Civica Biblioteca Laudense: il censimento delle legature storiche

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Civica Biblioteca Laudense: il censimento delle legature storiche
Civica Biblioteca Laudense: il censimento delle legature storiche (secoli XV-XX)
Introduzione
Nata per la necessità di proteggere il contenuto del libro, la legatura si è andata tuttavia trasformando nel
corso dei secoli per dare bellezza ai libri stessi, seguendo via via mode e stili: si è così passati dalle severe
legature tardo gotiche con decorazione a secco, non in oro quindi, alle classiche decorazioni rinascimentali
in oro, ai fastosi decori barocchi a ventaglio, a quelli a merletti del Settecento e a quelli romantici
dell’Ottocento.
Fatta eccezione per le coperte che recano impresso il nome del possessore, un motto, un’impresa o le
legature stemmate o quelle firmate dal legatore, in generale non prima del Settecento tranne in area nordica,
il loro riconoscimento è spesso arduo. La ricerca per una collocazione cronologica, stilistica, topografica o
per un’attribuzione ad una bottega o ad una persona, può avvalersi di alcuni elementi indicativi quali i ferri,
gli schemi compositivi della decorazione, la tecnica, i materiali, la filigrana delle carte di guardia e il
confronto con gli esemplari già accertati. Ci troviamo di fronte ad una materia ostica, sfuggente, che
richiede approfondite conoscenze in ogni campo e che non si improvvisa per non cadere in errori grossolani:
ritenere ad esempio veneziana o romana una legatura solo perché il libro è stato stampato rispettivamente a
Venezia od a Roma. Nell’impegnativo lavoro di decodificazione dei segni inscritti nel complesso manufatto
qual’è la legatura, dove cercherà lumi il bibliofilo? Relativamente poco si è scritto sulla legatura italiana:
nota è la scarsità di supporti critici per quanto riguarda il Seicento e il Settecento: l’attenzione degli studiosi,
primo fra tutti Tammaro De Marinis nel secolo scorso, si è in genere rivolta al periodo rinascimentale.
Da qualche lustro tuttavia, anche in Italia si sta manifestando un risveglio di studi da parte di singoli
ricercatori. Ne fanno fede i lavori pubblicati o patrocinati da alcune grandi biblioteche quali la Casanatense,
la Vaticana e l’Angelica di Roma, la Braidense di Milano, la Nazionale di Napoli ed alcune importanti ma
isolate pubblicazioni a carattere monografico.
Completano il quadro dello stato attuale della legatura in Italia, l’avviato censimento delle legature
medioevali conservate nelle biblioteche italiane, la fondazione dell’ARA (Associazione amici della
Rilegatura d’Arte) ed alcune iniziative in campo accademico, quali le istituzioni di insegnamenti sulla storia
della legatura presso le Università di Udine e di Viterbo. Tali studi, pubblicati negli ultimi 15 anni, dopo i
fondamentali lavori di Giuseppe Fumagalli1 e di Tammaro De Marinis2, sono condotti con metodi scientifici
che tendono ad avvalorare anche il lato tecnico della legatura quali il materiale di copertura, il tipo di
supporto, i fermagli, il fissaggio dei nervi.
I cultori della legatura italiana, tributari da sempre di pubblicazioni di origine inglese e tedesca – basti
pensare ai lavori di Geoffrey Dudley Hobson sulle legature romane a placchetta dette Canevari e di Ilse
Schunke sul Maestro Farnese – da anni attendono una volgarizzazione di questo sapere unico, pubblicato in
riviste specializzate, note pressoché esclusivamente in ambiente accademico. Un aggiornato compendio
generale della legatura a carattere divulgativo e monografie ben documentate, avrebbero il plauso dei
bibliofili a molti dei quali al piacere di possedere legature fa riscontro l’insoddisfazione di non poterle
conoscere.
La ricerca
La ricerca delle legature di pregio della Biblioteca civica Laudense, è parte integrante del censimento dei
manufatti di pregio custoditi nelle istituzioni librarie milanesi e lombarde, avviato e portato a termine nelle
Biblioteche milanesi Braidense, dell’Università Cattolica, dell’Istituto Leone XIII, del Museo del
Risorgimento, della Scienza e della Tecnica, della Trivulziana, della Sormani, di Via Senato, della
Universitaria di Pavia, della civiche A. Mai di Bergamo, Queriniana e Museo diocesano di Brescia, di
Como, oltre al Seminario di Venegono.
Essa ha considerato tutte le 109 legature storiche, prodotte tra il XV e il XX secolo, provenienti in
maggioranza dalla Congregazione dell’Oratorio di Lodi, 18 di numero, eseguite in Francia, Germania,
Inghilterra, Italia, Spagna e nei Paesi Bassi riguarda:
- un’ introduzione che presenta i risultati dell’indagine;
- le riproduzioni delle legature;
- un catalogo costituito da una scheda per ciascun manufatto, organizzate in ordine alfabetico di paese e
cronologicamente, sono in generale provviste di luogo e periodo di esecuzione del manufatto, descrizione,
commento, note e bibliografia abbreviata;
- la bibliografia aggiornata al 2010;
- gli indici analitici: autori e/o titoli, cronologico e topografico di esecuzione delle legature, nomi dei
legatori, super libros, materiali di copertura, supporti, struttura, secondo il tipo di decorazione e di motivi,
ferramenta, provenienze, riutilizzo.
È stato qui adottato lo strumento informatico per dare diffusione alle conoscenze sull’integralità delle
legature possedute. Anche la Biblioteca nazionale Braidense di Milano (www.braidense.it) ha provveduto
sin dal 2002 ad attivare in sito di questo genere dedicato ad una selezione di 250 legature circa del XV-XVII
secolo, limitato tuttavia alle sole immagini. Anche all’estero si va affermando questo supporto: basi qui
ricordare l’imponente sito delle Biblioteche British Library di Londra (www.bl.uk), universitaria di Graz
(www.kfunigraz.ac.at/ub/sosa/einband/index.html), e congiunto della nazionale di Berlino, della Herzog
August di Wolfenbüttel e della Württembergische di Stoccarda (www.hist-einband.de) e della nazionale
scozzese di Glasgow (www.nls.uk/digitallibrary/bookbinding).
Questo contributo alla conoscenza bibliopegica delle raccolte della Biblioteca civica non ha, né può avere la
pretesa di completezza: si tratta infatti di un lavoro in evoluzione che, grazie al mezzo prescelto, è
suscettibile di interessanti prospettive, grazie alla diffusione planetaria di Internet.
Certo, questa soluzione differisce dai tradizionali cataloghi, tuttavia legati, specie in questi periodi di scarsi
quanto improbabili finanziamenti, ad eventi fortuiti, visto il costo che un catalogo di legature comporta per
l’inevitabile presenza di immagini, oggi necessariamente a colori, elevandone così l’impegno economico a
livelli spesso improponibili. Soffriranno forse, i bibliofili non potendo sfogliare le pagine di pubblicazioni,
magari realizzate in preziosa carta avoriata: non sembra tuttavia allo stato attuale, sussistere alcuna
alternativa, pena il perenne oblio delle legature.
L'identificazione del Maestro legatore o della bottega, costituisce uno dei maggiori problemi nello studio
delle legature antiche. La maggior parte di esse infatti, tranne in area nordica, non è né firmata né datata.
Nomi e iniziali laddove figurano inoltre, poco certificano di per sé: un nome impresso su una legatura può
riferirsi al proprietario od al libraio, e non indica necessariamente l'artigiano che ha rilegato il libro. Difficile
è talvolta anche identificare la provenienza di un manufatto: su legature tedesche del XV secolo, si sono ad
esempio trovati impressi motivi, non facilmente distinguibili da quelli in uso nel XII secolo in Inghilterra.
L'amatore che, con tutta la cautela del caso, voglia dilettarsi di attribuzione farà bene ad attenersi ad un
metodo rigoroso, conscio che per tentare una identificazione di legatori e botteghe, occorre procedere allo
studio sistematico di tutti gli elementi che concorrono alla creazione di una legatura. Anche se ciascun ferro
costituisce un elemento molto importante, ancorché non sempre affidabile per individuare un legatore od
una bottega, esso deve essere sottoposto ad analisi attenta e precisa poiché i ferri erano frequentemente
copiati e riprodotti, talvolta in modo assai rassomigliante. I ferri inoltre, potevano essere passati da una
bottega ad un'altra per la vendita o per la morte del legatore. Affinché si possa considerare certa l’identità
dei ferri di una bottega, occorre che le legature in esame presentino le stesse particolarità tecniche e
comportino un buon numero di ferri analoghi. Lo studio di una legatura dovrebbe essere completato
dall'esame della sua struttura: pellame, supporti dei piatti, rimbocchi, cuciture dei fascicoli, nervi, alette,
capitelli, fermagli, ferramenta. Purtroppo le possibilità di rilievo degli elementi strutturali del corpo del libro
sono limitate, tanto più che il loro uso non è sempre uniforme nella stessa bottega. Talvolta motivi e moduli
stilistici ricorrenti caratterizzano una bottega od un maestro legatore così da favorirne il riconoscimento: a
questo fine può essere determinante il confronto con altre legature di accertata attribuzione od il
suggerimento del déjà vu, di ciò che senza essere stato apertamente scritto è rimasto nella memoria
dell'osservatore come un indefinibile, talvolta illuminante ricordo visivo di analoghe legature. Infine, anche
se ciò può sembrare evidente, occorre tenere conto che la probabile data di esecuzione della legatura deve
essere compresa nel periodo di attività del presunto legatore. A proposito di difficoltà di attribuzione per
quanto riguarda i legatori, ricordiamo che numerose legature nel corso degli ultimi decenni, in seguito a
ricerche d'archivio e a studi più approfonditi, hanno cambiato paternità: a legatori noti sotto vari, talvolta
arbitrari pseudonimi, fu riconosciuta una precisa identità anagrafica. Studi piuttosto recenti (1999) ad
esempio, hanno consentito di identificare il Mendoza binder o Wanderbuchbinder con il legatore veneziano
Andrea di Lorenzo, attivo dal 1530 al 1555 ca. Possono pure esistere difficoltà nell’attribuzione dei
possessori di legature: basti ricordare i manufatti eseguiti per l'ambasciatore veneto a Parigi dal 1594 al
1597 Pierre Duodo, inizialmente attribuiti a Margherita di Valois, e le celebri legature romane a placchetta
Canevari, della metà del XVI secolo ca., definitivamente attribuite nel 1975, dopo una travagliata storia di
errate identificazioni, al patrizio genovese Giovanni Battista Grimaldi.
Durante la ricerca di notizie sulla provenienza dei manufatti, si è posta attenzione anche al tipo di filigrana
delle carte di guardia: il riconoscimento della loro provenienza è stato di limitato aiuto: ammesso di poter
individuare la medesima filigrana oggetto di indagine, essa può consentire di determinare solo il luogo di
acquisto della carta, non quello della legatura.
Vario si è rivelato lo stato di conservazione delle legature censite nel corso di questa ricerca. Diverse quelle
restaurate, con l’applicazione dei piatti originali su una coperta moderna, mentre altri esemplari sono in
discreto stato o necessitano solo di un’inceratura o di piccoli restauri; un certo numero avrebbe bisogno di
significativi interventi di sostegno. Le riprese digitali delle coperte sono state realizzate nello stato di fatto in
cui sono state individuate, senza alcun intervento di abbellimento.
I luoghi di esecuzione delle legature appresso proposti, sono stati elaborati sulla base della letteratura
ritenuta più affidabile attualmente disponibile: la varietà di esemplari evidenzia i limiti del presente lavoro,
per i quali difettano in genere, elenchi sulle botteghe e sui luoghi di attività: per l’elenco si rinvia all’Indice
cronologico di esecuzione delle legature (cfr. l’archivio Indici analitici).
Le legature più antiche risalgono al Quattrocento ad esclusiva connotazione italiana (14 esemplari), al pari
del periodo di transizione al secolo successivo (6). Nel Cinquecento, prevale sempre l’Italia con 43 legature,
affiancata dalla Francia (5), dalla Spagna (4) e dalla Germania (3). Se il Seicento non evidenzia un
particolare predominio anche per il limitato numero di esemplari, il Settecento rivela un’ esclusiva presenza
nostrana (10), ripetuta in misura non troppo dissimile (7) nell’Ottocento; numericamente trascurabile la
coppia di legature italiane del XX secolo.
Tra le coperte reperite durante la ricerca, sono da segnalare:
per il Quattrocento, una legatura eseguita:
-in Italia di gusto moresco (scheda 19);
- in Italia, dalla cornice ad emblemi religiosi (yhs) su base rettangolare (30);
- a Bergamo, dai fregi di utilizzo locale (27);
per il Cinquecento:
-nell’Italia settentrionale di tipo aldino;
-nel Veneto, di tipo liturgico (64-69);
- a Venezia, opera del legatore Andrea di Lorenzo(?) (72);
-in Germania del genere alla Fortuna (10);
per il Seicento:
- un volume lombardo o emiliano a ventaglio, una decina esemplari dei quali documentati (79);
per il Settecento:
-una legatura in cartoncino viola del genere a pizzo (90);
per l’Ottocento:
- in Italia, del genere romantico (98);
- a Milano, opera del legatore Luigi Lodigiani, dal decoro neoclassico (100);
per il XX secolo:
-in Italia, realizzata con materiali autarchici (104).
Seguono alcune considerazioni sull’avvicendarsi del tipo di legature e del loro decoro nei secoli XV-XX.
Considerazioni generali sulle legature dei secoli XV-XX
Legature del secolo XV
Nelle legature del Quattrocento che possiamo considerare tardo gotiche, ritroviamo le caratteristiche dei
manufatti del XIII e XIV secolo: copertura con assi di legno e assenza di doratura sulla pelle (vacchetta,
vitello, daino, cervo). Il fissaggio del corpo del volume alla coperta avviene utilizzando sottili liste di
pergamena o di pelle, e dal 1450 circa in poi di canapa o di lino: queste listarelle fatte passare attraverso un
foro dall’esterno all’interno dell’asse ove vengono fissate, solidarizzano il blocco dei fascicoli con la
copertura. Nei piatti compare il gioco, piccola scanalatura atta a favorire l’apertura del libro e l’unghiatura
(parte interna della coperta che deborda sui tre lati, il blocco dei fascicoli. La decorazione a secco, viene
attuata mediante punzoni, in origine di legno, poi in metallo (ferri) che, riscaldati imprimono il loro disegno
sulla pelle inumidita oppure specie in area nordica, mediante incisione del cuoio con un bulino. Molto
frequente l’uso di strutture metalliche sulle coperte: borchie e cantonali, a protezione dei volumi, di solito
di grandi dimensioni.
Queste legature, caratterizzate da assi di legno talvolta ricoperte solo per un quarto o per metà di pelle,
decorate a secco (senza oro), sono chiamate genericamente monastiche poiché originariamente gran parte di
esse furono eseguite nei monasteri. Verso la metà del secolo, si diffonde in Italia, proveniente da Napoli, la
decorazione qui introdotta dalla Spagna, detta mudejar: derivata dalla fusione di elementi romano gotici con
l’arte araba, è caratterizzata da composizioni geometriche, ottenute con ferri a forma di barrette diritte e
curve e da nodi (motivi a forma di cordoni intrecciati). Alla fine del secolo, si afferma una coppia di
strumenti atti a facilitare la decorazione: la rotella e la paletta. La prima consente di imprimere sulla pelle un
motivo, con rapidità e senza interruzione, la seconda facilita l’impressione a mano di fregi, specie sul dorso.
Nello stesso periodo, in Francia e in area nordica si diffondono le placche, già in uso dal XIII secolo, molto
rare invece, in Italia. Le placche sono ferri rettangolari di dimensioni variabili che per le loro dimensioni
vengono impresse con il torchio. Raffigurano di solito, scene dell’Antico Testamento, santi, personaggi
storici, figure allegoriche, simboli araldici, elementi decorativi come foglie e fiori: per la bellezza delle
incisioni, esse presentano spesso un maggiore interesse artistico delle rotelle. Nella seconda metà del secolo,
compare pressoché contemporaneamente a Venezia nel 1460 e a Napoli verso il 1480, la decorazione su
foglia d’oro.
Caratteristiche generali delle legature del XV secolo
1) Aspetto generale: ampio formato dei libri.
2) Piatti: assi di legno. Compaiono il gioco, l'unghiatura verso la metà del secolo, il cartone.
3) Copertura: vitello e montone, pelle di scrofa in area nordica. Cuoio di capra in Italia.
4) Borchie: a base circolare o a trapezio, generalmente in numero di cinque.
5) Fermagli: in cuoio o metallici, anche cesellati. Spesso quattro di numero in Italia, il primo in alto, il
secondo in basso la coppia rimanente lungo i lati dei piatti, fissati con tre chiodini disposti a triangolo.
6) Cucitura: su nervi, con anima in pelle allumata e, in Italia dopo il 1450, con un’anima vegetale.
7) Dorso: poco arrotondato all'inizio, poi più rotondo con dei nervi rilevati, talvolta doppi. In Italia, il dorso
è meno arrotondato rispetto alla Francia e alla Germania: i compartimenti privi di decorazione o delineati
solo da filetti a secco. Generalmente almeno tre nervi per i volumi in-folio, e due per quelli di piccolo
formato.
8) Capitelli: il cuoio del dorso ricopre il capitello cucito con degli spaghi o con delle sottili strisce in pelle.
9) Guardie: in pergamena o in carta.
10) Taglio: grezzo con titolo scritto ad inchiostro.
11) Decorazione: a secco. Inizio della decorazione in oro in Italia, nella seconda metà del secolo. Cornici di
filetti. Piccoli ferri su base geometrica, con motivi zoo- e fitomorfi e una o più placche in area nordica. In
Italia, lo schema ornamentale è caratterizzato da una o più cornici con un fregio centrale, in Francia da
cornici e da bande verticali nello specchio. Cuoio cesellato.
Rassegna in ordine latamente cronologico dei tipi di legatura, di decorazione e di iscrizioni presenti
nelle legature storiche italiane prodotte nel secolo XV
- medievale, genere (15): qui privo di decoro, si caratterizza per il materiale di copertura e i nervi in pelle
trattata con dei sali di allume su spessi supporti lignei, nei colori rosso o blu, borchie e fermagli con
aggancio sul piatto posteriore;
- moresco, decoro (19): mutuato dall’abbellimento mudejar adottato nelle legature coeve spagnole (106109), evidenzia dei motivi astratti, non caratterizzanti: barrette cordonate, cordami, nodi, losanghe,
cerchielli, croci, archetti;
- yhs, iscrizione (30): invocazione propiziatoria che permane sino ad almeno l’intero XIX secolo. La foggia
rettangolare entro cui compare è caratteristica del secolo, a differenza di quella circolare (45) nel secolo
successivo.
Le caratteristiche dei manufatti riguardano: la pelle allumata, il marocchino e la pergamena quali materiali
di copertura; i supporti in legno; i fermagli fino a quattro con aggancio sul piatto posteriore; il dorso poco
arrotondato; le alette in materiale di recupero o cartacee orizzontali; i nervi in pelle allumata tagliati nella
porzione centrale; i capitelli in spago; il taglio liscio, anche dorato; i rimbocchi rifilati anche con cura e
linguetta vuota in cuoio negli angoli; il decoro a secco realizzato a piastrella.
Legature del XVI secolo
In Italia proseguì in questo evo, l’influsso del decoro in stile moresco o mudejar: decorazione fiorita in
Spagna dal XIII secolo agli inizi del XVI, caratterizzata, nelle legature, da una o più cornici concentriche
con piccoli ferri che imprimono linee dritte e curve a imitazione di cordonetto, cordoncino a rigatura
diagonale, riunite in una miriade di combinazioni a formare nodi, anelli, lacci, rombi, circoli, croci
decussate; impressi a secco e disposti secondo vari schemi, questi ferri possono ricoprire tutta la coperta.
Pertanto, il termine mudejar può riferirsi, nel contesto di una descrizione, tanto alla decorazione quanto ai
ferri o allo stile nel suo insieme.
Nato e sviluppatosi nel periodo della Riconquista (dall’XI al XV secolo), questo stile, che deriva dalla
fusione di elementi gotici con altri di derivazione islamica, è il più importante e originale prodotto della
legatura spagnola. Veniva eseguito da artisti detti mudejares (letteralmente, coloro che sono rimasti),
perlopiù mori o ebrei islamizzati, rimasti in Castiglia dopo la riconquista cristiana. Nelle città conquistate si
erano stabiliti artigiani arabi i quali erano in grado di impiegare tecniche che avevano raggiunto un grado di
perfezione sconosciuto in Europa. Una delle attività maggiormente sviluppate fu quella della concia delle
pelli; la tecnica ispano-musulmana riusciva a ottenere, con i cordovani e le bazzane (pelli di capra e di
montone), cuoi fini, lisci e brillanti, adatti a ricevere la l’impressione di decorazioni assai più delle rozze
pelli di capra, porco, vacca, vitello o cervo che venivano normalmente impiegate nel resto d’Europa.
Lo stile mudejar venne introdotto in Italia attraverso Alfonso V d’Aragona, detto il Magnanimo, che nel
1443 conquistò il regno di Napoli e poi lo resse con il nome di Alfonso I. Il sovrano portò infatti al proprio
seguito legatori catalani, fra i quali Baldassarre Scariglia, che diffusero la conoscenza della decorazione a
imitazione di nodi e l’uso di riempire gli spazi liberi della coperta con singoli, piccoli ferri mudejar. Nel
Cinquecento, questo stile influenzò non poco la decorazione delle legature a Firenze, Milano, Venezia:
anche gli esemplari nostrani sono provvisti di cornici concentriche con barrette diritte e ricurve, cordami
intrecciati, nodi, cerchielli dorati modo florentino, questi ultimi particolarmente diffusi a Firenze nella prima
metà del XV. Più tardivamente, in Francia, dove le caratteristiche composizioni a nodi e barrette ebbero
grande diffusione. Le legature italiane come quelle spagnole difettano, a differenza delle legature di area
nordica, di figure.
Sempre in questo secolo tuttavia, specie nella prima metà del secolo XVI, l’Italia influenzò l'arte della
legatura con circa mezzo secolo di anticipo rispetto agli altri Paesi europei. In questo periodo, avviene la
progressiva sostituzione delle assi in legno e dei fermagli metallici, in favore dei piatti in cartone e delle
bindelle in tessuto: soprattutto si diffonde l’uso della decorazione in oro. La tecnica di decorazione in oro
sui piatti e sul dorso del libro, viene attuata mediante impressione di ferri a caldo (punzoni, placche, rotelle)
su una foglia d'oro. La superficie della pelle su cui è stato precedentemente riportata a secco il decoro, viene
cosparsa di una miscela di bianco d’uovo e di aceto che serve da appretto: su quest’ultima viene posta una
sottilissima foglia d’oro che subirà l’impressione del ferro riscaldato. Il calore provoca la coagulazione del
bianco d’uovo che così fissa l’oro alla pelle. Questa tecnica, richiede grande abilità ed esperienza da parte
dell'artigiano, perché ogni pelle ha caratteristiche particolari e reagisce in modo diverso alla doratura. Infine,
se i ferri sono troppo riscaldati, possono bruciare la pelle; se non lo sono abbastanza, l'oro non aderisce bene
perché solo con una giusta quantità di calore si riesce a far coagulare l'albume e a farlo reagire da fissante.
Occorre anche una certa abilità per imprimere i ferri due volte, facendo combaciare perfettamente le due
impressioni senza sdoppiare l'impronta. Questa tecnica era conosciuta in varie parti d’Italia già nel primo
quarto del secolo XV, ma i primi a comprendere e a sfruttarne le potenzialità furono verso il 1460, gli
umanisti padovani: questi ultimi, impegnati nella scoperta e nella rivalutazione dell’antichità classica,
ricavarono tecnica e modelli dalla tradizione islamica, grazie agli stretti rapporti commerciali di Venezia
con l’Oriente. La decorazione in oro si diffuse poi in Italia nei primi decenni del XVI secolo. Comparve
timidamente verso il 1510-1515 ca., nel corso delle guerre d’Italia (1494-1525), presso il libraio legatore
parigino Simon Vostre e fu poi impiegata regolarmente in Francia dal 1520-1525 circa: in Germania e in
Inghilterra venne di uso abituale verso il 1570 circa. Il successo della decorazione in oro determinò lo
sviluppo delle legature di lusso in cuoio e la scomparsa progressiva di quelle con copertura in tessuto, fino
ad allora prevalenti nelle legature preziose.
L’adozione di oro a bassa lega, a base di argento o di piombo e oro, specie nelle legature di area tedesca dei
secoli XVI – XVII sottoposte al rischio di ossidazione e annerimento, consentì significativi risparmi nel
costo della decorazione.
Tra i fattori che maggiormente determinarono il notevole incremento della legatoria nel XVI secolo,
figurano l'aumento della produzione libraria, originato dallo sviluppo della stampa a caratteri mobili e il
sorgere di una nuova classe di facoltosi committenti, di destinatari e di bibliofili. In questo contesto nascono
le preziose legature fatte eseguire da sovrani illuminati quali Francesco I e Enrico II di Francia, e da
facoltosi bibliofili quali Jean Grolier e Tommaso Maioli. In particolare, in Francia la decorazione in oro,
dopo aver assorbito e elaborato nei primi decenni del secolo, i motivi provenienti dall’Italia sia per quanto
riguarda i ferri che lo schema a cornici rettangolari concentriche, darà vita dalla metà del secolo, ad una
serie di prestigiose invenzioni stilistiche e influenzerà, di ritorno, la legatura italiana di quel periodo e dei
secoli successivi. In Germania nel XVI secolo, continua la produzione delle tipiche legature in pelle di
porco od in vitello, contraddistinte da cornici eseguite a rotella, decorate con personaggi, motivi floreali e
con la tipica palmetta: al centro dei piatti, compaiono frequentemente le placche con motivi ispirati alle
Sacre Scritture, alla Storia o con i ritratti di Lutero e di Melantone. In molte di queste legature, permangono
fino alla fine del secolo e oltre, elementi di tipo medievale come le assi di legno, le borchie, i fermagli in
metallo, il dorso arrotondato, i nervi rilevati e il taglio tinto in colori vivaci.
In Spagna, dopo la decorazione di tipo mudejar dei primi decenni del secolo, si afferma lo schema
decorativo detto plateresco, caratterizzato da una relativa uniformità, determinata dalla costante presenza di
cornici concentriche, realizzate con una, due, tre, raramente più rotelle: queste separate fra loro da filetti
bruniti per creare una impressione di rilievo, presentano una straordinaria varietà di tipici motivi spagnoli:
trofei militari, corazze, frecce, faretre, aquile, leoni, lepri, tartarughe, quadrupedi, viticci, teste di guerrieri,
cavalieri entro medaglioni.
Nello spazio rettangolare centrale della coperta, sono impressi secondo la libera inventiva del legatore,
numerosi, singoli piccoli ferri quali l’Agnello crucifero, la Madonna e il Bambino, i cherubini e la Croce, il
monogramma yhs, il grifone, l’unicorno, il pellicano, la fenice, la civetta, la conchiglia, il cuore aldino. Alla
fine del Cinquecento compaiono, al centro della coperta, ampie composizioni romboidali, quadrate ed
esagonali formate da rotelle, decorate in oro, che segnano il passaggio dallo stile rinascimentale a quello
barocco.
Per quanto riguarda la struttura, le coperte iberiche sono di solito eseguite in marocchino, in vitello o in
bazzana, con supporto in cartone. I fermagli presentano un aggancio sul piatto posteriore, il dorso
arrotondato, i nervi veri alternati a mezzi nervi, i tagli concavi talvolta decorati con il titolo del libro o con
artistici disegni a penna.
Le legature fin qui considerate hanno riguardato il cuoio quale materiale di copertura; si manifestano
tuttavia in Italia in questo periodo, anche quelle in tessuto, in velluto e in seta ricamata con fili d’oro e fili
d’argento, lavori di abilità e pazienza, eseguiti, in Italia e all‘estero, in comunità religiose femminili.
Caratteristiche generali delle legature del secolo XVI
Aspetto generale: libri di rilevante e piccolo formato. Questi ultimi compaiono agli inizi del secolo.
Copertura: marocchino, vitello, bazzana, pelle di scrofa.
Cuciture: su nervi doppi prima, semplici poi. Comparsa delle cuciture alla greca.
Supporto dei piatti: scomparsa progressiva delle assi in legno, sostituite da cartone costituito da fogli
incollati.
Dorso: arrotondato e liscio. In Italia nervo rilevato e nervo piatto alternati. In Francia, nervi numerosi e non
molto distanziati tra loro e due mezzi nervi, uno in testa e l'altro al piede. Alette lungo l’intero dorso.
Nervi: si affermano quelli di derivazione vegetale (canapa e lino ritorti) che sostituiscono progressivamente
le listelle di pelle allumata.
Capitelli: anima in pelle avvolta da spago.
Taglio: dorato e cesellato sulle legature di pregio.
Fermagli: due o quattro in Italia con la chiusura sul piatto posteriore in Italia, Francia, Spagna e sul piatto
anteriore in area nordica. Nella seconda metà del secolo, comparsa di bindelle in tessuto e in cuoio.
Guardie: pergamena o carta bianca.
Decorazione: verso l'inizio del secolo, viene attuata con dei ferri pieni e delle placche (area nordica)
impressi a secco. Affermazione del congiunto decoro a secco e in oro, dal 1520 circa in Italia, dal 1530 circa
in Francia. Cornici concentriche di singoli filetti o di rotelle. Intrecci di filetti e à la fanfare (a nastri
intrecciati e a fogliami) in Francia. Comparsa verso la metà del secolo, di ferri internamente e vuoti. Decoro
a mosaico. Legatura a cassoni (dogale). Nelle legature correnti, semplice cornice di filetti. Inizio della
decorazione a fregio centrale e agli angoli nella seconda metà del secolo.
Rassegna in ordine latamente cronologico dei tipi di decorazione presenti nei singoli gruppi delle
legature storiche prodotte nel secolo XVI
Francia
- a losanga-rettangolo, decorazione (4): nota almeno dal VII secolo nell’abbellimento di legature copte, è
stata ampiamente impiegata nel corso dei secoli in tutta Europa;
- a placca (7), decorazione: lastra di metallo incisa, utilizzata come i ferri per l’impressione di decorazioni
sulle legature. Per le sue dimensioni non può essere impressa a mano come gli altri ferri ma necessita
dell’ausilio di una pressa o di un bilanciere;
- à branchages o a rami fronzuti, decorazione (7): il nome indica motivi a forma di tralci ricurvi di quercia o
di alloro in uso in Francia dal 1570 al 1630 circa. Come semplici rami ricurvi compaiono negli
scompartimenti delle legature à la fanfare o a compartimenti geometrici delle quali sono elemento
caratteristico, mentre possono ornare le legature più semplici posti al centro dei piatti, intrecciati a corona e
agli angoli.
Caratteristiche: il frequente utilizzo del vitello; i supporti in legno e in cartone; i fermagli con aggancio sul
piatto posteriore; il dorso arrotondato; le alette (banda di pergamena, di carta o di tessuto, incollata sul dorso
del libro e fissata, sotto forma di alette, all’interno dei piatti quale rinforzo del dorso stesso e della giunzione
tra la coperta e il corpo del libro) a forma di trapezio; i nervi rilevati e numerosi in relazione al formato; i
capitelli ad altezza dei piatti; il taglio concavo (7); i rimbocchi rifilati con discreta cura e i labbri laterali
collocati sopra i risvolti di testa e di piede; il decoro a secco e in oro.
Germania
- a griglia di S. Lorenzo, decorazione (9): in uso dalla seconda metà del Quattrocento e del primo
Cinquecento prevalentemente in Francia ma come qui, anche in Germania, caratterizzata da fasce o bande
verticali parallele in numero da due a cinque, separate tra loro da filetti, delimitata da una cornice. Le fasce,
decorate inizialmente con piastrelle quadrate, poi con rotelle, aumentano di dimensioni verso la cornice.
- a placca, decorazione (11): cfr. la Rassegna, secolo XVI, legature prodotte in Francia
- a emblemi: regionali, decorazione (11): Sassonia; storici: i Riformatori Lutero, Melantone, Erasmo, Hus
(12); motivi biblici: la Crocefissione e la Resurrezione (11).
Caratteristiche: la pelle di porco, il vitello e la pergamena quali materiali di copertura; i supporti in legno e
in cartone; il dorso arrotondato; le alette in materiale di recupero o cartacee orizzontali; i doppi nervi anche
ben rilevati; i capitelli in cordame e in cuoio, posti a diretti contatto con le cuffie; i fermagli con aggancio
sul piatto anteriore; il taglio concavo, anche dorato e colorato; i rimbocchi rifilati con cura e una sottile
linguetta vuota negli angoli; il decoro a secco e in oro realizzato a rotella.
- alla Fortuna, decorazione (10): figura simbolica impressa al centro delle coperte, secondo l’iconografia
classica della divinità femminile: con i capelli sciolti sulla nuca e la vela al vento, sola o in equilibrio sul
dorso di un delfino. Quest’ultima immagine è, in Italia, la più diffusa; l’’aspetto della Fortuna che i legatori
italiani amano far risaltare è la fuggevolezza, perciò la mettono sul dorso di un delfino, simbolo della
velocità. Diffusa anche in area tedesca, compare sotto forma di una placca di ampie dimensioni,
apparentemente sprovvista di delfino.
Caratteristiche: il frequente utilizzo della pelle di porco e del vitello; i supporti in legno e in cartone; i
fermagli con aggancio sul piatto anteriore; il dorso arrotondato; le alette orizzontali; i nervi rilevati e
numerosi in relazione al formato; i capitelli ad altezza dei piatti; il taglio concavo; i rimbocchi spesso rifilati
con cura e una linguetta vuota in corrispondenza degli angoli; il decoro a secco e in oro.
Italia
- aldino, genere (52): volumi di piccolo formato, eseguiti anche su edizioni non aldine (in-ottavo),
caratterizzate da una sobria decorazione: una doppia cornice di filetti a secco e una singola dorata, con
piccoli ferri a motivo vegetale (foglie d’edera, rosette) all’esterno e all’interno dei quattro angoli, e un
semplice fregio al centro dei piatti stessi. L’ampia diffusione, dapprima negli ambienti universitari di
Padova, Bologna, Ferrara, Pavia, Firenze e Roma, poi in tutta Europa, specie a Lione, è posteriore agli anni
Venti del XVI secolo. Inusuale per il periodo, l’esemplare in cuoio marmorizzato proposto;
- moresco, decorazione di tipo (19): cfr. le Considerazioni generali sulle legature dei secoli XV-XX;
- dorato e cesellato, taglio, decorazione (52): detto anche taglio anticato, dal francese tranches antiquées,
cioè decorati alla maniera antica. Nel XVI e XVII secolo si affermò la tendenza, per i volumi con delle
legature di maggior pregio, ad arricchire la doratura con delle decorazioni a motivi cesellati e dipinti o
impressi con ferri da doratura. La cesellatura veniva eseguita manualmente mediante una specie di bulino
recante all’estremità un motivo in rilievo: terminata l’operazione il disegno dello strumento restava
impresso in cavo sul taglio del libro. La moda del taglio cesellato si protrasse fino alla fine del XVII secolo
e, in modo sporadico, nei due secoli successivi. La decorazione invece eseguita con ferri da doratura, era
effettuata con l’impressione di ferri caldi su foglia d’oro posata sul taglio grezzo o su quello già dorato,
utilizzando in questo secondo caso un oro di colore diverso dal primo.
- mezzo cuoio, legatura in, genere (35): propone delle assi lignee in vista, rivestite per circa un terzo dal
materiale di copertura, in uso anche nel secolo XVII.
Caratteristiche: bazzana, marocchino pergamena quali materiali di copertura; i supporti in legno e in
cartone; il dorso poco arrotondato; le alette in materiale di recupero o cartacee orizzontali; i nervi semplici
in pelle allumata tagliati nella porzione centrale o doppi nervi; i capitelli in cordame; i fermagli fino a
quattro con aggancio sul piatto posteriore; il taglio liscio, anche dorato e cesellato; i rimbocchi rifilati con
discreta cura e labbri laterali collocati sopra i risvolti di testa e di piede; il decoro a secco e in oro realizzato
a piastrella.
È stato possibile ipotizzare l’opera (72) di un legatore veneziano: Andrea di Lorenzo, attivo tra il 1520 e il
1550 circa di cui sono censite circa 370 legature.
Spagna
Mudejar, decorazione (106-109): cfr. le Considerazioni generali, secolo XVI
Caratteristiche: la bazzana, il marocchino, il vitello e la pergamena quali materiali di copertura; i supporti in
legno e in cartone; il dorso arrotondato; le alette in materiale di recupero o cartacee orizzontali; i nervi
semplici in pelle allumata tagliati nella porzione centrale o doppi nervi; i capitelli in spago; i fermagli fino a
quattro con aggancio sul piatto posteriore; il taglio liscio, anche dorato e cesellato; i rimbocchi rifilati con
discreta cura e labbri laterali collocati sopra i risvolti di testa e di piede; il decoro a secco e in oro realizzato
a rotella.
Legature del XVII secolo
Il periodo barocco, per quanto riguarda la decorazione delle legature, ha inizio negli ultimi decenni del
Cinquecento e si protrae fino agli albori del Settecento. In Francia, nell’ultimo quarto del Cinquecento,
vengono man mano sostituite le classiche cornici rinascimentali e gli spazi vuoti delle coperte sono riempiti
con una ridondante decorazione che ne ricopre tutta la superficie.
Nasce uno stile a scomparti simmetrici, quadrilobati, uniti tra loro da filetti e contenenti inizialmente rami
ricurvi, in seguito una miriade di piccoli ferri: in voga a Parigi dal 1570 al 1620-30 circa, questo stile venne
più tardi, nel XIX secolo, denominato, del tutto casualmente, à la fanfare.
La nuova maniera è caratterizzata da un certo horror vacui: l’intero spazio disponibile, delimitato da sottili
contorni a nastro, viene decorato con una miriade di ferri che hanno una funzione esclusivamente
riempitiva, legata alla fantasia dell’artista: spiralette, puntini, fiammelle, rosette, stelline. A Roma, in
particolare, questo tipo di decorazione fu realizzata nella bottega dei Soresini, soprattutto da Baldassarre
Soresini, attivo dal 1590 al 1634 circa. Egli realizzò molte tra le più lussuose legature del primo barocco
romano, utilizzando numerosi ferri di insuperabile perfezione, sia per la bellezza del disegno sia per
l’accuratezza dell’incisione: tritoni che suonano conchiglie, spirali che terminano con teste di delfino
affrontate, cornucopie intrecciate, nonché la cosiddetta gamma egizia con sfingi, erme, cariatidi, baldacchini
di protezione.
Sempre a Roma in pieno periodo barocco, dal 1650 al 1680 circa, questo tipo di decorazione assume una
particolare connotazione e si presenta sotto forma di manufatti di monumentale solennità, specie sui
voluminosi libri liturgici, caratterizzati da piatti suddivisi in numerosi compartimenti di varia forma,
occupati da reticolati, da seminati, da ventagli e da tipici putti alati accollati agli stemmi, talvolta arricchiti
da una decorazione a mosaico. Queste legature romane post-fanfare raggiungono la loro più completa
espressione verso il 1670 nella produzione dei fratelli Andreoli o Rospigliosi Binders. Molto diffusa inoltre
in Italia e caratteristica del periodo barocco, è la decorazione con ventagli e rosoni, utilizzati soprattutto sui
diplomi di laurea delle Università di Bologna, Padova e Pavia.
Agli inizi del secolo XVIII, a Parigi e più tardi altrove, ha molto successo un tipo di decoro a ripetizione
detto a seminato, costituito da uno o due ferri alternati, disposti in serie su tutto il piatto, a distanza regolare
tra loro: i singoli ferri, generalmente ben incisi e ben allineati, creano di solito una decorazione di piacevole
aspetto, che per la varietà e per la finezza dei ferri e per l’accuratezza dell’esecuzione, fa dimenticare
l’uniformità del modulo stilistico.
Avanzando nel Seicento, la decorazione si arricchisce di nuovi, eleganti motivi, realizzati mediante ferri
formati da numerosi, piccoli punti disposti in serie a costituire un disegno che richiama i lavori di oreficeria
in filigrana: sono detti motivi en pointillé oppure à la Gascon, dal nome del legatore francese che sembra,
per primo, li utilizzò.
Particolare rilievo assumono le legature alle armi sin dal Cinquecento: una classe di bibliofili colti e dotati
di grandi mezzi, ha voluto imprimere questo contrassegno personale di proprietà sui volumi nuovi, ma
anche antichi, che sono entrati via via a far parte delle loro eleganti biblioteche. Le armi sono impresse di
solito in oro su marocchini, vitelli di qualità o su pergamena, a secco su pelle di porco in libri di area
nordica: più raramente, sono ricamate su velluto.
Verso la metà del Seicento, compare sempre in Spagna un motivo ornamentale che avrà molta fortuna in
Italia: il ventaglio. Questo è costituito da un ferro a forma di lancetta, simile alla stecca di un ventaglio,
spesso lavorato a filigrana, ripetuto per un quarto di cerchio agli angoli: se replicato per un intero cerchio,
forma un rosone che è collocato di solito, al centro dei piatti. Sotto forma di un mezzo cerchio, compare
anche nelle parti mediane della cornice.
In alternativa alle lussuose ed elaborate decorazioni a pieno campo del tipo post-fanfare, a seminato e a
ventaglio, concepite e realizzate come elemento di prestigio del committente, si contrappongono dal 1630
circa, un tipo di legatura, semplice e elegante: è noto con il nome di legatura à la Du Seuil, dal nome di un
legatore parigino attivo in realtà nella prima metà del Settecento, allorquando questa decorazione era già da
tempo in uso. È contraddistinta da un inquadramento con due cornici concentriche, costituite da tre filetti,
due dei quali ravvicinati, il terzo lievemente scostato. La prima, forma un riquadro che delimita all’esterno i
piatti, la seconda è posta al suo interno, a metà circa dal centro, ove figurano spesso degli stemmi. Agli
angoli esterni od interni oppure in entrambi, sono frequentemente accantonati piccoli fregi triangolari o
romboidali, finemente disegnati, talvolta en pointillé (filigranati).
Dopo la metà e verso la fine del secolo, compare il merletto di tipo regolare, motivo derivato dall’uso dei
pizzi tipici della moda del tempo. Nel Seicento, questo motivo impresso generalmente a rotella nelle cornici
dei piatti e dei contropiatti, presenta un cuoio, riccamente decorate in oro.
Nei primi decenni del Seicento, inizia l’impiego delle carte decorate nelle carte di guardia, ad opera pare,
del legatore francese Macé-Ruette attivo nella prima metà del Seicento: ciò avviene anche nei Paese Bassi e
in Italia. Gli effetti cromatici sulla carta, sono ottenuti con una semplice spugna intrisa di tinte a tempera
oppure mediante inchiostri colorati deposti su una preparazione liquida, successivamente agitati con una
specie di pettine; sul foglio posto su questa superficie rimangono impressi i colori nelle più svariate
combinazioni ad imitazione del marmo (carte marmorizzate).
Questi ultimi vengono pure rivestiti specie in Francia, Olanda ma anche in Italia, da carte policrome
decorate. Tale innovazione non era solo intesa a fini decorativi ma anche dettata da ragioni tecniche, per
mascherare le macchie brune che apparivano sulle controguardie in corrispondenza di rimbocchi, dovute al
trasudamento del materiale adesivo. Inizialmente, soltanto le controguardie furono eseguite in carta decorata
ma per eliminare l’eccessivo contrasto tra la controguardia colorata e la guardia bianca, si passò in breve
alla posa di ambedue le guardie in carta decorata. Questo per le legature di maggior pregio, mentre per le
legature economiche continuava l’uso di fogli bianchi.
L’impiego di carte decorate nelle legature rimase limitato alle guardie fino verso la fine del secolo XVIII.
Dopo la Rivoluzione Francese si iniziarono ad usare le carte decorate anche per l’esterno delle legature,
soluzione dettata da ragioni economiche e non estetiche in quanto questo consentiva di fare economia,
essendo il cuoio diventato troppo costoso. Fanno eccezione le legature provvisorie alla rustica, o brossure,
realizzate talvolta già a partire dal secolo XVI con carte decorate.
Con le legature d‘archivio eseguite per ricoprire registri, atti notarili, giudiziari e documenti d’archivio,
risalta la funzione utilitaristica della coperta. Questi manufatti possono essere in cuoio naturale, ma anche in
pergamena. Ne esistono di differenti tipi: con piatti rigidi o flosci, generalmente muniti di lacci, con il
prolungamento del labbro anteriore, a copertura del taglio.
In questo secolo, non avvengono sostanziali cambiamenti nei materiali e nella tecnica di esecuzione della
legatura rispetto al secolo precedente. Continua l’uso del marocchino, pelle di capra conciata, specie per le
lussuose coperte e inizia a diffondersi la marmorizzazione sulle coperte di bazzana e di vitello. Il supporto di
copertura è il cartone. Sul labbro e sull’unghiatura compare spesso una decorazione di filetti e fregi a rotella,
in oro. Il dorso è a nervi oppure liscio: nei compartimenti, delineati da uno o due filetti in oro, compaiono al
centro, dei tipici fregi romboidali ad arabeschi e dei piccoli fregi negli angoli. Un particolare tipo di
ornamento detto alla grottesca caratterizza i piatti e il dorso seicentesco: è costituito da una serie di piccoli
spirali, giustapposte, impresse lungo l’intero dorso, così da formare una specie di reticolato.
Scompare poco a poco, il taglio cesellato, tipico del XVI secolo, sostituito dal taglio liscio, dorato o
semplicemente colorato nelle legature correnti.
La fantasia delle coperte del Seicento in cui si estrinseca il periodo barocco, si esaurirà agli inizi del
Settecento per cedere il passo ad una sobria, poco invasiva decorazione limitata al bordo dei piatti.
L’abbandono della parte centrale della coperta e il recupero della cornice, segna il passaggio dallo stile
barocco a quello rococò.
Prosegue l’utilizzo del tessuto come materiale di copertura. Si affermano le legature persiane, posteriori alla
conquista mongola del XIII secolo, databili dal 1400 in poi. Esse sono molto importanti per l’influsso
esercitato sulla legatura veneziana del Rinascimento. Eseguite in cuoio di capretto di colore bruno, sono
decorate in oro con tecnica esperta e gusto raffinato; il motivo più comune è la mandorla caudata, posta al
centro della coperta, ornata come negli angoli, con arabeschi e viticci, motivo dovuto all’influsso arabo.
Spesso le legature persiane sono a busta e la decorazione del piatto anteriore si ripete sulla ribalta.
Col tempo, questa decorazione divenne sempre più raffinata: si fece ricorso alla punteggiatura, alla
spruzzatura dorata, alla pelle ritagliata a filigrana su un fondo in pelle, in carta o in seta dorato o colorato, ai
compartimenti a cassoni dorati e laccati, alle fodere decorate. Dal XVI al XVIII secolo, le legature persiane,
per influenza delle civiltà dell’Estremo Oriente, vengono impreziosite con lacche brillanti, e recano dipinte
sui piatti immagini ispirate alla tradizione locale miniaturistica con scene di caccia o della vita di corte.
Dalle legature persiane e, più in generale, dall’artigianato islamico, la cultura occidentale ha mutuato l’uso
del marocchino, dei piatti di cartone, la decorazione in oro e tutta la gamma di motivi orientaleggianti ad
arabeschi.
Rassegna in ordine latamente cronologico dei tipi di legatura e di decorazione presenti nei singoli
gruppi delle legature storiche prodotte nel secolo XVII
Francia:
- ventaglio, decorazione a (8): a lungo si è creduto che questo modello di decorazione fosse stato creato da
legatori francesi seguendo la moda, portoghese prima, spagnola poi, dei ventagli: si dimostrò invece che in
Spagna si eseguivano legature a ventaglio sin dai primi anni del Seicento e, con tutta probabilità, già dalla
fine del Cinquecento. La decorazione a ventaglio cominciò a diffondersi in Francia e ancor più in Italia nella
prima metà del XVII secolo; perdurò fino ai primi decenni di quello successivo.
Ispirata ai merletti che, di gran moda all’epoca, furono oggetto di manuali illustrati sia in Italia sia in
Francia, questa decorazione è caratterizzata da un ferro a forma di petalo stretto e lungo: questo piccolo
ferro noto sotto il nome di lancetta, contiene al suo interno una fine decorazione di arabeschi, di motivi
fitomorfi o geometrici, talvolta filigranati. Termina a punta, con un motivo geometrico o a fiamma ed è
sovente sormontato da un semicerchio puntinato. Accostate e disposte in serie lungo un quarto di cerchio,
formano l’immagine di un ventaglio aperto; situate lungo i 360° di un cerchio a pieno giro, o attorno a un
ovale, danno invece luogo all’immagine di un rosone. Entrambe queste composizioni sono impresse sia con
piccoli ferri isolati sia con placche, spesso arricchite verso i margini da una serie continua di stelle, fiamme
o motivi floreali, oppure da una fascia di arabeschi o di motivi stilizzati.
I ventagli, generalmente inseriti nel contesto di esuberanti composizioni decorative, sono collocati agli
angoli interni delle cornici mentre i rosoni occupano in genere il centro dei piatti, soli o associati ai ventagli
angolari. Rosoni isolati, spesso circondati da piccoli fregi, rosette, stelle o altri ferri, occupano talvolta, tutto
lo specchio con placche di grandi proporzioni.
Italia
- archivistico, genere (78): eseguito per registri su fogli bianchi prima dell’utilizzo, o per atti notarili e documenti
d’archivio, legati successivamente alla stesura.
Caratteristiche delle legature del secolo XVII
Copertura: pergamena, bazzana, vitello bruno, pelle di porco, per le legature correnti; vitello, marocchino
per le legature di lusso.
Cuciture: su nervi semplici o doppi.
Supporto dei piatti: cartone e legno, in area nordica.
Dorso: a compartimenti o liscio. Ricco abbellimento negli scomparti con fregio romboidale al centro e agli
angoli in Francia. Titolo nel secondo compartimento oppure impresso direttamente sul cuoio.
Capitelli: in canapa o in seta, grezzi o colorati.
Taglio: tinto in rosso e blu. Dorati e cesellati e colorati per le legature di lusso.
Guardie: carta bianca verso l'inizio del secolo. Dal 1650 circa, carta marmorizzata policroma: solo sui
contropiatti all'inizio, poi anche sulle guardie verso la fine del secolo.
Decorazione dei piatti: lussuose legature con decorazione a piatto pieno del tipo à la fanfare, a seminato, à
la Du Seuil, à la dentelle in Francia, a ventaglio, specie in Italia e Spagna. Ferri a filigrana.
Legature del XVIII secolo
Il principale parametro per giudicare l’interesse di una legatura seicentesca è la ricchezza, spesso, la
ridondanza della decorazione che occupa gran parte o tutta la superficie della coperta. Nel Settecento, è la
cornice ad acquistare importanza e a costituire spesso l’unica decorazione: non mancano peraltro, in questo
secolo, le lussuose decorazioni in cui lo specchio suddiviso in vari compartimenti è riccamente ornato con
motivi a squama di pesce, reticolati e fogliami rococò, tipici di questo periodo. Il nuovo orientamento
decorativo, sottoposto come per il Seicento all’influenza francese, tende a creare uno spazio libero attorno
al motivo centrale o addirittura a fare a meno di esso, per valorizzare la cornice: questa diventa l’elemento
decorativo più importante della coperta. La cornice è costituita, di solito, da un motivo a pizzo (dentelle) o
floreale, associato o meno a fasce con fregi vegetali naturali o stilizzati, impressi a rotelle. Talvolta lo
specchio delle coperte non è completamente vuoto, ma può presentare al centro un fregio, di solito rococò,
associato o meno, ad elementi tipici dall’epoca: cartelle a reticolato, volute, fogliami, a monogrammi, a
stemmi araldici. La decorazione alle armi, assai spesso presente nelle legature di lusso del Seicento e del
Settecento, è in genere più importante sul piano storico che su quello stilistico.
Come per il secolo precedente, tranne rare eccezioni, scarne informazioni sono disponibili sulle botteghe
italiane.
I legatori tedeschi si ispirano agli stilemi in uso in Europa, privilegiando, specie nel periodo barocco e in
quello rococò, una decorazione a piatto gremito, costituita in genere da larghe cornici riccamente ornate e da
fiori e fogliami posti attorno a un grande fregio al centro dei piatti. Da segnalare in particolare, le legature
eseguite con queste caratteristiche, nel XVIII secolo, nel monastero di Ettal, in Baviera, da Gregorio Kühn.
Dopo la Restaurazione, periodo d’oro della legatura inglese, caratterizzato dal ritorno di Carlo II dall’esilio
olandese nel 1660, e fino al 1700 circa, si afferma il rectangular style, decoro che conferisce un particolare
risalto ad una cornice rettangolare al centro dei piatti.
Non accenna a diminuire l’uso del tessuto e del velluto per la copertura dei piatti. Uno degli aspetti più
caratteristici delle legature del Settecento è l’impiego dei pellami e delle guardie marmorizzati.
Rassegna in ordine latamente cronologico dei tipi di decoro presenti nelle legature prodotte nel secolo
XVIII
Italia
- rococò, decoro (86): qui sotto forma di ferramenta, riguarda il nome scherzoso derivato dal francese
rocaille che significa roccia, di cui lo stile rococò imita gli aspetti bizzarri e imprevedibili, sotto forma di
modelli mossi e sinuosi. Stile alla moda dagli inizi e lungo gran parte del XVIII secolo in tutta Europa,
caratterizzato da una decorazione ricca e multiforme: motivi curvi lavorati a forma di «C» o di «S», ovvero
ispirati dalla flora (foglie di acanto stilizzate), dal mondo degli uccelli e del ferro battuto, dalle cineserie con
soggetti di gusto orientale. La decorazione rococò venne utilizzata soprattutto nei motivi delle cornici, o
sotto forma di elementi isolati, talvolta a mosaico, variamente disposti nello specchio dei piatti.
- a pizzo, decoro (90): mutuato dal gusto transalpino, si ispira ai merletti di moda nell’abbigliamento sia
maschile sia femminile; i disegni, infatti, vengono copiati dai volumi che riproducono la trama dei pizzi e
delle trine degli abiti dei signori di qualità. Le dentelles mettono in risalto la cornice del piatto il cui centro
rimane vuoto o è occupato dalle armi.
Caratteristiche delle legature del secolo XVIII
Copertura: vitello, marocchino, specie nei colori rosso, blu, verde, oliva giallo e marrone. Per le legature
meno pregiate, utilizzo di cuoio di pecora (bazzana) o di vitello decorato a spruzzo o ad imitazione della
radica .
Supporto dei piatti: cartone.
Cuciture: su nervi.
Dorso: a nervi o liscio decorato meno riccamente rispetto al Seicento. Fregio floreale al centro e piccoli
fregi agli angoli.
Capitelli: a più colori.
Taglio: in oro, talvolta dipinto.
Guardie: carte decorate nei tipi più vari ( marmorizzate a pettine, a foglia di quercia, goffrate).
Decorazione: caratterizzata dalla predominanza della cornice ispirata ai merletti, impressa con la rotella o
con singoli fregi e in Francia, anche con ampie placche rococò. Verso la fine del secolo compare la
sobria decorazione neoclassica. Ferri in stile rococò. Mosaico per applicazione: specie in Francia.
Legature del XIX secolo
Nel corso di questo secolo sopravvengono alcune importanti modifiche nella struttura del libro: compare il
dorso liscio, senza nervi, staccato dal corpo del volume, il capitello eseguito a macchina, incollato
direttamente e non più cucito sulla cuffia. Ritornano di moda il dorso con nervi veri e apparenti, l’uso dello
zigrino, delle pelli e delle tele zigrinate e del marocchino a grana lunga e a grana rilevata. Si diffonde nella
seconda metà del secolo, l’economica mezza legatura e la legatura editoriale .
Nella decorazione interna del libro, compare la carta lucida (papier glacé), quella dai riflessi cangianti
(papier moiré) e sul taglio dei libri la decorazione in oro all’orientale (marmorizzata e dorata). La
decorazione è caratterizzata da numerosi stili, alcuni influenzati da motivi antichi, altri da fregi di nuova
concezione:
- neoclassico: in voga nel periodo di transizione tra il XVIII e il XIX secolo, influenzato dai rinvenimenti
archeologici di Pompei della metà del Settecento con greche, urne, anfore, sfingi, motivi che verranno
utilizzati in parte dallo stile Impero.
- Impero: caratterizzato da sfingi alate, urne, trofei e aquile. In questi due stili predomina la linea retta, in
particolare, le cornici settecentesche a contorni ondulati sono sostituite da inquadrature dal tracciato
diritto, contenenti motivi classici, greche.
- alla cattedrale: decorazione di stile neogotico, in uso dal 1825 al 1850 circa, in cui il piatto è occupato da
una placca raffigurante la facciata di una chiesa con guglie, ogive, trifore, rosoni e altri motivi medievali.
Sorto in Francia come riscoperta del Medioevo e sotto l’influsso di numerose opere che ne riabilitavano
l’arte, fu utilizzato da quasi tutti i legatori dell’epoca;
- Restaurazione: in vigore in Francia nello stesso periodo di quello alla cattedrale (1815-1825 circa), fa
anch’esso uso di placche caratterizzate da volute di foglie stilizzate associate ad un ornamento derivato da
motivi architettonici e a medaglioni, fregi, posti in rettangoli o in losanghe dai contorni talvolta mossi, tutto
in una grande varietà di composizioni;
- rocaille: compare verso il 1830 con motivi che si ispirano al repertorio ornamentale dello stile Luigi XV
(rococò). La placca è sostituita da fregi e ferri a volute piene e ombreggiate, impressi in coppia agli angoli e
collegati tra loro da filetti;
- pastiche, ad imitazione di decorazioni antiche (102): in uso verso la metà e nella seconda metà del secolo,
consiste nella copia fedele di una legatura decorata senza limitazioni di epoca o stile. Sono delle legature
anche di notevole pregio per la qualità dei materiali, delle ornamentazioni, la presenza delle controcoperte in
marocchino decorato, per la tecnica di esecuzione.
- retrospettivo (103): si ispira a uno stile anteriore le decorazioni, subendo tuttavia delle elaborazioni.
- art nouveau, nei generi di stile allusivo e floreale: comparve in Francia nella seconda metà del secolo, nato
da un’interpretazione dell’arte della legatura dissociata dagli schemi ripetuti per secoli. Esso è caratterizzato
nel primo, da una decorazione con uno specifico riferimento al contenuto del libro, mentre il secondo,
ispirato dalla natura, è caratterizzato da ampi fiori stilizzati associati a larghi nastri intrecciati, spesso ornati
a mosaico. Ebbe come grande ispiratore e realizzatore il legatore francese Marius Michel (1846-1925).
Nel complesso, tutte queste legature, non infrequentemente eseguite su eccellenti marocchini, in una
illimitata varietà di colori, dimostrano con la solidità strutturale, la decorazione di alta qualità e l’accurata
finitura, l’ abilità dei legatori del XIX secolo.
Tutt’ora presente in questo periodo non solo velluto e il tessuto quali materiali di copertura, ma anche il
tessuto adottato per le carte di guardia.
Tipo di legatura presente nelle legature prodotte nel secolo XIX
Italia
- editoriale, legatura, tipo e decorazione (99): essa riguarda una coperta eseguita direttamente dall’editore o
dallo stampatore o commissionata da terzi e si identifica, in questo secolo, con la legatura delle edizioni
industriali, sebbene già nei secoli precedenti si abbiano casi di edizioni messe in commercio già legate
dall’editore o dallo stampatore.
Caratteristiche delle legature del secolo XIX
I tipi di legatura in questo secolo sono numerosi; compare la legatura industriale.
Copertura: comparsa delle mezze legature in tela e in carta. Piena pelle per la legatura di pregio.
Marocchino a grana grossa e a grana lunga all'inizio del secolo.
Cuciture: comparsa delle cuciture industriali.
Dorso: con nervi rilevati o liscio riccamente decorato, fregi a paletta e nervi apparenti. Affermazione del
dorso mobile e della firma del legatore al piede.
Capitelli: incollati quelli industriali.
Taglio: decorato in armonia con le guardie. Dorato nelle legature di lusso.
Guardie: carte decorate nei tipi marmorizzati, a spugna, caillouté, a chiocciola.
Decorazione: piatti ornati con placca, associazione di decorazione a secco e in oro. Copia di legature in stile
cinque e seicentesco. Art nouveau.
Stili: impero, restaurazione, romantico (neo-gotico e alla cattedrale), à la rocaille, etrusco, retrospettivo,
flora ornamentale alla fine del secolo.
Legatori del secolo XIX di cui è stato possibile accertare il nome
Italia
- Luigi Lodigiani, Milano (100): fu il legatore di Eugène de Beauharnais, Viceré d’Italia, dal 1805 al 1814,
del suo consigliere, conte Étienne Méjan e di alcuni personaggi milanesi tra i quali come il Conte Gaetano
Melzi. Lo schema decorativo di Lodigiani è caratterizzato sui piatti da una sobria cornice rettangolare che
riprende lo stile neo-classico della fine del XVIII secolo e Impero dei primi del XIX secolo e da una ricca
decorazione sul dorso e spesso sui contropiatti: si avvale di ferri di alta qualità, finemente incisi, in gran
parte provenienti da Parigi.
- Adelmo Manicardi, Modena (102): non è stata rinvenuta alcuna notizia su questo artigiano.
Le legature della Biblioteca civica Laudense costituiscono il proseguimento di una sistematica indagine
sulle legature di pregio presenti nelle biblioteche lombarde. Inedite, vengono ora presentate al pubblico
come un invito alla loro conoscenza, ricche di fascino e di storia, ma pressoché sconosciute.
Milano, marzo 2012
Federico Macchi
1
L'arte della legatura alla corte degli Estensi, a Ferrara e a Modena dal sec. XV al XIX, col catalogo
delle legature pregevoli della Biblioteca Estense di Modena, Firenze, T. De Marinis & C., 1913)
2
La legatura artistica in Italia nei secoli XV e XVI. Notizie ed elenchi, 3 vol., Firenze, Fratelli Alinari,
1960.
1. Legatura del primo quarto (?) del secolo XIX verosimilmente eseguita in area tedesca
Erinnerungen auf die
Feldzüge
gegen
Preussen, die Pforse
und Frankreich, sec.
XVIII (1771-1820),
ms. cartaceo, cc. non
numerate,
354x218x25
mm,
segnatura
XXXI.A.22.
Provenienza:
dono
della
marchesa
Augusta Sommariva,
Lodi 10 dicembre
1934.
Cuoio verde scuro, a
grana
lunga,
su
cartone, decorato in
oro. Cornice a filetto
perlato e continuo,
ornato internamente
con una rotella che
raffigura
delle
palmette alternate a
corolle
stilizzate
svasate poste su
archetti. Un fiorone
accantonato. Dorso
liscio. Capitelli rosso
mattone e gialli.
Compartimenti
delimitati da una
banda
orizzontale
fiorita in testa e al
piede, caratterizzati
da quattro rettangoli
provvisti di due filetti
diagonali incrociati a
delimitare
un
cerchiello vuoto negli
spazi così creati e
motivi alternati a
scomparti ornati con
fregi stilizzati entro
una cartella. Taglio
dorato brillante. Labbro provvisto di un filetto ondivago. Carte di guardia lucida viola e nocciola. Margine
dei contropiatti decorati con un motivo stilizzato. Segnacolo in tessuto rosa. Stato di conservazione: buono.
I motivi massicci della cornice fanno propendere per una produzione in area tedesca. In legatoria,
prevalentemente a partire dal XIX secolo, si è proceduto come qui, a modificare artificialmente la grana
naturale della pelle, e in particolar modo del marocchino. Comprimendo la grana naturale con le tecniche
del martellamento, dello schiacciamento o della cilindratura, si può ottenere una grana schiacciata;
rinverdendola con rimaneggiamento e spazzolatura, una grana rilevata; stirando la grana naturale in una sola
direzione si ricava invece una grana lunga. Quest’ultima è stata particolarmente apprezzata, nella seconda
metà dell’Ottocento, dapprima in Inghilterra, dove pare sia stata inventata verso il 1766, e successivamente
in Francia. Se si considera, in aggiunta a questi interventi tecnici, l’alterazione che la pelle subisce per i
trattamenti di concia e per l’usura del tempo, si può facilmente comprendere come la grana non sia un
elemento tale da rendere agevole riconoscere i differenti tipi di pelle.
L’accavallamento del decoro nella cornice, mascherato da un fiorone di generose dimensioni, testimonia
l’utilizzo di una rotella1.
1
Ferro per la decorazione a secco e in oro, costituito da un cilindro metallico di vario spessore sulla cui
superficie curva è incisa in cavo o in rilievo la matrice di sottili filetti (disco molto assottigliato sui bordi:
rotella semplice) o la matrice di motivi decorativi (rotella ornata). Esiste un tipo particolare di rotella detta
tronca, dotata di una tacca lungo la circonferenza: viene utilizzata quando, nel tracciare il filetto, occorre
partire in maniera precisa da un determinato punto.
Non si conoscono esattamente luogo e nome dell’inventore della rotella: sembra che l’abbia utilizzata per
primo Johann Richenbach tra il 1467 e il 1484 a Geislingen, in Germania.
Con il nome di rotella si indica per estensione anche il motivo decorativo ottenuto con l’attrezzo. Riscaldata
e fatta scorrere sul cuoio, la rotella permette di eseguire una decorazione continua lungo l’intera cornice
molto più velocemente rispetto ai piccoli ferri, impressi singolarmente, con risparmio di tempo e di spesa.
La frequenza della ripetizione dell’immagine è in funzione della circonferenza della rotella. Per le
decorazioni di tipo monastico impresse a secco le rotelle sono incise in cavo secondo la tecnica dei sigilli
medievali, per cui si ottiene sul cuoio un disegno leggermente in rilievo rispetto al fondo brunito. Per la
decorazione in oro, le rotelle sono invece incise in rilievo così da imprimere nel cuoio soltanto il disegno. La
rotella è munita di un lungo manico che ne facilita l’impiego mediante l’appoggio sulla spalla in modo da
ottenere un movimento continuo e corrente sulla legatura: il motivo inciso sulla rotella può essere
orizzontale o verticale, unico o multiplo. Le rotelle hanno in media una larghezza compresa fra 1 e 2,5 cm e
una circonferenza variabile (sono note rotelle fino a 9 cm di diametro e una circonferenza di 28 cm). Strette
in origine, le rotelle divennero col tempo più larghe, richiedendo una sempre maggiore abilità manuale; le
più larghe sono chiamate anche rulli. La rotella a filetto semplice serviva in origine a delineare la cornice e i
compartimenti contenenti motivi a secco; conosciuta sino dal XIII secolo, si diffuse alla fine del XV secolo
in Germania. Nel XVI secolo comparvero rotelle più o meno larghe, con incisi motivi tipici dell’epoca
(rotella ornata): secondo la circonferenza, potevano esservi incise da tre a sei figure, generalmente allegorie
delle virtù o personaggi storici, talvolta alternati nella stessa rotella. Meno diffuse le rotelle con temi quali
l’Avarizia, la Superbia, l’Invidia. Quando in una rotella compaiono incisi degli acronimi, questi indicano il
nome del legatore o dell’incisore, più raramente del committente. Se su una stessa legatura compaiono
decorazioni eseguite a rotella, ciascuna con diverse iniziali, ciò significa che il materiale d’incisione è in
parte pervenuto da un altro legatore: per eredità, per un nuovo matrimonio della vedova, meno
frequentemente per l’acquisto dei ferri.
In area nordica, oltre alle rotelle con figure disposte longitudinalmente, usate per la decorazione verticale, si
impiegavano rotelle con figure disposte trasversalmente per ornare le bande orizzontali poste sopra e sotto il
campo centrale della decorazione. Allorché nella rotella sono rappresentati scudi con insegne araldiche,
queste possono orientare sul luogo di esecuzione della legatura: ad esempio le due spade incrociate, simbolo
araldico della Sassonia (Germania), suggeriscono l’origine sassone del manufatto
I fregi non paiono riferibili al momento, ad una bottega in particolare.
2. Riutilizzo dei piatti di una legatura del primo quarto del secolo XVI eseguita in Francia
Legenda haec aurea
nitidis
excuditur
formis clare atque
plurimum
censoria
castigatione…,
Lugduni,
Iacobus
sachon,
1500,
246x164x47
mm,
II.I.36.
Restauro:
Gozzi, Modena, 1928.
Provenienza: Joannis
Jacobi Maijeti.
Legatura alla quale
sono stati applicati i
piatti di una legatura
rinascimentale
francese in
cuoio
bruno
decorato
a
secco.
Cornici
concentriche
ornate
con degli archetti
cordonati intrecciati e
dei gigli. Tracce di
quattro bindelle. Dorso
mobile a quattro nervi
rilevati.
Capitelli
grezzi.
Carte
di
guardia
bianche,
rifatte.
Stato
di
conservazione:
discreto. Fiore del
cuoio
scomparso.
Volume restaurato.
La cornice ad archetti
cordonati intrecciati1
suggerisce un’origine
transalpina
del
manufatto.
1
BIBLIOTECA
NAZIONALE
BRAIDENSE 2002, n. 68, Horae Beatae Virginis Mariae, ms. membranaceo sec. XV, Ms. Gerli 44;
BIBLIOTECA COMPLUTENSE MADRID 2005, n. 25, Mancinellus Antonius, Opera, Lugduni, Johannes de
Vongle, 1500, INC-1-217; Casale Monferrato, Biblioteca del Seminario, Biblia latina, s.l, s.s., 1545
(MALAGUZZI 2002, p. 39, XXVI, tav. 38); Parigi, Bibliothèque Sainte Geneviève, Bréviaire, Senlis, ms. fine
sec. XV-inizio XVI, Ms. 2636.
3. Riutilizzo dei piatti di una legatura del secondo quarto del secolo XVI, non oltre il 1528,
probabilmente eseguita in Francia
Gellius, Aulus, A.
Gellii luculentissimi
scriptoris
Noctes
Atticae, Coloniae :
opera & impensa
Ioannis Soteris, 1526
mense Iunio (Coloniae
: in aedibus Ioan.
Soteris) Gelli noctes
atticae, 165x103x50
mm,
II.P.172.
Provenienza:
Petrus
Clerij(?),
Parigi
10.12(?).1528; Lodi,
S. Agnese. Restauro
Abbazia di Viboldone.
Legatura alla quale
sono stati applicati i
piatti di una legatura
rinascimentale di area
nordica in vitello
marrone su cartone
decorato a secco.
Filetti
concentrici
bruniti. Cornice dai
motivi a palmetta e
fogliati mascheroni,
testine antropomorfe,
urne. Dorso mobile,
liscio.
Capitelli
bianchi. Taglio grezzo
Carte
di
guardia
bianche
rifatte.
Rimbocchi rifilati con
discreta cura; quelli
laterali sono collocati
sopra i rimbocchi di
testa e di piede. Stato
di
conservazione:
discreto.
Fiore
e
sostanza del cuoio
parzialmente
scomparsi. Volume restaurato.
Il genere di decoro corrente, compare in area nordica1: l’iscrizione di possesso inchiostrata sul contropiatto
posteriore riferibile a Petrus Clerij(?) in data 10.12(?).1528 redatta a Parigi, potrebbe suggerire una
provenienza transalpina della coperta.
1
GID 1984, II, pl. 74-79, 87-89 (Francia); OLDHAM 2010, plate XXXVIII, XLI, XLII (Inghilterra).
4. Riutilizzo di una legatura del secondo quarto del secolo XVI eseguita in Francia del genere «a
losanga-rettangolo»
Aristoteles,
In
politica
Aristotelis,
introductio
Iacobi Fabri Stapulensis:
adiecto
commentario
declarata
per
Iudocum
Clichtouem Neoportuensem.
Item,
Oeconomicon
Xenophontis: a Raphaele
Volaterrano traductum, Paris
: ex officina Simonis
Colinaei, 1535; Leonardus
Aretinus,
In
libros
oeconomicorum Aristotelis,
Parisiis, Simon Colinaeus,
1526, 312x213x37 mm,
II.H.27. Restauro: Abbazia
di Viboldone. Restauro del
Libro. Provenienza: Io. Bru.
Gamb.;
Congregazione
dell’Oratorio, Lodi.
Legatura alla quale sono stati
applicati i lacerti in vitello
marrone decorato a secco.
Coppia
di
cornici
concentriche:
esterna
provvista di testine muliebri
entro mascheroni e urne,
interna a rosette. Una cartella
centrale
di
gusto
orientaleggiante
entro
un’ampia losanga. Dorso
mobile a sei nervi apparenti.
Capitelli bianchi rifatti.
Taglio grezzo: iscrizione
calligrafica con l’autore e il
titolo del volume. Carte
bianche rifatte e coeve.
Stato di conservazione:
discreto. Fiore del cuoio scomparso. Volume restaurato.
Il genere di cornice1 suggerisce un’origine francese della legatura.
La decorazione «a losanga-rettangolo», caratterizzata da una losanga inscritta entro un rettangolo oppure le
cui estremità incrociano quest’ultimo, è nota almeno dal VII secolo nell’abbellimento di legature copte, è
stata ampiamente impiegata nel corso dei secoli. Frequente in Italia, specie nelle legature veneziane del XVI
secolo nella forma di «losanga rettangolo»; in quella di «losanga ondulata» (undulating lozenge) compare
nelle legature eseguite da Andrea di Lorenzo o Mendoza binder, dal Fugger-Meister e da Anton Ludwig. Si
ritrova nel periodo rinascimentale con il tipico aspetto di losanga rettangolo anche su legature di area
francese, spagnola e nordica.
1
GID 1984, II, pl. 92-98 (cornice esterna); GID 1984, II, pl. 62-67 (cornice interna).
5. Legatura del terzo quarto del secolo XVI eseguita in Francia
Historia
Joannis
Cochlaei de actis et
scriptis Martini Lutheri
Saxonis
Chronografichè
ex
ordine ab Anno Domini
M.D.X.VII usque ad
Annum
M.D.XLVI.
inclusiuè
fideliter
descripta,
&
ad
posteros
denarrata,
cum indice et edicto
vvormartiensi,
Coloniae,
apud
Theodorum Baumium
sub Sole aureo, 1568,
166x104x48
mm,
II.O.133.
Cuoio bruno su cartone
decorato a secco e in
oro. Coppia di cornici
concentriche a filetti.
Un fregio di tipo aldino
negli angoli esterni del
riquadro interno. Un
motivo
cuoriforme
centrale.
Dorso a
quattro nervi doppi
ricamati.
Alette
a
trapezio di riutilizzo.
Capitello
grezzo
spezzato
in
testa,
assente al piede. Taglio
grezzo.
Carte
di
guardia
assenti.
Rimbocchi rifilati con
discreta cura; quelli
laterali sono collocati
sopra i risvolti di testa
e di piede. Stato di
conservazione:
mediocre. Fiore del
cuoio diffusamente svanito. Piatti in fase di distacco dal blocco. Angoli ricurvi e sbrecciati. Corame in fase
di distacco lungo il dorso.
I numerosi nervi rispetto al limitato formato del volume, le catenelle di aggancio in testa e al piede della
costa, le alette a trapezio1 e l’impianto ornamentale suggeriscono un’origine transalpina della legatura.
1
GOTTLIEB 1910, col. 18.
6. Legatura del terzo quarto del secolo XVI eseguita in Francia
Dionysius:
Halicarnassensis,
Dionysii Halicarnassei
Antiquitatum,
siue
originum Romanorum,
libri decem, Sigismundo
Gelenio
interprete.
Adiecim vndecimum ex
versione
Lapi:
ac
indicem rerum notatu
dignarum
locupletissimum,
Lugduni : apud Ioannem
Frellonium,
1561
(Lugduni : excudebat
Symphorianus
Barbierus), 125x85x45
mm,
II.P.82.
Provenienza:
Congregazione
dell’Oratorio, Lodi.
Cuoio testa di moro su
cartone decorato a secco
e
in
oro.
Filetti
concentrici. Fregi pieni
di tipo aldino negli
angoli
esterni
del
riquadro interno. Una
coppia
di
fregi
orientaleggianti azzurrati
addossati al centro dello
specchio. Aletta cartacea
verticale.
Capitelli
azzurri e grezzi. Dorso a
quattro nervi rilevati.
Una rosetta centrale nei
compartimenti. Tracce di
due bindelle. Taglio
grezzo con scritta Alicar.
Hist.. Rimbocchi rifilati con discreta cura: quelli laterali sono collocati sopra i risvolti di testa e di piede.
Stato di conservazione: mediocre. Cuoio stropicciato e dal fiore parzialmente scomparso. Cerniere molto
indebolite. Angoli dei piatti ricurvi. Blocco in fase di distacco lungo dorso. Dorso interno visibile per il
cedimento materiale di copertura.
I numerosi nervi, quattro, in relazione al limitato formato, e il genere di motivi orientaleggianti al centro dei
piatti testimoniano l’origine transalpina della copertura.
7. Legatura del primo quarto del secolo XVII eseguita in Francia del genere à branchages
Dornavius,
Caspar,
Amphiteatrum sapientiae
socraticae joco-seriae,
hoc est encomia et
commentaria
autorvm,
qua
veterum,
qua
recentiorum
prope
omnium…,
Hanoviae,
Typis
Wechelianis,
Impensis Danielis ac
Davidis Aubriorum, &
Clementis
Schleichii,
1619, 367x215x78 mm,
II.C.45.
Vitello
marrone
su
cartone decorato a secco
e in oro. La cornice
dorata a un filetto
delimita
una
placca
centrale a rami fronzuti
(70x50 mm). Dorso a sei
doppi nervi semplici
ricamati rilevati. Capitelli
scomparsi.
Alette
cartacee a trapezio. Nel
secondo compartimento,
la
scritta
«AMPHIT./SOCRATIC
A»; corolle stilizzate
entro filetti filigranati su
base losangata. Taglio
grezzo. Carte di guardia
assenti. Rimbocchi rifilati
con discreta cura: quelli
laterali sono collocati
sopra i risvolti di testa e
di piede. Stato di
conservazione: mediocre.
Fiore
del
cuoio
parzialmente scomparso.
Piatti in fase di distacco.
Angoli dei piatti ricurvi.
Il termine francese à branchages indica dei motivi a forma di tralci ricurvi di olivo o di alloro, in uso in
Francia, a Parigi, dal 1580 circa nella bottega di Nicolas Ève o in un altro atelier in relazione con la corte
del re, ai primi anni Trenta del XVII secolo, anche in provincia. Furono inizialmente realizzati con piccoli
ferri per essere poi eseguiti con una placca che annuncia uno dei generi caratteristici di legatura del XVIII
secolo, caratterizzato da una placca1 ornamentale al centro dei piatti. Come semplici rami ricurvi compaiono
negli scompartimenti delle legature à la fanfare2, caratterizzate da compartimenti a nastri intrecciati, delle
quali sono elemento caratteristico, mentre ornano le legature correnti di quel periodo, sia al centro dei piatti,
intrecciati a corona, sia come angolari, sia sul dorso3. Il termine à branchages si applica tuttavia anche a
decorazioni impiegate occasionalmente per legature del XVIII e XIX secolo, con motivi costituiti da rami
curvi e a volute, con foglie dal vero, piene o azzurrate, accostati tra loro a formare le più varie composizioni.
Motivi presenti anche su coperte francesi in pergamena4, compaiono su legature inglesi5 del tempo dal
medesimo materiale di copertura. Genere di legatura presente in diverse Biblioteche italiane6, straniere7, e
considerato in articoli8 e cataloghi9.
1
COPPENS, 1998, pp. 159-163. Lastra di metallo incisa, utilizzata come i ferri per l’impressione di
decorazioni sulle legature. Per le sue dimensioni non può essere impressa a mano come gli altri ferri ma
necessita dell’ausilio di una pressa o di un bilanciere. L’incisione della decorazione sulla lastra, è eseguita in
cavo se si vuole imprimere a secco, o in rilievo se si vuole imprimere in oro (la matrice incisa in rilievo per
la doratura può tuttavia essere utilizzata anche a secco). Con una placca si può decorare parzialmente o
totalmente il piatto di un volume, piccole placche possono essere accostate per creare combinazioni diverse
adatte alla misura del piatto da decorare o possono essere completate da cornici e altre decorazioni impresse
con rotelle o piccoli ferri.
Nelle legature più antiche, le prime decorazioni di questo genere erano ottenute con l’impiego di matrici
xilografiche con le quali s’imprimeva a freddo il disegno, esercitando una forte pressione sul cuoio
inumidito. Successivamente vennero prodotte placche di ferro, incise in cavo, che, riscaldate, permettevano
d’imprimere il motivo a secco, cioè senza inumidire il cuoio. La decorazione così ottenuta risulta
leggermente in rilievo su fondo brunito. Utilizzate sin dal secolo XIII nei Paesi Bassi, queste placche erano
di modeste dimensioni e consentivano di coprire interamente il piatto di un volume in-ottavo o indodicesimo mentre per i formati più grandi la decorazione era completata da una cornice. Poche le grandi
placche nel periodo gotico, mentre è in Francia che s’iniziarono a produrre dagli inizi del secolo XVI
placche di grandi dimensioni. Dello stesso periodo, per l’impressione con foglia d’oro, si hanno le prime
placche eseguite, come gli altri ferri da doratura, in bronzo inciso in rilievo. Minuziosi studi effettuati da S.
Fogelmark (FOGELMARK 1990) hanno recentemente portato alla rettifica di molte cognizioni sulle placche
antiche impresse a secco: questi studi accertarono, ad esempio, che i legatori talvolta utilizzavano
contemporaneamente e con minor costo due placche, una per il piatto anteriore e l’altra per quello
posteriore, e che le stesse, a differenza dei punzoni e delle rotelle, a volte erano prodotte in fusione e non in
incisione.
La maggior parte delle placche è anonima: alcune recano incisi la data, un nome o, più frequentemente,
acronimi. La data corrisponde ovviamente a quella dell’incisione della placca e non a quella dell’esecuzione
della legatura, che può essere contemporanea o posteriore. Va ricordato a questo proposito che una placca
normalmente dura a lungo e che alcune furono utilizzate anche secoli dopo la realizzazzione.
Grazie ai fondamentali lavori di K. Haebler e di altri studiosi tedeschi, è possibile identificare con una certa
sicurezza le iniziali incise su placche riferibili a maestri legatori: (J. K. = Jacob Krause; B. M. = Balthasar
Metzger; C. M. = Caspar Meuser), mentre è più difficile identificare gli acronimi che possono riferirsi sia ad
incisori sia a legatori. Sembra comunque accertato che in presenza di due diversi acronimi, uno sia riferibile
all’incisore e l’altro al legatore. I nomi impressi sulle placche francesi agli inizi del XVI secolo, in uso a
Parigi e in provincia o a Londra, appartengono tuttavia ai librai e non ai legatori. Sono noti, infatti, i nomi di
almeno 37 legatori attivi a Parigi tra il 1495 e il 1531 ma nessuno di questi figura su placche o rotelle di quel
periodo. Si conoscono invece 18 librai dello stesso periodo possessori di placche o rotelle: tutti sono
conosciuti come editori o venditori, non come legatori.
La tecnica di decorazione con placche, nota in Europa sin dal XIII secolo, ebbe origine nelle Fiandre:
ricordiamo Wouter van Duffel attivo in Anversa tra il 1249 e il 1285. Dalla metà del XV alla metà del
secolo successivo, le placche furono molto utilizzate in Germania, Austria, Paesi Bassi, Francia del nord e
Inghilterra.
I soggetti rappresentati nelle placche sono vari e legati agli stili delle epoche di produzione. In periodo
gotico prevale l’iconografia a carattere religioso con scene tratte dall’Antico e dal Nuovo testamento e
ritratti di santi. Questo genere di iconografia continua anche in epoca rinascimentale. In area nordica
appaiono frequentemente i caratteristici Lutero e Melantone, complementari, il primo sul piatto anteriore e il
secondo su quello posteriore, ma anche soggetti profani tratti dalla storia classica, figure allegoriche (la
Carità, la Speranza, la Fede, la Fortezza) e motivi araldici. Sono rare le placche con l’immagine dell’autore
o del traduttore del testo, oppure con quella del possessore del libro. Fanno però eccezione le frequenti
placche con i ritratti dei principi da una parte e le loro armi dall’altra, a testimoniare la proprietà del libro. In
Inghilterra prevalgono i motivi araldici tra cui la caratteristica rosa dei Tudor e le armi di Enrico VIII.
Dal punto di vista quantitativo, la più consistente produzione di placche si ebbe nelle Fiandre e in area
renana negli anni Quaranta del secolo XVI. In Francia le placche con iconografia di carattere religioso con
un unico soggetto oppure suddivise in due o quattro compartimenti con immagini di santi, furono molto
comuni e utilizzate prevalentemente in Normandia. Quelle raffiguranti santi e scene della Passione
circondate da motivi decorativi sono di solito originarie di Parigi e ripetono archetipi fiamminghi.
Rare e tardive le placche in Italia: sono note soltanto tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, quelle a
secco su legature genovesi firmate in lettere capitali da Antonio di Taggia (opus antonii de tabia in carubeo
fili inclite civitatis ianue) e da Viviano da Varese Ligure (opus viviani de varixio cartarii in carubeo fili ian)
cui si aggiunge un’altra placca opera del «Maestro della Crocifissione» in uso su legature d’origine
verosimilmente veneziana dei primi del Cinquecento.
Accanto alle placche di carattere iconografico, a partire dal XVI secolo, con il diffondersi della decorazione
in oro, iniziarono ad essere prodotte placche con decorazioni geometriche o astratte, nello stile delle
decorazioni delle varie epoche, dapprima in Francia e poi nel resto dell’Europa. In Francia alle famose
placche rinascimentali con il pot cassé di Geoffroy Tory, fecero seguito le placche con decorazioni a nastri
intrecciati prodotte in gran numero a Lione oltre che a Parigi. Altrettanto famose e prodotte un po’ in tutti i
paesi europei per tutto il XVI secolo fino a metà del secolo XVII, sono le placche «a centro ed angoli».
2
MACCHI 1996 A, fig. 7.
3
ODDOS 1982, fig. 4, p. 550, Gemina adversus Melhiorem Guldinastum…., Ingolstadii, A. Angermarius,
1612.
4
Bergamo, Biblioteca civica A. Mai, Traicté chronologiqve contenant plvsieurs belles recherches
……………Par le sieur de Fregeville, 1583, Paris, Timothec Iouen, 235x170x18 mm, segnatura Cinq. 3
1708; FOOT 2004, tav. VI, Alberti, Leandro, Descrittione di tutta Italia, Venezia, 1581.
5
PEARSON, 2005, fig. 5.16, p. 135.
6
Bergamo: Biblioteca Queriniana, Cinq. 3 708, Cinq. 4 456, Inc. 2 322; Brescia: Biblioteca Queriniana,
segnature1A E III 1, 3° F VII 55, Cinquecentine AA 49, Salone M II1-Salone M II 8, Salone Y III 9, Salone
Y III 13; Genova: MOSTRA DI LEGATURE 1976, n. 110, tav. XVI, Arcangelo Tuquaro, La presa e il giuditio
d’amore, Parigi, presso l’autore, 1602, Genova, Biblioteca Berio, segnatura m.r. D.IV.1.41); Milano:
Biblioteca centrale Sormani: S. Aurelii Augustini Opera, Parisiis, s.s., 1614, segnatura Y VET 43;
Biblioteca nazionale Braidense, segnature AD XI 11, Gerli 2494, Gerli 2586, Gerli Ms. 61, && XVI 35,
EE XII 14, EE XIII 11, EE XIII 12, LL X 23, XA XII 39, ZP IV 4, F I 111, F XIV 117, F XVI 94;
Biblioteca Trivulziana, La cosmographie universelle de tout le monde, Paris, Michel Sonnius, MDLXXV,
segnatura Triv. B 395 e segnatura Triv. E 238; Palermo: BIBLIOTECA CENTRALE PALERMO 2002, n. 20, pp.
52-53, Officium Beatae Mariae Virginis, ms. membranaceo sec. XVI, segnatura v,s. I.B.5; Pisa: BIBLIOTECA
UNIVERSITARIA PISA 2001, n. 28, pp. 120-122, Jacques Androuet du Cerceau, Le premier volume (Le
second volume) des plus excellents Bastiments de France, Paris, 1607; Roma: BIBLIOTECA ANGELICA 1991,
n. 20, pp. 44-45, Chiesa Cattolica, Leitourgikon, Parisiis, apud Ambrosium Drouard, 1583.
7
Paris: BIBLIOTHÈQUE DU CONSERVATOIRE 1988, pp. 16-17; San Gallo : Biblioteca del Convento (KYRISS
S.D., 1: S. Augustinus, De la cité de Dieu, Paris, 1585, segnatura 19542, tav. 6, L I; 2: Thomas de Vio,
Opuscula, Torino, 1582, segnatura D M IV 8, tav. 6, L2; 3: Gregor XIII, Decretum Gratiani, Paris, 1582,
segnatura 15953, tav. 6, L2; 4: Bonifacius VIII, Liber sextus decretalium, Paris, 1585, segnatura 24135, tav.
6, L2; 5) Aristoteles, Ars disserendi, Paris, 1578, segnatura OO M V 5, tav. 6, L3; 6) Aristoteles, Ethica,
Paris, 1584, segnatura OO M V 7, tav. 6, L3).
8
BALSAMO 1991, pp. 412-415, figg. 1-2, Aristotele, Opera, Lyon, Ét. Michel, 1581; Virgilio, Opera,
Augsburg, Praetorius, 1599.
9
BRESLAUER 111, n. 103; LIBRAIRIE SOURGET 1990, n. 54, pp. 166-167, Aristotelis stagiritae opera latina,
Lugduni, apud Bartholomaeum Honoratum, 1581); LIBRAIRIE SOURGET 1992, N. 32, pp. 100-101, n. 32
Nicolas Vignier, La bibliothèque historiale, Paris, Abel l’Angelier, 1587-1588 (3 vol.).
8. Legatura della metà del secolo XVII probabilmente eseguita in Francia del genere «a ventaglio»
Aldrovandi, Ulisse, Ulyssis
Aldrovandi
patricii
bononiensis
monstrorum
historia, cum paralipomenis
historiae omnium animalium.
Bartholomaeus Ambrosinus
… composuit, Bononiae,
typis Nicolai Tebaldini, 1642,
410x273x105 mm II.C.55.
Provenienza: Congregazione
dell’Oratorio, Lodi.
Bazzana marrone su cartone,
decorata a secco e in oro.
Filetti concentrici. Coppia di
cornici a due filetti collegate
agli angoli.
Un fregio a
testina classica negli angoli
interni
dello
specchio,
ripetuto al centro dei
compartimenti del dorso a
quattro nervi rilevati. Un
rosone centrale (90x85 mm)
con una coppia di grottesche
in testa e al piede. Capitelli
grezzi. Una testina classica al
centro dei compartimenti.
Tracce di due bindelle in
tessuto verde. Alette di
rinforzo non visibili. Taglio
grezzo spruzzato di rosso.
Carte di guardia assenti.
Rimbocchi
rifilati
con
discreta cura: quelli laterali
sono collocati sopra i risvolti
di testa e di piede. Stato di
conservazione:
mediocrediscreto. Fiore del cuoio
scomparso. Supporti in vista.
Cerniere indebolite.
Il genere di impianto ornamentale suggerisce una provenienza transalpina1 della coperta.
A lungo si è creduto che il decoro «a ventaglio»2 questo modello di decorazione fosse stato creato da
legatori francesi seguendo la moda, portoghese prima, spagnola poi, dei ventagli: si dimostrò invece che in
Spagna si eseguivano legature «a ventaglio» sin dai primi anni del Seicento3 e, con tutta probabilità, già
dalla fine del Cinquecento. La decorazione a ventaglio cominciò a diffondersi in Francia e ancor più in Italia
nella prima metà del XVII secolo; perdurò fino ai primi decenni di quello successivo.
Ispirata ai merletti che, di gran moda all’epoca, furono oggetto di manuali illustrati sia in Italia sia in
Francia, questa decorazione è caratterizzata da un ferro a forma di petalo stretto e lungo: questo piccolo
ferro noto sotto il nome di lancetta, contiene al suo interno una fine decorazione di arabeschi, di motivi
fitomorfi o geometrici, talvolta filigranati. Termina a punta, con un motivo geometrico o a fiamma ed è
sovente sormontato da un semicerchio puntinato. Negli esemplari più antichi, le lancette non possiedono
alcun ornamento al loro interno. Accostate e disposte in serie lungo un quarto di cerchio, formano
l’immagine di un ventaglio aperto; situate lungo i 360° di un cerchio a pieno giro, o attorno a un ovale,
danno invece luogo all’immagine, come nell’esemplare proposto, di un rosone. Entrambe queste
composizioni sono impresse sia con piccoli ferri isolati sia con placche, spesso arricchite verso i margini da
una serie continua di stelle, fiamme o motivi floreali, oppure da una fascia di arabeschi o di motivi stilizzati.
I ventagli, generalmente inseriti nel contesto di esuberanti composizioni decorative, sono collocati agli
angoli interni delle cornici mentre i rosoni occupano in genere il centro dei piatti, soli o associati ai ventagli
angolari. Rosoni isolati, spesso circondati da piccoli fregi, rosette, stelle o altri ferri, occupano talvolta, tutto
lo specchio con placche di grandi proporzioni. Nella seconda metà del Seicento questi modelli decorativi, il
ventaglio e il rosone, furono molto in uso nelle città universitarie, nella decorazione dei diplomi di laurea.
1
Cremona, Biblioteca statale, Biblia, sacra, Antverpiae, Apud Ioannem Mersium 1634, 440x275x96 mm,
7.9.6-7.9.11; Milano, Biblioteca Braidense, Theodoretus, vescovo di Ciro, Beati Theodoreti episcopi Cyri
Operum tomus 2, Lutetiae Parisiorum, sumptibus Claudii Sonnii & Dionysii Bechet, 1642, 25.2.M.1
(BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE 2010, n. 77); Milano collezione privata, Concilia generalia et
provincialia graeca et latina, Lutetiae Parisiorum, Sumptibus Caroli Morelli, 1636.
2
Cfr. la scheda 79.
3
LÓPEZ SERRANO 1976.
9. Legatura del secondo quarto del secolo XVI eseguita in Germania, del genere «a griglia di S.
Lorenzo»
Stöffler,
Johann
<1452-1531>,
Ephemeridum opus Ioannis Stoefleri
Iustingensis mathematici à capite
anni redemptoris Christi 1532. in
alios 20. proximè subsequentes, ad
ueterum imitationem accuratissimo
calculo, elaboratum, Tubingae : per
Hulderrichum Morhart, \15!33. KL.
Feb. \1 II!, 215x160x57 mm,
segnatura II.L.32. Provenienza:
Giulio Pirovani.
Vitello marrone su assi lignee
decorato a secco. La cornice a doppi
filetti bruniti delimita la griglia di S.
Lorenzo a rosette entro delle volute
fogliate. Tracce di due fermagli.
Dorso arrotondato a quattro doppi
nervi ricamati fissati con dei tasselli
lignei sui contropiatti. Capitelli e
carte di guardia scomparse. Taglio
grezzo rosso. Rimbocchi rifilati con
cura; angoli giustapposti sul piatto
posteriore. Stato di conservazione:
mediocre.
Fiore
del
cuoio
parzialmente scomparso. Corame
scomparso in testa del dorso.
Supporti in vista. Angoli dei piatti
sbrecciati. Cerniere molto indebolite.
L’aggancio sul piatto anteriore, le
impronte delle contrograffe di foggia
rettangolare1 e i rimbocchi rifilati
con cura ad angoli giustapposti testimoniano l’origine tedesca della legatura. Decorazione «a griglia di S.
Lorenzo» ampiamente adottata in Francia nella seconda metà del Quattrocento e nel primo Cinquecento,
caratterizzata da fasce o bande verticali parallele in numero da due a cinque, separate tra loro da filetti,
delimitata da una cornice. Le fasce, decorate inizialmente con piastrelle quadrate, poi con rotelle, aumentano di
dimensioni verso la cornice. Gli spazi interni alle bande sono decorati con gli stessi fregi ripetuti per tutta la
lunghezza delle bande stesse. Talvolta i motivi (piastrelle quadrate con un Agnus Dei, un leone, uno scoiattolo)
sono alternati a spazi lasciati vuoti al naturale, per evitare un troppo fitto ripetersi dei motivi. Ne deriva una
caratteristica decorazione costituita da fasce verticali che simulano una griglia. Sono noti esemplari normanni e
parigini caratterizzati da un’unica grande placca che copre l’intero piatto; questo tipo di esecuzione è
riconoscibile per l’assenza di sovrapposizioni dei motivi agli angoli e per la perfezione dei filetti. Una
decorazione di questo genere degli inizi del secolo è stata segnalata, come qui, anche in Germania, a Colonia
in particolare.
1
ADLER 2010, Abb. 7-11, Universitäts- und Stadbibliothek Köln, GBX102+G. Legatore Maestro W.A.,
Colonia, verso il 1511.
10. Legatura del terzo quarto del secolo XVI eseguita in Germania del genere «alla Fortuna»
Entzelt, Christoph <1517-1583>, De re
metallica, hoc est, de origine,
Varietate,
& natura
corporum
metallicorum, lapidum, gemmarum,
atque aliarum, quae ex fodinis
eruuntur, rerum, ad medicinae usum
deseruientium,
libri
3.
Autore
Christophoro Encelio salueldensi,
Franc. : Apud Chr. Egenolphum,
[1551], 158x98x22 mm, II.N.136.
Provenienza: Biblioteca Fagnani.
Cuoio marrone su cartone decorato a
secco e in oro. La cornice a filetto
delimita un’ampia piastra ovale che
raffigura la «Fortuna» (75x55 mm).
Dorso a quattro nervi rilevati. Capitelli
grezzi. Alette cartacee orizzontali. Una
rosetta pentalobata centrale nei
compartimenti. Taglio grezzo, sulla cui
gola campeggia la scritta calligrafica
inchiostrata Christiphor’ Encelius de
Re Metallica. Carte di guardia assenti.
Rimbocchi rifilati con discreta cura;
quelli laterali sono collocati sopra i
risvolti di testa e di piede. Stato di
conservazione:
discreto.
Cerniere
indebolite. Angoli dei piatti ricurvi e
sbrecciati. Cuoio in testa del dorso in
fase di distacco.
Figura simbolica impressa con intento
decorativo al centro delle coperte,
secondo l’iconografia classica della
divinità femminile: con i capelli sciolti
sulla nuca e la vela al vento, sola o in equilibrio sul dorso di un delfino. Quest’ultima immagine è, in Italia,
la più diffusa; l’aspetto della Fortuna che i legatori italiani amano far risaltare è la fuggevolezza, perciò la
mettono sul dorso di un delfino, simbolo della velocità. Di essa, si conoscono numerose versioni nelle
varianti maschile e femminile. In Italia la Fortuna si trova prevalentemente su legature in marocchino bruno
o rossiccio, ma anche bianco, della prima metà del XVI secolo, eseguite a Venezia, Padova e Bologna. In
diverse legature prodotte nelle Fiandre1 nel secolo XVI l’immagine della dea, incisa su placca, assume
maggiori dimensioni rispetto al modello italiano, occupando buona parte del piatto. Il motivo della
«Fortuna», sprovvisto di delfino, è stato adottato, anche in Germania, nel secolo XVI, sotto forma di placche
di ampie dimensioni, alcune delle quali sono segnalate in letteratura2. Per la nozione di decoro «a placca»
cfr. la scheda 7.
1
GID-LAFFITTE 1997, pp. 136-137.
BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE 2002, n. 100, Aitsinger, Michael, De leone belgico, Coloniae,
Gerardus Campensis, 1588, segnatura AB.XIII.24; SCHUNKE 1962, p. 207, tav. CXLVIII, Pal. V.749,
legatore Mathias Gaertner.
2
11. Legatura dell’ultimo quarto del secolo XVI, non oltre il 1594, verosimilmente eseguita in Sassonia
Evangelia et
epistolae
dominicorum ac festorum,
dierum Graecè & Latinè,
Lipsiae
Johannes
Steinman,
1576,
158x98x21 mm, segnatura
II.O.16.
Provenienza:
Daniel
Frischius
Tilsius(?); Congregazione
dell’Oratorio, Lodi.
Pelle di porco su cartone
decorato a secco. Filetti
concentrici.
Cornice
ornata a testine di profilo
entro piccoli medaglioni a
testine
antropomorfe,
rosette, scudi sassoni a
due spade incrociate e a
banda trasversale. Al
centro del piatto anteriore,
la placca raffigura la
Crocifissione
(85x50
mm), la Resurrezione su
quello posteriore (8x50
mm). Dorso a tre doppi
nervi ricamati. Capitelli
grezzi. Carte di guardia
assenti. Rimbocchi rifilati
con cura; linguetta vuota
negli angoli. Stato di
conservazione: discreto.
Fiore della pelle in parte
svanito. Marginale perdita
di
sostanza.
Angoli
ricurvi.
Gli scudi sassoni a due
spade incrociate e a banda
trasversale
lungo
la
cornice, orienta verso una
medesima origine del
manufatto.
Sul
contropiatto posteriore, una scritta in data 1594, ne determina l’anno di esecuzione ad quem. Per la nozione
di decoro «a placca» cfr. la scheda 7.
1
RABENAU 1994, n. 2, Luther, Martin, Vber das erste buch Mose predigete Mart. Luth.., Wittenberg, Georg
Rhau, 1527, Halle, Marienbibliothek, Q 1, 72.
2
HAEBLER 1923, Tafel XII.
12. Legatura del primo quarto del secolo XVII eseguita in Germania
Corpus iuris civilis, In
IIII partes distinctum,
Colonia Allobrogum,
Apud
Johannem
Vignon
1614,
265x193x130
mm,
III.F.74. Provenienza:
avvocato e senatore
Carlo Scotti, Lodi,
1935.
Pelle di porco su
cartone decorato a
secco.
Cornice
a
volute fogliate, testine
piccoli
medaglioni
con testine classiche
entro delle volute
fogliate, i Riformatori
con gli
acronimi
«MA/IOH/PH/ER».
Motivi
orientaleggianti negli
angoli interni dello
specchio.
Cartella
stilizzata
centrale.
Tracce
di
due
bindelle.
Dorso
arrotondato a sei nervi
rilevati.
Capitelli
nocciola e grezzi.
Alette
cartacee
orizzontali.
Taglio
grezzo. Cavalieri in
cuoio.
Carte
di
guardia
bianche.
Rimbocchi rifilati con
cura; linguetta vuota
negli angoli. Stato di
conservazione: discreto. Pelle dalle marginali spellature e gore brune. Cerniere indebolite. Angoli dei piatti
ricurvi.
I motivi orientaleggianti nello specchio testimoniano l’esecuzione seicentesca del volume, anche se
permangono delle reminiscenze ornamentali cinquecentesche costituite dai personali classici e dai
Riformatori nelle cornici. Caratteristici per le legature di area nordica, i cavalieri in cuoio, segnalibro
formato da un piccolo rettangolo di carta, pergamena, pelle o tessuto, incollato sul bordo esterno di una carta
e sporgente sul taglio anteriore del libro: esso riporta in ordine progressivo, di solito dalla testa al piede,
lettere, parole simboli o altre informazioni. Nei volumi rinascimentali tedeschi i segnalibri possono
assumere l’aspetto di piccole sfere in cuoio di colore scuro (marrone, blu, rosso), con multiple protuberanze.
13. Legatura dell’ultimo quarto del secolo XVII verosimilmente eseguita nella Germania meridionale
Reuelationes
caelestes
seraphicae matris S. Birgittae
Suecae,
sponsae
Christi
praelectae ... Olim a Ioanne
Cardinale de Turrecremata
recognitae & approbatae a
reuerendissimo
Consaluo
Duranto ... Nunc demum iuxta
exemplaria Romana recens
impressae ... Opera F. Simonis
Hormann Bauari ordinis SS.
Saluatoris & S. Birgittae prioris
., Monachi : sumptibus Joannis
Wagneri, & Joannis Hermanni a
Gelder,
bibliopolarum
Monacensium : typis Sebastiani
Rauch, anno 1680, 331x193x97
mm, II.F.129. Provenienza:
Delendi, professore; Giulio
Bergamini,
chierico;
Casalpusterlengo, Libreria dei
Cappuccini.
Porco su assi smussate lungo i
contropiatti, decorato a secco.
Cornici concentriche a palmette,
rami fogliati e fioriti. Una
cartella
polilobata
centrale
provvista di volute. Coppia di
fermagli. Dorso a cinque nervi
rilevati. Capitelli nocciola e
grezzi.
Alette
orizzontali
cartacee.
Nel
primo
compartimento in testa, la scritta
inchiostrata
«REVELATION./S./BRIGITTA
E». Taglio blu slavato. Carte
bianche. Rimbocchi rifilati con
cura; quelli laterali sono
collocati sopra i risvolti di testa
e
di
piede.
Stato
di
conservazione: discreto-buono. Marginali spellature della pelle e gore brune. Tracce di due fermagli, uno
integro, l’altro con bindella senza puntale.
Se il decoro della Riforma è alle spalle, non così le rimanenti caratteristiche del manufatto, ancora di stampo
cinquecentesco: la pelle di scrofa, i supporti lignei, l’aggancio dei fermagli sul piatto anteriore, i nervi
rilevati, il decoro a secco realizzato tramite delle rotelle, i rimbocchi rifilati con cura. Caratteristici per le
legature tardo seicentesche come qui, i puntali di foggia arrotondata1.
1
ADLER 2010, p. 143, Abb. 8-07, Universitätsbibliothek Graz, Partes Antiphonarii de tempore et de sanctis,
segnatura Ms. 6; Abb- 8-08, Stiftsbibliothek S. Gallen.
14. Legatura del primo (?) quarto del secolo XIX verosimilmente eseguita in Inghilterra
Imitatio Christi [in
italiano.
Segue].
Giovanni Napoletano,
Epistola
a
Silvia
Vergine,
Venezia,
Giovanni Rosso, 1488,
cc. non numerate,
205x140x18
mm,
segnatura Inc. 87.
Cuoio blu su cartone,
decorato a secco e in
oro.
Cornice
caratterizzata
da
quattro motivi trilobati
addossati entro una
losanga. Palmette su
archetti
lungo
il
margine
dello
specchio. Dorso a
quattro nervi rilevati
provvisti di filetti
ondivaghi. In testa la
scritta
DE/IMITATIONE/CHR
ISTI,
al
piede
GERSON/1488;
una
losanga centrale entro
quattro corolle vuote e
due piene stilizzate.
Taglio dorato. Labbro
decorato con motivi a
tre lobi stilizzati. Carte
di guardia bianche,
rifatte. Segnacolo in
tessuto azzurro. Stato
di
conservazione:
discreto-buono.
Marginali
spellature
del cuoio. Angoli
ricurvi.
Il genere di fregi, specie lungo il dorso, sembra orientare verso un’origine anglosassone della legatura.
Caratteristico per il periodo, il colore blu notte del cuoio.
15. Legatura sciolta del secolo XV eseguita in Italia
267x190x32
mm,
segnatura
XXVIII.A.23.
Pelle allumata viola
su assi (13 mm). Una
borchia residua sul
piatto anteriore, due
in quello posteriore.
Tracce di quattro
fermagli. Dorso a tre
nervi
in
pelle
allumata tagliata nella
porzione centrale e
ricamata. Rimbocchi
rifilati con discreta
cura; linguetta in
pelle negli angoli.
Stato
di
conservazione:
mediocre.
Diffuse
spellature
del
materiale
di
copertura.
Fessurazione
verticale lungo il
dorso.
Fermagli
scomparsi.
La tipologia di questa
legatura e le linguette
in pelle negli angoli
suggeriscono
una
realizzazione propria
del secolo XV. I
quattro fermagli e gli
incavi
di
foggia
rettangolare in cui
sono collocati i nervi
nei supporti lignei,
testimoniano l’origine italiana del manufatto. Il colore primigenio del materiale di copertura è ben visibile
lungo i rimbocchi dei contropiatti. La Biblioteca civica A. Mai di Bergamo1 e questa stessa Istituzione2,
possiedono legature quattrocentesche italiane di questo genere.
1
Passio Beatae Ursule. Epist. Dionisii. De morte apostolorum. Scritti di S. Bernardino, preci, orazioni, ms.
membranaceo metà sec. XV, cc. 132, 391x265x66 mm, segnatura A 98. Provenienza: Bergamo, Mia,
Archivio musicale S. Maria Maggiore. I fogli di carta incollati ai contropiatti, recano scritti con date 1372 e
1373: sono nominati Alzano, Plorzano (un borgo di S. Caterina), Almeno, Villa d’Almenno, Valtesse.
2
Cfr. le schede 16, 17.
16. Legatura sciolta del secolo XV eseguita in Italia
262x165x12
mm,
segnatura
XXVIII.B.20.
Pelle allumata su assi
(12 mm). Dorso a tre
nervi
in
pelle
allumata
tagliata
nella
porzione
centrale e ricamata.
Rimbocchi
rifilati
con discreta cura;
linguetta in pelle
negli angoli. Stato di
conservazione:
mediocre.
Ampia
perdita di sostanza
del
materiale
di
copertura, scomparso
lungo il dorso.
Per il commento, cfr.
la scheda 15.
17. Riutilizzo di una legatura della prima (?) metà del secolo XV eseguita in Italia
Matricole dei notai di
Lodi, sec. XV (14001441), ms. membranaceo,
cc.
31
numerate,
65x207x40 mm, segnatura
XXI.B.63.
Pelle allumata dal fiore
parzialmente scomparso,
su assi (13 mm). Tracce di
borchie a testa bombata:
due sul piatto anteriore,
una su quello posteriore.
Tracce di due fermagli.
Due nervi in pelle
allumata collocata entro
fori rettangolari nelle assi.
Capitelli grezzi. Valori di
unghiatura fino a 15 mm
sul
taglio
di
gola.
Rimbocchi rifilati senza
particolare cura; linguette
vuote e in pelle allumata.
Stato di conservazione:
mediocre-discreto.
Materiale di copertura dal
fiore
diffusamente
scomparso. Cerniere dei
piatti
particolarmente
indebolite.
Dorso
fortemente indebolito.
Le linguette vuote negli
angoli dei contropiatti
orientano
verso
una
coperta realizzata nel Quattrocento. Gli incavi di foggia rettangolare nei quali sono collocati i nervi e il
verso di aggancio sul piatto posteriore, suggeriscono una legatura eseguita in Italia. L’ampia unghiatura,
fino a 15 mm sul taglio di gola, ne testimonia il riutilizzo. Il colore originario, lilla chiaro visibile sui
rimbocchi, si è scurito con i secoli sul materiale di copertura dei piatti. In linea con le usanze del periodo,
l’utilizzo di nervi in pelle allumata1. Questa Istituzione possiede altre legature2 di questo genere.
1
Pelle di capra o montone, ma anche di vitello o di porco, trattata con sali di allume che la rendono bianca
ed elastica, ma non resistente all’acqua, che, sciogliendone i sali, ne causa il deconciamento. Questo
trattamento è infatti considerato una semiconcia, processo che non contempla l’uso di tannini vegetali o di
sali di cromo. Nel periodo medievale veniva prodotta ad opera di allumatai (whitewyers). La pelle allumata
è usata di frequente come anima dei nervi di cucitura e per i lacci delle legature in pergamena, specialmente
nel caso d’impiego della pergamena floscia. Nelle legature archivistiche è impiegata spesso per i
caratteristici lacci che bloccano le bande di rinforzo in cuoio.
2
Cfr. le schede 15, 16.
18. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XVeseguita in Italia
Quodlibet
vel
summarium
rerum
scitu dignarum, sec.
XV
(1477),
ms.
cartaceo, cc. non
numerate, 150x80x30
mm,
segnatura
XXVIII.B.18.
Provenienza:
abate
Pietro Paolo Porri,
abate.
Restauro:
Manicardi, Modena.
Legatura su cartone
sulla quale sono stati
applicati i piatti di una
legatura
rinascimentale italiana
in
cuoio
bruno,
decorato a secco.
Cornici concentriche.
Un fermaglio. Dorso a
tre nervi rilevati.
Capitelli
marroni.
Taglio grezzo. Carte
di guardia bianche,
rifatte.
Stato
di
conservazione:
mediocre.
Ampie
perdite del fiore e di
sostanza del cuoio.
La
sostanza
del
materiale di copertura
ampiamente
scomparsa,
non
evidenzia
i
fregi
impressi.
L’unico
fermaglio è in linea
con le necessità di chiusura di un volume dal ridotto formato. Anche in questo esemplare restaurato,
l’aggancio del libro avviene sul piatto anteriore, circostanza pratica ma non conforme alle usanze italiane
coeve che vedono invece la chiusura su quello posteriore. Apparentemente inusuale, la foggia della
contrograffa.
19. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XVeseguita in Italia
Silvaticus, Matthaeus, Liber
pandectarum
medicinae.
[Precede:] Matthaeus Moretus,
Epistola
ad
Franciscum
Gonzaga, Venezia, Giovanni da
Colonia, e Johann Manthen,
1480, 310x208x60 mm, cc. 234
numerate, segnatura Inc. 24.
Provenienza: frate Fabali da
Lodi; Rudolphi et amicorum;
Congregazione
dell’Oratorio,
Lodi.
Legatura su assi alla quale sono
stati applicati i piatti di una
legatura tardo quattrocentesca in
marocchino marrone dal fiore
parzialmente svanito, decorato a
secco.
Fasci
di
filetti
concentrici. Cornice esterna
provvisti di fregi ondivaghi,
interna da crocette. Cartella
centrale costituita da barrette
cordonate
ricurve
e
da
cerchielli.
Circostanti
due
coppie di cartigli circolari,
caratterizzati da rosette entro
una corona di dischetti. Dorso
liscio mobile. Capitelli marroni.
In testa, la scritta SYLVATICUS
MATTHEUS/LIBER/PANDECT
ARUM/MEDICINAE
VETERAE.
Taglio
grezzo
provvisto del titolo inchiostrato.
Carte di guardia bianche rifatte.
Stato di conservazione: discreto.
Diverse spellature del cuoio.
Volume restaurato.
Il decoro privo di fregi caratterizzanti non suggerisce il luogo di produzione della coperta. La scritta
Rudolphi et amicorum1 rappresenta un’espressione latina di possesso estesa agli amici, nota anche nella
versione greca (kai ton filon), impressa su legature del XV e XVI secolo. Fu anche impiegata come ex libris
da numerosi umanisti italiani. Se l’invenzione della formula viene attribuita al napoletano Giano Parrasio
(1470-1534), la sua fortunata divulgazione spetta a Jean Grolier, che dal 1536 l’adottò sulle legature dei suoi
libri legati in Francia tra il 1535 e il 1565 (Io. Grolierii et amicorum), imitato in ciò da altri bibliofili e
collezionisti del secolo, come Tommaso Maioli (Th. Maioli et a.), il fiammingo Marc Lauweryn (Marci
Laurini et a.), l’inglese Thomas Wotton (Thomae Wottoni et a.), i francesi Jean Brinon, Jean Chevignard
(Io. Chevignardi et a.), Geoffroy Granger di Parigi (Godo. Grangerii Boii et a.), René Thevenin di Tours e
verosimilmente l’italiano cardinale Gerolamo Albani (H.[ieronymi] Albani et a.).
1
Cfr. le schede 41, 47.
20. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XV eseguita in Italia
Bartholomaeus
Anglicus,
De
proprietatibus rerum,
Lione,
Nicolaus
Philippi, 1482, cc. 277
numerate, 295x203x65
mm, segnatura Inc. 26.
Restauro:
Gozzi,
Modena,
1929.
Provenienza:
frate
Fabali da Lodi.
Legatura in cuoio su
cartone alla quale sono
stati applicati i piatti di
una legatura tardo
quattrocentesca
in
marocchino marrone
su cartone decorato a
secco. Fasci di filetti
concentrici.
Rosette
dai lati concavi e
crocette nei riquadri.
Filetti
a
quarto
d’angolo
nello
specchio.
Quattro
mazzi di crocette nello
specchio.
Dorso
mobile a tre nervi
rilevati.
Capitelli
grezzi e blu. Taglio
grezzo caratterizzato
dalla scritta BERTOL.
S. ANGLICUS. Carte
bianche rifatte. Stato
di
conservazione:
mediocre.
Cuoio
parzialmente residuo,
dalle
diverse
spellature.
Volume
restaurato.
Il decoro privo di fregi caratterizzanti non suggerisce il luogo di produzione della coperta. In evidenza, il
marocchino1 di qualità.
1
Pelle di capra originaria del Marocco e in genere dell’Africa settentrionale islamizzata. Ha preso il nome
dal Marocco per la presenza in tale paese di una antica e importante attività artigianale per la concia delle
pelli di capra. Conciata con tannino di sommacco (arbusto della famiglia delle Anacardiacee ricco di tannino
che, impiegato nella concia, conferisce al marocchino una particolare tonalità chiara, atta a ricevere tinture
brillanti), e tinta in vari colori, ha grana regolare ben evidente, più o meno grossa. Può essere considerata la
pelle migliore ai fini della legatura: morbida eppure compatta, è la più resistente e facile da lavorare. Questa
pelle di qualità superiore e di alto costo, che riceve e ritiene bene l’oro della decorazione, venne impiegata
prevalentemente nelle legature di gran pregio per messali, Settimane Sante, libri di pietà, o per opere di
autori importanti. Il marocchino fu impiegato in Italia e in Spagna sin dalla fine del XV secolo; in Francia,
importato nella regione lionese alla fine del XV secolo, si affermò nell’uso corrente verso il 1530 circa. La
tradizione vuole che in Occidente il primo a impiegarlo nelle legature sia stato Mattia Corvino, re
d’Ungheria (1443-1490), ma in realtà furono i Maestri veneziani a introdurlo nell’uso comune. Pare infatti
che i primi marocchini siano stati importati in Europa occidentale attraverso la Turchia e Venezia. Durante
tutto il XVI secolo il marocchino fu poco usato negli altri paesi europei; il suo impiego si diffuse in Europa
soltanto a partire dal XVII secolo, allorché queste pelli vennero importate con regolarità dai mercati del
Levante. Attualmente non sono più disponibili marocchini di importazione dai paesi nord-africani; quelli
oggi utilizzati in legatoria sono generalmente prodotti in Europa, particolarmente in Francia.
Quanto alle preferenze per le tinte, il marocchino venne usato perlopiù nei colori naturale, rosso e oliva, nel
XVI e nel XVII secolo; nei colori più vari, nel XVIII e nel XIX. Rare le legature in marocchino bianco:
benché segnalate già sin dal XVI secolo, pare siano state eseguite prevalentemente per le biblioteche delle
nobildonne. In questo colore, nel mondo occidentale simbolo di femminilità, vennero legati molti
almanacchi del XVIII e XIX secolo, rivolti a un pubblico prevalentemente femminile; e sul bianco di queste
legature l’oro della decorazione spicca per bellezza ed elegante discrezione. Il marocchino presenta una
grana particolare, molto evidente, che costituisce di per sé un elemento decorativo; quella dei marocchini
antichi è in genere meno evidente di quella di marocchini impiegati nei secoli XIX e XX, quando si
preferiva una grana più grossa e un rilievo più marcato.Nel XIX secolo, dapprima in Inghilterra dove era
noto sin dal 1765 circa e successivamente in Francia e negli altri paesi Europei, venne di moda il
marocchino a grana lunga, grana ottenuta artificialmente durante la lavorazione, stirando la grana naturale in
una sola direzione o mediante l’impressione di una placca o di un rullo incisi; lo scopo era quello di
conferire un effetto più raffinato a cuoi sovente mediocri e di aspetto grossolano. Proprio il tipo di grana è
ciò che distingue sia i marocchini moderni sia quelli antichi dai cuoi delle capre comuni che hanno in genere
una grana naturale meno evidente o addirittura vengono trattate per ottenere, secondo il tipo di lavorazione,
una grana schiacciata e levigata. Cfr. la scheda 33.
21. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XV eseguita in Italia
Concoregio,
Johannes de, De
aegretudinibus
particolaribus; De
euris fibrium, p. I-II,
Pavia,
Antonio
Carcano,
1485,
301x200x45,
segnatura Inc. 31.
Provenienza: frate
Fabali da Lodi;
dominus Redulphus.
Legatura su assi alla
quale sono stati
applicati i piatti di
una legatura tardo
quattrocentesca in
marocchino
marrone, decorato a
secco. Fasci di filetti
concentrici.
Cerchielli e motivi a
cordame
nei
riquadri. Coppia di
cartelle
circolari
punteggiate
da
dischetti, ripetuti nel
mazzo a losanghe
dai lati concavi.
Tracce di quattro
fermagli
dalle
contrograffe
pentalobate. Dorso
mobile a cinque
nervi.
Alette
cartacee
verticali.
Capitelli marroni. In
testa,
la
scritta
CONCOREGIUS/J
OHANNES/SUMM
ULA/DE/CURIS
PABRUMP.. Taglio grezzo dall’iscrizione inchiostrata Io. Concoregii. Carte di guardia bianche rifatte e
coeve, queste ultime caratterizzate da una filigrana a forma di mano a cinque dita. Rimbocchi rifilati senza
cura: quelli laterali sono collocati sopra i risvolti di testa e di piede. Stato di conservazione: discreto. Diffuse
spellature del cuoio. Supporti spezzati negli angoli Volume restaurato.
Il decoro privo di fregi caratterizzanti, non suggerisce il luogo di produzione della coperta.
22. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XV eseguita in Italia
Marchesinus,
Johannes,
Mammotrectus super
Bibliam,
Venezia,
Nicolas Jenson, 1479,
222x150x65
mm,
segnatura Inc. 75.
Marchesino,
1479.
Provenienza: Giorgio
Baldo da Concorezzo;
Cesare Veggi da Lodi;
Congregazione
dell’Oratorio, Lodi.
Legatura su cartone
alla quale sono stati
applicati i piatti di una
legatura
tardo
quattrocentesca
in
marocchino marrone,
decorato a secco.
Filetti
concentrici.
Cornici provviste di
crocette e di fregi
ondivaghi. Al centro
dello specchio, un
cartiglio
centrale
costituito da losanghe
dai
lati
concavi,
provviste
di
un
cerchiello
alle
estremità. Tracce di
quattro
fermagli.
Dorso mobile a tre
nervi rilevati. Taglio
grezzo.
Carte
di
guardia
rifatte.
Rimbocchi rifilati con
discreta cura; quelli
laterali sono collocati
sopra i risvolti di testa e di piede. Stato di conservazione: discreto. Fiore del cuoio parzialmente scomparso.
Volume restaurato.
Il decoro privo di fregi caratterizzanti, non suggerisce il luogo di produzione della coperta.
23. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XV eseguita in Italia
Chaimis,
Bartholomaeus
de,
Confessionale,
Milano,
Christoph
Valdarfer, 1474, cc.
non
numerate,
178x120x48
mm,
segnatura Inc. 98.
Restauro:
Gozzi,
Modena, 1929.
Legatura su cartone
sulla quale sono stati
applicati i piatti di
una legatura tardo
quattrocentesca
in
marocchino bruno dal
fiore
parzialmente
svanito, decorato a
secco. Tracce di
cinque borchie. Due
fasci
di
filetti
concentrici. Rosette
entro losanghe nella
cornice.
Cartella
circolare dai margini
ad archetti cordonati,
provvisti di cordami
interni, ripetuti negli
angoli.
Dischetti
diffusi. Traccia di un
fermaglio. Dorso a
quattro nervi rilevati.
Capitelli
assenti.
Taglio grezzo. Carte
di guardia rifatte.
Stato
di
conservazione:
discreto.
Gore
biancastre sul corame
stropicciato. Volume restaurato.
Il decoro privo di fregi caratterizzanti, non suggerisce il luogo di produzione della coperta.
24. Riutilizzo dei piatti di una legatura dell’ultimo quarto del secolo XV verosimilmente eseguita
nell’Italia settentrionale
Hugo
Senensis,
Consilia ad diversas
aegritudines,
Bologna. Giovanni da
Nördlingen ed Enrico
da
Harlem,
3.10.1482,
315x205x36
mm,
segnatura Inc. 27.
Provenienza:
Congregazione
dell’Oratorio, Lodi.
Giovanni Matteo de
Prinolis, responsabile
e
dottore
dell’Arcidiocesi
di
Pavia.
Restauro:
Ferrari
Giuseppe,
bottega artigiana del
restauro, Modena.
Legatura su assi alla
quale
sono
stati
applicati i piatti di
una legatura tardo
quattrocentesca
in
marocchino marrone
dal fiore parzialmente
svanito, decorato a
secco. Fasci di filetti
concentrici.
Losanghe dai trifogli
alle estremità nel
riquadro
esterno,
cerchielli
entro
barrette
ricurve
cordonate. In quello
interno Tre mazzi di
crocette
cordonate
disposti verticalmente
nello
specchio.
Tracce di quattro
fermagli
dalle
bindelle in pelle allumata. Dorso a quattro nervi rilevati. Taglio e capitelli grezzi. Rimbocchi rifilati con
discreta cura; angoli giustapposti con linguetta piena in cuoio. Stato di conservazione: mediocre. Ampia
perdita di sostanza. Marginale gore brune. Decoro parzialmente rifatto.
Le tracce del cuoio a tratti annerito, ricordano la difficoltà di esecuzione del decoro a secco1. Le losanghe
dai trifogli nel riquadro esterno sono presenti in foggia analoga, in legature latamente coeve di area
settentrionale custodite rispettivamente in questa stessa Istituzione2 e nelle Biblioteche A. Mai di Bergamo3,
Passerini Landi di Piacenza4 e del Seminario di Asti5. Le contrograffe sul piatto anteriore e gli agganci delle
bindelle su quello posteriore, testimoniano l’avvenuta inversione in occasione del restauro.
1
Tecnica di decorazione senza oro, impressa sul cuoio. Anticamente l’impressione avveniva sul cuoio
inumidito mediante una forte e prolungata pressione manuale di matrici incise, di legno o di avorio, non
riscaldate; il decoro in cavo dei punzoni dava luogo a un motivo in rilievo.
Successivamente l’impiego di matrici di ferro o di bronzo opportunamente riscaldate, consentì di decorare il
cuoio asciutto, dunque mediante impressione a secco. Impropriamente, invece, si continua a definire a
freddo, specialmente nei testi francesi, una decorazione, priva di oro, simile a quella ottenuta dall’inizio a
freddo con matrici lignee. Questa non facile tecnica richiede mano ferma e sicura e lunga pratica: se troppo
caldo, il ferro rischia di bruciare il cuoio; se non è abbastanza caldo non imprimerà la decorazione con il
necessario risalto. I ferri impiegati per l’impressione a mano erano, e sono tuttora, i punzoni e le palette,
muniti di breve manico in legno, e le rotelle, dotate invece di un lungo manico che il doratore appoggia
nell’incavo della spalla per mantenere più stabilmente la prolungata pressione. Le piastre vengono impresse
invece per mezzo del bilanciere. Verso la fine del secolo XV s’iniziano ad eseguire anche decorazioni in oro
e da allora molte decorazioni sono realizzate anche mediante una combinazione delle due tecniche.
Le legature decorate completamente a secco, note sin dal VII secolo, non possiedono il fascino delle
legature decorate in oro dei secoli più recenti: anche se il loro valore artistico è in genere modesto, esse
hanno tuttavia grande importanza per la storia della legatura e, addirittura, quelle più antiche, per
l’archeologia della legatura.
2
Cfr. la scheda 60.
3
Appianus, Constantius, Soliloquia de humani arbitrii liberalitate et potestate, Cremona, Carlo Darleri,
1496, 215x158x38 mm, segnatura Inc. 2 71; Duns, Johannes, Quaestiones quodlibetales, Venezia, Johann
Herbort, ed. Giovanni da Colonia, Nicolas Jenson e Compagni, 1481, 233x170x39 mm, segnatura Inc. 2
327; Gellius, Aulus, Noctes Atticae, Venezia, 1489, Bernardino de’ Cori e Simone da Lovere, 1489,
328x205x38mm, segnatura Inc. 4 201; Tomasi, Pietro, Compendium iuris civilis, Parigi, Galliot du Pré,
[1516], 163x100x25 mm, segnatura Cinq 2 1079.
4
Dyalogus sancti Gregorii Papae, Venetiis, per Peregrinum de pasqualibus, 1493, 211x150x32 mm,
segnatura 4A.VII.35. Consequentie strodi cum commento Alexandri Sermonete; Declarationes Caetani in
eadem consequentias; Dubia magistri pauli pergulensis; Obligationes eiusdem strodi; Consequentie Ricardi
de ferabich; Expositio Caetani super eadem, Venetiis, per Bonetum Locatellum, 1493, 220x160x34 mm,
segnatura 4G.VI.23; 1) Gregorius I, Pont.Max., Homiliae super Evangeliis, Venezia, Pellegrino Pasquali, 14
III 1493, 4°. 2) Gregorius I, Pont. Max. Pastorale, sive Regula pastoralis, Venezia, Girolamo de' Paganini,
13 XII 1492, 4°, 208x152x40 mm, segnatura (L)B5.VIII.33..
5
Antoninus (S.), Summa theologica. Prima pars, Venezia, Marino Saraceno, 1481, Inc. 18 (MALAGUZZI
2008, pp. 27-28, tav. I).
25. Legatura della seconda metà del secolo XV eseguita in Lombardia
Matricolae
ven.
collegii dd. Notariorm
Laudae, vol. 3, sec.
XV (1448-1489), ms.
membranaceo, cc. 45
numerate, 265x182x40
mm,
segnatura
XXI.B.64.
Marocchino bruno su
assi (11 mm) bombata
sui piatti, rettangolare
sui
contrpopiatti,
decorato a secco. Due
fasci
di
filetti
incrociati delimitano
quattro
scomparti,
ciascuno provvisto di
un fiore a calice
stilizzato. Tracce di
cinque borchie a base
circolare e di due
fermagli
con
una
coppia di contrograffe
provviste di un agnello
crucifero e di una
finestrella di aggancio
laterale. Dorso a tre
nervi ricamati in pelle
allumata, tagliati nella
porzione mediana e
collocati entro incavi
rettangolari. Carte di
guardia bianche con
una filigrana a forma
di ampia rosa a cinque
petali circolari. Taglio
grezzo.
Rimbocchi
rifilati con discreta
cura.
Stato
di
conservazione: discreto. Cuoio provvisto di gore brune e biancastre. Materiale di copertura parzialmente
scomparso lungo il dorso. Dorso in vista.
Il fiore a calice1 stilizzato suggerisce un’origine lombarda della legatura. Il cuoio di capra utilizzato, gli
incavi rettangolari entro i quali sono collocati i nervi2 e il verso di aggancio dei fermagli sul piatto
posteriore, confermano l’origine italiana del manufatto.
1
QUILICI 1994, n. 30, Philelphus Franciscus, Orationes in Cosmum Medicem, ms. della prima metà del sec.
XV (1437-1438), Milano, Biblioteca Ambrosiana, V 10 sup.; DE MARINIS 1960, III, n. 2577 bis.
2
CARVIN 1988, p. 64.
26. Riutilizzo dei piatti di una legatura della fine del secolo XV verosimilmente eseguita in Lombardia
Breviario cistercense, sec.
XV, ms. membranaceo, cc.
272 numerate; Salterio, sec.
XV, ms. membranaceo, cc.
47 numerate, 272x200x90
mm, segnatura XXVIII.A.2.
Legatura su assi alla quale
sono stati applicati i piatti di
una
coperta
tardo
quattrocentesca in cuoio
bruno dal fiore parzialmente
svanito, decorato a secco.
Tracce di cantonali e di
umboni. Coppia di fasci di
filetti incrociati. Coppie di
delfini
affrontati
nella
cornice. Cartella circolare al
centro dello specchio. Filetti a
quarto di cerchio negli angoli
interni provvisti di una rosetta
a quattro lobi su base
losangata. Diffusi cerchielli.
Tracce di tre fermagli. Dorso
a quattro nervi rilevati. Alette
cartacee orizzontali. Capitelli
grezzi e nocciola. Taglio
grezzo. Carte di guardia
bianche
rifatte
e
membranacee.
Stato
di
conservazione: discreto. Fiore
del
cuoio
scomparso.
Materiale di copertura del
dorso scomparso Volume
restaurato.
Le rosette a quattro lobi su base losangata1 suggeriscono una produzione lombarda del manufatto; la cornice
a delfini2 affrontati ne testimonia peraltro l’origine settentrionale3.
1
Cfr. le schede 60, 61.
Fregio proprio del XV, XVI e, più raramente, XVII secolo. Il delfino isolato è presente, specie
nell’iconografia gotica e rinascimentale, quale simbolo di fedeltà e protezione, nonché simbolo di Cristo
Salvatore. Questo motivo, che in Italia nel XVI secolo è spesso associato al simbolo della fortuna, è presente
anche in un certo numero di legature francesi del XVI secolo, rivolto verso destra o sinistra, con o senza
corona. Compare inoltre in coppia affrontata nel XVI secolo, a disegnare quasi un anello aperto, con al
centro una palmetta o, secondo Anthony Hobson, una fontana (dolphins diving on either side of a fountainHOBSON 1988, p. 67). Questo fregio, adottato prevalentemente nella decorazione di cornici, è caratteristico
del Veneto, ove fu impiegato tra il 1470 e il 1500 circa. L’impiego della cornice con i delfini non si limitò
all’Italia nordorientale; in forme poco differenti è attestata negli stessi anni a Firenze. Compare a Roma nel
1490 e a Milano verso il 1510-16 circa. Il motivo dei delfini affrontati, scrive Émile Dacier, très gracieux,
très finement gravé (...) une véritable vignette typographique spécifiquement ‘Renaissance’ qui vient, lui
2
aussi, d’Italie, è di particolare interesse perché, secondo Ernst Philip Goldschmidt, è il primo esempio di
ferro italiano impresso con decorazione in oro su un volume francese, un poema manoscritto del 1507
dedicato da Fausto Anderlini a Luigi XII, legato verosimilmente da Simone Vostre. Un’inusuale e rara
versione, come confermato da Anthony Hobson, con i delfini addossati invece che affrontati, si osserva in
una legatura (Modus visitandi domos nostri ordinis Cartusiensis, ms. membranaceo sec. XV) decorata a
secco, eseguita verso il 1530 e custodita nella Biblioteca Braidense di Milano. Sotto forma di spirale
terminante con la testa di delfino, si trova nelle cornici di legature eseguite nel XVII secolo nella legatoria
vaticana.
Quale emblema del primogenito del re di Francia, il delfino compare talvolta coronato in insegne araldiche
del XVI e XVII secolo. In quest’ultimo secolo, disposto in serie, il delfino si riduce a elemento ornamentale
privo di significato araldico, in decorazioni francesi a seminato. Fregio noto anche in Spagna, esso fu pure
utilizzato da uno sconosciuto legatore che eseguì diverse legature per Filippo II. Il delfino collocato su due
legature eseguite per Claude Rabot (Claudius Rabottus), signore d’Upie e d’Agnès, simboleggia invece la
regione del Delfinato (Francia). Il cosiddetto fer du dauphin compare in Francia per la prima volta verso il
1670 per decorare il piede del dorso delle legature eseguite per il duca di Borgogna, delfino di Francia:
consisteva in una paletta ornamentale, utilizzata poi come semplice decorazione in numerose botteghe
parigine dei secoli XVII e XVIII.
3
Sino a tutto il XVIII secolo i libri, costituiti da fascicoli sciolti, venivano inviati in tutta Europa dai grandi
centri di produzione libraria sommariamente provvisti di una carta di protezione. I volumi non venivano
quindi legati dall’editore, ma nel luogo di vendita, a cura dello stesso acquirente, col risultato che spesso
luogo di stampa e luogo di confezione della legatura non coincidevano. Anzi, secondo E. Ph. Goldschmidt,
coincidevano solo raramente: un’affermazione che va certamente ridimensionata, se si considera che il
trasporto di libri non legati poteva essere eseguito solo da importanti editori, per libri, in genere, che non
fossero di grandi dimensioni, in numero relativamente limitato in rapporto al resto della loro produzione,
assorbita dai librai dei paesi d’origine e delle regioni vicine; inoltre, fatta eccezione per i classici greci, latini
e per i libri di teologia, quelli in lingua volgare, di storia, di diritto e di religione a carattere locale, non
venivano esportati. In ogni caso, non è azzardato concludere che, ai fini della localizzazione della legatura,
può essere comunque di grande importanza l’identificazione del primo possessore del libro, risalendo al suo
nome o tramite lo stemma araldico o perché il nome stesso figura impresso sulle coperte per esteso o in
acronimo. Infatti, l’esecuzione di una legatura avveniva di solito nel luogo stesso di residenza del possessore
del libro, o comunque in ambito locale.
Devono poi essere prese in considerazione, con le dovute cautele, le filigrane rilevabili sulle carte di
guardia. Può risultare proficuo, quando possibile, l’esame dei resti di carta o di pergamena utilizzati dai
legatori per rinforzare dorsi e piatti.
Anche i frammenti con testi in lingua volgare orientano la localizzazione verso il paese in cui tale lingua era
parlata, mentre quelli in lingua latina, provenienti in genere da libri diffusi in ambito internazionale (è il
caso dei classici antichi, o dei testi di teologia), possono comunque rivelarsi un’utile fonte di informazioni in
base allo studio dei caratteri di stampa: esistono infatti differenze ben riconoscibili fra i caratteri in uso, per
esempio, a Lubecca piuttosto che a Leeuwen o a Londra.
Questi reperti cartacei o pergamenacei possono contenere anche altri elementi utili per l’individuazione del
luogo di esecuzione della legatura; talvolta infatti sono tratti da atti privati stesi per la compravendita di
terreni, o comunque possono contenere nomi di luoghi, visto che spesso sono documenti che provengono da
archivi ecclesiastici o conventuali. Non è raro, inoltre, trovarvi citate somme espresse nella valuta locale;
d’altra parte, persino i semplici motti votivi, ancorché scritti in latino, posseggono caratteristiche
formulazioni diverse da paese a paese.
Per quanto riguarda la decorazione delle legature intesa come elemento utile ai fini della localizzazione, va
ricordato che molti elementi decorativi sono stati oggetto di riproduzione o di imitazione tra le varie
botteghe e tra le varie città: in particolar modo tra Venezia e Roma e tra Roma e Parigi, tra Parigi e Lione.
Intorno alla metà del XVI secolo, operavano a Roma numerosi legatori veneziani e alcuni legatori francesi
che spesso hanno adottato decorazioni nelle quali s’avverte l’influenza di motivi affermatisi nei rispettivi
paesi d’origine. In mancanza di elementi affidabili, ai fini dell’attribuzione topografica di una legatura, per
convenzione si suole ipotizzare come sede più probabile di esecuzione della legatura il luogo di produzione
del manoscritto e in subordine, quello di stampa del libro. Cfr. GIBSON 1907, pp. 25-38; GOLDSCHMIDT
1928, pp. 3-13 ; SCHUNKE 1978; SHALLECK 1979, pp. 127-157.
27. Riutilizzo dei piatti di una legatura della fine del secolo XV eseguita a Bergamo
Osimo, Nicolò da,
Supplementum
Summae Pisanellae.
[Seguono:]
Alexander de Nevo,
Consilia
contra
Judaeos foenerantes;
Astesanus, Canones
poenitentiales,
Venezia, Leonhard
Wild, 1489, cc. non
numerate,
216x150x55
mm,
segnatura Inc. 93.
Restauro:
Gozzi,
1928, Modena.
Legatura su cartone
alla quale sono stati
applicati i piatti di
una legatura tardo
quattrocentesca
italiana
in
marocchino marrone
decorato a secco.
Nella
cornice
esterna, una serie di
agnelli cruciferi e di
dischetti,
oltre
motivi cuoriformi in
quella interna. Tre
mazzi di losanghe
dai lati concavi
zigrinati con una
rosetta centrale entro
agnelli cruciferi e
gigli entro motivi
circolari.
Dorso
mobile a quattro
nervi rilevati. Nel
secondo compartimento, la scritta BARTHOLOMEUS/PISANUS/SUPPLEMENTUM/SUMMAE/QUAE
PISANELLA. Capitelli bianchi. Taglio grezzo. Carte di guardia bianche. Stato di conservazione: mediocre.
Fiore del cuoio e sostanza parzialmente scomparsi. Volume restaurato.
I motivi cuoriformi presenti nella cornice interna e le losanghe dai lati concavi zigrinati con una rosetta
centrale nello specchio, pure rilevati in una coperta coeva bergamasca1 un tempo posseduta dal convento S.
Stefano di Bergamo, la cui decorazione del testo è ascrivibile, per repertorio ornamentale e gamma
cromatica, alla bottega di Jacopo da Balsemo2 che ebbe nella seconda metà del Quattrocento il monopolio
pressoché esclusivo della miniatura orobica, orientano verso una medesima provenienza del manufatto.
L’agnello crucifero3 testimonia l’origine dell’Italia settentrionale4 della legatura.
1
Bergamo, Biblioteca civica A. Mai, Richardus de Mediavilla, Commentum super quartum librum
Sententiarum Petri Lombardi, Venezia, Cristoforo Arnoldo, [ca. 1476], segnatura Inc. 1 110 (già M 7 51).
2
In particolare, la figura del frate ha caratteri comuni a gran parte dei personaggi che popolano le storie
nelle iniziali dei grandi libri liturgici decorati dal miniatore bergamasco; anche il particolare delle mani dalle
dita sproporzionatamente lunghe, presenti nella miniatura bergamasca fino alla fine del XV secolo, si ritrova
ad esempio, nelle figure delle iniziali a f. 23r dell’Antifonario VIII presente nella Biblioteca A. Mai di
Bergamo. È probabile che per la paternità della decorazione, il volume fosse destinato al mercato orobico.
La nota di possesso riportata sul contropiatto posteriore, rimanda per il cognome del personaggio, proprio ad
un ambito locale (CODICI E INCUNABOLI 1989, n. 274, p. 478).
3
Simbolo religioso di Cristo in uso sin dal periodo romanico (XI - XIII secolo), fu nel XIII secolo insegna
degli Umiliati; poi, a Firenze, simbolo dell’arte della lana. Immagine frequente nelle legature di area nordica
e spagnola del XV e XVI secolo ma anche su borchie metalliche italiane e francesi del Quattro e
Cinquecento, compare generalmente al centro dello specchio sotto forma di agnello aureolato, passante, cioè
di profilo, che tiene con una zampa anteriore una banderuola o uno stendardo crociato. Il suo utilizzo si
protrae almeno sino alla metà del secolo XIX, come testimonia una legatura romantica francese custodita
presso la Biblioteca Trivulziana di Milano.
4
QUILICI 1994, p. 201.
28. Riutilizzo dei piatti di una legatura della fine del XV-inizio XVI secolo eseguita in Italia
Simonetta,
Johannes,
Commentarium
rerum
gestarum
Francisci Sfortiae.
Trad.
Cristoforo
Landino. [Precede:]
Franciscus Philelfus,
Epistolae
ad
Johannem
Simonetam
[in
italiano],
Milano,
Antonio
Zarotto,
1490, 335x224x45
mm,
cc
non
numerate, segnatura
Inc. 4.
Legatura su cartone
alla quale sono stati
applicati i piatti di
una legatura tardo
quattrocentesca in
marocchino bruno,
decorato a secco.
Tracce di borchie
negli angoli e al
centro dei piatti.
Fasci
di
filetti
concentrici
caratterizzati
da
motivi a cordame
interni, ripetuti nella
disposizione
verticale al centro
dello
specchio.
Dorso a quattro
nervi
rilevati.
Capitelli bianchi e
viola. Nel secondo
compartimento, la
scritta
«SIMONETTA
GIOV./LA SFORZIADE/TRAD. LANDINO».. Taglio grezzo. Carte bianche rifatte. Rimbocchi rifilati
discreta cura: quelli laterali sono collocati sopra i rimbocchi di testa e di piede. Stato di conservazione:
mediocre-discreto. Diffuse spellature del cuoio, con parziale perdita di sostanza.
Il decoro provvisto di fregi a cordame, non caratterizzanti, non evidenziano il luogo di produzione del
manufatto.
29. Riutilizzo di una legatura della fine del XV-inizio del XVI secolo eseguita in Italia
Matricolae
ven.
collegii
dd.
Notariorm Laudae,
sec. XV-XVI (1489
al 1541) vol. IV; sec.
XVI (1541-1591) vol.
V; sec. XVI-XVII
(1591-1675) vol. VI,
ms.
membranaceo,
cc. 45 numerate,
265x190x27
mm,
segnatura XXI.B.65.
Marocchino bruno su
assi (8 mm di
spessore), decorato a
secco. Quattro fasci
di filetti concentrici.
Cornici provviste di
motivi ondivaghi e di
crocette, ripetute a
mazzi collegati nello
specchio. Tracce di
due fermagli: coppia
di bindelle in pelle
allumata
e
contrograffe
pentalobate.
Due
nervi
in
pelle
allumata.
Taglio
grezzo
Rimbocchi
rifilati
senza
particolare
cura;
linguetta in pelle
negli angoli. Stato di
conservazione:
discreto-buono.
Marginali spellature
del cuoio. Cerniere
dei
piatti
particolarmente indebolite. Nervi in vista. Volume restaurato.
Il decoro privo di fregi caratterizzanti, non suggerisce il luogo di produzione della coperta. Verosimile
riutilizzo: i fogli fuoriescono dalla legatura.
30. Riutilizzo dei piatti di una legatura della fine del XV-inizio XVI secolo eseguita in Italia
Bernardus
(S.)
Claravallensis,
Sermones
super
Cantica Canticorum,
Parigi [Pierre Levet],
1494,
cc.
non
numerate,
212x140x18
mm,
segnatura Inc. 107.
Provenienza:
Bassiano (?) da Lodi.
Restauro:
Ferrari
Giuseppe, Modena.
Legatura su cartone
sulla quale sono stati
applicati i piatti di una
legatura
tardo
quattrocentesca
in
marocchino nocciola
dal fiore parzialmente
svanito, decorato a
secco.
Filetti
concentrici. Cornice
ornata a piastrella,
provvista delle scritte
in caratteri gotici
entro nastri intrecciati.
Mazzi di crocette
nello specchio. Tracce
di due bindelle. Dorso
a tre nervi rilevati.
Capitelli
grezzi.
Taglio grezzo. Carte
di guardia bianche,
rifatte.
Stato di
conservazione:
discreto. Fiore del
cuoio
scomparso.
Volume restaurato.
Il trigramma di Gesù
inserito entro un riquadro rettangolare costituisce una caratteristica delle legature quattrocentesche italiane1:
nel secolo successivo compare abitualmente entro una cartella circolare. Il fregio yhs, impresso a secco o in
oro, è comune, sino a tutta la prima metà del XVI secolo, su libri devozionali e non, come invocazione
propiziatoria; sui libri religiosi permane a lungo, sino a tutto il XIX secolo. In genere è impresso in lettere
gotiche o capitali al centro dello specchio, e inserito in un ovale, semplice, o raggiato, o circondato da
piccoli fregi; lo si trova anche su cantonali e su fermagli metallici. Non va confuso con il simbolo della
Compagnia di Gesù, che reca, sopra e sotto la lettera H, rispettivamente una croce e i chiodi della Passione.
Esiste anche una versione del trigramma impresso in lettere gotiche minuscole – yhs. - e inscritto in un
cerchio raggiante; l’abbreviazione sulla h è disposta in modo da tagliarne l’asta, creando così l’effetto della
croce: si ritrova in numerose coperte tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento. Questa
forma grafica, introdotta da san Bernardino da Siena, fu adottata dai francescani suoi seguaci, che la
dipingevano e scolpivano ovunque, perfino su manufatti minori, come i fermagli. Il simbolo yhs in lettere
gotiche, non raggiato, è stato pure utilizzato in legature tedesche tardogotiche, come dimostra la raccolta di
impronte oggi custodita presso la Biblioteca Nazionale di Berlino, Preussischer Kulturbesitz (SCHUNKE
1979, pp. 281-283, n. 80-138). Il trigramma yhs in lettere capitali, raggiato, compare infine nel secolo XIX
come simbolo massonico. La Biblioteca Queriniana di Brescia possiede un esemplare2 coevo italiano dalla
cornice analogamente caratterizzata.
Caratteristica per il periodo, la foggia circolare della cartella che circonda la scritta yhs: nel Cinquecento è
solitamente circolare3.
1
Bergamo, Biblioteca civica A. Mai, Bernardinus (S.) da Siena, Tractatus de contractibus et usuris et de
restitutionibus (quaresimale del sabato dopo la III domenica di Quaresima al sabato dopo la Passione), ms.
membranaceo sec. XV, cc. 102, segnatura MA 140.
2
Libro di Frate Hieronymo da Ferrara dello ordine de Frati predicatori : della uerita della Fede
Christiana sopra el Glorioso Triompho della Croce di Cristo, sl., s.d., segnatura Incunaboli C III 12 m 2.
3
Cfr. la scheda 45.