Convegno nazionale I nostri ricercatori: una ricchezza per il Paese e
Transcript
Convegno nazionale I nostri ricercatori: una ricchezza per il Paese e
Convegno nazionale I nostri ricercatori: una ricchezza per il Paese e per l'Europa Roma, 30 giugno 2008 Comunicazione "La Carta europea dei ricercatori: buone proposte ma non attuate" di Paolo Tomasi, segretario generale FLC Cgil Emilia Romagna Signora Ministro, signore e signori invitati, colleghi ricercatori, compagne e compagni, mi è stato chiesto, per questo convegno, di predisporre, assieme ad altri ricercatori che operano in grandi centri di ricerca pubblica in Italia, di illustrare i punti salienti della Carta Europea dei Ricercatori, e di cercare di confrontare quello che la Carta indica come fondamentale, per i ricercatori e per i datori di lavoro e finanziatori, con la situazione italiana. Rileggendo la Carta, dopo qualche tempo, la raccomandazione della Commissione Europea che riguarda proprio questo tema, è del 11 marzo 2005, quello che colpisce ad un lettore anche non attento è la incredibile distanza fra le raccomandazioni della Commissione e quello che avviene nella ricerca italiana, almeno nell’ultimo decennio. Le premesse della raccomandazione della commissione, partono dalle scelte di Lisbona che hanno fissato per la Comunità l’obiettivo di diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo entro il 2010. Viene individuato il rischio che una carenza di ricercatori, soprattutto in alcune discipline fondamentali, possa mettere a repentaglio la forza innovatrice dell'Unione europea, il patrimonio di conoscenze e la crescita della produttività nel futuro prossimo e quindi impedire di conseguire gli obiettivi di Lisbona e Barcellona. La Raccomandazione sottolinea come l’esistenza di risorse umane sufficienti e adeguatamente sviluppate nella R&S costituisce l’elemento fondamentale per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e del progresso tecnologico, il rafforzamento della qualità della vita, la garanzia del benessere dei cittadini europei e il potenziamento della competitività dell’Europa. E’ interessante notare come la commissione individua nell’esistenza di prospettive di carriera migliori e più visibili, la possibilità dello sviluppo di un atteggiamento positivo del pubblico nei confronti della professione di ricercatore, e che questo possa spingere più giovani ad abbracciare una carriera nel settore della ricerca. Si afferma inoltre che dovrebbero essere incoraggiate tutte le forme di mobilità nell’ambito di una politica globale delle risorse umane nel campo della R&S a livello nazionale, regionale e istituzionale. Così continua la Raccomandazione: “Gli Stati membri s’impegnino a compiere i passi necessari per assicurare che i datori di lavoro o i finanziatori dei ricercatori sviluppino e mantengano un ambiente di ricerca e una cultura di lavoro favorevoli, in cui gli individui e le équipe di ricerca siano considerati, incoraggiati e sostenuti, e beneficino del sostegno materiale e immateriale necessario per conseguire i loro obiettivi e svolgere i loro compiti. In tale contesto, si dovrebbe accordare particolare priorità all’organizzazione delle condizioni di lavoro e di formazione nella fase iniziale della carriera dei ricercatori, in quanto questa contribuisce alla scelte future e rafforza l’attrattiva delle carriere nel settore della R&S.” 1 Gli Stati membri — nell’elaborare e adottare le loro strategie e i loro sistemi per lo sviluppo di carriere sostenibili per i ricercatori — tengano adeguatamente conto e s’ispirino ai principi generali e alle prescrizioni contenuti nella Carta europea dei ricercatori e nel codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori di cui in allegato. Passerò ora ad esaminare gli aspetti che ritengo più interessanti della Carta. Intanto cosa è. E’ un insieme di principi generali e requisiti che specificano il ruolo, le responsabilità e i diritti dei ricercatori e delle persone che assumono e/o finanziano i ricercatori . Scopo di tale Carta è garantire che la natura dei rapporti tra ricercatori e datori di lavoro o finanziatori favorisca esiti positivi per quanto riguarda la produzione,il trasferimento, la condivisione e la diffusione delle conoscenze e dello sviluppo tecnologico, e sia propizia allo sviluppo professionale dei ricercatori. La Carta riconosce inoltre il valore di tutte le forme di mobilità come strumento per migliorare lo sviluppo professionale dei ricercatori.” Vale la pena di sottolineare come la Carta, non si limiti a fissare diritti e doveri del ricercatore, ma indichi precise responsabilità dei datori di lavoro e dei finanziatori. La prima affermazione della Carta, per quanto riguarda il ricercatore, riguarda l’orientamento della ricerca al bene dell’umanità e all’ampliamento delle conoscenza, in un quadro di libertà di pensiero, espressione e metodi per risolvere i problemi….Dunque viene affermato senza esitazioni il principio della libertà di ricerca. Naturalmente ci possono essere limiti a tale libertà che potrebbero derivare da circostanze particolari di ricerca (compresi la supervisione, l’orientamento e la gestione) o da vincoli operativi, Tali limiti non devono tuttavia contravvenire alle pratiche e ai principi etici riconosciuti cui i ricercatori devono conformarsi. Viene anche sottolineata una responsabilità finanziaria, in particolare per i ricercatori che operano con fondi pubblici: “I ricercatori devono essere consapevoli del fatto che sono responsabili nei confronti dei loro datori di lavoro, finanziatori o altri organismi pubblici o privati collegati e, su un piano più strettamente etico, nei confronti della società nel suo insieme. In particolare, i ricercatori finanziati con fondi pubblici sono responsabili anche dell’utilizzo efficace del denaro dei contribuenti e pertanto dovrebbero aderire ai principi di una gestione finanziaria solida, trasparente ed efficace…” Viene affermato un impegno verso l’opinione pubblica, abbastanza desueto, almeno nella situazione italiana. “I ricercatori dovrebbero assicurare che le loro attività di ricerca siano rese note alla società in senso lato, in modo tale che possano essere comprese dai non specialisti, migliorando in questo modo la comprensione delle questioni scientifiche da parte dei cittadini.” E’ anche indicata la necessità per i ricercatori, di un perfezionamento ed aggiornamento continuo, come strumento decisivo per garantire un’alta qualità della ricerca. Non meno interessanti sono le indicazioni per quanto riguarda i datori di lavoro ed i finanziatori. Intanto, “tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale delle carriere, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale.” Senza discriminazione di genere, età, origine etnica, nazionale o sociale, della religione o delle convinzioni, 2 dell’orientamento sessuale, della lingua, delle disabilità. Delle opinioni politiche e delle condizioni economiche e sociali.” Uno dei primi principi che viene affermato, che contrasta in modo netto con la situazione italiana, è quello della stabilità e continuità dell’impiego che recita: I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le prestazioni dei ricercatori non risentano dell’instabilità dei contratti di lavoro e dovrebbero pertanto impegnarsi nella misura del possibile a migliorare la stabilità delle condizioni di lavoro dei ricercatori, attuando e rispettando le condizioni stabilite nella direttiva 1999/70/CE del Consiglio. In realtà, come tutti sanno, nella situazione italiana più della metà del personale ricercatore è precario, conseguenza anche di anni di blocco delle assunzioni; delle difficoltà nei processi di stabilizzazione e ritorno al regime “autorizzatorio” per le assunzioni negli enti pubblici di ricerca, per non parlare delle ultime prescrizioni contenute a questo proposito nel decreto recentemente emanato (112 25 giugno 2008). Anche lo sviluppo professionale diventa elemento essenziale per fare della “buona ricerca” I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero elaborare, un’apposita strategia di sviluppo professionale per i ricercatori in tutte le fasi della loro carriera, indipendentemente dalla situazione contrattuale. C’è sempre stato un ostacolo da parte degli enti pubblici di ricerca e nel governo ad adottare una seria politica di sviluppo professionale e di carriera del personale ricercatore. Inoltre la questione, in Italia, è sempre stata legata a compatibilità di bilancio: lo sviluppo di carriera non può essere legato semplicemente agli equilibri di bilancio, altrimenti viene, nei fatti, negato. Altro punto importante è la mobilità, per la quale si chiede che i datori di lavoro e/o i finanziatori di riconoscere il valore della mobilità geografica, intersettoriale, inter- e transdisciplinare e virtuale nonché della mobilità tra il settore pubblico e privato, come strumento fondamentale di rafforzamento delle conoscenze scientifiche e di sviluppo professionale in tutte le fasi della carriera di un ricercatore. Dovrebbero pertanto integrare queste opzioni nell’apposita strategia di sviluppo professionale e valutare e riconoscere pienamente tutte le esperienze di mobilità nell’ambito del sistema di valutazione/avanzamento della carriera. In Italia questo è proprio un concetto astratto: c’è il maggior numero di ricercatori che si laurea in un posto, lì fa il dottorato, lì viene assunto e lì fa carriera. Spesso l’intercambio con altre realtà territoriali e scientifiche è considerata un’inutile perdita di tempo e la mobilità al massimo è prevista da un contratto precario ad un altro. La possibilità di passare da un settore scientifico ad un altro (come ho fatto per esempio io, passando dalla radioastronomia galattica, dopo circa vent’anni di lavoro scientifico nel settore, alla geodesia e alla geodinamica) viene guardato con sospetto e generalmente penalizza lo sviluppo di carriera di chi la pratica. Training and mobility è molto praticato fra i giovani ricercatori stranieri, per venire a lavorare in Italia, ma scarsamente praticato dai nostri giovani ricercatori, anche per le difficoltà se non l’impossibilità di trovare occupazione in Italia nel settore, alla fine del periodo passato all’estero. 3 Ma ancora: “L’insegnamento è un mezzo essenziale per strutturare e diffondere le conoscenze e dovrebbe pertanto essere considerato un’opzione valida nel percorso professionale dei ricercatori. Tuttavia, gli impegni legati all’insegnamento non dovrebbero essere eccessivi e non dovrebbero impedire ai ricercatori, soprattutto nella fase iniziale della loro carriera, di svolgere attività di ricerca. “ In Italia, per la maggior parte dei ricercatori del settore pubblico non universitari, l’insegnamento è tendenzialmente negato. Per i giovani ricercatori universitari (anche precari), spesso gran parte del carico didattico delle università grava sulle loro spalle. “I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero accertarsi che i compiti d’insegnamento siano adeguatamente remunerati, siano presi in considerazione nei sistemi di valutazione e che il tempo consacrato dai membri più esperti del personale addetto alla formazione dei ricercatori nella fase iniziale di carriera sia considerato come tempo dedicato ad attività di insegnamento.” Questi aspetti, che fanno parte della Carta, per la situazione italiana, sono lontani almeno come la luna. Non mancano indicazioni puntuali su come costruire e gestire un sistema di valutazione periodico. “I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero adottare per tutti i ricercatori, ivi compresi i ricercatori di comprovata esperienza, dei sistemi di valutazione che consentano ad un comitato indipendente (e, nel caso dei ricercatori di comprovata esperienza, un comitato preferibilmente internazionale) di valutare periodicamente e in modo trasparente le loro prestazioni professionali. Queste procedure di valutazione dovrebbero tenere in debito conto la creatività complessiva nella ricerca e i risultati ottenuti, ossia le pubblicazioni, i brevetti, la gestione della ricerca, le attività di insegnamento e le conferenze, le attività di supervisione e di mentoring, le collaborazioni nazionali o internazionali, i compiti amministrativi, le attività di sensibilizzazione del pubblico e la mobilità. Tali aspetti dovrebbero essere considerati anche per lo sviluppo della carriera. E’ interessante notare come nella Carta si indichi la necessità di valutare in pieno tutta l’attività di ricerca e le attività ad essa collegate, necessarie al funzionamento della stessa. Non solo, si indica chiaramente che i sistemi di valutazione non possono che essere collegati allo sviluppo di carriera. Partecipazione agli organismi decisionali “I datori di lavoro e/o i finanziatori dei ricercatori dovrebbero riconoscere che è del tutto legittimo, nonché auspicabile, che i ricercatori siano rappresentati negli organi consultivi, decisionali e d’informazione delle istituzioni per cui lavorano, in modo da proteggere e promuovere i loro interessi individuali e collettivi in quanto professionisti e da contribuire attivamente al funzionamento dell’istituzione.” Questo è uno dei punti più importanti, ma anche un punto dove la distanza dalla situazione italiana è abissale. Chissà perché in Italia, si ritiene, giustamente, che l’Università debba avere, come ha, strumenti di autogoverno che comprendono il personale di ricerca, mentre negli enti pubblici, tutto ciò è vietato per legge ed il personale di ricerca è rappresentato solo negli organismi consultivi (Consiglio Scientifico Generale, Consiglio Scientifico di Dipartimento, Comitato di Istituto o altro). 4 Alla Carta si associa il codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori, elemento non meno importante della Carta stessa. Si tratta di un insieme di principi che dovrebbero garantire il rispetto di criteri quali la trasparenza del processo di assunzione e la parità di trattamento dei candidati, soprattutto nella prospettiva della creazione di un mercato del lavoro europeo attrattivo, aperto e sostenibile per i ricercatori, e sono complementari rispetto ai principi e alle prescrizioni contenuti nella Carta europea dei ricercatori. Tale codice di condotta si fonda su alcuni “indicatori” , che voglio brevemente illustrare per la loro rilevanza e per la loro distanza, nella maggior parte dei casi, dalla situazione italiana. Per l’assunzione. I datori di lavoro e/o i finanziatori dovrebbero garantire che le norme di accesso e ammissione per i ricercatori, soprattutto per quelli agli inizi della loro carriera, siano rese note. Dovrebbero inoltre agevolare l’accesso ai gruppi svantaggiati o ai ricercatori che riprendono la loro carriera di ricercatore. In Italia non esiste alcuna “certezza del percorso”, ma molto è arbitrario, incerto, spesso legato a rapporti personali, se non di clientela, così come non c’è alcuna seria programmazione delle assunzioni. Anche il concetto di trasparenza è chiaramente indicato, ma scarsamente seguito da noi. “I candidati dovrebbero essere informati, prima della selezione, sulle procedure di assunzione e sui criteri di selezione, sul numero di posti disponibili e sulle prospettive di carriera. Al termine del processo di selezione, dovrebbero inoltre essere informati dei punti deboli e dei punti di forza della loro candidatura.” Altra nota dolente: non esiste alcuna procedura selettiva nella quale i “criteri di selezione” siano resi noti in precedenza ai candidati; questo è uno dei punti che rende la commissione di valutazione forte di un potere di “arbitrio”. E quando mai il candidato al termine della selezione, viene informato dei punti di forza e dei punti deboli della sua candidatura, come elemento della sua crescita professionale? Ed ecco alcune chiare indicazioni su come valutare il merito dei diversi candidati: “Nella procedura di selezione si dovrebbe tenere contro dell’insieme delle esperienze maturate dai candidati. Pur concentrandosi sul loro potenziale globale in quanto ricercatori, si dovrebbe tenere conto della loro creatività e del loro grado di indipendenza. Ciò significa che il merito dovrebbe essere valutato sul piano qualitativo e quantitativo, ponendo l’accento sui risultati eccezionali ottenuti in un percorso personale diversificato e non esclusivamente sul numero di pubblicazioni. E’ vero purtroppo che in Italia, tanto più ci si allontana da criteri “matematici” rigidamente fissati, tanto più grande è il rischio di arbitrio, favoreggiamenti. Come anche in questo campo siamo lontani dall’Europa! Eppure la Carta ci indica di allargare i criteri di valutazione, alle attività di insegnamento e supervisione, il lavoro in equipe, il trasferimento delle conoscenze, la gestione della ricerca, l’innovazione e le attività di sensibilizzazione del pubblico. 5 Ho finito, spero di avere dato un quadro riassuntivo dei punti più significativi della Carta e della distanza del testo e dello spirito della Carta, dalla situazione italiana, nella ricerca pubblica. Altri ora interverranno per approfondire meglio la situazione italiana a partire da alcuni importanti enti pubblici di ricerca, ma anche da questa mia sommaria comparazione mi pare emerga con chiarezza che l’applicazione puntuale della Carta, ancorchè richiesta dalle raccomandazioni comunitarie, rappresenterebbe un necessario salto di qualità che potrebbe dare quel respiro e quello slancio a nuovo a tutto il settore, naturalmente senza mai dimenticare che senza finanziamenti adeguati, ed i nostri non sono adeguati, e senza un piano straordinario di assunzioni, non solo non raggiungeremmo gli obiettivi di Lisbona nel 2010, ma probabilmente non li raggiungeremo nemmeno nel decennio successivo. Mentre in Europa si ragiona e si discute su come allargare il campo della ricerca, qui in Italia si discute ancora se la ricerca sia utile, oppure uno spreco di denaro pubblico, e dunque settore nel quale si possono operare tagli. Ma così non solo si compromette il delicato equilibrio del settore, ma sopra tutto si mette a repentaglio il futuro del nostro paese Roma, 30 giugno 2008 6