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Il Casoretto è un quartiere della periferia orientale di Milano. Popolare per sua natura, abitato
com’era, negli anni Sessanta, dagli operai dell’Innocenti e delle altre fabbriche milanesi. Un
popolo cresciuto nel mito dell’Unione Sovietica e della Resistenza antifascista. Tenuto saldo
nella disciplina del lavoro e delle fedeltà al Sindacato e al Partito. Un quartiere “comunista”
senza tentennamenti.
Crescono nelle narrazioni dell’epica resistente e delle gloriose imprese dell’Armata Rossa
"torrente d’acciaio”, anche, Andrea e gli altri ragazzi del quartiere. L’antifascismo e il
comunismo sono il pane e il sogno quotidiani. Nessun dubbio, solo certezze sulla strada
maestra da seguire. Quella della lotta di classe eterodiretta e del lavoro subalterno. Delle
campagne elettorali, di quelle del tesseramento e delle feste popolari per finanziare la
burocrazia dirigente. Cose fatte dai padri e stabilite, come norma comportamentale data,
dalle riunioni di circolo e dalla vulgata popolare.
Bellini e gli altri ragazzi del Casoretto, nel percorso predefinito, si ritrovano all’Istituto Tecnico
Einstein. Quasi un privilegio nella scuola di classe persistente in quegli anni. Una iniziazione
propedeutica e indispensabile alla fabbrica; con un gradino di partenza poco più alto di quello
dei padri. D’altra parte, il capitalismo, nel crescente conflitto globale, ha bisogno di quadri
qualificati.
Non lo sanno, ma già soffia un vento diverso che arriva dai Campus americani che
rimbalzerà, luccicante, nel maggio francese. Per diffondersi ovunque; perfino nel Casoretto.
Viene soffiato dalla musica e dalle mode dei “giovani”. Dalle parole ribelli dei cattivi maestri:
Marcuse, Sartre, Don Milani, il Che, fra gli altri.
E il Sessantotto arriva nelle carne, nel sangue, nei sogni nuovi dei ragazzi e delle ragazze.
Prima, fu il sesso liberato dalle convenzioni e dalle paure. Il desiderio, finalmente, soddisfatto
senza artifici. Fino alle sperimentazioni più ardite.
Dopo, i viaggi in centro alla metropoli; dove la storia correva nei cortei usciti dalla Statale. A
incontrare il volto truce dello Stato. A prendere coscienza diretta della violenza del potere
contro ogni umanità subalterna in movimento.
All’inizio solo come gregari, ma, presto, come protagonisti diretti e liberati e autonomi nelle
proprie scelte collettive.
Le ragioni della rivolta di Bellini e degli altri ragazzi del Casoretto sono precise e ribelli,
anche, nei confronti del discorso di vita dei padri e dei nonni.
“volevamo vivere, stare meglio: mangiare, bere, scopare di più (…) essere liberi più di
prima”.
Guardano negli occhi i padri e le madri e i nonni sopravvissuti e dichiarano, con scandalo
felice, il loro rifiuto alla vita predestinata. Non attraverso un percorso privato, individuale,
egoista; ma nella scelta collettiva resistente e ribelle senza compromessi, dove la lotta libera
tutti!
“nessuno voleva la fabbrica di riferimento (…) nessuno voleva entrare all’Innocenti. (…) se il
comunismo è andare in fabbrica a lavorare, io non sono comunista!”
Andrea e Gianfranco Bellini, il Bongo, il Franza, il Morandi, Castelli il Rosso, Jack, Ettore,
Walter, Papo Beccandus, Carletto lo Sponta, Brazz il Matto, Elvezio, la Frinkia, Annarita, la
Betty, sono, in realtà, così comunisti che non sopportano le vecchie discipline organizzative.
Fatte di capi e di gregari obbedienti. Di punizioni per i disobbedienti e di privilegi per i
mediocri.
Si sentono liberi nelle idee, nell’agire, nei corpi e si battono direttamente senza
condizionamenti, comandi, discipline gerarchiche. La loro ansia è partecipare senza
mediazioni e compromessi al cambiamento, alla lotta corpo a corpo con il capitale e il suo
Stato. Cercano e trovano gli spazi dell’organizzazione autonoma. Costruiscono il loro pezzo di
corteo strutturato sulla voglia di essere protagonisti in ogni occasione. Capaci di valorizzare e
di dare importanza a ciascuno. Sia collocato nella prima o nella quinta fila dello spezzone
“Casoretto” del corteo: "cinque file da dieci. Volto coperto, 'stalin' in mano, chiave inglese in
tasca".
Quei cortei che divengono la prosecuzione delle assemblee, delle riunioni, delle letture, delle
discussioni, fatte con altri mezzi. Dove i corpi e le coscienze si mettono davvero in gioco;
quando arrivano le cariche brutali dei nemici, servi di Stato. Precedute dal buio fitto dei
lacrimogeni; sparati ad altezza d’uomo. Come nel primo anniversario della strage di stato: il
12 dicembre 1970. Quando 300 anarchici corrono, fino alla Statale, inseguiti dai carabinieri
inferociti.
I “katanga”, dopo una prima resistenza, si chiudono nell’università e i ragazzi del Casoretto
restano fuori a dare protezione.
Uno schianto duro e secco e, a pochi metri, cade, col cuore spaccato da un candelotto il
giovane Saverio Saltarelli.
La “Banda Bellini” capisce che quello è il tempo degli assassini: non solo della loro giovinezza
liberata.
Muoiono gli innocenti nelle stragi fasciste e di Stato; ammazzati lungo i cortei dalla più feroce
sbirraglia esistente; colpiti negli agguati dai sicari fascisti allevati alla morte.
La Banda ha ben chiaro quali sono i nemici: fascisti e sbirri vari. Senza dimenticare le varie
facce grottesche e feroci dello stalinismo: il partito, il sindacato. I famigerati Katanga “il
servizio d’ordine più odioso mai esistito”. Creato, all’inizio, come difesa dei cortei; divenuto,
subito, lo strumento di affermazione dell’egemonia del Movimento Studentesco (MS), poi
Movimento dei Lavoratori per il Socialismo (MLS), su ogni altra organizzazione della sinistra
estrema. Capace di punire, con crudeltà reiterata, chiunque si fosse messo in testa di
discutere le sue affermate posizioni di potenza.
BANDA è il nome spregiativo che proprio gli statalini danno a quelli del Casoretto. Come fa
sempre il potere per designare e sminuire gli avversari che si azzardano sul territorio proprio.
Banditi erano i partigiani e i contadini del Sud in rivolta. Banditi sempre i ribelli e il collettivo
del Casoretto porterà con orgoglio questo nome.
La banda Bellini si distinguerà in ogni corpo a corpo durante gli assalti delle forze dell’ordine
ai cortei. Senza calcoli di parte, solo per difendere chi cercava salvezza e tregua. Lo farà con
coraggio e determinazione in una vera e propria epica di nuova resistenza. Nei confronti,
pure, delle chiusure “democratiche” del Sindacato e del Partito della classe operaia.
Fra un orgasmo e una bevuta collettiva e la ricerca di quell’amore indispensabile. Corrono via
i Settanta, duri e meravigliosi, quali furono. Nel lungo prodigioso Sessantotto italiano, fino
all’ultimo disperato giorno che segnò la fine di un ciclo. Quando, pur cosciente della
situazione, Andrea accompagnò, per l’ultima volta, i più giovani del Casoretto nel centro di
Milano, il 14 maggio 1977.
La lunga camminata nel tunnel di silenzio della città rinchiusa e impaurita. Le sparatorie in
bella mostra e la morte e la rabbia disperata. Per la certezza che tutto stava finendo in quel
baratro di sangue senza orizzonti.
“ … ho sentito la puzza di morte. Una lunga e lenta agonia! (…) stavamo diventando la
federazione giovanile dei gruppi armati!”
Dopo, solo la paura e il nemico nuovo che si chiamava isolamento, e fuga nell’eroina. Dove
morivano i compagni, si bruciavano le speranze. La galera e la necessità di andare avanti
perché la “fine spaventosa” non era arrivata; ma neppure lo “spavento senza fine” si faceva
avanti.
Ti abbiamo visto, ancora, Andrea a ricordare e raccontare. A pugno chiuso contro qualche
tipo di sopraffazione; nelle strade e nelle piazze disoccupate dai sogni. Da riempire di rabbia.
Ti abbiamo ascoltato e voluto bene fino all’ultimo.
Quello che sei stato, quello che siamo stati. Quello che saremo nelle idee non deluse e
caparbie, nessun’altra storia e volontà potrà portarceli via.
La camminata verso Mapache, a cinque file da dieci, non è finita ancora, bastardi!
“let’s go”
“why not?”
Andrea Bellini è morto il 26 dicembre, aveva 65 anni!
"Brindo alle donne che non ho conosciuto, alle banche che non ho ancora assaltato, ai nipoti
che non ho mai avuto. Brindo ai compagni di un tempo, e alle loro ossa che biancheggiano al
sole..." [Paco Ignacio Taibo II, cuatro manos]