BENGASI i miei ultimi ricordi d`infanzia
Transcript
BENGASI i miei ultimi ricordi d`infanzia
1 BENGASI i miei ultimi ricordi d’infanzia 10 - 06 -1940 01- 02 -1941 Da pochi giorni erano cominciate le vacanze scolastiche per l'Estate e il caldo africano era cominciato e come si notava! Stava per terminare una di quelle comuni tormente di GHIBLI e nel pomerigio, nessuno osava camminare per le strade. Io avevo ultimato le lezioni nella mia Scuola Elementare, all'Istituto LA SALLE. Stavo attraversando la Piazza Municipio, (adesso “Omar El Muktar”) in direzione della via Kasser Ahmed, forse per andare all’Istituto La Salle, sito nella via Fiume, per informarmi quando avrei potuto ritirare la mia Licenza Elementare. Ero appena arrivato in detta Piazza, al lato della Moschea musulmana “Giama El Chebir”, adiacente al mercato arabo “Suk el Dlam”, quando vidi un assembramento di persone che ascoltavano alcuni altoparlanti che informavano che l’Italia era entrata in guerra a fianco della Germania, contro l’Inghilterra e la Francia. Era il giorno 11 giugno 1940, alle ore 13,30 circa. Gli altoparlanti del Municipio di Bengasi ne davano l’informazione, però Benito Mussolini aveva dichiarato la guerra il 10 di Giugno, all’imbrunire, a Roma, evidentemente le comunicazioni con la Libia erano “lente”. Data la mia età, non mi fu facile capire bene il significato di quei continui comunicati, alternati con solenne marce militari ed inni fascisti. Avevo 12 anni e 3 mesi e andavo all’Istituto per ritirare, come dicevo, la “mia” Licenza, per poi presentarla alla Segretaria della Scuola Media, alla quale dovevo ora iscrivermi e sita nella stessa Via Fiume. Peró, considerato l’insolito movimento nella Piazza, ripresi la via Sidi Salem, passai sotto l’arco, e dopo percorsi la via Sidi Oman e quidi Sidi Said per tornare al nº 46, della via dove abitavo per, commentare l’accaduto coi miei. All’incrocio fra Sidi Oman e Sidi Said vi era un “almacen”, era pieno di arabi che festeggiando l’inizio della guerra, che secondo loro, era contro gli “ebrei”, ragion per la quale gli ebrei della zona si rinchiudevano tutti nelle loro case e mettevano davanti le loro porte, bandiere italiane per cosí far credere agli arabi che li abitavano famiglie italiane e cosí evitare eventuali problemi. La presenza immediata dei carabinieri italiani e di quelli arabi, gli Zaptié, evitó che le cose si complicassero per gli ebrei. La mia casa aveva: alla sua destra, una casa di ebrei e alla sinistra una di arabi, eccellenti persone in tutti e due i casi, di fronte avevamo la casa del Maresciallo dei carabinieri con la sua famiglia. Avevano una bambina di nome “Mara” di circa 3 o 4 anni. Le notizie che venivano trasmesse da Radio Roma erano confuse, euforiche ed ottimistiche e piú che altro sembrava che si stesse festeggiando qualcosa di importante ma facile. Giá all’imbrunire, la notizia si era sparsa in tutta la città e solo si notava tra la gente eccitazione mista ad allegria. Il ventidue di Giugno, solamente dodici giorni dopo il nostro ingresso nelle ostilità, la Francia si arrendeva, naturalmente per merito unico dei tedeschi. Il Maresciallo Petain, il militare più decorato della Francia, firmava l’armistizio e collaborava attivamente coi tedeschi. Mio fratello Melo si trovava attestato col suo 21° Reggimento di Artiglieria motorizzata nella ”Ridotta Capuzzo”, lungo la frontiera con l’Egitto, gia da vari mesi mentre Dante, fidanzato di mia sorella Lina, era attestato nella Difesa Costiera della Regia Marina a Bengasi. 2 La mia famiglia era composta dai miei genitori (44 anni e 40 anni ) da due fratelli: (Melo: 20 anni e Tanino: 16 anni) ed una sorella (Lina:18 anni), una famiglia giovane ed affiatatissima! Eravamo realmente uno per tutti e tutti per uno. Mia madre era la regina della casa e mio padre reggeva la sua ditta di autotrasporti composta da quattro autocarri: un ”FIAT 21”, due “FIAT 34” ed un “LANCIA 3RO”. I due “34” avevano il rimorchio e tutti erano con motori Diesel, dedicati al trasporto di merci, (poiché in Libia, non esistevano “linee ferrate”), e una vettura: Fiat “Balilla”, credo, mod.’38. Il Garage dei camioni era al Fuheiat, nell’area del “Ristorante ed Hotel BOSCO LITTORIO”, allora conosciutissimo perché vi alloggiavano soptratutto gli ufficiali di alto rango. Questo Ristorante e Hotel, era l’unico che a Bengasi, quando per qualsiasi motivo mancava la corrente, aveva luce elettrica, giacchè aveva gruppi elettrogeni propri. La sua ubicazione era la seguente: uscendo dalla Berca (km 5) per andare all’aeroporto di Benina (km.20), all’ottavo km, sulla sinistra (Lato Sud) vi era una Caserma per un Reggimento di Ascari (soldati eritrei), poco piu´ avanti vi era la caserma del 21° Reggimento di Artiglieria, (dove prestava servizio mio fratello Melo, come Sergente), poco pi’u avanti ancora vi era a destra, il Giardino Zoologico chiamato “Bosco Littorio”. Mio zio Angelo Valastro, in Libia sin dal 1912-1913, appena occupata, fu uno dei pionieri di Bengasi. Lui, realizzò la prima “tranvia” a cavallo che univa la Berca con Bengasi (circa 5 km). Quasi di fronte al Giardino Bosco Littorio, e fece costruire un grande e moderno Hotel Ristorante che chiamó pure Bosco Littorio. L´Hotel aveva terreni, dove si facevano pure corse di cavalli, luoghi per giuocare con le Bocce, piscine per bagnarsi, autorimesse, e vivai di fiori, con grandi riserve di acqua, la cui distribuzione, agli arabi della zona, era gratuita. Le domeniche, tutte le riunioni familiari dei Valastro e dei Musmarra si relizzavano al “Bosco Littorio” Mio fratello Melo, arruolatosi volontario nell’Esercito, aveva da pochi mesi finito il suo corso nell’Accademia militare di Tripoli ed era stato destinato al 21° Reggimento di Artiglieria con sede al Fueihat (Bengasi), pure vicinissimo all’Hotel Ristorante Bosco Littorio del nostro zio Angelo, però vi rimase solo pochi mesi poiché il suo Reggimento, per apparenti esercizi militari, per “manovre”, fu traslocato quasi nella sua totalità, dal Fueihat alla Frontiera con l’Egitto (sic!) nel mese di Marzo o Febbraio 1940, ed il dieci di Giugno,(allo scoppio della Guerra) già si trovava in prima linea, nella Ridotta Capuzzo, di fronte a Sollum (Egitto, inglese). Mio fratello Tanino stava con noi a Bengasi e lavorava nel ”Patronato Nazionale per l’Assistenza Sociale”, nel quale era entrato, appena si era diplomato Ragioniere. Mia sorella Lina stava in casa. Fatte queste precisazioni, sará ora più facile andare avanti. Nei giorni seguenti al dieci di Giugno, l‘ottimismo era elevato, infatti il ventidue di Giugno la Francia si arrendeva e dopo pochi giorni, le truppe italiane in Africa Orientale, occupavano BERBERA, capitale della Somalia britannica, mentre i nostri alleati e camerati tedeschi, in Europa avanzavano strepitosamente su tutti i fronti. La vittoria era sicura, la guerra non si sarebbe prolungata più del prossimo 15 di Agosto per i più ottimisti, mentre i meno ottimisti, dicevano che la guerra doveva esser necessariamente una “blitzkrieg” (guerra lampo) da vincersi in meno di due anni, altrimenti l’avremmo persa senza dubbio. (Questi ultimi, disgraziatamente, furono profeti.) Una cosa strana successe la notte dell’undici giugno alla frontiera tra la Cirenaica e l’Egitto. Gli inglesi, fecero prigionieri nella Ridotta Capuzzo (Ex Sidi Omar), vari soldati e ufficiali italiani in un breve “raid comando”, senza nemmeno sparare un colpo, dovuto al fatto che ancora l’esercito italiano alla frontiera “non sapeva” che già eravamo in guerra. 3 Melo, mio fratello, raccontava poi la ”faccenda”, meravigliato, giacché lui si trovava nella Ridotta Capuzzo e non fu preso prigioniero, per pura casualità. Peró torniamo a Bengasi, ov’ero io e tutta la mia famiglia. La guerra, inaspettata, non fu cosí, sebbene per alcuni mesi le cose siano andate bene in Libia. Infatti, gli italiani eran entrati in Egitto ed erano arrivati pure a Sidi El Barrani il 15 di Settembre 1940 e più esattamente fino a MAKTILA (25 km ad est di Sidi El Barrani), e Melo dal fronte, ottimista, ci prometteva di portare “un portafoglio con pelle d’inglese”. Ci diceva lui, che, quando al Fronte lui stesso caricava il suo cannone 105/28, baciava il proiettile e gli diceva: ”Oh Dio, fagli fare il massimo effetto contro il nostro nemico”. Per l’allegria e l’entusiasmo suscitato da quest’occupazione ed avanzata italiana, su Sidi El Barrani, il Prefetto di Bengasi: l’On. Epifani, organizzó una festa, per il 16 Settembre, alle ore venti, onde fare un discorso riferito all’evento, nella Piazza della Prefettura, però tale discorso, non si poté concretare perché nel momento in cui avrebbe dovuto cominciare,suonarono per la prima volta a Bengasi, le sirene d’allarme e tutta la gente si disperse allarmata velocemente: erano le ore venti circa di quella sera! Aerei inglesi avevano attaccato e bombardato l’aeroporto militare di Benina (20 km da Bengasi). Poi, verso le 21,30 ricominció, il silenzio! Più tardi, a mezzanotte, si sentí uno strano avvicinarsi di aerei, ricordo che mia madre disse: ”Meno male, stanno arrivando i nostri”, ed immediatamente una volta ancora l’allarme con la risposta dell’artiglieria antiaerea italiana, che allora ci sembrava poderosa e che dopo vedemmo, quanto era ridicola!. Non ricordo dov’era mio padre, peró mia madre, Lina, Tanino, il gatto, ed io ci mettemmo sotto il letto, sicuri così di stare protetti. I boati delle bombe ci stordivano, non capivamo nulla, non avevamo nessuna esperienza né conoscimento. Saranno state due ore di bombardamento, peró a noi sembró un secolo e quando tutto finí, perfino, pensammo che l’artiglieria nostra avesse distrutto tutti gli aerei incursori....e invece nó, neanche uno come semplice dimostrazione; l’inesperienza, la poca ed arcaica Difesa Antiaerea, obbligò ad usare contro gli aerei, l’artiglieria costiera della marina, che in quell’epoca era unicamente per bersagli marittimi, inoltre il bombardamento dell’aeroporto militare di Benina, aveva inutilizzato i caccia militari e le piste per il loro decollo, per poter difendere eventualmente lo spazio aereo bengasino. Il giorno seguente uscimmo da casa, e vedemmo distruzioni di edifici interi, feriti, morti e mutilati che erano prelevati dalle macerie, da Esercito, Croce Rossa, pompieri, volontari, ecc. ecc. Melo, stava a Sidi El Barrani, ed venne a Bengasi verso Novembre per ritirare munizioni e portarle al fronte marmarico, assieme ad un gruppo di soldati del suo reggimento. Nel tragitto, dal fronte a Bengasi, durante un bombardamento a Derna, dove stava passando, in un rifugio sotterraneo, s’incontrò improvvisamente con mio padre, rifugiato, pure lui, nella stessa caverna: cose del destino!!! Noi eravamo sfollati nel Villaggio Baracca (80 km ad Est di Bengasi), da varie settimane, giacchè i bombardamenti a Benagasi erano troppo frequenti: due, tre e quattro volte al giorno. IL GOVERNATORE GENERALE DELLA LIBIA: MARESCIALLO ITALO BALBO Intanto, nello stesso mese di Giugno in cui era cominciata la guerra, il giorno 28, alle 17,30, Il Governatore della Libia, Maresciallo Italo Balbo, nel tornare con il suo aereo, da una missione militare, fu abbattuto sopra la rada di Tobruk dall’artiglieria dell’incrociatore SAN GIORGIO per un “errore”. ( Si disse molti anni dopo, che lui sarebbe andato in Egitto per cedere agli inglesi, la Colonia Libia e dichiararla indipendente, ragion per la quale il servzio segreto lo avrebbe condannato a morte prima che tornasse a Bengasi, potendogli cosi dare onori militari ed occultare il fine della missione, 4 evidentemente strana, evitando così di farlo passare come un traditore dell’Italia e del Fascismo, di cui lui era uno dei quattro fondatori, assieme a Mussolini. Il suo corpo si distrusse. Io sono stato a salutare, assieme alla mia mamma, la sua salma, nella Palazzina del Governatore, dove solo si vedeva la bara funebre che lo conteneva (si presume) e sopra la stessa, la sua sciabola dorata, il suo cappello militare bianco di Maresciallo dell’Aria e la bandiera italiana: Era, ricordo, il 30 di Giugno od il 31, del 1940. Sembra che lui si fosse accorto dall’inizio che l’entrata in guerra , sarebbe stato un gravissimo errore politico per l’Italia. Lui grande fascista, era l’unico che aveva la forza e il coraggio di contestare ciò, direttamente a Mussolini, e si dice che questi nel 1934, l’abbia mandato come Governatore in Libia per toglierselo di torno. Nel 1938 ebbe un forte scontro col Duce per non volere accettare la legge sulle questioni razziali, e che dimostró chiaramente con la sua legge del “Suà-Suà”, nello stesso 1938: vedi Corriere della Sera del 24-12-2005. Fu un gran protettore degli arabi. In quanto alla sua morte accidentale, sorsero varie versioni, la verità credo non si conoscerá mai. C’é un libro di Mondadori: “Tobruk 1940, la vera storia della fine di Italo Balbo”, che presenta una versione abbastanza documentata. 03.10.1940, GIOVEDì Da varie notti, in conseguenza dei continui bombardamente inglesi su Bengasi, all’imbrunire sfollavamo da Bengasi andando a “DRIANA” a 34 km a est, (l’ex Adrianopolis, fondata dall’Imperatore Adriano), sulla “Litoranea Balbia”. Un paesello desolato, con un lago circondato da palme e quattro casette rustiche, arabe. Di notte si poteva dormire o osservare i bombardamenti su Bengasi, come se stessimo assistendo ad un film, la mattina tornavamo a Bengasi. Dormivamo al lato del lago in piccole tende. Intanto, nasce a San Paolo del Brasile, una bambina: Elisa Sgarzi, figlia di Manilo e di Paulina Martins, (lui italiano e lei brasiliana d’origine portoghese), nel quartiere “Ipiranga”, persona che entro diciassette anni avrebbe cambiato la mia vita e il mio destino! Io avevo dodici anni,6 mesi e 22 giorni.! Quando Italo Balbo fu abbattuto con il suo aereo, Melo, lo vide cadere, perché si trovava a Tobruck per motivi militari. Si disse pure che l’errore fu voluto da Mussolini stesso, che non sopportava l’eccessivo protagonismo che aveva acquisito Italo Balbo, in Libia, sopratutto da parte degli arabi che per lui avevano una speciale predilezione. Fu lui, fra le altre cose, l’autore della legge del “Suá-Suá” per la quale gli arabi avevano gli stessi diritti e doveri degli italiani ed avevano inoltre la stessa nazionalità (Suá-Suá vuol dire infatti “uguale-uguale). In realtà questa legge, già si praticava da molto tempo, prima che la stessa nascesse, per questo motivo io ebbi come compagni nell’Istituto La Salle diversi arabi mussulmani, uno dei quali: Mohammed Mousa fu poi Ministro delle Relazioni Estere del Re Idriss El Senussi, quando gli inglesi formarono in Libia, un loro Regno satellite: The United Kingdom of Lybia e del quale io, da Buenos Aires, fui un correspondente della stampa locale. Durante uno dei tantissimi bombardamenti notturni a Bengasi, una notte, mentre stavamo tutti rifugiati nel rifugio della famiglia Costa, amicissimi di famiglia e vicini di casa, che stava sotto il loro edificio di quattro o cinque piani, all’angolo tra la via Generale Briccola e la Piazza Municipio, io, assieme ad ANTONIO COSTA, (nato a Bengasi il 19.12.1926 e morto a Roma il 24.02.1942 come profugo della Libia), unico figlio maschio dei Costa, quasi mio coetaneo e molto amico, scoprimmo un caso di spionaggio, importante. Dato che a Bengasi vi era, fra le altre,una discreta comunitá di indiani (sudditi britannici) era logico che vi fosser pure spie. Antonio ed io, una notte durante il bombardamento aereo, uscimmo dal rifugio per vedere nell’oscuritá, se vi era qualcuno di notte che forniva informazioni ai piloti degli aerei inglesi 5 per mezzo di segnali luminosi. Oh che sorpresa! In pieno bombardamento, dal quarto piano dell‘edificio Costa, da una finestra scoprimmo una trasmissione luminosa in MORSE. Immediatamente informammo la Polizia, e in pochi momenti, questa venne e prese i cinque indiani, “spie”, che si erano nascosti sotto i letti o dentro gli armadi attaccapanni e che li portò via. L’indomani non ci furono bombardamenti, e dopo, per molto tempo, gli aerei inglesi, bombardavano ciecamente la città, senza conoscere obiettivi precisi. Peró adesso comincia un periodo fatale, dovuto al fatto che l’8 Dicembre del 1940, gli inglesi attaccarono in massa sul fronte marmarico, da Maktila al Sud (dove stava allora mio fratello Melo, col Gruppo di artiglieria della Divisione “Maletti”, la 1ª Div.ne Libica, la 2ª Div.ne LIBICA, la 64ª Div.ne CAMICIE NERE e la 63ª Div.ne del XXI° Corpo d’Armata), con nuovi carri armati (Matilda) blindati,ed impenetrabili dai proiettili anticarri d’allora e con riforzi di varie divioni di Indiani, australiani ecc., cominciarono una avanzata travolgente ed irrefrenabile. Fu una battaglia breve, però feroce e travolgente. I mezzi corazzati nemici erano poderosi. Quando tutto era già perso, e perfino le “Camicie nere”, si erano arrese, solo i soldati della Prima Divisione Libica lottavano ancora. I soldati libici, fecero il loro battesimo di sangue in forma sorprendetnte ed eroica, e superarono agli stessi connazionali cattolici. L’Italia dovrà sempre onorare quei soldati libici, (italiani islamici), che difesero la loro bandiera italiana, tanto o meglio che gli stessi italiani d’Italia. Melo stesso rimase meravigliato per la loro abnegazione. Sebbene sia stata una sconfitta, l’esercito della rinata “Roma dei Cesari”, fece un solo fronte contro l’avversario, senza fare, così, come succedeva da più di duemila anni prima, nessuna differenza religiosa fra i combattenti romani e quelli di altre religioni, né fra i civili, i discendenti e conterranei dell’Imperatore romano ”SETTIMIO SEVERO”, nato a LEPTIS MINOR, (adiacente a LEPTIS MAGNA, che dopo assorbì la MINOR, formando così una sola città: LEPTIS MAGNA), mostrarono di essere degni discendenti del Grande Imperatore. Nel frattempo, la situazione per i civili, a Bengasi, si fece impossibile e le donne e i bambini cominciarono a sfollare, dalla Cirenaica orientale e dopo da quella occidentale. Mia madre, previgente come sempre, trasferí a Tripoli, con la Cassa di Risparmio della Libia, tutto il denaro che aveva la nostra famiglia a Bengasi, somma che arrivó a £. 131.000, (non sono molto sicuro dell’entità della somma, dato che io ero un ragazzo allora, e non mi preoccupavo per nulla del denaro della famiglia) soldi che poi, furono in parte il sostentamento col quale vivimmo durante la guerra, oltre ad altre minime entrate extra (sussidi, lavori di mio padre, ecc. ecc.) amministrati dalla migliore amministratrice che sia esistita nel mondo: mia Madre! E´ merito suo che noi, non siamo mai stati alloggiati nei campi dei profughi, come la maggior parte degli italiani della Libia. E ció non lo dico, per disprezzare loro, ma per ammirare ancora di più chi mi mise al mondo. Lo stesso mio zio Angelo Valastro, super milionario e pioniere di Bengasi, andó a finire e morí in un campo profughi di Lecce, in Italia. Cosí il giorno 1 febbraio 1941, quando la disfatta era evidente e travolgente, sfollai coi miei familiari da Bengasi, mentre gli inglesi e gli australiani si trovavano a Derna, (circa 200 km ad Est di Bengasi). Mio padre, come tanti altri, dovette cedere all’Esercito, i suoi camion e lui stesso fu militarizzato immediatamente utilizzando il suo stesso Lancia 3RO, per conto dell’Esercito, col grado di ”Sergente Maggiore”. Tanino, nel Patronato fu pure militarizzato. Da mio fratello Melo, nessuna notizia, solo si sapeva che c’erano migliaia e migliaia di morti e di prigionieri. Con un’autocorriera militare “ad hoc”, partimmo verso Tripoli il primo Febbraio: alle ore 13,40. Dalla autocorriera militare volli vedere per l’ultima volta la mia cara Bengasi, che scompariva tra le moschee e le palme di datteri. 6 Mio padre e lo stesso Tanino non potevano venire con noi: solamente donne e bambini. Loro sarebbero partiti per Tripoli, appena gli sarebbe stato permesso e con altri eventali mezzi di trasporto. Con noi viaggiava una signora, con una figlia e un figlio, che con mia madre simpatizzò e parlavano continuamente. Era la moglie di un capitano dell’esercito che rimaneva a difesa di Bengasi. All’allontanarci dalla città, la signora a un tratto cominciò a guardare dal finestrino suo, verso fuori, con molta insistenza, e ci disse che fra pochi minuti saremmo passati davanti all’accampamento militare di suo marito. E fù così, a un tratto ci indicò la tenda del comandante, suo marito, vi era impressa con lettere bianche molto grandi: “T’AMO ITALIA MIA”. Non ho mai potuto sapere se il Capitano ri riferiva alla nostra Patria o a sua moglie che si chiamava pure ITALIA. Era un giorno pieno di luce, color sabbia, poiché vi era un poco di Ghibli (il vento del Sahara), e la corriera andava, andava, ed andava, piena di donne e qualche ragazzo, fra i quali io. Non so se avevo fame, sete, caldo o freddo, paura o che so io, eravamo tutti insensibili. Arrivammo ad Agedabia e si fece rifornimento di combustibile, scendemmo e cercammo di trovare qualcosa da mangiare, v’era un piccolo Suk arabo e con Lina riuscimmo a trovare e comprare uno o due pagnotte, che un arabo aveva sotto il barracano che le copriva. Poco dopo, ripartimmo malinconicamente: era il pomeriggio del primo febbraio 1941. Queste date, per noi italiani d’Africa, anziani nostalgici della nostra terra, non si possono mai dimenticare, sono indelebili, come il nostro desiderio di ritornare a Bengasi La notte fra il tre e il quattro, a Zuetina (Agedabia), fu preso prigioniero mio padre che, assieme ad una colonna di automezzi militari, si spostava verso Tripoli, col suo Lancia 3RO. Carri armati australiani e autoblindate avevano circondato Bengasi e l’anello si chiudeva ad Agedabia contro il mare (Operazione “Beda Fomm”). Noi (mia madre, Lina ed io) eravamo passati da li, appena un giorno e mezzo prima e siamo riusciti ad andare a Tripoli! Tanino passó il tre e ci raggiunse a Tripoli dopo più di una diecina di giorni, dato che camminó con altre persone attraversando il deserto sahariano per non essere catturato dagli inglesi. Mio padre, catturato dagli australiani, fu riportato a Bengasi come prigioniero civile e la cittá cadde in mano agli inglesi il 6 di Febbraio 1941. L’ultimo autocarro di mio padre, il “3RO” col quale fu catturato, rimase in mano degli australiani, i quali lasciarono la Libia appena seppero dell’arrivo dei primi contingenti tedeschi equipaggiati con carri armati Panzer, poichè loro sapevano che sarebbero andati a combattere solo contro gli italiani in Libia, le cui armi erano improprie per affrontare una guerra moderna e meccanizzata, e non contro i tedeschi che erano bene armati, per affrontare una guerra moderna del tipo “Blitzkrieg”. Ringrazio fervidamente la collaborazione dell’Arch. Angelo Nicosia, ([email protected]), ex compagno dell’Istituto La Salle di Bengasi, per aver “pulito” il mio sbiadito italiano. Ing. J.A.Musmarra Buenos Aires E.Mail: [email protected]