I socialisti e la svolta politica del 1962

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I socialisti e la svolta politica del 1962
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>>>> heri dicebamus
I socialisti e la svolta politica
del 1962
>>>> Alessandro Marucci
In questo numero non pubblichiamo, come di consueto, un saggio o una relazione tali da
documentare la cultura socialista degli anni passati. Pubblichiamo invece il carteggio che Pietro
Nenni, Riccardo Lombardi, Fernando Santi e Tristano Codignola tennero con Amintore Fanfani
per dare vita a quell’esperimento di governo che molti considerano il più fecondo per il
riformismo italiano, ed abbiamo chiesto di commentarlo a Piero Craveri.
All’inizio del 1962 il pendolo della politica, che per quindici anni era oscillato nel campo ristretto delle forze di centro, trovava lo slancio sufficiente per raggiungere l’area del
socialismo nenniano. Le lettere degli esponenti del PSI che
qui si pubblicano riguardano un momento decisivo nella
storia della Repubblica, quello compreso tra la formazione,
nel febbraio del ’62, del IV governo Fanfani, al cui programma era stata condizionata l’astensione socialista, e la
vigilia delle elezioni politiche del 1963. Il destinatario di
queste lettere è il presidente del Consiglio, incaricato di
formare un governo senza coinvolgere la destra e con un
programma economico-sociale che riscuotesse l’approvazione del PSI. Per il partito di Nenni a rendere praticabile
questa prospettiva non c’era solo l’impegno riformatore di
Fanfani. Come ha ricordato Antonio Giolitti, sulla via del
riformismo si erano incamminate forze cattoliche, socialiste e laiche che avevano trovato una convergenza d’idee
sulla politica di sviluppo pianificato, nella comune consapevolezza che i benefici del “boom” non sarebbero stati
illimitati1.
La svolta politica si metteva in moto al congresso del partito cattolico, dove Moro con una relazione fiume trascinò
la platea democristiana ad accettare l’apertura ai socialisti.
Solo due anni prima, e ancora dopo il drammatico luglio
del 1960, la resistenza della destra economica e politica,
forte anche dell’appoggio di alcuni settori ecclesiastici,
aveva avuto la meglio nell’imporre un veto al centro-sinistra; ma fu la stessa drammatica parentesi tambroniana a
rendere impraticabile una soluzione di centro-destra. Moro
però era riuscito a tessere una paziente tela senza mai
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Il carteggio con Fanfani
Le lettere che pubblichiamo sono conservate
presso la Fondazione Pietro Nenni e nel fondo
Amintore Fanfani dell’archivio storico del
Senato della Repubblica. Si ringraziano il Prof.
Giuseppe Tamburrano e la Dott.ssa Emilia
Campochiaro per averci agevolato nel reperimento della documentazione; nonché la Fondazione Amintore Fanfani e il suo segretario generale Dott. Ignazio Contu.
21 febbraio 1962
Caro Fanfani,
ho parlato coi miei compagni del caso Andreotti.
L’associazione Segni-Andreotti (quest’ultimo alla difesa)
crea al Partito una situazione estremamente difficile, riapre questioni che avete tutta la convenienza di seppellire,
e soprattutto si presta all’accusa dell’assoluto immobilismo in politica estera dove tante cose nuove sono state
dette da te e da Moro.
Di ciò ho il dovere di informarti per le conseguenze che la cosa può avere.
Cordialmente tuo
Nenni
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esporsi troppo; e la sua tela sembrava in quel momento
coincidere con quella di Fanfani, anche se differenti erano
i loro metodi e il loro stile. I due politici che incarnavano
quasi il dualismo machiavelliano della volpe e del leone,
dell’uomo respettivo e dell’uomo impetuoso, aprivano una
fase nuova di cui non erano prevedibili gli esiti. Moro presentò il centro-sinistra come uno «stato di necessità», un
«cauto esperimento» che avrebbe offerto al PSI la possibilità di dimostrare la sua reale autonomia dai comunisti;
restava però convinto che non si dovesse dare molto peso
al programma ma alla verifica delle condizioni politiche
per un allargamento della maggioranza.
Il contrario di quanto si proponevano i socialisti decisi a
impegnare il partito cattolico su una politica legata alla
programmazione dello sviluppo, per contrastare da un lato
la destra economica più conservatrice, e spingere dall’altro
il movimento operaio sulla scena di una nuova politica, per
la prima volta nella storia unitaria. Nel 1962 la strategia
autonomista del PSI si affermava con la vittoria della linea
Lombardi sulla sinistra interna, rimasta vincolata ai miti
consiliari: la lotta ai monopoli e la pianificazione centralizzata diventarono la bandiera del nuovo riformismo socialista. Anche nel PSI il successo della politica di centro-sinistra arrivava dopo un lungo percorso, accelerato nel maggio del 1961 dalla pubblicazione dell’enciclica Mater et
Magistra che Nenni al comitato centrale del partito aveva
interpretato come un invito a risolvere i tanti problemi della giustizia sociale mediante l’intervento dello Stato. Giudizio altrettanto positivo il segretario socialista aveva
espresso sui risultati del convegno democristiano di San
Pellegrino, dove la strategia economica elaborata da Achille Ardigò e da Pasquale Saraceno ravvivava le suggestioni
teoriche di una “terza via” tra liberismo e collettivizzazione. Nel ricorso ai concetti di piano e di socializzazione si
potevano intravedere i segnali di un interesse per il mondo
del lavoro che avrebbero dovuto trovare nel PSI un interlocutore sensibile e attento.
«Non è possibile per me chiedere più di un’astensione
sul voto di investitura, accompagnata dal fermo e risoluto impegno di un appoggio senza riserve sul programma», scriveva Nenni a Fanfani il 3 marzo 1962, giorno
della presentazione al Parlamento del suo quarto governo.
«Tuttavia il solo modo di rendere evidente che non siamo
parte organica della nuova maggioranza è l’astensione nel
voto di investitura. Siamo a ciò impegnati dal nostro
ultimo congresso e dalla necessità di mantenere la uni-
22 febbraio 1962
Caro Fanfani,
malgrado le difficoltà e i difetti cosa fatta capo
ha. Auguro successo al tuo lavoro. Tutto è sulle tue spalle
e di pochi altri. Riuscire vuol dire aprire una via nuova.
Fallire vorrebbe dire tornare al luglio 1960. Bisogna quindi riuscire e in questo impegno puoi contare su di me.
Tuo cordialmente
Nenni
3 marzo 1962
Caro Fanfani,
prima che il CC del mio partito prenda stasera la
sua decisione desidero ripetere che non è possibile per me
chiedere più di una astensione sul voto di investitura,
accompagnata dal fermo e risoluto impegno di un appoggio senza riserve contro manovre o mozioni dell’opposizione e nel voto sulle leggi che andrai presentando, sia
che tu debba o no su di esse porre la fiducia. Niente di
comune quindi con l’astensione dell’agosto 1960.
Il nostro impegno è senza riserve sul programma e sulla difesa del governo purché applichi il programma. (Su questo punto dovrò chiederti alcune precisazioni
concernenti la data delle elezioni regionali da fissare con
la legge elettorale; i poteri degli enti di sviluppo relativamente agli espropri; lo statuto della libertà del lavoratore
nell’azienda e pochi altri).
Tuttavia il solo modo di rendere evidente che
non siamo parte organica della nuova maggioranza è l’astensione nel voto di investitura. Siamo a ciò impegnati
dal nostro ultimo congresso e dalla necessità di mantenere la unità di voto dei nostri gruppi della quale avremo
bisogno.
Anche a titolo personale voglio ripetere che il
mio impegno e nostro impegno è totale. Bisogna riuscire
ad ogni costo.
Coi più cordiali saluti
Tuo Nenni
8 marzo 1962
Caro Fanfani,
tornando, come dovrai, sul programma, c’è un punto sul quale ti prego di essere quanto più possibile preciso, cioè negli enti di sviluppo, la loro estensione territo-
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tà di voti dei nostri gruppi della quale avremo bisogno» 2.
Si trattava di una dichiarazione d’intenti piuttosto impegnativa per il PSI, che Nenni ribadirà per tutto l’anno, sottolineando che quell’appoggio avrebbe contestualmente
ancorato la stabilizzazione democratica alla prospettiva
programmatica. L’accordo era stato votato dal comitato
centrale del PSI il 18 febbraio, dopo che Fanfani aveva
accolto le richieste dei socialisti: la riforma fiscale, lo statuto dei lavoratori, la riforma scolastica, l’istituzione delle
regioni. Pochi giorni dopo anche la nazionalizzazione dell’energia elettrica entrava a far parte dei punti programmatici. Il principale terreno di divisione, la politica estera, era
stato superato di slancio dal PSI con l’accettazione della
cornice atlantica. In una lettera del 22 febbraio, al momento della presentazione della lista dei ministri, Nenni scrisse
a Fanfani che la presenza di Andreotti e di Segni (soprattutto la presenza di quest’ultimo alla Farnesina) si prestava
«all’accusa dell’assoluto immobilismo» in politica estera,
un «immobilismo» che rischiava di creare tensioni all’interno del PSI, mentre era necessaria una soluzione di continuità e una linea più distensiva nei rapporti internazionali3. Tuttavia il giorno successivo, in un’altra missiva, metteva da parte la questione convinto che la necessità di contenere le spinte conservatrici e di rompere col passato si
imponeva sopra ogni altra considerazione, per cui gli esprimeva il suo pieno sostegno4. Il 10 marzo il governo ottenne la fiducia con 295 voti a favore, 195 contrari e 83 astenuti. Fanfani non poteva che ringraziare per quella fiducia
senza voto di cui gli era ormai chiaro il significato, dal
momento che i socialisti erano di fatto entrati nella maggioranza5.
Per affermare l’opportunità della programmazione economica e la necessità di un contributo socialista nella direzione del governo, Nenni poté contare su tre settori del partito che, con diverso peso e impegno, collaborarono nell’esperimento riformatore: gli economisti socialisti, i sindacalisti autonomisti, i dirigenti della commissione scuola.
Riccardo Lombardi, che apparteneva al primo gruppo, fu
un infaticabile tessitore dell’azione «riformatrice» del
governo. Di fronte all’affermarsi del “neocapitalismo” si
era convinto che una politica socialista potesse passare solo
attraverso un rigoroso dirigismo da parte dello Stato sull’economia nazionale che andava regolata, risanata e impostata su binari di democrazia economica e di giustizia sociale.
Innanzi tutto andavano sanate antiche e nuove distorsioni
con una politica di riforme strutturali e una pianificazione
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riale alle regioni non coperte dagli enti di riforma, il loro
compito di ricomposizione fondiaria e di ricostruzione
degli ambienti degradati con la facoltà di proporre al
ministro dell’agricoltura piani di esproprio e di ricomposizione della proprietà fondiaria. Per l’Umbria, le Marche,
l’Emilia e la Toscana questo è fondamentale se si vuole
mutare il volto sociale e politico delle campagne.
Con tanti auguri tuo Nenni.
11 marzo 1962
Caro Nenni,
a te e De Martino desidero inviare anche per
iscritto un saluto ed un ringraziamento cordiale per la prova di fiducia (senza voto) che mi avete dato, insieme ai
colleghi del gruppo socialista. Ora al Senato! E poi al
lavoro per tener fede all’attesa di tanti italiani.
Cordialmente Fanfani
Roma, 22 marzo 1962
Caro Presidente,
secondo il tuo desiderio ti trasmetto copia dei
calcoli analitici e riassuntivi che rappresentano, sotto l’aspetto finanziario, gli oneri per le varie alternative possibili dell’operazione di nazionalizzazione.
In particolare attiro la tua attenzione sulla pag.
31 ove si rappresentano le condizioni – fra quelle realisticamente possibili – più svantaggiose per la nuova azienda
e più vantaggiose per gli attuali azionisti, cioè la conversione dei titoli azionari in obbligazioni trentennali al 5%,
con capitale ragguagliato ai corsi di borsa 1961 (cioè i più
alti del quindicennio) e reddito superiore del 30% al reddito attuale: anche in tali circostanze sfavorevoli l’ammontare annuo del servizio interessi e ammortamento (per
il settore privato) risulta di miliardi 82.523, e ove si
aggiunga il settore pubblico (municipalizzate escluse) di
miliardi 107,448 (v. pag. 57); carico questo largamente
sopportabile dalla nuova azienda, anche senza contare la
detrazione rilevante da tale carico, dell’attuale carico
obbligazionario delle aziende private e pubbliche.
Con cordiali saluti e auguri, credimi
Riccardo Lombardi
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dell’uso delle risorse, degli investimenti e della produzione
capace di frenare il capitalismo selvaggio e “di rapina” di
un ceto imprenditoriale italiano al quale il dirigente socialista negava quasi in toto la sua fiducia. Interventi dunque
radicali, così radicali da far prevedere il collasso del vecchio sistema e il ribaltamento dei rapporti di forza nella
società. Come ha scritto Simona Colarizi, le riforme di
struttura proposte da Lombardi miravano ad eliminare le
più appariscenti «posizioni di rendita e di monopolio», sviluppando una «politica di investimenti selettivi che rompesse il legame tra il possesso di un’azienda e il diritto a
determinare gli investimenti»6. Il ruolo che lo Stato doveva
ricoprire nel progetto di riforme strutturali spingeva dunque Lombardi a battersi per l’ingresso dei socialisti al
governo, malgrado fosse consapevole dell’esiguità dei
margini di manovra e delle molte resistenze specie sulla
questione salariale, uno dei punti chiave dell’architettura
riformista. Era pronto a soprassedere alla pur legittima
rivendicazione salariale però solo in cambio dell’apertura
immediata di un tavolo con i sindacati al fine di dare forma
allo statuto dei lavoratori, nella convinzione che per connotare il centro-sinistra come un governo realmente funzionale agli interessi della classe operaia, esso dovesse per
lo meno realizzare un intervento deciso sul piano delle
tutele e della libertà politica7.
Per quanto riguarda la corrente sindacale fu il suo leader
Fernando Santi che si adoperò per attuare una convergenza
fra la CGIL e le istanze del centro-sinistra. Santi criticava
una programmazione puramente indicativa e ridotta a mero
schema previsionale, indicando come obiettivo fondamentale del centro-sinistra il moltiplicarsi delle politiche pubbliche che avrebbe dovuto condizionare il meccanismo di
accumulazione privata8. Egli fu anche particolarmente attivo sul fronte della legittimazione internazionale della
CGIL. Nell’autunno del ’62 la Federazione sindacale mondiale (FSM), legata all’URSS, in una conferenza sull’integrazione economica europea, esplicitò la sua opposizione
al MEC, in contrasto con le posizioni assunte dalla CGIL
sin dal V Congresso della FSM, l’anno precedente. In occasione di quel congresso la CGIL, sotto la spinta dell’iniziativa socialista, aveva elaborato una proposta nella quale si
sottolineava l’esigenza di un più ampio collegamento sindacale delle diverse organizzazioni dei paesi europei. In
una lettera del 16 aprile 1962 Santi sottoponeva a Fanfani
la questione del riconoscimento della CGIL nel comitato
economico e sociale del MEC. Da essa emerge chiaramen-
23 marzo 1962
Caro Presidente,
mi permetto insistere sull’opportunità di non
ritardare almeno l’annuncio delle conversazioni coi sindacati ai fini dello statuto dei lavoratori: siamo in presenza di una massiccia pressione sui salari (del resto legittima) e occorre dare non solo l’impressione ma la certezza
che se non moltissimo si può fare in fatto di retribuzioni,
tuttavia il governo di centro-sinistra darà un bene più prezioso e pregiudiziale: un nuovo clima nei luoghi di lavoro, maggiore libertà sindacale e dunque politica, un maggior potere ai lavoratori. Credo superfluo insistere sull’enorme valore dell’iniziativa e sulla opportunità di dare
corso intanto alla circolare del Ministro delle Partecipazioni relativa a ciò che si può fare subito (sulla stessa
materia) nelle imprese pubbliche.
Credimi cordialmente fiducioso
tuo Riccardo Lombardi
30 marzo 1962
Caro Fanfani,
in merito agli accenni che nella conversazione di
oggi si è fatta alla questione pensione ai coltivatori diretti e ai coloni ti unisco l’accluso appunto preparato dai
nostri specialisti.
Ritengo che ormai divenga necessario che (se
possibile) tu annunci al consiglio dei ministri che il governo sta predisponendo le norme necessarie. Diversamente
rischi di trovarti in una tenaglia.
Cordialmente tuo Nenni
Roma, 4 aprile 1962
Caro Fanfani,
bisogna assolutamente che tu trovi un’ora per un
nostro incontro.
Le difficoltà che ci assalgono erano facilmente
prevedibili. Il grave è che nascono sul terreno meno favorevole.
Tu hai ragione quando ti sorprendi che i deputati socialisti abbiano presentato un disegno di legge sulla
pensione ai coltivatori diretti. Non sono purtroppo arrivato a tempo per fermarlo. Ma onestamente cosa potevo dire
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te come il ministro del Lavoro, Virginio Bertinelli, ne ostacolasse il riconoscimento ritenendo i limiti della “guerra
fredda” ancora operanti sul piano sociale. Secondo Bertinelli, infatti, nessuna attribuzione alla CGIL del delegato
operaio alla Conferenza Internazionale sul lavoro era possibile perché la CGIL “è una forza politica d’urto”9. La lettera dimostra come la corrente sindacale socialista tentò in
ogni modo di evitare che la linea autonomista di non subordinazione al PCI potesse determinare una rottura nei rapporti tra il PSI e il principale sindacato italiano. Una rottura, quella sul piano sindacale, che lo stesso Nenni nel suo
discorso alla Camera del 3 marzo sull’astensione dei socialisti aveva implicitamente esorcizzato.
Nell’autunno del ’62, mentre Fanfani era impegnato ad
arginare l’ostruzionismo della DC sulle riforme ancora non
realizzate, le vertenze contrattuali culminavano nell’imponente mobilitazione dei metalmeccanici. Santi inviava al
politico aretino un’altra lettera che lascia intendere l’insuccesso del PSI proprio su uno dei suoi principali obiettivi,
cioè quello di stabilire un rapporto virtuoso tra governo e
organizzazioni di massa10. Quanto fosse decisivo questo
fronte d’azione per i socialisti, e quanto pesarono quei limiti sul successo della formula di centro-sinistra, lo si apprezza soltanto se si considera che nel 1962 culminò il periodo
di “risveglio sindacale” iniziato nel 1959 con la cifra
record di 126 milioni di ore di sciopero (l’anno prima erano state 42 milioni), ma anche con episodi come quello di
Piazza Statuto che segnarono l’inizio del ciclo di insubordinazione operaia destinato a culminare nell’“autunno caldo” del 1969.
Infine, ultimo tassello del mosaico di centrosinistra era la
politica scolastica di Tristano Codignola, impegnato nella
battaglia per la laicizzazione della scuola, la riqualificazione dell’insegnamento e il superamento delle barriere di
censo che limitavano l’accesso alla formazione. Un impegno che a tutt’oggi appare il più significativo di quella stagione. Basti solo ricordarne lo sforzo per rafforzare l’identità riformatrice del socialismo, che attraeva nella sua orbita una prestigiosa scuola pedagogica, quella legata a Lamberto Borghi e alla rivista Scuola e città, che operava con
«vasti e fecondi riferimenti alla democrazia anglosassone»11.
In una lettera del 22 aprile 1962, Fanfani rispondeva alle
sollecitazioni di Lombardi che lo invitava a procedere speditamente con l’approvazione dell’imposta cedolare d’acconto e con la nomina della commissione per la nazionamondoperaio 5/2009 / / / / heri dicebamus
a chi mi metteva sotto gli occhi la interrogazione dei coltivatori diretti e affermava che noi non potevamo restare
in coda rischiando di vedere il nostro elettorato contadino
passare ai comunisti?
Su questa questione dei contadini, nata male, una
soluzione va trovata d’urgenza anche se disturba il tuo
piano di lavoro.
Ho però l’impressione che bisogna spostare l’asse dalle pensioni e dalla assistenza alla programmazione e
alle riforme di struttura su questo impegnando Parlamento e Paese.
Tieni conto che io debbo partire sabato alle ore
10 e che quindi l’ora che ti chiedo di dedicarmi va trovata venerdì.
Coi più cordiali saluti
Tuo Nenni
Roma 16 aprile 1962
Caro Fanfani,
ho avuto la settimana scorsa il colloquio con il Ministro
Bertinelli sulla questione delle rappresentanze sindacali in
sede internazionale, questione delle quale ebbi occasione
di parlarti nel nostro incontro.
Il colloquio è stato molto breve, non più di cinque minuti.
Il ministro Bertinelli mi ha infatti esplicitamente
dichiarato:
1) – Nessuna rappresentanza era possibile riconoscere alla C.G.I.L. nel
Comitato Economico e Sociale del M.E.C. data
l’appartenenza della
C.G.I.L. alla Federazione Sindacale Mondiale.
Le nomine sono avvenute nei giorni scorsi senza
che la C.G.I.L. fosse nemmeno interpellata.
2) – Nessuna attribuzione alla C.G.I.L. del delegato operaio alla Conferenza Internazionale sul lavoro era
possibile perché la C.G.I.L. “è una forza politica d’urto”
non bene specificata.
Alle mie rimostranze ed all’annuncio che avremmo protestato anche in sede parlamentare si è limitato a
prenderne atto. Per Ginevra ha infine aggiunto che poiché
riconosceva trattarsi di una decisione politica egli si riservava di sottometterti la questione.
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lizzazione dell’energia elettrica. Si difendeva ricordando
all’esponente socialista che «in meno di un mese, il governo più attivo del mondo non avrebbe potuto fare di più», e
gli elencava i primi provvedimenti realizzati e quelli in
cantiere12.
Il governo si era qualificato subito per una grande iniziativa redistributiva che portò all’aumento del 30 per cento di
tutte le pensioni dell’INPS e del minimo di pensione di
vecchiaia. Con provvedimenti successivi vennero migliorate le pensioni degli artigiani, dei telefonici, dei medici
ospedalieri e quelle dei coltivatori diretti e dei mezzadri.
Venne stabilito il divieto di licenziamento delle donne a
causa del matrimonio e una serie di sgravi fiscali per l’agricoltura. Anche sul versante delle libertà di espressione
grande rilievo ebbe la limitazione della censura. Segnali
positivi si avvertirono anche sul «piano dell’ordine pubblico, nonostante che un nuovo tragico episodio a Ceccano nel
mese di maggio portò il Psi a rilanciare la proposta di legge Fenoaltea, presentata nel 1960 a seguito dei fatti di
luglio, per vietare l’armamento della polizia in occasione di
agitazioni sindacali e scioperi»13. Nenni, di fronte a quell’eccidio, non perse un istante per invitare il governo a passare dalle deplorazioni all’individuazione delle responsabilità per l’accaduto, sostenendo che le forze di polizia dovevano essere armate di sfollagente e di idranti e non di mitra
quando erano in servizio d’ordine pubblico14.
Ma la svolta in senso riformatore ebbe il suo primo banco
di prova nel giugno del 1962, quando Fanfani iniziò le riunioni per la nazionalizzazione dell’energia elettrica, che
negli accordi con i socialisti sarebbe dovuta avvenire entro
i primi tre mesi di governo. Essa, fin dall’inizio, aveva
suscitato la reazione degli ambienti confindustriali che si
opposero denunciandone l’incostituzionalità e il pericolo
nientemeno che di una “sovietizzazione”. Va inoltre considerato come questa opposizione coincise con la scadenza
del settennato di Gronchi al Quirinale, allorché Moro, in
ossequio al patto con i dorotei, sostenne la candidatura di
Segni come contrappeso istituzionale allo spostamento a
sinistra del governo.
Il timore per uno svuotamento politico del centro-sinistra
divenne in quel momento la preoccupazione dominante di
Nenni. Lo dimostra quanto egli scrisse ad Amintore Fanfani il 2 maggio, la mattina del primo scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica: dal biglietto si evince
che la candidatura di Saragat, quella a tutela del centrosinistra in opposizione al “doroteo” Segni, poggiava essen-
Insieme a te, credo opportuno informare il mio
partito affinchè possa regolarsi per quanto riguarda l’atteggiamento che riterrà opportuno tenere nei confronti del
Ministro e del Bilancio del Lavoro.
Cordiali Saluti On. Fernando Santi
22 aprile 1962
Caro Lombardi,
profitto della pausa pasquale per mandarti cordiali auguri
e per rispondere alla tua del 17.
In un mese – il primo della sua vita – il Governo
si è qualificato di fronte ai lavoratori, testimoniando la sua
sollecitudine per i vecchi (pensioni dell’Inps, degli artigiani, dei medici ospedalieri), per le giovani (divieto di licenziamento per matrimonio), per i figli (libri gratis alle elementari), per i montanari (rinnovo ed ampliamento della
legge per la montagna), per i coltivatori (esoneri fiscali
vari). Sul piano legislativo ha condotto in porto i provvedimenti per gli statali, per le ferrovie, per la censura.
Nel frattempo abbiamo preparato il resto, e cioè:
mezzadria e miglioramenti, cedolare, elettricità, regioni:
c’è bisogno di approfondimenti e perfezionamenti. Ma
ripeto in meno di un mese, il governo più attivo del mondo non avrebbe potuto fare di più.
E’ mio dovere fare questa difesa – non d’ufficio
– dei colleghi e rassicurare gli amici che non sprechiamo
il tempo, facendo subito ciò che è pronto e preparando
sistematicamente ciò che si deve fare.
Quindi serenità, non soltanto pasquale!
Cordialmente
Tuo Fanfani
2 maggio 1962
Caro Fanfani,
la prova più difficile comincia adesso sia per te che per
me. Speriamo di farcela. Vengo da te per un ampio giro di
orizzonte la prossima settimana.
Per intanto auguri
Tuo Nenni
30 maggio 1962
Caro Fanfani,
sta bene per il 4. Per essere a Roma a mezzogiorno io rientrerò da Foggia, dove parlo il 3, per essere il
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zialmente sui due “pilastri” di Nenni e Fanfani15, e che essa
costituiva in definitiva la «prova più difficile» per entrambi16. L’entità della posta in gioco emerge ancora più chiaramente se si prende in considerazione la “scena madre” del
dramma politico che si svolse in quei giorni. Il 5 maggio,
dopo la quarta votazione, quando i due candidati erano
ancora fermi sotto la soglia della maggioranza semplice,
Fanfani e Moro si affrontarono a porte chiuse in una resa
dei conti definitiva: alla mossa del presidente del Consiglio, che tentò la carta di far ritirare entrambi i candidati,
forse nell’intento di imporre una propria candidatura, Moro
replicò che a una eventualità del genere avrebbe dovuto
«far seguito la dimissione del segretario politico, oltre che
la crisi di governo»17. Dai diari del politico aretino si evince chiaramente che il prezzo richiesto da Moro per proseguire nell’esperimento di centro-sinistra era l’accettazione
del candidato doroteo; ed infatti l’elezione di Segni a Presidente della Repubblica avrebbe pesato come un’ipoteca
sulla testa del governo e sull’attività riformatrice del centro-sinistra.
Per reagire a questo imbrigliamento, Fanfani impose a
maggio l’introduzione della cedolare di acconto sulle azioni, concordata con Lombardi, che fu approvata dal Consiglio dei ministri il 18 maggio, divenendo legge nel gennaio
del 1963. La misura, che evocava la controversa e inevasa
indicazione costituzionale sulla progressività delle imposte, istituiva un’anagrafe tributaria per contrastare l’evasione sugli utili derivanti da titoli azionari; l’enfasi sul valore
punitivo e anticapitalistico che i socialisti attribuirono a
quel provvedimento, in un momento di tensione tra potere
economico e politico per via dell’imminente nazionalizzazione dell’energia, accese le paure degli imprenditori che
iniziarono una violenta campagna di stampa contro il centro-sinistra e attraverso le fughe di capitali esercitarono
un’indebita pressione sul governo. Nei giorni successivi,
tuttavia, con l’accordo di principio sulla nazionalizzazione
dell’energia elettrica da parte dei ministri Sullo, La Malfa,
Trabucchi, Tremelloni e Bo, veniva varato il vero provvedimento caratterizzante la prima fase del centro-sinistra18.
Fanfani impose agli alleati di chiudere l’accordo entro la
metà del mese di giugno, e la proposta socialista di un unico ente monopolistico che avrebbe espropriato gli impianti, le strutture e le reti dei vecchi “baroni” dell’elettricità fu
accettato da tutti.
Scartata l’ipotesi di una parte della DC di “irizzare” le
società elettriche, Lombardi aveva imposto la creazione di
mondoperaio 5/2009 / / / / heri dicebamus
5 a Bari. Una vita da cane!
In attesa ho il dovere di informarti che la riunione ieri dei direttivi dei gruppi socialisti e stamani della
direzione del mio partito, sono state assai difficili a causa
dei fatti di Ceccano.
Il linguaggio del ministro Taviani è stato molto
apprezzato ma se il governo si limitasse alle deplorazioni
senza dare un esempio colpendo le responsabilità, si
potrebbe arrivare a un voto contrario dei socialisti al
bilancio degli interni.
Mi pare venuto il momento di considerare che le
forze di polizia siano armate di sfollagente e di idranti e
non di mitra quando sono in servizio d’ordine pubblico.
Senza di ciò saremo sempre in balia di una atto di provocazione come ciò è avvenuto a Ceccano.
Coi più cordiali saluti
Tuo Nenni
Roma 20 giugno 1962
Caro Fanfani,
scappo tre giorni a Formia. Mi pare che le cose
siano andate bene e molto è dovuto alla tua fermezza.
Bisogna adesso evitare l’imbottigliamento parlamentare.
A tale fine devi ottenere da Leone la nomina di una commissione speciale per la nazionalizzazione, giacchè diversamente si rischia di perdere molto tempo. Ti ricordo la
necessità che nel comunicato del Consiglio dei Ministri di
venerdì, che annuncerà la promulgazione delle due leggi
n. 31 e 32 del P[iano]V[erde] venga detto che si provvederà con apposite leggi ad integrare la delega sugli enti di
sviluppo al fine dell’organicità della soluzione. Ciò ci
darà molta forza propagandistica nelle campagne dove da
un sondaggio che ho fatto negli scorsi giorni in Umbria,
ho tratto l’impressione che si guadagna terreno.
Pietro Nenni
Roma 18 luglio 1962
Caro Presidente,
in occasione delle trattative che si svolsero, prima della formazione dell’attuale governo, fra i partiti che
lo hanno costituito e successivamente col P.S.I., venne
concordemente riconosciuta la necessità di un impegno
governativo per la istituzione a breve scadenza della scuo-
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una public corporation, che comportava ora la scelta di un
provvedimento di indennizzo per le aziende elettriche
espropriate. Giorgio La Malfa, nella sua Intervista sul nongoverno ad Alberto Ronchey, ha ricordato che nel primo
progetto di nazionalizzazione «era previsto che si distribuissero obbligazioni agli azionisti»19. Era la proposta di
Lombardi di ripagare gli azionisti espropriati con obbligazioni indicizzate, secondo un suggerimento dell’economista cattolico Siro Lombardini. L’indice da adottare doveva
essere quello medio dei titoli azionari e alle obbligazioni
bisognava garantire un rendimento minimo annuo, secondo
un’impostazione che mirava anche a contenere l’aumento
della spesa pubblica. Su questo aspetto Fanfani temette che
si sarebbero addensate per forza di cose le maggiori critiche. Era una preoccupazione che Lombardi aveva cercato
di fugare già durante le prime settimane di governo, come
si apprende da una sua lettera del 22 marzo, inviata al presidente del Consiglio per tranquillizzarlo sulla «convenienza» dell’operazione20. Il provvedimento avrebbe riguardato
soprattutto i principali gruppi del trust elettrico (che erano
la Edison, la Sade, la Centrale, la Sme, la Sip e la Bastoni).
«La comprensione dei passaggi successivi», ha scritto giustamente Carmine Pinto, è fondamentale per cogliere l’esito del riformismo socialista, «perchè apriva il confronto
diretto con Carli, diventato il riferimento primario dell’opposizione al centro-sinistra»21. Il governatore della Banca
d’Italia divenne, in quel momento, il garante della tenuta
societaria delle aziende elettriche, adoperandosi perché
fossero compensate con il versamento da parte dello Stato
di denaro contante. Dopo una settimana di riunioni, come
emerge anche dai diari di Fanfani, il 15 giugno i rappresentanti dei partiti trovarono una «soluzione comune» che,
accantonando il sistema delle obbligazioni, annunciava un
«pagamento in contanti in 20 rate semestrali»22. Prevalse
quindi la tesi del Governatore, che arrivò a minacciare le
sue dimissioni se non fossero stati mantenuti «in vita i pacchetti azionari, mutando per legge il loro oggetto sociale e
versando gli indennizzi alle società stesse»23.
Nel braccio di ferro tra Carli e Lombardi era stato il primo
a vincere, garantendo a ristretti gruppi di potere privato la
possibilità di reinvestire quasi 1500 miliardi che lo Stato si
impegnava a versare agli elettrici nazionalizzati. Come è
stato sottolineato, nell’atto stesso in cui con la nazionalizzazione si andarono a intaccare interessi consolidati dei
gruppi capitalistici, gettando le premesse di una programmazione economica, «si sottraeva a quest’ultima possibili
la materna statale: sia in attuazione di un preciso disposto
costituzionale, a norma del quale lo Stato istituisce scuole di ogni ordine e grado; sia per rendere possibile la spesa per tale tipo di scuola, prevista dallo stralcio triennale.
Infatti, mentre i contributi alla scuola materna privata,
fortemente incrementati nello stralcio medesimo, hanno
la possibilità di immediata erogazione in virtù della legislazione vigente, la spesa edilizia e di gestione per la scuola materna dello Stato resterebbe sulla carta in caso di
mancata istituzione della scuola stessa.
Nel discorso programmatico da te pronunciato
alla Camera, è infatti esplicitamente compreso l’impegno
della istituzione della scuola materna statale; la legge istitutiva, secondo gli accordi avrebbe dovuto essere presentata al Parlamento contemporaneamente alla approvazione della legge-stralcio: successivamente, per facilitare le
cose al governo, in una riunione congiunta accettammo di
limitare tale impegno alla approvazione del disegno di
legge da parte del Consiglio dei Ministri prima dell’approvazione definitiva dello stralcio da parte del Senato; ed
aderimmo anche alla richiesta da te espressa di evitare la
presentazione del testo legislativo da noi da tempo predisposto, per concordare invece preventivamente il testo di
governo.
Tuttavia, fino alla vigilia della discussione dello
stralcio in Senato, non ci è stato possibile di prendere
visione del testo del disegno di legge in oggetto. Tale disegno di legge è stato presentato venerdì scorso al Consiglio
dei Ministri, senza alcuna previa discussione né con noi
né con gli altri partiti di governo; e se ne è sollecitata in
quella sede l’immediata approvazione, in modo che essa
fosse acquisita prima che lo stralcio fosse approvato dal
Senato. Ma l’on. La Malfa, ch’era venuto appena allora in
possesso del testo, avanzava esplicite riserve, rilevando
alla prima lettura come si trattasse di un provvedimento
che esorbitava di gran lunga gli impegni e gli accordi di
governo. Informato della situazione, avrei potuto e dovuto chiedere che la discussione in corso al Senato venisse
arrestata, non essendo stata realizzata la condizione pregiudiziale concordata: tuttavia, con un ulteriore sforzo di
buona volontà, ho fatto sapere ai nostri rappresentanti al
Senato e contemporaneamente anche all’on. La Malfa che
avremmo consentito il definitivo passaggio dello stralcio
al Senato, ma che richiedevano al più presto un incontro a
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ed essenziali strumenti di indirizzo» pregiudicandone fin
da subito il successo24. Sta di fatto che il consiglio dei ministri, il 18 giugno, votava il provvedimento di nazionalizzazione. Due giorni dopo Nenni espresse al presidente del
Consiglio la sua soddisfazione per come si erano svolte le
cose, e sollecitò una rapida approvazione25. Il 27 novembre,
dopo appena cinque mesi, il disegno di legge fu definitivamente approvato. Per i “nazionalizzatori” l’istituzione dell’ENEL comunque segnò la vittoria contro un monopolio
assai influente nella vita politica, e indusse Nenni a scrivere che il successo del nuovo ente era strettamente condizionato al fatto che a dirigerlo fossero «uomini nuovi, indipendenti dai vecchi gruppi capitalistici elettrici, capaci di
andare avanti senza limiti di vecchie amicizie e collaborazione»26. Un atteggiamento troppo fiducioso nel corso
riformatore che nelle settimane successive avrebbe registrato soprattutto dentro la DC un primo arretramento dopo
che i malumori degli imprenditori avevano riacceso le
polemiche dei nemici del centro-sinistra.
I mesi estivi che seguirono, e che videro il ministro dell’Istruzione Luigi Gui nel ruolo di “guastatore”, devono considerarsi, per molti versi, un momento di freno del disegno
riformatore. I nodi della politica scolastica, che sembravano sciolti a febbraio con le trattative sul programma, tornarono ad aggrovigliarsi a luglio. Su tali aspetti le lettere che
Codignola inviò a Fanfani mettono bene in luce i forti contrasti, non privi d’imboscate, per arrivare al traguardo della controversa scuola media «unica». La prima avvisaglia
si manifestò quando Gui disattese l’accordo sulla legge
riguardante la scuola materna statale. Secondo gli impegni
programmatici questa andava presentata al Parlamento
assieme a un provvedimento di stralcio triennale (dopo che
i socialisti avevano imposto l’accantonamento del piano
decennale di Fanfani sulla scuola), assieme alla riforma
della media e dello stato giuridico degli insegnanti. Era
successo, invece, che l’esponente doroteo aveva presentato
un disegno di legge sulla materna chiedendone l’approvazione al Consiglio dei Ministri fuori dai limiti previsti dallo stralcio. Fu il ministro del Bilancio La Malfa, come sottolineò Codignola al presidente del Consiglio in una lunga
lettera del 18 luglio, a rilevare che si trattava di un «provvedimento che esorbitava di gran lunga gli impegni e gli
accordi di governo», perché offriva surrettiziamente alla
scuola privata una sistemazione giuridica ed economica27.
Per i socialisti la questione scolastica non andava risolta
solo con un incremento della spesa pubblica, poichè il
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livello di partiti per chiarire la situazione in merito al disegno di legge sulla scuola materna, presentato al Consiglio
dei Ministri in una formulazione assolutamente inaccettabile.
Contravvenendo infatti al fondamentale impegno reciproco di non affrontare per il momento il problema dei rapporti tra scuola pubblica e scuola privata se non
nei limiti precisamente circoscritti previsti dallo stralcio,
la presunta legge istitutiva della scuola materna statale si
presenta, tutto al contrario, come una legge che istituzionalizza la scuola materna privata, ne legalizza i finanziamenti (manifestamente incostituzionali) e relega la istituenda scuola materna statale ad una funzione puramente
sussidiaria ed eventuale rispetto alla iniziativa privata.
Due fondamentali lesioni si configurano in tal modo al
precetto costituzionale: da una parte, l’onere addossato
allo Stato per il funzionamento di scuola privata; dall’altra, la priorità di quest’ultima rispetto alla scuola pubblica, con un palese rovesciamento del sistema di priorità e
di libertà previsto dalla Costituzione. Ma, ancora più grave, si vanifica la natura stessa del reciproco impegno politico, valendosi della legge istitutiva della scuola materna
statale come di un pretesto per ottenere una sistemazione
giuridica ed economica della scuola materna privata.
Mi trovo quindi nella necessità di avvertirti che
un disegno di legge di questa natura non potrebbe per
alcuna ragione incontrare la nostra approvazione; che a
nostro giudizio esso deve essere sostituito subito da un
altro testo, che riguardi esclusivamente, secondo le intese,
la istituzione della scuola materna dello Stato; e che tale
nuovo testo deve essere preventivamente concordato. In
caso diverso, non potremmo che procedere alla immediata presentazione in Parlamento del testo già da tempo predisposto dal nostro partito, richiamando la D.C. al mantenimento degli accordi con noi intervenuti sull’argomento.
È – non ti nascondo – ragione di vivo stupore la
constatazione che, nonostante la lealtà con la quale il
P.S.I. ha sostenuto in ogni occasione il governo, anche
quando – come nel caso dello stralcio triennale – questo è
costato per il mio partito un considerevole sforzo, la D.C.
ritiene di poter procedere alla predisposizione di fondamentali strumenti legislativi in materia scolastica senza
alcuna previa consultazione con noi. Il caso della scuola
materna è clamoroso: ma altrettanto sta accadendo per la
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«miracolo economico» non era di per sè sufficiente a risolvere gli squilibri socio-culturali del paese; bensì si trattava
di mettere mano con decisione a problemi endemici che
andavano dall’analfabetismo al reclutamento degli insegnanti, dall’ammodernamento dei programmi alla necessità di mettere tutti i giovani nelle condizioni di adempiere
all’obbligo scolastico. Si trattava di una questione dove si
intrecciavano risvolti sociali e pedagogici. In merito alla
scuola media, la commissione scuola del PSI aveva coniato lo slogan “senza latino in nessuna forma”, con l’obiettivo di superare quella funzione selettiva rappresentata dall’insegnamento della lingua morta in età preadolescenziale,
nonché di provvedere all’applicazione della norma costituzionale sulla gratuità e l’obbligatorietà della scuola fino a
14 anni, e sulla sua «unicità», per garantire pari opportunità rispetto agli sbocchi successivi.
Fu soprattutto grazie a Codignola che la situazione riuscì a
sbloccarsi, dopo un lungo stallo in Senato dove erano stati
presentati emendamenti contraddittori. Il vero ostacolo era
il fronte dei “latinisti”, e cioè gli ambienti della destra conservatrice, che trovarono la loro sponda governativa nel
ministro Gui. Quest’ultimo presentò degli emendamenti
che surrettiziamente reintroducevano nel testo la discriminante del latino dal secondo anno (per accedere non solo al
liceo classico, ma anche allo scientifico e al magistrale),
sbarrando la strada alla prosecuzione degli studi liceali. Per
superare l’impasse, come si legge nella lettera inviata a
Fanfani il 13 settembre, Codignola aveva «avanzato la proposta transattiva del latino per tutti al 3° anno della media»,
sulla quale anche il presidente del Consiglio acconsentiva
nella speranza di superare l’opposizione del fronte conservatore28. Non si trattava di una proposta astratta, ma di una
vera mediazione che teneva insieme esigenze di serietà
pedagogica e adempimenti costituzionali inevasi, possibilità di trattativa e punti discriminanti. Ne nacque un difficile
negoziato tra Codignola da un lato, e Gui e Giovanni Battista Scaglia dall’altro, che portò infine all’accordo: il latino, eliminato come materia autonoma dalla seconda, diventava facoltativo a partire dalla terza media.
La soluzione trovata per la scuola media, approvata alla
fine dell’anno, consegnava all’Italia una scuola fondata sul
principio dell’uguaglianza delle opportunità, senza distinzioni di origine, censo o di capacità. Codignola, già il 28
settembre, era tornato nuovamente alla carica con Fanfani
sulla materna statale, e suggeriva un chiarimento al Presidente del consiglio per consentire al provvedimento un iter
scuola media unica (il relativo provvedimento andrà in
aula al Senato senza che sia stato esperito alcun tentativo
di misurare le posizioni reciproche e di valutare la possibilità di accordo) e per gli stati giuridici del personale
insegnante (di cui si è iniziata la discussione in Commissione senza alcun orientamento comune in merito ai punti più delicati e controversi). Ho personalmente sottolineato la necessità di seguire una più ragionevole procedura di preventive intese presso l’on. Gui, ma finora senza
alcun successo: sicché il P.S.I. verrebbe a trovarsi nella
condizione di un alleato parlamentare al quale si presentano all’ultimo momento soluzioni già adottate da parte
vostra, senza preventivi acccordi, con l’unica alternativa
di accoglierle o di assumere atteggiamenti palesemente in
contrasto con la linea politica generale.
Per quanto riguarda gli impegni programmatici
del governo, il P.S.I. si considera impegnato ad appoggiare le iniziative legislative per la scuola materna di stato, la
scuola media unica e gli stati giuridici, ma tali iniziative
devono essere preventivamente concordate.
Abbiti i miei cordiali saluti.
Tristano Codignola
23 luglio 1962
Caro Presidente,
la parte dedicata all’agricoltura nel programma
di governo pur costituendone con grado forse pari al problema dell’energia elettrica una delle componenti più
significative, è stato (forse anche per questo) tra le più tormentate allorchè si è trattato di passare dalle enunciazioni alla concreta attività operativa. Ciò dà ragione anche
delle difficoltà che hanno accompagnato tale passaggio a
partire dalle tue dichiarazioni alla Camera in sede di fiducia, passando per le successive tue dichiarazioni al Senato e finalmente alla emanazione delle leggi delegate previste dagli articoli 31 e 32 del Piano verde e alle contemporanee dichiarazioni del governo circa la necessità di
fare un passo avanti in materia di Enti di sviluppo.
Sembra a me che esaminando nelle loro correlazioni questi fatti la volontà politica del governo non
appaia oggi definita in parte esplicitamente e in parte
implicitamente in maniera tale che noi possiamo giudicare corrispondente alle intese di formazione della nuova
maggioranza.
heri dicebamus / / / / mondoperaio 5/2009
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legislativo rapidissimo29. Fanfani però non fu in grado in
quel frangente di dar seguito a quelle richieste: l’offensiva
doroteo-moderata che si sviluppò nell’autunno lo costrinse
a lasciare sul tappeto i problemi irrisolti. Ciononostante,
per i socialisti aver ottenuto che la nuova scuola media unica iniziasse a partire dall’ottobre 1963 era un traguardo storico.
Come conseguenza delle grandi mobilitazioni dei braccianti nelle campagne, i socialisti avevano sollecitato Fanfani
ad approvare i primi provvedimenti per l’agricoltura. Nenni, preoccupato soprattutto della crisi di consenso tra
l’«elettorato contadino», aveva invitato il governo a «spostare l’asse dalle pensioni e dalla assistenza alla programmazione e alle riforme di struttura», nella speranza di
togliere terreno al “rivendicazionismo” dei comunisti nelle
campagne30.
Il governo presentò due provvedimenti, contenuti nel «Piano Verde» del 1961, che istituivano un nuovo sistema elettivo nei consorzi di bonifica, attribuendo un’adeguata rappresentanza ai piccoli proprietari, e trasformavano gli enti
di riforma in enti di sviluppo con nuovi poteri nel campo
della trasformazione dei prodotti. Lombardi aveva formulato uno schema di legge per l’istituzione dell’ente, presentandolo come la riforma di struttura che avrebbe portato
alla proprietà diretta, alla creazione di “centri di potere dal
basso” in grado di espropriare la proprietà fondiaria, al
superamento della mezzadria, alla gestione diretta dei servizi collettivi31. Si trattava di un provvedimento complesso
che unito a misure di “primo soccorso” nelle campagne
doveva condurre, come aveva annunciato Nenni, a una
«ricomposizione fondiaria per mutare il volto sociale e
politico delle campagne»32.
I socialisti consideravano limitati i provvedimenti governativi perché riguardavano prevalentemente le zone già
coperte dai vecchi enti di riforma, cosicchè avevano elaborato unitamente alle preannunciate leggi per le Regioni, un
progetto di riforma globale che doveva comprendere quelle zone lasciate scoperte dagli interventi precedenti. Vi era
inoltre un altro problema urgente, quello della Federconsorzi, che il PSI intendeva riformare «restituendo la originaria natura cooperativistica ai consorzi per assicurare forza contrattuale ai produttori e garantirne l’indipendenza dai
monopoli industriali e finanziari»33.
Su questi aspetti l’attività del governo non registrò novità
sostanziali. I problemi relativi al riordino fondiario furono
accantonati e i timidi tentativi di limitare l’insediamento
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Decisivo è ormai perciò e per oramai universale
ammissione il provvedimento relativo ai poteri degli Enti
di sviluppo in agricoltura: allo scopo appunto di fare un
primo ed efficace passo sulla via di una concreta definizione legislativa di tali poteri abbiamo elaborato uno
schema di disegno di legge che sottopongo alla tua attenzione unitamente a una nota esplicativa sui criteri che
hanno presieduto alla sua elaborazione. Il testo che sottopongo vuole definire il terreno concreto sul quale possano confrontarsi gli eventuali dissensi e possano utilmente
definirsi i necessari consensi, in modo che gli uni e gli
altri dal limbo delle enunciazioni astratte siano collocati
sul concreto terreno legislativo.
Circa i criteri ispiratori dello schema ho richiamato già sopra la tua attenzione sull’allegata nota esplicativa: mi preme sottolineare in particolar modo il fatto che
agli Enti di sviluppo noi vorremmo dare una struttura e
una capacità operativa non uniforme ma adattabile elasticamente alle concrete situazioni di disgregazione del
mondo agricolo cui porre rimedio efficace in maniera che
gli Enti possano essere strumenti validi ad aggredire
situazioni siffatte e possano essere manovrati in maniera
da concentrare gli sforzi anche in poche zone tipiche ove
se ne dimostri con l’esperienza la capacità risolutrice e
perciò si possano vincere le rassegnazioni e i fatalismi
ancora così diffusi in materia di politica agraria.
Io mi permetto di rappresentare alla tua considerazione il fatto che, ove nelle prossime settimane, pur così
oberati tutti dalla necessità di risolvere le questioni in corso, dedicheremo l’attenzione necessaria al problema degli
Enti di sviluppo e nello stesso tempo daremo l’avvio a
quei provvedimenti che qualificherei di primo soccorso
quali le disposizioni per i contratti arretrati ed abnormi, il
blocco delle disdette e l’annuncio concreto dei crediti per
favorire il riscatto della mezzadria, avremo operato in
tempo per persuadere anche il mondo agricolo della bontà, concretezza ed efficacia della politica del centro-sinistra.
Sono certo che per fare ciò il tuo appoggio è
decisivo e che senza di esso facilmente le cose si trascineranno in questo settore e per conseguenza rischieranno
di logorarsi: è per questo che faccio con larga fiducia
appello alla tua volontà e alla tua capacità realizzatrice.
Superfluo ripeterti che sono e sarò a tua disposizione
/ / 75 / /
clientelare al sud, prestando più attenzione alle esigenze
del mercato, si scontrarono con la riproposizione delle politiche agricole tradizionali. Come ha notato Piero Craveri,
la separazione tra gli interessi di un ristretto numero di
grandi aziende e quelli di un numero incalcolabile di piccoli produttori lasciava scoperta una “terra di mezzo” fatta
di attività produttive rivolte al mercato che dovevano essere rafforzate se si voleva dare una risposta duratura alla
riduzione crescente degli addetti in quel settore34.
Tuttavia il colpo di freno ai riformisti non arrivò dall’agricoltura, ma da uno dei punti qualificanti dell’accordo programmatico. Nella seduta del Consiglio dei ministri del 31
ottobre da parte del gruppo doroteo fu esercitata una forte
pressione affinché il segretario democristiano imponesse la
rinuncia alla discussione sulle regioni a statuto ordinario. I
primi malumori democristiani erano cominciati subito
dopo il responso elettorale delle amministrative del giugno
’62, quando il partito aveva perso voti a vantaggio di liberali e missini, in un quadro nel quale calavano i comunisti
ma il partito di Nenni confermava i propri consensi. Quel
calo della DC fu attribuito ai timori dell’elettorato moderato per gli sviluppi del centro-sinistra. Sia Moro che i dorotei tornarono a premere sul PSI perché operasse una rottura netta coi comunisti e adottasse nelle giunte amministrative formule coerenti con quella nazionale, vincolando al
rispetto di queste indicazioni il varo delle regioni. A metà
ottobre Nenni, al comitato centrale, aveva replicato che il
PSI non avrebbe accettato alcuna manovra dilatoria e aveva invitato la DC al rispetto del programma, impegnandosi
per un “patto di legislatura” con la DC sia a livello nazionale che regionale. La sinistra interna non approvò la risposta di Nenni e contestò il giudizio positivo che il leader
socialista aveva dato dell’attività svolta fino ad allora dal
governo, sottolineando che le promesse riformatrici non si
erano realizzate.
La missiva che Nenni inviò il 31 ottobre al presidente del
Consiglio può essere considerata l’ultimo tentativo di sondare la disponibilità della DC a rispettare gli accordi che avevano reso possibile l’avvio del centro-sinistra35. L’opposizione a ogni ulteriore evoluzione dell’esperimento di centrosinistra si era ormai coagulata attorno al gruppo doroteo, che
riuscì a imporre una battuta d’arresto proprio sul programma. Con la decisione assunta dal Consiglio nazionale democristiano, il 12 novembre, di sospendere la politica di riforme, posticipando a dopo le elezioni l’istituzione delle regioni, questa breve stagione riformatrice poteva dirsi conclusa.
per chiarire, discutere, correggere, emendare, confermare.
Purchè non si resti fermi.
Con molta cordialità, credimi
Riccardo Lombardi Presidente del Comitato
per l’attuazione del programma di governo
Roma 13 settembre 1962
Caro Presidente,
per superare il grosso “impasse” della scuola
media, abbiamo avanzato la proposta transattiva del latino
per tutti al 3° anno della media. Ricorderai che tale prospettiva, che ti avevo a suo tempo indicato, ti era sembrata
tale da poter vincere le difficoltà frapposte dai “latinisti” ad
una effettiva democratizzazione della scuola dell’obbligo.
Credo che per noi sia veramente impossibile
andare oltre. E’ stato già estremamente difficile arrivare a
tanto, considerate le nostre posizioni di sempre, anche di
recente ribadite; ma neppure questa concessione sembra,
per ora, venire accolta.
Te ne informo e per doverosa responsabilità nei
tuoi confronti e per invocare, nei modi che riterrai più
opportuni, un tuo intervento che consenta l’accordo su
questa linea mediana. Mi par difficile altrimenti superare
l’ostacolo.
Con molti cordiali saluti
Tristano Codignola
28 settembre 1962
Caro Presidente,
a soluzione finalmente trovata per la scuola
media, se presta il fianco a qualche critica dal punto di
vista strutturale e pedagogico, apre comunque la strada ad
un rinnovamento democratico profondo. Desidero ringraziarti vivamente del decisivo contributo che hai dato al
superamento delle maggiori difficoltà.
Ora sollecito un tuo intervento su altre due questioni spinose, che dobbiamo rapidamente risolvere. La prima
riguarda l’incremento della spesa per le scuole elementari parificate nel bilancio della P.I. La questione sembrava
risolta dopo l’incontro che avemmo presso di te con Gui
e Codacci Pisanelli nello scorso giugno: le decisioni allora concordate vennero confermate nella lettera del 25 giugno, a te diretta da Pertini e da me. Dopo d’allora però non
è stato possibile ottenere dal Ministro il chiarimento previsto,
heri dicebamus / / / / mondoperaio 5/2009
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L’astensione socialista su un voto di fiducia richiesto per
respingere un attacco dei missini fu deplorata da Fanfani,
che in una lettera a Nenni del 6 dicembre lamentò il fatto
che il PSI avesse lasciato «il governo negli impicci a logorarsi», non rispettando l’impegno di sostenerlo nei momenti di difficoltà.36 Nenni rispose al presidente del Consiglio
che una «rottura pre-elettorale» non era nelle sue intenzioni, e colse l’occasione per ribadire che se dalla maggioranza non fosse giunta «una decisione impegnativa sulle leggi
di attuazione delle regioni, ivi compresa quella elettorale,
una polemica aperta con la DC sarebbe stata inevitabile»37.
Si schermì asserendo che il deterioramento della situazione
era imputabile alla DC, che dava l’impressione di volersi
svincolare dall’impegno programmatico. L’8 gennaio 1963
fu convocato il vertice dei “quattro” partiti della maggioranza, durante il quale la DC ritirò l’impegno programmatico; a giudizio di Moro né le condizioni politiche né quelle tecniche erano sufficienti a procedere all’istituzione delle regioni entro la fine della legislatura. Nel PSI l’aspra
contesa tra la minoranza interna, che esigeva l’apertura della crisi, e Nenni, che fece ogni sforzo per evitarla, segnò
così le ultime settimane prima dello scioglimento delle
Camere. Tuttavia lo stesso Lombardi, che riconobbe a Fanfani i suoi sinceri e generosi sforzi, in una lettera del 5 febbraio 1963 avanzò la richiesta di non ritardare il voto, per
assecondare le «molte, serie e pesanti ragioni che interessavano soprattutto i sindacalisti» del PSI38.
Le ultime sollecitazioni di Nenni affinché il governo condonasse i reati connessi agli scioperi dei lavoratori, rilanciasse la politica contadina, assecondasse le richieste degli
insegnanti relative al miglioramento dello stato economico,
vanno interpretate come l’estremo tentativo del leader del
PSI di evitare che si andasse al voto senza una prospettiva,
e quindi come un argine alla prevedibile opposizione della
minoranza interna al “patto di legislatura” a cui intendeva
legare le sorti del riformismo socialista. Nella DC inoltre si
stavano scontrando due linee. Da un lato quella di Moro,
che accettava la mediazione generale sulla formula, ma
subordinava i socialisti al rispetto della centralità democristiana riducendone il carico riformistico e privilegiando la
prospettiva moderata che nei mesi successivi avrebbe trovato il suo principale interprete economico nel governatore
della Banca d’Italia. L’altra era quella di Fanfani che, grazie all’apporto della nota aggiuntiva di La Malfa, mirava
alla programmazione economica, al riequilibrio nord-sud, e
anche a una politica dei redditi. L’obiettivo era quello di
mondoperaio 5/2009 / / / / heri dicebamus
circa la diversa destinazione di quella spesa. Al Senato,
abbiamo evitato risollevare la questione; ma alla Camera,
dove il bilancio verrà prossimamente in aula, ci troveremo
costretti a presentare un emendamento che se accolto rinvierà il bilancio al Senato; se respinto, ci porrà il problema del
voto. E’ una cosa molto delicata ed urgente, che richiede
ormai una decisione al massimo livello.
L’altra questione riguarda la materna statale. C’è al riguardo
un preciso impegno programmatico, che è nel comune interesse rispettare. Ora è accaduto che il disegno di legge presentato a suo tempo al Consiglio dei Ministri senza previa
consultazione è del tutto inaccettabile; e che, a seguito della
riserva fatta allora da La Malfa, esso è rimasto insabbiato prima della presentazione alle Camere. Bisogna giungere al più
presto ad un chiarimento, in modo da consentire al provvedimento un rapidissimo iter legislativo: cosa senz’altro realizzabile, se ci si limiterà, come è negli impegni, ad istituire
la scuola materna statale, senza voler prendere questa occasione per legiferare intorno alla scuola materna privata, conforme all’accordo di accantonare ogni questione relativa ai
rapporti fra le due scuole. Ho già fatto ripetute pressioni sul
Ministro per sbloccare queste due questioni, ma senza esito.
Contiamo a questo punto su una tua iniziativa.
Con cordiali saluti
Tristano Codignola
31 ottobre 1962
Caro Fanfani,
ti prego di tener conto delle nostre – e mie- serie
preoccupazioni per il fatto che il Consiglio dei Ministri
non varerà staserà le leggi regionali. Perché farsi attaccare su questo terreno? Perché dare sempre nuove armi ai
nostri avversari? Il minimo indispensabile è che i disegni
di legge comincino ad essere emanati stasera e non rinviati per l’approvazione al prossimo consiglio dei ministri
fissandone la data non oltre i primi giorni di novembre e
sempre prima delle elezioni dell’11 novembre. Benchè
impacchettato come un salame sono a tua disposizione.
cordialmente tuo Nenni
19 novembre 1962
Caro Fanfani,
ti sono sinceramente grato per i tuoi cordiali auguri che mi hanno particolarmente fatto piacere. Seguo con
/ / 77 / /
dare alla coalizione di governo, attraverso il sostegno dei
settori più dinamici e moderni del lavoro, una base sociale
più ampia, che avrebbe diminuito il peso dei vecchi gruppi
sociali legati alla rendita e ai settori a bassa produttività. La
strategia fanfaniana mirava ad agganciare il partito di Nenni alla sua sinistra, con una iniziativa riformistica che lo
facesse crescere nei consensi, tracciando così un definitivo
solco tra socialisti e comunisti. Era una strategia ambiziosa, formulata dopo il mancato «sfondamento a sinistra»
della DC nel ’58, ma presupponeva un controllo completo
del partito che Fanfani non aveva ormai più da diversi anni.
Riponeva inoltre una fiducia eccessiva nella capacità d’iniziativa dei socialisti nel mondo del lavoro, mentre il PSI
scontava allora il suo scarso seguito nel sindacato, che
rimase legato alla politica comunista. Il PCI, dopo un primo segnale positivo verso il centro-sinistra, quando apparve chiaro che la spinta riformatrice si sarebbe esaurita non
esitò ad attribuire al PSI le maggiori responsabilità, per
continuare a crescere sfruttando la rendita che gli derivava
dal fatto di stare all’opposizione39.
Il pessimo risultato elettorale del 28 aprile 1963 – la DC
perse 4 punti percentuali e il PSI registrò un arretramento a
fronte di una crescita dei comunisti e dei liberali – finì per
indebolire ulteriormente la prospettiva di centro-sinistra.
La lettera che Nenni scrisse a Fanfani all’indomani del
voto, riportata nel suo diario, non lascia dubbi: i due sconfitti erano lo stesso Fanfani, al quale la DC non avrebbe
perdonato il milione di voti perduti, e il segretario socialista, perché le elezioni avevano «messo a serio rischio la
prospettiva di un centro-sinistra attestato su posizioni più
avanzate e meglio garantite»40. Ciò che si verificò, con l’uscita di Fanfani e La Malfa dal governo, fu una ripresa dell’iniziativa della destra politica ed economica che rese possibile una saldatura col centro democristiano. Per il PSI
l’assenza di un’adeguata sponda governativa avrebbe trasfigurato la sua azione riformistica negli anni successivi in
una pressione politica scarsa di risultati. La stretta creditizia operata da Carli contribuì poi a mutare lo scenario nel
quale il centro-sinistra aveva costruito le sue proposte, alle
quali una violenta campagna di allarmismo attribuì la
responsabilità del rallentamento dell’economia. Carli, che
individuò nelle richieste salariali e nell’inflazione due delle maggiori cause della congiuntura negativa nella quale
l’Italia stava per entrare, impose di fatto un rallentamento
alla politica di investimenti pubblici del primo progetto
riformista. Si trattò a tutti gli effetti di una svolta in senso
grande simpatia il tuo coraggioso impegno, non certo facile, e cerco di assecondarlo come posso e talvolta non senza
risultati anche se ciò avviene senza le luci della pubblicità.
Grazie ancora e cordiali saluti
Fernando Santi
6 dicembre 1962
Caro Nenni,
ieri ci sono state le vostre tergiversazioni sulla tecnica
scelta dal Governo per difendersi da un attacco di destra e
da altre manovre. Ho compreso le vostre difficoltà ed ho
manovrato per ridurle al minimo, senza però cedere alla
pretesa anche vostra di lasciare che il governo mortificato
dalla incapacità di reagire, quale avrebbe mostrato non
chiedendo l’odg che ha chiesto e non ponendosi la questione di fiducia anche per ottenere che l’odg ZaccagniniSaragat-Reale fosse messo in votazione prima di quello
missino. Stamane sopraggiunge la spiegazione “critica”
dell’”Avanti”! Quanto è avvenuto ieri e quanto mi fate leggere stamane mi impone il dovere di inviarti la parte di
pag. 3 dell’”Avanti” del 7 marzo 1962, in cui si legge un
passo del tuo discorso sul programma del Governo. Il
Governo ha tenuto fede al programma presentato, credo di
non domandare troppo ai partiti impegnatisi a sostenerlo di
tener fede, senza occasionali sofismi, alle dichiarazioni
solenni dei loro segretari. D’ogni difficoltà altrui ho tenuto sempre conto, cercando di ridurle. Chiedo che i partiti
non pretendano di mettere in difficoltà il Governo, perchè
con dignità e fermezza saprei come tirarmene fuori rapidamente. Ho creduto mio dovere richiamare la tua attenzione sulla situazione, prima che si perpetuino equivoci,
dai quali rapido e spiacente sarebbe il risveglio. C’è tempo, per chi vuole sinceramente procedere nella via intrapresa, per rimediare e soprattutto c’è tempo per evitare
nuovi errori, come ad esempio quello di lasciare il Governo negli impicci a logorarsi. In spirito di amicizia leale ti
ho avvertito, affinchè tu valuti bene anche gli elementi che
le vicende di ieri e di oggi mi hanno imposto di sottoporti.
saluti cordiali Fanfani
7 dicembre 1962
Caro Fanfani,
credo che ci sia stato tra noi negli ultimi tempi un certo slegamento che è causa unica degli equivoci di avant’ieri.
heri dicebamus / / / / mondoperaio 5/2009
/ / 78 / /
moderato con la quale la Banca d’Italia ristabiliva il suo
primato sulla politica, ponendo un limite invalicabile alle
politiche espansive dei “programmatori”.
Emergeva insomma una discriminante netta verso la proposta politica dei riformisti che avevano teorizzato le riforme in uno scenario di crescita illimitata, e la cui logica era
tutta imperniata sull’espansione della spesa pubblica: proposta che aveva accomunato culture diverse, almeno nella
sua versione incarnata dalla triade Lombardi-La MalfaFanfani, quindi dal governo che assunse tale indirizzo nell’ultimo scorcio della III legislatura. L’opposizione moderata rendeva perciò molto complesso il rilancio di una strategia che era ancorata al «governo dello sviluppo», allorché
gli avversari del governo cominciarono a trovare complicità «tra gli stessi alleati del centrosinistra, nella DC, dove la
linea del governatore Carli aveva un’eco forte tra i dorotei,
nel PSI, dove il PCI poté contare sulla quinta colonna delle correnti filocomuniste»41. Comprendere le resistenze
all’esperimento è indispensabile per non cadere nel tranello interpretativo dell’«occasione mancata», del fallimento
in partenza delle riforme: occorre bensì sottolineare il dato
politico di questa pagina del riformismo, che almeno per il
PSI aveva lo scopo di modificare i rapporti di forza nel
sistema, a partire da quello con i comunisti. Fallito questo
obiettivo, nell’assenza di un’alternativa, i rapporti tra DC e
PSI si «congelarono» nell’unica possibile alleanza legittimata a governare, snaturando e in parte soffocando la prospettiva riformatrice.
Note
1
Antonio Giolitti, Lettere a Marta. Ricordi e riflessioni, Il Mulino, Bolo-
gna 1992, pp. 111-131.
2
3
4
5
6
Lettera di Nenni a Fanfani del 3 marzo 1962.
Lettera di Nenni a Fanfani del 21 febbraio 1962.
Lettera di Nenni a Fanfani del 22 febbraio 1962.
Lettera di Fanfani a Nenni dell’11 marzo del 1962.
Simona Colarizi, Introduzione, in Riccardo Lombardi, Discorsi Parla-
mentari, vol. 1, Camera dei Deputati, Roma 2001, p. LII.
7
8
Lettera di Lombardi a Fanfani del 23 marzo del 1962.
F. Santi, Sindacato e programmazione economica, relazione al comitato
esecutivo della CGIL (9-10 maggio 1962).
9
Lettera di Fernando Santi a Fanfani del 16 aprile 1962.
mondoperaio 5/2009 / / / / heri dicebamus
Alla tua lettera rispondo che la mia e nostra fiducia in te si
è ancora accresciuta per l’impegno con cui fai fronte agli
attacchi esterni ed alle tergiversazioni interne. E tuttavia la
situazione si è deteriorata e non per colpa tua, ma perchè
la Dc ha dato l’impressione di volersi svincolare dall’impegno di fare ciò che dipende da noi per dare esecuzione
al programma. Nella discussione di mercoledì noi non
intendevamo affatto lasciare il governo negli impicci. Ma
ritenevamo, (e ancora ritengo) che la migliore risposta ai
missini fosse quella di una tua sferzante replica e di un
voto per alzata e seduta che seppellisse il loro o.d.g. Con
ciò non abbiamo minimamente creduto di mettere in discussione i nostri impegni. Sol che noi avessimo discusso
preventivamente il caso che si presentava, ritengo che ci
saremmo messi rapidamente d’accordo. Ad ogni modo
valga l’episodio ad evitare altri errori di procedura. Sul
fondo delle cose non ti nascondo le mie serie preoccupazioni. Se alla nuova riunione dei 4 non ci sarà una decisione impegnativa sulle leggi di attuazione delle regioni, ivi
compresa quella elettorale, la conseguenza inevitabile sarà
un’aperta polemica nostra con la Dc con le conseguenze
che ne deriveranno. Sono convinto al pari di te che dal centro-sinistra si esce solo per rientrarci e tuttavia depreco l’eventualità di una rottura pre-elettorale che non servirebbe
a nessuno. Bisogna evitare una tale eventualità. Sono a tua
disposizione per esaminare cosa possiamo fare.
Coi più cordiali saluti
tuo Nenni
17 dicembre 1962
Caro Fanfani,
buona l’iniziativa dell’amnistia. Ma c’è una misura analoga da prendere nei confronti delle punizioni per scioperi e
agitazioni dei ferrovieri dei postelegrafonici e delle
amministrazioni pubbliche. Perciò basta un provvedimento di carattere interno da concordare coi ministri interessati. Ti prego di farmi conoscere la tua opinione su questa
nostra proposta.
Pietro Nenni
19 dicembre 1962
Caro Fanfani,
desidero richiamare la tua attenzione sulla
importanza che assume la designazione del commissario
dell’Enel. Noi diamo una importanza capitale al successo
/ / 79 / /
10
11
Lettera di Fernando Santi a Fanfani del 19 novembre 1962.
Maurizio Degl’Innocenti, Politica scolastica e centro-sinistra, in
AA.VV., Il Centro-sinistra e la riforma della Scuola media (1962), Lacaita, Manduria, 2004, pp. 84-85.
12
13
Lettera di Fanfani a Lombardi del 22 aprile 1962.
Maurizio Degl’Innocenti, Storia del Psi. Dal dopoguerra a oggi, Later-
za, Bari 1993 p. 291.
14
15
Lettera di Nenni a Fanfani del 30 maggio 1962.
Pietro Nenni, Gli anni del centro-sinistra, Diari 1957-1966. SugarCo,
Milano 1982, 7 maggio 1962.
16
17
Lettera di Pietro Nenni a Fanfani del 2 maggio 1962.
Archivio Storico del Senato della Repubblica (d’ora in poi Assr), Diario
Fanfani, 5 maggio 1962.
18
Assr, Diario Fanfani, 8 maggio 1962.
19
Giorgio La Malfa, Intervista sul non-governo, a cura di Alberto Ronchey,
20
Siro Lombardini, Carli, Baffi, Ciampi: tre governatori e un’economia,
21
Lettera di Riccardo Lombardi a Fanfani del 22 marzo 1962
Laterza, Bari 1977, p. 57.
Utet, Torino 2005, p. 9.
22
Carmine Pinto, Il riformismo possibile, Rubbettino, Soveria Mannelli
2008, p. 163.
Assr, Diario Fanfani, 15 giugno 1962.
24 Carmine Pinto, Il riformismo possibile, cit., p. 163.
25 Piero Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, Utet, Torino 1995, p.
23
115.
26 Lettera di Nenni a Fanfani del 20 giugno 1962.
27 Lettera di Nenni a Fanfani del 19 dicembre 1962.
28Lettera di Codignola a Fanfani del 18 luglio 1962.
29 Lettera di Codignola a Fanfani del 13 settembre 1962.
30Lettera di Codignola a Fanfani del 28 settembre 1962.
31Lettera di Nenni a Fanfani del 4 aprile 1962.
32Lettera di Lombardi a Fanfani del 23 luglio 1962.
33Lettera di Nenni a Fanfani dell’8 marzo 1962.
34Maurizio Degl’Innocenti, Storia del Psi. Dal dopoguerra a oggi, cit., p.
302.
35Piero Craveri, La Repubblica dal 1958 al 1992, cit., p. 119.
36 Lettera di Nenni a Fanfani, 31 ottobre 1962.
37Lettera di Fanfani a Nenni del 6 dicembre 1962.
38Lettera di Nenni a Fanfani del 7 dicembre 1962.
39Lettera di Lombardi a Fanfani del 5 febbraio 1963.
40Per una riflessione sulle prospettive di Moro e Fanfani, si veda Luciano
Cafagna, La riconquista cristiana in Europa e in Italia, in Problemi del
socialismo, settembre-dicembre 1980.
41Pietro Nenni, Gli anni del centro-sinistra, cit., 8 maggio 1963.
42Simona Colarizi, Introduzione, in Carmine Pinto, Il riformismo possibi-
dell’Enel e consideriamo tale successo strettamente condizionato dagli uomini che lo dirigeranno. Devono essere uomini nuovi, indipendenti dai vecchi gruppi capitalistici elettrici, capaci di andare avanti senza i limiti di vecchie amicizie e collaborazioni. Non abbiamo candidati di
partito ma troviamo abbastanza bene espresso il tipo di
dirigente da noi vagheggiato in un uomo come il Prof.
Ippolito o che abbia le stesse caratteristiche. Alcuni dei
nomi che sono stati fatti non hanno per certo codeste
caratteristiche e noi saremmo costretti a dirlo.
Coi più cordiali saluti
Pietro Nenni
21 dicembre 1962
Caro Fanfani,
buon natale e buon capo d’anno. Io vado a Formia con un
morale assai basso. Come si può andare avanti coi criteri
che sembrano essere prevalsi questa mattina a proposito
dell’Enel? Affido alle tue meditazioni natalizie il problema seguente: se l’otto gennaio non ci si offre una concreta assicurazione per le regioni temo assai per l’esperienza
alla quale hai legato il tuo nome ed io la mia opera. Le
conseguenze personali saranno comunque poca cosa a
petto di quelle che ricadranno sul paese.
cordiali saluti
tuo Nenni
5 febbraio 1963
Caro Presidente,
approfitto di una conversazione con l’amico La Malfa qui
al bilancio, per esprimerti un’opinione e un vivo desiderio: dovendo scegliere per la data delle elezioni fra il 28
aprile e il 5 maggio, la preferenza netta è per la prima (28
aprile), per molte, serie e pesanti ragioni che interessano
sopratutto i sindacalisti del mio partito. Puoi prendere in
considerazione tale desiderio che per poi si traduce nella
considerazione di un interesse comune? Tu hai il grande
merito di avere fatto una vera scelta politica e di essere
disposto a batterti per essa: aiutiamoci vicendevolmente
di vincere la battaglia!
Con molta e viva cordialità
(aumentata dopo il tuo discorso alla Camera)
credimi R. Lombardi
le, cit., p. 12-13.
heri dicebamus / / / / mondoperaio 5/2009
/ / 80 / /
>>>> heri dicebamus
L’attimo fuggente
del riformismo italiano
>>>> Piero Craveri
E’ passato pressoché un cinquantennio da quando venne formandosi il centrosinistra ed è naturale guardare a quegli anni
da una prospettiva diversa da quella che ha caratterizzato il
dibattito politico e influenzato la riflessione storiografica lungo i decenni della prima Repubblica. Già allora si parlò di un
fallimento del centrosinistra, non tanto come formula parlamentare, che questa fu polemica soprattutto dei comunisti, ma
come esperienza riformistica.
Come torneremo a sottolineare in seguito, i contenuti della
proposta riformistica del centrosinistra furono principalmente, dalla fine degli anni ’50, appannaggio di tre componenti
dello schieramento politico: propriamente dei socialisti, della
sinistra democristiana, segnatamente di Pastore, e dei laici
(intendendo per questi ultimi il partito repubblicano di La
Malfa e i radicali de Il Mondo, essendo i liberali con Malagodi passati decisamente a destra, mentre Saragat si era fatto
sponsor dell’operazione e patron di un’unificazione socialista
con movenze e programmi moderati).
Non c’era alcun vero raccordo tra i propositi di queste tre correnti riformatrici. Il dibattito fu vivace e a tratti entrò con profondità nel merito dei problemi. Si conveniva sulle questioni
da affrontare, ma non si aveva un’idea chiara e condivisa su
come procedere. Neppure i comunisti l’avevano, anzi può dirsi che mai si cimentarono in un vero e proprio progetto riformista (se si esclude il tentativo di Di Vittorio col “piano del
lavoro” della CGIL). Basta prendere in mano gli atti del convegno sul “neocapitalismo” promosso da Giorgio Amendola
nel 1962, che ebbe tra l’altro Bruno Trentin come oratore di
spicco, per rendersene conto. Lo sguardo era tutto rivolto alla
grande industria pubblica e privata, quando già nel decennio
precedente, ma soprattutto nei due decenni seguenti, lo sviluppo industriale italiano avrebbe avuto per protagoniste
soprattutto le medie e piccole imprese. L’orizzonte produttivo
si proponeva poi come la piena realizzazione del modello
classico di organizzazione scientifica del lavoro, taylorista e
fordista. Non sarebbero passati dieci anni che l’automazione,
il decentramento produttivo, nuovi metodi di organizzazione
del lavoro avrebbero profondamente mutato questo contesto e
mondoperaio 5/2009 / / / / heri dicebamus
negli anni ’80 la fabbrica avrebbe perso la sua centralità come
riferimento costitutivo della società, cioè non solo del modo
di produrre, ma degli stessi rapporti tra le classi sociali. Quella comunista era una proiezione all’indietro dell’evoluzione
in atto del capitalismo. E negli anni dell’unità nazionale i
comunisti avrebbero spinto con successo a completare la
riforma del welfare sulle linee su cui per un quindicennio avevano insistito i socialisti.
Lʼimmaturit
dei riformisti
Ma quello che segna il primo centrosinistra fu l’immaturità
della proposta riformista, la sua sostanziale mancanza di incisività sul sistema economico-sociale, così come si era sviluppato, anche se quel dibattito rappresenta l’ultima stagione
corale di propositi e riflessioni riformiste nella storia della
Repubblica, e vivrà poi una nuova, diversa e più matura stagione, tutta socialista, col pragmatico disegno craxiano, prima di spegnersi definitivamente con la seconda Repubblica.
Non si può non tornare su quella storia senza questa constatazione. Ma una riflessione ulteriore è necessaria.
Con il fallimento del centrosinistra prende forma in realtà la
ormai cinquantennale crisi italiana, segnata da una mancanza
di indirizzi di governo volti a promuovere e garantire lo sviluppo economico e sociale, cogliendo le trasformazioni del
sistema capitalista in atto nel contesto internazionale, regolando il mercato, definendo le discriminanti necessarie tra
Stato e mercato. Da allora lo Stato ha pressoché interamente
lasciato questa funzione alla società, che vi ha provveduto
sulla base di un disordinato istinto vitale.
Quanto si è necessariamente dovuto fare avrebbe portato
sempre il segno dell’emergenzialità. Al di fuori di essa operava il ritmo di una gestione politica volta essenzialmente alla
mediazione sociale giorno dopo giorno. Il fallimento successivo del tentativo craxiano ha fatto cadere ogni illusione di
uscire da questa ambivalenza negativa. L’onda populistica,
crescente fin dalla fine degli anni ’60, priva di possibili correzioni per l’assenza di qualsivoglia disegno riformistico, tro-
/ / 81 / /
vava poi i suoi argini solo nei vincoli esterni, che sarebbero
stati coronati dal trattato di Maastricht, a cui l’Italia ha aderito senza preparazione alcuna, entrando in un sistema in cui
la moneta garantisce la stabilità dei prezzi, laddove dagli anni
’70 il modello italiano era stato segnato da oscillazioni continue del cambio che si risolvevano in periodiche svalutazioni
al fine di ridurre insieme il debito pubblico e la pressione del
monte salari e di dare margini temporanei di competitività
alle imprese sui mercati. Non a caso la stagnazione italiana,
che caratterizza tuttora il nostro sistema socio-economico, ha
il suo inizio dai provvedimenti necessari presi dal governo
Amato a partire dal 1992.
Carli nella sua Intervista sul capitalismo sottolinea che con la
formazione del centrosinistra venne meno, come riferimento
della politica economica, l’esistenza di un establishment, che
dal dopoguerra era esistito e aveva permesso di assumere
decisioni entro una cornice generale di obiettivi condivisi. In
realtà fin dall’epoca degasperiana le rotture c’erano state ed
anche profonde. Basti pensare alla riforma agraria e alla politica agricola che seguì, oltre all’ENI e al rilancio complessivo delle partecipazioni statali, ed alla stessa liberalizzazione
degli scambi. Ma in effetti le fratture si erano ricomposte in
disegni più ampi. Il centrosinistra, con l’avvento dei socialisti
al governo, non poteva non comportare rotture ulteriori. Del
resto il carattere impetuoso dello sviluppo italiano degli anni
’50 aveva generato problemi economici e sociali che attendevano una risposta e mettevano necessariamente in discussione equilibri acquisiti.
I meriti di Fanfani
Carli negli anni ’60 avrebbe supplito a questo mancato amalgama di intenti, stabilendo un legame organico con la maggioranza dorotea della DC. Alla crisi del luglio ’64 si arrivò
sotto la spinta delle sue valutazioni economiche. E il gioco gli
fu facile, perchè appunto mancava ai riformisti il disegno
complessivo di un nuovo e rinnovato sistema economico e
sociale. La stagione più proficua del primo centrosinistra
rimane infatti quella del IV Governo Fanfani, qui ben ricostruita da Marucci e a cui si riconnette l’interessante appendice della corrispondenza tra lo stesso Fanfani e i socialisti
(Nenni, Lombardi, Santi, Codignola).
I risultati dell’azione riformatrice di quel governo, nel corso
di poco più di un anno (dal febbraio 1962 all’aprile 1963),
furono cospicui: l’avvio della programmazione con la “nota
aggiuntiva” di La Malfa, la nazionalizzazione dell’energia
elettrica, la cedolare secca sugli utili azionari, la riforma della scuola media unica, il “piano verde” per l’agricoltura,
numerosi provvedimenti in tema di pensioni e altri temi del
welfare, un mutamento di clima nella censura e nella gestioheri dicebamus / / / / mondoperaio 5/2009
/ / 82 / /
ne dell’ordine pubblico. Molte poi le cose avviate, quali la
riforma urbanistica, l’istituzione delle Regioni, lo statuto dei
lavoratori, che tuttavia si arenarono, tra fortissime resistenze,
e furono destinate a realizzarsi in parte, rispetto agli iniziali
propositi, solo nelle legislature seguenti.
Ci soffermiamo solo su di un punto relativo alla politica economica. L’ attacco riformatore dei socialisti è segnato dalla
nazionalizzazione dell’energia elettrica e dalla cedolare secca. Col primo provvedimento si ridisegnava la mappa di potere del capitalismo privato italiano. Come mette in luce
Marucci la nazionalizzazione fu l’esito di un compromesso in
cui prevalse la tesi di Carli, che l’indennizzo dovesse essere
versato alle società ex elettriche. Carli ripeteva lo schema che
aveva presieduto nel 1904 alla nazionalizzazione delle ferrovie, da cui erano nate appunto le società elettriche, che avrebbero poi costruito i grandi impianti idroelettrici volti a sostenere il processo di industrializzazione allora in atto nel triangolo industriale. Negli anni ’60 le società ex elettriche avrebbero invece avviato l’avventura della chimica, con esiti
negativi rispetto al modello iniziale. Negli anni ’60 l’Italia
avrebbe rinunciato a prendere parte attiva nel processo di
innovazione, caratterizzato dal nucleare, dall’elettronica e
dalle biotecnologie, che allora segnavano il cammino dello
sviluppo del sistema di mercato.
Resta comunque il fatto che dietro alla posizione socialista,
patrocinata da Lombardi, mancava del tutto un’idea di sviluppo capitalistico che non fosse di natura meramente redistributiva, come in altri termini anche la cedolare secca
declinava. La “nota aggiuntiva” di La Malfa formulava un
altro ordine di priorità e la sua pregiudiziale della politica dei
redditi, che era piuttosto mutuata dalle esperienze delle
socialdemocrazie nordiche, evocava un rapporto di triangolazione stabile tra Stato, sindacato e imprese, che in Italia per
essere adottata doveva aspettare il 1993. Il progetto di piano
a cui si sarebbe applicato Giolitti tra il ’63 e il ’64 aveva
un’impronta più pianista, comunque dirigistica, che presupponeva un controllo politico dei centri pubblici di spesa e di
potere economico che il governo non aveva e a cui la DC non
si sarebbe mai acconciata. E dopo la ripresa della conflittualità sindacale, che era iniziata nel 1959, un rapporto nuovo
con i sindacati era oltre modo necessario. Era in parte sollecitato dalla stessa CGIL, come mostrano le lettere di Santi a
Fanfani qui pubblicate, ma incontrava evidenti difficoltà nella DC. Il rapporto col sindacato implicava infatti una serie
più complessa di relazioni politiche, compresa quella col
PCI. Al di là di quella strada, difficile da sperimentare, sarebmondoperaio 5/2009 / / / / heri dicebamus
be diventato prima o poi necessario imboccare la via “consociativa”, come in effetti si fece a partire dal 1968. Il centrosinistra implicava una maturità di indirizzi nella soluzione
dei problemi politici che invero mancava ai suoi protagonisti. Prevalse da parte di tutti il politique d’abord, che già era
stato fatale ai socialisti nella squarcio decisivo tra guerra e
dopoguerra, e di cui era stato principale mallevatore Pietro
Nenni.
Moro e i dorotei
La DC dopo De Gasperi ha espresso due leader politici, Fanfani e Moro, altri non ci sono mai stati. Fanfani aveva grandi capacità come uomo di governo. Era animato da una sua
particolare visione dello Stato e della società. Il suo organicismo cattolico, che già lo aveva visto aderire al corporativismo fascista, si riproponeva nella mutata realtà del dopoguerra con l’idea che il partito dominante, garantito anche in
regime pluralistico dal sistema centrista, attraverso lo Stato,
poteva promuovere l’evoluzione della struttura organica della società con un accentuato dirigismo pubblico. Il problema
che si era posto, quando nel 1953 aveva assunto la segreteria
della DC, era quello di un saldo controllo del partito, ai fini
di una gestione di governo il più possibile univoca, sulla base
di una concezione interclassista che aveva come riferimento
non tanto il sistema dei partiti, ma la società.
Non c’era riuscito, e l’occasione che gli veniva dalla guida di
quel suo IV governo, segnato dalla partecipazione parlamentare dei socialisti, era volto anche a riconquistare la sua preminenza nel partito. Trovò sulla sua strada Moro che aveva
un’altra visione del rapporto tra la società e lo Stato e il cui
interclassismo passava per il sistema dei partiti, e attraverso
di essi per la società. Un sistema dei partiti che aveva per
centro ordinatore il partito cattolico e trovava il suo inveramento democratico attraverso l’allargamento progressivo del
sistema a tutti i partiti, rispetto al quale l’alleanza coi socialisti era il primo passo necessario. E questo allargamento non
doveva tuttavia passare attraverso una rottura interna alla
DC, cosa che Fanfani in ultima analisi non escludeva del tutto, ma comportava la lenta e continua evoluzione di quest’ultima. Non a caso il Moro del primo centrosinistra, fino al
1968, era un Moro doroteo.
Moro tagliò così la strada a Fanfani, che due anni più tardi,
nel 1964, dopo aver fallito il tentativo di accedere alla presidenza della Repubblica, avrebbe dichiarato la reversibilità
della maggioranza, e proseguito poi nel suo intento di con-
/ / 83 / /
quistare un punto di comando nel sistema istituzionale che gli
permettesse di perseguire il suo originario disegno, come
mostrano i due ulteriori suoi tentativi falliti, con la seconda
corsa alla presidenza della Repubblica nel 1972 e la gestione
della segreteria della DC nel 1973, finita con l’esito del referendum sul divorzio e poi con le elezioni amministrative del
1975.
La strategia politica di Moro garantì la formula di centrosinistra, ma strinse nel contempo, dopo la crisi del suo primo
governo nel luglio 1964, una morsa politica fatale sul partito
socialista, che ebbe poi nella formula della “delimitazione
della maggioranza parlamentare”, che non aveva operato neppure nel periodo centrista, uno dei suoi contrappunti decisivi
(il IV governo Fanfani fu contrassegnato più volte dal voto
favorevole dei comunisti alle leggi di riforma che esso varò),
da cui era difficile uscire se non con la sconfitta del 1968.
Un’ultima osservazione va fatta sulla segreteria di Bettino
Craxi, che restituì al Partito socialista il suo ruolo di protago-
nista politico delle riforme. Quest’ultimo si trovò sgombrata
la strada da molti degli ostacoli che avevano contrassegnato il
primo centrosinistra. Potette sferrare un attacco proficuo e
necessario al Partito comunista, anche perché questo era uscito sconfitto dall’esperienza dell’unità nazionale. La strategia
di Berlinguer aveva mostrato tutto il suo deficit politico e
riformatore, mentre l’onda populistica che il PCI aveva preteso di guidare indistintamente, dal sindacato ai movimenti, si
era infranta nello scontro con questi ultimi nel 1977, e con la
presa d’atto di Lama sulla politica rivendicativa dello stesso
anno. Il Partito comunista non era più un partito di “lotta” ed
aveva mancato di essere partito di “governo” sui due problemi politici maggiori che si erano presentati in quella legislatura, l’adesione allo SME e l’installazione degli euromissili.
Da quel momento l’avversario maggiore del disegno riformista di Craxi fu la DC, su cui cade la maggiore responsabilità
politica della crisi della prima Repubblica, come del resto era
stato per il primo centrosinistra.
heri dicebamus / / / / mondoperaio 5/2009