Diapositiva 1 - Padre AM Tannoia

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Diapositiva 1 - Padre AM Tannoia
IL GIORNALE DELL’ITSET PADRE A.M. TANNOIA CORATO - RUVO DI PUGLIA
ANNO XIV NUMERO UNICO – MAGGIO 2015
EDITORIALE
Paolo Stragapede
Rinascita. Così si sarebbe potuto
intitolare il T MAG 15 e diverse
sarebbero state le motivazioni a
sostegno di una scelta di questo tipo.
Sarebbe stata una rinascita innanzitutto
il semplice fatto di tornare in
produzione dopo un anno di assenza,
ma chi torna indietro con la memoria sa
che questa non è l’unica mancanza a
cui abbiamo dovuto far fronte.
Il distacco più forte, quello più
sentito, è stato quello da una
straordinaria donna, ancor prima che
docente, la prof.ssa Minervini, la
quale negli anni ha reso possibile che
una sua idea, quella del Giornale
d’Istituto appunto, divenisse quello
che è oggi: un lavoro serio, un
concentrato di tecniche, esperienza e
passione da parte di docenti e alunni,
un lavoro che l’ha sempre vista come
figura centrale e imprescindibile. Il
termine rinascita avrebbe forse reso
l’idea che anche dal più cupo degli
abissi è possibile tornare in superficie,
che non esiste una difficoltà che possa
essere più forte di una volontà. Ma, vi
sembrerà chiaro, abbiamo intrapreso
una strada differente optando per
“Pensiero Libero”, perché in fondo è
sempre stato questo il nostro spirito,
quello di emanciparci, di andare oltre
e, con un pizzico di presunzione,
crediamo che anche la Prof.ssa
Minervini avrebbe preferito questa
soluzione.
Avrebbe
di
certo
apprezzato
quel
senso
di
spensieratezza, di libertà che infonde
perché era ciò che per anni ha cercato
di trasmettere a noi studenti: la
leggerezza; dove «leggerezza non è
superficialità, ma planare sulle cose
dall’alto, non avere macigni sul
cuore» come avrebbe detto Calvino.
Non è stato un lavoro semplice darvi
l’opportunità di leggere queste righe e
tutti gli altri articoli, ma il dovere, la
passione e il ricordo ce lo hanno
imposto, e ne siamo fieri. In questo
tempo abbiamo dovuto fare anche a
meno di uno dei più importanti
collaboratori del nostro Progetto, ma
non abbiamo potuto demordere.
Siamo qui perché vogliamo omaggiare
chi c’è stato prima di noi, chi c’è e chi
avrà piacere di condividere con noi la
nostra passione. Siamo qui perché
pensiamo che il nostro pensiero sia la
cosa
più
importante
di
cui
disponiamo, perché siamo liberi di
esprimerlo e perché non esiste modo
migliore di salutare chi non c’è più.
Buon Viaggio Prof, ci manca davvero
tanto; e, a voi tutti, auguriamo una
buona e piacevole lettura. Grazie per
l’attenzione.
Paolo Stragapede
Era un sabato pomeriggio. In chiesa i posti a
sedere erano tutti occupati e qualcuno è
dovuto restare in piedi; tutta quella gente
avrebbe potuto essere altrove, ma nessuno
l’ha fatto. Sai cosa ho pensato io
personalmente quando ho saputo che non
c’eri più? Che non avrei mai potuto
mancare al tuo ultimo saluto, e non perché
creda che da lassù tu possa guardarmi, non
ho mai avuto il dono di sperare in questo
tipo di cose; no, io non avrei potuto
mancare per ciò che tu, ti do del tu forse
per la prima volta, hai saputo trasmettermi
nel corso degli anni. Era diverso tempo che
non ti vedevo, pensa che ingenuo, credevo
stessi bene, che avessi superato del tutto i
tuoi problemi, che avessi sconfitto il male
col quale combattevi da tempo, ma a
quanto pare mi sbagliavo e mi brucia
pensare di non averti potuto salutare prima
che accadesse tutto questo. Durante la
funzione il sacerdote mi ha fatto sorridere;
non ti conosceva ma parlava di te,
sembrava convincente, e ho pensato a
chissà quante volte abbia fatto una cosa del
genere, fingere di rendere speciale
qualcuno che è andato via, quando per lui
questo qualcuno paradossalmente è
esistito solo quando se n’è andato. Ha
detto che Dio si è manifestato nel
momento in cui ha “esaudito” il tuo
desiderio di andartene, ormai vinta dalla
sofferenza.
Ma
nessuno
desidera
andarsene, nessuno è pronto a non esserci,
al massimo ci si rassegna all’inevitabile,
cercando in tutti i modi di far finta che ciò
che per forza di cose sarà, coincide con ciò
che vorremmo che fosse; però in questi
casi non è mai realmente così. Sono sicuro
che ti sarebbe piaciuto esserci e che ti
sarebbe venuto da sorridere se avessi
potuto leggere queste mie righe, mi avresti
detto come al solito che sono sempre
troppo critico, puntiglioso e perfezionista;
ma so che allo stesso tempo avresti
apprezzato proprio questo di me, proprio
questo essere così “scomodo”, in
controtendenza.
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Ho sempre pensato che esistano due tipi di
insegnanti, quelli che ti fanno pesare una
materia e quelli che te la alleggeriscono, e
tu eri indubbiamente tra questi ultimi. Vedi,
questo è molto strano perché, parlo a
nome personale, “trattamento testi” (e chi
se lo scorda che si chiamava così) non è mai
stata tra le mie materie preferite, ma è
stato inevitabile discernere la tua materia
dalla tua persona; ricordo ancora oggi il
primo giorno che ci portasti in laboratorio e
ci dicesti che esisteva un modo preciso di
mettere le dita sulla tastiera per evitare di
guardarla e scrivere più velocemente,
inutile dirti che non ci sono mai riuscito. Te
lo dico con un sorriso perché so che non te
ne frega niente, non perché non ti
importasse di trasmettere le tue
conoscenze, ma perché credo che la cosa
che ti interessasse di più fosse trasmettere
Valore. Quel valore umano di cui eri
portatrice
instancabile
e
forse
inconsapevole. Dopo tutti questi anni non
mi è rimasto che un bellissimo ricordo di
ciò che mi hai dato e se dovessi racchiudere
tutto in una sola parola, non so perché, mi
verrebbe da dire onestà. Umana, sociale,
intellettuale, non lo so di quale tipo, forse
tutti, ma eri una persona onesta, leale,
sincera con me e, sono certo di non
sbagliare se mi azzardo a dirlo, con tutti.
Non è un caso che il nostro rapporto sia
continuato anche dopo i primi due anni,
non è assolutamente un caso che sia uscito
dal contesto scolastico e che sia durato, a
conti fatti, nove anni.
È difficile pensare che abbia una durata,
che abbia avuto un inizio, e nove anni
dopo, una fine. Mi trovo ancora a pensare
che non è possibile che tu non ci sia ma se
venissi giù in aula, ad accogliermi non ci
sarebbe che una semplice, semplicissima
targa col tuo nome inciso sopra a
ricordarmi una volta di più chi, e non cosa,
sei stata per me e per tutti. Mi piacerebbe
provare un’ultima volta a dirti che ciò che
creavi su Adobe con Francesco non mi
piaceva, che c’era sempre quel particolare
che mi andava storto, e che dovevate
sentire me su certe cose, ma non posso. Tu
non ci sei. Ho fatto un altro sorriso amaro,
lo vedi? Inutile dirti che è successo che ti
abbia pensato, e questo giornale, tutto, ne
è l’esempio. È una bella sensazione pensare
che tu, anche se nel tuo piccolo, nelle tue
poche ore di lezione, abbia formato una
parte di me, anche se non saprò mai
quanto del mio modo di essere sia “opera”
del tuo insegnamento. Ma sai che c’è?
Sinceramente non mi interessa. Mi basta
sapere che ci sei stata, che se non ho avuto
la possibilità di dirti ciao prima che andassi
via, ho avuto almeno la grande fortuna di
conoscerti. E se dovessi scegliere tra le due
cose, non avrei dubbi nel preferire la
seconda.
Voglio sperare che la mia caparbietà nel
proseguire il tuo lavoro sia servita; voglio
sperare che grazie a questo anche io, nella
tua vita, sia servito a renderti felice almeno
per un attimo. Ciao Prof.
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PROGETTI
Gli alunni delle classi
3A, 3B, 3C, 3D
Noi
alunni
delle
classi
terze
dell’I.T.S.E.T. “Padre A.M. Tannoia”
sede di Ruvo di Puglia, abbiamo
partecipato
ad
un’interessante
esperienza
nel
mondo
della
cooperazione che si è articolata in due
fasi.
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La prima si è svolta presso l’IPERCOOP
di Molfetta il giorno 8/4/2015; in tale
occasione il direttore del punto
vendita e il signor Marco Sasso hanno
illustrato i valori del marchio COOP e
l’organizzazione del punto vendita.
Riguardo ai valori ci è stato riferito che
i prodotti COOP sono sicuri, buoni,
etici, convenienti ed ecologici; quanto
all’organizzazione del punto vendita,
due capi reparto ci hanno spiegato che
i prodotti presenti nel punto vendita
possono essere classificati in prodotti
FOOD e NO-FOOD.
I prodotti NO-FOOD vengono collocati
all’ingresso del punto vendita in
relazione al diverso periodo dell’anno
per
attirare
maggiormente
l’attenzione
dei consumatori e
rappresentano, dal punto di vista
quantitativo, la parte più importante.
I prodotti FOOD vengono classificati in
freschi, freschissimi e surgelati.
Per i freschissimi vengono osservate
particolari tecniche di conservazione
in ambienti sterili a temperature
adeguate per evitare la formazione di
colonie batteriche.
La seconda fase dell’esperienza si è
svolta a Casalecchio di Reno (BO)
presso la sede di COOP ITALIA il
giorno 10/4/2015, articolata in due
distinti momenti: una conferenza,
durante la quale sono stati spiegati i
valori Coop ed il ruolo dei laboratori
di analisi microbiologica, chimica e
sensoriale; la visita dei laboratori. È
emerso che questi ultimi servono
soprattutto a garantire la sicurezza
dei prodotti a marchio Coop che
diventano tali solo dopo severi
controlli di qualità. I punti di forza del
laboratorio
delle
analisi
microbiologiche sono: una macchina
che si può definire “naso artificiale”
che è in grado di analizzare la parte
volatile di un prodotto per verificare
la presenza delle sostanze in esso
contenute e la loro provenienza
geografica (al momento della visita
venivano analizzate varie qualità di
olio extra vergine d’oliva); un altro
dispositivo in grado di rilevare la
presenza di ocra tossine (micro
tossine che si trovano principalmente
nei cereali, nel caffè, nel formaggio
grattugiato) che si ritiene essere
implicate nella carcinogenesi renale.
Gradito è stato il pranzo offertoci da
Coop Italia alla fine dei lavori,
consumato nella mensa aziendale,
grazie al quale abbiamo potuto
apprezzare la buona qualità dei
prodotti a marchio Coop.
In conclusione possiamo affermare
che l’esperienza vissuta è stata
positiva perché ci ha permesso di
entrare in contatto diretto con il
mondo delle cooperative di consumo
e di comprendere che la loro missione
è di difendere la salute e il reddito di
soci e consumatori offrendo loro
prodotti di qualità e servizi alle
migliori condizioni di mercato.
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IL CONSUMO ETICO
Gli alunni della 3A
Lo scorso mese di aprile ci ha visti coinvolti
in un interessante progetto formativo con
l’Ipercoop di Molfetta e la Coop Estense di
Modena. Tale esperienza ci ha permesso di
sensibilizzarci su tematiche che poco
avevamo considerato in precedenza:
“mangiar bene, mangiar sano”, argomento
quanto mai d’attualità con l’avvento
dell’EXPO;
abbiamo
potuto, inoltre,
riflettere su un aspetto fino ad ora ignorato
quale l’importanza ecologica, oltre che
economica, di un corretto packaging. È
essenziale dirigere la nostra scelta non più
sulla base dell’esteriorità del prodotto, ma
leggendo attentamente e con occhio critico
le etichette. È altresì importante
sottolineare che i prodotti Coop sono frutto
di un’attenta politica del lavoro. L’azienda
cura molto l’aspetto umano della
produzione
con
proprio
marchio
proponendo solo quei prodotti che
garantiscono il pieno rispetto del lavoratore
durante l’intero processo produttivo a
partire da una adeguata retribuzione.
Degno di nota è anche il progetto “brutti
ma buoni”, che mira a ridurre lo spreco del
cibo e a trasformarlo in solidarietà. È
questo l'obiettivo di un progetto elaborato
dalla Coop Estense che, in particolar modo,
ci ha colpiti. Esso, nel dettaglio, fa sì che i
prodotti prossimi alla scadenza o con
piccole imperfezioni estetiche ma ancora
perfettamente commestibili, vengano
destinati, in forma gratuita, ad associazioni
o enti impegnati a sostenere gli
"emarginati" del nostro tempo e della
nostra società. È uno dei progetti che
concretizza alcuni dei valori più importanti
che riguarda la cooperazione e i consumi:
essere di sostegno al territorio rispondendo
ai bisogni delle persone, soprattutto quelle
più in difficoltà, e contribuire alla tutela e
alla salvaguardia dell'ambiente attraverso
la produzione alimentare e la lotta allo
spreco. Tutto ciò, si noti, risponde in pieno
all'obiettivo che si è prefisso "EXPO", la
grande esposizione mondiale, con la sua
"Carta di Milano" in cui tutti i paesi
espositori si impegnano per una sana
politica alimentare.
Inoltre, tale esperienza ci ha permesso di
conoscere il meccanismo del prestito
sociale, da sempre uno degli elementi che
contraddistingue la relazione tra socio e
cooperativa.
Tramite il prestito, i soci affidano alla Coop
delle risorse finanziarie, su cui maturano
interessi; questo strumento, facile, comodo
e trasparente, permette alla Coop di
finanziare attività di ricerca e sviluppo al
fine di migliorare la qualità dei prodotti.
Un gentile ringraziamento al Mondo Coop e
a tutti i dirigenti che ci hanno permesso di
fare questa esperienza costruttiva ed
edificante.
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Prof.ssa Claudia Rutigliano
Il “viaggio” intrapreso dagli studenti
dell’ITSET Tannoia di Ruvo di Puglia è giunto
a destinazione. E si è concluso nel porto più
suggestivo e sicuro, quello che li consacra
vincitori della ventiseiesima edizione della
Rassegna Nazionale di Teatro Scolastico
Speranze Giovani - Maria Boccardi.
Sul palcoscenico del Teatro Socrate di
Castellana Grotte, sabato 9 maggio, i giovani
interpreti dell’istituto ruvese si sono, infatti,
aggiudicati il primo premio, nell’ambito della
prestigiosa rassegna, con lo spettacolo “Il
viaggio di Alì”, storia attualissima di migranti
clandestini e scafisti senza scrupoli, di
speranze e ingiustizie, di miseria e
sopraffazione. Un racconto che vuole essere
per i ragazzi anche un invito all’accoglienza e
alla tolleranza, che non può lasciare
indifferenti e che, per essere efficace, non
sceglie altro se non i gesti, le intenzioni e le
parole di un gruppo di attori non
professionisti, certo, ma con il coraggio e la
determinazione giusti a rendere leggibili le
emozioni che vivono sul palco. Valutata
positivamente dalla giuria anche la ben
calibrata scelta delle musiche, un’ulteriore
attenta punteggiatura della messa in scena
di uno spettacolo avvincente e faticoso,
avviato all’inizio dell’anno scolastico, con la
regia di Giulio de Leo e il coordinamento
della professoressa Rosanna Ippedico.
Un lavoro, premiato - si legge nella
motivazione - per l’accurata preparazione, le
precise coreografie, il realismo del testo.
Grandi apprezzamenti sono giunti agli
studenti e al regista anche da parte
dell’ospite d’onore, la soprano Katia
Ricciarelli, madrina della kermesse. “Non è
stata affatto una competizione facile”,
tengono a sottolineare i vincitori. “Le opere
finaliste erano tutte di pregio, a
dimostrazione del fatto che queste occasioni
attivano processi educativi e didattici che
stimolano in noi giovani un forte desiderio di
comunicare e di metterci in gioco”.
La rassegna “Maria Boccardi” si rinnova,
non a caso, da anni con l’obiettivo di
stimolare le scuole a credere nel teatro
come prezioso strumento formativo
multidisciplinare e interdisciplinare. Il viaggio
degli studenti del Tannoia, di certo, non si
fermerà qui.
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Professori: Stefania Morrone, Maria Pia Bonaduce, Palma Tatoli, Luciana De
Nicolo, Laura Loiodice, Tommaso Dello Russo, Maria Grazia Teofilo
Nel corso degli anni è stata costante la
ricerca di pratiche didattiche che
potessero motivare gli adolescenti allo
studio, non trascurando la possibilità di
fornire loro anche un raccordo tra il
mondo della scuola e quello del lavoro.
Visto l’incremento in termini di interesse
e motivazione degli alunni dell’ITSET
Tannoia coinvolti in progetti di alternanza
scuola-lavoro, si è pensato di proporre un
percorso analogo per i compagni di classe
con disabilità, con la collaborazione del
comune di Ruvo di Puglia.
Alcuni alunni delle classi terze, quarte e
quinte, pertanto, hanno partecipato a
percorsi di tirocinio in cui, affiancati dai
docenti di sostegno dell’Istituto o dai
propri assistenti all’autonomia, sono stati
portati in un contesto lavorativo, interno
al Comune (Biblioteca comunale Pasquale
Testini), per vivere un’esperienza
formativa professionalizzante.
Tale esperienza ha consentito agli alunni
coinvolti di sperimentare la propria
autonomia in un contesto di adulti,
diverso da quello della famiglia e della
scuola, dando loro modo di conoscere in
dettaglio le funzioni di un pubblico ufficio
del comune, nella prospettiva di un loro
inserimento come cittadini attivi nella
vita sociale del paese.
Visitando la biblioteca, infatti, i ragazzi
non solo hanno compreso come e
quando potervisi recare, da soli o
accompagnati, nel loro tempo libero, ma
anche come poter usufruire dei servizi
offerti per esigenze personali, non
prettamente di studio.
In quest’anno scolastico gli alunni,
affiancati dai loro compagni di classe,
hanno avuto modo di conoscere alcune
componenti poco note del patrimonio
artistico di Ruvo e Terlizzi, legate ad
elementi in pietra degli antichi palazzi.
L’immenso patrimonio librario della
biblioteca ha consentito agli alunni di
approfondire la conoscenza del proprio
paese, in accordo con le attività
scolastiche finalizzate alla valorizzazione
del territorio di appartenenza, nella
prospettiva di un coinvolgimento attivo
dell’intera comunità scolastica.
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Prof.sse Claudia Rutigliano e Angela Simone
Il libro cartaceo ha i giorni contati? Dovremo
presto congedarci anche dai modi e dai riti
tradizionali di leggere un libro, sfogliare le
sue pagine, sentire l’odore della carta,
sottolineare una frase che ci ha colpito?
Secondo il professor Trifone Gargano,
docente
del Dipartimento di Lettere
all’Università degli Studi di Foggia, la
risposta è affermativa. Senza appello e senza
indugi. E a riprova di questa inquietante e, al
tempo stesso, affascinante tesi, il professor
Gargano esibisce il suo
lavoro, “La
letteratur@ al tempo di facebook: le nuove
tecnologie per l’insegnamento dei classici”,
presentato a docenti e alunni dell’ITSET
Tannoia di Ruvo di Puglia. Un incontro
promosso dal Dirigente scolastico, Giovanni
De Nicolo, e dalle docenti Maria Summo e
Angela Simone, per invitare ad una
riflessione critica sul futuro del libro
tradizionale anche nella didattica e nei
processi di insegnamento-apprendimento.
Soprattutto la scuola, infatti, è chiamata,
secondo Gargano, a rivedere rapidamente le
sue metodologie. Partendo dalle questioni
più dibattute, il docente ha indagato il
rapporto tra carta e digitale e si è soffermato
sulle forme di testualità transmediale,
cogliendo anche gli elementi di continuità
tra la produzione letteraria del passato
(epigrammi, aforismi, distici) e le forme della
comunicazione postmoderna, tweet, post,
whatsapp, scrittura wiki, testi visivi. L’invito,
accolto con entusiasmo dagli alunni
presenti, con attenzione e cautela dai
docenti, è stato quello di accostarsi in modo
critico e consapevole all’uso, anche
nell’insegnamento di materie umanistiche,
di tablet, social network, supporti digitali che
stanno soppiantando gli strumenti cartacei.
Così Dante può essere appreso meglio
attraverso giochi interattivi e video games,
Manzoni può tornare ad appassionare se
letto su un e-book, Calvino sta più a suo agio
in un social network che su un obsoleto
manuale. Provocazioni? Eresie? Il professor
Gargano è convinto di no. E faremmo bene a
prenderne tutti atto al più presto, visto che
abbiamo di fronte una generazione touch
screen che scalpita per partecipare al
funerale del libro cartaceo e per essere
protagonista di una rivoluzione che ricorda
molto quella dei tempi di Gutenberg. La
sfida è accattivante e i docenti del Tannoia,
consci di operare in un istituto sempre
pronto a recepire le novità e ad aggiornarsi,
la accettano. Forse i classici ringrazieranno. E
anche gli studenti.
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Prof.ssa Claudia Rutigliano
La “buona scuola” non è fatta solo di
slogan e annunci. È fatta, soprattutto, di
persone di buona volontà che, con
abnegazione e spirito di sacrificio, si
dedicano alla crescita culturale e umana di
giovani donne e uomini. La buona scuola
sono, ad esempio, loro: i docenti e gli
alunni dell’Istituto Tecnico Statale
Economico e Tecnologico “Padre A. M.
Tannoia” di Ruvo di Puglia che, a
conclusione di due laboratori, realizzati
nell’ambito del progetto “Aree a rischio”,
si sono esibiti in due performances,
entrambe allestite nella sede del Teatro
Comunale di Ruvo di Puglia.
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La prima serata è stata dedicata alla
musica: i ragazzi hanno dato vita ad un
concerto dal titolo “Suoni e Parole del
mondo”. È stato il punto d’arrivo di un
complesso percorso musicale che gli
studenti conducono da anni, coadiuvati
dalla professoressa Maria Summo, tutor
del progetto, e dal Maestro Marcello
Zinni. Originale il repertorio, che ha
attinto a tradizioni diverse, da un lato
legate agli orientamenti musicali degli
adolescenti,
dall’altro
ispirate
all’eterogeneo background degli artisti in
erba, capaci di utilizzare il linguaggio
universale della musica per integrare
suoni e ritmi, stili ed espressioni, epoche
e culture disparate. Nella seconda serata
spazio al teatro: con lo spettacolo “Il
Viaggio di Alì”, gli alunni, coadiuvati dalla
professoressa Rosanna Ippedico, tutor del
progetto, hanno esplorato in modo
inedito i temi attualissimi della
convivenza e dell’integrazione. Una scena
essenziale, quasi scarna e in equilibrio tra
luce e ombra, ha accolto gli spettatori.
Due giovani interpreti, inizialmente,
hanno
animato
un
allestimento
scenografico statico, ma non inerte, fatto
di ferro, gomma e corda. Con un filo di
voce, hanno ripetuto la melodia che
faceva da sfondo al brusio del pubblico
che
lentamente
prendeva
posto,
numerosissimo. Coinvolgente la scelta del
regista, Giulio de Leo, di mantenere
sempre aperto il sipario, come gli argini
della storia di angoscia e speranza cui i
giovani studenti hanno dato vita, con
un’intensità interpretativa che fa onore a
loro e bene a chi osservava, ascoltava e
viveva, grazie a loro, quelle emozioni. “Il
viaggio di Alì” è un racconto racchiuso nel
gesto semplice e prezioso di una
narratrice, una singola voce che si
moltiplica nelle piccole e grandi storie di
ogni personaggio; si scioglie in dialoghi e
silenzi, in danza e attesa. C’è una forza
evocativa in ogni parola, pronunciata con
convinzione da ciascun interprete. Forte
l’invito all’accoglienza e alla tolleranza,
che non può lasciare indifferenti e che,
per essere efficace, non sceglie altro se
non i gesti, le intenzioni e le parole di un
gruppo
di
giovani
attori
non
professionisti, certo, ma con il coraggio e
la determinazione giusti a rendere
leggibili le emozioni che vivono sul palco.
Ben calibrata, poi, la scelta delle musiche,
un’ulteriore attenta punteggiatura della
messa in scena che ha reso questo saggio
finale
del
Laboratorio
Teatrale
un’esperienza piacevolmente condivisa e
condivisibile.
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Nicola Ciardi 2C
Circa due mesi fa la libreria “Agorà” di
Ruvo di Puglia ha promosso una gara di
lettura dal titolo “Confabulare” rivolta a
tutte le scuole del paese di ogni ordine e
grado. Lo scopo della gara era quello di
favorire il piacere della lettura, creando
delle vere e proprie competizioni tra
studenti, con tanto di domande ed
esercizi di ascolto che hanno riguardato il
libro “Dove eravate tutti” di P. di Paolo. Il
protagonista, Italo Tramontana, è alle
prese con la sua maturità quando
all’improvviso un evento tragico lo
sconvolge: il padre Mario, ex professore
di liceo, investe un suo ex alunno. Il libro
presenta tematiche diverse come la
politica (ventennio berlusconiano) e
l’adolescenza (la strada per ricerca della
prima fidanzata che si rivela difficile e
tortuosa) che fanno da sfondo a un
rapporto difficoltoso e problematico tra
padre e figlio.
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La nostra scuola ha risposto all’invito
proponendo per il concorso la
partecipazione delle classi 2A, 2B, 2C. Gli
studenti avevano il compito preciso di
leggere il libro e di assimilarne il maggior
numero di particolari per affermarsi
nelle varie fasi della “competizione” con
classi di altri istituti; inizialmente i
ragazzi della 2C non hanno ben accolto
la proposta della docente di italiano
anche perché si aspettavano un
maggiore coinvolgimento in fase di
decisione.
Per fortuna la forza di volontà e la
caparbietà della Prof.ssa Giustina De
Bartolo è riuscita a vincere questa
apparente ostilità provocando nei
ragazzi voglia di mettersi in gioco,
passione e divertimento, atteggiamenti
questi che hanno spinto verso un’attenta
lettura e uno studio approfondito del
libro. Al fine della partecipazione alla
gara, dopo essersi divisi i compiti, gli
alunni hanno messo in atto diverse
strategie per poter arrivare alla vittoria.
La 2C ha affrontato la sua prima classe
“sfidante”
proveniente
dal
liceo
scientifico di Ruvo di Puglia incassando,
in prima battuta, 6 punti di svantaggio.
Tuttavia non si è data per vinta, anzi si è
rialzata più forte di prima e dopo aver
superato prove di ascolto e prove di
sintesi in maniera quasi impeccabile è
riuscita a ribaltare il risultato vincendo
32-12. La vittoria ha provocato nei
ragazzi gioia e felicità ma soprattutto
voglia di assimilare ancora di più i
particolari del libro per arrivare in finale
il più possibile preparati. Durante i giorni
successivi le altre classi uscite sconfitte
ci fornivano informazioni sui nostri futuri
avversari e sulle domande che venivano
poste.
Il giorno della finale era carico di
tensione e negli occhi dei ragazzi era
chiaro che non si giocava più per
divertirsi ma per vincere; ciononostante
la prontezza e la preparazione
approfondita della 2C nulla hanno
potuto contro quelle degli avversari che
fin dall’inizio della partita hanno segnato
un profondo distacco.
La 2C è stata l’unica classe dell’Istituto
ad arrivare in finale e a conquistare
comunque una posizione che lascia tutti
soddisfatti.
Concludo facendovi riflettere sul
comportamento iniziale della 2C, ostile e
refrattario, che è lo specchio del
comportamento dei giovani di oggi,
sempre contrari ad ogni nuova attività e
ad ogni nuova proposta; ma proprio
attraverso questa esperienza noi ragazzi
siamo cresciuti e abbiamo capito che
dire sempre no e mostrarci poco disposti
non porta a nulla. Abbiamo capito che
ogni proposta può essere un’opportunità
per imparare cose nuove, per crescere e
per divertirsi tutti insieme.
Noi l’abbiamo capito, e voi?
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Gli alunni della 2E
L’istituto “ITSET
PADRE A.M.
TANNOIA”, seguendo le impronte
dell’EXPO, che vede partecipe l’Italia
nel mondo, ha voluto organizzare un
evento sulla sana alimentazione.
distribuiti, dietro offerta libera, cibi a
base di frutta; il ricavato è stato
destinato in beneficenza.
Quest’esperienza ha aiutato i ragazzi ad
apprezzare e a capire i benefici del
mangiar sano e di un’alimentazione
equilibrata e genuina. A tal proposito
l’esposizione universale di Milano sarà
l’occasione per riflettere e trovare
soluzioni alle due grandi contraddizioni
del mondo moderno: da una parte c’è
ancora chi patisce la fame, dall’altra c’è
la necessità
di intervenire
su
un’alimentazione scorretta.
Queste sono state le motivazioni che
hanno spinto un gruppo di ragazzi ad
organizzare un’attività che ha preso il
nome
di:
“RIPULIAMOCI
E
RIGENERIAMOCI CON LA FRUTTA”.
Nella settimana tra il 10 e il 14 marzo
2015 i docenti di scienze, la Prof.ssa
Maria Rosaria Perrino e il Prof. Vito
Grumo, coadiuvati dai docenti di
sostegno ed educatrici, hanno coinvolto
tutti gli studenti del biennio nella
preparazione e nell’allestimento di uno
stand presso il quale sono stati
Questo evento, data la grande
partecipazione dei nostri compagni,
sicuramente sarà riproposto negli anni
seguenti.
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Manuela Campanale 1D
Nella mattina del 24 marzo, io e la mia
classe, ci siamo recati a Corato per visitare
l’azienda Corgom srl. Quest’azienda è nata
36 anni fa, e nel corso degli anni, soprattutto
negli ultimi 20, si è impegnata a sviluppare e
ampliare sempre più le sue attività: quelle
della raccolta, recupero e riciclaggio di
pneumatici fuori uso (PFU). Nell’azienda si
respira un’aria giovane, il rapporto di
collaborazione fra i vari settori è elevato e
ciò la rende sempre pronta all’innovazione,
che reputo fondamentale per la crescita e lo
sviluppo.
Presso il centro di trattamento pervengono
pneumatici di tutti i tipi, provenienti da
qualsiasi attività (pubblica o privata) al fine
di procedere al loro recupero e riciclaggio
attraverso macchinari ad alta tecnologia.
L’azienda offre, inoltre, una vasta scelta di
pneumatici nuovi e rigenerati delle migliori
marche tra cui: Goodyear, Continental,
Pirelli, Michelin.
Possiamo dire che il lavoro promosso da
questa impresa ha un duplice vantaggio in
quanto oltre a ridurre il costo degli
pneumatici, riduce gli scarti che inquinano
l’ambiente. La visita è stata resa accogliente
dai dipendenti che ci hanno illustrato in
modo semplice ma chiaro il modo di operare
dell’azienda.
In particolare, dopo averci riunito, ci hanno
spiegato dapprima il funzionamento
generale dell’azienda e, in seguito, che essa
si potrebbe idealmente dividere in due
sezioni: una che si occupa del riciclaggio e
della ricostruzione degli pneumatici, l’altra
che si occupa del loro riutilizzo.
Questa seconda parte mi è sembrata più
interessante in quanto ci mostrava come un
normale pneumatico, non potendo essere
più utilizzato, dopo essere stato privato
dell’acciaio antititanio, veniva riciclato
attraverso la sua frammentazione che
avveniva all’interno di specifici macchinari,
tant’è che, dopo diverse fasi di
sgretolamento, esso poteva raggiungere
diverse misure: grandi, medie e piccolissime.
Del ricavato dei processi di lavorazione se ne
fa poi un utilizzo appropriato: si va dai
tappetini per gli ospedali all’erbetta sintetica
per i campi di calcio. Dopo averci dotato di
questa cultura tecnica, ci hanno mostrato
l’azienda e tutti i suoi macchinari; la visita è
terminata con l’offerta, da parte
dell’azienda, di bevande e sandwich
gustosissimi.
Questa per me si è rivelata una giornata
istruttiva ed interessante.
17
Prof.ssa Claudia Rutigliano
“È per noi motivo di grande soddisfazione
l’ottimo piazzamento del nostro Istituto
nella speciale classifica formulata dalla
Fondazione Agnelli e pubblicata sul sito
www.Eduscopio.it. La nostra scuola
risulta, infatti, al primo posto nella
speciale graduatoria delle scuole dello
stesso indirizzo situate nel raggio di 30
Km con un indice FGA di 67,73/100. Tale
indice ci vede in vantaggio anche rispetto
ad altre scuole sempre dello stesso
indirizzo ma situate oltre tale limite. La
classifica viene formulata in base a vari
parametri che tengono conto del numero
di alunni diplomati per anno, del voto
medio di maturità, della percentuale di
studenti che si iscrivono all’università,
nonché della percentuale di quelli che
superano il primo anno di studi
universitari. Il lusinghiero risultato va
attribuito in primo luogo agli alunni che
hanno dimostrato il proprio impegno, ma
anche alla costante azione didatticoeducativa del corpo docente, al loro alto
profilo
professionale,
nonché
all’indispensabile supporto delle altre
componenti scolastiche: Direttore dei
Servizi
Amministrativi,
personale
amministrativo, tecnico e ausiliario.
18
A loro le mie congratulazioni e il mio
sentito ringraziamento”. Così il Dirigente
Scolastico dell’Istituto Tecnico Statale
Economico e Tecnologico “Padre A. M.
Tannoia”, Giovanni De Nicolo, accoglie
l’importante riconoscimento che la sua
scuola ha ricevuto dalla Fondazione
Agnelli. L’Ente, da anni, porta avanti un
progetto che consiste nella raccolta di
dati relativi soprattutto al successo
universitario degli studenti dopo il
diploma, al fine di stilare una classifica
delle scuole secondarie superiori, divise
in base all’indirizzo di studi e valutate
attraverso diversi parametri che ci
forniscono importanti indicazioni sulla
qualità dell’offerta formativa delle
scuole. Per quanto riguarda gli Istituti
Tecnici Economici e Tecnologici in un
raggio di 30 Km da Corato e Ruvo di
Puglia, il Tannoia, perciò, risulta primo,
superando non solo gli istituti situati nei
paesi limitrofi, ma anche le scuole
tecniche storiche del capoluogo della
Regione. E le buone notizie non finiscono
qui. Perché, da una più attenta analisi dei
dati diffusi dal progetto Eduscopio,
emerge che, nella scelta degli studi
universitari, gli studenti del blasonato
istituto di Corato e Ruvo, non si
indirizzano solo verso le facoltà
economico-statistiche
e
giuridicopolitiche ma sono in grado di scegliere,
con disinvoltura, anche gli studi
umanistici e scientifici in senso lato.
19
Viene perciò rimosso il pregiudizio
secondo il quale una scuola tecnica non
prepari adeguatamente i suoi studenti ad
intraprendere percorsi universitari. I
positivi risultati conseguiti dagli alunni
dell’istituto, anche dopo il diploma,
dimostrano, infatti, che se una scuola
fornisce una formazione in cui si
coniugano preparazione professionale e
alte
e
profonde
conoscenze
e
competenze trasversali, predispone i suoi
discenti ad affrontare serenamente tanto
l’ingresso nel mondo del lavoro, quanto
l’accesso
a
qualunque
facoltà
universitaria. Lo confermano anche alcuni
studenti meritevoli dell’Istituto. Antonio
Chiapperino, che frequenta a Ruvo la 5E
dell’indirizzo amministrativo, afferma:
“I dati parlano chiaro. La nostra scuola
forma, sotto ogni aspetto. Da noi ci sono
docenti che portano la loro esperienza di
lavoro in classe e ci preparano
concretamente a confrontarci con le
difficili sfide che ci attendono quando
varcheremo la soglia del mondo del
lavoro e/o dell’università. Lo studio
dell’economia e del diritto, unito ad una
eterogenea e attenta preparazione in
tutte le altre discipline, nonché alle
esperienze di alternanza scuola-lavoro, si
riveleranno, credo, fondamentali per
comprendere la realtà e per competere in
un mondo così complesso come quello
attuale”.
Nancy Capogna e Roberta Strippoli 3E – Sede di Corato
Il 4 maggio il comune di Corato, con la
collaborazione di tutta la cittadinanza e
la scuola, ha accolto 150 croceristi
americani della “Seven seas Cruise”
che, con l’ausilio del loro comandante
coratino, hanno scelto di prendere in
considerazione la nostra cittadina per il
loro tour in Puglia.
Il coinvolgimento del Tannoia è stato
accettato di buon grado, tanto da
evidenziare la nostra conoscenza in
ambito linguistico, messa alla prova per
questa fantastica esperienza, grazie
anche all’intervento della prof.ssa
Redda, la quale ha organizzato il
progetto. Wonderful, amazing!
In questa giornata i turisti sono rimasti
particolarmente colpiti dall’entusiasmo
e dall’atmosfera gioiosa creata dai
ragazzi del Tannoia, i quali hanno
operato nei negozi, nelle casette - che
vendevano i prodotti tipici di Corato,
ovvero: olio, taralli, pane ecc..- e in
piazza Sedile, dove si è tenuta una
presentazione di falchi, accompagnata
da musica, balletti, degustazioni e
rappresentazioni delle maschere tipiche
del carnevale coratino. Confrontandoci
coi croceristi, è emerso che hanno di
gran lunga apprezzato il modo in cui li
abbiamo accolti: con calore e felicità,
come se fossero dei nostri concittadini.
Alcuni son rimasti talmente meravigliati
da commuoversi, abbracciarci e offrirci
ospitalità
da loro
in America.
Soddisfatti del lavoro svolto, speriamo
in un’imminente nuova avventura.
20
Prof.ssa Luciana De Nicolo
simpatiche raffigurazioni, la nostra
Costituzione come “la piu’ bella del
mondo” (Benigni insegna!) con
messaggi civici ed etici trasmessi con i
suoi articoli.
Al termine dell’attività laboratoriale le
due squadre in gara hanno ricevuto un
kit composto dal libretto della
Costituzione (Principi fondamentali)
precedentemente
colorato
e
completato e da materiale scolastico di
cancelleria. In questa maniera, i ragazzi
imparano, riflettono e sono stimolati a
fare considerazioni sul loro vissuto
quotidiano nell’ottica dei Diritti e
Doveri che spettano loro in quanto
cittadini del mondo.
La scuola ha la funzione di trasmettere
i valori fondamentali di convivenza
civile che, se incarnati, possono far
diventare
gli
studenti,
cittadini
consapevoli
del
loro
essere
protagonisti all’interno della società.
Il Laboratorio sulla Costituzione nasce
dall’esigenza di rendere più friendly le
nozioni di diritto che apparentemente
possono
sembrare
difficili
da
comprendere e da vivere.
Gli alunni, seguiti dai docenti di
sostegno ed
educatori, hanno
partecipato con entusiasmo e impegno
alla realizzazione del cartellone nella
versione di “Gioco da tavolo” didattico.
Lo scopo del gioco è stato quello di far
“vedere” e “percepire” loro, attraverso
21
Prof.ssa Agnese Sardone
Silvia, una ragazza di diciannove anni che
frequenta la classe quinta, nonostante
presenti difficoltà psico-motorie vive una
quotidianità piena di interessi ed attività.
In particolare, l’alunna ama la musica e le
immagini che decorano i numerosi libri
con cui lei è a contatto nei quali ha
imparato a riconoscere gli aspetti fisici e
caratteriali dei suoi personaggi preferiti.
Ama la lingua inglese, conosce i numeri e
i vocaboli afferenti ai colori, ai cibi, e agli
indumenti riguardanti la realtà che la
circonda.
Ogni giorno Silvia è seguita da
un’educatrice ed un’insegnante che si
trasferiscono a domicilio, con le quali
svolge diverse attività didattiche. Le sue
giornate sono scandite da un regolare
ordine di attività e dall’alternarsi di figure
inerenti agli ambiti di intervento didattico
e terapistico-riabilitativo, e di quelle
strettamente familiari.
Non potendo frequentare la sede
scolastica, periodicamente ha contatti
con i suoi compagni di classe. Silvia è una
ragazza solare, allegra e socievole e
questa sua personalità è il suo punto di
forza nella vita.
Quest’anno termina il ciclo di studi …
e poi?
22
Prof.ssa Stefania Morrone
In quest’anno scolastico gli studenti con
disabilità dell’Istituto hanno avuto
l’opportunità di sperimentare quanto può
essere salutare l’interazione “uomocavallo” in occasione della visita alla
fattoria sociale “Terra degli ulivi” di Ruvo
di Puglia, effettuata a metà maggio.
In una struttura attrezzata per accogliere
sia persone normodotate che con
disabilità,
gli
alunni
coinvolti
nell’intervento hanno potuto apprendere
le nozioni basilari riguardanti il cavallo e la
sua cura, facendo poi attività equestre
vera e propria.
Ogni alunno ha avuto l’emozione di salire
su un cavallo addestrato e di avere il
primo approccio con una pratica ludicosportiva particolarmente attraente come
l’equitazione, disciplina che non solo
sviluppa agilità e coraggio, ma accresce la
fiducia in se stessi.
Tutti gli studenti, vinta l’eventuale
titubanza iniziale, dopo qualche giro di
campo a cavallo, erano visibilmente
contenti dell’esperienza e desiderosi di
ripeterla. Il contatto con gli animali ha
infatti subito trasmesso ai ragazzi una
sensazione di benessere, riscontrabile, in
qualche
caso,
nelle
diminuzione
dell’irritabilità e in una maggiore
predisposizione al buonumore. Alcuni
alunni sono entrati subito in sintonia con i
cavalli, che hanno avuto l’opportunità di
nutrire e accudire. Grande è stata infatti
l’affinità con questi animali, la cui
comunicazione è, in prevalenza, fondata
su empatia e affettività.
23
Dott. Leone Vincenzo, dott.ssa Marcone Angela, dott.ssa Virgilio Nunzia
Contatti: Ser.D. Ruvo di Puglia via I Maggio, n.5-: 0803608247- 0803608246-0803608265
Durante il corrente anno scolastico gli
operatori del Ser.D. di Ruvo, in accordo con il
Dirigente Scolastico e sostenuti dalla
partecipazione attiva e motivata degli
insegnanti referenti alla salute, hanno
programmato e attivato diversi interventi
all’interno dell’I.T.SET “ Tannoia” di Ruvo:
incontri individuali, con gruppi classe,
incontri informativi con docenti e genitori,
articolati a seconda del contesto e delle
richieste specifiche.
Inoltre l’Istituto ha aderito al progetto
regionale dell’ ASL BA Il gioco della rete che
promuove salute (prevenzione relativa alla
dipendenza da internet, cellulari, giochi
elettronici…) nell’ambito del Piano Strategico
Regionale per la Promozione alla Salute nelle
Scuole, realizzato dagli stessi operatori del
Ser.D. di Ruvo e rivolto ai genitori, agli
insegnanti e agli studenti delle prime classi.
La finalità generale che il Ser.D. intende
perseguire, facendo prevenzione a scuola, è
la promozione di risorse personali che
favoriscano il pensiero critico (life skills) e
contrastino comportamenti inadeguati e
dannosi al benessere psico-fisico dei ragazzi.
Gli interventi in classe, a forte valenza
educativa e sociale, sono volti a far riflettere
appunto i ragazzi su se stessi, su uno stile di
vita sano che funge da fattore di protezione.
Lo sportello dipendenze, invece, è uno spazio
che ha come obiettivo principale
l’informazione rispetto all’adozione di alcuni
comportamenti a rischio e, al contempo, la
promozione del benessere.
Per prenotarsi è stato possibile presentarsi
direttamente allo sportello nell'orario di
apertura (ogni giovedì dalle ore 9,00 alle ore
10,30) o lasciare un bigliettino nella cassetta
della posta accanto all'aula di sostegno. Gli
operatori che gestiscono lo sportello
ascoltano, appunto, le richieste e i bisogni dei
ragazzi, offrono consulenza e fanno
eventualmente da tramite con i servizi del
territorio.
Di fondamentale importanza è la
collaborazione tra gli operatori dello sportello
e gli insegnanti. Sono loro il principale
riferimento dei ragazzi nella scuola, il tramite
“credibile” attraverso cui veicolare proposte,
informazioni e messaggi.
Lo sportello è aperto anche ai genitori,
tramite spazi per consulenze individuali
attivate su appuntamento e incontri per
approfondire i temi dell’adolescenza e della
relazione con i propri figli. Ci piace
immaginare questa attività come il luogo in
cui ci si può dotare di alcune cose
indispensabili da mettere nello zaino per il
lungo viaggio della vita.
24
EURODESK TANNOIA
Prof.ssa Palma Pellegrini
Eurodesk è la rete (attiva in 33 paesi)
supportata dalla Commissione Europea con lo
scopo di diffondere informazioni e di fornire
orientamento sui programmi che l’Unione
Europea ed il Consiglio d’Europa promuovono
a favore dei giovani.
L'Itset Tannoia, antenna locale Eurodesk dal
Gennaio 2010, si avvale dell’esperienza di
operatori specializzati che hanno il compito di
informare, orientare e promuovere la
partecipazione attiva alle opportunità
europee non solo dei propri studenti, ma dei
giovani del territorio.
Mission dell’Istituto è quella di formare
professionalità culturalmente solide e, nel
contempo, flessibili in grado di adattarsi ai
mutamenti della società in continua
evoluzione, in una dimensione internazionale
e interculturale.
Infatti il Piano di sviluppo europeo dell'ITSET
Tannoia ha come obiettivi strategici nel
medio-lungo periodo:
La nascita di una cittadinanza europea attiva
tramite la formazione di cittadini europei
consapevoli
attraverso
una
migliore
integrazione del mercato del lavoro e una
maggiore mobilità transnazionale.
L’internazionalizzazione
dell’istruzione
realizzando percorsi di apprendimento
linguistico in presenza o tramite l’uso di
strumenti digitali.
L’accoglienza ed interazione interculturale
con alunni di diverse nazionalità tramite
attività
di
scambi
educativo-didattici
attraverso Progetti Erasmus ed eTwinning.
In considerazione di tutto ciò, la nostra
comunità scolastica anche attraverso l'attività
dell'antenna territoriale EURODESK mira a:
1. Inserire gli studenti in contesti lavorativi
anche internazionali;
2. sviluppare competenze professionali in
lingua straniera e in particolare nell'uso della
metodologia CLIL, al fine di
ampliarne
l'applicazione in diverse aree disciplinari e
avviare una continuità con l’Università;
3. ampliare e approfondire l'uso di
metodologie innovative, per rispondere alle
necessità degli alunni anche con bisogni
educativi speciali;
4. ampliare l' offerta formativa e gli orizzonti
culturali
della
nostra
Istituzione
implementando la dimensione europea del
curricolo;
5. promuovere partenariati con diverse
istituzioni per l’innovazione del sistema
economico, lo sviluppo dello spirito di
iniziativa e dell’imprenditorialità;
6. rielaborare il nostro sistema formativo
attraverso il confronto delle buone prassi
con altri sistemi europei, al fine di
raggiungere più alti standard qualitativi;
7. promuovere nell' Istituzione scolastica la
comprensione e la sensibilità verso le
diversità sociali, linguistiche e culturali,
superando ogni forma di pregiudizio e
stereotipo;
Pertanto si invitano tutti i giovani (dai 16 ai 30
anni) del territorio a visitare le sedi di Corato
e Ruvo di Puglia per cogliere le opportunità
europee esistenti nel settore della Gioventù
che riguardano: mobilità, tirocini, studio,
lavoro, volontariato.
REFERENTE EURODESK:
RUVO DI PUGLIA Prof.ssa Palma Pellegrini
CORATO Prof.Zaccaria Facchini
25
Prof.ssa Maria Summo
Ore 10.00, 13 maggio 2015, la biblioteca
del Liceo Scientifico “Einstein” di Molfetta
si anima di voci, di parole appena
pronunciate, di sorrisi che si scambiano
piacevolmente ragazzi provenienti da
diverse parti della Puglia e che si sentono
accomunati da un sogno: “gli Stati Uniti
d’Europa”.
È stato questo il tema del concorso
lanciato dall’AICCRE mesi or sono per far
riflettere i giovani di diverse età sulla
realtà Europa in cui sentirsi cittadini
partecipi.
L’ AICCRE è l’associazione italiana del
Consiglio dei Comuni e delle Regioni
d’Europa e rappresenta in modo unitario
le Regioni, le Province e i Comuni a livello
europeo.
26
Il concorso, indetto dalla Associazione,
riservato agli studenti delle scuole medie
inferiori e superiori della Puglia, si
propone, secondo il regolamento di:
affermare il valore della partecipazione e
della identità nazionale nell’unità
europea; far conoscere i diritti dei
cittadini europei e il progetto di pace, di
libertà e democrazia, quale è nei Trattati
di Roma per giungere, nel rispetto delle
identità nazionali, alla riunificazione del
vecchio continente in una solida
comunità politica; educare le nuove
generazioni alla responsabilità politica e
sociale
comune,
alla
mutua
comprensione
delle
problematiche
europee ed internazionali, per stimolare
la
partecipazione
e
favorire
l’elaborazione di soluzioni comuni (vedi
oggi
il
grande
problema
dello
spostamento di masse dall’ Africa
Settentrionale) in cui abbia rilievo il
valore della diversità, della cooperazione
e della solidarietà.
Tre ragazzi del nostro Istituto: E. Panessa
(classe 2B), G. Vendola, G. Altamura
(entrambi della classe 1C) hanno colto lo
spirito del tema “Verso gli Stati Uniti
d’Europa’’ secondo la visione di Jacques
Delors (politico ed economista francese,
convinto europeista) che abbandonò la
strategia funzionalista dei padri fondatori
e perseguì la visione federale che si
traduce nell’idea di una federazione di
Stati, visione rivisitata e fatta propria
anche da G. Amato e R. Prodi e condivisa
dalla Associazione come ha ben precisato
il segretario generale Aiccre Puglia prof.
G. Valerio.
L’alunna E. Panessa ha realizzato un
video-dossier, della durata di quindici
minuti circa, dal titolo “Verso gli Stati
Uniti d’Europa”. L’obiettivo è stato far
risaltare la bellezza e la ricchezza di ogni
singolo stato europeo, poiché dalle
piccolezze di ciascuno e dalla loro unione
si può creare uno stato unico e
federalista secondo i princìpi dei convinti
europeisti.
Esso presenta una linea del tempo che
inizia il 9 maggio 1950 con la
dichiarazione di S. Schuman che evidenzia
come si sia venuta a creare l’unificazione
dell’Europa e termina con una visuale
dell’Europa attuale pervasa da mille
problematiche; musica e letteratura ne
fanno da cornice.
“Un albero maestro” hanno realizzato i
ragazzi della 1C volendo rappresentare
con esso la conoscenza, lo studio e gli
strumenti tecnologici che sono utili ai
ragazzi per raggiungere la consapevolezza
di essere cittadini europei. Campeggia
sullo sfondo un cannocchiale scelto come
simbolo dello sperimentalismo galileiano
della ricerca e dello studio. L’unità è
rappresentata
graficamente
dalle
bandiere europee racchiuse nel cerchio
stellato.
I
lavori
sono
stati
apprezzati
dall’associazione AICCRE, (tra circa
sessanta elaborati) attraverso un
riconoscimento, attestato da una targa.
27
Celeste Quacquarelli, Vincenzo Barile 1A; Manuel Nichilo,
Micaela Diaferia 2A; Pasquale Mintrone 3B; Luca Tedone 4C – Sede di Corato
Il connubio tra le arti e le espressioni
della parola, della musica e della
rappresentazione ha permesso a noi
ragazzi dell’ITSET “Tannoia” di Corato, di
rivisitare in chiave attuale un testo antico.
Noi ragazzi del laboratorio teatrale e del
laboratorio musicale MusicLab VI
Edizione abbiamo inizialmente lavorato in
maniera parallela e, successivamente, in
stretta sinergia per la realizzazione
dell’esilarante esibizione della commedia
del grande autore francese Molière “Il
borghese gentiluomo” il 24 Novembre
2014, presso il Teatro Comunale di
Corato.
Ci siamo cimentati in percorsi di grande
valore formativo.
Le attività laboratoriali sono state
motivanti e impegnative e hanno offerto
a noi ragazzi l’opportunità di intrecciare
grandi
amicizie
ed un
elevato
coinvolgimento fra alunni di classi
diverse.
Per gli alunni delle classi prime,
l’esperienza ha costituito un vero e
proprio debutto nel nuovo contesto
scolastico che, a sua volta, si è dimostrato
interessato alla scoperta di nuovi possibili
talenti.
Per gli alunni delle classi seconde, terze,
quarte, quinte ed ex-alunni con
precedenti esperienze teatrali e musicali,
forte
è
stata
la
condivisione
dell’esperienza simultanea di teatro e
musica e dell’ampliamento delle amicizie.
Grazie alla professionalità del maestro
Francesco Martinelli (per il laboratorio
teatrale) e del maestro Tommaso
Scarabino (per il laboratorio musicale) e
al supporto dei docenti referenti Rosanna
Falco, Domenico Capozza e Sergio Falleti
abbiamo vissuto un’esperienza unica e
appagante che speriamo vivamente di
ripetere.
28
Celeste Quacquarelli, Chiara Modesti 1A; Alessia Fracchiolla,
Nunzia Caterina 2A; Francesca Scaringella, Sara Cantatore 5E – Sede di Corato
Il Natale è stato l’occasione per
promuovere e organizzare in data 14
dicembre 2014 una giornata Interculturale
all’insegna della Solidarietà.
L’evento proposto dall’ Associazione “La
Centrale delle Idee – Donne&Società” al
Dirigente Scolastico dell’ITSET “Tannoia” di
Corato prof. G. De Nicolo e alla prof.ssa R.
Falco, docente di lingua tedesca, ha
catturato l’interesse degli studenti delle
classi 1A, 2A, 3E/R, 5E/R che studiano la
lingua tedesca.
Il tema su cui i ragazzi hanno lavorato è
stato, infatti, “Il Natale in Germania”,
dedicando il loro tempo alla produzione di
oggetti, alla preparazione di dolci e
all’organizzazione di un balletto, rievocando
la tradizione natalizia tedesca.
Gli alunni si sono occupati anche
dell'allestimento dello stand collocato in
“Largo Plebiscito”, che ha permesso la
vendita dei prodotti al gran numero di
visitatori.
Il successo di tale iniziativa è stato possibile
anche grazie alle numerose decorazioni che
adornavano la struttura; erano infatti
presenti cartelloni, ghirlande e luminarie,
realizzate sempre dai ragazzi, che
richiamavano la suggestiva atmosfera
natalizia della Germania.
Ma non è tutto! Gli studenti hanno curato e
approfondito anche aspetti di natura
economico-aziendale, ma in lingua italiana!
Il 20 Dicembre 2014 in Aula Magna
dell’ITSET “Tannoia” di Corato, alla
presenza dell’Associazione organizzatrice, il
ricavato della vendita dei manufatti è stato
devoluto in beneficenza.
Tutto ciò è stato possibile grazie al team dei
docenti, collaborativo e propositivo; proff:
R. Falco, V. Lorusso, G. Colangelo, G.
Frualdo, G. Redda, M. Arresta, T. Di
Bisceglie, L. Avella, R. Bucci, e R. Piarulli;
educatrici: M. Nuovo, P. Anelli, di F.
Cascarano, ex alunno, di due mamme delle
alunne della classe 2A (M. Di Bartolomeo e
L.Ventura) e dello Sponsor “Ausonia Vivai”.
Natale - Cultura - Amicizia - Solidarietà.
Grazie al “Tannoia”!
29
Chiara De Venuto 3A
Gli studenti dell’ ITSET Padre A.M. Tannoia
sede di Ruvo sono stati coinvolti, nel mese di
marzo, in un importante progetto: le “Giornate
FAI di Primavera”.
Il FAI, ovvero il Fondo Ambiente Italiano è una
fondazione che opera per la tutela, la
salvaguardia e la valorizzazione delle realtà
territoriali italiane, attraverso l’apertura al
pubblico per alcuni giorni primaverili di beni
storici, artistici e naturalistici al fine di
sensibilizzare e stimolare l’interesse e la
conoscenza delle collettività locali.
Il sito prescelto per queste giornate è stato
l’ex-convento dei Domenicani, ora sede della
Pinacoteca comunale di arte contemporanea.
L’edificio ha una storia alquanto curiosa in
quanto, fin dalla sua fondazione nel 1560, è
stato oggetto di varie trasformazioni: nato
come convento domenicano sui resti di un
precedente monastero (dedicato a Santa
Caterina di Alessandria), con la soppressione
degli ordini religiosi del 1809 voluta dall’allora
Re di Napoli, il francese Gioacchino Murat,
divenne
una
caserma
militare
e,
successivamente, un teatro. Nel tempo
l’edificio è stato adibito a Scuole pie, femminili
e infine pubbliche, fino ad ospitare, dopo vari
restauri iniziati nel 1995, l’attuale Pinacoteca.
Durante le Giornate FAI, gli studenti si sono
trasformati in “apprendisti Ciceroni”, ovvero in
guide ufficiali FAI che, dopo un intenso lavoro
di studio con l’aiuto degli insegnanti e dei
delegati FAI, hanno illustrato la struttura ai
visitatori della Pinacoteca, non mancando di
accuratezza nei dettagli storici ed artistici.
Nella pinacoteca vi è infatti una vasta
collezione di opere (perlopiù appartenenti
all’artista locale Domenico Cantatore ma
anche dei pittori Francesco Di Terlizzi, Mauro
Grumo, Michele Chieco e di altri artisti) grazie
alle quali il visitatore viene a conoscenza delle
correnti artistiche: il cubismo, l’espressionismo
e l’impressionismo.
Tale esperienza è stata per me altamente
formativa; mi ha permesso di conoscere ed
apprezzare aspetti storici del mio territorio e
correnti artistiche alle quali non mi ero mai
avvicinata e che avevo sempre ignorato.
Inoltre, l’aver interagito con dei turisti mi ha
dato la possibilità di smussare alcune
sfaccettature del mio carattere quali
l’introversione e la timidezza verso gli altri.
In conclusione, ritengo l’esperienza FAI un
evento che permette allo studente
l’acquisizione di nuove competenze, la loro
applicazione e il confronto diretto con la realtà
territoriale locale.
30
Docente tutor Prof.ssa Maria Summo
Il fascino e la bellezza della musica si
ripetono ancora con l’attivazione di un
nuovo Laboratorio musicale, nell’ambito
del progetto Aree a Rischio finalizzato alla
valorizzazione delle differenze dei singoli
quali fonti di crescita e ricchezza per tutti,
alla costruzione di relazioni positive tra pari
e con gli adulti proponendo la scuola come
spazio, sano e protetto, di aggregazione e
crescita culturale. È il secondo laboratorio
attivato nello stesso anno scolastico; gli
esiti del primo sono stati già presentati
nella manifestazione del 19 novembre
2014.
La musica attrae ancora i ragazzi
dell’Istituto che hanno risposto con
entusiasmo all’invito della docente tutor e
con impegno hanno seguito i diversi
incontri curati con perizia dal maestro
Marcello Zinni. La musica, certamente, è
l’anima dei giovani, forma il loro habitus
critico e la loro affettività e li aiuta nelle
relazioni personali. Infatti, il titolo “Una
musica può fare” non è solo il titolo di una
canzone di Max Gazzè, ma, come afferma il
maestro Zinni, è soprattutto un’idea: la
musica ha il potere di avvicinare e unire le
persone
portandole
a
condividere
emozioni, a confrontare in maniera
costruttiva gusti e opinioni diverse
riuscendo
a
farli
convivere
costruttivamente.
Diverse sono le competenze che hanno
messo in campo i ragazzi: alcuni sono
strumentisti, altri fanno parte del coro (che
questa volta è cresciuto nel numero). Tutti
gli
allievi
si
sono
appassionati
nell’affrontare lo studio, l’esecuzione dei
brani selezionati, adattati e arrangiati in
base agli strumenti musicali a disposizione
degli studenti, così le voci si sono modulate
di volta in volta sui testi scelti che sono
diversi tra di loro ma tutti “diversamente
belli” sia sotto l’aspetto musicale che sotto
l’aspetto testuale
I nostri ragazzi operando all’interno del
Laboratorio hanno così respirato un modo
alternativo e meno artificioso di
comunicare rispetto a quello dei social
network e hanno imparato a utilizzare la
musica come altro linguaggio utile ad
accomunare con la sua magia le differenti
sensibilità e culture.
31
VIAGGI
Prof.sse Isabella Anzelmo e Claudia Rutigliano
“Un viaggio nel cuore dell’Europa e,
soprattutto, un viaggio interiore, una
riflessione nei luoghi della Memoria, dove
non solo si manifestò, nel modo più tragico e
cruento, lo sterminio di ebrei, slavi, zingari
(rom), ma dove ci si trova tuttora di fronte
alle possibilità dell’umano. La visita ai Campi
di concentramento e sterminio di AuschwitzBirkenau ha costituito solo l’ultima tappa di
un percorso che dal 27 gennaio al 2 febbraio
ci ha proiettato geograficamente ed
emotivamente in una realtà che è ancora
viva, che grida giustizia e richiama alla
conoscenza, alla consapevolezza e al rifiuto di
ogni forma di negazionismo.
Rivivere la storia passata affinché la memoria
non possa andare persa!”. È questo quello
che emerge dalla dichiarazione commossa di
Tiberio De Chirico, uno dei sei studenti che ha
costituito la delegazione dell’ITSET “Tannoia”
di Ruvo, guidata dalla prof.ssa Isabella
Anzelmo, e che ha condiviso con altri 750
giovani pugliesi il viaggio in Polonia. Il
progetto del Treno della memoria, giunto alla
sua decima edizione, è organizzato
dall’associazione “Terra del fuoco” –
Mediterranea”
ed
è
sostenuto
dall’Assessorato alle Politiche Giovanili e alla
Cittadinanza Sociale della Regione Puglia.
32
L’iniziativa è stata quest’anno supportata
anche
dall’Assessorato alla Pubblica
Istruzione e Politiche Sociali del Comune di
Ruvo di Puglia. Particolarmente significativo il
sostegno e il contributo da parte di aziende
del territorio: ElCab SRL Ruvo di Puglia, Vitale
EdilRuvo, Di.A SRL Distribuzione automatica e
la TE.F Impianti Elettrici di Terlizzi, che hanno
creduto negli obiettivi educativi del progetto.
Un impegno sinergico, quindi, tra scuola,
istituzioni e mondo aziendale, che ha
prodotto un risultato straordinario: fare storia
nel modo più intenso e coinvolgente. Grande
la soddisfazione del Dirigente Scolastico,
Giovanni De Nicolo: “Grazie anche
all'impegno di molti docenti, particolarmente
sensibili alla tematica, quest’anno la nostra
scuola è riuscita a far partire il "Treno della
Memoria". Al ritorno i partecipanti hanno
raccontato la loro esperienza facendo
trasparire l'emozione oltre al valore formativo
della stessa.
Nell'occasione, ho espresso agli alunni
l'auspicio che dall'esperienza traggano valide
ispirazioni nell'immediato e nella loro vita
futura, per promuovere i valori della pace,
della solidarietà, dei diritti umani”.
Stando al racconto degli studenti, l’auspicio
del dirigente sembra già materializzarsi, nelle
parole commosse, ma lucide, dei ragazzi.
“Vorrei descrivere il mio viaggio con poche
parole: mai più! È con questo spirito che ho
affrontato il mio Treno della Memoria, in
terra polacca, io stesso mi sentivo un vagone
vivo di quel treno che idealmente viaggiava
su un unico binario emotivo.
L’ esperienza adesso fa parte della mia vita. Il
Treno della Memoria è stato un punto di
partenza da cui iniziare a pensare in modo
diverso, più consapevole e responsabile!”
afferma Vincenzo Adessi. Nel corso di sei
giorni ragazzi, docenti ed educatori hanno
elaborato
attraverso
le
visite,
le
rappresentazioni di attori teatrali e le
contestualizzazioni di docenti e ricercatori, il
clima che portò alla nascita del Nazismo e al
rapporto e alle responsabilità che l’Italia
fascista ebbe con questo regime. Di qui la
necessità di sostare, come prima tappa, alle
Risiere di San Sabba a Trieste.
Seconda tappa Cracovia, città fortemente
segnata dalla Shoah per l’enorme presenza di
ebrei, per le tracce del muro del ghetto che
richiamano quelle di un cimitero ebraico e
per la piazza delle 68 sedie, memoriale del
rastrellamento del ghetto. Qui per le strade e
nelle piazze sono stati messi in scena i
principali avvenimenti che portarono
all’avvento del Nazismo, la propaganda del
regime e l’adesione dei giovani al movimento.
È stato qui che i ragazzi hanno scoperto con i
loro occhi e ascoltato attraverso le voci dei
testimoni, riportate dagli attori, cosa è stato
l’Olocausto, e qual è la lezione di cittadinanza
che si può ricavare per il futuro. Così
ripercorre lo studente Alessandro Vino le
tappe salienti dell’esperienza. “Viaggio
perfettamente programmato: la simpatia e la
bravura degli educatori che non hanno fatto
pesare la durata dell’intero viaggio, la
competenza delle guide nello spiegare la
storia della popolazione ebraica a Cracovia,
specialmente nel ghetto ebraico e nella
famosa fabbrica di Schindler, luogo in cui più
di mille ebrei trovarono rifugio dalle minacce
naziste.
33
Inoltre è stata straordinaria l’interpretazione
degli attori nel raccontare il clima sociale degli
anni ‘30”. Stanchi per un viaggio di 2000 km,
gli studenti hanno poi affrontato la visita ai
campi di Auschwitz-Birkenau. Come ci confida
Margherita Mastandrea, “un indescrivibile
accavallarsi di emozioni, dalla più semplice
alla più complessa, dalla più scontata alla più
importante. I campi e la neve, la neve e gli
alberi, gli alberi e le bandiere, le bandiere e i
forni, i forni e lo zyclon B, lo zyclon B e le
gelide camerate…”. La mattina mentre
varcavamo i cancelli di accesso al campo di
Auschwitz, ci siamo sentiti parte di quella
realtà, non visitatori passivi. “Nessuno osava
parlare”, ricorda Sara Paparella, “sono stata
stravolta da emozioni forti e indescrivibili. Mi
bastava incrociare lo sguardo di ogni persona
che mi circondava per capire che non ero
sola, che le diverse emozioni erano provate
anche da tutti gli altri: tristezza, stupore,
incredulità, sgomento! Tutti ascoltavamo la
guida attraverso i nostri auricolari e, mentre
passavamo da un blocco all’altro del campo,
restavamo esterrefatti dalla montagna di
capelli, di occhiali, di valigie, di indumenti di
bambini, di protesi di ogni genere strappate
ai deportati. Le foto e le gigantografie,
presenti all’interno del museo, raccontano
come si viveva e, soprattutto, come si moriva
nel campo; un triste album che riporta le
immagini ritrovate da Lili Jacob, una
deportata che ritrovò le foto, scattate da una
guardia tedesca.
Passando per i diversi settori, abbiamo visto
come avveniva la sperimentazione su questi
uomini, donne e bambini.
I diversi reparti ospedalieri all’interno del
campo, in realtà, non curavano ma, tra
queste mura, medici e infermieri abusavano
di corpi indifesi. E poi le celle, le torture e il
terrore che ogni giorno si viveva sul “piazzale
dell’appello”, dove si controllavano le
presenze dei detenuti e le pressioni
psicologiche e fisiche subite a causa di
eventuali fughe. In realtà, nessuno riusciva a
fuggire: un doppio filo spinato segnava e
limitava ogni possibilità di uscita dal campo.
Ma la parte della giornata più intensa dal
punto di vista emotivo è stata nel pomeriggio
la visita a Birkenau, a tre km dal primo
campo. La desolazione e la distesa enorme di
baracche ci ha fatto capire che la “soluzione
finale” trovava qui la sua più concreta
attualizzazione. Vedere le baracche delle
detenute in quarantena, le latrine e i lavatoi
nei quali scorreva un’acqua putrida non ha
lasciato spazio ad altra immaginazione! Qui
tutto è ancora visibile: il binario che
conduceva i detenuti nel campo, le carrozze
in legno usate per il trasporto dei deportati,
completamente buie e senza prese d’aria, la
famosa banchina dove avveniva la prima
selezione tra uomini e donne e bambini, tra
abili e inabili. Lì in fondo al binario i resti delle
camere a gas fatte esplodere prima dell’arrivo
dei russi”.
“I binari? Sì, i binari. Binari per andare via,
fuggire, scappare a quell’orrore. Per
permettere ai bambini di volare, viaggiare,
essere curiosi della vita. Invece no, di qui non
si usciva vivi, annientati, strappati via da tutto
e tutti. Perché gli occhi hanno visto e taciuto?
Perché gli occhi gridavano disperatamente e
nessuno li ascoltava?”, continua Margherita.
34
Si è conclusa in fondo al binario la giornata di
studenti e docenti, sul Monumento in onore
delle vittime. Hanno spontaneamente
ripetuto ad alta voce il nome di una vittima,
segnato su un pezzo di stoffa mentre nel
museo guardavano i volti dei deportati nei
quadretti affissi sui muri del museo. Hanno
siglato il nostro impegno a “non dimenticare”
prima con la voce “Io ti ricordo”, poi con la
loro impronta digitale su un telo bianco e,
infine, accendendo un lumino e posandolo sui
binari. Mentre scendeva il buio le fiammelle
illuminavano quel binario d’ingresso senza
ritorno al campo. “Quello che mi fa più male dice Stella Falcone - è poter pensare che io
sono riuscita ad uscire dagli orribili campi di
Sterminio, mentre altri uomini, donne e
bambini non ne hanno avuto la possibilità ed
hanno sofferto fino alla loro morte.
Percorrendo i viali innevati, calava il silenzio
tombale, ma dentro di me sentivo le urla di
uomini e donne che avevano bisogno d’aiuto!
Le nostre fioche luci erano mosse da un vento
che accarezzava gli alberi e le bandiere in
fondo al monumento e la luna accompagnava
il nostro ritorno fuori dal campo tra un suolo
a tratti ghiacciato, a tratti fangoso.
Su tutto quello che abbiamo visto, provato e
tentato di riportare domina una frase
presente in uno dei primi blocchi del campo
“The one who does not remember history is
bound to live through it again” (G.
Santayana). Una condanna che pesa sulla
storia della nostra Europa, ma allo stesso
tempo un monito perché non accada mai più,
affinché la Memoria apra uno squarcio
profondo nel buio dell’Oblio”.
35
Angela la Fortezza, Gaetano Chiapparino, Alessia Paparella 2A
I giorni 16/17/18 aprile 2015 noi classi
seconde abbiamo avuto la fortuna di
partecipare al meeting della pace, nonché
centenario della Grande Guerra, svoltosi
ad Udine. Per meeting di pace si intende
un incontro nazionale tra alcune scuole
italiane aderenti al progetto, nell’ambito
del quale si è discusso dell’importanza
della pace. Il meeting è durato due giorni:
il primo giorno abbiamo partecipato ad un
laboratorio sulla pace, analizzando e
discutendo i lavori che ciascuna scuola ha
portato e dopo abbiamo partecipato ad
una marcia che inneggiava alla pace; il
secondo giorno abbiamo preso parte ad
una escursione sul monte Sabotino, sul
quale abbiamo visitato le trincee.
A esser sinceri non pensavamo che questo
strano viaggio d’istruzione ci avrebbe
coinvolto più di tanto, ovviamente
sbagliavamo.
Tralasciando il laboratorio che è stato sì
interessante, ma forse fin troppo
dettagliato, è stato tutto molto avvincente
dal primo all’ultimo momento, in
particolare la visita alle trincee.
Indescrivibile da molti punti di vista. Esser
lì, in quel momento e con le condizioni del
tempo a nostro sfavore, ci ha fatto
provare solo un centesimo di ciò che
potrebbero aver provato i nostri eroi che
combattevano su quel fronte. Mentre per
quanto riguarda la marcia, sarà stata un
po’ faticosa, ma tornando a casa i nostri
parenti ci hanno lodato per averci visti in
tv perciò siamo certi di aver compiuto un
gesto più che significativo, siamo certi che
attraverso quella manifestazione abbiamo
trasmesso un messaggio chiaro e tondo
che coincide con l’hashtag lanciato dagli
organizzatori del meeting: “Qui si fa la
pace. Qui si fa la storia.”
Questa è stata senz’altro una grande
lezione di pace, di storia e di cittadinanza
europea, o comunque una grande
esperienza utile a capire e vivere da
protagonisti il nostro tempo.
36
Prof.ssa Maria G. Murolo
La sorte ha deciso che dovessimo
partecipare al Meeting di pace nelle
trincee della Grande Guerra nelle
peggiori condizioni atmosferiche. Pioggia,
vento e gelo ci hanno accolto a Udine e
accompagnato nelle trincee senza mai
lasciarci per un attimo. Con questi
compagni di strada non è stato affatto
facile camminare assieme. Ma ci siamo
riusciti. Entusiasmante la condivisione di
tutti i nostri lavori nei laboratori, la
marcia sotto una pioggia battente e
l’assemblea a conclusione del percorso,
tra gruppi musicali che suonavano, balli e
slogan di promesse di grande passione
civile. Ma il momento più entusiasmante
è stato il percorso nelle trincee infangate
del monte Sabotino, che resterà a lungo
nella nostra memoria. A cento anni dalla
prima guerra mondiale siamo stati
protagonisti e testimoni di un evento
unico. Infatti, laddove sono stati
ammazzati centinaia di migliaia di giovani,
noi abbiamo portato la vita, la fiducia e la
speranza. Mentre in tante parti del
mondo dominano la guerra, la violenza e
l’indifferenza, l’I.T.S.E.T. Tannoia ha dato
a tutti, insieme a tante altre scuole
d’Italia di ogni ordine e grado, una grande
lezione di pace, di responsabilità e di
impegno. Siamo orgogliosi di aver
partecipato!
Riguardando le foto, i selfie, le
pubblicazioni a riguardo da parte del
Comitato promotore Meeting di Pace nel
sito: “La mia scuola per la pace” ad un
appello ideale potremmo rispondere
“Presente!”.
37
Pierluigi Cantatore, Nicola Ciardi 2C;
Arianna Longone, Alessio Eremito, Gino Urciuoli 2D
Quest’anno, tutte le classi seconde hanno
intrapreso un percorso di pace sia per
ricordare il centenario della "Grande
Guerra" sia con attività organizzate a scuola
con i nostri docenti, sia con la
partecipazioni ad eventi organizzati sul
nostro territorio per dire no alla guerra.
Noi alunni di 2D e 2C abbiamo iniziato tale
percorso con la partecipazione alla mostra
multimediale
con
simulazioni,
“Senzatomica”, presso il Palazzo Murat, a
Bari, nel mese di novembre. È proprio qui
che abbiamo capito che il futuro è
determinato
dalla
profondità
e
dall’intensità dell’impegno preso dalla
persone che vivono nel presente.
Il
disarmo nucleare parte da un disarmo
interiore. Le testimonianze e la visione degli
effetti della bomba atomica in Giappone
(argomento affrontato nella mostra) hanno
scosso tutti i presenti e ci ha permesso di
cogliere ciò che non vogliamo per il futuro,
ovvero l’utilizzo delle armi nucleari, la
violenza e le guerre. Di questo si è discusso
(dal 27 aprile fino al 22 maggio 2015) nella
sede delle Nazioni Unite a New York, in
occasione della conferenza di revisione che
ogni 5 anni è chiamata a esprimersi sugli
accordi del trattato nato nel 1995.
L’obiettivo, già venti anni fa, era di arrivare
all’eliminazione delle armi nucleari entro il
2000 ma, ad oggi, la cosa è ancora in
divenire. Tra i grandi pacifisti citati alla
mostra, ci ha colpito una frase di Gandhi, il
quale diceva: “Dobbiamo diventare il
cambiamento che vogliamo vedere nel
mondo”. Proprio con occhi da sognatori,
come ci ha definiti la guida, abbiamo
continuato il nostro percorso durante
l’anno scolastico con una serie di progetti
che, tra l'altro, hanno reso ancora più
emozionante l’evento tanto atteso: il
viaggio d’istruzione ad Udine. Nonostante il
lungo viaggio, l'energia positiva non è
venuta meno, e abbiamo potuto affrontare
la conferenza di pace del 17 aprile in cui la
nostra scuola (seguita dalle prof.sse De
Bartolo, Dileo, Iannelli, Murolo, Papapicco)
ha presentato il proprio percorso-progetto
“Dalla guerra alla pace”.
Sfidando la pioggia, il freddo e il vento
abbiamo osservato dal vivo le trincee,
luoghi scavati con picconi e dinamite,
alloggi di una vita statica in cui, per tre
lunghi anni, i soldati venivano svegliati da
pallottole sparate nelle gambe o da un
colpo di cannone che segnava l’inizio di un
nuovo giorno, forse l’ultimo. Tutte queste
emozioni possono essere ben spiegate da
una citazione di Tiziano Terzani: “allora io
dico: fermiamoci, riflettiamo, prendiamo
coscienza. Facciamo ognuno qualcosa”.
Questo viaggio è stato l’inizio di un
percorso di pace che, con beneficio di tutti,
cercheremo di portare avanti e gestire
grazie ad esperienze come questa,
traducendo in fatti l’idea che “le guerre non
sono cose da fare, né per terra, né per
mare, né di giorno, né di notte" (G.Rodari).
38
Studenti di Ruvo di Puglia e Corato
Studiare a Londra per quattro settimane:
nessuno di noi studenti del quarto e del
quinto anno dell'ITSET Tannoia di Ruvo e
Corato avrebbe mai pensato di realizzare un
sogno così grande. Grazie all'opportunità
offertaci dal progetto PON C1 “Going further
with English”, finalizzato all’acquisizione della
certificazione Cambridge FCE- level B1 e B2,
quindici ragazzi, legati dall’ansia e
dall’emozione del loro primo viaggio
all'estero, sono partiti alla scoperta di una
realtà finora conosciuta solo sui libri o
virtualmente sulla rete. Dopo il viaggio in
aereo, l'Istituto “Skola Newland College” è
stato la nostra nuova residenza/scuola per
quattro settimane. Trascorso il primo giorno
liberamente, sono iniziate le lezioni e le visite
alla scoperta dello “English Way of Life”.
Dopo aver fatto conoscenza con lo staff del
college, con i nostri insegnanti, David e Seval,
e con altri studenti che hanno avuto la nostra
stessa opportunità di studiare all'estero,
abbiamo iniziato a integrarci nella comunità
londinese, a scoprire usi e costumi locali e a
migliorare l'uso della lingua inglese. Siamo
stati affascinati dall’imponente Big Ben, dal
maestoso Windsor Castle, da Buckingham
Palace e dall’incantevole Tower Bridge verso i
quali è impossibile restare indifferenti. E che
dire del London Eye? Il Grande Occhio che
veglia sulla capitale, offrendo, a chiunque
desideri lasciarsi portare in cielo sulla
gigantesca ruota, un panorama mozzafiato?
Suggestivo anche il “salto nel tempo” a
Greenwich, dove una semplice linea ha il
potere di farti sentire sospeso tra passato,
presente e futuro. Impossibile non farsi
emozionare dal British Museum, Science
Museum, Natural Museum e History
Museum, nei quali abbiamo avuto possibilità
di fotografare monumenti e opere d’arte. È
d’obbligo anche ricordare le incantevoli città
di Brighton e Oxford, visitate durante i
weekend, con la loro antica storia e le loro
tradizioni. Non sono mancate tuttavia le
lunghe passeggiate pomeridiane nei boschi
del College che ci hanno permesso di
staccarci dai ritmi frenetici della metropoli
londinese, divenuta a volte impegnativa
anche per noi. Purtroppo quattro settimane a
Londra sono volate, così siamo tornati a casa
dopo un’esperienza che ci ha arricchiti da
tanti punti di vista e con tanta nostalgia di
questa nazione così moderna e nello stesso
tempo ancorata alla propria storia secolare.
Un ringraziamento speciale va alle
professoresse Lucia Arcadite, Rosa Balducci,
Vincenza Lorusso ed Emilia Papapicco, che ci
hanno accompagnato in questa favolosa
esperienza, nonché alla nostra istituzione
scolastica per la preziosa opportunità offerta
ai suoi alunni.
39
SCIENZE
Raffaele Dardanelli, Luca Troiano 4C
Quante volte ci capita di ascoltare musica
e sentirci meglio subito dopo?
Ciò che accade non è un’illusione, ma
qualcosa di scientificamente dimostrato:
la musica può essere uno strumento di
relax per tutto il corpo sia da un punto di
vista
mentale
che
fisico.
Essa infatti può rasserenare il nostro
animo, risvegliare la nostra forza di
volontà,
stimolare
la
nostra
concentrazione, migliorare le funzioni
intellettuali e consentire meditazioni più
profonde stimolando la nostra creatività.
La musica può essere utilizzata anche
all’interno di alcune terapie, tra le quali la
più conosciuta è la Musicoterapia (che
sfrutta il suono e i campi energetici per
migliorare le condizioni dell’organismo).
La fusione tra il ritmo, il tono, la melodia,
l’armonia e il timbro e la differente
combinazione tra questi cinque elementi
provoca un’influenza diretta nel corpo e
nel pensiero umano.
È dimostrato, ad esempio, come ascoltare
musica
classica
possa
ridurre
considerevolmente l’appetito, mentre
ascoltare musica allegra e divertente
stimoli la fame nell’organismo. È per
questo motivo che nei fast-food sarà
molto più facile ascoltare musica
“dinamica”.
In conclusione possiamo affermare che al
di là dei gusti, diversi per ognuno di noi,
esiste un altro mondo legato alla musica,
forse
ancora
più
affascinante,
indubbiamente meno conosciuto, ma allo
stesso modo importante e curioso che
sarebbe bene conoscere al fine di
coniugare le nostre passioni musicali con i
nostri bisogni psicofisici.
40
Eugenia Panessa 2B
Attualmente la popolazione sta vivendo una
forte crisi che incide specialmente sui
giovani. Il vero problema è che tutto ciò sta
portando a perdere la linfa vitale dell’uomo:
l’ottimismo!
Nonostante tutto ciò che accade, sappiamo
che questo è il nostro pianeta, con tutti i
suoi ostacoli e dobbiamo viverci, altrimenti
in che direzione andremo?
In primo luogo bisognerebbe coltivare il
pensare positivo, come dimostrato da un
esperimento condotto dalla psicologa
californiana Shelley Taylor su studenti
prossimi agli esami universitari. Al primo
gruppo di studenti è stato detto di pensare
in positivo (per una settimana) per cinque
minuti al giorno, visualizzando il momento in
cui avrebbero superato gli esami con il
massimo dei voti, mentre ad un altro gruppo
è stato chiesto di pensare in negativo circa la
loro preparazione all’esame. È risultato che a
cavarsela meglio è stato il primo gruppo,
nonostante la preparazione fosse in sé
praticamente la medesima.
La National Academy of Sciences ha dedotto
da una sua ricerca che l’ottimismo innesca
inconsciamente l’attivazione di una zona del
lobo centrale che libera un ormone quale
l’adrenalina; attraverso il continuo esercizio
si produce un effetto di assuefazione e si
diventa più disinibiti e determinati.
Un dato del tutto confortante che dovrebbe
far pensare a quanto il futuro dipenda dai
giovani e che solo essendo ottimisti essi
possono puntare in alto, cambiando il modo
di porsi di fronte alla realtà.
Si potrebbe credere che la felicità e
l’ottimismo siano momenti illusori, brevi
pause tra uno schiaffo e l’altro della vita.
Molti, purtroppo, la pensano davvero così;
tuttavia affermare che l’ottimismo è illusorio
porterebbe a considerare tali tutte le altre
emozioni come l’amore, la gioia, la serenità!
Essere pessimisti è solo una perdita di
tempo e non produce nulla di buono!
La paura del futuro è fondata solo fino a
quando ci porta a dare del nostro meglio e a
superare le sfide di ogni giorno, ma non lo è
mai se diventa di ostacolo alla nostra
realizzazione.
Se è il domani che ti spaventa fatti forza
pensando che oggi è il giorno che ti
spaventava ieri.
Va’ là fuori e credi in te stesso, credi nei tuoi
sogni perché potrebbero cambiarti la vita,
ispirati a chi ogni giorno ha mille problemi
eppure sorride ancora, è ancora ottimista,
punta in alto perché i sogni non sono
illusioni.
Continua a credere, anche se intorno è
cenere.
41
SPETTACOLI
Nell’ambito dell’ultima stagione teatrale
del Curci di Barletta, il Teatro Pubblico
Pugliese ha finalmente riaccolto nella
nostra regione, dopo anni di assenza,
Filippo Timi, con il suo ultimo lavoro,
“Favola”. Titolo rassicurante direte voi. Ma
no, niente da fare, c’è subito il sottotitolo a
ricordarci che le favole sono fatte di
difficoltà e terrore, e che il lieto fine è
un’invenzione tutta moderna: “C’era una
volta una bambina, e dico c’era perché ora
non c’è più”. Filippo Timi è uno dei più
originali, esuberanti, poliedrici attori del
nostro panorama attuale. 41 anni, scrittore
(tre libri finora pubblicati) oltre che attore,
doppiatore, regista, autore dei suoi
spettacoli teatrali, e anche pittore. Nel
leggere i suoi libri, molto spesso
autobiografici, si viene a conoscenza delle
difficoltà che hanno accompagnato la sua
vita, e non si può non ammirare la sua
incredibile forza, nel fare di ogni scherzo
che la vita gli ha riservato un punto di forza,
una qualità, dando sfogo attraverso ogni
forma di espressione artistica al suo
travagliato, poliedrico, incontenibile, a
volte oscuro, mondo interiore, andando
sempre oltre gli schemi e oltre il già visto,
fino alla trasgressione. La parola “handicap”
non esiste nel suo vocabolario.
42
Ogni suo lavoro è espressione di un
bisogno, nasce da una ferita, che tutti
abbiamo. Oggi, con una incredibile dose di
autoironia, non perde occasione di
scherzare sui suoi problemi di vista e sulla
balbuzie, che a suo dire è il motivo per cui
le donne lo ritengono un sex symbol e lo
amano spinte da istinto quasi materno
(“Pensano: salviamolo!”); ma – niente
paura – appena messo piede su un set
cinematografico
o
sulle
assi
del
palcoscenico, la balbuzie lo abbandona,
Filippo diventa il suo personaggio, Don
Giovanni, Amleto, o la stupenda
protagonista di “Favola”, Mrs. Fairytale.
Ebbene sì. Perché dopo l’interpretazione di
Benito Mussolini nel film “Vincere” di
Marco Bellocchio, Timi dichiara di aver
sentito l’assoluto bisogno di allontanarsi da
quell’approfondimento del maschile e della
virilità, ed entrare in contatto con quanto di
più lontano ci potesse essere: la donna, il
mondo femminile. Filippo si fa donna,
indossa i tacchi e comincia a scrivere il
copione di Favola. Lo spettacolo è
ambientato in una periferia americana negli
anni ’50. Sullo sfondo della studiatissima,
perfetta scenografia, tra proiezioni di spot
animati di quei tempi, vestite in stupendi
abiti (costumista Fabio Zambernardi), si
muovono le due protagoniste, Mrs.
Fairytale (Filippo Timi) e Mrs. Emerald
(Lucia Mascino).
In un continuo crescendo di ritmo, e anche
di comicità, nei dialoghi tra le due amiche si
aprono dei momenti di sospensione, in cui
per forza di cose dobbiamo abbandonare il
sorriso perché veniamo a conoscenza della
vita
delle
due
donne:
Emerald,
continuamente tradita dal marito, e senza
la possibilità di ribellarsi. Fairytale non vive
meglio con il suo, di marito, che è violento,
la picchia, a volte anche pesantemente. Si
rifugia nel suo mondo, fantastica avventure
amorose con il vicino di casa insegnante di
mambo (Luca Pignagnoli), ma non può
abbandonare suo marito, soprattutto
adesso che è incinta. Un tema quanto mai
attuale, quello della violenza (fisica e
psicologica) sulle donne. Poco a poco, i
personaggi e le vicende si evolvono verso la
follia e l’astrazione, l’esagerazione e la
moltiplicazione esponenziale delle battute
e della comicità.
Perché il mondo teatrale di Timi è sempre
esagerato, è sempre troppo, ma non
“stroppia”,
perché
conserva
miracolosamente equilibrio e coerenza
(“Più non è meglio, ma non posso farne a
meno!” dice di sé Timi).
E le due donne trovano la forza di ribellarsi,
insieme. Fairytale ed Emerald diventano
personaggi simbolo di un femminismo in
chiave contemporanea, e portano un
messaggio forte. Se le donne decidono di
reagire, per l’uomo non c’è scampo.
Si esce da teatro cariche, noi donne, grazie
alle adrenaliniche interpretazioni dei tre
attori, ma anche consapevoli di aver
partecipato ad un “rito” teatrale con un
forte contenuto, uno spettacolo femminile
e schierato a fianco delle donne. La
performance di Filippo Timi nei panni di
Fairytale è stupefacente: non si fa, mai
neanche per un attimo, parodia. Non
aspettatevi questo.
Mrs. Fairytale è femminilità esplosiva,
perfino seducente, ma anche simbolo di
ogni essere umano che ha in sé l’insanabile
conflitto tra femminile e maschile. Alla fine
dello spettacolo, Timi si ferma a parlare col
pubblico, ed in quel momento, la morale
della Favola è chiara nelle sue parole di
chiusura e saluto: “Le donne sono la
maggioranza più discriminata al mondo. Se
solo si ribellassero….. Donne reagite!” .
43
Presentato alla scorsa Mostra del Cinema di
Venezia, molto discusso una volta uscito sugli
schermi, “I nostri ragazzi” di Ivano De Matteo
- tratto dal romanzo “La Cena” di Herman
Koch - è un film che ci pone di fronte ad una
profonda riflessione sulla condizione e i
“sentimenti” degli adolescenti, sulla posizione
e il significato di essere genitore.
Due nuclei famigliari benestanti. Due fratelli,
profondamente diversi nel carattere, si
incontrano periodicamente per cena con le
proprie mogli. Massimo (Alessandro
Gassman) è un noto avvocato, Paolo (Luigi Lo
Cascio) un pediatra. I figli delle due coppie, i
cugini Benedetta (Rosabell Laurenti Sellers) e
Michele (Jacopo Olmo Antinori), frequentano
le stesse amicizie. Una sera, rientrando dopo
una festa a casa di amici, si scatena la
violenza, incontrollata, senza motivo: i due
ragazzi aggrediscono una mendicante per
strada; la donna, finita in coma, morirà
qualche ora dopo. In tv si comincia a parlare
del caso, e dai video diffusi, a poco a poco, i
genitori acquisiscono la sicurezza che gli
autori del fatto sono i propri figli. Cosa fare?
Il nucleo centrale del film parte proprio da
questa domanda; ma ancor più da quelle che
lo spettatore si vede costretto a porsi. Perché
il film non dà giudizi né risposte, ma ci pone di
fronte ai fatti, nudi, crudi e spietati, in modo
tale da innescare la riflessione, e il quesito:
cosa avrei fatto io genitore se mi fosse
capitata una cosa del genere?
Ciò che sconvolge gli assetti delle famiglie
viene dall’interno dei loro stessi nuclei, allo
stesso modo in cui il gesto di violenza non è
“altro da noi”, non è “straniero”, non viene da
lontano ma dall’interno della nostra società, a
scuoterne tranquillità e sicurezza.
La pellicola mette in scena una realtà
complessa, ricca di sfumature, certo, ma che
va affrontata: mette in scena i nostri ragazzi,
quelli del 2015, con le loro difficoltà, chiusure,
incapacità di comunicare - pur immersi nel
benessere e figli dell’era dei social networks ma soprattutto minacciati da una
sconcertante crisi di valori e di sentimenti,
che li porta a perdere l’umanità. Amoralità, su
un substrato di pregiudizi e razzismo, fanno
da sfondo al gesto compiuto dai due
giovanissimi ragazzi. Il tutto poi supportato
dalla sprezzante sicurezza che “il babbo
avvocato saprà proteggermi adesso che ho
sbagliato”. Il regista ci chiede di guardare in
faccia questa realtà, allo stesso modo in cui la
affrontano i genitori nel film. Padri e madri
che si trovano a fare i conti con le loro
possibili colpe e sanno che il loro gesto deve
essere quello definitivo. Si può continuare a
coprire, e difendere ciecamente, all’infinito?
O aprire gli occhi sui propri figli, e finalmente
farli aprire anche a loro sulle responsabilità da
assumersi?
44
Liberamente tratto dal romanzo “Stupido”
di Andrea Cotti, il film è del 2009.
La storia si ambienta a Taranto, nel
quartiere Paolo VI, zona sud della città,
caratterizzato da strade dissestate, case
prefabbricate, negozi abusivi e i fumi tossici
dell’ILVA, il più grande stabilimento
siderurgico d’Europa. Il protagonista è
Tiziano, un ragazzo come tanti del
quartiere: a scuola ci va poco e male, ha
una famiglia piena di problemi, fa lavoretti
per il boss locale Tonio e desidera soltanto
di scappare via insieme alla sua fidanzatina.
Tiziano si mette nei guai, ma grazie al suo
piccolo mondo di affetti, anche se difficili e
complessi, riuscirà a trovare una via di
salvezza. "Marpiccolo" è una storia di
dolore e di amore, di criminalità e di
ingiustizie sociali di una periferia degradata
di una città italiana. Interpreti poco noti nel
2009, ma oggi conosciuti perché rivisti in
“Braccialetti rossi” e nel film tratto dal
romanzo di Gianrico Carofiglio "Il passato è
una terra straniera". Il dialetto è usato
quasi come un ritorno alle antiche
tradizioni del neorealismo, vicino al
docufilm e allo stile di "Gomorra". La città
pugliese ha visto in pochi anni il sogno
industriale tradursi in un incubo di malattia
e di morte.
Tiziano, giovane protagonista di questo
moderno bildungsroman ha sedici anni, è
intelligente, potrebbe andare bene a scuola
e la sua insegnante di lettere lo intuisce
regalandogli quel "Cuore di tenebra" di
Conrad che potrebbe voler dire molto, ma
lui non comprende: è preso dalla voglia di
affermarsi. Innamorato della sua sorellina
da proteggere, legato a una madre
giovanissima e sola e preso da Stella, una
che abita dove l'aria è buona e le case sono
luminose, non come dove abita lui con
l'aria pesante e quella strana polvere che si
posa dappertutto. Il riformatorio gli porterà
la giusta illuminazione, la famiglia invece
prende un'altra strada.
Il regista percorre la strada verso gli inferi
di Tiziano con crudo realismo: il ragazzo
sceglie liberamente il suo cammino, fino
alla scelta di una nuova vita. Il finale è
aperto: l'incubo di un tragico epilogo è
sostituito da un futuro diverso. Non è il
solito lieto fine ma uno spiraglio: lottare si
può, si deve. E purtroppo la speranza che ci
lascia intravedere è quella di andare via,
emigrare,
abbandonare
un
corpo
metastasizzato al proprio destino. Una
fessura sottile, ma profondissima, da cui
scorgere una realtà sin troppo reale,
purtroppo. Commovente la delineazione di
piccoli (e soli) eroi moderni, quali la madre,
il direttore del carcere, l'insegnante. Un
film piccolo, ma fortissimo.
Da vedere o rivedere assolutamente.
45
ATTUALITÀ
Prof. Gioacchino De Manna
L’Italicum è legge ed entrerà in vigore da
luglio 2016, nelle more dell’approvazione
della riforma del Senato e di altre
modifiche costituzionali.
La nuova legge elettorale per l’elezione
della Camera dei deputati è stata
approvata da Montecitorio con 334 sì, 61
no e 4 astenuti anche se i voti favorevoli
sono meno di quelli preventivati dal
governo. Tutte le forze di opposizione (ad
eccezione degli ex M5S di Alternativa
libera e di alcuni singoli deputati) hanno
lasciato l’Aula al momento del voto finale
avvenuto a scrutinio segreto dopo la
richiesta di Forza Italia, Lega e Fratelli
d’Italia.
In sintesi, essa configura un sistema
elettorale di tipo proporzionale, con
premio di maggioranza (55% dei seggi,
pari a 340 deputati, al partito che
consegue almeno il 40% dei voti validi
espressi), soglie di sbarramento (3%),
eventuale doppio turno (al quale si
ricorrerà nell’ipotesi in cui nessuna lista
otterrà il 40% dei voti al primo turno),
liste bloccate limitatamente ai capi lista.
A parere di chi scrive, i rilievi della
Consulta al "Porcellum" si applicano tali e
quali all‘Italicum. Infatti, la Corte
Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità
costituzionale
delle
norme
che
prevedono l'assegnazione di un premio di
maggioranza alla lista o alla coalizione di
liste che abbiano ottenuto il maggior
numero di voti e che non abbiano
conseguito, almeno alla Camera, 340
seggi e, al Senato, il 55% dei seggi
assegnati a ciascuna Regione.
46
La Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità
costituzionale
delle
norme
che
stabiliscono la presentazione di liste
elettorali 'bloccate', nella parte in cui non
consentono all'elettore di esprimere una
preferenza.
I partiti di governo sostengono che che il
sistema elettorale introdotto dall’italicum
dovrebbe favorire l’aggregazione delle
forze politiche e garantire la stabilità del
governo.
Il politologo Giovanni Sartori, invece, non
la pensa così in quanto il Mattarellum (il
sistema elettorale in vigore in Italia dal
1993 al 2005, che prevedeva l’elezione di
deputati e senatori - questi ultimi su base
regionale - per il 75% con sistema
maggioritario e il restante 25% su base
proporzionale)
ha
prodotto
una
quarantina di partiti.
Egli inoltre aggiunge:
“Quanto al premio di maggioranza che
scandalizza tanti, ricordo che quando la
Dc provò ad inserirlo nel 1953 su impulso
del presidente del Senato, Meuccio Ruini,
le sinistre gridarono alla legge truffa. Ma
in quel caso il premio scattava per un
partito che aveva già avuto il 50% più uno
dei voti! Dunque nessuna truffa:
ingrandiva la maggioranza che però
aveva già dimostrato nei numeri di essere
tale. Ora invece si stanno inventando
sistemi che trasformano la minoranza in
una maggioranza: si ripete, seppur in
maniera più blanda lo concedo, la truffa
di prima".
Il costituzionalista Michele Ainis, in un
articolo comparso recentemente sul
Corriere della Sera, osserva che:
“La rappresentatività del Parlamento è il
punto su cui batte e ribatte la Consulta,
nella sentenza con cui ha arrostito il
Porcellum. Significa che i congegni
elettorali non possono causare effetti
troppo distorsivi rispetto alle scelte dei
votanti, come accadeva con un premio di
maggioranza senza soglia. E il premio
brevettato da Renzi? 18%, mica poco:
fanno quattro volte i seggi della Lega,
recati in dono a chi vince la lotteria delle
elezioni. Crepi l’avarizia, ma in questo
caso rischia di crepare pure la giustizia”.
Il giornalista Marco Travaglio sul Fatto
Quotidiano osserva:
“Cosa c'è che non va? Le liste bloccate
sopravvivono intatte al Porcellum,
sottraendo la scelta agli elettori e
lasciando ai segretari di partito il potere
di vita o di morte sugli eletti, anzi sui
nominati, perpetuando le nomenklature
dei fedelissimi e dei mediocri a scapito
degli indipendenti e dei migliori.”
Insomma, una legge che stabilisce le
“regole del gioco democratico” avrebbe
dovuto tenere in debito conto le
proposte e le osservazioni critiche
provenienti dalle forze politiche di
opposizione (ivi compresa l’opposizione
interna
al
PD)
in
punto
a
rappresentatività e possibilità di scelta
dei candidati, e non essere approvata a
colpi di “fiducia”, all’insegna della
“democratura”, l’infausto regime politico
inaugurato dall’era renziana fondato sulla
dittatura della maggioranza.
47
Uno dei principali problemi che affligge la
società di oggi è la dipendenza da giochi,
fenomeno sempre più diffuso specialmente
tra i più giovani.
Tra le categorie di giochi più pericolose
certamente troviamo quella “online” nella
quale si annoverano tutti quei game che,
tramite connessione ad una rete Internet,
permettono di affiancarsi ad altri player per
il raggiungimento di obiettivi comuni. Uno di
quelli che crea più assuefazione è League of
Legend, gioco di ruolo tra i più conosciuti e
scaricati al mondo. La dipendenza da questo
gioco è balzata in maniera preponderante
agli onori della cronaca lo scorso anno, con
l’incredibile vicenda occorsa al ventiduenne
Chung.
Il giovane coreano passava intere giornate e
nottate chiuso in un internet cafè giocando
online proprio a L.o.L.. Controllava suo figlio
solo ogni due o tre giorni, dandogli da
mangiare di rado per poi tornare sullo
schermo; il piccolo aveva solo due anni e
sicuramente necessitava di più attenzioni di
quelle che il padre gli dava, preso com’era
dalla sua patologica dipendenza dal game.
A distanza di alcuni giorni Chung trovò suo
figlio senza vita; probabilmente il piccolo è
morto di fame in uno degli interminabili
periodi in cui il padre era via. Ma la cosa più
sconvolgente della vicenda è che Chung,
completamente rovinato dal gioco, vede suo
figlio come un intralcio e si disfa del piccolo
corpo in un sacchetto dell'immondizia;
l’arresto, fortunatamente, avverrà poco
tempo dopo.
Aldilà del fatto di cronaca in sé è chiaro
come la dipendenza patologica dai giochi
possa stravolgere la vita non solo di chi ne è
colpito ma anche delle persone care.
Dunque è giusto non oltrepassare i limiti per
evitare che il gioco diventi la più importante
occupazione giornaliera, trasformandosi in
una vera e propria dipendenza nociva.
48
Prof.ssa Giacoma Stasi
La “buona scuola”: è diventato un
ritornello, un leit motiv tanto da convincere
famiglie, studenti e forse anche docenti che
è necessario andare verso un modello di
scuola che trasforma e rinnova l’esistente,
che sconvolge l’ordine vigente per costruire
qualcosa che sembra chiara solo a chi l’ha
proposta. E giù la valanga di contestazioni
nel timore che quello che verrà possa
mettere in serio pericolo quello che, a
fatica, si è costruito oppure, in un certo
senso, già distrutto.
Cominciamo dall’aggettivo “buona”: evoca
un’idea di positività, di equilibrio, di
successo, di sapori antichi da riscoprire e
rivalutare, come se, per contrasto, la scuola
che oggi facciamo, che è il nostro mondo,
per la quale spendiamo tutte le nostre
energie e tanto altro di più, sia una cattiva
scuola. Sembra di ricordare il tempo in cui,
scolari delle scuole elementari, subivamo la
selezione del capoclasse di turno a cui la
maestra,
modello
integerrimo
di
professionalità e custode delle nostre vite,
affidava il compito di sorvegliare e di
segnalare sulla lavagna, separandoli, i buoni
e i cattivi.
“Buona”... ma davvero vogliamo definire
“buona” la scuola che non c’è?
Ma allora cosa facciamo ogni giorno con i
nostri studenti? Una “cattiva” scuola?
Allora è inutile il tentativo di convergere
verso un sistema scuola efficace ed
efficiente come da anni ci viene ripetuto, è
inutile
trasmettere
conoscenze
e
competenze attraverso le più disparate
attività curricolari ed extra curriculari?
Perché se questa non è “buona” scuola e
ne dobbiamo inventare un’altra, allora vuol
dire che perdiamo il nostro tempo e siamo
dei “buoni” a nulla.
49
Nell’immaginario collettivo ormai serpeggia
da anni questa convinzione, sostenuta dalla
logica aziendale della produttività, della
performance, dei migliori risultati raggiunti,
e, ahimè, dalla perdita di credibilità e di
valore della figura dell’insegnante che
sembra debba assecondare e non
contrastare i capricci degli studenti e la
volontà delle famiglie; i giudizi del docente
invece
che
insindacabili
diventano
discutibili ed egli sembra non coinvolgersi
più, non imporsi e rinunciare al compito di
educatore. Così è stato trasformato il
profilo dell’insegnante, declassato il suo
ruolo, e qualcuno si è forse davvero
convinto che, in fondo, gli va bene così.
La scuola non è questo, nonostante altre
categorie di lavoratori (moltissime)
mettano continuamente sotto accusa il
numero di ore (ridotte) di lavoro
giornaliere e le (famigerate) ferie di due o
tre mesi. Si ripete sempre la stessa critica e
l’opinione pubblica si imbeve di false verità.
La scuola non è questo: la scuola è dialogo,
è confronto, la scuola è lo spazio in cui il
sapere trasmesso, ma non solo, anche il
saper essere, produce sempre dei risultati,
anche se talvolta a lungo, lunghissimo
termine, e questi risultati non possono mai
essere cattivi, se si è lavorato sodo e con
responsabilità.
La riforma renziana della “Buona Scuola”
pensa di affidare al Dirigente Scolastico il
compito di scegliere, di selezionare, di
nominare, in una parola di governare e di
risolvere la questione dei finanziamenti con
il contributo dei privati, i quali,
naturalmente, finanzieranno alcune scuole
e non altre, accentuando divari e disagi,
producendo
in
ultima
analisi
diseguaglianze.
Ma questa non è più la scuola del
confronto,
della
democrazia
e
dell’uguaglianza come afferma giustamente
il prof. Stefano Rodotà in un’intervista
rilasciata nel corso della trasmissione
televisiva Di Martedì: “La scuola è un luogo
dove l’uguaglianza si impara senza bisogno
che qualcuno la insegni”. La scuola è un
“corpo” (come afferma sempre Rodotà)
unico, dove insegnanti, studenti, famiglie si
confrontano e avviano insieme processi di
collaborazione al fine di migliorare e
adeguare le azioni sinergiche di
insegnamento e apprendimento. La scuola
è, per come la vedo io e per come la vivo,
una dimensione in cui esprimersi e
trasmettere quello che si sa, ma anche
quello che si è, dove non può esistere
fissità di programmi e di tempi, dove una
umanità in miniatura si sorride, si delude e
si sostiene. È uno spazio di lavoro in cui
contano le persone e in cui si incrociano
stili e stimoli, per l’insegnamento e per
l’apprendimento, in cui nascono idee e si
realizzano progetti, in cui si raggiungono
obiettivi condivisi, in cui non esiste il
successo di uno ma del collettivo, uno
spazio di crescita umana e professionale,
uno spazio di partecipazione, di
appartenenza, di cittadinanza. È uno spazio
felice e pertanto idealmente “buono”, se ce
ne convinciamo, anche se non sempre tutto
è perfettamente funzionante, anzi molte
cose vanno ripensate e adeguate ai nuovi
bisogni. Da tutto ciò traiamo la forza della
scuola.
In questo paese, dove ormai i valori
fondanti
vanno
progressivamente
sgretolandosi, dove i modelli sociali di
riferimento quali la famiglia o le
associazioni o le parrocchie soffrono
momenti di profonda crisi, la scuola è
rimasta l’ultimo baluardo di difesa, l’unico
riferimento per ragazzi e ragazze a cui
abbiamo il dovere morale e civico di
preparare un futuro.
50
Molto deve cambiare nel sistema, certo, ci
aspettiamo adeguamenti di stipendio,
valorizzazione del merito, ma molto deve
cambiare dentro di noi docenti in termini di
formazione,
di
attenzione,
di
convincimento e impegno a far meglio. La
nostra valutazione? Criteri oggettivi
potrebbero misurare le nostre conoscenze
e competenze ma come accertare la nostra
abilità nel processo nella trasmissione dei
contenuti, le nostre strategie didattiche più
o meno efficaci, le relazioni che
intrecciamo con gli studenti, indispensabili
per favorire l’apprendimento, il nostro
essere e saper essere in classe? Che non
sia solo una valutazione di gradimento o
una valutazione sui risultati ottenuti solo in
termini di voti in decimi! Ben venga una
valutazione sulla globalità della figura del
docente, ma chi potrà effettuarla?
Intanto, in quanto docenti, non trascuriamo
l’obiettivo primario della nostra mission,
cioè la formazione dei ragazzi per non
abbandonarli ad un futuro incerto. Al di là
delle
questioni
sindacali,
pur
importantissime, assistiamo e curiamo di
più i nostri studenti, vigiliamo sulle loro
fragilità, intervenendo per quello che ci è
possibile, cogliamo i loro bisogni e
rispondiamo, incoraggiamoli sempre anche
quando non fanno nulla, creano problemi e
destabilizzano gli equilibri, comunichiamo
con loro, facciamo venir fuori il meglio di
loro in ogni attività proposta. Siamo
autorevoli ed esigenti, perché serve
esserlo, ma solo per portarli ad essere
capaci, sicuri e competenti, ma cerchiamo
anche di essere flessibili dove intercettiamo
debolezze e bisogni particolari. Non
lasciamo nessuno di loro al margine delle
nostre attività, non spegniamo i loro
entusiasmi, non trinceriamoci su posizioni
di inutile intransigenza, mettiamoci in
ascolto delle loro difficoltà. Dichiara l’attore
Silvio Orlando, protagonista del film “ La
Scuola”, intervenuto nella trasmissione
televisiva Che Tempo che fa?: "La scuola di
23 anni fa e di oggi sono molto simili, cosa
ce ne facciamo degli ultimi della classe? La
riforma dovrebbe tenere conto di questo".
Qualche giorno fa una pubblicità di
marmellate e mousse del marchio Bonne
maman mi faceva sorridere e pensare:
sarebbe bello fare la buona scuola con
ingredienti semplici, gustosi, facilmente
acquistabili al supermercato e che si
amalgamano perfettamente, come solo
una buona mamma saprebbe fare! Perché
una buona mamma sa far tutto e bene.
Fare la Buona Scuola però non è come fare
la marmellata. Occorre programmazione,
condivisione, risorse non facilmente
reperibili, tempi adeguati, sperimentazioni.
Quindi non è facile. Il percorso è molto
lungo e non può essere dettato solo dalle
varie logiche di taglio alla spesa pubblica e
da altre priorità, logiche seguite, tra l’altro,
da persone che forse della scuola, di quella
di tutti i giorni, quella della partita giocata
sul campo, non ne sanno molto.
Allora dobbiamo solo cercare “la bonne
réponse” che, tradotto in italiano, significa
“la risposta giusta”. La risposta giusta siamo
noi insegnanti a darla, con la nostra forza e
la nostra umanità, siamo noi che
incontriamo tutti i giorni un’altra umanità
che a sua volta, a noi, chiede le risposte
giuste e perciò “buone”. La “buona” scuola
esiste già, dobbiamo solo esercitare
maggiormente il nostro senso di
responsabilità, interpretare i tempi,
attrezzarci per trovare soluzioni idonee,
non cercare scontri ma andare incontro e
dialogare.
Le questioni sindacali, anche quelle, ce lo
auguriamo, si risolveranno con il dialogo.
51
Prof.ssa Annamaria Piarulli - Sede di Corato
Negli ultimi anni abbiamo avuto a che
fare con un nuovo acronimo: BES, ovvero
i Bisogni
Educativi Speciali. Un
neologismo in più per la scuola italiana,
nel tentativo di rinnovarsi continuamente
adeguandosi alle esigenze di una società
sempre più complessa e sempre più
europea; si tratta di una definizione che
identifica
le
particolari
necessità
educativo-didattiche di una popolazione
scolastica piuttosto eterogenea: gli alunni
con disabilità, quelli con disturbi specifici
di apprendimento (DSA) e, recente novità
sul piano normativo, coloro che
presentano uno svantaggio socioeconomico, linguistico, culturale.
L’attenzione sui BES costituisce uno dei
segmenti su cui bisogna fare chiarezza,
partendo dalla necessità di implementare
un serio approccio al tema, fondato su un
lavoro di personalizzazione che le scuole
sono chiamate a fare continuamente,
stante la presenza ormai generalizzata
nelle classi di studenti portatori di
esperienze, culture e condizioni molto
differenziate, riconducibili ai fattori più
svariati e mutevoli.
È peculiare facoltà dei Consigli di Classe o
dei team dei docenti individuare casi
specifici per i quali sia utile attivare
percorsi di studio individualizzati e
personalizzati, formalizzati nel Piano
Didattico Personalizzato, la cui validità
rimane comunque circoscritta nell’anno
scolastico di riferimento.
Quando si parla di integrazione si pone
l’accento sulle pratiche di adattamento,
di individualizzazione che l’insegnante
deve mettere in atto affinché l’alunno
certificato
raggiunga
gli
obiettivi
prefissati, il più vicino possibile a quelli
dei compagni, compatibilmente ai limiti e
alle risorse dell’alunno. Il focus, quando si
parla di integrazione, è posto sull’alunno
mentre quando si parla di inclusione è
posto sul contesto.
Il compito di rendere la classe inclusiva
non è demandato principalmente
all’insegnante
specializzato
ma
è
equamente distribuito tra gli insegnanti.
Il problema non è più o non è solo
adattare materiali per un alunno ma è
rendere l’attività alla portata di tutti: si
tratta sempre di individualizzazione e di
adattamento (per esempio a stili cognitivi
diversi o alle diverse “intelligenze” della
classe) ma il destinatario dell’attività è
l’intera classe.
52
Non si tratta di non tener più conto dei
BES dell’alunno certificato ma si tratta di
avere
consapevolezza
che
alcune
indicazioni della didattica inclusiva, come
per
esempio
l’apprendimento
cooperativo e metacognitivo, non
giovano solo all’alunno certificato. E lungi
dal
frenare
l’apprendimento
dei
cosiddetti alunni normali, lo migliora, lo
consolida e lo rende un apprendimento
per la vita.
La diversità tra integrazione e inclusione
ha tanto più valore se si considera la
realtà delle classi dove spesso la
disomogeneità, tra i livelli di conoscenze,
competenze e abilità tra gli allievi, è
elevata.
Una delle più frequenti difficoltà degli
alunni attiene alla sfera linguistica,
spesso perché gli alunni provengono da
contesti culturali modesti o dialettofoni
e, negli ultimi anni, questo problema si è
acuito per la presenza di alunni stranieri.
Il tempo necessario per apprendere è
diverso da alunno ad alunno e dipende da
molti fattori, ma sicuramente il peggior
nemico della comprensione è l’urgenza.
Se si vogliono affrontare tutti gli
argomenti dei programmi ministeriali,
allora è praticamente certo che
pochissimi allievi capiranno quello che
studiano. Quindi, se vogliamo che almeno
la maggior parte degli alunni capisca,
dobbiamo fare delle scelte e decidere su
cosa concentrarci.
Ritengo che, molto più che un intervento
individuale, la didattica inclusiva rivolta a
tutta la classe possa essere efficace non
solo per migliorare l’apprendimento
dell’alunno con BES ma sia anche una
soluzione al problema.
Tuttavia questa pratica provoca un
rallentamento del ritmo di lavoro. Per
questo è necessario che l’insegnante
compia
preventivamente
scelte
programmatiche
coraggiose
che
sfrondino dai programmi quanto non è
ritenuto essenziale ma porta ad un
miglioramento dell’apprendimento di
tutta la classe.
Per utilizzare una metafora dal mondo
dell’architettura, una scuola inclusiva è
una scuola accessibile a tutti in cui cioè
l’architetto non ha progettato prima un
edificio accessibile alle persone normali,
intervenendo in seguito con modifiche
per renderlo accessibile ad un disabile
motorio, e con ulteriori modifiche per un
disabile visivo e così via, ma sin dalla
progettazione l’architetto ha pensato ad
un edificio accessibile a tutte le persone.
La sfida dei BES si spera possa essere
vista da tutti i docenti come una sfida che
evoca la loro migliore professionalità, che
ha comunque bisogno di essere nutrita
attraverso una formazione di alta qualità
e di essere sostenuta da chiare scelte
organizzative rispetto alle quali anche il
MIUR dovrebbe assumersi dei precisi
impegni economici.
I docenti devono osservare attentamente
e sistematicamente l’alunno, già dalla
scuola
dell’infanzia,
poiché
una
individuazione tempestiva di un deficit
consente agli insegnanti e ai genitori di
predisporre gli interventi più opportuni.
53
Per incrementare l’inclusività, ritengo sia
fondamentale il lavoro di gruppo, sia del
gruppo classe, sia di piccoli gruppi
trasversali, sia dei team dei docenti, sia
del team dell’Index, sia del gruppo GLI,
sia dell’équipe socio-psicopedagogica in
cui c’è anche la partecipazione della
componente medica, psicologica e la
supervisione della famiglia.
Per affrontare i BES occorre quindi la
cooperazione, la progettazione, scelte
condivise, obiettivi comuni e la
mediazione fra i vari contesti.
Sappiamo che non esistono “ricette”
pronte e formule universali, ma esistono
metodi, strumenti e materiali che si
possono calare nella pratica scolastica
per muoversi in questa direzione.
In sintesi, è possibile individuare sette
punti chiave per migliorare l’inclusività:
1. I compagni di classe come risorsa.
L’apprendimento cooperativo è un
metodo di insegnamento/apprendimento
basato sul principio per cui ciascun
componente del gruppo può contribuire
all’apprendimento di tutti e può
diventare risorsa per gli altri.
2. Adattamento e semplificazione del
testo. Per riuscire a integrare tutti gli
studenti nei percorsi comuni, è di
fondamentale importanza porre grande
attenzione alla preparazione di materiali
adeguati alle abilità e alle esigenze di
ciascuno studente.
3. Mappe, schemi e aiuti visivi. Per la loro
caratteristica di abbinare il codice visuale
a
poche
parole
scritte,
mappe
(concettuali, mentali, ecc.) e schemi
rendono più veloce ed efficace
l’apprendimento.
4. Potenziamento dei processi cognitivi.
Per
facilitare
gli
apprendimenti,
favorendo al contempo il lavoro di tutti
all’interno del gruppo classe, è
fondamentale anche potenziare e
consolidare i processi cognitivi: memoria,
attenzione, concentrazione, relazioni
visuo-spaziali-temporali, logica e processi
cognitivo-motivazionali.
5. Metacognizione e metodo di studio. La
didattica
metacognitiva
sviluppa
nell’alunno la consapevolezza di quello
che sta facendo, del perché lo fa, di
quando è opportuno farlo e in quali
condizioni, rendendolo gestore diretto
dei propri processi cognitivi.
6. Emozioni, autostima e motivazione. La
vita scolastica quotidiana è ricca di
affettività, di emozioni e di stati d’animo.
Realizzare una scuola inclusiva significa
anche rivolgere particolare attenzione
agli aspetti emotivo-relazionali, aiutando
tutti gli alunni a imparare a vivere bene
con se stessi e con gli altri.
7. Potenziamento del feedback sui
risultati. Il feedback sui risultati è uno
strumento di eccezionale importanza non
solo ai fini dell’apprendimento, ma anche
e soprattutto per lo sviluppo di una
buona immagine di sé e della motivazione
necessaria per raggiungere il successo
scolastico.
Lavorando in questa direzione, la scuola
sarà realmente in grado di rispondere in
modo adeguato a tutte le difficoltà degli
alunni, diventando “scuola di tutti”.
54
Gianluca D’Aniello 1C
Nel 2003, a 19 anni, Mark Zuckerberg, uno
studente dell’Università di Harvard, ha avuto
l’idea di raccogliere tutte le fotografie degli
studenti e pubblicarle in un sito chiamato
Facemesh, dove potevano essere votate per
un concorso di bellezza.
Venne scoperto dal rettore dell’Università che
fece chiudere il sito e minacciò il suo inventore
d’espulsione. Il 4 febbraio 2004 Zuckerberg
inventa Facebook (il libro delle facce), nel
quale le persone registrate possono ritrovare
vecchie conoscenze o vivere un’amicizia
virtuale come “prolungamento” di un’amicizia
reale. Il sito a poco a poco cresce, si creano
nuove amicizie, diventa possibile contattare
persone (amici di amici) che vorresti
conoscere, e inviare messaggi utilizzando un
“instant messenger” sul cellulare.
Da allora, quel piccolo social network ne ha
fatta di strada. Oggi non si può non avere un
profilo o una pagina su Facebook. Quando hai
qualcosa da dire o dei pensieri che ti turbano
lo scrivi nel tuo stato; se vuoi condividere delle
foto puoi postarle, così come i video; e che dire
dei “mi piace”? Una vera “rivoluzione
culturale” che permette di appore la propria
approvazione a qualunque contenuto
attraverso un semplice clic.
Insomma, Facebook ha cambiato in meglio la
vita di miliardi di persone; ma, molto spesso,
anche in peggio.
In meglio perché molta gente che vive la
solitudine, adesso non è più sola: la timidezza è
facilmente superabile quando si è al di qua di
uno schermo perché basta davvero poco per
entrare in contatto con il mondo intero, con
vecchi o nuovi amici ed instaurare nuovi
rapporti.
Il risvolto negativo è che la diffusione di questo
social ha creato, in alcuni casi, una vera e
propria dipendenza che ha mutato
integralmente il modo di relazionarsi con gli
altri, annullando del tutto il contatto fisico.
Inoltre, condividere con chiunque le
informazioni personali può esporre ad un
grande rischio ed è per questo che si consiglia
di usare le massime impostazioni di sicurezza e
privacy o adottare un “profilo chiuso”.
Il mio profilo Facebook non esiste e penso mai
esisterà, perché credo fermamente che la vera
amicizia debba essere vissuta attraverso dei
veri contatti. Credo che la mia idea di amicizia
possa essere ben riassunta da un estratto de
“Il Piccolo Principe”: “l’amicizia, come l’amore,
bisogna coltivarla con cura. Si riconosce un
vero amico anche dal rumore dei suoi passi.”
Di falsi amici, Facebook, ne è pieno.
Io, fortunatamente, le vere emozioni, positive
e negative, le vivo tramite uno sguardo e non
attraverso uno schermo.
55
Roberto Zecchino 4D
“Al primo posto nella classifica digitale,
che tu ci creda o no, c’è solo chi vince i
talent!”. Forse ha ragione Caparezza,
cantautore molfettese che, in “Chi se ne
frega della musica”, evidenzia il
fenomeno della fama, in particolare
quella
musicale,
che
nell’ultimo
decennio ha visto nei talent e nei reality
show il mezzo più adatto per arrivare al
successo. Sono sempre più numerosi i
“fenomeni” sbocciati nei talent che non
hanno più riscontrato successo appena
usciti da quelle trasmissioni.
Questo fenomeno, oggi esteso in tutto il
mondo e in continua crescita, ha, alla
base, un motivo imprescindibile.
Quale? Il guadagno.
56
Coloro che hanno ideato questi generi
televisivi di certo non pensavano a
valorizzare e mettere in mostra i talenti
come loro primo obiettivo. È stato così
che, sull’onda di un’idea errata, all’inizio
del terzo millennio, è nato il “Grande
Fratello”, seguito a ruota da “L’isola dei
famosi”.
Si trattava di reality show che, come dice
la parola stessa, avevano il compito di
mostrare la realtà, la vita e i
comportamenti quotidiani di un gruppo
di persone in luoghi circoscritti.
Bastarono pochi anni per plagiare la
mente del pubblico e assuefarla a questo
nuovo genere.
In una triste parodia di se stesso, il
reality show si trasformò sempre più in
un teatro. Sì, un teatro. Perché quello
che vediamo oggi è uno spettacolo, una
commedia, con degli attori che hanno
delle parti già scritte.
Tutto ciò con lo scopo di fare successo e
soldi. Pochi anni dopo la “nascita” dei
reality si è assistito ad un nuovo
fenomeno, quello del talent show, che a
differenza dei primi mette in mostra
delle capacità specifiche dei suoi
partecipanti. Naturalmente gli obiettivi
sono sempre il successo e il denaro.
Parallelamente a questi fenomeni, si è
da poco diffusa la fama dei social
network come Facebook, Youtube,
Twitter e Instagram; soprattutto tra i
giovani. Quel che è chiaro, oggi, è che i
giovani sono inebriati dal profumo del
successo e sono disposti a tutto per
rendersi visibili agli occhi della società.
Nonostante tutto ciò, questo mondo
oscuro e cupo è attraversato da un
barlume di luce rappresentato dalla
creatività. È forse quest’ultima l’unico
aspetto positivo che viene espresso, a
mio parere, sui nuovi media.
Su YouTube e Facebook, navigando tra le
migliaia di pagine “spazzatura”, non è
difficile imbattersi in talenti reali: c’è chi
sa far ridere in modo intelligente, c’è chi
esprime satira e chi analizza in modo
critico fenomeni e argomenti di
attualità.
A mio parere il desiderio di fama ha visto
una crescita esponenziale nell’ultimo
decennio
in
seguito
alla
spettacolarizzazione della vita sul piccolo
schermo; spesso chi ha partecipato a
reality, talent o altri spettacoli simili è
stato illuso da promesse e speranze, mai
mantenute.
Gli alti ascolti di pubblico sono la
dimostrazione che il popolo italiano è
affascinato da questi programmi perché
ritrova in essi le proprie abitudini, le
proprie immagini e i propri vizi, proprio
come se si stesse specchiando. Questo si
può ritenere sia il segreto del successo di
questi format.
La realtà è che se qualcuno possiede un
talento non ha bisogno dell’aiuto di
reality, talent e social per emergere e
dimostrare a se stesso e al mondo
quanto vale.
57
Noemi Prisciandaro, Federica De Palo, Miriana Bernardi, Rocco Brucoli 2D
La società odierna ha una fobia: quella
del diverso, spesso dettata dalla non
conoscenza del fenomeno, una sorta di
paura del buio. Oggi, si assiste sempre più
spesso a violenze psicologiche e fisiche
verso chi è diverso da noi.
Tuttavia,
una
discriminazione
in
particolare è quella più discussa ai giorni
nostri, ed è quella rivolta a chi ama una
persona del proprio sesso. Questa
intolleranza è chiamata omofobia.
Facciamo un passo indietro. Cosa è
l'omofobia?
Può
essere,
molto
semplicemente,
definita
come
un'intolleranza verso gli omosessuali.
Niente è più nobile dell'amore, perciò
come può nascere questa “paura”?
L’omofobia deriva dall’idea che siamo
tutti eterosessuali e che è normale e sano
scegliere un partner del sesso opposto,
per cui un soggetto omosessuale è
considerato "contro natura".
Nell'antichità il fenomeno dell' omofobia
era molto radicato e contrastato, ad
esempio nel Medioevo gli omosessuali
erano condannati a morte. Si parla di
omosessualità anche nella Divina
Commedia; Dante Alighieri si serve di un
doppio criterio per giudicare gli
omosessuali: quello teologico (in base ai
dogmi dettati dalla religione e dalla
Chiesa) e quello umano (in base alla
propria "coscienza", che sosteneva che
un uomo merita rispetto al di là della
propria sessualità).
58
Il matrimonio gay è legale in 20 Paesi nel
mondo: Spagna, Francia, Regno Unito,
Portogallo, Belgio, Lussemburgo, Paesi
Bassi, Danimarca, Finlandia, Islanda,
Norvegia, Svezia, Stati Uniti, Canada,
Messico, Argentina, Brasile, Uruguay, Sud
Africa e Nuova Zelanda. Esistono poi
nazioni (come Malta, Israele, Aruba,
Caruçao) in cui, pur non essendo legale
questo tipo di unione, vengono registrati i
matrimoni tra persone dello stesso sesso,
celebrati all’estero.
La Chiesa Cattolica non permette
matrimoni fra persone dello stesso sesso,
anzi secondo alcuni critici essa assume un
atteggiamento di vera e propria
intolleranza verso gli omosessuali;
recentemente, però, Papa Francesco ha
dimostrato una sorta di apertura e
accoglienza nei confronti di questa
realtà.
“Dio è amore, l'amore è cieco e anch'io lo
sono” affermava il noto artista rock degli
anni ’90 Kurt Cobain, leader dei Nirvana.
Il 17 maggio di ogni anno ricorre la
giornata contro l'omofobia, la bifobia e la
transfobia;
giornata
promossa
dall'Unione Europea con manifestazioni,
cortei ed eventi internazionali atti a
sensibilizzare e prevenire i fenomeni di
discriminazione verso le persone con un
orientamento sessuale differente.
Quest’anno il Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella ha ricordato che “Il
principio di uguaglianza, sancito dalla
nostra Costituzione e affermato nella
Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione
Europea, non è soltanto un asse portante
del nostro ordinamento e della nostra
civiltà, ma costituisce un impegno
incessante per le istituzioni e per
ciascuno di noi. Rimuovere gli ostacoli
che impediscono il pieno sviluppo della
personalità umana - osserva il Capo dello
Stato - è una responsabilità primaria,
dalla quale discende la qualità del vivere
civile e della stessa democrazia”. “Le
discriminazioni, le violenze morali e
fisiche, non sono solo una grave ferita ai
singoli, ma offendono la libertà di tutti,
insidiano la coesione sociale, limitano la
crescita civile. Dobbiamo promuovere il
rispetto delle differenze laddove invece la
diversità scatena reazioni intolleranti. E
dobbiamo parlarne con i giovani, perché
purtroppo continuano a registrarsi atti di
bullismo contro ragazze e ragazzi, che
talvolta spingono alla disperazione. Si
tratta di espressioni di disumanità
insopportabili che vanno contrastate con
un'azione educativa ispirata alla bellezza
di una società aperta, solidale e ricca di
valori”. Dagli Stati Uniti anche Barack
Obama ha partecipato alla giornata con
un messaggio: “ I diritti di lesbiche, gay,
bisessuali e transgender (LGBT) sono
diritti umani. Tutti devono poter vivere
senza paura, violenza, discriminazione,
indipendentemente da chi sono e da chi
amano”.
Tutti siamo alla ricerca della felicità; noi
non giudichiamo l’amore in base
all’orientamento sessuale e sosteniamo
che la felicità sia un diritto di cui tutti
debbano godere.
59
Antonio Chiapperini 5E
C’è bisogno di fare una prima distinzione
dell’economia, più precisamente tra
macro
e
micro
economia.
Con
macroeconomia si intende la parte della
scienza economica che prende in
considerazione problemi come il reddito, il
consumo, il risparmio, l’occupazione
relativi ad un’intera area geografica. La
microeconomia, invece, è lo studio
dell’andamento dei prezzi nei singoli
mercati,
oppure
l’analisi
del
comportamento economico dei singoli
individui, aziende e famiglie. In questo
caso studia come vengono impiegate e
spese le risorse.
Oggi, queste due grandi branche
dell’economia sono state approfondite e
di seguito migliorate, incalzate dalla
globalizzazione e, di conseguenza, dal
consumismo. Ma non solo, questo grande
fenomeno ha cambiato la mentalità della
gente, della popolazione, il significato
della parola “economia” e la sua
interpretazione. “C’era una volta la
speranza che la globalizzazione avrebbe
portato benefici per tutti […]. Oggi la
faccia oscura della globalizzazione è
sempre
più
evidente
[…].
La
globalizzazione economica ha viaggiato a
un ritmo superiore a quello della
globalizzazione della politica e della
mentalità”, tuona J. Stiglitz in “Un mondo
ricco con tanti poveri”. Come dar torto al
professore statunitense Premio Nobel per
l’economia? In questi ultimi quindici anni
stiamo vedendo i più evidenti effetti
negativi
che
la
“globalizzazione
economica” ha sortito. Basti pensare ai
flussi di capitale che provengono dai paesi
del terzo mondo e che vanno a finire nella
casse dei paesi industrializzati e avanzati,
incrementando sempre di più le differenze
esistenti. Questo perché non c’è alcun
riguardo per le reali necessità della
popolazione, e per l’ambiente, che sta
pagando un prezzo troppo alto.
60
Come si rileva dal “Rapporto sui limiti
dello sviluppo” (consultabile su Wikipedia)
redatto da Donella Meadows, “se l’attuale
tasso di crescita della popolazione, della
produzione
di
cibo,
dell’industrializzazione, dell’inquinamento
e dello sfruttamento delle risorse
continuerà inalterato […] il risultato più
probabile sarà un declino improvviso ed
incontrollabile della popolazione e della
capacità industriale”.
Bene, con queste parole è stato reso
chiaro un altro problema di fronte al quale
sicuramente ci si porrà una domanda: è
davvero possibile che non si attuino delle
concrete azioni per fronteggiare queste
problematiche? Sì, è davvero possibile; è
dall’ottobre del 2008, quando è iniziata la
crisi economica degli Stati Uniti (che ha
avuto un effetto domino sulle economie di
tutti i paesi del mondo, causando cosi una
crisi economica globale) che non si cerca
una soluzione al problema. Ecco come
“Oggi il consumismo è in ritirata sotto la
pressione dello stato di necessità […]. In
poco tempo la massa delle famiglie
americane, facendo di necessità virtù, ha
riscoperto una parola che sembrava ormai
dimenticata: risparmio”. Queste le parole
di Federico Rampini, che sottolineano uno
degli effetti negativi della globalizzazione,
della crisi e del mancato interessamento
da parte delle grandi economie mondiali
su alcuni aspetti. Ecco perché oggi gran
parte della popolazione si trova costretta a
risparmiare più del dovuto, le imprese
cominciano a licenziare gli impiegati in
esubero (dato che l’economia è in fase di
stagnazione), le famiglie non hanno un
reddito sufficiente per poter soddisfare i
propri bisogni e, di conseguenza, non c’e
abbastanza
liquidità
nel
sistema:
l’economia entra in una spirale viziosa
negativa. Ed ecco come il low-cost ha
preso piede.
“E’ la parte più visibile del grande
cambiamento sociale e culturale in tutto il
mondo occidentale. Riscoprire il giusto
valore delle cose. È la cifra migliore di
questo New Deal”, come chiariscono F.
Aston e R. Lacala. Milioni di persone in
tutto il mondo vanno alla ricerca delle
opportunità “low-cost” pur di far fronte
alle proprie esigenze. I dati parlano chiaro:
il low-cost nel 2010 costituiva l’8% del PIL,
dati diffusi dal libro “Italia low-cost”.
La crisi economica globale può essere un
punto di partenza per rivedere i modelli
economici di sviluppo, pensando più al
benessere della collettività e non alla sola
economia in senso stretto.
“Benessere e regolamentazione sono
questioni collegate, bisogna organizzare
l’economia in modo tale che queste due
cose siano realmente possibili”.
Da queste parole di G. Allix e L. Caramel
bisognerebbe partire per cercare di creare
una reale ed efficace soluzione a questa
crisi e anche alla globalizzazione.
I grandi governi mondiali, le istituzioni di
credito devono capire che economia e
benessere della collettività non sempre
vanno di pari passo, quindi, bisogna
cercare di conciliare i due poli dialettici,
non mettendo, come sempre, al primo
posto il dio denaro, ma la salute, la felicità
e l’ambiente.
61
Mariapia Binetti 2C
Vuoi adottare uno stile di vita sano e
diminuire lo sviluppo di malattie anche
gravi? Dimentica il cibo dei fast-food, le
patatine fritte, il fumo, i cocktail, la droga e
saziati con il sapere e la conoscenza.
Noi ragazzi della 2C, il giorno 25 marzo,
abbiamo organizzato un incontro con il
prof. Caputi Iambrenghi per discutere su
alcuni temi che, da sempre, influenzano la
vita di ognuno di noi. Le tematiche che
sono state esposte anche attraverso
strumenti
multimediali e
modalità
interattive hanno catturato l’interesse di
tutti.
Il tumore, negli ultimi tempi, sta dilagando
e una delle cause più importanti è proprio
la cattiva alimentazione, tema centrale del
nostro incontro.
Una buona alimentazione può coincidere
con la “dieta mediterranea”, tipica delle
popolazioni della nostra area geografica, e
aiutare l’organismo a combattere il “male
del secolo” evitandone l’insorgere. Il sig. M.
E. Levine afferma che: “un’alimentazione
caratterizzata da un ridotto apporto
proteico in età compresa tra 50 e 60 anni è
associata ad un effetto benefico nella
prevenzione del tumore e di altre
patologie”.
Di conseguenza il dottor Caputi ci ha fornito
delle “regole” di vita per avere una giusta
alimentazione, a partire dagli orari:
colazione h: 7.00, spuntino h: 11.00, pranzo
h: 13.00, merenda h: 16.00, cena h: 20.00.
Ecco cosa non si deve mai dimenticare: la
frutta, l’insalata e il mangiar piano.
Mangiare in modo adeguato, insieme ad
una costante attività motoria, può aiutarci
ad avere un migliore equilibrio fisico e
aiutare il nostro organismo a mantenersi al
meglio.
Il prof. Caputi ha risposto ai nostri quesiti in
modo dettagliato, “saziando” le nostre
curiosità.
L’incontro, della durata di circa due ore, è
stato un modo alternativo di organizzare e
vivere l’assemblea di classe mensile, un
modo decisamente più proficuo. Senza
considerare il fatto che questa esperienza è
fortemente attinente all’attualissimo tema
dell’EXPO 2015 (“Nutrire il pianeta”) che
indica proprio nella qualità del cibo la
condizione essenziale per la vita.
Dagli stimoli tratti e dalle riflessioni
sviluppate in classe
abbiamo potuto
gustare un vero e proprio “piatto” di
conoscenza ed energia per la nostra vita.
62
INSERTO SPECIALE
Ruvo
tra passato e futuro:
nei nuovi germogli le prospettive di crescita
II
I VALORI E LE RISORSE
DELLA NOSTRA TERRA
Libertà e sviluppo: un
binomio necessario per la
crescita del territorio.
Questo
il
tema
fondamentale del progetto
Ruvo tra passato e futuro:
nei nuovi germogli le
prospettive
di
crescita,
realizzato
dall’ITSET
“Tannoia”, sede di Ruvo e
presentato in data 14
maggio, in un incontro che
si è tenuto presso la
Pinacoteca Comunale di
Arte Contemporanea di
Ruvo.
L’articolazione iniziale del
progetto, finalizzato alla
promozione del territorio
attraverso la valorizzazione
delle
risorse
storiche,
artistiche,
enogastronomiche e della
tradizione contadina, ha
visto nell’intreccio tra storia
generale e storia locale, il
punto
di
partenza
dell’itinerario da seguire.
Proprio in questa fase il
progetto si è collegato
all’evento Ruvo, Carafa e la
Leggenda, organizzato dal
Centro Studi “Cultura et
Memoria” di Ruvo, che,
attraverso il caratteristico
corteo
storico,
rievoca
situazioni e ambientazioni
legate alle famiglie nobili o
emergenti del paese, nel
Settecento. Nel farlo, però,
ha esteso di molto il campo
della ricerca andando a
ritagliare una fetta di storia
cittadina che si è allargata
ben oltre tale secolo. Una
storia che si è scelto di
ricostruire in rima e di
affidare alla voce e alle
illustrazioni di studenticantastorie, in parte per
agevolare
l’ascolto,
attraverso la musicalità e il
ritmo dei versi, in parte per
dare, forse, un tocco più
epico
al
racconto,
rendendolo luogo della
memoria collettiva. Ed ecco
come la narrazione dal
Settecento,
è
tornata
indietro nel tempo fino al
1510, anno in cui Ruvo
viene infeudata dai conti
Carafa. Da qui, partendo
dall’evento leggendario al
quale
si
fa
risalire
l’istituzione
della
festa
dell’Ottavario, si è snodata
rapida sulla linea del tempo
a ricostruire i tre secoli di
servitù feudale, dal 1510 al
1806, data di eversione
della feudalità, vissuti dalla
III
città sotto il dominio della
nobile famiglia di origine
napoletana, per fermarsi
nuovamente al Settecento e
concentrarsi sulla figura di
Ettore Carafa IV. La storia
dell’illustre rampollo della
famiglia, famoso martire
della
Rivoluzione
Napoletana, che si batte in
nome della libertà, ha
concluso questo viaggio nel
passato di Ruvo e con esso,
la prima parte del progetto
che
termina
con
un
richiamo alla libertà, un
valore da salvaguardare,
poiché ci indica la strada
della crescita e ne diventa la
condizione essenziale. Ci
insegna
a
riconoscere,
infatti, i nuovi germogli
richiamati dal titolo del
progetto: le preziose risorse
che emergono dal passato e
che, attraverso percorsi
mirati
di
turismo
e
marketing, ottimizzati dalle
nuove
tecnologie,
riprendono vita e vigore
rivelandosi in tutto il loro
valore.
Prof.ssa Anna C. Carnicella
IL DOMINIO DEI CONTI CARAFA:
Dalla leggenda alla storia
IV
Questa bella leggenda, dalla dolce magia
tutto per aumentar dei Carafa i proventi.
accende di sicuro la vostra fantasia
E tanti contadini dai conti son privati,
ma non rimpiazza certo il ruol della memoria
solo per far contenti conventi e porporati,
che intatta vien serbata soltanto dalla Storia.
dei campi che a fatica han sempre coltivati.
Ed è per questo che vi voglio raccontare
Questa, del Seicento la triste situazione
quello che è stato scritto e che si può provare:
che porta a tanto stremo la popolazione:
quasi tre lunghi secoli di dominio soffocante
commerci e agricoltura son messi in ginocchio
che tanto tenne Ruvo repressa in ogni istante
sembra quasi che Ruvo abbia preso il malocchio,
Nella sua luce storica il nobil feudatario
ma quel che la colpisce non è la malasorte
che sempre ricordiam nel dì dell’Ottavario
soltanto la miseria, la peste e poi la morte.
forse quel giorno, è vero, rimane impressionato
E in questo triste quadro di gran desolazione
in groppa al suo destrier che la zampa ha piegato,
il nobile casato continua a esser padrone.
ma se dopo questo evento devoto è diventato
Infin col Settecento, tra belletti e profumi
continua ad ignorare il popolo affamato.
la mente dei regnanti vien schiarita dai lumi
I nobili Carafa, in tutto il Cinquecento
che la ragion diffonde e irradia in ogni dove
non vedon mai del popolo la pena ed il tormento
così sembra che cambi un po’ la situazione:
lor vanto e unico orgoglio i bei palazzi e i lustrini
varie riforme allentan la pressione fiscale
son ciechi e pure sordi ai duol dei ruvestini.
è reso men gravoso il regime feudale,
Proteste ripetute e forti opposizioni
forse nobili e clero son men privilegiati
son tosto soffocate nelle orride prigioni
ma i nostri Carafa a Ruvo si sentono sfregiati .
o presto scoraggiate da bravi assai spietati
E tra liberalismo dal soffio innovatore
che son della famiglia gaglioffi prezzolati.
e cupo oscurantismo da grande Inquisizione
Perché i nostri Carafa le terre han da ingrandire
a fin Sessantasette del “secol luminoso”
e col sangue del popolo si vogliono arricchire:
nel gran casato nasce chi resterà famoso:
tasse e gabelle infami impongono al paese
chi riscatta le colpe dei molti antenati
a lor sempre è asservita l’economia ruvese.
che Ruvo han tenuto in vile servaggio
Nel secol successivo, e senza impedimenti,
e cancella col sangue l’odioso retaggio
fan pascolare a Ruvo gli abruzzesi, avidi armenti:
rendendo ai Ruvesi i diritti negati…
V
ETTORE CARAFA:
l’eroico conte che lottò per la libertà del popolo
VI
Nell’antica magion s’ode un vagito
e poco prima dell’Ottananove
la nobil duchessa d’Andria ha partorito
arde d’amor per la Rivoluzione.
l’erede dei Carafa e’ appena nato
Dei popoli oppressi libertà e difesa
a tante grandi imprese e’ destinato.
diventan lo scopo di ogni sua impresa
Ettore, come il trisavol famoso vien chiamato
che è mossa dall’odio, dall’indignazione
ma dal suo avo solo il nome ha ereditato.
avversa al governo del regio Borbone.
In quel momento cade un marmo dal camino
Dei Diritti dell’uom la Dichiarazione
è un presagio fatal per il piccino;
porta poi a Napoli in ciascun rione
più d’un, sgomento, guarda al suo avvenire
ma dal popolo ignorante è denunziato,
pensa che certo farà una brutta fine,
che il clero in ogni istante ha fomentato
ma la gran gioia legata al lieto evento
Così accusato di cospirazione
vela il funesto auspicio in un momento.
vien condannato alla carcerazione.
Il giovane Carafa li’ cresce bello e forte
Dalla prigione di Castel Sant’Elmo
guidato ed educato al fin d’entrare a corte
evade con l’aiuto del fratello
Ma non di rado scorda quel che gli e’destinato
e in testa ad un drappello militare
a difender chi è più debole appar più interessato
vuol fare a Napoli un governo liberale
Studiar Greci e Romani la fantasia gli accende
perché l’amor per la Repubblica nascente
antichi eroi e valor gli affascinan la mente
ormai gli riempie il cuor e pur la mente.
l’amore pei cavalli e per l’equitazione
Poi tenta di affrancar il suol pugliese
lo infiamma quanto l’odio per ogni coercizione
marciando a fianco di un general francese,
L’ambizion della famiglia e il livel d’aspirazione
vuol che le città a lui care ardan d’amore
a Napoli lo portan a finir la formazione
per la libertà importata dalla Rivoluzione.
ma dei nobili e del re la politica immorale
Ma il popolo, qui a Ruvo, sempre dal cler plagiato
lo inducono ad odiar quel regim dittatoriale.
abbatte l’albero della libertà prima piantato
Per poter poi alimentar la vocazione liberale
E con l’armi Andria respinge la franca guarnigione
va a fare in Francia un lungo viaggio culturale
poiché sempre è fedele al caro Re Borbone
VII
LA MORTE DI ETTORE CARAFA
VIII
Risponde con il fuoco il general francese
LA FORZA DELLA LIBERTÀ
comincia a saccheggiare la città pugliese
Questo lungo racconto ormai giunto alla fine
ma il giovane Carafa, sì prode e temerario,
e che di Ruvo feudale segna quasi il confine
sprezzante del pericolo si fa da intermediario
mostra a noi tutti cos’è diventato
scopre del condottier il lato umanitario
quel primo seme di libertà piantato:
e salva Andria e poi Ruvo dal furore incendiario.
un seme libero di germogliare
Ma il fascino che induce ad amar l’indipendenza
che un grande borgo ha saputo creare,
e che di tante menti orienta la tendenza
una città agricola e artigianale
un dì vien soffocato da chi si è coalizzato
poi diventata imprenditoriale
contro la nazion che pei diritti dell’uom avea lottato
che tra informatica e modernizzazione
Ecco perché la Francia, da più parti attaccata
non scorda del passato storia e tradizione
abbandona al suo destino la Repubblica neonata
e sa promuover la crescita in sincronia
e tanti grandi eroi che l’han costituita
del turismo locale e dell’antica maestria.
ormai rimasti soli son privati della vita.
Compreso il nostro eroe dal sangue nobiliare
che presto resta vittima della reazion fatale
ovunque manifesta in tutto il Meridione
da parte del furente, dispotico Borbone.
Il giovane Carafa fino all’ultimo ha lottato
e solo con l’inganno infin vien catturato
resiste alle torture con grande abnegazione
poi viene condannato alla decapitazione.
In Piazza mercato a Napoli allor egli è portato
non vuol esser davanti al ceppo inginocchiato
vuole guardar sprezzante l’arma letal che scende
fino all’ultimo istante il suo valor risplende
Poi affronta la morte con grande coraggio
scintilla negli occhi l’antico lignaggio
lo sguardo è impavido, il portamento è fiero
la libertà, l’onore e Dio son l’ultimo pensiero.
IX
I NOSTRI LABORATORI
Laboratorio Storico:
Gli alunni hanno tradotto i risultati della ricerca storica in narrazione con slides in Power
Point, illustrazioni, testi in rima e con la recitazione dei cantastorie.
Prof.ssa Isabella Anzelmo, docente tutor
Prof.ssa Anna Caterina Carnicella, curatrice della ricerca storica e autrice dei testi in rima
Prof.ssa Angela Simone, docente ITP, curatrice del Power Point
Prof.ssa Vittoria Bonadies, docente di Informatica
Alunni cantastorie: M. Binetti 2C, V. Volpicella 5E, V. Adessi 4A
Alunni : C. Maggialetti 4C, M. Terlizzi 4C, G. Vendola 1C, G. Altamura 1C, N. Cipriani 1C,
C. Zuppa 1C, V. Quercia 3A
Laboratorio Turismo e Marketing:
Presentazioni turistiche (anche in lingua straniera) dei più importanti palazzi nobiliari di
Ruvo per la valorizzazione dei prodotti enogastronomici locali e degli antichi mestieri.
Prof. Giovanni Gigli, docente tutor
Prof. Riccardo De Feo, docente di Storia dell’arte
Prof.ssa Giacoma Stasi, docente di Lingua francese
Prof. Cataldo Olivieri, docente di Lingua inglese
Laboratorio Cinematografico:
Rivisitazione fantasiosa di contenuti e personaggi tratti dalla ricerca storica attraverso un
confronto ironico e gioioso tra generazioni ed epoche.
Prof.ssa Gilma Murolo, docente tutor
Dott. Michele Pinto, regista cortometraggio (esperto esterno)
Referenti del progetto:
Prof.ssa Maria Summo
Prof. Giovanni Gigli
FINE INSERTO
OPINIONI
Francesca Berardi 2D
Eccoci qui, noi adolescenti, anime ribelli,
libere, che viviamo il presente con
impulsività e altrettanta spensieratezza da
far sì che non ci accorgiamo dei giorni che
passano e di un futuro che ci aspetta dietro
l’angolo.
Un futuro pieno di ambizioni, sogni ma,
visto da un’altra prospettiva, un futuro
incerto, che spaventa, pieno di timori,
insicurezze e dubbi. Basti pensare ai
problemi che al giorno d’oggi sono
predominanti: politici che si azzuffano per il
potere, per la fama, cattivi esempi per la
nostra società, persone che si nascondono
dietro delle maschere, altre che
confabulano alle nostre spalle; tutto questo
senza rendersi conto che mentre il loro
egoismo imperversa, milioni di persone
vicine a noi o anche in aree remote
combattono ogni giorno per sopravvivere
alla fame, alle guerre e alle malattie.
Se questi sono i nostri esempi perché, a
questo punto, dovremmo lavorare per un
sistema di disonesti ed egoisti?
Perché lavorare per una società che si
autodistrugge, che non ha rispetto neanche
per ciò che la circonda, che giudica coloro
che hanno il coraggio di avere una propria
opinione? Perché lavorare per un sistema
che invade le libertà altrui e non pensa ad
altro che al potere mentre tutti gli altri
sono vittime delle loro ingiustizie?
Come sentirsi al “sicuro” sul palmo di una
società così instabile e corrotta? Come
possiamo sentirci pienamente soddisfatti e
sicuri, noi, gli spettatori più giovani di tali
attualità, noi che dovremmo essere i futuri
lavoratori di tale sistema che si va
frantumando col tempo che passa? Come
potremmo mai capire il nostro “giusto”
posto nel mondo?
A volte si pensa che sarebbe meglio vivere
nell’illusione e nell’innocenza che si aveva
da bambini. Molto spesso si ignora che una
realtà così negativa influisce non solo sul
mondo dei grandi ma anche su quello di noi
adolescenti. Ci chiediamo spesso se saremo
all’altezza delle nostre responsabilità, ma
siamo sicuri che la società sarà poi alla
nostra altezza?
Probabilmente un giorno saremo in grado
di portare un’influenza positiva e magari
cercare di migliorare ciò che oggi non va. E
poi la scuola, ci offrirà le competenze
necessarie per farlo o per trovare lavoro?
Questi sono gli interrogativi che noi giovani
ci poniamo, ma senza avere risposte perché
anche le nostre famiglie vivono le nostre
stesse paure, preoccupazioni, ambizioni e
speranze.
Nel frattempo godiamoci la spensieratezza
dei nostri 15 anni e apprezziamo ciò che c’è
di buono in questo presente, a partire dalla
Nostra scuola.
73
Miriana D’Agostino 5B
L’uomo ha sempre creduto di essere il
centro del mondo, l’elemento perfetto,
possessore di capacità superiori: la parola, la
gestualità, la capacità di comunicare, amare,
esprimere i propri sentimenti, di provare
emozioni. L’uomo ha sempre sostenuto di
avere un’intelligenza superiore, eppure egli
è così impotente dinanzi alla forza, alla
grandezza e alla bellezza della natura e dei
suoi elementi. L’uomo la sfrutta, la consuma,
la maltratta e la colpisce, ma la natura è
possesso dell’uomo o è l’uomo ad essere
una pedina nelle “mani” della natura?
74
Natura! Ne siamo circondati e avvolti. Senza
preavviso, essa ci afferra nel vortice della
sua danza, crea forme eternamente nuove.
Viviamo in mezzo a lei e ne siamo stranieri.
Essa parla continuamente con noi. Agiamo
continuamente su di lei e non abbiamo su di
lei nessun potere. Alle sue leggi si ubbidisce
anche quando ci si oppone. La natura si
lascia apparentemente calpestare, le foglie si
lasciano staccare via dal loro ramo, le nuvole
si lasciano penetrare dai gas di chi sa quali
sostanze; e i boschi? I boschi si lasciano
spazzare via per dar vita a immensi palazzi
dove si commercia quel petrolio che poi
rende così acide e pesanti le piogge che
dovrebbero nutrire i grandi prati verdi e i
meravigliosi girasoli gialli, che invece si
spengono davanti
alla convinzione
dell’uomo di essere così fortemente
superiore alla potenza della natura. Ma
superiore lo è davvero? Molte sono e in
molti modi sono avvenute e avverranno le
perdite degli uomini, le più grandi per mezzo
del fuoco e dell’acqua. Platone ha
sottolineato sempre la potenza della natura,
e nella sua opera “Timeo” raccontava
vicende dove si percepiva come anche la
potenza degli dei era nulla davanti alla
imponente grandezza della natura; come
quella storia che un giorno Fetonte, figlio di
Apollo, dopo aver sottratto il carro del Sole,
poiché non era capace di guidarlo lungo la
strada segnata, incendiò tutto quel che c’era
sulla terra, rimanendone egli stesso ucciso.
Dio l’ha creata, apparentemente, così fragile
eppure ha nascosto la sua immensa forza
dentro la luce del sole, la sua bellezza nei
fiori e il suo profumo nei peschi in fiore. Ma
quanto ancora la natura rimarrà inerme di
fronte alla superficialità dell’uomo? Nel
Medioevo si credeva che fosse la Terra il
centro dell’universo e che tutti gli altri
pianeti ruotassero intorno ad esso; è stato
difficile per l’uomo accettare la dura realtà
dimostrata da Galileo, il quale sfatò il mito
dell’uomo al centro dell’universo e dimostrò
quanto egli fosse in realtà piccolo e quasi
insignificante dinanzi all’immensità del
Creato. E se l’uomo è sulla terra, questa è la
sua dimora e deve prendersene cura perché
è la natura la vera “padrona di casa”; è essa
stessa che si controlla riuscendo persino a
spostare il proprio asse e modificando quella
che crediamo essere la nostra “casa”, la
nostra dimora. È proprio quel piccolo
pianeta dal cuore incandescente, che ruota
intorno a se stesso e piroetta intorno al
proprio asse, che con la sua inclinazione ci
dà il giorno e la notte e l’alternarsi delle
stagioni. La terra è la nostra dimora e
sovrasta la nostra fragilità attraverso le leggi
della fisica e le grandi catastrofi naturali,
dimostrando un’unica grande verità: è lei
l’Imperatrice! L’uomo è, dunque, solo una
piccola pedina nelle mani di Dio, cammina su
di un filo sottile e la sua vita dipende solo
dalla natura, perché basterebbe solo un
flebile soffio di vento per farlo cadere giù.
75
Eugenia Panessa 2B
Il 25 novembre è la Giornata Mondiale
contro la violenza sulle donne.
Non pensate sia scandaloso che debba
esistere un giorno per questo, che
debba esistere un giorno per ricordare
al mondo quanto sia sbagliata e
terribile la violenza sulle donne? Non
dovrebbe esistere perché è tremendo
pensare che al giorno d'oggi ci siano
ancora donne che subiscono i soprusi e
le violenze da parte di uomini ignoranti
e retrogradi. Credo che questi individui
non meritino neppure di essere
chiamati “uomini”.
Viviamo nel ventunesimo secolo,
eppure la nostra società è ancora
pervasa
da
una
mentalità
sostanzialmente maschilista, ancora il
mondo non è in grado di concepire
l'uguaglianza tra uomo e donna.
Esistono ancora uomini che reputano
la donna un essere inferiore, con
minori capacità e per questo minori
diritti.
76
La lista di donne meravigliose che ci
sono state e che ci sono ancora è
infinita e impossibile da completare,
l'importante però non sono i singoli
nomi, ma comprendere quanto le
donne siano straordinarie. Eppure
ancora molte di loro vengono stuprate,
maltrattate,
picchiate,
violentate,
molestate o addirittura assassinate da
quei mostri che, indifferentemente per
il fatto che le abbiano incontrate in un
vicolo in una notte buia e cupa o le
abbiano giurato amore eterno, sono e
resteranno comunque mostri.
Ricordiamoci che in Italia, in media,
ogni due o tre giorni un uomo uccide
una donna, compagna, figlia, amante,
sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la
famiglia sia sempre, per forza, quel
luogo magico in cui tutto è amore. La
uccide perché la considera una sua
proprietà. Perché non concepisce che
una donna appartenga a se stessa, che
sia libera di vivere come vuole lei e
persino di innamorarsi di un altro. E noi
che siamo ingenue spesso scambiamo
tutto per amore, ma l’amore con la
violenza e le botte non c’entra nulla.
L’amore, con gli schiaffi e i pugni
c’entra come la libertà con la prigione.
Un uomo che ci picchia non ci ama.
Mettiamocelo in testa.
Vogliamo credere che ci ami? Bene.
Allora ci ama male.
Non è questo l’amore.
Un uomo che ci picchia è un essere
infimo e infido. Sempre. E dobbiamo
capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché
tanto arriverà anche il secondo, e poi
un terzo e un quarto. L’amore rende
felici e riempie il cuore, non rompe
costole e non lascia lividi sulla faccia.
Nessuno ha il diritto di ferirci o
toccarci! Facciamo in modo che più
gente possibile ne parli così che un
giorno nessuna di noi, o delle nostre
figlie, debba mai subire qualcosa del
genere. Lottiamo per i nostri diritti,
lottiamo contro quei mostri e non
pieghiamoci mai al loro controllo e alle
loro
violenze.
Non
esistono
giustificazioni
per
la
violenza,
ricordiamolo sempre e, vi prego,
facciamo tutto ciò che è in nostro
potere perchè tutte le donne lo
capiscano e si ribellino. Noi donne
siamo importanti, noi donne siamo
meravigliose. Lottiamo oggi, ma anche
domani e quello dopo ancora, così per
ogni anno, così per ogni giorno,
lottiamo sempre, ogni minuto, ogni
secondo per essere libere come è giusto
che sia.
Pensiamo mica di avere sette vite come
i gatti?
No. Ne abbiamo una sola.
Non buttiamola via.
77
Rosy De Chirico 5A
Siamo in un paese in cui la famiglia viene
ancora esaltata come il luogo degli
affetti, della cura, della crescita dei suoi
membri, lo spazio dove si vive in
armonia e con reciproco rispetto, dove si
dialoga e si risolvono i conflitti;
purtroppo oggi, nella maggior parte dei
casi, non è cosi.
Sono 120 nel 2013 e 64 nel 2014, le
donne uccise dai mariti, ex mariti, o
uomini con cui avevano o avevano avuto
un legame affettivo.
Spesso donne e bambine corrono grandi
pericoli, proprio in famiglia, luogo ormai
non più sicuro. Per molte donne la casa
diventa il luogo della paura e della
violenza, violenza esercitata da mariti,
compagni, padri.
Queste donne vivono una sofferenza
non solo fisica ma anche psicologica a tal
punto da renderle incapaci di difendersi.
I nostri diritti vengono umiliati e le vite
delle donne spesso messe a rischio dalle
continue minacce e violenze subìte, in
quanto sin dall’antichità venivano
considerate esseri inferiori, ma questa è
solo un’antica ideologia impressa nella
mente degli uomini e che si tramanda da
generazioni. Il fenomeno della violenza
maschile sulle donne è un argomento
molto
importante
e
delicato,
erroneamente considerato, soprattutto
dalle popolazioni occidentali, come
lontano, come qualcosa che ormai non ci
riguarda più.
78
Basta prendere in considerazione la
nostra terra, in Italia, infatti, fino a non
molti anni fa, l' uomo che uccideva la
moglie o la fidanzata "per gelosia"
poteva contare su una attenuante
giuridica: il movente "d'onore", grazie al
quale se la cavava con pochi anni di
prigione. Una vergogna che affonda le
sue radici in un'eredità culturale arcaica
e (pensiamo alle 54 vittime del 2012)
ancora attiva: la femmina come
proprietà del maschio. Ancora oggi le
manifestazioni di violenza maschile sulla
donna vengono codificate dalla cronaca
con le parole "omicidio passionale",
"d'amore", "raptus", "momento di
gelosia", quasi a testimoniare il bisogno
di dare una giustificazione a qualcosa
che è in realtà mostruoso. Ma cosa si
può fare per contrastare questo terribile
e crescente fenomeno radicato nella
nostra cultura? Qualcosa è stato fatto,
negli ultimi tempi in particolare: oltre
alla nascita dei centri anti-violenza,
dotati spesso anche di case-rifugio, in
Italia sono stati istituiti corsi di
formazione dei Carabinieri, mentre in
tutto l'Occidente è stato introdotto il
reato di "femminicidio", con il quale si
tenta di passare il messaggio che
uccidere una persona perché ci si ritiene
proprietari del suo corpo, della sua vita,
della sua libertà, è un'aggravante
giuridica, e non più un’attenuante. Sono
grandi passi avanti, ma purtroppo
manifestare il dissenso probabilmente
non cambierà il fenomeno in tempi
brevi, non basta una legge per
salvaguardare il sesso femminile, ma col
tempo riuscirà forse a cambiare la
cultura e le mentalità. È in questo senso
che
occorre
impegnarsi:
serve
soprattutto
maggiore
educazione
famigliare
e
scolastica,
quella
formazione culturale che dovrebbe far
capire che tale violenza non è legittima,
ma conseguenza di pregiudizi legati alla
virilità, all'onore e ai diversi ruoli
maschili e femminili nella coppia e nella
società; che "amore" non significa
possesso della donna a cui chiedere
obbedienza assoluta, negandole la
libertà dei sentimenti. Indispensabile è
pure spingere le spose o le fidanzate a
non sottovalutare i primi segnali di
violenza, a non aver paura di
denunciare, benché ciò sia spesso
rischioso. Si tratta, quindi, di modificare
un fenomeno culturale che priva di
rispetto il corpo delle donne, facendole
sentire
inferiori
moralmente
e
socialmente. Questi sono limiti culturali,
assurdità che non si possono più
tollerare. È ora di dire basta, e siamo noi
donne a dover fare il primo passo, a
batterci per il nostro rispetto. Abbiamo il
compito di educare i nostri figli nel modo
giusto, di premere sulla società per
consentire
il
raggiungimento
dell'obiettivo, per ottenere uguaglianza
giuridica, politica, ma soprattutto
sociale. La violenza sulle donne non è un
gioco, parliamone!
79
Don Vincenzo Marinelli
La materia che insegno a scuola mi
pone costantemente a contatto con
ragazzi adolescenti desiderosi di
crescere culturalmente e umanamente
e di costruire un progetto di vita in cui
investire le proprie energie. Davanti a
quest’ansia di futuro, talvolta ancora
incerta, confusa e alternante fra le varie
ipotesi di approdo, ho l’occasione di
confrontarmi con i mille interrogativi
degli studenti, talvolta alimentati da
“luoghi comuni”, dal “sentito dire”, da
un modo di pensare plurale eppure
spesso appiattito, poco critico e
desideroso di autentica ricerca della
verità. Certo, non mancano i virtuosi
esempi, ma il pluralismo del sapere
sembra non offrire sapore, saggezza di
vita, quell’attrezzatura necessaria per
costruire
quel
progetto
tanto
desiderato.
80
La libertà umana è concepita in termini
desunti dalla imperante cultura tecnica
e scientifica come “libertà di potenza” o
“potenziale”. Essere liberi si intende
come “fare quello che voglio” nella
misura del tecnicamente possibile e
realizzabile. L’esercizio della libertà è,
in tal modo, posto sotto il dominio, la
tirannia della smisurata volontà che,
senza alcun argine, può arrivare a
desiderare anche quello che è indegno
del proprio essere, della propria
umanità. La concettualizzazione di una
libertà smisurata e assoluta conduce,
più che ad un potenziamento della
libertà stessa, ad un impoverimento
poiché la libertà è sempre “libertà da” e
“libertà per”, è sempre in relazione e la
relazione pone un argine alla pretesa di
assolutezza della libertà e alla volontà
del singolo. Poco si controbilancia la
libertà
con
l’identità,
pensando
l’esercizio della volontà legato a quel
che “io sono” e che “sono chiamato ad
essere”. Se riconosco di essere uno
studente (identità) sono chiamato ad
esercitare la mia libertà, nonostante la
pluralità delle varie possibilità di
esercizio, nell’andare a scuola, nel
compiere il mio dovere. Prima ancora
che per il regolamento scolastico o per
le sanzioni disciplinari, per me stesso.
Ci sono identità più profonde e
caratterizzanti la vita umana come
l’essere figlio, l’essere padre, l’essere
madre,
l’essere moglie e l’essere
marito che, lungi dall’essere una
prigione per la libertà, sono un vero e
proprio ausilio ad un esercizio autentico
della libertà e alla costruzione di
un’umanità
matura,
capace
di
affrontare integralmente le sfide che la
vita pone, senza selezionarle, senza
fuggirle o cercare soluzioni di
compromesso e accomodanti.
La maturità si sviluppa nell’esercizio
fedele della propria libertà in funzione
alla propria identità. È in questo
percorso che si rivela l’esperienza del
limite, della debolezza e della fragilità
umana, ma è proprio in questi luoghi
che si apprende a decostruire
l’immagine ideale di sé per accogliere e
amare la realtà di se stessi. È proprio
guardando la propria incompiutezza che
può aprirsi un duplice orizzonte. Quello
della
rassegnazione
e
dello
scoraggiamento, che stride fortemente
con il proprio anelito al meglio e alla
perfezione, o quello della fede che ti
annuncia che c’è un Dio, Gesù Cristo,
che ti offre il suo amore sempre,
nonostante i tuoi limiti, e ti offre la sua
grazia per dare compimento proprio a
quell’anelito di perfezione che hai nel
cuore e che, per suo dono e merito, si
chiama partecipazione alla figliolanza
divina.
81
Eugenia Panessa 2B
Guardatevi intorno, siamo tutti così
diversi, ognuno con le proprie
caratteristiche fisiche, con il proprio
sguardo stanco, vispo o perso nel vuoto,
ognuno con i propri pensieri ma
nonostante questo ad unirci vi è un'unica,
piccola e grande cosa, l'amore. Per il
semplice fatto di essere umani, noi
amiamo.
Di tipologie di amore ne esistono
tantissime, l'amore di una madre per un
figlio, l'amore tra due amici, l'amore per
l'arte, la danza o la cultura e infine
l'amore di due fidanzati, l'amore che si
porta
all'altare
e
quello
che
semplicemente si porta dentro, l'amore a
prima vista, l'amore omosessuale e il suo
bisogno di essere riconosciuto e tutelato
a tutti gli effetti, proprio perché non sta a
noi giudicare qual è la forma d'amore più
bella, perché in ogni sua forma l'amore ci
pervade, ci sconvolge e spesso ci cambia.
Secondo la mitologia greca, gli umani
originariamente furono creati con quattro
braccia, quattro gambe e una testa con
due facce. Temendo il loro potere, Zeus li
divise
in
due
parti
separate,
condannandoli a trascorrere le loro vite a
cercare l’altra loro metà; in seguito
Socrate si domanda se si ama solo ciò che
non si possiede e sembra indicare una via
d’uscita: certo, un povero ama la
ricchezza perché non la possiede, però
anche un ricco può amare la ricchezza e
un sano la salute nel senso che amano
poterle avere anche in futuro, in una
dimensione temporale, cioè, in cui non le
possiedono ancora.
82
Perciò è possibile continuare ad amare
una persona anche dopo averla
conquistata. Succede quando desideri
conquistarla anche in futuro. È la
tensione verso un obiettivo non ancora
raggiunto che tiene in vita Eros.
Bisogna sempre essere affamati, direbbe
Steve Jobs. L’amore vive finché si fanno
progetti e sogni in suo nome. Finché si
coniugano i verbi al futuro. Finché coloro
che si amano non smettono mai, almeno
un po’, di mancarsi.
Leopardi dice di aver bisogno d’amore,
amore, amore, fuoco, entusiasmo, vita: il
mondo non gli par fatto per lui. Montale
scrive:
“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un
milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni
gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo
viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si
vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di
noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto
offuscate,
erano le tue”
Montale si affida ciecamente della sua
amata, si sente vuoto senza di lei.
Dunque ogni uomo si è interrogato
sull'amore ed ha cercato di imprigionarlo
nell'inchiostro, ma l'amore è sfuggente,
distante, l'amore spesso viene confuso
con il dolore, con la rabbia e con le
delusioni, ma è in realtà l'unica cosa che
ci salva da tutto questo. L'amore ci
costringe a confrontarci con noi stessi, a
sfidare i nostri limiti, a evadere dagli
schemi, a cercare di abbattere muri,
distanze, problemi ed insicurezze.
L'amore è senza tempo, è tanto eterno
ed universale quanto intimo e soggettivo,
è l'unica cosa che ci resta quando tutto va
in frantumi e vale la pena di sopportare il
dolore, le attese, le ansie, le mancanze:
se in palio c'è l'amore, ne vale sempre la
pena. Amore che è incondizionato, amore
che per Pirandello “guardò il tempo e rise
perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno e di rifiorire
alla sera, senza leggi da rispettare. Si
addormentò in un angolo di cuore per un
tempo che non esisteva. Fuggì senza
allontanarsi, ritornò senza essere partito,
il tempo moriva e lui restava”.
L'amore dunque non ha regole, tempi,
schemi né definizioni, l'amore si scopre
soltanto amando ed io vi auguro di essere
amati sinceramente e profondamente e
di essere in grado di amare con
altrettanta sincerità, vi auguro di avere il
coraggio necessario per lasciarvi andare,
per vivere e per innamorarvi ogni giorno
tanto di voi stessi quanto della vostra
vita, il resto è relativo.
83
N0TERELLE DI UN
PROFESSORE
Prof. Maurizio Michele Caterino - Sede di Corato
Da oltre trent’anni dedico la mia vita
all’insegnamento.
Riandando
con
la
memoria e ripercorrendo le tappe di questa
mia lunga ed impegnativa esperienza,
filtrata attraverso il caleidoscopio della
giovinezza, ne scaturiscono diversi momenti
di riflessione che stimolano non pochi
confronti col presente. Ciononostante non è
mia intenzione prorompere in una filippica
del genere Cicero pro domo sua, né scivolare
in un’enfatica geremiade, frutto appassito di
un eteroclito laudator temporis actis. “Sono
per la verità, non importa chi sia a dirla.
Sono per la giustizia, non importa contro o a
favore di chi” (Malcolm X).
cultura chi ha coscienza di sé e del tutto, chi
sente la relazione con tutti gli altri esseri.
Cosicché essere colto, essere filosofo lo può
chiunque voglia”, in questi termini si
esprimeva Antonio Gramsci. Per tutte le
anzidette ragioni il ruolo e il compito
dell’insegnante mi affascinava perché era da
me reputato come una sorta di elevata
missione sociale, che però può discendere
solo da un’autentica e pura vocazione
fondata sul senso del dovere, su un forte
spirito di dedizione, su una non ordinaria
poliedricità di doti morali come volontà,
autorevolezza, assertività, comprensione,
perspicacia, autostima, pazienza, umiltà,
sensibilità, onestà intellettuale e intuizione
psicologica, nonché su solidi e profondi
convincimenti culturali dettati dall’impegno
nello studio, dalla passione e dall’amore
nutrito verso l’umanità per la trasmissione
non solo delle conoscenze, ma soprattutto
dei più preziosi valori etici e intellettuali:
l’unica speranza per chi ancora crede in un
mondo più giusto, fondato su valori cristiani.
Inoltre sono alquanto persuaso che per un
ragazzo giova molto di più imparare a saper
essere che a saper fare. “Si corrompe nel
modo più sicuro un giovane, se gli si insegna
a stimare chi la pensa come lui più di chi la
pensa diversamente” (F. Nietzsche, Aurora).
LA CULTURA E I COMPITI DELL’INSEGNANTE
Per definizione la scuola è cultura, stabilità,
mediazione, luogo di trasmissione della
memoria attraverso cui la comunità
definisce se stessa ed elabora il linguaggio
necessario alle persone per un reciproco
riconoscimento. È dunque il luogo
privilegiato non solo di elaborazione di
saperi, ma anche di formazione culturale e
umana, dove si impara ad essere cittadini
consapevoli. “Cultura non è possedere un
magazzino ben fornito di notizie, ma è la
capacità che la nostra mente ha di
comprendere la vita, il posto che vi teniamo,
i nostri rapporti con gli altri uomini. Ha
84
Di conseguenza, stabilendo come punto di
riferimento fondamentale la centralità della
persona, mi sono ingegnato nell’esporre,
senza
orpelli
aulici,
senza
inutili
bamboleggiamenti od ipocriti funambolismi,
analisi e ragionamenti originali, privi di
luoghi comuni, anche sfoderando idee od
interpretazioni, contro la communis opinio,
allo scopo di far sorgere interrogativi che
possano dischiudere la mente dei discenti,
per spingerli alla riflessione e per garantire
infine il formarsi di una propria autonoma
opinione. Tutto ciò allo scopo di sviluppare
nei giovani una coscienza critica solida,
limpida e schietta, affinché possano
diventare uomini liberi e riuscire da soli ad
intuire l’arcano senso della vita. “La cultura è
organizzazione, disciplina del proprio io
interiore; è presa di possesso della propria
personalità, e conquista di coscienza
superiore, per la quale si riesce a
comprendere il proprio valore storico, la
propria funzione nella vita, i propri diritti, i
propri doveri” (Antonio Gramsci).
LO STUDENTE CONSUMATORE
Dovendo spesso remare controcorrente, per
raggiungere le mete prefisse, forse un po’
troppo ambiziose, è stato necessario
superare - nei primi tempi della mia carriera,
nella fattispecie negli anni ottanta del secolo
scorso - l’egemonia, nella didattica e nella
pedagogia,
dell’impostazione
neopositivistica.
Tale
impostazione
puramente ideologica, si è poi dissolta
cedendo il campo, tra tante miserevoli
rovine, ad una sfarfallante pedagogia
subminimalista e ad una misera ed esanime
subcultura di massa, fatta di slogan
evanescenti ed immaginifici. Purtroppo in
queste false dottrine pseudopedagogiche,
ora molto alla moda, trionfa una conoscenza
superficiale,
confusa,
fuorviante
e
ridondante, che si limita a raccontare senza
spiegare, che appiattisce la psiche e che non
consente
un’obiettiva
ed
autonoma
ermeneusi.
Per
di
più,
liquidata
frettolosamente ed acriticamente anche
l’esperienza marxista, è subentrata, a piè
sospinto, un’espressione degenerata e
tragica della profonda crisi che oggi pervade
il capitalismo nella sua squilibrata fase
terminale: il mercatismo. Questa è una
teoria, dall’anima corsara, frutto di una
perversa rimasticazione del più cinico
neodarwinismo, che ha prodotto un
profondo marasma geopolitico conducendo i
popoli alla deriva politica e socio-economica,
che brama un mondo senza regole fondato
su un’etica individualista (l’individuo è la
misura di tutte le cose!) e che per di più si
genuflette dinanzi alle formidabili e
latomiche consorterie finanziarie planetarie.
Questo nefasto sistema dottrinale viene
malauguratamente introdotto ed applicato
in
modo
disinvolto
anche
nel
riarrangiamento della scuola, oltre che
naturalmente dello stato, quest’ultimo poi
squallidamente trasformato in un’azienda da
gestire in base agli andamenti del mercato,
ma “La base di uno stato è la giustizia
sociale” (Ezra Pound). E’ avvilente infatti
osservare in filigrana l’ingrato destino che
subisce la scuola, che viene trattata alla
stessa stregua di una comune impresa di
servizi, con debiti e crediti, con prèsidi
managers, con studenti infelicemente ridotti
a consumatori di formazione (data
ovviamente per scontata la rapida
obsolescenza del sapere specialistico) e con
docenti tramutati in anonimi progettisti ad
ore, seguendo un orrido stereotipo, dettato
dalla sinistra agenda dell’obliqua ed apolide
oligarchia globalista, modellato secondo un
cliché americano-centrico, riverberato dal
pensiero unico neoliberista. Quest’ultimo,
tuttavia, non ha proprio nulla del pensiero
liberale dell’epopea risorgimentale, perché è
incentrato solo sul business, ed è per giunta
intriso di un cinico e totalizzante
economicismo,
85
esasperatamente egoistico ed antisociale,
che ha tolto all’uomo la sua centralità, che
scuote dai fondamenti la civiltà europea e la
tradizione italiana, incentrate invece su di
una mirabile costellazione di valori
metastorici,
solidaristici,
estetici
ed
universali. Si tratta di un vero e proprio
regime totalitario transnazionale in cui la
dittatura viene esercitata in maniera
spietata ed aggressiva dalla finanza
speculativa e dai mercati che giganteggiano
implacabili
sui
popoli
inermi
ed
inconsapevoli, sfilacciandone poco alla volta
il tessuto sociale e condizionando ogni
libertà di scelta e di opinione, fino ad
intaccarne la stessa identità antropologica,
con lo sradicamento di ogni differenza e di
ogni valore condiviso e, massimamente, con
l’annientamento delle peculiari pluralità
tradizionali, etniche, sociali e culturali.
Ormai il confronto oggi non è più tra destra
o sinistra, ma tra la libertà di
autodeterminazione dei popoli e i
condizionamenti imposti dagli interessi delle
oligarchie che gestiscono l’apolide finanza
cosmopolita. Si è giunti perfino ad immolare
l’avvenire delle giovani generazioni, per
sedare le deliranti e fameliche turbolenze
sociopatiche dei mercati finanziari, divenuti
ormai pervasivi, onnipotenti ed intangibili.
LA SCUOLA-AZIENDA NEL PENSIERO UNICO
Per soprammercato, nella miope ed asfittica
visione aziendalista della scuola, come la
conoscenza è finalizzata ad una prestazione,
anche il merito finisce per essere
materialisticamente
inteso
come
prestazione in vista di un utile, senza
contare che poi bisognerebbe comunque
mettere veramente tutti in condizione di
poter gareggiare alla pari e quindi trovarsi
nelle condizioni di poter emergere e poi
eventualmente meritare. E così, il sapere si
riduce ad una semplice procedura orientata
all’utile, ma ovviamente anche le modalità di
realizzazione, organizzazione e valutazione
di tali competenze acquisite subiscono lo
stesso fatale destino, privilegiando il
cosiddetto pensiero unico ed impoverendo
vieppiù ogni capacità critica e di riflessione.
Ma siamo proprio sicuri, persuasi e convinti
che la concorrenza, l’efficienza e la
competitività siano le caratteristiche ottimali
per vivere e non sia invece molto più a
misura d’uomo un sistema socio-economico
cooperativo e solidaristico, che possa offrire
un tipo di vita filosoficamente e
spiritualmente
giusto,
conviviale
e
comunitario? Ritengo infatti che le esigenze
più profonde dell'uomo contemporaneo non
siano solo economiche, ma soprattutto
esistenziali: non scholae, sed vitae discimus!
LA SCUOLA E LA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO
Tuttavia coi tempi che corrono il compito del
docente diventa sempre più difficile e
complesso, per di più aggravato da un
singolare e velato disprezzo verso la cultura
scolastica, che forse a prima vista potrebbe
apparire surclassata dal web e dai massmedia.
“Se non state attenti, i media vi faranno
odiare le persone che vengono oppresse ed
amare quelle che opprimono” (Malcolm X).
Eppure un tempo ormai lontano la scuola
rappresentava un mezzo efficace di crescita
e di miglioramento del proprio essere e del
proprio status sociale, incidendo quindi sulla
intera compagine della società. Si può però
comprendere tale sconcertante novella
mentalità antiscolastica, se si paragonano le
pingui e smisurate prebende dei grand
commis o gli spropositati guadagni di
anonimi magnati della finanza o gli
scandalosi compensi di tanti ambigui
personaggi della società dello spettacolo o
gli incredibili vitalizi di tanti zotici e corrotti
politicanti con i loro furbi accoliti, a fronte
dei miseri ed incerti salari di ricercatori, di
studiosi, di letterati, nonché di molti giovani
preparati o di precari incanutiti, ai quali è
stato scippato il futuro e che si ritrovano
abbandonati a loro stessi,
86
in una situazione di paralisi della mobilità
sociale, in un tormento che può essere oggi
l’incertezza di trovare un posto di lavoro
malpagato e un domani sempre più lontano
l’incertezza del giorno di una miserrima
pensione. Ed ecco perché mentre in passato
gli eroi dell’immaginario collettivo ai quali ci
si ispirava erano santi, pionieri, inventori,
poeti,
scienziati,
romanzieri,
artisti,
navigatori, condottieri ed esploratori, oggi
gli eroi nell’epoca post-moderna sono i
partecipanti ai reality oppure le mediocri
attricette delle soap-opera, oppure tanti
insulsi showman o certi calciatori illetterati,
accompagnati da una caterva di personaggi
spocchiosi, tronfi oltre ogni pudore, triviali,
sciocchi e ignoranti, ma molto famosi, che
esibiscono le peggiori caratteristiche della
natura umana, come l’avidità, l’egoismo,
l’arroganza, l’ignavia, la vanità, il nichilismo,
la superficialità e talvolta anche altre
innominabili lubricità tipiche di un
iperedonismo acefalo.
LA SCUOLA, LA LIBERTÀ E IL MIRACOLO
ECONOMICO
D’altra parte, quello della società attuale è
un sistema il cui modello unico è fondato
sulle libertà individuali più basse, transeunti
e autoreferenziali, che scalzano il senso
interiore e più autentico della vera Libertà
(oggi a rischio!), quella che può fondarsi
solo, checché se ne dica o se ne voglia, dal
sacrificio e dalla disciplina; dare spazio e luce
alle libidini divistiche, alle smanie morbose,
alle frenesie narcisistiche o a certe lascive
ubbie ctonie – secondo certuni, le più
preminenti, proprio perché più istintive –
significa, allora, contraddire ogni forma
elementare di educazione, che prevede
precisi limiti ed imprescindibili confini, volti
a conferire forma alla sostanza di un uomo.
Ecco perché, purtroppo a scuola, oggi, con le
debite encomiabili, ma per fortuna
numerose eccezioni, non studia quasi più
nessuno, probabilmente nemmeno gli stessi
docenti,
fiaccati
da
un
iperbolico
burocratismo formalista ed autoreferenziale,
intimoriti talvolta dall’acredine di famiglie
periclitanti, o frastornati dalle impertinenze
di allievi impuniti ai quali tutto è concesso.
In un’epoca, neppure remota, tanto da
essere da me vissuta, sui banchi di una
scuola ancora tradizionale e gentiliana,
seppur per certi versi poco inclusiva,
apparentemente
severa
e
pedante,
piuttosto
centralistica,
ma
poco
burocratizzata, povera di scartoffie e di
mezzi tecnologici, ma brulicante di idee, di
entusiasmo e di passione, oserei dire anche
permeata da un fecondo spirito pionieristico
proiettato verso il futuro, si acquisiva
metodo
e
disciplina,
con
grande
abnegazione e con implicito senso del
dovere. Si imparava così a pensare e ad
introiettare determinati Valori, cioè si
imparava a Vivere.
Non a caso il sociologo Domenico De Masi
sostiene che “Chi ha studiato nella scuola
italiana degli ultimi trent’anni è senz’altro
messo peggio dei suoi genitori”.
Pertanto quella di prima era sicuramente
una scuola di vita e di pensiero, che fu
indispensabile e meraviglioso supporto per il
miracolo italiano del boom economico,
perché la conoscenza è cambiamento di se
stessi e della società. “Non smettete mai di
protestare; non smettete mai di dissentire, di
porvi domande, di mettere in discussione
l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non
esiste la verità assoluta. Non smettete di
pensare. Siate voci fuori dal coro. Siate il
peso che inclina il piano. Siate sempre in
disaccordo perché il dissenso è un’arma.
Siate sempre informati e non chiudetevi alla
conoscenza perché anche il sapere è
un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma
avrete contribuito a inclinare il piano nella
vostra direzione e avrete reso la vostra vita
degna di essere raccontata. Un Uomo che
non dissente è un seme che non crescerà
mai” (Sir Bertrand Russell, 1962).
87
Pasqua Cagnetta 2C
La musica accompagna l’armonia delle
sfere celesti e raggiunge la nostra
mente, anzi, è forse l’unico vero ponte
invisibile
che
scorre
dall’infinito
all’animo umano.
Il mondo è “governato” dalla musica;
basti pensare a quanti film si ricordano
per la loro colonna sonora, a quanti inni
e quante canzoni ricordano determinati
momenti storici, momenti belli e brutti
della nostra vita.
La musica salverà il mondo, come la
bellezza, e non solo per ragione estetica
o esistenziale, ma anche per una sua
misteriosa virtù terapeutica. La musica
cura la mente ferita perché utilizza un
linguaggio originario che precede i nessi
logici, i processi cerebrali e muove
corde originarie.
Cura i malati di Alzheimer e di Parkinson,
i disturbi autistici, le demenze e tante
altre sindromi. Talvolta aiuta anche ad
uscire dal coma, come è accaduto in
alcuni casi noti grazie alla cronaca.
Per me, la musica è un metodo per
uscire dalla monotonia quotidiana
perché mi permette di entrare in un
nuovo mondo in cui è sempre pronta ad
accogliermi.
Molte volte, mentre ascoltiamo la
musica, facciamo altre cose, pensiamo
ad altro e ci facciamo cullare dalla
melodia senza prestare attenzione,
senza cercare di capire ciò che
veramente vuol trasmetterci; altre volte,
cerchiamo anche di interpretare il suo
messaggio, ma spesso capiamo soltanto
ciò che vogliamo sentire: la musica può
essere vissuta in mille sfaccettature, con
tutto il suo valore emotivo.
88
Io nella musica ho sempre trovato un
rifugio: quando suono evado da tutti i
problemi, mi lascio andare; è un po’
come se sognassi ad occhi aperti, è
come se solo grazie ad essa riuscissi a
sopportare tutto quel che c’è da
sopportare. La musica non è solo un
piacere per le orecchie, come la
gastronomia lo è per il palato e la pittura
per gli occhi; è più completa perché può
arrivare a coinvolgere ogni nostro senso.
Se la mattina ascolto un po’ di musica è
per un motivo molto semplice: mi
permette di dare alla giornata la sua
giusta intonazione.
“È semplicissimo scegliere il proprio
umore perché abbiamo una coscienza
dotata di diversi stadi ai quali è possibile
accedere”, scrive Muriel Barbery nel
libro “L’eleganza del riccio”.
L’autrice esprime un pensiero profondo:
“la musica permette di entrare in uno
stadio molto speciale, altrimenti idee e
parole stentano ad arrivare. Occorre
lasciarsi andare e nello stesso tempo
essere super concentrata. Ma non è una
questione di volontà, è un meccanismo
che si mette in funzione, come per
grattarsi il naso o fare una capriola
all’indietro. E per metterlo in funzione
non c’è niente di meglio di un brano
musicale”.
Ad esempio io, per rilassarmi, ascolto
brani che mi fanno raggiungere un’altra
dimensione, distante dalla realtà; uno
stato in cui le cose non mi toccano
veramente, in cui vedo le cose come se
stessi guardando un film, quasi un livello
di coscienza distaccata. In genere per
raggiungere questo, ascolto del jazz
oppure i Dire Straits, altre volte, invece,
suono “Oblivon” di Piazzolla o “La vita è
bella” di Piovani.
Sono dell’opinione che la musica sia un
po’ come la libertà: a una persona si può
togliere tutto ma non la musica; e
quando a questa affianchi studio e
passione, puoi godere della “libera
vitalità”.
Vivo la musica con grande passione e,
come dice una famosissima canzone: “io
la musica non l’ho mai tradita e mai lo
farò”.
Il sax è lo strumento che mi accompagna
sempre. Per la sua sonorità al limite del
silenzio dà la possibilità di ottaveggiare,
cioè di esprimere gli armonici per ottave
anziché per quinte; è uno strumento
agile e ricco di effetti virtuosistici, con
un gamma dinamica di notevole
ampiezza.
H. Berlioz dice che la bellezza del sax
sta nel suo accento, a volte grave e
calmo, a volte passionale, sognatore e
malinconico o vago come l’eco dell’eco o
come il pianto indistinto della brezza dei
boschi.
La mia passione risale alla scuola
elementare, quando ho iniziato a
studiare gli strumenti musicali; è da
allora che il sassofono mi ha incuriosito
e, grazie ai sacrifici della mia famiglia, ho
potuto acquistarne uno e iniziare un
percorso di studio con il mio “Maestro”
che mi ha fatto amare sempre più il
mondo della musica.
Il mio sogno è di riuscire un giorno ad
insegnare ai bambini la musica; perché
“il bello della musica è che quando ti
colpisce non senti dolore” (B. Dylan)
89
Merilyn Roselli 5E
«Donare significa per definizione
consegnare un bene nelle mani di un
altro senza ricevere in cambio alcunché.
Bastano queste poche parole per
distinguere il “donare” dal “dare”»
afferma Enzo Bianchi in “Dono. Senza
reciprocità”.
Oggi è molto più diffusa la concezione
del dare che del donare.
Si è così succubi del principio di scambio
da non essere più in grado di donare
davvero, e soprattutto, non si riesce a
ricevere senza provare diffidenza, senza
pensare a cosa il donatore si aspetti, si
cerca quasi di ricambiare il dono il più
presto possibile per non sentirsi in
debito verso l’altro.
Siamo ben consapevoli del fatto che il
dono può diventare uno strumento di
pressione che incide sul destinatario,
può trasformarsi in strumento di
controllo, può incatenare la libertà
dell’altro, invece di suscitarla.
Anche il momento in cui si dona è
rilevante, oggi si dona in date stabilite:
compleanni, anniversari, giorni in cui il
beneficiario si sente in diritto di ricevere
qualcosa e il donatore in obbligo di
donarla.
Come scrive Theodor W. Adorno in
“Minima Moralia”, «il dono è sceso al
livello di una funzione sociale a cui si
destina una certa somma del proprio
bilancio, e che si adempie di malavoglia,
con una scettica valutazione dell’altro e
con la minor fatica possibile».
90
Tutto ciò è evidente soprattutto nel
periodo natalizio, durante il quale orde
di persone si accalcano nei centri
commerciali cercando un buon affare,
qualcosa di originale al prezzo più basso
possibile, tirando un sospiro di sollievo
nel mettere “una spunta in più” a
quell’insopportabile lista di regali da
fare.
La gente, persa nella frenesia della
routine, cerca di adempiere il prima
possibile all’obbligo di “dare” qualcosa,
dimenticando quanto sia bello, quanto
sia gratificante, impegnarsi, cercare il
dono perfetto per qualcuno, metterci
cura, amore, e alla fine vedere la gioia
del destinatario, stupirlo con qualcosa di
sorprendente, non con qualcosa di
necessariamente costoso, ma speciale.
È senza dubbio a conoscenza di quanto
sia gratificante donare, un giovane, Matt
Jones, che donò un rene, non per salvare
dalla dialisi una persona cara, ma solo
per la gioia di aiutare uno sconosciuto.
Mark Anspack afferma in “Cosa significa
ricambiare?”: «difficilmente si diventa
una persona generosa da soli: la
generosità è una cosa che si impara».
Infatti, grazie al gesto di Matt Jones si è
creata
una
catena
reciprocità
generalizzata: i parenti del destinatario
del rene, ne hanno a loro volta donato
uno.
Ben molto meno meritevoli sono coloro
che
esercitano
“la
Charity,
la
beneficienza
amministrativa
che
tampona programmaticamente le ferite
visibili della società” come Theodor W.
Adorno ci invita a riflettere. Si tratta dei
soliti ricchi, che dando una briciola dei
loro immensi capitali a “soggetti
bisognosi”, scelti molte volte a caso,
cercano di farsi propaganda agli occhi
della gente comune, la quale, a sua
volta, si limita ad inviare quei famosi
“due euro che possono cambiare il
mondo”, attraverso un SMS.
Sarebbe davvero necessario riflettere
sull’ipocrisia di questi gesti, smettere di
agire per il proprio tornaconto perché
«nel donare – sostiene ancora Enzo
Bianchi – c’è un soggetto, il donatore,
che nella libertà, non costretto, e per
generosità, per amore, fa un dono
all’altro,
indipendentemente
dalla
risposta di questo».
Nella società odierna ci vorrebbero più
“Matt Jones” che abbiano compreso
cosa voglia dire “donare se stessi”.
Donare se stessi non vuol dire donare
ciò che si ha materialmente, ma ciò che
si è, mettersi a disposizione dell’altro,
desiderare solo il suo bene, senza alcun
secondo fine.
Il donatore è colui che agisce
spontaneamente, che non conosce la
legge del tornaconto e che, soprattutto,
aspira alla Felicità dell’altro.
91
Alessandra De Nicolo 5E
Dare con assoluta spontaneità, liberalità,
disinteresse, gratuità, regalare, ma con una
sfumatura solenne: è l’arte del donare.
Sì, perche donare è un’arte sublime di cui più
nessuno è capace di capire l’importanza;
soprattutto oggi che, come sostengono
Marco Aime e Anna Cossetta ne “Il dono al
tempo di Internet”, «la Rete di certo
promuove la diffusione di una nuova cultura
del dono», nella quale quanto viene dato per
pura liberalità è costretto «entro piccole
mura fatte di specchi» che, se in un primo
momento «riflettono e amplificano la luce e i
legami», in un secondo momento si
traducono in un puro fallimento, data la
complessità del mondo contemporaneo.
Il dono d’oggi, infatti, è un qualcosa che non è
conforme alla realtà: non resiste «alle
intemperie, agli improvvisi venti del mondo
contemporaneo». E non solo questa
creazione di una “comunità immaginaria” fa
perdere l’essenza del dono; basti pensare al
dono fatto per “carità”; anzi, delle volte il
termine donare viene sostituito con fare
carità, come sostiene Enzo Bianchi in “Dono”.
“Dona 1€ ai terremotati del Nepal”.
Ultimamente vediamo questa frase in quello
scatolone di pixel e plastica. E per cosa? Per
“donare” una briciola a quelli che i mass
media ci indicano come “lontani”? Questo
non è donare, è fare carità.
Il significato che il significante “donare”
veicola è sempre frainteso e, persino,
banalizzato, come dimostra il fatto per cui,
molte volte, il dono diventa una scusa e viene
utilizzato per simulare gratuità e disinteresse,
ma dietro si cela un avvilente tornaconto,
legato al pensiero di “mercato del dono”;
difatti, il vero spirito del donare è provare
felicità e gioia nel solo immaginare la felicità
del destinatario e, il tutto, implica scegliere,
impiegare del tempo e uscire dai propri
binari. Nessuno è più capace di donare
perché ognuno pensa a ciò che piace a se
stesso. Per donare, invece, bisogna togliersi i
“paraocchi” della propria vita e guardare
verso l’altro, verso il percorso della persona a
cui si ha voglia di donare.
L’arte di cui sopra sta per estinguersi anche
perché è divenuta una ulteriore forma di
scambio mercantile: «Se ti comporti bene e
svolgi tutti i compiti, ti comprerò un
videogioco» – dice una mamma a suo figlio.
Sono gli adulti che devono educare i propri
figli al “dono”, ma chi educa gli adulti a
donare? «Anche i bambini squadrano
diffidenti il donatore, come se il regalo non
fosse che un trucco per vendere loro spazzole
e sapone» (T.W. Adorno).
Non è questione di donare oggetti, ma l’arte
del dono si traduce in arte d’amare e di
donare ciò che si è.
Se si ama, si dona e se si dona, si ama.
92
Luca Troiano 4C
Sapete cosa è iDoser?
È l’equivalente cibernetico degli stupefacenti
e funziona attraverso l’utilizzo di un software
(chiamato appunto iDoser) che ti permette
di scaricare piccole “dosi” di file sonori (di
solito non superano i 45 minuti) che
riproducono gli stessi effetti di alcune
sostanze stupefacenti.
Spinto dalla curiosità ho deciso di testare le
capacità del programma su me stesso.
Dopo avere scaricato la versione di prova ed
essermi munito di un bel paio di cuffie,
importanti per avere una maggiore
efficienza del suono, mi sono disteso sul
letto ad occhi chiusi. Avviata la dose
“Alcoholism” (di circa 35 minuti) che
dovrebbe riprodurre, come suggeritoci dal
nome, gli stessi effetti di una vera e propria
sbornia, ho subito avvertito un leggero
fastidio alle orecchie: le frequenze cui mi
“sottoponevo” erano inconsuete per il mio
udito, tuttavia a metà file ero ormai abituato
a quei rumori che mi hanno, a poco a poco,
indotto a stimolare l’immaginazione; in
testa, sempre più nitida, avevo l’immagine di
una nave in mare e i rumori che sentivo
erano quelli del motore e delle onde; a
questa “visione” si alternavano alcuni miei
ricordi estivi forse ripescati dalla memoria
proprio in seguito all’associazione mentale
con il mare.
Verso la fine della dose una strana melodia
ha preso il posto di quella precedente, i
rumori erano sempre gli stessi, ma il ritmo
era sempre più incalzante, e così è stato fino
alla fine del file. Terminata la registrazione
ho avvertito un leggero mal di testa, e per
circa un minuto ho continuato a sentire una
strana eco nella testa affiancata da leggeri
fischi
alle
orecchie,
ciononostante
continuavo ad avere piena coscienza delle
mie azioni e dei miei pensieri; terminato
completamente l’effetto mi sono reso conto
che riuscivo perfettamente a ragionare
come prima.
A questo punto ho pensato che iDoser possa
essere solo un espediente per sponsorizzare
un programma, a pagamento, e indurre i più
curiosi ad acquistarlo; ma, allo stesso tempo,
ho pensato che su altre persone potrebbe
funzionare (da un punto di vista meramente
psicologico) attraverso una specie di “effetto
placebo”: se ti aspetti di ritrovarti sotto
l’effetto di una sbornia, con l’aiuto di queste
frequenze, sarai portato a pensare di
esserlo. In definitiva, la mia domanda non ha
trovato una vera e propria risposta, che sia
tutta una trovata pubblicitaria?
93
Francesca De Sario 2D; Greta Del Vecchio 2C
Quando ero piccola avevo paura di molte
cose banali: la solitudine, il buio, il mostro.
Eppure tutte queste paure infantili hanno
in comune con le paure più “mature” degli
adulti un elemento importante nella vita
dell'uomo: l'incertezza.
Ciò che mi terrorizza, e non poco, è la
consapevolezza che non sempre esiste una
seconda possibilità, che non si possa
sempre rimediare ai propri sbagli.
Mi piacerebbe, ad esempio, ogni volta che
torno da un viaggio, credere che potrò
sempre rifarlo; ma poi in realtà so che non
è così. Vorrei, invece, che tutto si potesse
rifare, che noi potessimo scegliere quante
volte, senza preoccuparci che quella
passata sia stata probabilmente l'unica.
Però, per quanto l’idea mi spaventi, quando
mi fermo a riflettere capisco che c’è un
significato dietro a tutto questo, ossia che
se talvolta esiste un'unica possibilità di fare
qualcosa, è perché è la sua rarità a renderla
così speciale.
Sì, perché se poi un’esperienza diventa
routine, diventa abitudine, noia. Mi rendo
conto, quindi, che “assaporare” l’incertezza
a volte sia necessario per godere della vita
e non nascondo che capirlo non è stato così
semplice; forse perché nel contesto in cui
vivo la parola "incertezza" viene spesso
bandita e sostituita da un’illusoria
ostentazione di sicurezza.
Oggi, riflettendo, ho capito una cosa:
spesso evito di compiere delle azioni per
paura di soffrire, senza rendermi conto che
è questa paura la sofferenza stessa; spero
di ricordarmene la prossima volta che sarò
tentata dal non fare qualcosa che “temo”.
Una cosa che mi spaventa molto, e non
credo di essere la sola, è il futuro. Questa
paura accomuna sicuramente tutti i ragazzi
della mia generazione.
Chi non ha mai avuto paura non è umano.
O mente.
Per questo il mio ultimo pensiero va a tutti
coloro che cercano di schiacciare, di
soffocare la paura, ma anche a tutti coloro
che la evitano. Parlare della paura non deve
essere un tabù perché è l’unico modo per
superarla. L'uomo dovrebbe capire che
fingersi forte non è un segno di virilità, e la
donna che parlarne non è qualcosa per cui
sentirsi inferiori.
La paura è strettamente collegata alla vita e
la vita è positività, quindi superarla si può.
Se la vita non vi dà una seconda possibilità,
prendetevela voi! Abbiate coraggio!
94
Mariapia Binetti 2C
Se qualcuno chiedesse ai ragazzi “a cosa
associ la parola cibo?” la maggior parte di
loro penserebbe immediatamente a tutti i
posti e i cibi meno salubri, ma che al
giorno d’oggi sono i più comuni. In Italia
ormai sono più di 3 milioni i ragazzi che
soffrono di disturbi alimentari o altre
malattie causate da una cattiva
alimentazione. Tutto ciò perché succede?
Qualche anno fa un ormai ex ministro
delle politiche giovanili denunciava che le
famiglie non hanno un buona e completa
informazione al fine di controbattere alle
richieste sempre più pressanti e poco
consapevoli dei propri figli. I ragazzi d’oggi
sono inclini a consumare cibi spazzatura
che attirano la loro attenzione e
stuzzicano il loro palato ma che
danneggiano la loro salute. Un abuso di
questi cibi porta il ragazzo a sviluppare
problematiche di salute che, nel tempo,
possono peggiorare; personalmente penso
che sia la scuola che la famiglia debbano
giocare un ruolo fondamentale nella
sensibilizzazione del ragazzo a mantenere
un’alimentazione
sana,
cogliendo
l’opportunità di partecipare a convegni o
manifestazioni per accrescere la propria
competenza in materia. Penso inoltre che
molti giovani alla parola “alimentazione
sana” associno l’immagine di verdure e
legumi che, è risaputo, sono nemici dei
ragazzi perché poco appetibili; perciò
attraverso la formazione e l’informazione
bisogna far loro capire che parlare di
alimentazione sana significa mangiare tutti
quegli alimenti che aiutano il corpo ad
avere un equilibrio psicofisico. Un altro
fattore che determina la scarsa salute dei
ragazzi può essere la mancanza di
movimento intesa come attività fisica.
I giovani, tendenzialmente, preferiscono
trascorrere le loro giornate e ore libere
davanti ad uno schermo, che sia quello del
televisore, del computer o del cellulare,
evitando sport o passeggiate all’aperto,
non sperimentando più le forme dirette di
socializzazione con gli altri.
La situazione economica attuale, inoltre,
non sempre permette alle famiglie di
sostenere le spese per la frequenza delle
attività sportive dei propri figli; di
conseguenza molti ragazzi restano a casa
sviluppando le sopraccitate abitudini
sedentarie.
95
SPORT
È un vincente, nessun dubbio. Nel
basket e nella vita. E quattro chiacchiere
con lui, una sbirciata al suo mondo
privato, confermano la forza caratteriale
di Gianluca Basile.
Negli occhi ancora brilla quel fuoco che lo
spinse, giovanissimo, ad inseguire il suo
sogno, a diventare un campione della
pallacanestro. Senza, però, sacrificare gli
affetti e la vita privata.
Costruendo giorno dopo giorno, con
caparbietà, la sua carriera.
Conoscendolo bene, visti i legami
familiari e avendolo sempre seguito da
molto vicino, ho potuto incontrarlo
facilmente.
Ho pensato, intervistandolo, che i miei
compagni di classe e non avrebbero
gradito in particolar modo conoscere di
più il campione ruvese per cogliere
qualche messaggio importante dalle sue
parole.
96
Che tipo di adolescente sei stato?
Adolescente normale, molto timido, ma
con l'aiuto dello sport riuscivo a
integrarmi con gli altri.
Quali vittorie ricordi particolarmente?
Tutte le vittorie sono state importanti
perché ti permettono di capire se hai
lavorato bene o no, ma se devo scegliere
non ho dubbi, scelgo la medaglia
d'argento alle Olimpiadi di Atene 2004.
Quale era il tuo rapporto con lo studio,
la scuola, gli insegnanti?
Scuola e studio rapporto difficile. Ero un
testone, non mi applicavo, studiare mi
sembrava una cosa difficilissima. Tutto
l'opposto era quando dovevo usare il
fisico e le doti atletiche: mi veniva tutto
facile, qualsiasi sport.
Cosa hai imparato dalle sconfitte?
Ho imparato a non mollare mai, non è
stato tutte rose e fiori, la vita in generale
non è semplice, ma se ti applichi e coltivi
le tue passioni, i sogni posso diventare
realtà. La sconfitta ti serve per vincere.
Dalle sconfitte si capisce dove hai
sbagliato e ciò aiuta a non commettere
più gli stessi errori.
Quali sono stati i tuoi idoli o modelli di
riferimento?
All'inizio non avevo nessuno come idolo,
mi sono avvicinato al basket per caso e
non guardandolo in tv, poi più in là mi
piaceva Esposito che all'epoca giocava a
Caserta. Ma niente di che, non avevo
poster in camera.
Quale messaggio intendi trasmettere ai
giovani?
L'ho detto prima, coltivare le proprie
passioni e non perdersi d'animo quando
le cose ti sembrano impossibili da
risolvere. Coltivare significa lavorare
sodo, questo vale nella vita in generale,
non solo nello sport.
Chi ti ha trasmesso la passione per lo
sport?
La passione per lo sport, come dicevo
prima, era una cosa che sentivo mia, non
me l'ha trasmessa nessuno. Ho iniziato
con il basket, poi calcio, karate e tennis;
non mi sono fatto mancare niente, però
alla fine ho scelto il primo amore, il
basket., era lo sport che preferivo.
Ritieni di aver realizzato tutti i tuoi
sogni?
A 40 anni posso dire di aver realizzato
tutti i miei sogni.
Avete capito ragazzi?
I sogni vanno inseguiti sempre, le sfide
vanno sempre accolte senza timori e la
vita prima o dopo ci ripaga dei sacrifici e
ci dà ragione.
Grazie Gianluca! Siamo orgogliosi di te e
ti aspettiamo a scuola, nella tua Ruvo, per
salutarti e magari, perché no, per
ricevere una lezione di basket e disputare
una partita insieme a te.
Cosa rappresenta il basket per te, cosa ti
ha dato e ti dà ancora?
Il basket rappresenta la mia vita, è lo
sport che mi ha permesso di mostrare il
mio talento, ma non so cosa mi può
ancora dare. Forse mi permetterà, a 40
anni, di divertirmi ancora.
97
Luca Troiano 4C
Forse, leggendo il titolo, vi starete
chiedendo chi sia Giuseppe.
Giuseppe Ippedico è la persona che speri
sempre di trovare in classe con te, ma che
pochi (come me) hanno avuto la fortuna di
conoscere. È quell’amico di tutti, con il
cuore d’oro e la testa sulle spalle, non il
tipico “secchione”, intendiamoci, ma uno di
quelli che fa ciò che deve, come i compiti a
casa (non conto più le volte che mi ha
permesso di copiarli); più di tutto, però, è
una persona mossa da una sconfinata
passione per il Basket (coltivata sin da
piccolo) e da un altrettanto grande talento,
che dimostrava nelle ore di educazione
fisica umiliando i soliti cinque avversari con
almeno venti canestri di differenza
giocando a “campana”.
È stata proprio la sua grande stoffa a
metterlo nella posizione di scegliere di
continuare per la sua strada e diventare un
giocatore professionista (a Roseto degli
Abruzzi); ha infatti ricevuto una proposta di
trasferimento da un osservatore che aveva
notato le sue grandi capacità.
La sua decisione, per quanto sofferta, non
è stata difficile; ci comunicò fin da subito la
volontà di trasferirsi (alla fine del terzo
anno di scuola superiore) ma, nonostante
gli dispiacesse lasciare tutti i suoi amici, la
possibilità di inseguire il suo sogno era
davvero irrinunciabile.
Stavolta ti parlo direttamente: a tutti è
dispiaciuto che tu sia andato via, dai
compagni di classe all’intera scuola, ma
tutti sappiamo quanto sia importante e
incredibile per te l’opportunità di
trasformare la tua più grande aspirazione in
realtà e per questo non possiamo che fare
il tifo per te e sostenerti, anche da lontano,
nella speranza che un giorno tu riesca a
raggiungere il tuo traguardo e a tornare da
noi da campione;
perché vedi Giuseppe, tutto il TANNOIA ti
aspetta!
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Luca Troiano 4C; Paolo Stragapede
Nonostante un periodo tutt’altro che felice
per l’Italia sotto il profilo economico,
politico e sociale, in ambito calcistico le
nostre squadre si sono fatte sentire,
distinguendosi in Europa.
Nell’ultimo anno, infatti, i nostri club, in
particolare la Juventus, la Fiorentina e il
Napoli, hanno dimostrato di poter
competere a livello europeo anche contro
squadre più blasonate ed economicamente
più forti. È questo il caso di “dream-team”
come il Barcellona, il Real Madrid e il
Bayern Monaco, squadre tra le più temibili
al mondo.
Ciononostante, il calcio italiano si è distinto
nel confronto diretto con alcune di esse. La
Juventus, ad esempio, ha insperatamente
superato il quasi invalicabile ostacolo dei
“blancos”, in semifinale di Champions,
portando a casa una vittoria e un pareggio.
In Europa League, degno di nota è stato il
percorso del Napoli (da ricordare il netto
successo contro il Wolfsburg, che aveva
precedentemente sconfitto i nerazzurri) e
quello della Fiorentina (la quale è riuscita a
prevalere su squadre come il Tottenham, la
Dinamo Kyiv e la Roma). L’unico rammarico
è indubbiamente il fatto che nessuna delle
due sia giunta in finale; un traguardo che
sarebbe stato sicuramente alla portata dei
nostri club. Questa competizione, infatti,
non è vinta da un’italiana dal 12 maggio
1999 (trionfo del Parma).
Tornando alla questione Champions, le
ultime vittorie italiane sono quella del
Milan (nella stagione 2006-2007, con
l’eccezionale Pallone d’Oro vinto da Kakà) e
quella dell’Inter (nella stagione 2009-2010,
ricordata per il famoso Triplete); da allora,
sono seguiti anni bui per il calcio italiano
poiché nessuna delle “nostre” ha
conseguito alcun risultato notevole;
eccetto, appunto, quest’anno.
La voce dei nostri club è tornata, quindi, a
farsi sentire e speriamo di sentirla ancora,
sempre più forte, negli anni a venire.
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COMICITÀ
A chi di noi non è capitato di “amare” qualcuno
e di essere respinti proprio nel momento in cui
decidiamo di dichiararci con la frase “Scusami,
ma ti vedo solo come un amico”?
Questa frase è ormai diventata celebre ed è la
causa della Friendzone, fenomeno diffuso tra
le nuove generazioni di innamorati,
costantemente non corrisposti.
Come capire se sei nella Friendzone? È
semplice. Bisogna fare attenzione a non udire
mai queste 9 frasi: “Sono innamorato di
un'altra/o”: questa frase è forse la più secca e
diretta, tuttavia bisogna riconoscere l’onestà
di una persona che almeno non ci gira troppo
intorno. “Sei la persona giusta al momento
sbagliato”: tipica frase di chi ha paura di
deluderti, e che usa queste parole per sbatterti
nella Friendzone credendo di essere più
“delicato”. “Ho paura di perdere la tua
amicizia”: questa frase a volte è vera, ma in
altre comunque ti lascerà in bocca una
sensazione di amaro; ma se ci conosciamo da
appena tre giorni? ”Scusami, devi aver capito
male”: se la persona a cui fate gli occhi dolci vi
bacia come nei vostri sogni, userà questa frase
per giustificarsi nel momento in cui vi
dichiarate, aggiungendo che quello era un
“semplice bacio tra amici”. “Whatsapp
Friendzone”: questa Friendzone colpisce i
meno coraggiosi, che provando a dichiararsi
tramite WA con un “provo qualcosa per te”
ricevono la più infima delle risposte, due
spunte blu. “Non sono pronto/a per una
relazione”: in questo caso non avete l’assoluta
certezza di Friendzone, a meno che non
becchiate la persona il giorno dopo assieme a
qualche altro certamente molto più bello e
conosciuto di voi. “Esco da una storia lunga”:
ognuno ha i suoi tempi, ma se la tua storia
importante è finita da dieci anni penso tu mi
stia chiaramente friendzonando. “Ti vedo come
un fratello”: in questo caso vorrete rispondere
che l’incesto talvolta può essere una soluzione,
ma purtroppo per voi, la Friendzone vi ha
colpito e non c’è nulla che possiate fare per
uscirne. La parola fratello la odierete per
parecchio tempo. “Ti amo di bene”: questa è di
certo la formula più odiata in assoluto, in
particolar modo per la falsità della frase. Come
si può amare di bene? Non avrete risposta.
Nemmeno da chi ve l’ha detta.
Tuttavia la Friendzone non deve devastare
completamente l’animo. Basti pensare che
non siamo noi i fondatori delle delusioni
d’amore; la letteratura ci insegna che anche
autori come Leopardi e Dante sono stati
rifiutati dalle loro amate. E se non hanno avuto
chances persone con un curriculum come il
loro, cosa pretendiamo noi comuni mortali?
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SI RINGRAZIANO GLI SPONSOR:
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SI RINGRAZIANO GLI SPONSOR:
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SI RINGRAZIANO GLI SPONSOR:
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IL GIORNALE DELL’ISTITUTO TECNICO STATALE
ECONOMICO E TECNOLOGICO
“PADRE A.M. TANNOIA”
CORATO - RUVO DI PUGLIA
ANNO XIV NUMERO UNICO - MAGGIO 2015
DIREZIONE EDITORIALE
DIRIGENTE SCOLASTICO - PROF. GIOVANNI DE NICOLO
DSGA - DOTT.SSA ANTONELLA AMODIO
A CURA DI
PAOLO STRAGAPEDE
LUCA TROIANO
RAFFAELE DARDANELLI
CON LA COLLABORAZIONE DI
PROF.SSA GIACOMA STASI
PROF.SSA MARIA SUMMO
PROF.SSA ANNA CATERINA CARNICELLA
REDAZIONE
SEDE DI RUVO DI PUGLIA
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
PAOLO STRAGAPEDE
LUCA TROIANO
RAFFAELE DARDANELLI
‘‘Il sapere serve solo per darlo’’ - Scuola di Barbiana