allegato 3 - Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali
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allegato 3 - Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali
Unione Europea DIPARTIMENTO GIUSTIZIA MINORILE Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari Ministero dell’Interno Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi 2007-2013 Annualità 2012 – Azione 3 Progetto “SIMS – Saperi Integrati per i Minori Stranieri” Attività aggiuntive (CUP J5913000350007 - CIG ZAD0ED4C6E) ALLEGATO 3 DOCUMENTO DI LINEE GUIDA SULLA MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE NEI SERVIZI DELLA GIUSTIZIA MINORILE Roma, luglio 2014 SOMMARIO Le attività integrative del Progetto SIMS...........................................................................3 I presupposti delle attività: la MLC in Italia e nei servizi della Giustizia minorile .............4 Prima sezione: la ricognizione sullo stato della MLC ........................................................9 1.1 La metodologia del survey tra i responsabili dei servizi ..............................................9 1.2 Lo strumento d’indagine del survey ..........................................................................10 1.3 Adesione al survey ed analisi dei risultati..................................................................11 1.4 Le interviste ai mediatori: metodologia, strumenti e risultati ................................166 Allegato: il questionario ................................................................................................244 Seconda sezione: linee guida.........................................................................................300 2.1 Ambiti applicativi della mlc nei servizi minorili della giustizia ................................300 2.2 Confronto, condivisione e verifica delle esperienze di MLC ...................................311 2.3 Formazione specifica dei mediatori e certificazione ...............................................322 2.4 Modellizzazione degli interventi di MLC nel lavoro di équipe ................................333 2.5 Precocità e continuità dell’intervento di MLC .........................................................333 2.6 Il contributo del mediatore all’individuazione della comunità ...............................344 2.7 Il contributo del mediatore nella fase del rilascio ...................................................366 2 LE ATTIVITÀ INTEGRATIVE DEL PROGETTO SIMS In Italia, così come in altri contesti europei, la presenza di minori stranieri nel circuito penale ha tempo sollecitato la Giustizia Minorile a mettere in campo risposte adeguate, per interagire positivamente anche con questi soggetti. Il Progetto SIMS – Saperi Integrati per i Minori Stranieri si colloca sulla linea di sviluppo delle iniziative che la Giustizia Minorile promuove per migliorare le proprie azioni nei confronti dei minori stranieri. Si tratta in particolare di un’iniziativa in corso presso i CGM di Bologna, Genova, Perugia e Roma, finalizzata a strutturare modelli e percorsi di presa in carico, tramite il supporto di équipe composte da figure specialistiche. Le attività finora realizzate da SIMS, che dunque riguardano l’ambito di quei “saperi integrati” necessari per meglio comprendere e gestire gli elementi di “diversità” connessi alle esigenze dei minori stranieri, hanno condotto ad un’ampia riflessione, al cui interno un elemento di attrazione è stato inevitabilmente costituito dal tema della mediazione linguistico-culturale (d’ora in poi MLC). Più in particolare, si è avuto modo di riscontrare che questo “sapere” è da tempo consolidato all’interno dei Servizi della Giustizia Minorile. E si è anche riscontrato che, sebbene la MLC rappresenti uno degli strumenti più idonei ai fini della presa in carico del minore straniero, sussistono ancora ampie difformità in odine a: modalità applicative, efficacia ed integrazione funzionale degli interventi. In una battuta: in merito a punti di forza ed elementi di criticità. Da qui l’opportunità di effettuare un affondo sul tema specifico della MLC nella Giustizia Minorile e di effettuare tale affondo come attività integrativa del Progetto SIMS. In accordo con quanto richiesto dall’Amministrazione titolare di SIMS, l’attività integrativa consiste nella realizzazione di un’indagine finalizzata a costruire un repertorio delle pratiche (cos’è la mediazione nei Servizi della Giustizia Minorile in ciascuna realtà territoriale) e nell’organizzazione di un evento che consenta la condivisione di quanto osservato all’interno della comunità degli operatori. Il tutto nella prospettiva di compilare Linee guida in materia di MLC. 3 I PRESUPPOSTI DELLE ATTIVITÀ: LA MLC IN ITALIA E NEI SERVIZI DELLA GIUSTIZIA MINORILE Da circa vent’anni, al fine di confrontarsi meglio con le esigenze poste dalla presenza di minori stranieri all’interno del circuito penale, la Giustizia Minorile – peraltro in sintonia con altre amministrazioni, nell’ambito del lavoro, della scuola, della salute, dei servizi alla persona e delle altre dimensioni che concorrono a costruire l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati – ha introdotto nelle proprie strutture figure professionali in grado di garantire funzioni di MLC, pur non essendo queste figure appartenenti alla pianta organica delle strutture medesime. E per precisare il contesto vale aggiungere che in Italia si è cominciato a parlare di questa forma di mediazione sin dai primi anni Novanta del Novecento, anche sulla base di esperienze già consolidate in altri Paesi Europei di più antica tradizione immigratoria. Si trattava di sperimentazioni effettuate sia nell’ambito delle misure volte a fornire la prima accoglienza ai migranti, sia nell’ambito di quelle più avanzate, con l’obiettivo di promuovere i processi di integrazione nel contesto ospite, agevolando l’accesso ai servizi, dunque l’accesso alla cittadinanza attiva, in condizioni di pari opportunità. In tal senso la mediazione è stata vista come strumento utile ad ottemperare una duplice esigenza: l’esigenza della popolazione immigrata, che riguarda il comprendere meglio (in termini sia di lingua, sia di consuetudini e significati) il funzionamento del nuovo contesto (con particolare riguardo all’individuazione dei servizi ed alla capacità di accesso alle risorse che essi forniscono) e, nondimeno, l’esigenza delle amministrazioni e dei servizi, che riguarda il comprendere meglio i bisogni “inediti” di cui è portatrice la “nuova” utenza. E qui si è a lungo parlato della funzione di mediazione come “ponte” che avvicina gli operatori a genti venute da un “lontano” non solo geografico, nonché della funzione di mediazione come strategia per abbattere le barriere linguistiche e culturali che discriminano i migranti – se confrontati con la popolazione non migrante – nella partecipazione alle risorse dei territori in cui abitano. Si è anche parlato di strategie di mediazione, nell’ambito delle politiche per l’integrazione, con riferimento alla nozione di conflitto. Pensando non solo alla mediazione come strategia per la risoluzione dei conflitti dovuti alle difficoltà di comprensione e comunicazione laddove esse sorgono in una dimensione per così dire “micro”. Anche pensando alla mediazione come strategia per la prevenzione dei conflitti valoriali nella loro dimensione “macro”, nell’ottica di orientare i processi di trasformazione sociale verso la costruzione di una società in cui possano coabitare le differenze di ordine etnico e le differenze riconducibili a tutto ciò che in genere s’intende quando si fa ricorso alla parola “cultura”. Sempre con riferimento ai significati appena tratteggiati, è per molti versi implicita nella funzione di MLC l’idea che essa preveda il coinvolgimento attivo della stessa popolazione immigrata. Nel senso che proprio al migrante meglio si attaglia la funzione di mediare, sia in virtù della conoscenza della lingua e della cultura del paese d’origine, sia in virtù delle conoscenze che gli derivano dall’aver personalmente sperimentato la migrazione. In molti casi quest’idea ha sottinteso il progetto di promuovere all’interno della popolazione immigrata lo sviluppo di una sorta di middle class, in grado di svolgere funzioni di rappresentanza e di favorire, in questa veste, sia l’empowerment dei migranti, sia il dialogo con gli altri soggetti della rappresentanza, 4 tipici della società ospite. Più in generale, le iniziative di formazione dei mediatori hanno visto il coinvolgimento delle associazioni del privato sociale e l’ampia partecipazione di migranti. A partire da queste prime esperienze si è giunti progressivamente alla definizione di percorsi di formazione standardizzati, erogati da enti pubblici. Sono stati parimenti sviluppati modelli di intervento ed in seguito al consolidarsi delle sperimentazioni è sorta anche la necessità della riflessione e dell’elaborazione teorica. La prima “legge quadro” promulgata per il governo dell’immigrazione in Italia (L. 40/98 divenuta poi “Testo unico sull’immigrazione” DPR 286/98) accenna alla mediazione culturale e fornisce una prima definizione in merito al suo utilizzo. Col Testo Unico viene introdotta e riconosciuta la figura del mediatore, mettendone in evidenza l’importanza e l’utilità, al fine di garantire nel concreto alcuni diritti fondamentali del cittadino straniero. La normativa non definisce in dettaglio l’attività di mediazione ma contempla le misure per favorire l’integrazione dei migranti ed afferma esplicitamente la possibilità di convenzioni con le associazioni iscritte nell’apposito Albo, gestito dal Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio, per l’impiego di cittadini stranieri in qualità di mediatori culturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e la popolazione immigrata appartenente ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi. In questa luce, ciò che attiene alla MLC va ricondotto alle attività di facilitazione/agevolazione del rapporto tra gli stranieri e le pubbliche amministrazioni, su terreni che la legge stessa non definisce ma che l’esperienza ha individuato – come già ricordato – nelle dimensioni che per così dire sostanziano il concetto stesso di integrazione: pratiche amministrative (ad esempio titolo di permanenza nel territorio dello Stato e residenza); accesso all’occupazione; ambito previdenziale; salute; scuola. A queste dimensioni può essere ricondotta anche quella che comprende la Giustizia (dal tribunale al carcere) ed in maniera senza dubbio privilegiata la Giustizia Minorile, intesa come sistema preposto in primo luogo alla tutela dei soggetti minorenni e solo secondariamente al controllo sociale. E lungo questo rapido excursus è ora tempo di ricordare la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia Minorile” che riconosce nella mediazione uno degli strumenti per facilitare la comunicazione tra minori ed operatori nei vari momenti della vita istituzionale e per promuovere un punto di vista interculturale all’interno delle istituzioni, con riferimento in particolare ai servizi della Giustizia minorile. La Circolare trova un suo presupposto nel Decreto del Presidente della Repubblica del 20 giugno 2000, n. 230, concernente il “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative della libertà”, che all’art. 35 riconosce una funzione operativa alla MLC, prevedendo che “deve essere favorito l’intervento di operatori di mediazione culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali o con organizzazioni di volontariato”. Così pure nel Decreto del Presidente della Repubblica del 13 giugno 2000, relativo all’Approvazione del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva per il biennio 2000/2001, che nella parte seconda, relativa agli impegni del Governo nei confronti dei “minorenni stranieri” sezione E punto 1 paragrafo c) impegna “il Ministero della Giustizia .... a: sviluppare la presenza di mediatori culturali nelle carceri minorili per consentire ai 5 minorenni di svolgere attività di studio, apprendimento, formazione professionale”. Nell’ambito di questo contesto normativo, la Circolare prevede che il mediatore culturale fornisca al servizio un contributo professionale e strumenti idonei ad adottare un punto di vista interculturale nella progettazione e realizzazione di tutte le attività rivolte all’utenza. Ed attraverso le linee guida in essa contenute si propone di indirizzare ed uniformare quanto più possibile tale area. Certamente, si legge altresì nella circolare che essa: “si riferisce ad un livello di funzionamento ottimale dell’attività del mediatore culturale a cui si deve tendere. Al momento, l’attuazione delle linee guida risentirà, necessariamente, dei vincoli imposti dalle reali condizioni, risorse e disponibilità dei singoli servizi”. Più in particolare, la Circolare introduce la distinzione tra mediazione indiretta e mediazione diretta. Con la prima espressione intende l’attività volta a costruire interventi di tipo educativo interculturale, che coinvolgono i minorenni sottoposti a procedimento penale ed i vari operatori istituzionali. Il tutto per creare condizioni che permettano la conoscenza ed il rispetto delle diverse culture, per promuovere momenti di autoformazione e scambio interprofessionale (tra operatori istituzionali e mediatori culturali) per migliorare il dialogo tra operatori e minorenni stranieri; per costruire all’interno del gruppo di pari spazi di comunicazione che superino le differenze culturali; per fornire aiuto ai docenti della scuola e della formazione professionale nell’elaborazione di proposte scolastiche e formative calibrate sulle specifiche esigenze di minorenni stranieri; per fornire elementi utili al Servizio nel garantire l’assistenza religiosa; per agevolare la comunicazione e la collaborazione tra il Servizio, le Autorità Consolari, i Servizi Sociali e Sanitari territoriali, nonché con gli enti e le associazioni del privato sociale che si occupano a vario titolo di minorenni; per predisporre strumenti e materiali utili a favorire l’accoglienza dei minori stranieri e favorire l’educazione alla salute da un punto di vista interculturale. Per mediazione diretta intende il livello di mediazione in cui il mediatore culturale affianca l’operatore titolare del caso, svolgendo una funzione di facilitazione degli interventi psico-educativi, al fine di predisporre un programma educativo che meglio risponda alle esigenze ed alle risorse del ragazzo. Analoga attività di facilitazione è attuata dal mediatore culturale, in ogni momento della vita istituzionale, nei confronti di tutti gli altri operatori della Giustizia minorile che a vario titolo entrano in contatto con il minorenne. In tutti i casi di presa in carico da parte del Servizio di un minore straniero, l’équipe può avvalersi del contributo del mediatore culturale, coinvolgendolo nelle varie fasi dell’intervento dei servizi minorili. Nel delicato momento dell’accoglienza, la circolare prevede che il servizio si adoperi per attivare l’intervento del mediatore, affinché: sia curata la traduzione linguistica in tutte le occasioni necessarie; sia chiaro il ruolo del mediatore stesso in relazione a quello degli altri operatori; sia assistito il ragazzo durante la visita sanitaria di primo ingresso; sia agevolata la comprensione del mandato istituzionale del Servizio e, nel caso di strutture a carattere residenziale, sui ruoli e sulle regole interne di convivenza; sia informato il minore sulle norme del paese ospitante, con particolare riferimento al reato contestato, al processo penale minorile ed ai suoi possibili percorsi, anche confrontando le conseguenze penali previste per il medesimo reato dal sistema della giustizia italiana e da quello del paese di provenienza. Spetta ancora al mediatore il compito di facilitare l’educatore/operatore, titolare del caso, 6 nell’acquisizione di elementi di conoscenza sul contesto familiare e culturale di provenienza del ragazzo, sul suo progetto migratorio, le sue motivazioni, i suoi vissuti personali; nonché il compito di agevolare i contatti tra il ragazzo e la famiglia e tra la famiglia e gli operatori. Nella fase di attuazione della presa in carico, il mediatore facilita la comunicazione del ragazzo con l’équipe aiutandolo a esplicitare i suoi bisogni; fornisce all’équipe elementi utili per l’elaborazione e la realizzazione del progetto educativo; assiste l’équipe nella gestione dei rapporti con la famiglia e con le altre figure di riferimento; fornisce elementi di conoscenza sul minore all’équipe ai fini della stesura delle relazioni informative indirizzate alla Magistratura, pur rimanendo l’équipe titolare esclusiva dei rapporti con quest’ultima. Inoltre è riconosciuta al mediatore la possibilità, al pari degli altri operatori, di essere ascoltato preliminarmente al Consiglio di Disciplina. Infine, nella fase delle dimissione dal Servizio ed eventuale fuoriuscita dal circuito penale, il mediatore opera per facilitare l’individuazione di contatti con enti territoriali, con associazioni del privato sociale, con i consolati, con ogni risorsa specifica al fine di costruire le condizioni per un processo d’integrazione sociale del ragazzo; contribuisce ad agevolare la continuità della presa in carico preparando il ragazzo, nel caso di mutamento della misura penale, al passaggio da un Servizio ad un altro; collabora altresì con gli altri operatori all’inserimento del ragazzo in Comunità. Accanto a queste linee guida operative, la Circolare fornisce in ultimi alcune indicazioni in materia di procedure di selezione, requisiti dei mediatori e loro deontologia professionale. Già dodici anni or sono venivano dunque tracciate le linee di indirizzo e di impiego della figura del mediatore culturale, riprese poi dalla Circolare del 17 febbraio 2006, “Organizzazione e gestione tecnica degli IPM”. Ancora a testimonianza della sensibilità per il tema in oggetto, questi concetti sono stati in parte ripresi anche dalla Circolare del Capo Dipartimento n. 1 del 18 marzo 2013: “Modello d’intervento e revisione dell’organizzazione e dell’operatività del Sistema dei Servizi Minorili della Giustizia”, laddove tra le risposte che la Giustizia Minorile deve saper garantire con certezza su tutto il territorio nazionale si fa riferimento a figure specialistiche come i mediatori. Vale altresì ricordare che il 29 luglio 2010, con il Contratto Collettivo Nazionale Integrativo del personale non dirigenziale del ministero della Giustizia, è stato introdotto nel sistema di classificazione del personale del Dipartimento Giustizia Minorile, il profilo professionale di “funzionario della professionalità di mediazione culturale”. Nei Servizi della Giustizia Minorile, attualmente l’intervento del mediatore è dunque ritenuto fondamentale per la costruzione di un’interazione quanto più possibile proficua col minore straniero, nonostante le carenze che ancora permangono in merito alla specifica codifica di questa figura (in ordine a profilo e ruolo). Con duttilità e prontezza, anche di fronte alle emergenze, il mediatore aiuta a realizzare quel positivo “aggancio” del minore straniero che permette di iniziare a pensare ad un progetto. Come dire che il mediatore media per impedire che alcune specificità culturali, o alcune condizioni di fragilità sociale, divengano motivo di esclusione, 7 ovvero concorrano a generare “casi di difficile gestione”. Ma questo compito viene svolto con modalità e prassi che variano da territorio a territorio e da servizio a servizio, in ragione della formazione ricevuta, dell’organismo di appartenenza del mediatore, del modello di riferimento, dello stile personale o delle tipologie di accordo stabilito tra servizio ed organismo di cui il mediatore fa parte, ovvero a seconda delle modalità di richiesta ed erogazione dell’intervento di mediazione. Nonostante la lunga storia della mediazione linguistico-culturale ed i vari tentativi di definire i ruoli e gli ambiti di intervento dei mediatori, attualmente ancora non si riscontra – anche alla luce di quanto osservato da SIMS – un panorama omogeneo di intervento né una sistematicità, tanto nelle modalità con cui gli interventi di mediazione sono richiesti, tanto nei presupposti teorici che guidano il lavoro dei mediatori. Le collaborazioni con le associazioni di mediatori o la selezione dei mediatori dagli albi territoriali sono sovente estemporanee ed occasionali, non tutte le realtà territoriali riescono a garantire la corretta e necessaria collaborazione tra i servizi della Giustizia minorile ed i mediatori. Questo documento di linee guida si articola in due sezioni: nella prima vengono riportate le risultanze del lavoro di ricognizione dello stato della MLC, effettuato attraverso un survey tra i responsabili di tutti i servizi ed attraverso la somministrazione di un’intervista semistrutturata ai mediatori che si sono resi protagonisti delle esperienze più consolidate e significative; nella seconda, anche alla luce di quanto emerso dai lavori della “piccola assise della MLC nella Giustizia minorile” che ha avuto luogo a Roma il 30 giugno scorso ed a cui hanno partecipato i mediatori intervistati, vengono proposte alcune indicazioni in merito alle aree tematiche che hanno maggior rilevanza in tema di operatività della MLC nei servizi della Giustizia minorile. 8 PRIMA SEZIONE: LA RICOGNIZIONE SULLO STATO DELLA MLC 1.1 LA METODOLOGIA DEL SURVEY TRA I RESPONSABILI DEI SERVIZI L’indagine ha inteso raccogliere sul territorio una serie di evidenze relative alle esperienze di MLC realizzate all’interno dei Servizi della Giustizia Minorile, per dare vita – sulla base dell’analisi delle esperienze raccolte – ad un momento di confronto collettivo, volto a individuare linee d’azione comuni, che possano a loro volta favorire la condivisione degli strumenti acquisiti. In particolare, l’impianto metodologico è stato predisposto pensando alle seguenti finalità: analizzare le prassi di realizzazione degli interventi di MLC in seno ai Servizi della Giustizia Minorile e le esperienze che si sono rivelate in grado di migliorare la qualità della presa in carico dei minori stranieri; rilevare le professionalità che intervengono in qualità di attori della MLC, con riguardo a coloro che hanno realizzato le esperienze più consolidate e significative. Gli strumenti teoricamente utilizzabili per la realizzazione dell’indagine in oggetto sono quelli della ricerca sociale: l’intervista in profondità, il questionario strutturato o semi-strutturato, l’osservazione partecipata, il focus-group. La ridottissima disponibilità di tempo e le caratteristiche del campione hanno determinato la scelta metodologica verso il questionario strutturato, individuato quale strumento più idoneo al raggiungimento degli obiettivi sopra riassunti. La ricognizione delle esperienze di MLC ha avuto pertanto luogo tramite questionario predisposto per l’autocompilazione, da parte di un campione composto dai responsabili dei servizi della giustizia minorile, nelle loro articolazioni territoriali: circa 25 Centri di Prima Accoglienza, circa 28 Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni, circa 19 Istituti Penali Minorili e circa 11 Comunità ministeriali, per un totale di 83 unità. In particolare, dopo una rapida fase di pretesting e calibratura del questionario, il reclutamento del campione è stato effettuato inviando per e-mail al Responsabile di ciascun servizio, a nome dell’Amministrazione titolare di SIMS, un invito a partecipare al sondaggio, ovviamente corredato da un’adeguata presentazione del Progetto e delle sue finalità, del significato dell’indagine e della sua metodologia. 9 1.2 LO STRUMENTO D’INDAGINE DEL SURVEY Il questionario, integralmente riportato in allegato, è stato costruito in forma agile, in modo da consentire sia l’autocompilazione, sia l’acquisizione delle informazioni. Composto da 16 domande “chiuse” e 3 domande “aperte”, ha esplorato le seguenti aree tematiche: presenza della MLC nel servizio (in passato, attualmente, prevista per il futuro); utilità attribuita alla MLC; andamento degli interventi nel corso del tempo; fattori in grado di determinare l’andamento di cui sopra; aspetti organizzativi; numero di ore di MLC effettuate per lingua; caratteristiche del minore che configurano l’esigenza di ricorrere alla MLC; rapporto tra mediatore ed operatori in organico al servizio; caratteristiche dei mediatori (in rapporto alle specificità del contesto della Giustizia Minorile); eventuali disfunzionalità degli interventi di MLC. Accanto a queste aree, alcuni item sono stati specificamente dedicati alla richiesta di una valutazione sintetica (su scala di Likert) in merito all’utilità degli interventi di MLC ai fini della presa in carico dei minori stranieri, nonché di un parere sintetico (cinque righe) sia in merito all’evoluzione del ruolo del mediatore eventualmente osservata nel corso del tempo all’interno del servizio, sia in merito agli altri contributi che la MLC potrebbe apportare. In questo ambito si colloca un item dedicato all’esplorazione della capacità di “tenuta” delle indicazioni contenute nella circolare n.6/2002 del 23 marzo 2002 del Dipartimento Giustizia Minorile “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei Servizi Minorili della Giustizia” descritta tra i presupposti delle attività integrative di SIMS. In ultimo il questionario ha creato le condizioni per far emergere i “saperi situati”, cioè le esperienze che sembrano interpretare meglio lo spirito della MLC: è stato infatti chiesto a ciascun responsabile di indicare il mediatore o i mediatori che a suo avviso hanno realizzato gli interventi di MLC meglio riusciti, cioè gli interventi di MLC che potrebbero costituire esempi di prassi da condividere (nome e recapito telefonico o e-mail). Quest’ultima richiesta è esplicitamente finalizzata a disporre di una completa platea di testimoni privilegiati, cui chiedere un’intervista per effettuare un affondo conoscitivo. 10 1.3 ADESIONE AL SURVEY ED ANALISI DEI RISULTATI Degli 83 questionari inviati ai responsabili dei Servizi minorili della Giustizia (circa 25 CPA, circa 28 USSM, circa 19 IPM e circa 11 Comunità ministeriali) ne sono pervenuti 38, pari a circa il 46%. Va tenuto sin d’ora presente che l’IPM de L’Aquila è chiuso dal 2009 e che l’IPM di Lecce non ospita detenuti. Si può dire che la risposta dei servizi è stata appena soddisfacente, visto che ha aderito al sondaggio quasi la metà del campione e che l’impegno gravoso degli operatori non sempre consente loro di trovare il tempo per rispondere rapidamente ai questionari. Non si osserva tuttavia un grado entusiasmante di adesione. Ed in ciò si coglie il segno di un interesse quanto meno “tiepido” per il tema della MLC. Con riferimento ai 38 servizi da cui è pervenuto il questionario, in 9 di essi (6 USSM e 2 CPA, oltre all’IPM de L’Aquila, chiuso dal 2009) non sono stati effettuati interventi di MLC nel corso degli ultimi dieci anni, sebbene la MLC sia ritenuta comunque utile per migliorare la presa in carico dei minori stranieri. All’interno del gruppo dei rimanenti servizi, composto dunque da 29 unità, la MLC si effettua da più di dieci anni in 17 casi (8 IPM, 4 CPA, 3 USSM e due Comunità) e da meno di dieci anni in 12 casi. Come si vede, sono in primo luogo gli IPM le strutture in cui il ricorso alla MLC appare di più lunga tradizione. È però interessante notare che solo in 3 IPM (meno della metà di quelli in cui la MLC si pratica) il numero degli interventi di MLC effettuati ha conosciuto un incremento nel corso degli ultimi cinque anni. Considerando tutti i 29 servizi che si avvalgono della MLC, ben in 23 di essi (cioè nell’80% dei casi) il numero degli interventi di MLC effettuati nel corso degli ultimi cinque anni è diminuito o è rimasto invariato. Dunque, nel corso degli ultimi cinque anni, gli interventi di MLC hanno fatto registrare un andamento in crescita solo in 6 dei 29 servizi in cui la MLC si effettua: i tre IPM già ricordati (più precisamente quelli di Acireale, Catania e Roma) 2 CPA (Catania e Genova) e la Comunità di Nisida. Al successivo item del questionario, che chiedeva di attribuire un punteggio a ciascuno dei fattori a cui ricondurre l’andamento in crescita della MLC nel corso del tempo (incremento dei ragazzi stranieri in carico, maggiore disponibilità di risorse, accresciuta sensibilità degli operatori nei confronti della mediazione) i responsabili di tutti i 6 servizi sopra ricordati hanno attribuito il massimo punteggio esclusivamente al fattore relativo all’incremento del numero di ragazzi stranieri presi in carico, che sembra pertanto costituire la determinante principale del maggior ricorso allo strumento mediativo. Solo il CPA di Catania ha attribuito massimo punteggio sia all’incremento dell’utenza, sia all’accresciuta sensibilità degli operatori, riservando un punteggio medio alla maggiore disponibilità di risorse. Se dunque solo in 6 servizi – seppure siano tra quelli che incontrano le quote più cospicue di minori stranieri – gli interventi di MLC fanno registrare un incremento nel corso dell’ultimo lustro, in aggiunta a quanto già sopra segnalato (solo 29 dei 38 servizi che hanno aderito al survey utilizzano la MLC) si può affermare che, nel complesso, la MLC cresce poco. Per approfondire gli aspetti organizzativi della MLC nei 29 servizi in cui essa si pratica, è utile ricordare che in circa la metà dei casi si tratta di uno strumento di cui il servizio dispone stabilmente, mentre nell’altra metà vi si fa ricorso nell’ambito di attività progettuali a termine (che quasi sempre vengono evidentemente rinnovate ed 11 assumono carattere continuativo). Laddove la MLC appare più consolidata, il mediatore (ovvero, come si vedrà meglio più avanti, il mediatore il cui intervento è richiesto più frequentemente) è sempre presente in un dato giorno o in alcune ore o, ancora, in più giorni, a seconda del tipo di accordo stabilito col servizio (IPM di Catania, Roma, Torino, Treviso e CPA Roma). Negli altri casi interviene a chiamata. Complessivamente pare lecito concludere che, dal punto di vista organizzativo, il modo in cui la MLC si effettua può variare in relazione sia alle esigenze di ciascun servizio (esigenze determinate anche dalla tipologia di minori in carico) sia alle forme di convenzione che ciascun servizio stabilisce con i mediatori che intervengono, com’è noto, in qualità di soggetti (professionisti, consulenti, esperti) esterni all’organico dell’Amministrazione della Giustizia. In genere si tratta di convenzioni che il servizio stabilisce con associazioni, tramite bandi a varia scadenza. A volte il rapporto di convenzione si stabilisce tra un’associazione che garantisce la MLC tramite suoi mediatori ed un insieme di enti locali ed amministrazioni pubbliche tra cui rientrano anche i servizi minorili della Giustizia (unitamente a scuola, uffici comunali, servizi di salute pubblica, tribunale). A volte il costo dell’intervento di mediazione è a valere sul servizio della Giustizia, altre volte sull’Ente locale. In molti casi la MLC, come già detto, si effettua invece nell’ambito di progetti e sperimentazioni, a valere su fondi regionali o comunitari. In poche situazioni infine vi è un rapporto di convenzione tra il servizio ed il singolo mediatore, peraltro in accordo con quanto previsto dalla sopra ricordata Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia Minorile”, nella sezione dedicata alle procedure di selezione dei mediatori. L’analisi dei risultati relativi alle ore di MLC effettuate per lingua consente di precisare sia il quadro delle provenienze dei minori per i quali il servizio si avvale della mediazione, sia il quadro – di specifico interesse dell’indagine – dei mediatori che hanno accumulato le esperienze più consolidate. Sempre con riferimento all’intero insieme dei 29 servizi in cui la MLC è presente, si riscontra che nel corso degli ultimi dodici mesi sono state effettuate circa 3.000 ore di mediazione in arabo (da intendersi come insieme di lingue parlate prevalentemente nel Maghreb, in Egitto e nell’area Medio orientale) circa 1.800 ore di mediazione in rumeno, circa 360 ore in lingue parlate nell’Africa sub sahariana (di cui 300 in IPM e CPA di Torino), circa 120 in albanese e circa 40 in spagnolo. Sono rappresentati anche interventi condotti in altre lingue (ad esempio cinese) ma la loro entità in numero di ore appare, in proporzione, del tutto marginale. Se ne deduce che in base alle intese stabilite con i professionisti della mediazione (per lo più organismi che si occupano di MLC, come il CIES a Roma, la Cooperativa “Saba” a Genova, la Cooperativa “Mondo Aperto” a La Spezia, il COSPE a Firenze, l’Associazione “Senza Confini” ad Ancona, il “Progetto Medina” a Palermo, le Cooperative “Esserci” e “Liberi tutti” a Torino, la Cooperativa “Alkantara” a Milano, l’Associazione “Acricefal” a Bari, solo per citare alcuni esempi) ciascun servizio può contare sulla disponibilità di un pool di mediatori in grado di effettuare interventi in qualsivoglia lingua. Lo conferma anche il fatto che l’amplissima maggioranza dei responsabili dei servizi che hanno aderito al sondaggio è pienamente soddisfatta della “copertura” in tal senso garantita dai mediatori. Tuttavia, le esperienze più consolidate sono state sviluppate in ciascun servizio (ovvero nell’insieme di servizi afferenti al medesimo CGM) da gruppi molto ristretti di mediatori. Nei servizi che hanno 12 effettuato il più elevato numero di interventi di MLC in termini di ore (1.300 ore in CPA, IPM ed USSM di Torino; 900 in IPM e CPA di Roma; 800 in IPM a Treviso; 760 in CPA ed IPM di Catania e di Acireale; 440 in IPM a Roma; 180 in CPA ed USSM di Genova; 140 in CPA, IPM ed USSM di Palermo; 130 in IPM e CPA di Milano) questi interventi sono stati realizzati principalmente da un mediatore per lingua, cioè, nella maggior parte dei casi, da un mediatore che parla arabo e da un mediatore che parla rumeno. Sono costoro che in genere assicurano la presenza più stabile della funzione di MLC all’interno del servizio (ovvero dei vari servizi che afferiscono al medesimo CGM) spesso per più giorni a settimana. Mantengono un rapporto costante e continuativo con i minori alla cui presa in carico hanno contribuito, hanno costruito un rapporto di fiducia col responsabile del servizio, consolidato nel tempo, unitamente ad un rapporto di intesa, collaborazione e sinergia con tutte le altre figure professionali che a vario titolo, singolarmente o in équipe, si occupano dei minori (in primo luogo educatori, assistenti sociali, polizia penitenziaria, psicologi, operatori sanitari). Emerge dalle interviste effettuate per l’appunto con questi mediatori, che molti di essi sono giunti alla MLC per esser stati selezionati anche in base alla loro pregressa o concomitante esperienza di traduttori ed interpreti per i provvedimenti in Tribunale, peraltro in accordo con quanto previsto dalla più volta citata Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia Minorile”, nella sezione dedicata alle procedure di selezione dei mediatori: “Si dovrà valutare con particolare attenzione la capacità del mediatore culturale di comprendere la delicatezza del proprio ruolo che, per garantire le specifiche esigenze di sicurezza del contesto penale minorile, richiede requisiti di riservatezza e affidabilità. In quanto ai titoli di studio e alle esperienze lavorative dovranno essere tenuti in considerazione: eventuali altre esperienze in ambito penale o in altre istituzioni pubbliche…”. Questo riscontro appare concorde con quanto segnalano i responsabili dei servizi attraverso il questionario, esprimendo un sostanziale apprezzamento per l’adeguatezza della formazione dei mediatori. Le eccezioni sono rappresentate dai responsabili dei servizi in cui si effettua un numero minore di interventi di MLC, che esprimono in alcuni casi una lieve insoddisfazione in merito all’adeguatezza delle competenze dei mediatori in materia giuridica ed amministrativa. In ordine alla precisazione delle esigenze che inducono i servizi minorili della Giustizia ad avvalersi della MLC, il dato relativo alle risposte all’item del questionario dedicato all’esplorazione di quest’aspetto appare coerente con la discussione fin qui condotta: si richiede l’intervento del mediatore in presenza di difficoltà riconducibili al fattore lingua (23 dei 29 responsabili dei servizi in cui si pratica la MLC attribuiscono il massimo consenso a questa opzione di risposta). Come dire che la MLC parte comunque di fronte ad un minore col quale gli operatori non possono parlare italiano, sebbene vi sia ampia convergenza, sia tra i responsabili che hanno risposto al questionario, sia tra i mediatori intervistati, che la mediazione va ben al di là del puro interpretariato. E fornisce altresì motivo di riflessione il riscontro del fatto che la MLC comincia ad essere attivata anche di fronte a minori di seconda generazione (dunque alfabetizzati in Italia) o di fronte a famiglie da tempo immigrate in Italia, cioè in presenza di soggetti per i quali il peso della cosiddetta “barriera linguistica” è presso che ininfluente. In questi casi, piuttosto che sotto la spinta di un’esigenza di interpretariato e facilitazione della comunicazione, il mediatore è chiamato dagli altri 13 operatori a fornire elementi aggiuntivi di comprensione ad un conflitto di natura culturale, generalmente tra genitori e figli. Ad ogni buon conto, nella grande maggioranza dei casi, all’interno dei servizi minorili della Giustizia, l’esigenza di attivare il mediatore è ancora – almeno in primo luogo o in prima battuta – un’esigenza di comprensione linguistica. 14 dei 29 responsabili esprimono il massimo consenso anche alla seconda opzione di risposta (per questo item il questionario chiedeva di attribuire un punteggio da zero a tre a ciascuna delle sei opzioni di risposta proposte) segnalando che la MLC è richiesta in presenza di difficoltà riconducibili alla condizione sociale del ragazzo, come nel caso dei msna. Ecco che la maggior parte degli interventi di MLC, soprattutto nei servizi in cui essa è più praticata, riguarda i msna, per i quali si richiede principalmente una mediazione in arabo o in rumeno, in ragione della loro provenienza, essendo minoritarie – rispetto a quelle in arabo o in rumeno – le mediazioni in lingue africane o in albanese (il numero di ore di mediazione effettuate in altre lingue, ivi compreso lo spagnolo, appaiono da questo punto di vista marginali, come già messo in evidenza prima). Nei confronti di questi ragazzi, l’intervento del mediatore parte dall’abbattimento della barriera linguistica, che limita la comprensione tra il minore ed il personale della Giustizia, per poi estendersi ad un ambito più vasto, in modo da rendere più comprensibile all’intera équipe di operatori che si occupano del minore gli usi ed i costumi della tradizione culturale da cui il minore stesso proviene e, nel contempo, per rendere più comprensibile al minore (in termini di lingua e di significati culturali) perché si trova in un servizio della Giustizia minorile italiana, cosa gli chiede quel servizio e quali sono le procedure che quel servizio vuole mettere in atto nei suoi confronti ed a suo favore. Si vedrà nel prosieguo della discussione dei risultati delle indagini condotte che questo intervento è sì condotto su mandato degli operatori istituzionali ma generalmente si preferisce che sia svolto dal solo mediatore, vis a vis col minore, per conquistare la fiducia di quest’ultimo. Contestualmente, nella maggioranza dei casi il mediatore acquisisce le prime informazioni per stabilire un contatto telefonico con la famiglia ed informarla in merito alle condizioni del ragazzo, previa un’indagine informativa che parte dall’accertamento, assai più agevole a realizzarsi da parte del mediatore, che a quel recapito telefonico – fornito dal minore – corrisponda effettivamente quella famiglia a cui è opportuno fornire informazioni. I responsabili di 6 strutture – sempre tra quelle in cui la MLC si pratica – attribuiscono il massimo punteggio anche alla terza opzione di risposta all’item destinato all’esplorazione delle esigenze che inducono i servizi minorili della Giustizia ad avvalersi della MLC. Essi dichiarano, con pari reazione enfatica di consenso attribuita alle opzioni precedenti (fattore lingua e condizione di msna) di esser propensi ad attivare la MLC di fronte a ragazzi che presentano profili problematici, caratterizzati ad esempio da disorientamento o condotte violente. Qui l’intervento del mediatore consiste nel tranquillizzare il minore, ad esempio fornendogli punti di riferimento, in termini sia di informazioni sia di presenza riconoscibile, o almeno persegue quest’obiettivo. L’opzione di risposta “l’esigenza di far ricorso alla MLC sorge per accompagnare il progetto educativo in area penale esterna” ottiene un consenso lievemente maggiore rispetto all’opzione precedente (in una scala da zero a tre, 7 dei 29 responsabili le attribuiscono il punteggio 3 e 9 di essi le attribuiscono il punteggio 2) 14 collocandosi al terzo posto tra i principali elementi in base ai quali il servizio ritiene utile attivare la MLC. Quest’ultima esigenza è avvertita sia da alcuni USSM, che per definizione lavorano in area penale esterna, sia da alcuni IPM, che dunque intravedono nel mediatore la figura più adatta a preparare la cosiddetta fase del rilascio, ovvero a tutelare il minore anche dopo l’uscita dal circuito penale. Si vedrà più avanti che sebbene ne sia avvertita l’esigenza appare più complicato attivare formalmente i mediatori in tal senso. Meno consolidato si presenta infine il ricorso alla MLC in seguito ad esigenze connesse all’accertamento delle condizioni di salute del ragazzo o connesse alla presenza di ragazzi che commettono reati in bande o gang. Certamente ciò non vuol dire che queste esigenze abbiano meno valore in sé (come nel caso dei motivi di salute) o appaiano più lontane dalla sensibilità degli operatori, vuol dire invece che non sono queste le esigenze fondamentali di mediazione che i servizi avvertono più frequentemente nel prendere in carico i minori stranieri. In merito al rapporto tra il mediatore e gli altri operatori, nessuno dei responsabili dei servizi in cui si pratica la MLC ha scelto la prima opzione di risposta: “il mediatore effettua il suo intervento in maniera autonoma ed indipendente”. 15 di essi affermano che il mediatore effettua il suo intervento da solo ed in équipe (si tratta di quasi tutti i CPA e gli IPM rappresentati nel campione, in cui s’è già detto che il mediatore in genere effettua il primo colloquio vis a vis col minore) e 14 che il lavoro del mediatore è parte del lavoro di équipe. Si tornerà fra breve su questo punto, nella discussione successiva che tenterà di far emergere meglio le modalità operative degli interventi di MLC, attraverso l’analisi delle interviste ai mediatori. Vale ora ricordare che i responsabili segnalano un grado assai basso di disfunzionalità degli interventi di MLC. La valutazione in merito all’utilità degli interventi di MLC ai fini della presa in carico dei minori, effettuata su scala di Likert da 0 a 7, è decisamente positiva, con 16 responsabili che indicano il massimo valore, sul totale dei 29 che dirigono servizi in cui si effettua la MLC. Tuttavia, solo in 8 di tali servizi si svolgono costantemente incontri finalizzati al monitoraggio ed alla valutazione degli interventi di MLC effettuati (si tratta per lo più dei CPA e degli IMP che hanno segnalato il più elevato numero di ore di MLC per anno). Il giudizio sulla “tenuta” della Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia Minorile” è sostanzialmente positivo. Prima di passare alla discussione di quanto emerso dalle interviste ai mediatori, che consentirà anche un affondo conoscitivo sulle modalità operative della MLC e sul rapporto tra mediatori ed altri operatori in ordine alla cosiddetta gestione dei casi, si può riassumere quanto emerso dalla disamina dei risultati del survey dicendo che: la pratica della MLC non appare universalmente diffusa nei servizi minorili della Giustizia e la sua diffusione non ha fatto registrare un significativo incremento nell’ultimo decennio; nonostante ciò, nel corso del tempo si sono sedimentate e consolidate alcune esperienze, che appaiono concentrate in alcuni servizi, in primo luogo CPA ed IPM di Treviso, Torino, Milano, Roma, Acireale, Catania, Palermo, Bari, che probabilmente sono le strutture in cui la presa in carico dei minori stranieri è più frequente e con numeri più elevati; è protagonista di queste esperienze – consolidate sia in termini di durata sia in termini di numero di ore di MLC effettuate – un gruppo relativamente contenuto di mediatori, che realizzano interventi di MLC soprattutto in 15 lingua araba ed in lingua rumena, prevalentemente nei confronti di msna; si tratta di mediatori che lavorano da molto tempo in questi servizi, hanno costruito un rapporto di intesa e fiducia con i responsabili, con reciproca soddisfazione in merito alla conduzione degli interventi di MLC e sono (a proprio giudizio ed a giudizio dei responsabili) molto ben integrati nell’équipe che si occupa della presa in carico dei minori e nel lavoro che quest’équipe abitualmente svolge; all’interno di questo quadro, tra i segnali dei fenomeni emergenti, cioè dei fenomeni che in seguito alla sedimentazione delle esperienze sembrano inaugurare una prospettiva propositiva per l’ulteriore sviluppo della MLC – dunque verso il superamento della sola visione reattiva della MLC come strumento di risposta alle emergenze ed ai bisogni essenziali di un’utenza minorile quale quella composta dai msna – si notano: a) un’attenzione al contributo che il mediatore può apportare al miglioramento della presa in carico dei minori cosiddetti “di seconda generazione”, soprattutto con riguardo ai rapporti tra il servizio e la famiglia, anche in ordine alla gestione del conflitto intergenerazionale; b) un’attenzione al contributo che il mediatore può apportare alla predisposizione della fase di rilascio ed alla tutela del minore uscito dal circuito penale, in virtù della sua capacità di intervenire nel territorio e sul territorio, in contatto con gli enti pubblici, le strutture del privato sociale ed il mondo dell’associazionismo su base etnica o nazionale. 1.4 LE INTERVISTE AI MEDIATORI: METODOLOGIA, STRUMENTI E RISULTATI La discussione che segue si riferisce a quanto emerso da quindici interviste. Il rilascio dell’intervista è stato chiesto ad alcuni dei mediatori segnalati dai responsabili dei servizi, in particolare a coloro che hanno effettuato il maggior numero di interventi, seguendo anche il criterio della rappresentatività per lingua (principalmente due, arabo e rumeno, per i motivi già discussi nel paragrafo precedente) e per territorio. Il tutto per raccogliere attraverso la loro prospettiva le informazioni qualitative sulle esperienze svolte. Le interviste sono state condotte utilizzando il metodo dell’intervista telefonica semistrutturata, su griglia di domande inviate preventivamente per posta elettronica all’intervistando. Avvalendosi anche delle informazioni su come e quanto si pratica la MLC nel servizio in cui il mediatore opera, acquisite in virtù del questionario compilato dal responsabile del servizio medesimo, l’intervista ha effettuato un approfondimento conoscitivo attraverso l’esplorazione dei seguenti temi: profilo professionale di base dell’intervistato; approccio teorico alla mediazione; durata dell’esperienza svolta ovvero in corso nei Servizi minorili della Giustizia; modalità dell’intervento di MLC, con riferimento in particolare a: modalità preferenziale di colloquio col minore: colloquio svolto solo dal mediatore o dal mediatore insieme ad altri operatori (specificare quali); incontro solo col minore o nel gruppo dei pari o, ancora, con la famiglia ovvero con altre figure di riferimento per il minore medesimo; 16 come vede il proprio ruolo all’interno del servizio, ovvero all’interno del lavoro che complessivamente il servizio svolge; come pensa di poter eventualmente fornire un contributo più efficace al lavoro del servizio ed in base a quali motivi, ovvero in ragione di quali esperienze in tal senso svolte. La griglia di domande è stata inviata a ciascun intervistato prima dello svolgimento dell’intervista. Di ciascuna intervista è stata redatta una sintesi, inviata per approvazione all’intervistato. Al termine dell’intervista, ciascun intervistato è stato invitato a partecipare ad una piccola “assise della MLC nella Giustizia minorile”, per un momento di scambio e condivisione delle esperienze. In merito al tema del profilo professionale, tutti gli intervistati sono in possesso di un diploma di scuola superiore, conseguito nel paese d’origine, corredato in alcuni casi da una laurea in discipline storico letterarie o psicologiche con indirizzo etnopsicologico, conseguita in Italia. Nel gruppo degli intervistati è compreso anche un giovane mediatore di origine italiana (nel senso di non immigrato) che si occupa di MLC nell’ambito di un percorso di studi universitari (dottorato) in discipline antropologiche. Tutti i mediatori di origine straniera hanno sperimentato l’origine esperienziale della MLC, che è entrata a far parte del significato del loro progetto migratorio, ed hanno parimenti attraversato la fase di sviluppo del livello formativo, cioè la fase in cui – nel decennio a cavallo del cambio di secolo e di millennio – l’offerta formativa e l’investimento in formazione in quest’ambito ha conosciuto in Italia la sua massima espansione, ad opera di varie agenzie, associazioni ed università; fase che corrisponde temporalmente anche all’epoca in cui è stata promulgata la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia Minorile”. Tutti gli intervistati provengono da questi corsi (erogati da enti pubblici o privati riconosciuti, che hanno loro rilasciato un attestato) al cui interno hanno effettuato centinaia di ore di formazione ed altrettante di tirocinio. I presupposti teorici di questi ampi percorsi formativi sostengono un’idea di MLC che si può concretizzare a diversi livelli ma che appare anche connessa alle scelte politiche riguardanti il modello di società che si vuole costruire, dunque alle scelte in tema di politiche per l’integrazione a livello sia locale sia nazionale. In questa luce, il mediatore è un informatore e traduttore di regole, in una logica di inclusione sociale assimilatoria o, in un’accezione più forte, un agente di “interpretazione culturale” dei bisogni (secondo un’espressione di Franca Balsamo in Lorenzo Luatti, Atlante della mediazione linguistico culturale. Nuove mappe per la professione di mediatore, Franco Angeli, Milano 2006). Poiché i bisogni sono socialmente e culturalmente costruiti all’interno dei diversi contesti e delle relative tradizioni, il mediatore li reinterpreta e ne evidenzia la legittimità alla luce dei codici entro cui si generano. Nel far ciò il mediatore elicita e mette anche in evidenza le risorse che le persone provenienti da altre culture esprimono e che non sempre sono immediatamente riconoscibili dagli operatori dei servizi e dalla cittadinanza tutta, in senso più ampio. Ed è qui che il mediatore diviene altresì agente di cambiamento, ambasciatore e trasmettitore di culture, promotore dei diritti di partecipazione, attore di un progetto interculturale di cittadinanza, creando le 17 condizioni per cui “cittadini immigrati e cittadini autoctoni possano ridefinire una casa comune, uno spazio di interazione e collaborazione” (Abdel Jabbar, in Luatti citato sopra). In effetti, i mediatori intervistati in molti casi hanno accumulato esperienza di MLC anche in altri servizi, tra cui la scuola, e quasi tutti appartengono ad associazioni, sia nello spirito di effettuare un lavoro di ampia portata sull’intercultura nelle realtà in cui vivono ed operano (in accordo con i presupposti teorici della MLC di cui s’è fatto cenno) sia nello spirito di riqualificare costantemente la propria professionalità, anche con un autocontrollo sulla qualità del proprio operato e sulla spendibilità nel mercato del lavoro della professionalità acquisita. In una battuta: sono nella prospettiva di configurarsi come categoria socioprofessionale autonoma. Da questo punto di vista soffrono della loro condizione di precarietà nello specifico della Giustizia minorile, connessa al rinnovo o ai sempre possibili cambiamenti del rapporto di convenzione con i servizi, che di fatto comporta un’ipoteca – se non una vera e propria incognita – sulla possibilità di pensare a prospettive di uso della MLC in questo contesto più articolate o più lungimiranti, per le quali è indispensabile il requisito della programmazione nel lungo periodo, dunque una garanzia di stabilità. È chiaro che tale questione travalica ampiamente le finalità dell’intervista ma trova una sua pertinenza ai fini dell’approfondimento delle esperienze in atto. Ancora in riferimento al tema della costante riqualificazione della professionalità del mediatore, va tuttavia rilevato che in merito alla formazione specifica, cioè specifica in rapporto alle specificità del contesto della Giustizia minorile, quali l’ascolto del minore, il significato del lavoro col minore che attraversa il circuito penale, le peculiarità del procedimento penale minorile e quant’altro, gli intervistati parlano di un momento informale: un breve training effettuato direttamente all’interno del servizio minorile (informazioni su norme e prassi che regolano la presa in carico del minore). Gran parte del consistente patrimonio di competenze specifiche – di cui non appaiono chiarissime le modalità di validazione e riconoscimento formale o certificazione – è stata sviluppata nel corso dell’esperienza pluriennale di pratica professionale sul campo. Certamente su questo aspetto incide anche il fatto per cui la maggior parte degli intervistati – come già ricordato – opera anche – o ha già operato – nello specifico della giustizia in qualità di traduttore o interprete presso il Tribunale (Tribunale ordinario e/o Tribunale per i Minorenni). Si avverte tuttavia che seppure l’ambiente dei mediatori sia animato da un intenso dibattito sul significato della MLC (ruolo, funzioni ed evoluzione) non vi è molto scambio sullo specifico delle modalità applicative della MLC nella Giustizia minorile, almeno non vi è scambio tra le esperienze sviluppate in territori diversi. Come dire che su questo punto si ha l’impressione di una sorta di “isolamento”. Tant’è che gli intervistati hanno accolto con grande favore l’invito a prendere parte alla piccola “assise” della MLC nei servizi minorili della Giustizia (l’incontro che ha avuto luogo il 30 giugno presso l’ICF di Roma) a cui hanno partecipato con vivo interesse. Alcuni hanno inoltre espresso gratitudine per esser stati coinvolti in un evento (probabilmente inedito) che ha fornito loro un’occasione per trovarsi nelle vesti di professionisti pienamente riflessivi, al di là della routine dell’intervento quotidiano – peraltro lodevole a ragione dei suoi effetti indubbiamente positivi ai fini della presa in carico dei minori stranieri. Del resto, era già 18 emerso dalla discussione dei risultati del survey tra i responsabili dei servizi che in meno di un terzo delle strutture in cui si pratica la mediazione si svolgono costantemente incontri finalizzati al monitoraggio ed alla valutazione degli interventi svolti, pur se – ai fini del discorso sull’isolamento e sulla riflessività dei professionisti della mediazione – pare altresì lecito supporre che la riflessione sul proprio lavoro da parte dei mediatori trovi altri luoghi e tempi privilegiati, ad esempio all’interno delle associazioni, visto che verosimilmente essi non lavorano a tempo pieno per la Giustizia minorile (non c’è stata una domanda diretta in merito ma sembra di poterlo presumere dall’insieme del racconto raccolto). Poste queste premesse ed anche in base ad esse è ora tempo di approfondire le modalità di svolgimento degli interventi ed il ruolo dei mediatori all’interno del servizio, cioè all’interno del processo di presa in carico del minore straniero. Il racconto degli intervistati su questi punti è abbastanza uniforme e pur non essendo identiche le prassi che ciascun servizio ha adottato si parla di interventi di MLC organizzati all’interno della cornice delineata dalle linee guida di cui la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002. Nella fase di accoglienza il mediatore traduce, assiste il minore durante la visita sanitaria, lo rende adeguatamente informato su ciò che lo riguarda, facilita l’acquisizione da parte dell’educatore degli elementi di conoscenza sulla situazione del minore, agevola i contatti con la famiglia; nella fase di attuazione della presa in carico, facilita la comunicazione del ragazzo con l’équipe, fornisce elementi utili all’équipe ed assiste quest’ultima nella gestione dei rapporti con la famiglia. Tuttavia, all’interno di questa cornice faticano ad emergere con chiarezza prassi ben definite e le varie procedure sembrano assai legate all’intesa che si è stabilita tra il mediatore e gli operatori in organico al servizio – intesa che non necessariamente è informata da relazioni meramente gerarchiche. Un’intesa rappresentata dai mediatori intervistati per mezzo di continue sottolineature dell’importanza del lavoro di équipe, al cui interno i mediatori si sentono pienamente integrati funzionalmente, oppure per mezzo di sottolineature in merito all’importanza di guadagnarsi la fiducia del minore o in merito all’importanza di mantenere ben precisi i confini del proprio operato, rispettando quello degli altri, solo qui con un implicito riferimento ai rapporti tra la funzione di consulente (il mediatore) e la funzione dell’operatore titolare del caso. In sostanza si ha l’impressione che vi sia una sorta di difficoltà a “modellizzare” l’intervento di MLC e la sua funzione all’interno della conduzione del caso: quel passaggio dalla prassi alla teoria e poi di nuovo alla prassi, da cui scaturisce un modello – che certamente non può essere rigido – riproducibile e trasferibile. In effetti su questo punto gli intervistati appaiono piuttosto “difesi”. Beninteso: tutte le interviste si sono svolte in un clima di serena disponibilità al dialogo ed all’approfondimento. Tuttavia i mediatori sono sembrati difesi nel senso che emerge dal loro discorso una difficoltà a sviluppare una riflessività forte sugli aspetti problematici inerenti l’individuazione dei processi che identificano gli attori (la specificità del mediatore) gli obiettivi delle azioni che essi svolgono ed i “prodotti” da trasferire da un attore all’altro, ovvero da condividere all’interno del lavoro di équipe (lavoro in cui non già tutti fanno tutto ma ciascuno apporta un contributo che è tanto più prezioso quanto più è specifico). Dunque quali sono le domande da porre al minore, cioè gli aspetti da approfondire o elicitare in virtù dell’intervento di MLC; come le informazioni debbono 19 essere acquisite e da chi (ad esempio: solo dal mediatore che stabilisce una relazione individuale col minore o dal mediatore insieme al titolare del caso, stabilendo una relazione triadica tra minore, consulente esterno e figura istituzionale) come le informazioni “mediate” – cioè “reinterpretate culturalmente” dal mediatore – debbono ritornare a chi ne ha attivato l’intervento, per stabilire anche attraverso quali modalità l’operatore istituzionale (sia egli educatore, assistente sociale, psicologo, polizia penitenziaria) deve ascoltare le risposte del mediatore, ovvero ciò che il mediatore ha da dire. Del resto, le linee guida di cui la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002 non sono da questo punto di vista esaustive, limitandosi a fornire indicazioni generiche, forse necessariamente o volutamente, visto che si tratta, come in parte già accennato, di “una prima ipotesi organizzativa ed operativa dell’attività di mediazione culturale in grado di orientare e disciplinare, in modo efficace e coerente, le collaborazioni del mediatore culturale con i Servizi Minorili”. Infatti, si dice che “il servizio attiverà il mediatore affinché … faciliti l’educatore/operatore, titolare del caso, nell’acquisizione di elementi di conoscenza sul contesto familiare e culturale di provenienza del ragazzo, sul suo progetto migratorio, le sue motivazioni, i suoi vissuti personali … faciliti la comunicazione del ragazzo con l’équipe aiutandolo a esplicitare i suoi bisogni; fornisca elementi utili per l’elaborazione e realizzazione del progetto educativo …” ma non si precisa quali siano le informazioni più significative che si richiede al mediatore di acquisire (forse lasciando campo libero su questo versante al mediatore stesso?) e come esse debbano “ritornare” al “titolare del caso”. Anche per capire se, in quale misura, come ed eventualmente per quale motivo, le procedure seguite nei confronti del minore straniero – al cui interno si colloca quella legittima funzione di interpretazione culturale assicurata dalla MLC – si discostino da quelle adottate nei confronti del minore italiano. È chiaro che quanto più si tenta di superare il piano della traduzione letteraria (la funzione di interpretariato) tanto più diviene complessa e delicata la funzione svolta dal mediatore ed a maggior ragione assume cogenza la questione di definire quali siano o quali possano essere “le regole del gioco” (per riprendere un’espressione del già citato Abdel Jabbar) in modo che ciascun operatore possa giocare al meglio la sua parte. Nonostante i problemi aperti, che gli intervistati hanno esplicitamente segnalato o che è possibile dedurre dal loro ascolto attivo e dal dialogo, il racconto dei mediatori ha fornito spunti di estremo interesse in ordine all’approfondimento delle pratiche più consolidate, che – vale ribadirlo – si sono certamente rivelate efficaci. Un primo punto di ampia convergenza è la precocità dell’intervento di MLC, che esprime al massimo la sua efficacia (ai fini della presa in carico del ragazzo straniero all’interno del sistema di Giustizia minorile) se attivato sin da subito. Qui l’importanza della presenza del mediatore (stabile o a chiamata) nel CPA. La MLC è invece meno incisiva (ai fini della tutela del benessere del minore e del buon esito del percorso che egli compie all’interno del sistema) quando è attivata in seguito ad un’emergenza (disreattività del minore nei confronti del servizio) ovvero quando gli operatori istituzionali si trovano in difficoltà. In questi casi la MLC si rivela certamente utile per ricomporre situazioni problematiche ma viene ad inserirsi come tentativo di porre rimedio (ancor più se transitorio) ad un percorso in parte compromesso, cioè segnato da un impatto 20 traumatico col sistema o da una più o meno momentanea disfunzionalità degli interventi, come dire: segnato da una sorta di “strappo”. Sulla stessa linea, i mediatori pongono l’accento sulla continuità della presenza del mediatore, che accompagna il minore – ovvero è disponibile alle esigenze del minore, stabilmente o a chiamata – lungo tutto l’arco della sua permanenza nel circuito penale e non solo in uno dei servizi in cui esso si articola. Come si vedrà più avanti, in alcuni casi, sebbene in via informale, quest’accompagnamento si prolunga anche dopo il rilascio. In tal senso il mediatore rappresenta una figura di riferimento: dopo il primo incontro, ovvero dopo i primi interventi di MLC, il minore straniero sa che il mediatore c’è e sa che c’è per lui, anche se non ne ha bisogno sempre. L’accompagnamento del minore avviene in affiancamento con l’educatore, l’assistente sociale, lo psicologo (ove necessario) ed altre figure istituzionali ma gli operatori possono cambiare, mentre il mediatore resta e svolge – accanto alle figure istituzionali – una funzione di facilitazione dell’intervento educativo, in tutti i luoghi attraverso cui il minore transita, dall’area penale interna a quella esterna. Questa funzione di facilitazione, che integra il progetto educativo del minore, ne agevola ad esempio la permanenza in IPM e favorisce la sostenibilità di un percorso (scuola, formazione e quant’altro). Nel caso il minore divenga maggiorenne e debba scontare un periodo di detenzione nel sistema carcerario ordinario, il mediatore che l’ha conosciuto all’interno dei servizi minorili, ove possibile, provvede a dare continuità alla sua funzione attraverso una sorta di “trasferimento di consegne” al mediatore che lavora con gli adulti. In virtù dell’intervento di MLC è garantito anche al minore straniero il diritto di essere informato su dove si trova, sul perché i servizi minorili si occupano di lui e su quali provvedimenti intendono adottare nei suoi confronti. Ed è parimenti garantito anche al minore straniero il diritto di essere ascoltato e di esprimere un parere in merito ai provvedimenti che lo riguardano, dunque di far presenti le sue esigenze. In tal senso i mediatori parlano dell’importanza di tranquillizzare il minore, fin dal primo momento dell’ingresso nel circuito penale, e di orientarlo attraverso una funzione che si potrebbe definire “chiarificatrice” della MLC. Nel dare continuità a questa funzione, il mediatore svolge un ruolo di tutoraggio, che suscita un’analogia col compito assegnato da Dante Alighieri a Virgilio nell’accompagnarlo attraverso i gironi infernali ed il Purgatorio. Grazie all’apporto della MLC, il servizio diviene certamente più friendly users. Nel contempo, la MLC contribuisce ad incrementare ciò che si può senz’altro definire la “pertinenza culturale” della risposta che il servizio tende ad assicurare al minore, nella misura in cui il risultato dell’intervento di “reinterpretazione culturale” effettuato dal mediatore confluisce nell’insieme di elementi in base ai quali il servizio propone al minore uno specifico progetto o percorso di recupero – sia esso da svolgersi in sede intramuraria o in area penale esterna – che viene dunque elaborato tenendo presente anche la variabile culturale (ferme restando le perplessità espresse prima, in merito alla chiara individuazione dei processi che, nell’ambito del lavoro di équipe, identificano gli attori, gli obiettivi delle azioni che essi svolgono ed i risultati perseguiti attraverso ciascuna azione). All’interno di quanto appena descritto, gli intervistati convergono nel segnalare altri due argomenti rilevanti. Il primo è il coinvolgimento del mediatore nella scelta 21 della comunità a cui indirizzare il minore. È ben noto che, per varie e complesse ragioni la cui discussione esula dalle finalità del presente documento, questa scelta non sempre avviene sulla base di una valutazione sia delle esigenze del minore, sia delle caratteristiche della comunità. Tuttavia, il fatto che i mediatori abbiano concordemente sottolineato l’importanza di questo momento (l’invio in comunità) invita ad una riflessione, per meglio definire il contributo che il mediatore potrebbe apportare in tal senso, anche per aiutare le comunità ad una corretta presa in carico del minore. Il secondo riguarda la fase del rilascio, ovvero ciò che accade quando il minore è uscito dal sistema. La riflessione su questa fase implica ovviamente una riflessione sul tema del lavoro con la famiglia e sul tema del lavoro nel territorio e col territorio, soprattutto quando la famiglia è molto lontana – e non di rado esercita un’influenza fortemente negativa sul minore – come nel caso dei non accompagnati. Nel caso del percorso dei minori italiani che attraversano il circuito penale, l’esperienza degli ultimi decenni ha mostrato che se c’è stata la possibilità di condurre un buon lavoro sulla famiglia e con la famiglia, gli esiti sono migliori. Viceversa se il rilascio non è ben preparato. Anche qui la funzione svolta dal mediatore si rivela importante, perché costui non lavora solo nel sistema penale bensì nel territorio, attraverso le associazioni, il volontariato e quant’altro. È perciò ben chiaro che il mediatore viene a configurare una sorta di “figura di raccordo”, visto che la Giustizia minorile è un sistema per sua natura “aperto” e svolge la sua funzione lavorando in rete coi servizi e tutte le risorse territoriali. In effetti, gli intervistati segnalano numerose esperienze in cui il tutoraggio del minore si è esteso anche nella fase del rilascio. Sarebbe tuttavia opportuno precisare attraverso quali modalità, non solo informali (come quelle da cui sono scaturite le esperienze raccontate dagli intervistati) questo compito possa trovare una completa esplicazione, per diventare prassi condivisa dall’intera sistema. Una via pare per contro già tracciata e si intravede nel lavoro con la famiglia ed in alcuni aspetti di ciò che la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002 chiama mediazione “indiretta”. Tutti gli intervistati richiamano l’attenzione sull’importanza dell’intervento di MLC anche nei confronti della famiglia, sia quando essa ha un’influenza negativa sul minore, sia quando è una risorsa, sia quando appaia necessario “ricucire” il rapporto tra minore e famiglia. Certamente è solo in alcuni casi che la famiglia ha una reale disponibilità a non perdere di vista il ragazzo ma nondimeno essa costituisce comunque, di per sé – si tratti di famiglia nucleare, monoparentale, allargata o quant’altro – un interlocutore privilegiato dei servizi minorili, dunque soggetto meritevole di coinvolgimento, anche attraverso lo strumento della MLC. La famiglia è inoltre una delle molteplici agenzie di socializzazione ed integrazione sociale, la cui funzione si aggiunge a quella svolta nella stessa direzione dalla scuola e dagli altri organismi che, nel territorio, operano per il mantenimento delle culture d’origine e per l’empowerment di coloro che – nei paesi d’immigrazione – ne sono portatori, nonché per creare le condizioni che favoriscano la conoscenza ed il rispetto di tutte le culture che abitano il medesimo luogo. In tal senso il mediatore occupa una posizione senz’altro favorevole per esercitare il compito di raccordo tra le varie agenzie di cui s’è appena fatto cenno (dalla famiglia al territorio). Parimenti, come in alcuni casi gli intervistati hanno raccontato, il mediatore opera anche come organizzatore di comunità culturali o religiose, ovvero come soggetto della rappresentanza degli 22 interessi di tali comunità, venendo in ciò a costituire un importante attore dei processi di integrazione sociale, intesa nell’accezione di progetto per ridefinire e costruire una casa comune, cioè uno spazio di interazione e collaborazione. Un’integrazione sociale che si costruisce anche creando condizioni adatte a consentire il positivo inserimento sociale dei minori che hanno attraversato il circuito penale, d’intesa o in rete con i servizi minorili. Infine, ancora in tema di mediazione indiretta all’interno dei servizi minorili e con riferimento specifico al lavoro sull’intercultura, gli intervistati parlano di attività di consulenza ai responsabili nell’individuazione delle modalità per garantire l’assistenza religiosa (ad esempio la preparazione al Ramadan) o promuovere l’educazione alla salute dal punto di vista interculturale, fino al coinvolgimento nell’organizzazione di eventi per la conoscenza e lo scambio di prodotti culturali (musica, cibi e quant’altro). Così pure, il mediatore interviene su gruppi di pari (paradigmatico il caso dei gruppi di ragazzi di non omologa appartenenza culturale che convivono in IPM) per prevenire eventuali conflitti, gestirli o comunque costruire spazi di comunicazione che superino le differenze. Ed in ciò può rientrare anche l’intervento, di cui s’è già detto, per supportare i docenti della scuola e della formazione professionale nell’elaborare proposte scolastiche e formative calibrate anche su specifiche esigenze di ordine culturale. Emblematica la frase di un mediatore che nel corso dell’intervista ha ricordato come “il mediatore serve all’italiano e non solo allo straniero”, per segnalare una sorta di ritardo nella realizzazione di momenti di autoformazione, in cui sviluppare lo scambio interprofessionale tra operatori minorili e mediatori culturali, proprio sui temi dell’incontro/confronto tra culture. 23 ALLEGATO: IL QUESTIONARIO Ricognizione degli interventi di mediazione linguistico-culturale nei Servizi della Giustizia minorile Questionario Il seguente questionario si compone di 16 domande “chiuse” e di 3 domande “aperte”. Laddove non sono fornite altre indicazioni in merito alle modalità di risposta, si richiede al Responsabile di ciascun Servizio di indicare con un cerchio o una x l’opzione di risposta alle domande “chiuse” che ritiene più appropriata e di rispondere per esteso, utilizzando le righe punteggiate, alle domande “aperte”. Servizio: CPA □ USSM □ Comunità ministeriale □ IPM □ Sede: 1. 2. Presenza della mediazione linguistico-culturale (d’ora in poi MLC) nei servizi. All’interno del suo Servizio, la MLC: a. si effettua da più di dieci anni b. si effettua da meno di dieci anni c. non è stata mai effettuata nel corso degli ultimi dieci anni d. si prevede di attivarla Utilità della MLC. Ritiene che la MLC sia utile per migliorare la presa in carico dei minori stranieri da parte dei Servizi della Giustizia Minorile? a. sì b. no (SE SCEGLIE QUESTA RISPOSTA ED HA SCELTO LA RISPOSTA c. ALLA DOMANDA PRECEDENTE IL QUSTIONARIO È FINITO) 3. La MLC nel corso del tempo. All’interno del suo Servizio: a. sono stati effettuati interventi di MLC in passato ma non se ne effettuano più nel presente 24 b. il numero di interventi di MLC effettuati è diminuito nel corso degli ultimi cinque anni c. il numero di interventi di MLC effettuati è rimasto pressoché invariato nel corso degli ultimi cinque anni d. il numero di interventi di MLC effettuati è aumentato nel corso degli ultimi cinque anni 4. Fattori che influenzano l’andamento della MLC nel corso del tempo. Se all’interno del suo Servizio, nel corso del tempo, è aumentato il numero di interventi di MLC effettuati, tale incremento è principalmente dovuto, a suo avviso: a. all’incremento del numero di ragazzi in carico per i quali si rende necessario il ricorso alla MLC 0; 1; 2; 3 b. alla maggiore disponibilità di risorse disponibili al Servizio, da investire in MLC 0; 1; 2; 3 c. all’accresciuta sensibilità del Servizio nei confronti dell’utilità della MLC 0; 1; 2; 3 Attribuisca per favore a ciascuna opzione di risposta un punteggio da zero (fattore del tutto ininfluente sull’incremento degli interventi di MLC) a tre (fattore che ha contribuito fortemente a determinare l’incremento degli interventi di MLC) 5. Uso della MLC. All’interno del suo Servizio, la MLC: a. fa parte di un servizio stabile di cui il Servizio stesso dispone b. viene effettuata – ovvero è stata effettuata in passato o verrà effettuata in futuro – nell’ambito di attività progettuali a termine 6. 7. Presenza dei mediatori. All’interno del suo Servizio, il mediatore: a. è sempre presente in un dato giorno o in alcune ore b. interviene a chiamata Aspetti organizzativi della MLC. All’interno del suo Servizio, il costo degli interventi di MLC: a. è in carico alla Giustizia Minorile b. è in carico agli Enti locali c. non sussiste perché gli interventi sono effettuati da mediatori che svolgono attività di volontariato 25 8. Numero di ore di MLC, per lingua. Quante ore di MLC sono state effettuate all’interno del suo Servizio nel corso degli ultimi dodici mesi, per lingua. Indichi per favore il numero di ore di MLC effettuate accanto a ciascuna lingua: a. Arabo b. Rumeno c. Albanese d. Altre lingue in uso nei paesi balcanici o dell’Europa Centrale (Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria) e. Lingue veicolari (Inglese, Francese, Spagnolo) f. Lingue in uso nei paesi dell’ex-URSS g. Portoghese h. Cinese (cosiddetto Mandarino o cosiddetti dialetti) i. Lingue in uso nel sub-continente Indiano j. Lingue africane (ad esempio: Amarico, Berbero, Fulani, Hausa, Igbo, Yoruba, Lingala, Malgascio, Songhai, Swahili) k. Lingue in uso nei paesi dell’Asia centrale (Iran, Afghanistan, Pakistan) l. 9. Altra lingua Per quali minori. All’interno del suo Servizio, l’esigenza di far ricorso alla MLC sorge: a. in presenza di difficoltà riconducibili al fattore lingua (impossibilità di capirsi senza un interprete) 0; 1; 2; 3 b. in presenza di difficoltà riconducibili alla condizione sociale del ragazzo, come nel caso dei minori non accompagnati 0; 1; 2; 3 c. di fronte a ragazzi che presentano profili problematici, caratterizzati ad esempio da disorientamento o condotte violente 0; 1; 2; 3 d. per motivi di salute del ragazzo 0; 1; 2; 3 e. 3 di fronte a ragazzi che commettono reati in bande o gang 0; 1; 2; f. per accompagnare il progetto educativo in area penale esterna 0; 1; 2; 3 Attribuisca per favore a ciascuna opzione di risposta un punteggio da zero (ragione che non ha nessun peso nel determinare l’esigenza di far ricorso alla MLC) a tre (ragione che determina fortemente l’esigenza di far ricorso alla MLC) 26 10. Il mediatore e gli operatori. All’interno del suo Servizio: a. il mediatore effettua il suo intervento di MLC in maniera autonoma ed indipendente (lavora da solo) b. il lavoro del mediatore che effettua l’intervento di MLC è parte del lavoro di équipe svolto dagli operatori (mediatore ed operatori lavorano insieme con lo stesso ragazzo) c. il mediatore effettua il suo intervento di MLC da solo ed in équipe 11. Formazione specifica dei mediatori. A suo avviso, i mediatori che hanno effettuato interventi di MLC all’interno del suo Servizio disponevano di un livello adeguato di formazione sull’uso della MLC nell’ambito specifico del sistema di Giustizia Minorile? a. sì b. non era adeguata la loro formazione in materia di competenze giuridiche c. non era adeguata la loro formazione in materia di competenze relazionali d. non era adeguata la loro formazione in materia di competenze educative e. non era adeguata la loro formazione in materia di competenze linguistiche 12. 13. “Copertura” garantita dai mediatori. A suo avviso, all’interno del suo Servizio, ha sempre riscontrato pronta disponibilità di mediatori con competenze adeguate ad effettuare interventi di MLC con tutti i ragazzi, cioè con ragazzi appartenenti a tutti i gruppi linguistici o culturali? a. sì b. no Disfunzionalità degli interventi. A suo avviso, all’interno del suo Servizio, l’intervento del mediatore ha talvolta sollevato una o più delle problematiche di seguito indicate? Attribuisca per favore a ciascuna di esse un punteggio da zero (problematica mai osservata) a tre (problematica osservata frequentemente): a. problematiche relative alle modalità di comunicazione delle informazioni, ovvero al rispetto della privacy del minore 0; 1; 2; 3 b. problematiche relative alla non convergenza di pareri, tra mediatore ed operatori, in merito alle strategie di approccio al ragazzo 0; 1; 2; 3 27 c. problematiche dovute all’insorgenza di risposte violente da parte del ragazzo 0; 1; 2; 3 d. problematiche riconducibili alla non accettazione del mediatore da parte del ragazzo 0; 1; 2; 3 e. problematiche relative ai rapporti con la famiglia 0; 1; 2; 3 f. problematiche relative all’appartenenza dei ragazzi a determinati gruppi linguistici o culturali 0; 1; 2; 3. Si prega di indicare quali siano i gruppi per i quali la MLC sembra rivelarsi problematica……………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………………………… …………………… 14. Valutazione degli interventi. Esprima per favore una valutazione in merito all’utilità degli interventi di MLC ai fini della presa in carico dei minori stranieri, scegliendo un valore da zero (nessuna utilità) a sette (massima utilità): 0; 1; 2; 3; 4; 5; 6; 7 15. Verifica e monitoraggio. Nel suo Servizio si svolgono costantemente incontri finalizzati al monitoraggio ed alla valutazione degli interventi di MLC effettuati? 16. a. sì b. no Evoluzione osservata. Esprima per favore un parere sintetico (cinque righe) in merito all’evoluzione del ruolo del mediatore nel servizio…………………………………………………….…….………………………………………… ………………………………………………………………………….……………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………….. 17. “Tenuta” della circolare del 2002. Posto che le funzioni del mediatore nei Servizi Minorili della Giustizia sono state previste dalla circolare n.6/2002 del 23 marzo 2002 del Dipartimento Giustizia Minorile “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei Servizi Minorili della Giustizia”, a suo avviso ed alla luce dei cambiamenti eventualmente intercorsi nell’ultimo decennio, sono ancora valide le indicazioni contenute in quel documento? (È possibile scegliere più opzioni di risposta) 28 a. sì b. no, in particolare le indicazioni riguardanti la comprensione culturale reciproca (“tradurre” alle figure istituzionali alcuni comportamenti o “usi” adottati dagli stranieri e far comprendere ai minori di origine straniera le regole comunitarie delle strutture ospitanti) c. no, in particolare le indicazioni riguardanti l’aiuto al minore straniero ad esplicitare i suoi bisogni e le sue capacità all’educatore o all’assistente sociale, nonché a fidarsi d. no, in particolare le indicazioni riguardanti l’aiuto al minore straniero a comprendere il senso dei provvedimenti adottati dall’Autorità giudiziaria minorile e le prospettive trattamentali offerte e. no, in particolare le indicazioni riguardanti la funzione di mediazione culturale con il gruppo dei pari all’interno della struttura f. no, in particolare le indicazioni riguardanti la funzione di mediazione culturale con i riferimenti parentali del minore g. no, in particolare le indicazioni riguardanti il preparare e l’accompagnare il minore nella fase di dimissioni dal circuito penale minorile avvicinandolo, possibilmente e con il suo consenso, ad associazioni di volontariato appartenenti alla sua cultura, per un fattivo reinserimento sociale. 18. Altri contributi che la MLC potrebbero apportare. Esprima per favore un parere sintetico (cinque righe) in merito ad eventuali altri contributi che il mediatore linguistico-culturale potrebbe apportare, ai fini della presa in carico dei minori stranieri, alla luce dell’esperienza accumulata all’interno del suo Servizio………………….. ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… …...…………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………….. 19. Saperi “situati”. Indichi per favore il mediatore o i mediatori che a suo avviso hanno realizzato gli interventi di MLC meglio riusciti, cioè gli interventi di MLC che potrebbero costituire esempi di prassi da condividere (nome e recapito telefonico o e-mail) ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… 29 ………………………………………………………………………………………………………………… ………………………………………………………………………………………………………………… SECONDA SEZIONE: LINEE GUIDA 2.1 AMBITI APPLICATIVI DELLA MLC NEI SERVIZI MINORILI DELLA GIUST IZIA Sebbene abbia aderito al survey circa la metà del campione ed i risultati non possano pertanto essere generalizzati, resta il fatto che l’indagine condotta tra i responsabili dei servizi della Giustizia minorile consente di mettere in evidenza che la presenza della MLC è discontinua nelle varie realtà territoriali su cui i servizi insistono. Vi sono certamente servizi che fanno registrare una minore presenza di minori stranieri ma non vi sono servizi in cui l’utenza straniera sia del tutto assente. Il dato relativo alla presenza non univoca dello strumento di MLC nei vari servizi, a fronte del riscontro di una presenza indubbiamente ubiquitaria dei minori per i quali questo strumento può essere utilizzato (al fine di migliorarne la presa in carico) invita ad una riflessione preliminare sull’applicabilità della MLC. Riflessione che ruota attorno ad un quesito: se – ed eventualmente in che misura – la MLC è da intendersi quale strumento opzionale da attivare, oppure dev’essere invece considerata come risorsa ordinaria di cui ciascun servizio deve dotarsi. La questione è legittima visto che dopo dodici anni di sperimentazione della MLC (il tempo intercorso dalla promulgazione della Circolare n.6/2002 del 23 marzo 2002 del Dipartimento Giustizia Minorile “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei Servizi Minorili della Giustizia”) vi sono servizi che non vi hanno mai fatto ricorso (o che non vi fanno più ricorso pur avendola utilizzata in passato) e servizi in cui essa appare esperienza consolidata. Nel parlare di Linee guida in tema di MLC si ravvisa dunque l’opportunità di sottolineare una riflessione per così dire “di sistema” in merito alle condizioni per cui si ritiene consigliabile, almeno in via preferenziale, attivare la MLC. Al momento, l’esistenza di una barriera linguistica che pregiudica la corretta comunicazione col minore resta la condizione che indica fortemente l’attivazione di un intervento di MLC. Altra indicazione emergente riguarda l’ambito della mediazione indiretta, già evocato con questo termine dalla Circolare n.6 del 23 marzo 2002, in cui il mediatore costituisce figura indispensabile per garantire un’adeguata attenzione agli aspetti connessi alla variabile etnica e culturale, con particolare riguardo – oltre a quanto già indicato nella circolare medesima – alla funzione di facilitare il servizio nell’individuazione di modalità che assicurino i seguenti diritti: diritto alle pratiche religiose ed all’assistenza religiosa; diritto a disporre di un vitto rispettoso delle norme dietetiche; diritto ad aver accesso alle modalità cosiddette “tradizionali” di cura della salute. In accordo con quanto già discusso nell’ambito del Progetto SIMS, il dibattito in Italia – intesa come “sistema paese” – in tema di sensibilità dei servizi alla variabile etnica e culturale ha conosciuto picchi di forte sviluppo, che tuttavia non hanno – 30 ancora – prodotto un sostanziale adeguamento delle dotazioni e delle prassi. La definizione di molti aspetti è ormai da tempo demandata all’ambito giuridico, cioè ad un processo di natura assertiva ed aggiudicativa piuttosto che mediativa. È il caso ad esempio dell’adeguamento delle normative in materia di abbigliamento nei luoghi di lavoro e nei luoghi pubblici in genere, in materia di sorveglianza sulla preparazione degli alimenti destinati al commercio, in materia di pratiche di sepoltura. Tuttavia, nei confronti degli aspetti prima ricordati (pratiche religiose, dieta alimentare, cura della salute e quant’altro è già menzionato nella Circolare n. 6 del 2002) in cui si palesa il significato della parola “cultura” il mediatore – per quanto di sua pertinenza e certamente senza sostituirsi al legislatore – ha un suo spazio per proporre soluzioni – soluzioni mediate e non già giuridiche – che incrementino la pertinenza culturale del servizio, laddove le espressioni “pertinenza culturale” o “specificità culturale” di un servizio indicano la capacità di quel servizio di fornire prestazioni adeguate alle diverse esigenze presenti all’interno di un’utenza composita dal punto di vista etnico e culturale. Ancora in tema di ambiti applicativi della MLC è fatto obbligo segnalare l’attivazione appena emergente di questo strumento nel caso di presa in carico dei minori stranieri cosiddetti di seconda generazione. Qui incide in primo luogo sul minore non già l’interferenza della barriera linguistica, bensì la dimensione del conflitto culturale, che appare in genere connessa (in accordo con l’ampia letteratura in materia) con i contrasti tra prima e seconda generazione (ovvero tra minore e famiglia) e con la condizione di non completo riconoscimento di appartenenza al paese in cui si vive (marginalità dovuta all’origine immigrata ed alla doppia identità culturale). La barriera linguistica eventualmente può sussistere nel rapporto con la famiglia di questi ragazzi, che necessariamente viene coinvolta nell’intervento di MLC. In sintesi, le indicazioni forti per l’attivazione della MLC sono riconducibili a: presa in carico di minori che non hanno piena padronanza della lingua italiana o con cui è impossibile comunicare utilizzando le più comuni lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo); intervento sugli ambiti rubricati dalla Circolare n. 6 del 2002 sotto la voce “mediazione indiretta”, con riguardo particolare al rispetto delle esigenze di culto, alimentari e di salute del minore; lavoro con i minori di seconda generazione e con le loro famiglie. 2.2 CONFRONTO, CONDIVISIONE E VERIFICA DELLE ESPERIENZE DI MLC Posta la particolare condizione contrattuale dei mediatori (consulenti o esperti esterni che operano in rapporto di convenzione con l’Amministrazione della Giustizia) ed in presenza delle ovvie difficoltà che al momento sussistono in ordine ad un effettivo loro incardinamento all’interno del personale organico ai Servizi minorili della Giustizia, assumono grande rilevanza le occasioni di confronto, scambio e condivisione delle esperienze di MLC condotte e in atto nello specifico della Giustizia minorile, che vedano la partecipazione dei mediatori e degli altri operatori, in maniera analoga a quanto svolto nell’ambito delle attività aggiuntive la Progetto SIMS. Se queste occasioni assumono carattere stabile e continuativo consentono la costruzione di una 31 comunità di attori, di linguaggio e di pratiche, che al momento non esiste e che a sua volta costituisce sia strumento di elaborazione teorica in tema di ambiti applicativi e prospettive di sviluppo della MLC, sia strumento di monitoraggio e verifica degli interventi. In sintesi, è auspicabile la convocazione semestrale o annuale di un’assise stabile della MLC nei servizi della Giustizia minorile e che dalla prima convocazione scaturisca un gruppo di lavoro al quale sia affidato il compito di redigere una newsletter bimestrale e curarne la diffusione. 2.3 FORMAZIONE SPECIFICA DEI MEDIATORI E CERTIFICAZIONE Grande enfasi è stata posta sulla formazione dei mediatori, che oggi possono vantare un patrimonio di crediti formativi, in termini di titoli riconosciuti e monte ore effettuato, assai elevato. Ai fini del radicamento della funzione di MLC nei servizi minorili della Giustizia, alla luce delle indagini effettuate, più che la competenza del mediatore (sul versante della lingua e sul versante delle teorie e delle tecniche di mediazione) prende rilevanza il trasferimento ai mediatori del forte specifico culturale che caratterizza il sistema della Giustizia minorile. Più che la capacità “mediatoria” del mediatore si riscontra oggi l’opportunità di perfezionare e formalizzare (o, in alcuni casi, semplicemente certificare) il patrimonio conoscitivo in tema di tutela e promozione dei diritti del minore, centralità e prevalenza dell’interesse del minore, come riconosciuto dalle carte internazionali, unitamente alla cultura dell’ascolto e del lavoro col minore e per il minore, secondo la logica per cui questo soggetto non costituisce mero destinatario di decisioni che lo riguardano, bensì parte sostanziale delle decisioni medesime, dunque protagonista del conseguimento dei risultati che quelle decisioni auspicano. Ciò che configura, dietro le regole del procedimento penale minorile e grazie ad esse, un’area di lavoro comune a diverse figure professionali e che richiama la responsabilità di tutti, ovvero un pensiero comune ed una mente comune, all’interno di una sorta di setting stabile – ancorché sicuramente allargato – che vede al centro il minore. Si richiede l’attivazione di una speciale attenzione, diretta sia alla reale capacità “interna” di ciascun operatore di identificarsi con le esigenze di una mente “in crescita” (capacità riflessiva che a volte è chiamata capacità di “mentalizzazione”, in virtù della quale il ragazzo si sente ospitato ed aiutato) sia ai significati che assumono – all’interno dei servizi – la stabilità, le prassi, le routines, il bisogno di continuità. Tenendo presente peraltro che si sta tentando di stabilire un’alleanza sufficientemente profonda in tempi brevi ed un’alleanza di tipo tutelativo con chi effettivamente non l’ha chiesta. I mediatori hanno certamente acquisito sul campo questa cultura ma è auspicabile che il trasferimento di questi principi e di queste competenza – anche ad opera dei responsabili o degli operatori del servizio cui spettano le funzioni di selezione e training degli aspiranti mediatori da inserire nel servizio medesimo – non sia né occasionale, né lasciato all’estemporaneità del lavoro quotidiano. In sintesi, si raccomanda l’attenzione alla formazione specifica dei mediatori sui temi del diritto del minore e del lavoro col minore, che costituiscono il maggior punto di forza del patrimonio culturale in virtù del quale la Giustizia minorile si 32 caratterizza come tale, unitamente alla formalizzazione e certificazione delle competenze acquisite (in modo da renderle spendibili). 2.4 MODELLIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI MLC NEL LAVORO DI ÉQUIPE La chiarezza in merito al modello operativo che ciascun servizio in maniera più o meno consapevole costruisce nell’attivare la MLC è necessaria a prescindere dal rapporto di fiducia reciproca instaurato tra mediatori ed altre figure di operatori istituzionali e dall’intesa che si stabilisce lavorando in équipe, che pure contribuiscono certamente alla qualità degli interventi ed alla loro efficacia. La modellizzazione dell’operatività risulta centrale soprattutto in merito al ruolo che il mediatore (nelle vesti di consulente esterno, ovvero nelle vesti di esperto chiamato ad inserire un sapere aggiuntivo alle competenze del servizio) acquisisce all’interno dell’équipe che effettua la presa in carico del minore. L’insieme delle indagini condotte (survey ed interviste) ha fatto emergere, seppur all’interno di una cornice comune, approcci alla MLC e modi di realizzarla non omologhi, com’è anche giusto che sia, nel rispetto della professionalità di ciascun mediatore. Alcuni mediatori tendono maggiormente ad identificarsi con la logica del servizio, assimilandosi al servizio stesso e, pur non essendo vincolati dallo stesso obbligo contrattuale con l’Amministrazione, seguono il comportamento degli altri operatori istituzionali. Come dire che assumono l’abito degli appartenenti al sistema della Giustizia minorile, di cui divengono perciò rappresentanti. In altri casi, il mediatore gioca invece una funzione più autonoma, sia nei confronti del minore, sia nei confronti della logica del servizio. La questione è rilevante perché ciascun orientamento corrisponde a concezioni non omologhe della MLC, con riguardo anche alla funzione di terzietà, neutralità o equiprossimità che il mediatore sceglie di svolgere e con ancor maggior riguardo al come questa scelta – verso una maggiore terzietà o verso una maggiore assimilazione al servizio – contribuisce a creare occasioni di “aggancio” del ragazzo. Appare perciò evidente che, all’interno del lavoro di équipe, anche all’interno dello stesso servizio, il grado di delega o attribuzione di responsabilità a ciascun mediatore, in ordine a ciò che tutta l’équipe si attende dal suo intervento, può cambiare. E la precisazione di questo aspetto s’impone come requisito fondamentale per il buon funzionamento degli interventi, che non necessariamente debbono essere rigidamente omologati ma possono conservare un carattere di flessibilità – anche a seconda dello “stile” di ciascun mediatore – che viene anzi a costituirne un punto di forza. In sintesi, la chiarezza in merito al modello operativo che informa ciascun intervento o ciascuna prassi interna al servizio costituisce requisito per il positivo inserimento della funzione di MLC, dunque del ruolo del mediatore, nell’ambito del lavoro di équipe. 2.5 PRECOCITÀ E CONTINUITÀ DELL’INTERVENTO DI MLC Gli intervistati hanno avuto modo di verificare sul campo che il successo della MLC ai fini della presa in carico del minore straniero, a parità di altre condizioni, è legato a due fattori: precocità e continuità. Se il primo fattore induce a raccomandare l’attivazione della MLC (dunque la presenza del mediatore) sin dal primo contatto tra il 33 minore straniero ed il circuito penale (il CPA) il secondo fattore richiama l’attenzione sulla non sempre perfetta integrazione funzionale (in termini di dialogo e scambio di informazioni in tempo reale) tra i vari servizi minorili attraverso cui il minore per così dire “transita”, nonché tra servizi minorili ed altri servizi territoriali (SSN, privato sociale) che pure forniscono prestazioni destinate al minore. La figura del mediatore, nel suo garantire invece continuità di presenza (nel senso descritto nella discussione dei risultati delle interviste) potrebbe assicurare una funzione di raccordo, che metterebbe il minore al riparo dalle conseguenza della non sempre puntuale integrazione funzionale tra i vari servizi. Ancorché l’ipotesi sembri verosimile, dunque da sottoporre all’attenzione nell’ambito di queste raccomandazioni, restano aperti due interrogativi: la differenza che resterebbe tra il percorso del minore straniero ed il percorso del minore italiano, destinato a presentarsi più accidentato, non essendo qui richiesta la presenza del mediatore; l’individuazione di adeguate modalità e relative attribuzioni condivise di responsabilità, in base a cui il mediatore possa svolgere formalmente questa funzione di raccordo. In sintesi, la precocità dell’attivazione della MLC, unitamente alla continuità della presenza del mediatore lungo l’intero percorso che il minore compie all’interno del circuito penale, sono raccomandati come requisiti in brado di migliorare la presa in carico del minore straniero. Potrebbe esser compresa nell’ambito della MLC una funzione di raccordo tra i vari servizi che il minore attraversa, svolta formalmente dal mediatore. Può esser compreso in quanto sopra detto il raccordo formale col mediatore eventualmente presente nella struttura penitenziaria di destinazione di un minore che per limiti di età debba completare nel carcere ordinario l’esecuzione della pena detentiva. 2.6 IL CONTRIBUTO DEL MEDIATORE ALL’INDIVIDUAZIONE DELLA COMUNITÀ A latere della raccomandazione in merito alla funzione di raccordo tra i servizi, di cui s’è appena discusso, si pone la riflessione sul contributo del mediatore all’individuazione della comunità verso cui indirizzare il minore straniero. Riflessione che rimanda a temi altrettanto complessi, tra cui il percorso che ha condotto alla nascita dell’idea stessa di comunità e l’attuale configurazione del panorama delle strutture rubricate sotto la voce comunità ed attualmente esistenti. Se il primo tema esula dalla portata di questo documento, vale invece qui ricordare che con riferimento al sistema della Giustizia minorile si parla oggi di un numero ristretto di comunità ministeriali e di un ampio insieme di comunità gestite dal privato sociale e convenzionate con la Giustizia minorile. Questa sorta di universo, nel suo complesso, rappresenta un punto intermedio tra il sistema della Giustizia minorile ed il territorio. Il trasferimento del minore dai servizi minorili alla comunità viene a configurare un trasferimento di competenza ma non di responsabilità, poiché l’Amministrazione della Giustizia, attraverso le sue articolazioni territoriali ed in primo luogo attraverso i CGM, continua ad essere a pieno titolo responsabile della tutela del minore, che ha indirizzato verso una di queste strutture per l’appunto in accordo col principio di perseguire il suo migliore interesse. Tant’è che il CGM, per il tramite dei servizi ad esso afferenti, effettua una costante azione di monitoraggio e verifica delle condizioni del 34 minore collocato in comunità, nonché dell’andamento del suo percorso di recupero. È tuttavia implicito nel provvedimento stesso di collocamento in comunità un significato di delega e questa delega non sempre trova corrispondenza in quel rapporto di reciproca intesa (tra operatori della comunità ed operatori dei servizi minorili) che si costruisce nel tempo condividendo quotidianamente pratiche e linguaggio. E se i servizi guardano non senza una sorta di sospetto alla permanenza del minore in comunità, gli operatori delle comunità, dal canto loro, hanno non di rado la sensazione che i minori siano come frettolosamente scaricati all’interno delle loro strutture. A testimonianza di quanto il tema sia cogente, vale anche ricordare un recente intervento del Capo del Dipartimento esplicitamente finalizzato – nell’ambito di un più ampio impulso al coordinamento tra le varie articolazioni dell’Amministrazione – a promuovere la costruzione di una solida alleanza tra comunità e servizi, da cui scaturisca anche maggior spazio di manovra per un’individuazione condivisa (tra richiesta dei servizi ed offerta delle comunità) della struttura più idonea a ciascun minore. Il momento della scelta della comunità è più drammatico in fase di uscita dalla misura intramuraria, poiché in questo caso scatta un meccanismo di emergenza e resta poco spazio per la programmazione ragionata, che naturalmente comporterebbe un’attesa. Diverso il caso in cui il collocamento in comunità è prescritto nell’ambito di un progetto di messa alla prova, che consente di effettuare una scelta nel senso più vicino a quello letterale della parola. In ogni caso, come si vede il tema in oggetto non riguarda solo il minore straniero, pur se quest’ultimo è certamente più esposto ai rischi, ovvero alle sofferenze che possono derivare da una scelta che per varie ragioni non è stato possibile ponderare adeguatamente. Tutto ciò per ribadire che la natura stessa della questione impone di trattarla nel suo complesso, cioè con riguardo a tutte le sue sfaccettature. Resta ad ogni buon conto il fatto che, al momento e limitatamente al caso del minore straniero, il mediatore si mostra in grado di contribuire su più versanti nell’individuazione della comunità verso cui indirizzare un ragazzo. In sintesi, è opportuno che il mediatore fornisca per via formale elementi di valutazione utili all’individuazione della comunità cui destinare il minore, sia in seguito a modifica della misura intramuraria, sia nel corso di progetto di messa alla prova. In particolare, il contributo formale apportato dalla funzione di MLC si declina nelle seguenti azioni: contributo fornito agli operatori del servizio nell’orientare la scelta della comunità; supporto agli operatori della comunità che eventualmente non disponga di mediatori al suo interno, per integrare la pertinenza culturale della struttura, ovvero le competenze necessarie affinché sia garantito anche al minore straniero quanto occorre per soddisfare esigenze relative a culto, alimentazione ed accesso alla salute; coordinamento col mediatore che lavora all’interno alla comunità – ove presente – per un “trasferimento di consegne” che assicuri continuità al percorso in atto; contributo fornito agli operatori della comunità in ordine all’individuazione ovvero predisposizione delle specificità culturali 35 relative alle attività che il ragazzo è chiamato a svolgere (scuola, formazione e quant’altro). 2.7 IL CONTRIBUTO DEL MEDIATORE NELLA FASE DEL RILASCIO Come in parte anche accennato dalla Circolare n. 6 del 2002, il campo d’azione della MLC si prolunga – per così dire – anche dopo l’uscita del minore straniero dal circuito penale. Le indagini condotte danno conferma che molti mediatori, ancorché in via informale, si preoccupano di dare continuità anche in tal senso al loro intervento che altrimenti rischierebbe di vanificarsi, con forte pregiudizio sulla tutela del minore e con non indifferente spreco delle risorse materiali ed umane impegnate per il suo recupero. Più in particolare, la funzione del mediatore si rivela utile sia nel preparare la fase del rilascio, sia a rilascio avvenuto e consiste nell’individuare, sensibilizzare ed attivare le reti relazionali presenti nel territorio, che si dipanano a partire dalla famiglia – quando essa è presente – o attorno alle reti parentali o amicali, per estendersi alle reti etniche o di connazionali, fino agli altri attori territoriali che a vario titolo sono in grado di partecipare alla socializzazione del minore: strutture del privato sociale, associazionismo promosso da cittadini immigrati, mondo del volontariato, attori dell’aggregazione ludica e quant’altro. Ma anche qui, come sempre accade quando ci si confronta con la gestione della variabile culturale, ogni soluzione porta con sé rischi o quanto meno solleva problemi: qui il nodo problematico risiede nelle possibili derive di quest’approccio verso una sorta di “etnicizzazione” del minore straniero, più o meno indotta, nella misura in cui permane un pregiudizio relativo al fatto che si pensi che il minore, perché straniero, debba avere necessariamente accesso a reti etniche o su base nazionale. In sintesi, nella preparazione della fase di rilascio ed a rilascio avvenuto, d’intesa con gli operatori istituzionali, il mediatore può svolgere formalmente, nell’ambito della MLC, una funzione di raccordo tra la Giustizia minorile – intesa come sistema per sua natura attivamente “aperto” al territorio – e le varie risorse territoriali, dalla famiglia agli altri attori. Funzione svolta attraverso azioni di individuazione, sensibilizzazione ed attivazione di tali risorse. 36