetto danneggiato che al momento del sinistro svolgesse l'attività di casalinga ha diritto al risarcimento del danno da compromissione della genetica capacità lavorativa, da liquidarsi secondo il criterio dettato dall'art. 4 I. 26 febbraio 1977 n. 39" (Trib. Treviso 13.11.95, in Riv. giur. circ. trasp. 1996, 151). Questa motivazione si fonda su una inammissibile conservazione in vita della nozione di incapacità lavorativa generica, nozione ormai dei tutto inutile, come si è visto in precedenza. In questo modo, si liquida alla casalinga una voce di danno negata a tutti gli altri lavoratori. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 32 di 38 Se è vero che il lavoro svolto da una casalinga costituisce "prestazione economicamente valutabile", come affermato da Cass. 3.11.1995 n. 11453, Foro it. Mass. 1995, è altresì vero che anche per la casalinga, come per ogni altro lavoratore, occorrerà distinguere: ove la lesione della salute non abbia impedito, ma abbia reso più difficoltoso lo svolgimento della propria attività, il danno subito è un danno personale e non patrimoniale, di tipo biologico, che andrà risarcito mediante adeguato adattamento dei criterio di liquidazione del danno alla salute. Ove, invece, la lesione abbia precluso (per sempre o per un certo periodo di tempo) l'attività di casalinga, il danno subito è di tipo patrimoniale, e si identifica nel valore economico delle prestazioni di una collaboratrice domestica: in questo senso si veda la limpida motivazione di Trib. Venezia, 08-06-1994, Arc. giur. circ. sin. strad. 1995, 637, secondo cui "in materia di risarcimento danni subiti a seguito di incidente stradale, l'invalidità cagionata ad una casalinga va risarcita a titolo di inabilità permanente tramite l'appesantimento del valore a punto del danno biologico, e a titolo di inabilità temporanea tramite il risarcimento di un danno rapportato alla retribuzione di una collaboratrice domestica" (Trib. Venezia, 08-06-1994, Arc. giur. circ. sin. strad. 1995, 637). In altri termini la casalinga può subire un danno patrimoniale quando, a causa delle lesioni, è costretta od a rinunciare alla propria attività, perdendo le utilità materiali che da essa ritraeva, ovvero - per godere di tali utilità - a pagare una collaboratrice domestica. Al di fuori di queste due ipotesi, la maggiore difficoltà nello svolgimento delle attività domestiche può costituire soltanto danno alla cenestesi lavorativa, della quale tenere conto nella liquidazione del danno alla salute. Ove invece si consideri la maggiore afflittività incontrata dalla casalinga nello svolgimento delle proprie attività come danno patrimoniale, no solo si fa rivivere l'obsoleta nozione di "incapacità lavorativa generica", ma si dà la stura a vere e proprie duplicazioni risarcitorie: in una di queste sembra essere incorsa la stessa Suprema Corte, allorché ha affermato che "la casalinga, pur non percependo reddito monetizzato, svolge, cionondimeno, un'attività suscettibile di valutazione economica, che non si esaurisce nell'espletamento delle sole faccende domestiche, ma si estende al coordinamento, lato sensu, della vita familiare, cosi' che costituisce danno patrimoniale (come tale, autonomamente risarcibile rispetto al danno biologico) quello che la predetta subisca in conseguenza della riduzione della propria capacità lavorativa, e che sussiste anche nel caso in cui ella sia solita affidare la parte materiale del proprio lavoro a persone estranee. Consistendo il ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 33 di 38 danno de quo nella perdita di una situazione di vantaggio, e non rimanendo esso escluso neanche dalla mancata sopportazione di spese sostitutive, legittimo risulta il riferimento, nel relativo procedimento di liquidazione, al reddito di una collaboratrice familiare, con gli opportuni adattamenti dettati dalla maggiore ampiezza dei compiti espletati dalla casalinga"' (Cass. 6.11.1997 n. 10923, Riv. giur. circ. trasp. 1998, 242). Questa sentenza potrebbe sollevare dubbi sotto due diversi profili. In primo luogo, va osservato che l'attività lavorativa normalmente erogata dalla casalinga può essere svolta anche da chi casalinga non è: ovvero da normali lavoratori, singles, studenti, i quali nelle ore lasciate libere dal lavoro si dedicano alle necessarie attività per la conduzione della vita domestica. Anche costoro, pertanto, dovrebbero avere diritto - secondo il principio affermato nella sentenza in epigrafe - al risarcimento del danno patrimoniale consistente nella ridotta capacità di svolgere servizi domestici, ove tale riduzione venga effettivamente dimostrata. In secondo luogo, ciò che suscita più forti perplessità, nel caso di specie era stato dimostrato che la casalinga non svolgeva alcuna attività domestica materiale, perché affidava tali incombenze ad una collaboratrice familiare. La corte, nondimeno, ha ritenuto esistente il danno (si badi bene, patrimoniale) nella misura in cui alla danneggiata era interdetta l'attività di "direzione e coordinamento" delle attività domestiche. In precedenza, era stata la stessa corte ad affermare che la casalinga svolge un'attività "produttiva di reddito figurato": di conseguenza, se viene ridotta la sua capacità di produrre questo reddito figurato, essa subisce un danno patrimoniale (Cass. 15-11-1996, n. 10015, Foro it. Mass. 1996). Sembra dunque di cogliere un contrasto tra le due pronunce da ultimo citate. Si consideri infatti il seguente movimento dialettico: a) se la casalinga in tanto può subire un danno patrimoniale in conseguenza di lesioni alla persona, in quanto sia lesa la sua capacità di produrre un reddito figurato; b) se il reddito figurato prodotto dalla casalinga consiste nella utilità dei suo lavoro domestico; c) ergo, deve concludersi che è l'attività materiale di conduzione della casa che è suscettibile di valutazione economica (figurativa), non certo l'attività di "direzione e controllo" dell'operato della ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 34 di 38 "colf'. Sarebbe infatti arduo ammettere che l'opera di vigilanza e direzione dell'operato della colf costituisca una prestazione lavorativa suscettibile di valutazione economica. 8. Il risarcimento in forma di rendita. Il risarcimento può essere liquidato in forma di rendita (art. 2057 c.c.) allorché ricorrano due presupposti: il danno da liquidare sia un danno “alla persona”, ed abbia carattere di permanenza. Pertanto la liquidazione in forma di rendita ben può essere utilizzata nel caso di lesione della salute che abbia causato una riduzione (o addirittura la perdita) della capacità di produrre reddito. La perdita del reddito futuro possiede infatti sia il carattere della personalità (si tratta di un danno che tocca la persona, derivando da una compromissione della salute); sia il carattere della permanenza, in quanto si tratta di un danno che si produce giorno per giorno, in ragione della durata della presumibile vita lavorativa futura del danneggiato. La deminutio patrimonii causata da una lesione della salute può consistere non soltanto in un lucro cessante (come la perdita del reddito); ma anche in un danno emergente (come ad esempio nel caso in cui il danneggiato debba sostenere periodicamente e permanentemente delle spese mediche). Anche quest'ultimo tipo di danno deve ritenersi risarcibile sotto forma di rendita vitalizia. Esso infatti possiede sia il requisito della personalità (nel senso sopra indicato, ovvero di danno causato da una lesione della salute); sia quello della permanenza. L'esempio tipico è quello dell'invalido che ha bisogno di assistenza infermieristica costante: le spese per tale assistenza potranno dunque essere liquidate in forma di rendita (per la liquidazione in forma di rendita delle spese di assistenza infermieristica si vedano Trib. Firenze 3.6.1950, in Resp. civ. prev., 1951, 367; Trib. Bologna 15.11.1994, Guidi c. Lloyd Adriatico, inedita; Trib. Torino 27.6.1994, Agostino c. Assitalia, inedita). Alla suddetta conclusione è stato tuttavia obiettato che essa si fonda su una interpretazione estensiva dell'articolo 2057 cod. civ., in quanto le spese mediche o di assistenza da sostenersi periodicamente non possono considerarsi un "danno personale", ma piuttosto un danno patrimoniale. A tale eccezione si può comunque replicare che l’art. 2957 c.c. non parla di "danno alla salute", ma parla genericamente di "danno alla persona": deve pertanto ritenersi che tale ampia formula ri---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 35 di 38 comprenda qualsiasi tipo di danno che trovi fonte in una lesione dell'integrità psicofisica. Nella formula della legge dovranno quindi rientrare il danno biologico alla persona; il danno patrimoniale causato da una lesione della salute. Tecnicamente, la costituzione di una rendita in favore del danneggiato può avvenire in vari modi: (a) mediante alienazione di un cespite o cessione di un capitale, da parte del debitore; (b) mediante acquisto di titoli del debito pubblico, di cui l’obbligato abbia la proprietà, ed il danneggiato l’usufrutto; (c) mediante stipulazione, in favore dei danneggiato, di una polizza sulla vita a premio unico (cfr. art. 1882 c.c.). I due ultimi sistemi appaiono preferibili per la loro maggiore praticità. Il giudice può infatti ordinare al debitore di acquistare un capitale X in titoli del debito pubblico, nominativi ed intestati - ad esempio - al cancelliere dell'ufficio giudiziario procedente, la cui rendita sia destinata ex art. 1872 c.c. al danneggiato. Scegliendo poi titoli a reddito fisso, il danneggiato avrebbe la migliore garanzia della solvibilità del debitore, mentre quest'ultimo potrebbe - in caso di decesso del creditore o di avveramento della condizione risolutiva della rendita - rivendere i titoli o lucrarne la rendita. 9. La compensatio lucri cum damno. E’ principio generale del nostro ordinamento, desumibile dall’art. 1223 c.c. (ma si veda anche l’art. 1910 c.c.), quello secondo cui il danno non può mai costituire una fonte di lucro per il danneggiato. Per questo motivo, ove dall’atto illecito siano derivati congiuntamente sia un danno, sia un incremento patrimoniale, quest’ultimo dovrà essere scomputato dalla liquidazione definitiva (compensatio lucri cum damno). Nelle ipotesi di danno patrimoniale da riduzione del reddito, causata da una lesione della salute, l’applicabilità della compensatio lucri cum damno ha dato luogo a decisioni contrastanti. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 36 di 38 La Corte di cassazione ha negato la compensazione tra il risarcimento del danno da incapacità di guadagno, e la pensione di inabilità civile erogata in conseguenza del sinistro (ex l. 30.3.1971 n. 118), sul presupposto che quest’ultima non ha finalità risarcitorie, e non è pertanto assimilabile al primo (Cass. 18.11.1997 n. 11440, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1998, 73). Al contrario, la compensazione è stata invece ammessa, sempre dalla Corte di legittimità, tra il risarcimento del danno patrimoniale e la rendita vitalizia corrisposta dall’Inail (d.p.r. 30.6.1965 n. 1124, art. 85), osservando che il valore capitale della rendita dell'INAIL corrisponde a valore patrimoniale già risarcito, non ulteriormente computabile a favore del danneggiato, onde evitare duplicazione di risarcimento sia in favore del danneggiato che a carico del responsabile (Cass. 25.5.2004 n. 10035; Cass. 15-4-1998 n. 3806, in Arch. circolaz., 1998, 775). Nello stesso senso, si veda anche Cass. 12.7.2000 n. 9228, in Arch. circolaz., 2000, 830, che ha ammesso la compensatio tra risarcimento del danno e pensione di invalidità erogata al pubblico impiegato dispensato dal servizio, nonché (Cass. 13.5.2004 n. 9094), la quale ha negato il cumulo tra il risarcimento del danno biologico e la pensione privilegiata corrisposta ad un militare per l’invalidità riportata a causa di servizio. La necessità di detrarre la rendita Inail (capitalizzata) dal risarcimento del danno patrimoniale da contrazione del reddito è condivisa anche da vari giudici di merito (Trib. Napoli 5-3-82, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1983, 99; Trib. Como 10-2-91, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1992, 485). Alcuni di questi hanno avuto l’accortezza di rilevare come, ai fini dello scomputo, la capitalizzazione della rendita Inail non può essere effettuata secondo i criteri recepiti dalle tariffe per la costituzione delle rendite vitalizie immediate approvate con il r.d. 9 ottobre 1922, n. 1403, poiché queste tariffe si basano sull'interesse annuo del cinque per cento, non corrispondente né ai frutti civili attualmente prodotti dal denaro, né al saggio degli interessi legali. La suddetta capitalizzazione, pertanto, deve essere compiuta moltiplicando il rateo di rendita per un coefficiente di capitalizzazione che sia stato “costruito” sulla base di un saggio corrispondente a quello degli interessi legali (Trib. Como 10-291, in Riv. giur. circolaz. trasp., 1992, 485). Altri giudici di merito, infine, hanno ritenuto ammissibile la compensatio (o meglio, hanno ritenuto inesistente un danno risarcibile) tra danno emergente per spese di assistenza infermieristica, ed ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 37 di 38 indennità di accompagnamento corrisposta ex art. 1 l. 11.2.1980 n. 18 (Trib. Roma (ord.) 23.12.96, Ferrari c. Lloyd, inedita). ---------------------------------------------------------------------------------------------------------AFG s.r.l. – Via Pasquale Rossi, 49 -87100 Cosenza – Tel/fax 0984408491 Email: [email protected] pagina 38 di 38