Interviste con Steven Spielberg Greg Bear Maurizio Manzieri
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Interviste con Steven Spielberg Greg Bear Maurizio Manzieri
FANTASCIENZA DELOSBOOKS RIVISTA DI FANTASCIENZA ESTATE 2008 - ANNO VI - NUMERO 14 NUOVA SERIE Benjamin Rosenbaum Tim Pratt Thomas Ligotti L.R. Johannis Interviste con Steven Spielberg Greg Bear Maurizio Manzieri 54 9,90 Sommario www.fantascienza.com/robot NARRATIVA F A N T A S C I E N Z A ISSN 1974-8205 Rivista diretta da Vittorio Curtoni Direttore responsabile Franco Forte Redazione Silvio Sosio Francesco Lato Grafica Silvio Sosio Copertina Maurizio Manzieri Illustrazioni interne Giacomo Pueroni Luca Vergerio Stampa Stampa Editoriale S.r.l. Manocalzati Avellino www.stampaeditorialetodisco.com Collaboratori Riccardo Anselmi Kremo Baroncinij Giorgio Betti Vittorio Catani Giovanni De Matteo Valerio Evangelisti Andrea Jarok Francesco Lato Claudio Leonardi Giuseppe Lippi Marco Spagnoli Flora Staglianò Roberto Taddeucci Elisabetta Vernier Responsabile distribuzione Andrea Iovinelli [email protected] Una pubblicazione Associazione Delos Books Piazza Bonomelli, 6/4 20139 Milano http://www.delosbooks.it email: [email protected] Pubblicità [email protected] Presidente Silvio Sosio Dir. editoriale Franco Forte Comunicazione Luigi Pachì Una copia Euro 9.90. Reg. Tribunale di Milano n. 513 del 16 settembre 2003. È vietata la riproduzione di testi e foto senza l’autorizzazione dell’editore. 6 Sogni impossibili di Tim Pratt 38 I linguampiri del quarto pianeta di Oleg Ovchinnikov 62 Cardanica di Dario Tonani 94 Le vigilie di Natale della zia Elise di Thomas Ligotti 122 Duello sull’Atlantico di Giuseppe De Micheli 146 Tre terrestri e un marziano di L.R. Johannis 178 La casa oltre il cielo di Benjamin Rosenbaum Pag. 51: Una breve storia di una lunga carriera, quella di Arthur C. Clarke RUBRICHE 2 Editoriale di Vittorio Curtoni 23 CINEMA - Intervista con Steven Spielberg di Marco Spagnoli 29 L’OCCHIO ALIENO - Cassandra Writing di Giorgio Betti 35 AL ROGO! - I draghi soporiferi di Valerio Evangelisti 51 CRITICA - Il grande disegno di Arthur C. Clarke di Enzo Verrengia 56 NOTO & IGNOTO - Fruttero, Lucentini 2: faccia a faccia di Giuseppe Lippi 87 INTERVISTE - Greg Bear Radio di Michael Lohr 103 INTERVISTE - Manzieri The Marvellous di Silvio Sosio 111 FUMETTI - Il fumetto del futuro di Claudio Leonardi 138 FANDOM - Il risveglio del fandom di Andrea Jarok e Kremo Baroncinij 143 RETROFUTURO - L.R. Johannis di Vittorio Catani 163 TELEVISIONE - Animazione di fantascienza nel Sol Levante di Giovanni De Matteo 171 FANTAGIOCHI - Il potere della forza di Riccardo Anselmi 190 LIBRI Pag. 23: Indy is back. Marco Spagnoli ha intervistato il regista Steven Spielberg Pag. 103: Come nasce l’arte di Maurizio Manzieri, l’autore della copertina SCRIVI A ROBOT: via email: [email protected] posta tradizionale: Robot - Delos Books Piazza Bonomelli 6/4 20139 Milano MI 1 L’editoriale I miei alveari di libri di Vittorio Curtoni N 2 ell’appartamento dove mi sono trasferito da marzo, e che molto amo per la luminosità, l’ampiezza dei locali e la splendida ristrutturazione ideata da mia moglie Lucia, ho due alveari di libri. Sono le nuove librerie che abbiamo messo nel corridoio d’ingresso, color bianco cigno (o così dice la ditta; a me i cigni paiono un po’ più bianchi, comunque), tre metri di base per due e mezzo d’altezza. Accolgono chi entra con la calorosità di svariate centinaia di volumi rilegati o brossurati, materiale da libreria, non da edicola, e fanno da prologo agli altri contenitori di carta stampata sparsi in casa. Assieme a DVD e videocassette, le relativamente poche che ho conservato dopo accurata selezione; le altre le ho regalate a Riccardo Anselmi, che immagino sia ancora lì a intripparsi gli occhi con le centinaia di film che ho registrato negli anni eroici del VHS. Se le guardate dalla pozza di luce del soggiorno e procedete lentamente verso il corridoio, le librerie vi appariranno effettivamente come alveari colmi di cellette nelle quali le operose api dell’ingegno umano hanno disseminato il miele prodotto dalle loro fatiche: narrativa e saggistica di svariata natura, un po’ di poesia, d’arte, di fotografia, di fumetti, e quant’altro. Accumuli annosi di volumi che hanno scandito il procedere della mia esistenza danno in maniera impeccabile il senso del vissuto, e con la policromia dei dorsi ravvivano il colore chiaro dell’ambiente. Se poi qualcuno avesse anche voglia di leggere, beh, credo gli resterebbe solo l’imbarazzo della scelta. All’interno di questi alveari ho predisposto un piccolo settore con i pochi libri che ho scritto io, più qualche antologia con miei racconti; ma il mio vero trionfo sta nella serie di ripiani sui quali ho sistemato le mie traduzioni di romanzi e saggi da libreria: un centinaio di titoli, molti dei quali di dimensioni pantagrueliche, che formano in pratica il rias sunto e suppongo il senso della mia vita. Assieme alle traduzioni da edicola (Urania, Galassia e compagnia bella), che ho messo nello studio e sono circa centocinquanta. Nell’insieme, mi sono reso conto di avere tradotto dal 1970 a oggi duecentocinquanta libri, senza contare le numerose traduzioni di materiale breve (racconti, articoli) su riviste disseminate qua e là. Ora, credo che la prospettiva dei milioni di miliardi di fantastilioni di parole Editoriale contenuti in quell’ammasso traduttorio possa far vacillare la mente umana. Accadrà anche ai miei colleghi di porsi di fronte a ciò che hanno tradotto e chiedersi: ma davvero l’ho fatto io? Io ho scritto tutta questa roba, trasferendola da una lingua a un’altra nel migliore dei modi che mi è stato possibile? Sgomenta rendersi conto di quanto si è lavorato, affrontando di volta in volta sfide diverse, perché ogni singolo libro, bello o brutto che sia, è un capitolo a sé; e, almeno a me, accade di restare basito prendendo in mano un libro uscito magari trent’anni fa e rendermi conto di non ricordarne nulla, neanche il minimo accidente. Tanto che leggendo la quarta di copertina o il risvolto giurerei di non averlo mai letto. Eppure c’è scritto che l’ho tradotto io, e quindi deve essere vero, perché gli editori non mettono un nome qualunque di traduttore a capocchia (tranne qualcuno che talora lo fa, ma è la rarissima eccezione). Sarà forse per questo che sto sentendo spuntare eteree alucce sulla schiena e un robusto pungiglione dal posteriore: ape libraria sono sempre stato, la metamorfosi si deve compiere. Via, via, in volo verso nuovi fiori, nuovi umori letterari, altri volumi e volumetti con il mio nome da aggiungere all’alveare. Come mi disse tempo fa Sandrone Dazieri: “Deve essere bello avere il tuo nome su tanti libri.” Sì, vero, è bello. Dà anche il capogiro, però. L’importante è continuare a restare librati in aria senza precipitare per eccesso di stanchezza. O di pesticidi nell’ambiente. Se mi sono spiegato. U no dei pregi decisamente unici di tutte le librerie presenti in casa mia, non solo i due alveari, è l’ospitare un alto numero di libri (in italiano e inglese soprattutto, qualcuno in francese) forniti di dedica al sottoscritto. Conosco bibliofili che vedono le dediche, o anche la semplice firma dell’autore, come il fumo negli occhi, ritenendo l’aggiunta dell’inchiostro di una biro o una stilografica macchia indelebile per il nitore della carta stampata. Rispetto le opinioni altrui, ma la penso diversamente. Amando facilitarmi la vita fin dove è possibile, e considerandomi per molti versi un autarchico, ho cominciato col dedicarmi tutti i miei libri, un’operazione semplicissima grazie alla quale, aprendo i sette tomi che recano il mio nome in copertina, posso leggere nella mia schifosissima grafia: A me stesso, con enorme stima. Vittorio. Come mi disse anni fa Andrew Masterson: “È molto meglio che trovarci scritto: Non c’è ma� le, ma potevi fare di più.” Un grande saggio, Andrew. Poi sono partito alla conquista del mondo, e ora la quantità di dediche e autografi ospitata sui libri in mio possesso è veramente notevole. Tra i pezzi più pregiati: la dedica di Leonard Cohen sul suo romanzo Il gioco preferito, quelle di Robert Sheckley, Paul Di Filippo e James Morrow su tutta una serie di libri in lingua originale, quella di Daniel Drode su Surface de la planète. E qui mi fermo, anche se potrei procedere a lungo. Ma poi a chi importa, giusto? 3 4 Il lato più bellissimissimo di questa mia passione è che mi porta spesso a incontrare autori, non di rado in condizioni di totale rilassatezza e cordialità. Possibilmente a pranzo, o a cena, se del caso con la complicità di un editore italiano che apprezza il mio lavoro e giudica cosa buona farmi conoscere allo scrittore che ho tradotto. Grande, davvero. Eventi di questo tipo mi fanno sempre godere a velocità smodata. Nei giorni in cui scrivo mi è successo di nuovo nella mia città, Piacenza, che al momento (maggio) ospita un Festival Blues giunto alla quarta edizione con eccellente successo. Oltre ai bluesmen arrivati da mezzo mondo, sono ospiti anche scrittori di varie nazionalità; e, grazie ai miei potenti agganci politici, sono già riuscito a pranzare con Joe R. Lansdale e James Sallis, due autori che proprio non credo abbiano bisogno di presentazioni. Lansdale, fra l’altro, è qui con la moglie e con la figlia Kasey, che è una musicista (a mezza strada tra country e blues) e si esibirà all’interno del festival. Ho sbolognato a entrambi una copia di Robot, molto apprezzata, e ottenuto la promessa dell’invio di racconti per la nostra amata rivista. Mi risentirò con loro via e-mail. Wow. Sallis è oggi noto come autore di polizieschi, però ha iniziato con la fantascienza (su New Worlds, mi ha detto) e non gli spiacerebbe tornare alle origini in Italia. Un uomo simpaticissimo. Come, ovviamente, Lansdale, di rara amabilità, per quanto soffra di un difet- to incurabile: è astemio! E chi lo avrebbe immaginato, leggendo i suoi libri? “Il vino proprio non mi piace”, mi ha confessato. “Nemmeno quello italiano che tutti amano. Posso bere un po’ di birra, ma non vado matto nemmeno per quella. Cosa posso farci se l’alcol non mi gusta?” Assolutamente nulla, per carità. Non sai quel che ti perdi, e peggio per te. Si è mangiato un eccellente, ricchissimo risotto sorseggiando Coca Cola… A questo punto, per quanto sia ovvio che ormai siamo alla fine, forse qualche speranzoso lettore si aspetta ancora che io parli di questo numero di Robot. Nossignori, non lo farò. Il fascicolo è nelle vostre mani, non avete altro da fare che leggerlo per giudicare da voi. Se lo avete comperato, si suppone che vi interessi, quindi cosa dovrebbe importarvi delle omelie del direttore? Due cose dovrebbero essere chiare. Uno, ho letto e approvato il materiale contenuto in queste pagine, per cui non credo proprio di rifilarvi una ciofeca. Anche se potrei sbagliarmi, ma non è che parlandone qui cambierei le cose. Due: non reggo più, o quasi (le eccezioni sono sempre possibili), l’idea di scrivere il classico editoriale. Se date uno sguardo ai numeri più recenti ve ne renderete conto. Cerco solo, nella mia immodestia, di comunicare idee e sensazioni che attraversano i miei giorni. E che spero possano interessare. Sforzandomi di non essere indigesto, nel mio periodare pallido e assorto. Alla prossima! Sostieni la fantascienza! Abbonati ora a Robot! Oggi come oggi non sono molte le opportunità di leggere fantascienza: meno collane, meno riviste, meno libri. Robot ti dà la possibilità di continuare a vivere il tuo genere preferito, selezionando i migliori racconti italiani e i migliori racconti stranieri, servizi sulla fantascienza in televisione e al cinema, rubriche a cura di grandi esperti. Dai fiducia a Robot abbonandoti ora. Sostieni la fantascienza. 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Avanzò di un passo verso la porta, sbirciò all’interno e vide poster di vecchi film, scaffali pieni di DVD e VHS, e un grande schermo TV addos sato a una parete. La scritta sulla porta diceva “Sogni Impossibili Video” e le macchie sul vetro indicavano che esi steva da qualche tempo. Ma non era così. Pete conosceva ogni videonoleggio della contea, dalle grandi catene ai negoziet ti minuscoli dove il perso nale era costituito da stu denti universitari, ai piccoli porno shop di Illustrazione di Giacomo Pueroni periferia, che talora vendevano clas sici dell’horror all’italiana o bootleg asiatici. Non aveva neppure mai sen tito nominare quel posto e ci passava davanti almeno due volte la settimana. Pete credeva nei film come molta gen te crede in Dio e non poteva concepire il non aver notato un negozio del ge nere ad appena tre isolati dal proprio appartamento. Spinse la porta facen do risuonare un campanellino: il ne gozio era piccolo, solo tre corridoi di DVD e una parete di videocassette, lu ci fluorescenti e una vecchia moquette azzurra. Non c’erano clienti. La com messa disse: — Dica pure se le serve qualcosa — e Pete annuì, notando la appena, se non per il fatto che fos se una donna di poco più di vent’an ni con capelli corti e chiari somiglianti alla peluria di un pulcino. Si diresse alla sezione classici. Era un cinefilo onnivoro, ma la qualità di un videonoleggio si valuta dallo scaf 7 fale dei classici, proprio come si giu dica il livello di civiltà di una nazio ne dalle condizione delle sue prigio ni. Scorse la fila di titoli conosciuti e si fermò davanti a un DVD a testa in giù con un argenteo bollino “novità” ap piccicato davanti. Lo sollevò con mani tremanti: la confezione vantava di contenere il director’s cut di L’orgoglio degli Amberson di Orson Welles. — È uno scherzo? — disse quasi arrabbiato, tenendo in alto la confe zione. — Come? — chiese la commessa. Lui le si avvicinò brandendo la sca tola e capì subito dalle sopracciglia inarcate e dall’atteggiamento guardin go che la donna immaginava un pro blema in arrivo. — Mi scusi — disse. — Qui dice director’s cut di L’orgoglio Tim Pratt (1976) è poeta e scrittore di fantascienza e fantasy. È cresciuto nel North Carolina e ha frequentato la Appalachian State Universi� 8 degli Amberson, restaurato con le par ti mancanti. — Sì — rispose la donna, di nuovo distesa. — È uscito qualche settima na fa, non lo sapevi? Prima si poteva vedere soltanto la versione originale, quella massacrata dalla produzione… — Ma la pellicola mancante — la interruppe lui, — è andata intera mente perduta, distrutta, e l’unica traccia degli ultimi cinquanta minuti deriva dalla sceneggiatura. La donna si incupì — Beh, sì, la pel licola è andata perduta e tutti credeva no che fosse stata distrutta, ma l’han no ritrovata lo scorso anno nell’ango lo sperduto di un magazzino. Poteva essergli sfuggita una notizia del genere? I forum da lui frequentati in rete avrebbero dovuto pulsare della notizia, un vero e proprio sogno ba ty, dove si è laureato in lette� ratura inglese. In seguito si è trasferito in California, prima a Santa Cruz e poi a Oakland, dove vive con la moglie Hea� ther Shaw ed è redattore del� la rivista Locus, per cui, tra le altre cose, scrive… i necrologi. Come molti autori delle ulti� me generazioni, ha frequen� tato i corsi di scrittura creativa del Clarion Workshop. Ha pubblicato una rac� colta di poesie, due di raccon� ti (Little Gods, 2003 e Hart & Boot, 2007) e un roman� zo (The Strange Adventures of Rangergirl, 2005), nonché (firmandosi T.A. Pratt) una se� rie di “fantasy urbana” incen� trata sul personaggio di Mar� la Mason, metà strega e metà supereroina. Sue storie sono appar� se in riviste come Realms of Fantasy, Strange Horizons e due su Asimov’s, la seconda delle quali, che qui presentia� mo, ha vinto il premio Hugo 2007. (FL) Sogni impossibili gnato per l’appassionato di cinema. — Come hanno fatto a trovare la pel licola? — È una storia molto interessante. Welles ne parla nel commento al film. Voglio dire, è un po’ balbettante, ma quel tizio ha ormai più di novanta an ni, cosa ci si può aspettare? Lui… — Ti sbagli — disse Pete. — A me no che Welles non parli dall’oltretom ba. È morto negli anni Ottanta. La donna aprì la bocca, la richiuse ed esibì un sorriso falso. A Pete sem brava di ascoltare il mantra che in quel momento la donna doveva ripe tersi mentalmente: il cliente ha sem pre ragione, anche quando sbaglia. — Certo, sarà come dici tu. Vuoi noleg giarlo? — Sì — rispose, — ma non ho la vostra tessera. — Sei di qui? Mi serve solo un nu mero di telefono, la carta di identità e una prova dell’indirizzo. — Credo di avere la mia ultima bu sta paga — rispose Pete, cercando nel portafoglio e passandole i documen ti richiesti. La donna gli consegnò un modulo da riempire, poi inserì i dati nel computer. Nel frattempo l’uomo le disse: — “Senti, non voglio sembra re un idiota, è solo che… sono molto informato sui film. — Non devi credere a me — rispose la donna, picchiettando con un dito la confezione del DVD. — Fanno $3.18. Pete estrasse nuovamente il porta foglio, ma sebbene fosse stracolmo di scontrini vari e pezzetti di carta con appunti e memo, non aveva denaro contante. — Accetta una carta di cre dito? La donna storse la bocca: — C’è un minimo di cinque dollari per usare la carta di credito, mi spiace. Regole del la casa. — Prenderò un altro paio di film — disse lui. La commessa alzò gli occhi verso l’orologio a parete: erano quasi le 10. — So che stai per chiudere, farò in fretta — aggiunse Pete. La donna scrollò le spalle: — Certo. Pete andò al reparto fantascienza, solo per ricevere un altro shock. C’era Io, Robot, ma non si trattava del non certo indimenticabile film d’azio ne con Will Smith: era più vecchio e nei credits diceva “scritto da Harlan Ellison”. Ma l’adattamento di Ellison del romanzo di Asimov non era mai stato prodotto, per quanto fosse sta to pubblicato sotto forma di libro. — Si tratterà di una qualche produzione studentesca non autorizzata — mor morò, non riconoscendo il nome del la casa di produzione. Ma… ma… di ceva “vincitore del premio Oscar per la miglior sceneggiatura non origi nale”. Doveva trattarsi di uno scher zo dello studente regista, una coper tina palesemente assurda, come se il film provenisse da una qualche realtà parallela. Valeva la pena vederlo, an che se non riusciva a capire come non ne avesse mai sentito parlare. Proba 9 bilmente si trattava di una produzio ne locale. Lo portò al banco e porse la carta di credito. La commessa guardò la tessera dubbiosa: — Visa? Mi spiace, accettia mo solo la Weber e la Foster. Pete la fissò, riprendendo in mano la carta. — È una delle carte di credi to più diffuse — disse, parlando lenta mente, come si rivolgesse a un bambi no. — Non ho mai sentito… Alzando le spalle, la ragazza guar dò nuovamente l’orologio, stavolta in modo più esplicito. — Mi spiace, non sono io a fare le regole. Doveva vedere questi film. Quando si trattava di pellicole — nuove! stra ne! — Pete non aveva alcuna pazien za, sebbene in altre aree della sua vi ta fosse perfino troppo accomodante. Erano i film l’unica cosa importante. — Per favore, abito proprio qui die tro l’angolo; mi lasci andare a prende re del denaro contante e tornare? Die ci minuti, per favore? Le labbra della commessa erano strette e dure. L’uomo indicò L’orgoglio degli Amberson: — Voglio solo vederlo come avrebbe dovuto essere. Anche tu sei un’appassionata, giusto? Mi puoi capire. L’espressione del volto di lei si di stese. — Va bene. Dieci minuti, non di più. Voglio andarmene a casa anch’io. Pete la ringraziò calorosamente e si precipitò fuori dal negozio. Corse per tre isolati, per lo più in salita, fino al 10 suo appartamento in un edificio a due piani decorato a stucco. Imprecò lot tando con le chiavi, entrò, raggiunse il cassetto dei calzini, dove teneva un sottile rotolo di banconote per ogni emergenza. Schizzò indietro verso So gni Impossibili, respirando così forte da sentire l’aria bruciare nei polmoni e un dolore al fianco. Non aveva più fatto una vera corsa dal tempo del li ceo, dieci anni prima. Arrivò davanti al fornaio e al nego zio per articoli da regalo, ma in mez zo non c’era nessuna porta per Sogni Impossibili: non c’era proprio nulla. I negozi erano l’uno accanto all’altro, senza neppure un vicolo a separarli. Appoggiò una mano al muro di mattoni, provò a convincersi di ave re sbagliato isolato e di essersi perso durante la corsa, ma sapeva benissimo che non era vero. Si incamminò verso casa, lentamente, e quando raggiunse l’appartamento, entrò in salotto, con scaffalature metalliche alte fino al sof fitto piene di DVD e cassette. Prese un disco e lo introdusse nel lettore dere gionalizzato di altissima qualità, poi con il telecomando accese il gigan tesco televisore al plasma a schermo piatto. Gli altoparlanti surround pre sero vita ronzando e lui si lasciò spro fondare nella bellissima poltrona in pelle al centro della sala. Pete aveva una rugginosa Honda a quattro porte con oltre trecentomila chilometri sul motore, campava di pasta e formag gio di scarsa qualità, risparmiava sulla carta igienica rubando i rotoli dai ba Sogni impossibili gni dell’università dove lavorava. Vi veva in modo frugale nel quotidiano, per poter vivere in modo sfarzoso in quello dei film. Premette il tasto avvio. Aveva l’in tera serie televisiva di Ai confini della realtà in DVD e adesso dagli altopar lanti arrivava la voce, carica di razio nalità, del narratore che presentava la storia di un uomo che si imbatte in un polveroso negozietto magico, pieno di meraviglie. Nel guardarlo, Pete iniziò ad annu ire e sussurrò: — Sì. C ontrollò al mattino, durante la pausa pranzo, anche dopo es sere uscito dal lavoro all’Ufficio Ma tricole, la sera, ma Sogni Impossibili non riapparve. Per cena, prese un pa nino in un negozietto e andò su e giù per gli ultimi isolati della strada com merciale vicino al suo appartamento. Alle 8:30 si appoggiò a un lampione e guardò fisso il posto dove c’era stato il videonoleggio. Quando era arrivato lì la sera precedente? Alle 9:45? Ma chi poteva dire se il tempo avesse qualco sa a che fare con quella miracolosa ap parizione? E se fosse stato un evento unico e irripetibile? Ma intorno alle 8 e 45 la porta im provvisamente riapparve. Pete aveva sbattuto le palpebre, ecco tutto, e in quell’istante era avvenuto qualcosa e il negozio era di nuovo lì. Rabbrividì, pieno di una strana esultanza, e si chiese se fosse quella la sensazione provata dai testimoni di una guarigione miracolosa o di statue che piangevano sangue. Prese un pro fondo respiro ed entrò. C’era la stessa commessa, che lo guardò torvo: — Ti ho aspettato, ie ri sera. — Mi dispiace — rispose lui, cer cando di non incontrare lo sguardo della donna. Sapeva di lavorare in un negozio di meraviglie? Certo non si comportava come se lo sapesse. Pen sò che doveva far parte del miracolo, non esserne esterna, e per lei un mon do con la versione completa e non ta gliata di L’orgoglio degli Amberson non doveva essere nulla di speciale. — Non ero riuscito a trovare contante in casa, ma oggi ne ho parecchio. — Ti ho tenuto da parte i video — disse la donna. — Devi assolutamente vedere il film di Welles, ti farà cambia re completamente opinione sulla sua carriera. — Molto gentile da parte tua. Vor rei dare un’occhiata e prendere qual che altra cosa. — Fai pure con comodo. È una se rata molto fiacca, anche per un mar tedì. La curiosità verso quella donna — la proprietaria (o almeno la commes sa) di un negozio magico! — combat teva con il desiderio di rovistare fra gli scaffali. — Lavori sempre da sola? — Quasi sempre, tranne nei week end. Ci sarebbe bisogno di due com messi qui, ma il mio capo perde un 11 sacco di soldi, con tutta la gente che scarica film dalla rete, acquista DVD per posta, cose del genere. — Scosse la testa. Pete annuì; anche lui si procurava film online e per posta, ma c’era qual cosa di diverso nella gratificazione istantanea di noleggiare qualcosa in prima persona, senza attendere lo sca ricamnto o la posta. — Mi spiace sen tirlo, perché mi sembra un gran bel negozio. Sei qui ogni sera? Lei si appoggiò al bancone sospi rando. — Ultimamente, sì. Lavoro il più possibile, alcuni giorni faccio an che lo straordinario, perché mi servo no i soldi. In questo periodo non mi bastano neppure per mangiare, e mi limito a una mela per pranzo e spa ghetti cinesi per cena. La mia com pagna di stanza mi ha mollato e devo pagare il doppio dell’affitto in attesa di trovarne uno nuovo. È uno schifo. Io… ah, mi spiace, non intendevo sfo garmi con te. — No, va benissimo — rispose Pe te. Mentre parlava, aveva avuto modo di guardarla meglio, scoprendo che, oltre a essere in grado di fornire mira coli, era carina, con quel look logoro da ex-punk. Non proprio il suo tipo, comunque, se non per il fatto che an che lei amava i film. — Fruga pure — disse lei, aprendo un pesante libro di testo sul bancone. Pete non ebbe bisogno di ulteriore incoraggiamento. La notte prima ave 12 va elaborato una teoria e ora tutto ciò che vedeva la supportava. Pensava che il negozio appartenesse a un univer so parallelo, un mondo praticamente uguale al suo, se non per minime dif ferenze, come altri nomi per le carte di credito più usate. Ma anche picco le differenze possono portare a diver genze sostanziali quando si tratta di film. Ogni film dipende da così tante variabili: l’entusiasmo capriccioso del regista, la fiducia di una casa di pro duzione in una sceneggiatura, quale stellina dorme con quale produttore. Uno qualunque di quei fattori era in grado di alterare in modo irrevocabi le lo sviluppo di un film, e la storia di Hollywood era cosparsa di cadaveri di pellicole arrivate a un passo dall’esse re prodotte. Lì, in questo mondo, al cune erano state portate a termine e Pete sarebbe rimasto senza dormire per una settimana, se necessario, pur di vederne il più possibile. Gli scaffali furono un susseguirsi di miracoli: ecco La morte di Superman, diretto da Tim Burton e interpretato da Nicholas Cage; nell’universo di Pe te, Burton e Cage avevano lasciato ca dere il progetto. Poi, Atto di forza, ma scritto e diretto da David Cronenberg, non da Paul Verhoeven; quindi, Terminator, interpretato da O.J. Simpson invece che da Arnold Schwarzenegger, che pure prendeva parte al film nel ruolo di Kyle Reese. Ed ecco I predatori dell’arca perduta, con Tom Selleck al posto di Harrison Ford, e non vi era traccia di altre pellicole di Indiana Jo Sogni impossibili nes, una disdetta. Le mani del giova ne erano già piene di DVD; si trovò a disagio nel maneggiarli, mentre tira va fuori altri film dagli scaffali. C’era Casablanca con George Raft al posto di Bogart, forse persino con uno dei finali alternativi! Poi un film di guer ra con John Wayne di cui non aveva mai sentito parlare, ma la copertina diceva che riguardava l’invasione via terra delle isole giapponesi, definen dolo un “avvincente dramma storico”. Una rapida scorsa al resto degli scaffa li non mostrò alcun segno del Dottor Stranamore di Stanley Kubrick, e l’in sieme delle due cose suggeriva che in quel mondo la bomba atomica non fosse mai stata sganciata sul Giappo ne. Le implicazioni che ne derivavano erano enormi, ma Pete scacciò dalla mente ulteriori speculazioni quando un altro film catturò la sua attenzio ne. In quel mondo, Kubrick era vissu to a sufficienza per completare da solo Intelligenza Artificiale. Doveva assolutamente vederlo sen za il tocco sentimentale introdotto da Steven Spielberg che l’aveva trasfor mato in Pinocchio. — Puoi tenerli soltanto tre giorni — disse la commessa, non senza di vertimento, e Pete la guardò sbatten do le palpebre, come un uomo im merso in un sogno. — Pensi di avere il tempo di vederli tutti? — Farò un piccolo festival — ri spose Pete. Ne aveva tutta l’intenzio ne: si sarebbe dato malato per vede re quei film, e copiarli, se ci riusciva; chissà quale strana protezione antipi rateria poteva esistere in quel mondo. — Be’, il mio capo non vuole che un nuovo cliente prenda venti film tutti assieme, sai? Potresti limitarti a quat tro o cinque, per evitarmi il fastidio di dovergli spiegare la cosa? Abiti qui vici no, no? Puoi sempre riportarli e pren derne altri non appena hai fatto. — Certo — ammise Pete. La cosa non gli piaceva, ma aveva paura di in sistere troppo. Scelse quattro film — L’orgoglio degli Amberson, La morte di Superman, Io Robot e Casablanca — e rimise a posto gli altri. Dopo qualche noleggio, forse lei gli avrebbe consen tito di prendere dieci o venti film per volta. Doveva vedere quanti giorni di malattia aveva conservato: era un’otti ma occasione per prendersi una brut ta influenza e perdere un paio di setti mane di lavoro. La commessa passò il codice a bar re delle custodie, inserì i dati dalla ta stiera e gli disse il totale: $12.72. Pete le dette due pezzi da cinque, due da uno, due quartini, un decino, due ni chelini e un paio di penny. Si era por tato contante in abbondanza stavolta. La donna osservò il denaro sul ban cone e poi l’uomo con un’espressio ne a un tempo divertita e circospetta. Batté sulle banconote. — So che non sei un falsario, perché altrimenti al meno proveresti a far sembrare il de naro vero. Si tratta di un gioco o che cosa? Non è denaro straniero, perché 13 riconosco i nostri presidenti, tranne questo tizio sopra, cos’è questo, un decino? Pete soppresse un lamento. Il de naro era diverso, non ci aveva neppu re pensato. Cominciò a contemplare la possibilità della rapina a mano ar mata. — Un momento, ci sono un pa io di nichelini mescolati alle monete false — aggiunse, tirando da parte le due monetine. — Quindi mi devi so lo $12.62. — Mi sento veramente stupido — disse Pete. — Sì, è denaro che ho pre so da un gioco che giocavo ieri, e de vo averlo messo in tasca per errore. — Ripulì il bancone di banconote e mo netine. — Sei un tipo strano, Pete. Spero che non ti offenda se te lo dico. Annuendo malinconicamente, lui estrasse dalle tasche una manciata di spiccioli. — Credo di esserlo. — Ave va parecchi nichelini, che erano rea li — o almeno abbastanza — in quel mondo, e si mise a contarli sopra il bancone; in tutto erano $3.35, abba stanza per un DVD. L’indomani sa rebbe andato in banca a cambiare il contante in sacchetti di nichelini, quanti riusciva a portarne, e avrebbe noleggiato i film cinque centesimi al la volta. Certo, avrebbe potuto ruba re tutti e quattro i film e correre via, ma poi non sarebbe più potuto torna re, e c’erano scaffali su scaffali di pelli 14 cole che voleva vedere. Per quella sera doveva accontentarsi solo di L’orgoglio degli Amberson. — Questo — disse. La commessa prese i nichelini, scosse la testa divertita, gli passò una custodia di plastica trasparente e dei penny co me resto, strane piccole monete otta gonali. — Te li metto da parte, signor Ni chelino — disse, prendendo gli altri film che Pete aveva portato al banco. — Divertiti e fammi sapere cosa ne pensi. Pete mormorò una sorta di ringra ziamento e corse verso la porta, con il disco stretto al petto; tornò verso il suo appartamento alternando trat ti di corsa al semplice camminare. Una volta dentro azionò il ronzante assortimento di apparecchi di avan guardia e attivò il cassetto del lettore DVD. Aprì la confezione, tolse il disco — semplice, nero con i titoli in argen to — e lo inserì nell’apparecchio. Era leggermente più piccolo dei DVD del suo mondo, ma sembrava a posto. Il disco iniziò a ruotare, ronzò e il di splay lampeggiò qualche volta prima di spegnersi. Lo schermo televisivo di ceva ‘Nessun disco’. Il giovane impre cò e cercò di caricarlo di nuovo, ma senza successo. Seduto sulla poltro na di pelle, si tenne la testa fra le ma ni. Il denaro non era l’unica cosa di versa nell’altro mondo; anche il siste ma di codifica dei DVD lo era e per fino il lettore deregionalizzato, capace di riprodurre dischi di tutto il mon do, non era in grado di leggere quel Sogni impossibili la versione di L’orgoglio degli Amberson. Le videocassette sarebbero state altrettanto inutili: si era già accorto che erano nastri diversi da quelli del suo mondo, di un formato inesisten te, più piccolo del VHS e più grande del Betamax. Ma non tutto era perduto. Uscì portando con sé L’orgoglio degli Amberson, dato che non poteva permet tersi di lasciarselo sfuggire, e corse al videonoleggio. — Noleggiate lettori DVD? — chiese boccheggiando. — Il mio si è rotto. — Certo, Pete — rispose la don na, — ma serve una cauzione di $300. Non vorrai mica pagarli in nichelini? — Certo che no — rispose lui. — A casa ho un po’ di denaro vero. Pos so vederlo? — Al diavolo la logica: l’avrebbe rubato. Lei aveva il suo in dirizzo, ma non era lo stesso mondo e nel giro di pochi minuti il negozio sarebbe scomparso di nuovo. Il gior no dopo sarebbe tornato con una pi stola giocattolo e avrebbe rubato tutti i DVD che poteva portare via; sarebbe venuto con una valigia e… La commessa tornò posando il let tore sul banco, con il cavo arrotola to sopra. La spina elettrica aveva una forma strana, con le due alette per pendicolari fra loro. Pete rammentò che gli standard elettrici erano diver si persino fra Europa e Nord America, ed era quindi ingenuo presumere che la presa di casa sua fosse compatibi le con apparecchi di un altro universo. Dubitava fortemente di riuscire a tro vare un adattatore nel negozio locale di elettrodomestici, e anche se fosse riuscito a rimediare qualcosa, il vol taggio della rete di casa poteva esse re completamente sbagliato. Avrebbe potuto distruggere il lettore DVD, co me alcuni computer americani posso no “friggere” se li si collega a una pre sa europea. — Non preoccuparti — disse, sconfitto. Fece finta di cercare nelle tasche dei pantaloni e aggiunse: — Mi sono dimenticato il portafoglio. — Tutto bene, Pete? — chiese la ra gazza. — Certo, è che sono veramente eccitato al pensiero di vederlo. — Si aspettava una risposta sprezzante, del tipo ‘È solo un film’, come quelle che si era sentito ripetere per tutta la vita da parenti e amici. Invece lei rispose: — Ehi, capi sco. Non preoccuparti, lo avremo senz’altro quando avrai riparato il let tore. Il vecchio Orson non è più molto richiesto al giorno d’oggi. — Certo — convenne Pete, spin gendo il DVD sul bancone verso di lei. — Vuoi un rimborso? Lo hai tenu to solo venti minuti. — Tieni pure i soldi. — rispose lui. Rimase fuori a guardare, dall’altro la to della strada, la commessa che chiu deva. Dieci minuti dopo le 10 batté le palpebre e il negozio scomparve, mentre lui aveva gli occhi chiusi. Si al lontanò a passo strascicato. 15 Q uella sera, una volta a casa, guardò la sua copia in DVD di L’orgoglio degli Amberson, con lo scempio di sceneggiatura, il finale po sitivo imposto dalla produzione, mo dificato per non deprimere gli spetta tori del periodo della guerra, e alla fi ne non riuscì a dormire chiedendosi quello che avrebbe potuto essere. O rmai non pensava che Sogni Impossibili sarebbe compar so di nuovo, perché apparve solo alle 9. Si chiese se la finestra dimensionale si stesse chiudendo e se il negozio sa rebbe riapparso sempre più tardi ogni sera, fino a non comparire mai più nel giro di un giorno o di una setti mana. Spinse la porta con un pesante sacchetto di plastica in mano. La com messa, appoggiata al bancone, man giava cracker tirati fuori da minuscoli contenitori di plastica, simili a quelli che portano con la minestra al risto rante. — Ciao. — Signor Nichelino — lo accolse lei. — Ultimamente sei l’unico cliente che viene qui dopo le 9. — Tu, ah, hai detto che in questo periodo non hai denaro neppure per il pranzo e volevo scusarmi per aver ti causato tutto questo fastidio… in somma, ti ho portato del cibo, se ne vuoi. — Pete si era arrovellato il cer vello per tutto il giorno, chiedendosi cosa portare. Aveva escluso i fast food: se nel suo mondo McDonald non esi 16 steva, cosa avrebbe pensato lei delle confezioni? Si preoccupò anche di al tre cose. Doveva evitare la carne, nel caso nel suo mondo fosse diffuso il morbo della mucca pazza? E se un’in fluenza aviaria avesse trasformato il pollo in una prelibatezza? Se la sua cultura fosse stata solo vegetariana? Alla fine si era deciso per involtini ve getariani alle uova, spaghetti di riso, e una zuppa calda e acida. Aveva visto film di azione di Hong Kong nel ne gozio, perciò sapeva che la cultura ci nese esisteva in quell’universo, ed era abbastanza sicuro che il cibo sarebbe stato simile. — Sei un dio, Pete — disse la don na, aprendo la confezione di spaghet ti e tenendo i bastoncini da professio nista. — Sai cosa ho mangiato oggi a pranzo? Una pera che ho dovuto ru bare dall’albero del vicino. Ho preso i cracker da un vassoio in una sala da pranzo. Mi hai salvato la vita. Agitava le mani, la bocca piena di involtini, e avendola davanti Pete comprese come il suo progetto fosse impossibile. Aveva sperato di farsela amica e di convincerla a farlo resta re fin dopo la chiusura, così da poter venir portato via di nascosto fino al suo mondo, dove avrebbe potuto ve dere tutti i film, e forse diventare il suo compagno di stanza. Alle 3 del mattino della notte precedente tutto era sembrato logico, e aveva trascor so gran parte della giornata a pen sare solo a quello, ma ora che aveva messo in moto il piano, capiva come Sogni impossibili fosse più un’idea da cinema, ben po co realistica. Poteva funzionare in un film, ma nella vita reale non conosce va neppure il nome della donna, che non l’avrebbe certo accolto a braccia aperte, e quand’anche, cosa avrebbe fatto lui nell’altro universo? Passa va il giorno a processare richieste di iscrizione, riordinare libretti univer sitari, usare database e archiviare co se, ma cosa avrebbe fatto nel mondo di lei? E se i computer avessero usato linguaggi di programmazione com pletamente diversi? Come si sarebbe guadagnato da vivere, una volto esau rito il suo ipotetico sacchetto gigante di nichelini? — Scusami, ma non ti ho mai chie sto come ti chiami — disse. — Ally — rispose lei. — Prendi un involtino, mi sembra di essere un ma iale. Pete acconsentì e Ally uscì da die tro il bancone. — Ho qualcosa per te. — Andò davanti al grosso schermo televisivo e lo accese. — Non abbiamo tempo di vederlo tutto, ma abbastan za per vedere prima della chiusura gli ultimi cinquanta minuti, la pellicola restaurata. — Accese il lettore DVD e L’orgoglio degli Amberson iniziò. — Oh, Ally, grazie — riuscì a dire lui. — Ehi, il tuo lettore di DVD si è scassato e tu dovevi vederlo. Per i successivi cinquanta minu ti, Pete guardò lo schermo. Il cast era simile, tanto che notò un solo attore diverso, e da quello che aveva letto si trattava della pellicola perduta di cui aveva sentito parlare nel suo mondo. Il genio di Welles era evidente anche nella versione massacrata edita dal la RKO, ma qui c’era una chiarezza di intento talmente pura da risultare schiacciante, una versione triste, real mente triste, un racconto di gloria e inevitabile declino. Alla fine, Pete si sentiva prosciuga to dal punto di vista fisico, ma total mente felice. — È ora di chiudere, Pete — disse Ally. — Grazie ancora per la cena. La cucina cinese mi fa impazzire. — Lo accompagnò gentilmente alla porta, mentre lui non smetteva di ringraziar la. — Sono contenta che ti sia piaciu to — aggiunse lei. — Ne riparliamo domani. — Chiuse la porta a chiave e Pete rimase a guardare dall’altra par te della strada, finché il negozio scom parve, poco dopo le dieci. La finestra dimensionale si stava chiudendo e il negozio appariva per un tempo sem pre minore ogni sera. Doveva godersela finché durava: non si può chiedere a un miracolo più di quanto ti voglia dare. L a sera successiva le portò del pollo kung pao e le chiese qua li fossero i suoi film preferiti. Ally lo guidò allo scaffale dei preferiti del ne gozio e gli indicò le proprie scelte. — So che è solo nostalgia, ma io amo an cora The Lunch Bunch, hai presente, il seguito di Breakfast Club, ambien 17