GIOVE E SEMELE

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GIOVE E SEMELE
CLAUDE COURTOT
GIOVE E SEMELE
Testo tratto dal libro Bonjour Monsieur Courtot (Paris, Ellébore, 1984, pp. 103-109)
Traduzione di Carmine Mangone
“DA SILVIA ALLA MIA CARISSIMA
DOMINIQUE
(infermiera)
messaggio (masturbatorio)
Non si può conoscere, non ci
si può vantare di conoscere
veramente qualcuno finché
non lo vediamo godere… E
per di più, se egli si dà da
solo il piacere, si giunge al
più profondo di lui stesso, del
suo essere… Masturbarsi
davanti a qualcuno è offrirsi
sul serio... Si può barare
facendo
l’amore,
mai
masturbandosi
di
fronte
all’essere che si ama. Poche
donne accettano d’offrire
questo dono, tu non fai
eccezione, quindi non mi ami
ed io, sapendolo, preferisco
lasciarti definitivamente per
un altro mondo. Sii felice col
tuo dottore, ma ditti anche
che
nessun
maschio
accetterà d’offrirti questa
prova d’amore. Sto per
prendere il metrò, addio. La
tua Silvia che t’amava.”
“TI RICORDI Ero accucciata ai
tuoi piedi. Ti sei avvicinato e
mi hai abbassato i pantaloni
fino
alle
ginocchia.
Io
credevo semplicemente che
ti piacesse guardare il mio
culo ed ero piuttosto fiera.
Allora ho subito abbassato i
miei slip. E poi… mi chiedo
ancora cos’è che m’hai
infilato nel culo. (La serie dei
colpi che poco dopo m’hai
dato col cazzo non andava
male). Ma la faccio corta,
tanto
tu
hai
afferrato
sicuramente: amo le tue
grandi dita pelose e il modo
con cui le fai scivolare tra le
mie cosce. VEDIAMOCI
allora questo sabato alle 17
presso il parcheggio della
Samar davanti all’uscita degli
scarichi.”
“IL METRÒ ALLE ORE DI PUNTA
Ci sono delle ragazze a
cui piace farsi accarezzare
il culo, il sesso o il seno da
uno sconosciuto sul metrò
nelle ore di punta ossia
verso le 17.30 tutti giorni
dal lunedì al venerdì. Se
sì, vi do appuntamento
a
davanti alla 1 classe nella
stazione di “concorde”
direzione “porte de la
chapelle” con il giornale
LIBERATION
sotto
il
braccio
destro
come
segno di riconoscimento.
Se vi eccita, potrete
toccarmi anche voi.”
(Brevi annunci tratti dal giornale “Liberation”, giugno-luglio 1980)
Supponendo che coloro che passano tali messaggi alla stampa siano veramente disposti ad
andare fino in fondo a ciò che promettono, supponendo che gli autori di questi brevi annunci
abbiano superato il livello dello scherzo volgare, supponendo che non si tratti di saggi letterari
per testi erotici mediocri, occorre forse vedervi, come fanno certi rivoluzionari, il vero
linguaggio della passione, l’espressione che libera dai fantasmi, il soffio del desiderio? O non
piuttosto la confessione penosa che si accetta, o che addirittura s’incoraggia – in nome di un
vasto esibizionismo collettivo – dell’opera sistematica di avvilimento dell’individuo? La festa
può aver luogo soltanto nelle latrine pubbliche, i cui graffiti somigliano tanto a queste
dichiarazioni? Si spera forse di re-inventare l’amore e liberarlo dagli interdetti che pesano su
di esso, ricorrendo ai gesti e al vocabolario della canaglia che vive per l’appunto nella più
grande miseria erotica?
Io non escludo nessun comportamento sessuale. Non disprezzo nessuna minoranza erotica; so
che ognuna di loro è la manifestazione di una delle mie pulsioni latenti, so che posso ricoprire
tutti i ruoli in qualsiasi partita erotica. Ma ho orrore di quelli che portano le loro perversioni
virtuali all’occhiello. Ho fatto le mie scelte e da molto tempo ho chiuso la mia porta ai
rappresentanti di commercio d’ogni genere. La libertà sessuale mi è sempre parsa un’esigenza
così evidente che non vale neanche la pena di parlarne visto che il principio è acquisito senza
possibilità d’equivoco (non pretendo certo che le cose siano a posto così, ma nessuno può
negare che immensi progressi siano stati fatti su questa strada negli ultimi anni). In
quest’ambito, il riconoscimento del principio è più che sufficiente: non capisco di cosa
s’impicciano coloro che si preoccupano per l’uso che ciascuno fa di questa libertà. Qui come
altrove, la libertà mi sembra però una condizione necessaria ma per niente sufficiente. È solo
il mezzo per arrivare ai miei fini. Mi pare molto pericoloso e particolarmente infantile
confondere la libertà d’espressione con un’espressione liberata.
Museo Gustave Moreau, rue de La Rochefoucauld. Ho sempre considerato quest’edificio
come un luogo d’incontro per coppie irregolari. Occorre suonare per entrarvi. Mi recito la
commedia di colui che chiede asilo a degli amici: mi rifugio in questo luogo ameno per
sfuggire alle prostitute della rue Pigalle. Qui mi sento in una familiare casa d’illusioni. Mi
ricordo chiaramente ciò che ne ha detto Breton: “La scoperta del museo Gustave Moreau,
quando avevo sedici anni, ha condizionato per sempre il mio modo d’amare. La bellezza,
l’amore, è qui che ne ho avuto la rivelazione attraverso alcuni volti, alcune pose di donne.”∗
Salgo al secondo piano, lentamente, dove so già cosa mi attende. Giove è là, con lo sguardo
fisso. Uno sguardo d’orgasmo. Sguardo di Dio nel suo potere di liberare la folgore – lo
sperma.∗∗ E Semele, con quella macchia di sangue sul fianco, Semele nuda, lacerata,
pietrificata… Ripenso ai miei sedici anni: la sera di un sabato molto animato, tiepido e vivace,
non lontano da qui, in place Pigalle. Passeggio con i miei due migliori amici e parlo della mia
malinconia, di tutta la mia tenerezza romantica repressa, delle mie passioni trasognate, del
mio dolore allo spettacolo di quella folla apparentemente felice. I miei amici colgono al volo
l’occasione e mettono insieme il denaro necessario perché io possa offrirmi una piccola
prostituta del quartiere sulla quale avevo forse fatto degli apprezzamenti. La cosa non poteva
che farmi del bene, dicevano, avevo chiaramente bisogno di una donna, ecc. Gliene voglio
ancora oggi per aver avuto così poca stima di me.
Ogni teoria concernente l’amore o la sessualità – ogni discorso che proponga un ideale
d’amore – ha necessariamente delle pretese a giudicare la mia vita amorosa e sessuale, o
anche a dominarla. In quanto tale, io non posso che ricusarla. I testi di Breton sull’amore sono
magnifici. Sono così sensibile a quelle pagine meravigliose che potrei controfirmarle quasi
tutte. Ma mi rifiuto di vedere in esse cosa diversa da un’espressione lirica della concezione
che un uomo che ho conosciuto, chiamato André Breton, si faceva personalmente dell’amore.
Se esse formulano una teoria generale dell’amore – e pretendono a questo anche troppo
spesso – allora io mi astengo dal prendere la loro difesa contro i vari attacchi di cui possono
essere l’oggetto.
Tutte le società provano il bisogno di regolamentare in qualche modo la vita erotica dei loro
membri. Gli etnologi hanno pure dimostrato che tale regolamentazione è costitutiva delle
società. Perché non c’è niente di più pericoloso per una collettività dell’autonomia di una
∗
[André Breton, Le Surréalisme et la Peinture, Gallimard, Paris, 1965.]
[Gioco di parole intraducibile tra foudre e foutre.]
∗∗
coppia formata da due individui uniti da un amore totale. Solo l’amore e la poesia ci rendono
tanto sordi al discorso collettivo:
“La stretta poetica come la stretta carnale
Finché dura
Impedisce ogni scorcio sulla miseria del mondo”∗∗∗
Così, tutti coloro che credono alle società armoniose, tentano di ridurre la distanza tra il
discorso collettivo e quello della poesia e dell’eros. Ed io prendo atto che ciò, fino a nuovo
ordine, conduce solo alla costernante volgarità di tutti i linguaggi.
Sulla spiaggia di Nizza, quest’estate, sono seduto vicino ad una donna che non conosco. Ha i
seni nudi, tondi e sodi, e i capezzoli ritti, di un rosa che risalta molto sulla pelle abbronzata. È
allungata sul dorso, appoggiata soltanto sui gomiti e gli avambracci, a gambe assai larghe.
Porta un minuscolo slip nero che lascia scorgere distintamente i primi peli biondi e fulvi del
pube celato. Appena dieci anni fa, non si poteva ammirare nelle riviste osé un’immagine più
ardita di quella offertami qui da questa giovane donna. Sembra uscita direttamente da un
magazzino erotico di già antiquato. Nessun dubbio che in un futuro prossimo, la stessa
ragazza si sarà tolta anche lo slip, adeguandosi così alle foto che ci vengono propinate ora,
tutti i giorni, dalle numerose riviste specializzate. Resterò allora freddo allo stesso modo,
accanto a questa statua calda, abbandonata sui ciottoli della spiaggia dall’equipaggio ingrato
di una nave mercantile?… Questa donna è al mio fianco, mi basterebbe allungare il braccio
per toccare il suo corpo. E curiosamente, non ne sento la voglia. Ma so che appena più tardi,
evocando questa scena, sentirò nascere il desiderio. Questa donna è protetta contro le mie
attenzioni dalla presenza di un gran numero di altre donne esposte anch’esse sulla medesima
spiaggia. Tutte queste donne sono protette dalla loro uniforme di pelle; si arriva così, per
ravvivare l’interesse, a spiare le mostruosità. Protette anche da tutti questi bambini che
giocano con le onde. Protette dal doppio strato d’igiene fisica e morale di cui si circonda
questa spiaggia di vacanze. La salute, lo sport, le ferie pagate, l’assenza totale di rischio,
l’amore rimborsato dalla previdenza sociale, le perversioni annotate sul libretto individuale
della sessualità come se fossero vaccinazioni.
Un po’ più tardi, sulla strada che costeggia il mare, a qualche metro soltanto dagli spazi
riservati alla balneazione, ho incrociato una ragazza che usciva dalla spiaggia per andare a
fare, quasi sicuramente, qualche rapida compera: indossava sempre il suo costume da bagno,
però senza reggiseno, contando sicuramente di tornare presto sulla spiaggia, ma nascondeva –
assai male – i suoi seni dietro un asciugamano. Questa preoccupazione per la decenza – la
città impone il contegno! – in una tenuta così succinta, sembrava alquanto ridicola, ma si
giustificava perfettamente dal punto di vista dell’efficacia erotica. Questa ragazza, la cui
andatura vivace accentuava la libertà delle natiche – avevo quasi l’impressione che stessero
per aprirsi, per fendersi in due labbra carnose – provocava al suo passaggio sicuramente più
erezioni di tutte le donne arenate sulla riva.
Riconoscere che i problemi sessuali, per secoli, siano stati ipocritamente dissimulati per
meglio colpevolizzare gli amanti, è diventata una banalità. Il peccato originale doveva
avvelenare l’amore. Da un lato l’amore sublime, dall’altro la copula bestiale. Il cuore e il culo.
Sarà merito del nostro secolo aver denunciato questa situazione scandalosa. A tal punto che
tutte le istanze repressive della società sono state costrette a giocare la carta del liberalismo.
Questo radicale cambiamento d’attitudine dovrebbe essere sufficiente a destare delle
inquietudini. Oggi abbiamo riabilitato così tanto la sessualità da renderla sovrana. Tutto
concorre quindi a distruggere la sublimazione, sistema moderno e molto più efficace dei
∗∗∗
[André Breton, Sur la route de San Romano]
precedenti per dividere l’amore, purché la collettività continui ad imperare. Ieri Romeo e
Giulietta erano asessuati; oggi si percepisce dietro ogni loro minimo proposito il dialogo
senza spirito tra un pene ed una vagina. La nostra epoca coltiva sistematicamente il “segno
discendente”∗: bisogna guardare le cose in faccia, con realismo, tutto si spiega col sesso e con
le leggi economiche, e tutto il resto è poesia. Poesia, precisamente, il solo vero pericolo per
una collettività di cani.
Nel 1930, i surrealisti avevano ragione di voler “puntare sull’insieme dei “primi doveri”
l’arma a lunga gittata del cinismo sessuale”.∗ Questa rivolta contro la repressione secolare era
necessaria.
Nel 1964, Breton dovette però fare una precisazione:
“Sotto la pressione sovrana delle idee di Freud, si è sempre più convinti, ai giorni nostri, che
la sessualità governi il mondo. Da ciò sembrerebbe derivare che ogni cosa debba essere
rapidamente sgravata dei tabù e degli interdetti che, pur differendo da un tempo o da un luogo
all’altro, non pesano meno sui primitivi che su di noi. L’eco delle scoperte psicanalitiche è
stata tale da rendere inevitabile che la più totale incompetenza, quando non l’indegnità, si
occupasse del problema. Ed è così che, nella notte del partito sempre assoluto da prendere in
tale ambito, siamo stati edotti da suggestioni, non meno derisorie che arrischiate, in materia di
educazione sessuale. Non sembra però che la gioventù di questo paese, in tal senso più libera
d’ogni altra, si mostri meno disorientata. L’educazione sessuale sistematica potrebbe avere un
valore soltanto se lasciasse intatte le risorse della “sublimazione”, e se trovasse modo di
superare il fascino del “frutto proibito”. È soltanto d’iniziazione che si può trattare, con tutto
ciò che di sacro questa parola suppone – al di fuori delle religioni, beninteso –, il che implica
che la costituzione ideale di ogni coppia umana esiga la ricerca. Questo è il prezzo
dell’amore.”∗∗
Oggi, nel 1980, il cinismo sessuale è diventato la regola. Il mondo nel quale viviamo,
prostituito sotto ogni aspetto, non cessa di minacciare tutti da vicino con il suo erotismo
volgare e degradante. Se l’eleganza, la raffinatezza, il gusto delle cerimonie iniziatiche non
perdessero il loro prestigio quando si utilizzano a fini polemici, vedrei volentieri in esse le
sole armi a lunga gittata che ci restano per garantire la nostra difesa.
In un primo schizzo di “Giove e Semele”, Gustave Moreau ha rappresentato Semele
completamente nuda, senza alcun velo, e il trono di Dio fiancheggiato da colonne chiaramente
falliche. Nel quadro ultimato, Semele tiene serrato tra le cosce ed avvoltolato intorno alle
gambe un lungo pezzo di stoffa. Quanto alle colonne, esse sono così sontuosamente ornate
che sembrano piuttosto delle rocce scolpite dalla natura, come se ne trovano nelle grotte.
L’aggiunta della macchia di sangue sul corpo di Semele diventa allora – e solo allora –
inquietante in sommo grado.
Nel corso di una camminata in montagna, avventuratomi in una grotta, ho raccolto una
stalagmite spezzata alla base che somiglia, in modo sorprendente, ad un fallo corto e robusto.
Fa da ottimo fermacarte e, come oggetto di meditazione, rimpiazza vantaggiosamente il
cranio delle dimore romantiche. Non è questa la prova tangibile delle lente polluzioni della
natura? Il frammento di un mitico androgino mineralizzato?
Stalattite s.f. (dal greco stalaktos, che cola goccia a goccia).
∗
[In contrapposizione evidente a Signe ascendant, titolo di uno scritto di Breton pubblicato in NEON, n.1,
gennaio 1948.]
∗
[André Breton, Seconde Manifeste du Surréalisme, 1930.]
∗∗
[André Breton, Le Surréalisme et la Peinture, cit.]
Concrezione calcarea, che si forma nella volta di grotte e sotterranei.
Queste concrezioni pietrose sono formate dall’azione delle acque che raggiungono una cavità
sotterranea depositando sulla volta, in seguito alla loro evaporazione, le sostanze calcaree che
contengono in soluzione. Se la concrezione si forma al suolo, a causa della caduta di queste
acque, essa prende il nome di stalagmite. Talvolta, le une si congiungono alle altre e formano
dei pilastri che si accrescono e finiscono per colmare le cavità che le contengono.
Per quale motivo, trovo questo testo innocente, tratto dal piccolo dizionario Larousse, più
suggestivo, più eccitante di tanti romanzi erotici con o senza ortografia?
Non è raro che io sia percorso da brividi, che il battito del mio cuore si acceleri, che io senta
alle tempie la pulsazione del sangue quando ascolto tale o talaltra opera musicale. Non mi
oppongo a che mi si spieghi quest’emozione come di origine erotica. Accetto l’ipotesi
secondo la quale il mio gusto per la musica – l’arte più astratta – sia una sublimazione delle
mie pulsioni sessuali. Ciò mi permette di capire che non abuso del linguaggio, quando dico di
provare un vero godimento ascoltando per esempio i quintetti per strumenti a corda di Mozart.
Ma questa consapevolezza ha press’a poco lo stesso grado di utilità del sapere che organi
dalle reazioni così sorprendenti come il mio cuore o il mio sesso siano dei muscoli molto
sensibili. Che giudizio si deve dare sulla sublimazione? Occorre vederla come una triste
necessità compensatrice alla quale ci riduce una società che reprime selvaggiamente la nostra
sessualità? Oppure un superamento liberatorio della sessualità primitiva, primaria, elementare
che può solo apparire insufficiente per natura ad ogni uomo che pensa? Superamento che, nel
suo stesso movimento, rende affatto derisoria ogni energia spesa dalla collettività per
soffocare o, al contrario, per soddisfare le nostre rivendicazioni sessuali.
Sono nel metrò, in un’ora di grossa affluenza, in piedi, stretto fra due giovani donne, le stesse
intraviste sulla spiaggia estiva. Le immagino qui nella loro tenuta da sirene. Una preme i suoi
seni nudi contro la mia spalla destra, e sento il suo respiro un po’ più su del collo della
camicia. Ho il braccio sinistro immobilizzato lungo il mio corpo da un’altra creatura bionda,
uniformemente abbronzata che, incollata a me, mi guarda; le nostre bocche sono vicinissime.
Il dorso della mia mano si trova giusto all’altezza del piccolo slip nero che indossa. Sa di sole
ed alghe. Qualcosa palpita tra le sue cosce. Ho come l’impressione che il metrò deragli
improvvisamente. Il vero erotismo è solo quello immaginario.
“Ai piedi del trono, spiega Gustave Moreau, la Morte e il Dolore formano la base tragica della
Vita umana e, non distante da loro, sotto l’egida dell’Aquila di Giove, il grande Pan, simbolo
della Terra, curva la sua fronte mesta sotto il rammarico della schiavitù e dell’esilio, mentre ai
suoi piedi si ammassa la cupa falange dei mostri dell’Erebo e della Notte, degli esseri
dell’Ombra e del Mistero, gli indecifrabili enigmi delle tenebre. È un’ascensione verso le
sfere superiori, un’ascesa degli esseri mondati, purificati verso il divino. La morte terrestre e
l’apoteosi nell’immortalità. Il grande mistero si compie.”
Faccio l’amore con te, sento che sto per esplodere in te come un ordigno, sono la folgore nel
tuo ventre, ti scavo, ti innalzo, mi protraggo, accedo in te, striscio in te, mi faccio largo in te
sempre più in alto, sono la lava che risale dalle profondità verso i tuoi crateri spalancati. Ho lo
sguardo fisso di Giove e allargo la tua ferita, Semele. Il grande mistero si compie in un
insondabile segreto.