allegato 3 - Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali

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allegato 3 - Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali
Unione Europea
DIPARTIMENTO GIUSTIZIA MINORILE
Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari
Ministero dell’Interno
Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione
Direzione Centrale per le Politiche
dell’Immigrazione
Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi 2007-2013
Annualità 2012 – Azione 3
Progetto “SIMS – Saperi Integrati per i Minori Stranieri”
Attività aggiuntive
(CUP J5913000350007 - CIG ZAD0ED4C6E)
ALLEGATO 3
DOCUMENTO DI LINEE GUIDA SULLA
MEDIAZIONE LINGUISTICO-CULTURALE
NEI SERVIZI DELLA GIUSTIZIA
MINORILE
Roma, luglio 2014
SOMMARIO
Le attività integrative del Progetto SIMS...........................................................................3
I presupposti delle attività: la MLC in Italia e nei servizi della Giustizia minorile .............4
Prima sezione: la ricognizione sullo stato della MLC ........................................................9
1.1 La metodologia del survey tra i responsabili dei servizi ..............................................9
1.2 Lo strumento d’indagine del survey ..........................................................................10
1.3 Adesione al survey ed analisi dei risultati..................................................................11
1.4 Le interviste ai mediatori: metodologia, strumenti e risultati ................................166
Allegato: il questionario ................................................................................................244
Seconda sezione: linee guida.........................................................................................300
2.1 Ambiti applicativi della mlc nei servizi minorili della giustizia ................................300
2.2 Confronto, condivisione e verifica delle esperienze di MLC ...................................311
2.3 Formazione specifica dei mediatori e certificazione ...............................................322
2.4 Modellizzazione degli interventi di MLC nel lavoro di équipe ................................333
2.5 Precocità e continuità dell’intervento di MLC .........................................................333
2.6 Il contributo del mediatore all’individuazione della comunità ...............................344
2.7 Il contributo del mediatore nella fase del rilascio ...................................................366
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LE ATTIVITÀ INTEGRATIVE DEL PROGETTO SIMS
In Italia, così come in altri contesti europei, la presenza di minori stranieri nel
circuito penale ha tempo sollecitato la Giustizia Minorile a mettere in campo risposte
adeguate, per interagire positivamente anche con questi soggetti.
Il Progetto SIMS – Saperi Integrati per i Minori Stranieri si colloca sulla linea di
sviluppo delle iniziative che la Giustizia Minorile promuove per migliorare le proprie
azioni nei confronti dei minori stranieri. Si tratta in particolare di un’iniziativa in corso
presso i CGM di Bologna, Genova, Perugia e Roma, finalizzata a strutturare modelli e
percorsi di presa in carico, tramite il supporto di équipe composte da figure
specialistiche. Le attività finora realizzate da SIMS, che dunque riguardano l’ambito di
quei “saperi integrati” necessari per meglio comprendere e gestire gli elementi di
“diversità” connessi alle esigenze dei minori stranieri, hanno condotto ad un’ampia
riflessione, al cui interno un elemento di attrazione è stato inevitabilmente costituito
dal tema della mediazione linguistico-culturale (d’ora in poi MLC). Più in particolare, si
è avuto modo di riscontrare che questo “sapere” è da tempo consolidato all’interno
dei Servizi della Giustizia Minorile. E si è anche riscontrato che, sebbene la MLC
rappresenti uno degli strumenti più idonei ai fini della presa in carico del minore
straniero, sussistono ancora ampie difformità in odine a: modalità applicative, efficacia
ed integrazione funzionale degli interventi. In una battuta: in merito a punti di forza ed
elementi di criticità.
Da qui l’opportunità di effettuare un affondo sul tema specifico della MLC nella
Giustizia Minorile e di effettuare tale affondo come attività integrativa del Progetto
SIMS. In accordo con quanto richiesto dall’Amministrazione titolare di SIMS, l’attività
integrativa consiste nella realizzazione di un’indagine finalizzata a costruire un
repertorio delle pratiche (cos’è la mediazione nei Servizi della Giustizia Minorile in
ciascuna realtà territoriale) e nell’organizzazione di un evento che consenta la
condivisione di quanto osservato all’interno della comunità degli operatori. Il tutto
nella prospettiva di compilare Linee guida in materia di MLC.
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I PRESUPPOSTI DELLE ATTIVITÀ: LA MLC IN ITALIA E
NEI SERVIZI DELLA GIUSTIZIA MINORILE
Da circa vent’anni, al fine di confrontarsi meglio con le esigenze poste dalla
presenza di minori stranieri all’interno del circuito penale, la Giustizia Minorile –
peraltro in sintonia con altre amministrazioni, nell’ambito del lavoro, della scuola, della
salute, dei servizi alla persona e delle altre dimensioni che concorrono a costruire
l’integrazione dei cittadini stranieri immigrati – ha introdotto nelle proprie strutture
figure professionali in grado di garantire funzioni di MLC, pur non essendo queste
figure appartenenti alla pianta organica delle strutture medesime. E per precisare il
contesto vale aggiungere che in Italia si è cominciato a parlare di questa forma di
mediazione sin dai primi anni Novanta del Novecento, anche sulla base di esperienze
già consolidate in altri Paesi Europei di più antica tradizione immigratoria. Si trattava di
sperimentazioni effettuate sia nell’ambito delle misure volte a fornire la prima
accoglienza ai migranti, sia nell’ambito di quelle più avanzate, con l’obiettivo di
promuovere i processi di integrazione nel contesto ospite, agevolando l’accesso ai
servizi, dunque l’accesso alla cittadinanza attiva, in condizioni di pari opportunità. In tal
senso la mediazione è stata vista come strumento utile ad ottemperare una duplice
esigenza: l’esigenza della popolazione immigrata, che riguarda il comprendere meglio
(in termini sia di lingua, sia di consuetudini e significati) il funzionamento del nuovo
contesto (con particolare riguardo all’individuazione dei servizi ed alla capacità di
accesso alle risorse che essi forniscono) e, nondimeno, l’esigenza delle amministrazioni
e dei servizi, che riguarda il comprendere meglio i bisogni “inediti” di cui è portatrice la
“nuova” utenza. E qui si è a lungo parlato della funzione di mediazione come “ponte”
che avvicina gli operatori a genti venute da un “lontano” non solo geografico, nonché
della funzione di mediazione come strategia per abbattere le barriere linguistiche e
culturali che discriminano i migranti – se confrontati con la popolazione non migrante
– nella partecipazione alle risorse dei territori in cui abitano.
Si è anche parlato di strategie di mediazione, nell’ambito delle politiche per
l’integrazione, con riferimento alla nozione di conflitto. Pensando non solo alla
mediazione come strategia per la risoluzione dei conflitti dovuti alle difficoltà di
comprensione e comunicazione laddove esse sorgono in una dimensione per così dire
“micro”. Anche pensando alla mediazione come strategia per la prevenzione dei
conflitti valoriali nella loro dimensione “macro”, nell’ottica di orientare i processi di
trasformazione sociale verso la costruzione di una società in cui possano coabitare le
differenze di ordine etnico e le differenze riconducibili a tutto ciò che in genere
s’intende quando si fa ricorso alla parola “cultura”.
Sempre con riferimento ai significati appena tratteggiati, è per molti versi
implicita nella funzione di MLC l’idea che essa preveda il coinvolgimento attivo della
stessa popolazione immigrata. Nel senso che proprio al migrante meglio si attaglia la
funzione di mediare, sia in virtù della conoscenza della lingua e della cultura del paese
d’origine, sia in virtù delle conoscenze che gli derivano dall’aver personalmente
sperimentato la migrazione. In molti casi quest’idea ha sottinteso il progetto di
promuovere all’interno della popolazione immigrata lo sviluppo di una sorta di middle
class, in grado di svolgere funzioni di rappresentanza e di favorire, in questa veste, sia
l’empowerment dei migranti, sia il dialogo con gli altri soggetti della rappresentanza,
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tipici della società ospite. Più in generale, le iniziative di formazione dei mediatori
hanno visto il coinvolgimento delle associazioni del privato sociale e l’ampia
partecipazione di migranti. A partire da queste prime esperienze si è giunti
progressivamente alla definizione di percorsi di formazione standardizzati, erogati da
enti pubblici. Sono stati parimenti sviluppati modelli di intervento ed in seguito al
consolidarsi delle sperimentazioni è sorta anche la necessità della riflessione e
dell’elaborazione teorica.
La prima “legge quadro” promulgata per il governo dell’immigrazione in Italia
(L. 40/98 divenuta poi “Testo unico sull’immigrazione” DPR 286/98) accenna alla
mediazione culturale e fornisce una prima definizione in merito al suo utilizzo. Col
Testo Unico viene introdotta e riconosciuta la figura del mediatore, mettendone in
evidenza l’importanza e l’utilità, al fine di garantire nel concreto alcuni diritti
fondamentali del cittadino straniero. La normativa non definisce in dettaglio l’attività
di mediazione ma contempla le misure per favorire l’integrazione dei migranti ed
afferma esplicitamente la possibilità di convenzioni con le associazioni iscritte
nell’apposito Albo, gestito dal Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del
Consiglio, per l’impiego di cittadini stranieri in qualità di mediatori culturali, al fine di
agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e la popolazione immigrata
appartenente ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi. In questa luce, ciò
che attiene alla MLC va ricondotto alle attività di facilitazione/agevolazione del
rapporto tra gli stranieri e le pubbliche amministrazioni, su terreni che la legge stessa
non definisce ma che l’esperienza ha individuato – come già ricordato – nelle
dimensioni che per così dire sostanziano il concetto stesso di integrazione: pratiche
amministrative (ad esempio titolo di permanenza nel territorio dello Stato e
residenza); accesso all’occupazione; ambito previdenziale; salute; scuola. A queste
dimensioni può essere ricondotta anche quella che comprende la Giustizia (dal
tribunale al carcere) ed in maniera senza dubbio privilegiata la Giustizia Minorile,
intesa come sistema preposto in primo luogo alla tutela dei soggetti minorenni e solo
secondariamente al controllo sociale.
E lungo questo rapido excursus è ora tempo di ricordare la Circolare n. 6 del 23
marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della
Giustizia Minorile” che riconosce nella mediazione uno degli strumenti per facilitare la
comunicazione tra minori ed operatori nei vari momenti della vita istituzionale e per
promuovere un punto di vista interculturale all’interno delle istituzioni, con
riferimento in particolare ai servizi della Giustizia minorile. La Circolare trova un suo
presupposto nel Decreto del Presidente della Repubblica del 20 giugno 2000, n. 230,
concernente il “Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle
misure privative della libertà”, che all’art. 35 riconosce una funzione operativa alla
MLC, prevedendo che “deve essere favorito l’intervento di operatori di mediazione
culturale, anche attraverso convenzioni con gli enti locali o con organizzazioni di
volontariato”. Così pure nel Decreto del Presidente della Repubblica del 13 giugno
2000, relativo all’Approvazione del Piano nazionale di azione e di interventi per la
tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva per il biennio 2000/2001, che
nella parte seconda, relativa agli impegni del Governo nei confronti dei “minorenni
stranieri” sezione E punto 1 paragrafo c) impegna “il Ministero della Giustizia .... a:
sviluppare la presenza di mediatori culturali nelle carceri minorili per consentire ai
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minorenni di svolgere attività di studio, apprendimento, formazione professionale”.
Nell’ambito di questo contesto normativo, la Circolare prevede che il mediatore
culturale fornisca al servizio un contributo professionale e strumenti idonei ad
adottare un punto di vista interculturale nella progettazione e realizzazione di tutte le
attività rivolte all’utenza. Ed attraverso le linee guida in essa contenute si propone di
indirizzare ed uniformare quanto più possibile tale area. Certamente, si legge altresì
nella circolare che essa: “si riferisce ad un livello di funzionamento ottimale dell’attività
del mediatore culturale a cui si deve tendere. Al momento, l’attuazione delle linee
guida risentirà, necessariamente, dei vincoli imposti dalle reali condizioni, risorse e
disponibilità dei singoli servizi”.
Più in particolare, la Circolare introduce la distinzione tra mediazione indiretta e
mediazione diretta. Con la prima espressione intende l’attività volta a costruire
interventi di tipo educativo interculturale, che coinvolgono i minorenni sottoposti a
procedimento penale ed i vari operatori istituzionali. Il tutto per creare condizioni che
permettano la conoscenza ed il rispetto delle diverse culture, per promuovere
momenti di autoformazione e scambio interprofessionale (tra operatori istituzionali e
mediatori culturali) per migliorare il dialogo tra operatori e minorenni stranieri; per
costruire all’interno del gruppo di pari spazi di comunicazione che superino le
differenze culturali; per fornire aiuto ai docenti della scuola e della formazione
professionale nell’elaborazione di proposte scolastiche e formative calibrate sulle
specifiche esigenze di minorenni stranieri; per fornire elementi utili al Servizio nel
garantire l’assistenza religiosa; per agevolare la comunicazione e la collaborazione tra il
Servizio, le Autorità Consolari, i Servizi Sociali e Sanitari territoriali, nonché con gli enti
e le associazioni del privato sociale che si occupano a vario titolo di minorenni; per
predisporre strumenti e materiali utili a favorire l’accoglienza dei minori stranieri e
favorire l’educazione alla salute da un punto di vista interculturale.
Per mediazione diretta intende il livello di mediazione in cui il mediatore
culturale affianca l’operatore titolare del caso, svolgendo una funzione di facilitazione
degli interventi psico-educativi, al fine di predisporre un programma educativo che
meglio risponda alle esigenze ed alle risorse del ragazzo. Analoga attività di
facilitazione è attuata dal mediatore culturale, in ogni momento della vita istituzionale,
nei confronti di tutti gli altri operatori della Giustizia minorile che a vario titolo entrano
in contatto con il minorenne. In tutti i casi di presa in carico da parte del Servizio di un
minore straniero, l’équipe può avvalersi del contributo del mediatore culturale,
coinvolgendolo nelle varie fasi dell’intervento dei servizi minorili.
Nel delicato momento dell’accoglienza, la circolare prevede che il servizio si
adoperi per attivare l’intervento del mediatore, affinché: sia curata la traduzione
linguistica in tutte le occasioni necessarie; sia chiaro il ruolo del mediatore stesso in
relazione a quello degli altri operatori; sia assistito il ragazzo durante la visita sanitaria
di primo ingresso; sia agevolata la comprensione del mandato istituzionale del Servizio
e, nel caso di strutture a carattere residenziale, sui ruoli e sulle regole interne di
convivenza; sia informato il minore sulle norme del paese ospitante, con particolare
riferimento al reato contestato, al processo penale minorile ed ai suoi possibili
percorsi, anche confrontando le conseguenze penali previste per il medesimo reato dal
sistema della giustizia italiana e da quello del paese di provenienza. Spetta ancora al
mediatore il compito di facilitare l’educatore/operatore, titolare del caso,
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nell’acquisizione di elementi di conoscenza sul contesto familiare e culturale di
provenienza del ragazzo, sul suo progetto migratorio, le sue motivazioni, i suoi vissuti
personali; nonché il compito di agevolare i contatti tra il ragazzo e la famiglia e tra la
famiglia e gli operatori.
Nella fase di attuazione della presa in carico, il mediatore facilita la
comunicazione del ragazzo con l’équipe aiutandolo a esplicitare i suoi bisogni; fornisce
all’équipe elementi utili per l’elaborazione e la realizzazione del progetto educativo;
assiste l’équipe nella gestione dei rapporti con la famiglia e con le altre figure di
riferimento; fornisce elementi di conoscenza sul minore all’équipe ai fini della stesura
delle relazioni informative indirizzate alla Magistratura, pur rimanendo l’équipe titolare
esclusiva dei rapporti con quest’ultima. Inoltre è riconosciuta al mediatore la
possibilità, al pari degli altri operatori, di essere ascoltato preliminarmente al Consiglio
di Disciplina.
Infine, nella fase delle dimissione dal Servizio ed eventuale fuoriuscita dal
circuito penale, il mediatore opera per facilitare l’individuazione di contatti con enti
territoriali, con associazioni del privato sociale, con i consolati, con ogni risorsa
specifica al fine di costruire le condizioni per un processo d’integrazione sociale del
ragazzo; contribuisce ad agevolare la continuità della presa in carico preparando il
ragazzo, nel caso di mutamento della misura penale, al passaggio da un Servizio ad un
altro; collabora altresì con gli altri operatori all’inserimento del ragazzo in Comunità.
Accanto a queste linee guida operative, la Circolare fornisce in ultimi alcune
indicazioni in materia di procedure di selezione, requisiti dei mediatori e loro
deontologia professionale.
Già dodici anni or sono venivano dunque tracciate le linee di indirizzo e di
impiego della figura del mediatore culturale, riprese poi dalla Circolare del 17 febbraio
2006, “Organizzazione e gestione tecnica degli IPM”. Ancora a testimonianza della
sensibilità per il tema in oggetto, questi concetti sono stati in parte ripresi anche dalla
Circolare del Capo Dipartimento n. 1 del 18 marzo 2013: “Modello d’intervento e
revisione dell’organizzazione e dell’operatività del Sistema dei Servizi Minorili della
Giustizia”, laddove tra le risposte che la Giustizia Minorile deve saper garantire con
certezza su tutto il territorio nazionale si fa riferimento a figure specialistiche come i
mediatori.
Vale altresì ricordare che il 29 luglio 2010, con il Contratto Collettivo Nazionale
Integrativo del personale non dirigenziale del ministero della Giustizia, è stato
introdotto nel sistema di classificazione del personale del Dipartimento Giustizia
Minorile, il profilo professionale di “funzionario della professionalità di mediazione
culturale”.
Nei Servizi della Giustizia Minorile, attualmente l’intervento del mediatore è
dunque ritenuto fondamentale per la costruzione di un’interazione quanto più
possibile proficua col minore straniero, nonostante le carenze che ancora permangono
in merito alla specifica codifica di questa figura (in ordine a profilo e ruolo). Con
duttilità e prontezza, anche di fronte alle emergenze, il mediatore aiuta a realizzare
quel positivo “aggancio” del minore straniero che permette di iniziare a pensare ad un
progetto. Come dire che il mediatore media per impedire che alcune specificità
culturali, o alcune condizioni di fragilità sociale, divengano motivo di esclusione,
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ovvero concorrano a generare “casi di difficile gestione”. Ma questo compito viene
svolto con modalità e prassi che variano da territorio a territorio e da servizio a
servizio, in ragione della formazione ricevuta, dell’organismo di appartenenza del
mediatore, del modello di riferimento, dello stile personale o delle tipologie di accordo
stabilito tra servizio ed organismo di cui il mediatore fa parte, ovvero a seconda delle
modalità di richiesta ed erogazione dell’intervento di mediazione.
Nonostante la lunga storia della mediazione linguistico-culturale ed i vari
tentativi di definire i ruoli e gli ambiti di intervento dei mediatori, attualmente ancora
non si riscontra – anche alla luce di quanto osservato da SIMS – un panorama
omogeneo di intervento né una sistematicità, tanto nelle modalità con cui gli interventi
di mediazione sono richiesti, tanto nei presupposti teorici che guidano il lavoro dei
mediatori. Le collaborazioni con le associazioni di mediatori o la selezione dei
mediatori dagli albi territoriali sono sovente estemporanee ed occasionali, non tutte le
realtà territoriali riescono a garantire la corretta e necessaria collaborazione tra i
servizi della Giustizia minorile ed i mediatori.
Questo documento di linee guida si articola in due sezioni: nella prima
vengono riportate le risultanze del lavoro di ricognizione dello stato della MLC,
effettuato attraverso un survey tra i responsabili di tutti i servizi ed attraverso la
somministrazione di un’intervista semistrutturata ai mediatori che si sono resi
protagonisti delle esperienze più consolidate e significative; nella seconda, anche alla
luce di quanto emerso dai lavori della “piccola assise della MLC nella Giustizia
minorile” che ha avuto luogo a Roma il 30 giugno scorso ed a cui hanno partecipato i
mediatori intervistati, vengono proposte alcune indicazioni in merito alle aree
tematiche che hanno maggior rilevanza in tema di operatività della MLC nei servizi
della Giustizia minorile.
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PRIMA SEZIONE: LA RICOGNIZIONE SULLO STATO
DELLA MLC
1.1 LA METODOLOGIA DEL SURVEY TRA I RESPONSABILI DEI SERVIZI
L’indagine ha inteso raccogliere sul territorio una serie di evidenze relative alle
esperienze di MLC realizzate all’interno dei Servizi della Giustizia Minorile, per dare vita
– sulla base dell’analisi delle esperienze raccolte – ad un momento di confronto
collettivo, volto a individuare linee d’azione comuni, che possano a loro volta favorire
la condivisione degli strumenti acquisiti. In particolare, l’impianto metodologico è stato
predisposto pensando alle seguenti finalità: analizzare le prassi di realizzazione degli
interventi di MLC in seno ai Servizi della Giustizia Minorile e le esperienze che si sono
rivelate in grado di migliorare la qualità della presa in carico dei minori stranieri;
rilevare le professionalità che intervengono in qualità di attori della MLC, con riguardo
a coloro che hanno realizzato le esperienze più consolidate e significative.
Gli strumenti teoricamente utilizzabili per la realizzazione dell’indagine in
oggetto sono quelli della ricerca sociale: l’intervista in profondità, il questionario
strutturato o semi-strutturato, l’osservazione partecipata, il focus-group. La
ridottissima disponibilità di tempo e le caratteristiche del campione hanno
determinato la scelta metodologica verso il questionario strutturato, individuato quale
strumento più idoneo al raggiungimento degli obiettivi sopra riassunti.
La ricognizione delle esperienze di MLC ha avuto pertanto luogo tramite
questionario predisposto per l’autocompilazione, da parte di un campione composto
dai responsabili dei servizi della giustizia minorile, nelle loro articolazioni territoriali:
circa 25 Centri di Prima Accoglienza, circa 28 Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni,
circa 19 Istituti Penali Minorili e circa 11 Comunità ministeriali, per un totale di 83
unità. In particolare, dopo una rapida fase di pretesting e calibratura del questionario,
il reclutamento del campione è stato effettuato inviando per e-mail al Responsabile di
ciascun servizio, a nome dell’Amministrazione titolare di SIMS, un invito a partecipare
al sondaggio, ovviamente corredato da un’adeguata presentazione del Progetto e delle
sue finalità, del significato dell’indagine e della sua metodologia.
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1.2 LO STRUMENTO D’INDAGINE DEL SURVEY
Il questionario, integralmente riportato in allegato, è stato costruito in forma
agile, in modo da consentire sia l’autocompilazione, sia l’acquisizione delle
informazioni. Composto da 16 domande “chiuse” e 3 domande “aperte”, ha esplorato
le seguenti aree tematiche:

presenza della MLC nel servizio (in passato, attualmente, prevista per il
futuro);

utilità attribuita alla MLC;

andamento degli interventi nel corso del tempo;

fattori in grado di determinare l’andamento di cui sopra;

aspetti organizzativi;

numero di ore di MLC effettuate per lingua;

caratteristiche del minore che configurano l’esigenza di ricorrere alla
MLC;

rapporto tra mediatore ed operatori in organico al servizio;

caratteristiche dei mediatori (in rapporto alle specificità del contesto della
Giustizia Minorile);

eventuali disfunzionalità degli interventi di MLC.
Accanto a queste aree, alcuni item sono stati specificamente dedicati alla
richiesta di una valutazione sintetica (su scala di Likert) in merito all’utilità degli
interventi di MLC ai fini della presa in carico dei minori stranieri, nonché di un parere
sintetico (cinque righe) sia in merito all’evoluzione del ruolo del mediatore
eventualmente osservata nel corso del tempo all’interno del servizio, sia in merito agli
altri contributi che la MLC potrebbe apportare. In questo ambito si colloca un item
dedicato all’esplorazione della capacità di “tenuta” delle indicazioni contenute nella
circolare n.6/2002 del 23 marzo 2002 del Dipartimento Giustizia Minorile “Linee guida
sull’attività di mediazione culturale nei Servizi Minorili della Giustizia” descritta tra i
presupposti delle attività integrative di SIMS.
In ultimo il questionario ha creato le condizioni per far emergere i “saperi
situati”, cioè le esperienze che sembrano interpretare meglio lo spirito della MLC: è
stato infatti chiesto a ciascun responsabile di indicare il mediatore o i mediatori che a
suo avviso hanno realizzato gli interventi di MLC meglio riusciti, cioè gli interventi di
MLC che potrebbero costituire esempi di prassi da condividere (nome e recapito
telefonico o e-mail). Quest’ultima richiesta è esplicitamente finalizzata a disporre di
una completa platea di testimoni privilegiati, cui chiedere un’intervista per effettuare
un affondo conoscitivo.
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1.3 ADESIONE AL SURVEY ED ANALISI DEI RISULTATI
Degli 83 questionari inviati ai responsabili dei Servizi minorili della Giustizia
(circa 25 CPA, circa 28 USSM, circa 19 IPM e circa 11 Comunità ministeriali) ne sono
pervenuti 38, pari a circa il 46%. Va tenuto sin d’ora presente che l’IPM de L’Aquila è
chiuso dal 2009 e che l’IPM di Lecce non ospita detenuti. Si può dire che la risposta dei
servizi è stata appena soddisfacente, visto che ha aderito al sondaggio quasi la metà
del campione e che l’impegno gravoso degli operatori non sempre consente loro di
trovare il tempo per rispondere rapidamente ai questionari. Non si osserva tuttavia un
grado entusiasmante di adesione. Ed in ciò si coglie il segno di un interesse quanto
meno “tiepido” per il tema della MLC.
Con riferimento ai 38 servizi da cui è pervenuto il questionario, in 9 di essi (6
USSM e 2 CPA, oltre all’IPM de L’Aquila, chiuso dal 2009) non sono stati effettuati
interventi di MLC nel corso degli ultimi dieci anni, sebbene la MLC sia ritenuta
comunque utile per migliorare la presa in carico dei minori stranieri. All’interno del
gruppo dei rimanenti servizi, composto dunque da 29 unità, la MLC si effettua da più di
dieci anni in 17 casi (8 IPM, 4 CPA, 3 USSM e due Comunità) e da meno di dieci anni in
12 casi. Come si vede, sono in primo luogo gli IPM le strutture in cui il ricorso alla MLC
appare di più lunga tradizione. È però interessante notare che solo in 3 IPM (meno
della metà di quelli in cui la MLC si pratica) il numero degli interventi di MLC effettuati
ha conosciuto un incremento nel corso degli ultimi cinque anni. Considerando tutti i 29
servizi che si avvalgono della MLC, ben in 23 di essi (cioè nell’80% dei casi) il numero
degli interventi di MLC effettuati nel corso degli ultimi cinque anni è diminuito o è
rimasto invariato. Dunque, nel corso degli ultimi cinque anni, gli interventi di MLC
hanno fatto registrare un andamento in crescita solo in 6 dei 29 servizi in cui la MLC si
effettua: i tre IPM già ricordati (più precisamente quelli di Acireale, Catania e Roma) 2
CPA (Catania e Genova) e la Comunità di Nisida.
Al successivo item del questionario, che chiedeva di attribuire un punteggio a
ciascuno dei fattori a cui ricondurre l’andamento in crescita della MLC nel corso del
tempo (incremento dei ragazzi stranieri in carico, maggiore disponibilità di risorse,
accresciuta sensibilità degli operatori nei confronti della mediazione) i responsabili di
tutti i 6 servizi sopra ricordati hanno attribuito il massimo punteggio esclusivamente al
fattore relativo all’incremento del numero di ragazzi stranieri presi in carico, che
sembra pertanto costituire la determinante principale del maggior ricorso allo
strumento mediativo. Solo il CPA di Catania ha attribuito massimo punteggio sia
all’incremento dell’utenza, sia all’accresciuta sensibilità degli operatori, riservando un
punteggio medio alla maggiore disponibilità di risorse.
Se dunque solo in 6 servizi – seppure siano tra quelli che incontrano le quote
più cospicue di minori stranieri – gli interventi di MLC fanno registrare un incremento
nel corso dell’ultimo lustro, in aggiunta a quanto già sopra segnalato (solo 29 dei 38
servizi che hanno aderito al survey utilizzano la MLC) si può affermare che, nel
complesso, la MLC cresce poco.
Per approfondire gli aspetti organizzativi della MLC nei 29 servizi in cui essa si
pratica, è utile ricordare che in circa la metà dei casi si tratta di uno strumento di cui il
servizio dispone stabilmente, mentre nell’altra metà vi si fa ricorso nell’ambito di
attività progettuali a termine (che quasi sempre vengono evidentemente rinnovate ed
11
assumono carattere continuativo). Laddove la MLC appare più consolidata, il
mediatore (ovvero, come si vedrà meglio più avanti, il mediatore il cui intervento è
richiesto più frequentemente) è sempre presente in un dato giorno o in alcune ore o,
ancora, in più giorni, a seconda del tipo di accordo stabilito col servizio (IPM di Catania,
Roma, Torino, Treviso e CPA Roma). Negli altri casi interviene a chiamata.
Complessivamente pare lecito concludere che, dal punto di vista organizzativo,
il modo in cui la MLC si effettua può variare in relazione sia alle esigenze di ciascun
servizio (esigenze determinate anche dalla tipologia di minori in carico) sia alle forme
di convenzione che ciascun servizio stabilisce con i mediatori che intervengono, com’è
noto, in qualità di soggetti (professionisti, consulenti, esperti) esterni all’organico
dell’Amministrazione della Giustizia. In genere si tratta di convenzioni che il servizio
stabilisce con associazioni, tramite bandi a varia scadenza. A volte il rapporto di
convenzione si stabilisce tra un’associazione che garantisce la MLC tramite suoi
mediatori ed un insieme di enti locali ed amministrazioni pubbliche tra cui rientrano
anche i servizi minorili della Giustizia (unitamente a scuola, uffici comunali, servizi di
salute pubblica, tribunale). A volte il costo dell’intervento di mediazione è a valere sul
servizio della Giustizia, altre volte sull’Ente locale. In molti casi la MLC, come già detto,
si effettua invece nell’ambito di progetti e sperimentazioni, a valere su fondi regionali
o comunitari. In poche situazioni infine vi è un rapporto di convenzione tra il servizio
ed il singolo mediatore, peraltro in accordo con quanto previsto dalla sopra ricordata
Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei
servizi della Giustizia Minorile”, nella sezione dedicata alle procedure di selezione dei
mediatori.
L’analisi dei risultati relativi alle ore di MLC effettuate per lingua consente di
precisare sia il quadro delle provenienze dei minori per i quali il servizio si avvale della
mediazione, sia il quadro – di specifico interesse dell’indagine – dei mediatori che
hanno accumulato le esperienze più consolidate. Sempre con riferimento all’intero
insieme dei 29 servizi in cui la MLC è presente, si riscontra che nel corso degli ultimi
dodici mesi sono state effettuate circa 3.000 ore di mediazione in arabo (da intendersi
come insieme di lingue parlate prevalentemente nel Maghreb, in Egitto e nell’area
Medio orientale) circa 1.800 ore di mediazione in rumeno, circa 360 ore in lingue
parlate nell’Africa sub sahariana (di cui 300 in IPM e CPA di Torino), circa 120 in
albanese e circa 40 in spagnolo. Sono rappresentati anche interventi condotti in altre
lingue (ad esempio cinese) ma la loro entità in numero di ore appare, in proporzione,
del tutto marginale. Se ne deduce che in base alle intese stabilite con i professionisti
della mediazione (per lo più organismi che si occupano di MLC, come il CIES a Roma, la
Cooperativa “Saba” a Genova, la Cooperativa “Mondo Aperto” a La Spezia, il COSPE a
Firenze, l’Associazione “Senza Confini” ad Ancona, il “Progetto Medina” a Palermo, le
Cooperative “Esserci” e “Liberi tutti” a Torino, la Cooperativa “Alkantara” a Milano,
l’Associazione “Acricefal” a Bari, solo per citare alcuni esempi) ciascun servizio può
contare sulla disponibilità di un pool di mediatori in grado di effettuare interventi in
qualsivoglia lingua. Lo conferma anche il fatto che l’amplissima maggioranza dei
responsabili dei servizi che hanno aderito al sondaggio è pienamente soddisfatta della
“copertura” in tal senso garantita dai mediatori. Tuttavia, le esperienze più consolidate
sono state sviluppate in ciascun servizio (ovvero nell’insieme di servizi afferenti al
medesimo CGM) da gruppi molto ristretti di mediatori. Nei servizi che hanno
12
effettuato il più elevato numero di interventi di MLC in termini di ore (1.300 ore in
CPA, IPM ed USSM di Torino; 900 in IPM e CPA di Roma; 800 in IPM a Treviso; 760 in
CPA ed IPM di Catania e di Acireale; 440 in IPM a Roma; 180 in CPA ed USSM di
Genova; 140 in CPA, IPM ed USSM di Palermo; 130 in IPM e CPA di Milano) questi
interventi sono stati realizzati principalmente da un mediatore per lingua, cioè, nella
maggior parte dei casi, da un mediatore che parla arabo e da un mediatore che parla
rumeno. Sono costoro che in genere assicurano la presenza più stabile della funzione
di MLC all’interno del servizio (ovvero dei vari servizi che afferiscono al medesimo
CGM) spesso per più giorni a settimana. Mantengono un rapporto costante e
continuativo con i minori alla cui presa in carico hanno contribuito, hanno costruito un
rapporto di fiducia col responsabile del servizio, consolidato nel tempo, unitamente ad
un rapporto di intesa, collaborazione e sinergia con tutte le altre figure professionali
che a vario titolo, singolarmente o in équipe, si occupano dei minori (in primo luogo
educatori, assistenti sociali, polizia penitenziaria, psicologi, operatori sanitari).
Emerge dalle interviste effettuate per l’appunto con questi mediatori, che molti
di essi sono giunti alla MLC per esser stati selezionati anche in base alla loro pregressa
o concomitante esperienza di traduttori ed interpreti per i provvedimenti in Tribunale,
peraltro in accordo con quanto previsto dalla più volta citata Circolare n. 6 del 23
marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia
Minorile”, nella sezione dedicata alle procedure di selezione dei mediatori: “Si dovrà
valutare con particolare attenzione la capacità del mediatore culturale di comprendere
la delicatezza del proprio ruolo che, per garantire le specifiche esigenze di sicurezza del
contesto penale minorile, richiede requisiti di riservatezza e affidabilità. In quanto ai
titoli di studio e alle esperienze lavorative dovranno essere tenuti in considerazione:
eventuali altre esperienze in ambito penale o in altre istituzioni pubbliche…”. Questo
riscontro appare concorde con quanto segnalano i responsabili dei servizi attraverso il
questionario, esprimendo un sostanziale apprezzamento per l’adeguatezza della
formazione dei mediatori. Le eccezioni sono rappresentate dai responsabili dei servizi
in cui si effettua un numero minore di interventi di MLC, che esprimono in alcuni casi
una lieve insoddisfazione in merito all’adeguatezza delle competenze dei mediatori in
materia giuridica ed amministrativa.
In ordine alla precisazione delle esigenze che inducono i servizi minorili della
Giustizia ad avvalersi della MLC, il dato relativo alle risposte all’item del questionario
dedicato all’esplorazione di quest’aspetto appare coerente con la discussione fin qui
condotta: si richiede l’intervento del mediatore in presenza di difficoltà riconducibili al
fattore lingua (23 dei 29 responsabili dei servizi in cui si pratica la MLC attribuiscono il
massimo consenso a questa opzione di risposta). Come dire che la MLC parte
comunque di fronte ad un minore col quale gli operatori non possono parlare italiano,
sebbene vi sia ampia convergenza, sia tra i responsabili che hanno risposto al
questionario, sia tra i mediatori intervistati, che la mediazione va ben al di là del puro
interpretariato. E fornisce altresì motivo di riflessione il riscontro del fatto che la MLC
comincia ad essere attivata anche di fronte a minori di seconda generazione (dunque
alfabetizzati in Italia) o di fronte a famiglie da tempo immigrate in Italia, cioè in
presenza di soggetti per i quali il peso della cosiddetta “barriera linguistica” è presso
che ininfluente. In questi casi, piuttosto che sotto la spinta di un’esigenza di
interpretariato e facilitazione della comunicazione, il mediatore è chiamato dagli altri
13
operatori a fornire elementi aggiuntivi di comprensione ad un conflitto di natura
culturale, generalmente tra genitori e figli. Ad ogni buon conto, nella grande
maggioranza dei casi, all’interno dei servizi minorili della Giustizia, l’esigenza di attivare
il mediatore è ancora – almeno in primo luogo o in prima battuta – un’esigenza di
comprensione linguistica.
14 dei 29 responsabili esprimono il massimo consenso anche alla seconda
opzione di risposta (per questo item il questionario chiedeva di attribuire un punteggio
da zero a tre a ciascuna delle sei opzioni di risposta proposte) segnalando che la MLC è
richiesta in presenza di difficoltà riconducibili alla condizione sociale del ragazzo, come
nel caso dei msna. Ecco che la maggior parte degli interventi di MLC, soprattutto nei
servizi in cui essa è più praticata, riguarda i msna, per i quali si richiede principalmente
una mediazione in arabo o in rumeno, in ragione della loro provenienza, essendo
minoritarie – rispetto a quelle in arabo o in rumeno – le mediazioni in lingue africane o
in albanese (il numero di ore di mediazione effettuate in altre lingue, ivi compreso lo
spagnolo, appaiono da questo punto di vista marginali, come già messo in evidenza
prima). Nei confronti di questi ragazzi, l’intervento del mediatore parte
dall’abbattimento della barriera linguistica, che limita la comprensione tra il minore ed
il personale della Giustizia, per poi estendersi ad un ambito più vasto, in modo da
rendere più comprensibile all’intera équipe di operatori che si occupano del minore gli
usi ed i costumi della tradizione culturale da cui il minore stesso proviene e, nel
contempo, per rendere più comprensibile al minore (in termini di lingua e di significati
culturali) perché si trova in un servizio della Giustizia minorile italiana, cosa gli chiede
quel servizio e quali sono le procedure che quel servizio vuole mettere in atto nei suoi
confronti ed a suo favore. Si vedrà nel prosieguo della discussione dei risultati delle
indagini condotte che questo intervento è sì condotto su mandato degli operatori
istituzionali ma generalmente si preferisce che sia svolto dal solo mediatore, vis a vis
col minore, per conquistare la fiducia di quest’ultimo. Contestualmente, nella
maggioranza dei casi il mediatore acquisisce le prime informazioni per stabilire un
contatto telefonico con la famiglia ed informarla in merito alle condizioni del ragazzo,
previa un’indagine informativa che parte dall’accertamento, assai più agevole a
realizzarsi da parte del mediatore, che a quel recapito telefonico – fornito dal minore –
corrisponda effettivamente quella famiglia a cui è opportuno fornire informazioni.
I responsabili di 6 strutture – sempre tra quelle in cui la MLC si pratica –
attribuiscono il massimo punteggio anche alla terza opzione di risposta all’item
destinato all’esplorazione delle esigenze che inducono i servizi minorili della Giustizia
ad avvalersi della MLC. Essi dichiarano, con pari reazione enfatica di consenso
attribuita alle opzioni precedenti (fattore lingua e condizione di msna) di esser
propensi ad attivare la MLC di fronte a ragazzi che presentano profili problematici,
caratterizzati ad esempio da disorientamento o condotte violente. Qui l’intervento del
mediatore consiste nel tranquillizzare il minore, ad esempio fornendogli punti di
riferimento, in termini sia di informazioni sia di presenza riconoscibile, o almeno
persegue quest’obiettivo.
L’opzione di risposta “l’esigenza di far ricorso alla MLC sorge per accompagnare
il progetto educativo in area penale esterna” ottiene un consenso lievemente
maggiore rispetto all’opzione precedente (in una scala da zero a tre, 7 dei 29
responsabili le attribuiscono il punteggio 3 e 9 di essi le attribuiscono il punteggio 2)
14
collocandosi al terzo posto tra i principali elementi in base ai quali il servizio ritiene
utile attivare la MLC. Quest’ultima esigenza è avvertita sia da alcuni USSM, che per
definizione lavorano in area penale esterna, sia da alcuni IPM, che dunque intravedono
nel mediatore la figura più adatta a preparare la cosiddetta fase del rilascio, ovvero a
tutelare il minore anche dopo l’uscita dal circuito penale. Si vedrà più avanti che
sebbene ne sia avvertita l’esigenza appare più complicato attivare formalmente i
mediatori in tal senso.
Meno consolidato si presenta infine il ricorso alla MLC in seguito ad esigenze
connesse all’accertamento delle condizioni di salute del ragazzo o connesse alla
presenza di ragazzi che commettono reati in bande o gang. Certamente ciò non vuol
dire che queste esigenze abbiano meno valore in sé (come nel caso dei motivi di
salute) o appaiano più lontane dalla sensibilità degli operatori, vuol dire invece che non
sono queste le esigenze fondamentali di mediazione che i servizi avvertono più
frequentemente nel prendere in carico i minori stranieri.
In merito al rapporto tra il mediatore e gli altri operatori, nessuno dei
responsabili dei servizi in cui si pratica la MLC ha scelto la prima opzione di risposta: “il
mediatore effettua il suo intervento in maniera autonoma ed indipendente”. 15 di essi
affermano che il mediatore effettua il suo intervento da solo ed in équipe (si tratta di
quasi tutti i CPA e gli IPM rappresentati nel campione, in cui s’è già detto che il
mediatore in genere effettua il primo colloquio vis a vis col minore) e 14 che il lavoro
del mediatore è parte del lavoro di équipe. Si tornerà fra breve su questo punto, nella
discussione successiva che tenterà di far emergere meglio le modalità operative degli
interventi di MLC, attraverso l’analisi delle interviste ai mediatori.
Vale ora ricordare che i responsabili segnalano un grado assai basso di
disfunzionalità degli interventi di MLC. La valutazione in merito all’utilità degli
interventi di MLC ai fini della presa in carico dei minori, effettuata su scala di Likert da
0 a 7, è decisamente positiva, con 16 responsabili che indicano il massimo valore, sul
totale dei 29 che dirigono servizi in cui si effettua la MLC. Tuttavia, solo in 8 di tali
servizi si svolgono costantemente incontri finalizzati al monitoraggio ed alla
valutazione degli interventi di MLC effettuati (si tratta per lo più dei CPA e degli IMP
che hanno segnalato il più elevato numero di ore di MLC per anno). Il giudizio sulla
“tenuta” della Circolare n. 6 del 23 marzo 2002, “Linee guida sull’attività di mediazione
culturale nei servizi della Giustizia Minorile” è sostanzialmente positivo.
Prima di passare alla discussione di quanto emerso dalle interviste ai mediatori,
che consentirà anche un affondo conoscitivo sulle modalità operative della MLC e sul
rapporto tra mediatori ed altri operatori in ordine alla cosiddetta gestione dei casi, si
può riassumere quanto emerso dalla disamina dei risultati del survey dicendo che: la
pratica della MLC non appare universalmente diffusa nei servizi minorili della Giustizia
e la sua diffusione non ha fatto registrare un significativo incremento nell’ultimo
decennio; nonostante ciò, nel corso del tempo si sono sedimentate e consolidate
alcune esperienze, che appaiono concentrate in alcuni servizi, in primo luogo CPA ed
IPM di Treviso, Torino, Milano, Roma, Acireale, Catania, Palermo, Bari, che
probabilmente sono le strutture in cui la presa in carico dei minori stranieri è più
frequente e con numeri più elevati; è protagonista di queste esperienze – consolidate
sia in termini di durata sia in termini di numero di ore di MLC effettuate – un gruppo
relativamente contenuto di mediatori, che realizzano interventi di MLC soprattutto in
15
lingua araba ed in lingua rumena, prevalentemente nei confronti di msna; si tratta di
mediatori che lavorano da molto tempo in questi servizi, hanno costruito un rapporto
di intesa e fiducia con i responsabili, con reciproca soddisfazione in merito alla
conduzione degli interventi di MLC e sono (a proprio giudizio ed a giudizio dei
responsabili) molto ben integrati nell’équipe che si occupa della presa in carico dei
minori e nel lavoro che quest’équipe abitualmente svolge; all’interno di questo quadro,
tra i segnali dei fenomeni emergenti, cioè dei fenomeni che in seguito alla
sedimentazione delle esperienze sembrano inaugurare una prospettiva propositiva per
l’ulteriore sviluppo della MLC – dunque verso il superamento della sola visione reattiva
della MLC come strumento di risposta alle emergenze ed ai bisogni essenziali di
un’utenza minorile quale quella composta dai msna – si notano: a) un’attenzione al
contributo che il mediatore può apportare al miglioramento della presa in carico dei
minori cosiddetti “di seconda generazione”, soprattutto con riguardo ai rapporti tra il
servizio e la famiglia, anche in ordine alla gestione del conflitto intergenerazionale; b)
un’attenzione al contributo che il mediatore può apportare alla predisposizione della
fase di rilascio ed alla tutela del minore uscito dal circuito penale, in virtù della sua
capacità di intervenire nel territorio e sul territorio, in contatto con gli enti pubblici, le
strutture del privato sociale ed il mondo dell’associazionismo su base etnica o
nazionale.
1.4 LE INTERVISTE AI MEDIATORI: METODOLOGIA, STRUMENTI E RISULTATI
La discussione che segue si riferisce a quanto emerso da quindici interviste. Il
rilascio dell’intervista è stato chiesto ad alcuni dei mediatori segnalati dai responsabili
dei servizi, in particolare a coloro che hanno effettuato il maggior numero di interventi,
seguendo anche il criterio della rappresentatività per lingua (principalmente due,
arabo e rumeno, per i motivi già discussi nel paragrafo precedente) e per territorio. Il
tutto per raccogliere attraverso la loro prospettiva le informazioni qualitative sulle
esperienze svolte. Le interviste sono state condotte utilizzando il metodo dell’intervista
telefonica semistrutturata, su griglia di domande inviate preventivamente per posta
elettronica all’intervistando. Avvalendosi anche delle informazioni su come e quanto si
pratica la MLC nel servizio in cui il mediatore opera, acquisite in virtù del questionario
compilato dal responsabile del servizio medesimo, l’intervista ha effettuato un
approfondimento conoscitivo attraverso l’esplorazione dei seguenti temi:

profilo professionale di base dell’intervistato;

approccio teorico alla mediazione;

durata dell’esperienza svolta ovvero in corso nei Servizi minorili della
Giustizia;

modalità dell’intervento di MLC, con riferimento in particolare a:

modalità preferenziale di colloquio col minore: colloquio svolto solo dal
mediatore o dal mediatore insieme ad altri operatori (specificare quali);

incontro solo col minore o nel gruppo dei pari o, ancora, con la famiglia
ovvero con altre figure di riferimento per il minore medesimo;
16

come vede il proprio ruolo all’interno del servizio, ovvero all’interno del
lavoro che complessivamente il servizio svolge;

come pensa di poter eventualmente fornire un contributo più efficace al
lavoro del servizio ed in base a quali motivi, ovvero in ragione di quali
esperienze in tal senso svolte.
La griglia di domande è stata inviata a ciascun intervistato prima dello
svolgimento dell’intervista. Di ciascuna intervista è stata redatta una sintesi, inviata per
approvazione all’intervistato.
Al termine dell’intervista, ciascun intervistato è stato invitato a partecipare ad
una piccola “assise della MLC nella Giustizia minorile”, per un momento di scambio e
condivisione delle esperienze.
In merito al tema del profilo professionale, tutti gli intervistati sono in possesso
di un diploma di scuola superiore, conseguito nel paese d’origine, corredato in alcuni
casi da una laurea in discipline storico letterarie o psicologiche con indirizzo
etnopsicologico, conseguita in Italia. Nel gruppo degli intervistati è compreso anche un
giovane mediatore di origine italiana (nel senso di non immigrato) che si occupa di MLC
nell’ambito di un percorso di studi universitari (dottorato) in discipline antropologiche.
Tutti i mediatori di origine straniera hanno sperimentato l’origine esperienziale della
MLC, che è entrata a far parte del significato del loro progetto migratorio, ed hanno
parimenti attraversato la fase di sviluppo del livello formativo, cioè la fase in cui – nel
decennio a cavallo del cambio di secolo e di millennio – l’offerta formativa e
l’investimento in formazione in quest’ambito ha conosciuto in Italia la sua massima
espansione, ad opera di varie agenzie, associazioni ed università; fase che corrisponde
temporalmente anche all’epoca in cui è stata promulgata la Circolare n. 6 del 23 marzo
2002, “Linee guida sull’attività di mediazione culturale nei servizi della Giustizia
Minorile”. Tutti gli intervistati provengono da questi corsi (erogati da enti pubblici o
privati riconosciuti, che hanno loro rilasciato un attestato) al cui interno hanno
effettuato centinaia di ore di formazione ed altrettante di tirocinio. I presupposti
teorici di questi ampi percorsi formativi sostengono un’idea di MLC che si può
concretizzare a diversi livelli ma che appare anche connessa alle scelte politiche
riguardanti il modello di società che si vuole costruire, dunque alle scelte in tema di
politiche per l’integrazione a livello sia locale sia nazionale. In questa luce, il mediatore
è un informatore e traduttore di regole, in una logica di inclusione sociale assimilatoria
o, in un’accezione più forte, un agente di “interpretazione culturale” dei bisogni
(secondo un’espressione di Franca Balsamo in Lorenzo Luatti, Atlante della mediazione
linguistico culturale. Nuove mappe per la professione di mediatore, Franco Angeli,
Milano 2006). Poiché i bisogni sono socialmente e culturalmente costruiti all’interno
dei diversi contesti e delle relative tradizioni, il mediatore li reinterpreta e ne evidenzia
la legittimità alla luce dei codici entro cui si generano. Nel far ciò il mediatore elicita e
mette anche in evidenza le risorse che le persone provenienti da altre culture
esprimono e che non sempre sono immediatamente riconoscibili dagli operatori dei
servizi e dalla cittadinanza tutta, in senso più ampio. Ed è qui che il mediatore diviene
altresì agente di cambiamento, ambasciatore e trasmettitore di culture, promotore dei
diritti di partecipazione, attore di un progetto interculturale di cittadinanza, creando le
17
condizioni per cui “cittadini immigrati e cittadini autoctoni possano ridefinire una casa
comune, uno spazio di interazione e collaborazione” (Abdel Jabbar, in Luatti citato
sopra).
In effetti, i mediatori intervistati in molti casi hanno accumulato esperienza di
MLC anche in altri servizi, tra cui la scuola, e quasi tutti appartengono ad associazioni,
sia nello spirito di effettuare un lavoro di ampia portata sull’intercultura nelle realtà in
cui vivono ed operano (in accordo con i presupposti teorici della MLC di cui s’è fatto
cenno) sia nello spirito di riqualificare costantemente la propria professionalità, anche
con un autocontrollo sulla qualità del proprio operato e sulla spendibilità nel mercato
del lavoro della professionalità acquisita. In una battuta: sono nella prospettiva di
configurarsi come categoria socioprofessionale autonoma. Da questo punto di vista
soffrono della loro condizione di precarietà nello specifico della Giustizia minorile,
connessa al rinnovo o ai sempre possibili cambiamenti del rapporto di convenzione con
i servizi, che di fatto comporta un’ipoteca – se non una vera e propria incognita – sulla
possibilità di pensare a prospettive di uso della MLC in questo contesto più articolate o
più lungimiranti, per le quali è indispensabile il requisito della programmazione nel
lungo periodo, dunque una garanzia di stabilità. È chiaro che tale questione travalica
ampiamente le finalità dell’intervista ma trova una sua pertinenza ai fini
dell’approfondimento delle esperienze in atto.
Ancora in riferimento al tema della costante riqualificazione della
professionalità del mediatore, va tuttavia rilevato che in merito alla formazione
specifica, cioè specifica in rapporto alle specificità del contesto della Giustizia minorile,
quali l’ascolto del minore, il significato del lavoro col minore che attraversa il circuito
penale, le peculiarità del procedimento penale minorile e quant’altro, gli intervistati
parlano di un momento informale: un breve training effettuato direttamente
all’interno del servizio minorile (informazioni su norme e prassi che regolano la presa
in carico del minore). Gran parte del consistente patrimonio di competenze specifiche
– di cui non appaiono chiarissime le modalità di validazione e riconoscimento formale
o certificazione – è stata sviluppata nel corso dell’esperienza pluriennale di pratica
professionale sul campo. Certamente su questo aspetto incide anche il fatto per cui la
maggior parte degli intervistati – come già ricordato – opera anche – o ha già operato –
nello specifico della giustizia in qualità di traduttore o interprete presso il Tribunale
(Tribunale ordinario e/o Tribunale per i Minorenni). Si avverte tuttavia che seppure
l’ambiente dei mediatori sia animato da un intenso dibattito sul significato della MLC
(ruolo, funzioni ed evoluzione) non vi è molto scambio sullo specifico delle modalità
applicative della MLC nella Giustizia minorile, almeno non vi è scambio tra le
esperienze sviluppate in territori diversi. Come dire che su questo punto si ha
l’impressione di una sorta di “isolamento”. Tant’è che gli intervistati hanno accolto con
grande favore l’invito a prendere parte alla piccola “assise” della MLC nei servizi
minorili della Giustizia (l’incontro che ha avuto luogo il 30 giugno presso l’ICF di Roma)
a cui hanno partecipato con vivo interesse. Alcuni hanno inoltre espresso gratitudine
per esser stati coinvolti in un evento (probabilmente inedito) che ha fornito loro
un’occasione per trovarsi nelle vesti di professionisti pienamente riflessivi, al di là della
routine dell’intervento quotidiano – peraltro lodevole a ragione dei suoi effetti
indubbiamente positivi ai fini della presa in carico dei minori stranieri. Del resto, era già
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emerso dalla discussione dei risultati del survey tra i responsabili dei servizi che in
meno di un terzo delle strutture in cui si pratica la mediazione si svolgono
costantemente incontri finalizzati al monitoraggio ed alla valutazione degli interventi
svolti, pur se – ai fini del discorso sull’isolamento e sulla riflessività dei professionisti
della mediazione – pare altresì lecito supporre che la riflessione sul proprio lavoro da
parte dei mediatori trovi altri luoghi e tempi privilegiati, ad esempio all’interno delle
associazioni, visto che verosimilmente essi non lavorano a tempo pieno per la Giustizia
minorile (non c’è stata una domanda diretta in merito ma sembra di poterlo
presumere dall’insieme del racconto raccolto).
Poste queste premesse ed anche in base ad esse è ora tempo di approfondire le
modalità di svolgimento degli interventi ed il ruolo dei mediatori all’interno del
servizio, cioè all’interno del processo di presa in carico del minore straniero. Il racconto
degli intervistati su questi punti è abbastanza uniforme e pur non essendo identiche le
prassi che ciascun servizio ha adottato si parla di interventi di MLC organizzati
all’interno della cornice delineata dalle linee guida di cui la Circolare n. 6 del 23 marzo
2002. Nella fase di accoglienza il mediatore traduce, assiste il minore durante la visita
sanitaria, lo rende adeguatamente informato su ciò che lo riguarda, facilita
l’acquisizione da parte dell’educatore degli elementi di conoscenza sulla situazione del
minore, agevola i contatti con la famiglia; nella fase di attuazione della presa in carico,
facilita la comunicazione del ragazzo con l’équipe, fornisce elementi utili all’équipe ed
assiste quest’ultima nella gestione dei rapporti con la famiglia. Tuttavia, all’interno di
questa cornice faticano ad emergere con chiarezza prassi ben definite e le varie
procedure sembrano assai legate all’intesa che si è stabilita tra il mediatore e gli
operatori in organico al servizio – intesa che non necessariamente è informata da
relazioni meramente gerarchiche. Un’intesa rappresentata dai mediatori intervistati
per mezzo di continue sottolineature dell’importanza del lavoro di équipe, al cui
interno i mediatori si sentono pienamente integrati funzionalmente, oppure per mezzo
di sottolineature in merito all’importanza di guadagnarsi la fiducia del minore o in
merito all’importanza di mantenere ben precisi i confini del proprio operato,
rispettando quello degli altri, solo qui con un implicito riferimento ai rapporti tra la
funzione di consulente (il mediatore) e la funzione dell’operatore titolare del caso. In
sostanza si ha l’impressione che vi sia una sorta di difficoltà a “modellizzare”
l’intervento di MLC e la sua funzione all’interno della conduzione del caso: quel
passaggio dalla prassi alla teoria e poi di nuovo alla prassi, da cui scaturisce un modello
– che certamente non può essere rigido – riproducibile e trasferibile. In effetti su
questo punto gli intervistati appaiono piuttosto “difesi”. Beninteso: tutte le interviste si
sono svolte in un clima di serena disponibilità al dialogo ed all’approfondimento.
Tuttavia i mediatori sono sembrati difesi nel senso che emerge dal loro discorso una
difficoltà a sviluppare una riflessività forte sugli aspetti problematici inerenti
l’individuazione dei processi che identificano gli attori (la specificità del mediatore) gli
obiettivi delle azioni che essi svolgono ed i “prodotti” da trasferire da un attore
all’altro, ovvero da condividere all’interno del lavoro di équipe (lavoro in cui non già
tutti fanno tutto ma ciascuno apporta un contributo che è tanto più prezioso quanto
più è specifico).
Dunque quali sono le domande da porre al minore, cioè gli aspetti da
approfondire o elicitare in virtù dell’intervento di MLC; come le informazioni debbono
19
essere acquisite e da chi (ad esempio: solo dal mediatore che stabilisce una relazione
individuale col minore o dal mediatore insieme al titolare del caso, stabilendo una
relazione triadica tra minore, consulente esterno e figura istituzionale) come le
informazioni “mediate” – cioè “reinterpretate culturalmente” dal mediatore –
debbono ritornare a chi ne ha attivato l’intervento, per stabilire anche attraverso quali
modalità l’operatore istituzionale (sia egli educatore, assistente sociale, psicologo,
polizia penitenziaria) deve ascoltare le risposte del mediatore, ovvero ciò che il
mediatore ha da dire.
Del resto, le linee guida di cui la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002 non sono da
questo punto di vista esaustive, limitandosi a fornire indicazioni generiche, forse
necessariamente o volutamente, visto che si tratta, come in parte già accennato, di
“una prima ipotesi organizzativa ed operativa dell’attività di mediazione culturale in
grado di orientare e disciplinare, in modo efficace e coerente, le collaborazioni del
mediatore culturale con i Servizi Minorili”. Infatti, si dice che “il servizio attiverà il
mediatore affinché … faciliti l’educatore/operatore, titolare del caso, nell’acquisizione
di elementi di conoscenza sul contesto familiare e culturale di provenienza del ragazzo,
sul suo progetto migratorio, le sue motivazioni, i suoi vissuti personali … faciliti la
comunicazione del ragazzo con l’équipe aiutandolo a esplicitare i suoi bisogni; fornisca
elementi utili per l’elaborazione e realizzazione del progetto educativo …” ma non si
precisa quali siano le informazioni più significative che si richiede al mediatore di
acquisire (forse lasciando campo libero su questo versante al mediatore stesso?) e
come esse debbano “ritornare” al “titolare del caso”. Anche per capire se, in quale
misura, come ed eventualmente per quale motivo, le procedure seguite nei confronti
del minore straniero – al cui interno si colloca quella legittima funzione di
interpretazione culturale assicurata dalla MLC – si discostino da quelle adottate nei
confronti del minore italiano. È chiaro che quanto più si tenta di superare il piano della
traduzione letteraria (la funzione di interpretariato) tanto più diviene complessa e
delicata la funzione svolta dal mediatore ed a maggior ragione assume cogenza la
questione di definire quali siano o quali possano essere “le regole del gioco” (per
riprendere un’espressione del già citato Abdel Jabbar) in modo che ciascun operatore
possa giocare al meglio la sua parte.
Nonostante i problemi aperti, che gli intervistati hanno esplicitamente
segnalato o che è possibile dedurre dal loro ascolto attivo e dal dialogo, il racconto dei
mediatori ha fornito spunti di estremo interesse in ordine all’approfondimento delle
pratiche più consolidate, che – vale ribadirlo – si sono certamente rivelate efficaci.
Un primo punto di ampia convergenza è la precocità dell’intervento di MLC, che
esprime al massimo la sua efficacia (ai fini della presa in carico del ragazzo straniero
all’interno del sistema di Giustizia minorile) se attivato sin da subito. Qui l’importanza
della presenza del mediatore (stabile o a chiamata) nel CPA. La MLC è invece meno
incisiva (ai fini della tutela del benessere del minore e del buon esito del percorso che
egli compie all’interno del sistema) quando è attivata in seguito ad un’emergenza (disreattività del minore nei confronti del servizio) ovvero quando gli operatori istituzionali
si trovano in difficoltà. In questi casi la MLC si rivela certamente utile per ricomporre
situazioni problematiche ma viene ad inserirsi come tentativo di porre rimedio (ancor
più se transitorio) ad un percorso in parte compromesso, cioè segnato da un impatto
20
traumatico col sistema o da una più o meno momentanea disfunzionalità degli
interventi, come dire: segnato da una sorta di “strappo”.
Sulla stessa linea, i mediatori pongono l’accento sulla continuità della presenza
del mediatore, che accompagna il minore – ovvero è disponibile alle esigenze del
minore, stabilmente o a chiamata – lungo tutto l’arco della sua permanenza nel
circuito penale e non solo in uno dei servizi in cui esso si articola. Come si vedrà più
avanti, in alcuni casi, sebbene in via informale, quest’accompagnamento si prolunga
anche dopo il rilascio. In tal senso il mediatore rappresenta una figura di riferimento:
dopo il primo incontro, ovvero dopo i primi interventi di MLC, il minore straniero sa
che il mediatore c’è e sa che c’è per lui, anche se non ne ha bisogno sempre.
L’accompagnamento del minore avviene in affiancamento con l’educatore, l’assistente
sociale, lo psicologo (ove necessario) ed altre figure istituzionali ma gli operatori
possono cambiare, mentre il mediatore resta e svolge – accanto alle figure istituzionali
– una funzione di facilitazione dell’intervento educativo, in tutti i luoghi attraverso cui
il minore transita, dall’area penale interna a quella esterna. Questa funzione di
facilitazione, che integra il progetto educativo del minore, ne agevola ad esempio la
permanenza in IPM e favorisce la sostenibilità di un percorso (scuola, formazione e
quant’altro). Nel caso il minore divenga maggiorenne e debba scontare un periodo di
detenzione nel sistema carcerario ordinario, il mediatore che l’ha conosciuto
all’interno dei servizi minorili, ove possibile, provvede a dare continuità alla sua
funzione attraverso una sorta di “trasferimento di consegne” al mediatore che lavora
con gli adulti.
In virtù dell’intervento di MLC è garantito anche al minore straniero il diritto di
essere informato su dove si trova, sul perché i servizi minorili si occupano di lui e su
quali provvedimenti intendono adottare nei suoi confronti. Ed è parimenti garantito
anche al minore straniero il diritto di essere ascoltato e di esprimere un parere in
merito ai provvedimenti che lo riguardano, dunque di far presenti le sue esigenze. In
tal senso i mediatori parlano dell’importanza di tranquillizzare il minore, fin dal primo
momento dell’ingresso nel circuito penale, e di orientarlo attraverso una funzione che
si potrebbe definire “chiarificatrice” della MLC. Nel dare continuità a questa funzione,
il mediatore svolge un ruolo di tutoraggio, che suscita un’analogia col compito
assegnato da Dante Alighieri a Virgilio nell’accompagnarlo attraverso i gironi infernali
ed il Purgatorio. Grazie all’apporto della MLC, il servizio diviene certamente più friendly
users.
Nel contempo, la MLC contribuisce ad incrementare ciò che si può senz’altro
definire la “pertinenza culturale” della risposta che il servizio tende ad assicurare al
minore, nella misura in cui il risultato dell’intervento di “reinterpretazione culturale”
effettuato dal mediatore confluisce nell’insieme di elementi in base ai quali il servizio
propone al minore uno specifico progetto o percorso di recupero – sia esso da
svolgersi in sede intramuraria o in area penale esterna – che viene dunque elaborato
tenendo presente anche la variabile culturale (ferme restando le perplessità espresse
prima, in merito alla chiara individuazione dei processi che, nell’ambito del lavoro di
équipe, identificano gli attori, gli obiettivi delle azioni che essi svolgono ed i risultati
perseguiti attraverso ciascuna azione).
All’interno di quanto appena descritto, gli intervistati convergono nel segnalare
altri due argomenti rilevanti. Il primo è il coinvolgimento del mediatore nella scelta
21
della comunità a cui indirizzare il minore. È ben noto che, per varie e complesse ragioni
la cui discussione esula dalle finalità del presente documento, questa scelta non
sempre avviene sulla base di una valutazione sia delle esigenze del minore, sia delle
caratteristiche della comunità. Tuttavia, il fatto che i mediatori abbiano
concordemente sottolineato l’importanza di questo momento (l’invio in comunità)
invita ad una riflessione, per meglio definire il contributo che il mediatore potrebbe
apportare in tal senso, anche per aiutare le comunità ad una corretta presa in carico
del minore.
Il secondo riguarda la fase del rilascio, ovvero ciò che accade quando il minore è
uscito dal sistema. La riflessione su questa fase implica ovviamente una riflessione sul
tema del lavoro con la famiglia e sul tema del lavoro nel territorio e col territorio,
soprattutto quando la famiglia è molto lontana – e non di rado esercita un’influenza
fortemente negativa sul minore – come nel caso dei non accompagnati. Nel caso del
percorso dei minori italiani che attraversano il circuito penale, l’esperienza degli ultimi
decenni ha mostrato che se c’è stata la possibilità di condurre un buon lavoro sulla
famiglia e con la famiglia, gli esiti sono migliori. Viceversa se il rilascio non è ben
preparato. Anche qui la funzione svolta dal mediatore si rivela importante, perché
costui non lavora solo nel sistema penale bensì nel territorio, attraverso le associazioni,
il volontariato e quant’altro. È perciò ben chiaro che il mediatore viene a configurare
una sorta di “figura di raccordo”, visto che la Giustizia minorile è un sistema per sua
natura “aperto” e svolge la sua funzione lavorando in rete coi servizi e tutte le risorse
territoriali. In effetti, gli intervistati segnalano numerose esperienze in cui il tutoraggio
del minore si è esteso anche nella fase del rilascio. Sarebbe tuttavia opportuno
precisare attraverso quali modalità, non solo informali (come quelle da cui sono
scaturite le esperienze raccontate dagli intervistati) questo compito possa trovare una
completa esplicazione, per diventare prassi condivisa dall’intera sistema.
Una via pare per contro già tracciata e si intravede nel lavoro con la famiglia ed
in alcuni aspetti di ciò che la Circolare n. 6 del 23 marzo 2002 chiama mediazione
“indiretta”. Tutti gli intervistati richiamano l’attenzione sull’importanza dell’intervento
di MLC anche nei confronti della famiglia, sia quando essa ha un’influenza negativa sul
minore, sia quando è una risorsa, sia quando appaia necessario “ricucire” il rapporto
tra minore e famiglia. Certamente è solo in alcuni casi che la famiglia ha una reale
disponibilità a non perdere di vista il ragazzo ma nondimeno essa costituisce
comunque, di per sé – si tratti di famiglia nucleare, monoparentale, allargata o
quant’altro – un interlocutore privilegiato dei servizi minorili, dunque soggetto
meritevole di coinvolgimento, anche attraverso lo strumento della MLC. La famiglia è
inoltre una delle molteplici agenzie di socializzazione ed integrazione sociale, la cui
funzione si aggiunge a quella svolta nella stessa direzione dalla scuola e dagli altri
organismi che, nel territorio, operano per il mantenimento delle culture d’origine e per
l’empowerment di coloro che – nei paesi d’immigrazione – ne sono portatori, nonché
per creare le condizioni che favoriscano la conoscenza ed il rispetto di tutte le culture
che abitano il medesimo luogo. In tal senso il mediatore occupa una posizione
senz’altro favorevole per esercitare il compito di raccordo tra le varie agenzie di cui s’è
appena fatto cenno (dalla famiglia al territorio). Parimenti, come in alcuni casi gli
intervistati hanno raccontato, il mediatore opera anche come organizzatore di
comunità culturali o religiose, ovvero come soggetto della rappresentanza degli
22
interessi di tali comunità, venendo in ciò a costituire un importante attore dei processi
di integrazione sociale, intesa nell’accezione di progetto per ridefinire e costruire una
casa comune, cioè uno spazio di interazione e collaborazione. Un’integrazione sociale
che si costruisce anche creando condizioni adatte a consentire il positivo inserimento
sociale dei minori che hanno attraversato il circuito penale, d’intesa o in rete con i
servizi minorili.
Infine, ancora in tema di mediazione indiretta all’interno dei servizi minorili e
con riferimento specifico al lavoro sull’intercultura, gli intervistati parlano di attività di
consulenza ai responsabili nell’individuazione delle modalità per garantire l’assistenza
religiosa (ad esempio la preparazione al Ramadan) o promuovere l’educazione alla
salute dal punto di vista interculturale, fino al coinvolgimento nell’organizzazione di
eventi per la conoscenza e lo scambio di prodotti culturali (musica, cibi e quant’altro).
Così pure, il mediatore interviene su gruppi di pari (paradigmatico il caso dei gruppi di
ragazzi di non omologa appartenenza culturale che convivono in IPM) per prevenire
eventuali conflitti, gestirli o comunque costruire spazi di comunicazione che superino
le differenze. Ed in ciò può rientrare anche l’intervento, di cui s’è già detto, per
supportare i docenti della scuola e della formazione professionale nell’elaborare
proposte scolastiche e formative calibrate anche su specifiche esigenze di ordine
culturale. Emblematica la frase di un mediatore che nel corso dell’intervista ha
ricordato come “il mediatore serve all’italiano e non solo allo straniero”, per segnalare
una sorta di ritardo nella realizzazione di momenti di autoformazione, in cui sviluppare
lo scambio interprofessionale tra operatori minorili e mediatori culturali, proprio sui
temi dell’incontro/confronto tra culture.
23
ALLEGATO: IL QUESTIONARIO
Ricognizione degli interventi di mediazione linguistico-culturale nei Servizi
della Giustizia minorile
Questionario
Il seguente questionario si compone di 16 domande “chiuse” e di 3 domande
“aperte”. Laddove non sono fornite altre indicazioni in merito alle modalità di
risposta, si richiede al Responsabile di ciascun Servizio di indicare con un cerchio o
una x l’opzione di risposta alle domande “chiuse” che ritiene più appropriata e di
rispondere per esteso, utilizzando le righe punteggiate, alle domande “aperte”.
Servizio:
CPA □
USSM □
Comunità ministeriale □
IPM □
Sede:
1.
2.
Presenza della mediazione linguistico-culturale (d’ora in poi MLC) nei
servizi. All’interno del suo Servizio, la MLC:
a.
si effettua da più di dieci anni
b.
si effettua da meno di dieci anni
c.
non è stata mai effettuata nel corso degli ultimi dieci anni
d.
si prevede di attivarla
Utilità della MLC. Ritiene che la MLC sia utile per migliorare la presa in
carico dei minori stranieri da parte dei Servizi della Giustizia Minorile?
a.
sì
b.
no (SE SCEGLIE QUESTA RISPOSTA ED HA SCELTO LA RISPOSTA
c. ALLA DOMANDA PRECEDENTE IL QUSTIONARIO È FINITO)
3.
La MLC nel corso del tempo. All’interno del suo Servizio:
a.
sono stati effettuati interventi di MLC in passato ma non
se ne effettuano più nel presente
24
b.
il numero di interventi di MLC effettuati è diminuito nel corso
degli ultimi cinque anni
c.
il numero di interventi di MLC effettuati è rimasto pressoché
invariato nel corso degli ultimi cinque anni
d.
il numero di interventi di MLC effettuati è aumentato nel corso
degli ultimi cinque anni
4.
Fattori che influenzano l’andamento della MLC nel corso del tempo. Se
all’interno del suo Servizio, nel corso del tempo, è aumentato il numero di
interventi di MLC effettuati, tale incremento è principalmente dovuto, a
suo avviso:
a.
all’incremento del numero di ragazzi in carico per i quali si rende
necessario il ricorso alla MLC 0; 1; 2; 3
b.
alla maggiore disponibilità di risorse disponibili al Servizio, da
investire in MLC 0; 1; 2; 3
c.
all’accresciuta sensibilità del Servizio nei confronti dell’utilità
della MLC 0; 1; 2; 3
Attribuisca per favore a ciascuna opzione di risposta un punteggio da zero
(fattore del tutto ininfluente sull’incremento degli interventi di MLC) a tre (fattore
che ha contribuito fortemente a determinare l’incremento degli interventi di MLC)
5.
Uso della MLC. All’interno del suo Servizio, la MLC:
a.
fa parte di un servizio stabile di cui il Servizio stesso dispone
b.
viene effettuata – ovvero è stata effettuata in passato o verrà
effettuata in futuro – nell’ambito di attività progettuali a termine
6.
7.
Presenza dei mediatori. All’interno del suo Servizio, il mediatore:
a.
è sempre presente in un dato giorno o in alcune ore
b.
interviene a chiamata
Aspetti organizzativi della MLC. All’interno del suo Servizio, il costo degli
interventi di MLC:
a.
è in carico alla Giustizia Minorile
b.
è in carico agli Enti locali
c.
non sussiste perché gli interventi sono effettuati da mediatori
che svolgono attività di volontariato
25
8.
Numero di ore di MLC, per lingua. Quante ore di MLC sono state
effettuate all’interno del suo Servizio nel corso degli ultimi dodici mesi,
per lingua. Indichi per favore il numero di ore di MLC effettuate accanto
a ciascuna lingua:
a.
Arabo
b.
Rumeno
c.
Albanese
d.
Altre lingue in uso nei paesi balcanici o dell’Europa Centrale
(Polonia, Rep. Ceca, Slovacchia, Ungheria)
e.
Lingue veicolari (Inglese, Francese, Spagnolo)
f.
Lingue in uso nei paesi dell’ex-URSS
g.
Portoghese
h.
Cinese (cosiddetto Mandarino o cosiddetti dialetti)
i.
Lingue in uso nel sub-continente Indiano
j.
Lingue africane (ad esempio: Amarico, Berbero, Fulani, Hausa,
Igbo, Yoruba, Lingala, Malgascio, Songhai, Swahili)
k.
Lingue in uso nei paesi dell’Asia centrale (Iran, Afghanistan,
Pakistan)
l.
9.
Altra lingua
Per quali minori. All’interno del suo Servizio, l’esigenza di far ricorso alla
MLC sorge:
a.
in presenza di difficoltà riconducibili al fattore lingua
(impossibilità di capirsi senza un interprete) 0; 1; 2; 3
b.
in presenza di difficoltà riconducibili alla condizione sociale del
ragazzo, come nel caso dei minori non accompagnati 0; 1; 2; 3
c.
di fronte a ragazzi che presentano profili problematici,
caratterizzati ad esempio da disorientamento o condotte violente 0; 1;
2; 3
d.
per motivi di salute del ragazzo 0; 1; 2; 3
e.
3
di fronte a ragazzi che commettono reati in bande o gang 0; 1; 2;
f.
per accompagnare il progetto educativo in area penale esterna 0;
1; 2; 3
Attribuisca per favore a ciascuna opzione di risposta un punteggio da zero
(ragione che non ha nessun peso nel determinare l’esigenza di far ricorso alla MLC) a
tre (ragione che determina fortemente l’esigenza di far ricorso alla MLC)
26
10. Il mediatore e gli operatori. All’interno del suo Servizio:
a.
il mediatore effettua il suo intervento di MLC in maniera
autonoma ed indipendente (lavora da solo)
b.
il lavoro del mediatore che effettua l’intervento di MLC è parte
del lavoro di équipe svolto dagli operatori (mediatore ed operatori
lavorano insieme con lo stesso ragazzo)
c.
il mediatore effettua il suo intervento di MLC da solo ed in
équipe
11.
Formazione specifica dei mediatori. A suo avviso, i mediatori che hanno
effettuato interventi di MLC all’interno del suo Servizio disponevano di un
livello adeguato di formazione sull’uso della MLC nell’ambito specifico del
sistema di Giustizia Minorile?
a.
sì
b.
non era adeguata la loro formazione in materia di competenze
giuridiche
c.
non era adeguata la loro formazione in materia di competenze
relazionali
d.
non era adeguata la loro formazione in materia di competenze
educative
e.
non era adeguata la loro formazione in materia di competenze
linguistiche
12.
13.
“Copertura” garantita dai mediatori. A suo avviso, all’interno del suo
Servizio, ha sempre riscontrato pronta disponibilità di mediatori con
competenze adeguate ad effettuare interventi di MLC con tutti i ragazzi,
cioè con ragazzi appartenenti a tutti i gruppi linguistici o culturali?
a.
sì
b.
no
Disfunzionalità degli interventi. A suo avviso, all’interno del suo Servizio,
l’intervento del mediatore ha talvolta sollevato una o più delle
problematiche di seguito indicate? Attribuisca per favore a ciascuna di
esse un punteggio da zero (problematica mai osservata) a tre
(problematica osservata frequentemente):
a.
problematiche relative alle modalità di comunicazione delle
informazioni, ovvero al rispetto della privacy del minore 0; 1; 2; 3
b.
problematiche relative alla non convergenza di pareri, tra
mediatore ed operatori, in merito alle strategie di approccio al ragazzo
0; 1; 2; 3
27
c.
problematiche dovute all’insorgenza di risposte violente da parte
del ragazzo 0; 1; 2; 3
d.
problematiche riconducibili alla non accettazione del mediatore
da parte del ragazzo 0; 1; 2; 3
e.
problematiche relative ai rapporti con la famiglia 0; 1; 2; 3
f.
problematiche relative all’appartenenza dei ragazzi a determinati
gruppi linguistici o culturali 0; 1; 2; 3. Si prega di indicare quali siano i
gruppi
per
i
quali
la
MLC
sembra
rivelarsi
problematica………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………
……………………
14.
Valutazione degli interventi. Esprima per favore una valutazione in
merito all’utilità degli interventi di MLC ai fini della presa in carico dei
minori stranieri, scegliendo un valore da zero (nessuna utilità) a sette
(massima utilità): 0; 1; 2; 3; 4; 5; 6; 7
15.
Verifica e monitoraggio. Nel suo Servizio si svolgono costantemente
incontri finalizzati al monitoraggio ed alla valutazione degli interventi di
MLC effettuati?
16.
a.
sì
b.
no
Evoluzione osservata. Esprima per favore un parere sintetico (cinque
righe) in merito all’evoluzione del ruolo del mediatore nel
servizio…………………………………………………….…….…………………………………………
………………………………………………………………………….………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………..
17. “Tenuta” della circolare del 2002. Posto che le funzioni del mediatore
nei Servizi Minorili della Giustizia sono state previste dalla circolare
n.6/2002 del 23 marzo 2002 del Dipartimento Giustizia Minorile “Linee
guida sull’attività di mediazione culturale nei Servizi Minorili della
Giustizia”, a suo avviso ed alla luce dei cambiamenti eventualmente
intercorsi nell’ultimo decennio, sono ancora valide le indicazioni
contenute in quel documento? (È possibile scegliere più opzioni di
risposta)
28
a.
sì
b.
no, in particolare le indicazioni riguardanti la comprensione
culturale reciproca (“tradurre” alle figure istituzionali alcuni
comportamenti o “usi” adottati dagli stranieri e far comprendere ai
minori di origine straniera le regole comunitarie delle strutture
ospitanti)
c.
no, in particolare le indicazioni riguardanti l’aiuto al minore
straniero ad esplicitare i suoi bisogni e le sue capacità all’educatore o
all’assistente sociale, nonché a fidarsi
d.
no, in particolare le indicazioni riguardanti l’aiuto al minore
straniero a comprendere il senso dei provvedimenti adottati
dall’Autorità giudiziaria minorile e le prospettive trattamentali offerte
e.
no, in particolare le indicazioni riguardanti la funzione di
mediazione culturale con il gruppo dei pari all’interno della struttura
f.
no, in particolare le indicazioni riguardanti la funzione di
mediazione culturale con i riferimenti parentali del minore
g.
no, in particolare le indicazioni riguardanti il preparare e
l’accompagnare il minore nella fase di dimissioni dal circuito penale
minorile avvicinandolo, possibilmente e con il suo consenso, ad
associazioni di volontariato appartenenti alla sua cultura, per un fattivo
reinserimento sociale.
18.
Altri contributi che la MLC potrebbero apportare. Esprima per favore un
parere sintetico (cinque righe) in merito ad eventuali altri contributi che il
mediatore linguistico-culturale potrebbe apportare, ai fini della presa in
carico dei minori stranieri, alla luce dell’esperienza accumulata all’interno
del
suo
Servizio…………………..
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…...……………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………..
19.
Saperi “situati”. Indichi per favore il mediatore o i mediatori che a suo
avviso hanno realizzato gli interventi di MLC meglio riusciti, cioè gli
interventi di MLC che potrebbero costituire esempi di prassi da
condividere (nome e recapito telefonico o e-mail)
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
29
…………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………………
SECONDA SEZIONE: LINEE GUIDA
2.1 AMBITI APPLICATIVI DELLA MLC NEI SERVIZI MINORILI DELLA GIUST IZIA
Sebbene abbia aderito al survey circa la metà del campione ed i risultati non
possano pertanto essere generalizzati, resta il fatto che l’indagine condotta tra i
responsabili dei servizi della Giustizia minorile consente di mettere in evidenza che la
presenza della MLC è discontinua nelle varie realtà territoriali su cui i servizi insistono.
Vi sono certamente servizi che fanno registrare una minore presenza di minori
stranieri ma non vi sono servizi in cui l’utenza straniera sia del tutto assente. Il dato
relativo alla presenza non univoca dello strumento di MLC nei vari servizi, a fronte del
riscontro di una presenza indubbiamente ubiquitaria dei minori per i quali questo
strumento può essere utilizzato (al fine di migliorarne la presa in carico) invita ad una
riflessione preliminare sull’applicabilità della MLC. Riflessione che ruota attorno ad un
quesito: se – ed eventualmente in che misura – la MLC è da intendersi quale strumento
opzionale da attivare, oppure dev’essere invece considerata come risorsa ordinaria di
cui ciascun servizio deve dotarsi.
La questione è legittima visto che dopo dodici anni di sperimentazione della
MLC (il tempo intercorso dalla promulgazione della Circolare n.6/2002 del 23 marzo
2002 del Dipartimento Giustizia Minorile “Linee guida sull’attività di mediazione
culturale nei Servizi Minorili della Giustizia”) vi sono servizi che non vi hanno mai fatto
ricorso (o che non vi fanno più ricorso pur avendola utilizzata in passato) e servizi in cui
essa appare esperienza consolidata. Nel parlare di Linee guida in tema di MLC si ravvisa
dunque l’opportunità di sottolineare una riflessione per così dire “di sistema” in merito
alle condizioni per cui si ritiene consigliabile, almeno in via preferenziale, attivare la
MLC.
Al momento, l’esistenza di una barriera linguistica che pregiudica la corretta
comunicazione col minore resta la condizione che indica fortemente l’attivazione di un
intervento di MLC.
Altra indicazione emergente riguarda l’ambito della mediazione indiretta, già
evocato con questo termine dalla Circolare n.6 del 23 marzo 2002, in cui il mediatore
costituisce figura indispensabile per garantire un’adeguata attenzione agli aspetti
connessi alla variabile etnica e culturale, con particolare riguardo – oltre a quanto già
indicato nella circolare medesima – alla funzione di facilitare il servizio
nell’individuazione di modalità che assicurino i seguenti diritti: diritto alle pratiche
religiose ed all’assistenza religiosa; diritto a disporre di un vitto rispettoso delle norme
dietetiche; diritto ad aver accesso alle modalità cosiddette “tradizionali” di cura della
salute.
In accordo con quanto già discusso nell’ambito del Progetto SIMS, il dibattito in
Italia – intesa come “sistema paese” – in tema di sensibilità dei servizi alla variabile
etnica e culturale ha conosciuto picchi di forte sviluppo, che tuttavia non hanno –
30
ancora – prodotto un sostanziale adeguamento delle dotazioni e delle prassi. La
definizione di molti aspetti è ormai da tempo demandata all’ambito giuridico, cioè ad
un processo di natura assertiva ed aggiudicativa piuttosto che mediativa. È il caso ad
esempio dell’adeguamento delle normative in materia di abbigliamento nei luoghi di
lavoro e nei luoghi pubblici in genere, in materia di sorveglianza sulla preparazione
degli alimenti destinati al commercio, in materia di pratiche di sepoltura. Tuttavia, nei
confronti degli aspetti prima ricordati (pratiche religiose, dieta alimentare, cura della
salute e quant’altro è già menzionato nella Circolare n. 6 del 2002) in cui si palesa il
significato della parola “cultura” il mediatore – per quanto di sua pertinenza e
certamente senza sostituirsi al legislatore – ha un suo spazio per proporre soluzioni –
soluzioni mediate e non già giuridiche – che incrementino la pertinenza culturale del
servizio, laddove le espressioni “pertinenza culturale” o “specificità culturale” di un
servizio indicano la capacità di quel servizio di fornire prestazioni adeguate alle diverse
esigenze presenti all’interno di un’utenza composita dal punto di vista etnico e
culturale.
Ancora in tema di ambiti applicativi della MLC è fatto obbligo segnalare
l’attivazione appena emergente di questo strumento nel caso di presa in carico dei
minori stranieri cosiddetti di seconda generazione. Qui incide in primo luogo sul
minore non già l’interferenza della barriera linguistica, bensì la dimensione del
conflitto culturale, che appare in genere connessa (in accordo con l’ampia letteratura
in materia) con i contrasti tra prima e seconda generazione (ovvero tra minore e
famiglia) e con la condizione di non completo riconoscimento di appartenenza al paese
in cui si vive (marginalità dovuta all’origine immigrata ed alla doppia identità culturale).
La barriera linguistica eventualmente può sussistere nel rapporto con la famiglia di
questi ragazzi, che necessariamente viene coinvolta nell’intervento di MLC.
In sintesi, le indicazioni forti per l’attivazione della MLC sono riconducibili a:

presa in carico di minori che non hanno piena padronanza della lingua
italiana o con cui è impossibile comunicare utilizzando le più comuni
lingue veicolari (inglese, francese, spagnolo);

intervento sugli ambiti rubricati dalla Circolare n. 6 del 2002 sotto la
voce “mediazione indiretta”, con riguardo particolare al rispetto delle
esigenze di culto, alimentari e di salute del minore;

lavoro con i minori di seconda generazione e con le loro famiglie.
2.2 CONFRONTO, CONDIVISIONE E VERIFICA DELLE ESPERIENZE DI MLC
Posta la particolare condizione contrattuale dei mediatori (consulenti o esperti
esterni che operano in rapporto di convenzione con l’Amministrazione della Giustizia)
ed in presenza delle ovvie difficoltà che al momento sussistono in ordine ad un
effettivo loro incardinamento all’interno del personale organico ai Servizi minorili della
Giustizia, assumono grande rilevanza le occasioni di confronto, scambio e condivisione
delle esperienze di MLC condotte e in atto nello specifico della Giustizia minorile, che
vedano la partecipazione dei mediatori e degli altri operatori, in maniera analoga a
quanto svolto nell’ambito delle attività aggiuntive la Progetto SIMS. Se queste
occasioni assumono carattere stabile e continuativo consentono la costruzione di una
31
comunità di attori, di linguaggio e di pratiche, che al momento non esiste e che a sua
volta costituisce sia strumento di elaborazione teorica in tema di ambiti applicativi e
prospettive di sviluppo della MLC, sia strumento di monitoraggio e verifica degli
interventi.
In sintesi, è auspicabile la convocazione semestrale o annuale di un’assise
stabile della MLC nei servizi della Giustizia minorile e che dalla prima convocazione
scaturisca un gruppo di lavoro al quale sia affidato il compito di redigere una
newsletter bimestrale e curarne la diffusione.
2.3 FORMAZIONE SPECIFICA DEI MEDIATORI E CERTIFICAZIONE
Grande enfasi è stata posta sulla formazione dei mediatori, che oggi possono
vantare un patrimonio di crediti formativi, in termini di titoli riconosciuti e monte ore
effettuato, assai elevato. Ai fini del radicamento della funzione di MLC nei servizi
minorili della Giustizia, alla luce delle indagini effettuate, più che la competenza del
mediatore (sul versante della lingua e sul versante delle teorie e delle tecniche di
mediazione) prende rilevanza il trasferimento ai mediatori del forte specifico culturale
che caratterizza il sistema della Giustizia minorile. Più che la capacità “mediatoria” del
mediatore si riscontra oggi l’opportunità di perfezionare e formalizzare (o, in alcuni
casi, semplicemente certificare) il patrimonio conoscitivo in tema di tutela e
promozione dei diritti del minore, centralità e prevalenza dell’interesse del minore,
come riconosciuto dalle carte internazionali, unitamente alla cultura dell’ascolto e del
lavoro col minore e per il minore, secondo la logica per cui questo soggetto non
costituisce mero destinatario di decisioni che lo riguardano, bensì parte sostanziale
delle decisioni medesime, dunque protagonista del conseguimento dei risultati che
quelle decisioni auspicano. Ciò che configura, dietro le regole del procedimento penale
minorile e grazie ad esse, un’area di lavoro comune a diverse figure professionali e che
richiama la responsabilità di tutti, ovvero un pensiero comune ed una mente comune,
all’interno di una sorta di setting stabile – ancorché sicuramente allargato – che vede
al centro il minore. Si richiede l’attivazione di una speciale attenzione, diretta sia alla
reale capacità “interna” di ciascun operatore di identificarsi con le esigenze di una
mente “in crescita” (capacità riflessiva che a volte è chiamata capacità di
“mentalizzazione”, in virtù della quale il ragazzo si sente ospitato ed aiutato) sia ai
significati che assumono – all’interno dei servizi – la stabilità, le prassi, le routines, il
bisogno di continuità. Tenendo presente peraltro che si sta tentando di stabilire
un’alleanza sufficientemente profonda in tempi brevi ed un’alleanza di tipo tutelativo
con chi effettivamente non l’ha chiesta.
I mediatori hanno certamente acquisito sul campo questa cultura ma è
auspicabile che il trasferimento di questi principi e di queste competenza – anche ad
opera dei responsabili o degli operatori del servizio cui spettano le funzioni di selezione
e training degli aspiranti mediatori da inserire nel servizio medesimo – non sia né
occasionale, né lasciato all’estemporaneità del lavoro quotidiano.
In sintesi, si raccomanda l’attenzione alla formazione specifica dei mediatori
sui temi del diritto del minore e del lavoro col minore, che costituiscono il maggior
punto di forza del patrimonio culturale in virtù del quale la Giustizia minorile si
32
caratterizza come tale, unitamente alla formalizzazione e certificazione delle
competenze acquisite (in modo da renderle spendibili).
2.4 MODELLIZZAZIONE DEGLI INTERVENTI DI MLC NEL LAVORO DI ÉQUIPE
La chiarezza in merito al modello operativo che ciascun servizio in maniera più
o meno consapevole costruisce nell’attivare la MLC è necessaria a prescindere dal
rapporto di fiducia reciproca instaurato tra mediatori ed altre figure di operatori
istituzionali e dall’intesa che si stabilisce lavorando in équipe, che pure contribuiscono
certamente alla qualità degli interventi ed alla loro efficacia. La modellizzazione
dell’operatività risulta centrale soprattutto in merito al ruolo che il mediatore (nelle
vesti di consulente esterno, ovvero nelle vesti di esperto chiamato ad inserire un
sapere aggiuntivo alle competenze del servizio) acquisisce all’interno dell’équipe che
effettua la presa in carico del minore. L’insieme delle indagini condotte (survey ed
interviste) ha fatto emergere, seppur all’interno di una cornice comune, approcci alla
MLC e modi di realizzarla non omologhi, com’è anche giusto che sia, nel rispetto della
professionalità di ciascun mediatore. Alcuni mediatori tendono maggiormente ad
identificarsi con la logica del servizio, assimilandosi al servizio stesso e, pur non
essendo vincolati dallo stesso obbligo contrattuale con l’Amministrazione, seguono il
comportamento degli altri operatori istituzionali. Come dire che assumono l’abito degli
appartenenti al sistema della Giustizia minorile, di cui divengono perciò
rappresentanti. In altri casi, il mediatore gioca invece una funzione più autonoma, sia
nei confronti del minore, sia nei confronti della logica del servizio. La questione è
rilevante perché ciascun orientamento corrisponde a concezioni non omologhe della
MLC, con riguardo anche alla funzione di terzietà, neutralità o equiprossimità che il
mediatore sceglie di svolgere e con ancor maggior riguardo al come questa scelta –
verso una maggiore terzietà o verso una maggiore assimilazione al servizio –
contribuisce a creare occasioni di “aggancio” del ragazzo. Appare perciò evidente che,
all’interno del lavoro di équipe, anche all’interno dello stesso servizio, il grado di delega
o attribuzione di responsabilità a ciascun mediatore, in ordine a ciò che tutta l’équipe si
attende dal suo intervento, può cambiare. E la precisazione di questo aspetto s’impone
come requisito fondamentale per il buon funzionamento degli interventi, che non
necessariamente debbono essere rigidamente omologati ma possono conservare un
carattere di flessibilità – anche a seconda dello “stile” di ciascun mediatore – che viene
anzi a costituirne un punto di forza.
In sintesi, la chiarezza in merito al modello operativo che informa ciascun
intervento o ciascuna prassi interna al servizio costituisce requisito per il positivo
inserimento della funzione di MLC, dunque del ruolo del mediatore, nell’ambito del
lavoro di équipe.
2.5 PRECOCITÀ E CONTINUITÀ DELL’INTERVENTO DI MLC
Gli intervistati hanno avuto modo di verificare sul campo che il successo della
MLC ai fini della presa in carico del minore straniero, a parità di altre condizioni, è
legato a due fattori: precocità e continuità. Se il primo fattore induce a raccomandare
l’attivazione della MLC (dunque la presenza del mediatore) sin dal primo contatto tra il
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minore straniero ed il circuito penale (il CPA) il secondo fattore richiama l’attenzione
sulla non sempre perfetta integrazione funzionale (in termini di dialogo e scambio di
informazioni in tempo reale) tra i vari servizi minorili attraverso cui il minore per così
dire “transita”, nonché tra servizi minorili ed altri servizi territoriali (SSN, privato
sociale) che pure forniscono prestazioni destinate al minore. La figura del mediatore,
nel suo garantire invece continuità di presenza (nel senso descritto nella discussione
dei risultati delle interviste) potrebbe assicurare una funzione di raccordo, che
metterebbe il minore al riparo dalle conseguenza della non sempre puntuale
integrazione funzionale tra i vari servizi. Ancorché l’ipotesi sembri verosimile, dunque
da sottoporre all’attenzione nell’ambito di queste raccomandazioni, restano aperti due
interrogativi: la differenza che resterebbe tra il percorso del minore straniero ed il
percorso del minore italiano, destinato a presentarsi più accidentato, non essendo qui
richiesta la presenza del mediatore; l’individuazione di adeguate modalità e relative
attribuzioni condivise di responsabilità, in base a cui il mediatore possa svolgere
formalmente questa funzione di raccordo.
In sintesi, la precocità dell’attivazione della MLC, unitamente alla continuità
della presenza del mediatore lungo l’intero percorso che il minore compie all’interno
del circuito penale, sono raccomandati come requisiti in brado di migliorare la presa
in carico del minore straniero. Potrebbe esser compresa nell’ambito della MLC una
funzione di raccordo tra i vari servizi che il minore attraversa, svolta formalmente dal
mediatore. Può esser compreso in quanto sopra detto il raccordo formale col
mediatore eventualmente presente nella struttura penitenziaria di destinazione di
un minore che per limiti di età debba completare nel carcere ordinario l’esecuzione
della pena detentiva.
2.6 IL CONTRIBUTO DEL MEDIATORE ALL’INDIVIDUAZIONE DELLA
COMUNITÀ
A latere della raccomandazione in merito alla funzione di raccordo tra i servizi,
di cui s’è appena discusso, si pone la riflessione sul contributo del mediatore
all’individuazione della comunità verso cui indirizzare il minore straniero. Riflessione
che rimanda a temi altrettanto complessi, tra cui il percorso che ha condotto alla
nascita dell’idea stessa di comunità e l’attuale configurazione del panorama delle
strutture rubricate sotto la voce comunità ed attualmente esistenti. Se il primo tema
esula dalla portata di questo documento, vale invece qui ricordare che con riferimento
al sistema della Giustizia minorile si parla oggi di un numero ristretto di comunità
ministeriali e di un ampio insieme di comunità gestite dal privato sociale e
convenzionate con la Giustizia minorile. Questa sorta di universo, nel suo complesso,
rappresenta un punto intermedio tra il sistema della Giustizia minorile ed il territorio. Il
trasferimento del minore dai servizi minorili alla comunità viene a configurare un
trasferimento di competenza ma non di responsabilità, poiché l’Amministrazione della
Giustizia, attraverso le sue articolazioni territoriali ed in primo luogo attraverso i CGM,
continua ad essere a pieno titolo responsabile della tutela del minore, che ha
indirizzato verso una di queste strutture per l’appunto in accordo col principio di
perseguire il suo migliore interesse. Tant’è che il CGM, per il tramite dei servizi ad esso
afferenti, effettua una costante azione di monitoraggio e verifica delle condizioni del
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minore collocato in comunità, nonché dell’andamento del suo percorso di recupero. È
tuttavia implicito nel provvedimento stesso di collocamento in comunità un significato
di delega e questa delega non sempre trova corrispondenza in quel rapporto di
reciproca intesa (tra operatori della comunità ed operatori dei servizi minorili) che si
costruisce nel tempo condividendo quotidianamente pratiche e linguaggio. E se i
servizi guardano non senza una sorta di sospetto alla permanenza del minore in
comunità, gli operatori delle comunità, dal canto loro, hanno non di rado la sensazione
che i minori siano come frettolosamente scaricati all’interno delle loro strutture. A
testimonianza di quanto il tema sia cogente, vale anche ricordare un recente
intervento del Capo del Dipartimento esplicitamente finalizzato – nell’ambito di un più
ampio impulso al coordinamento tra le varie articolazioni dell’Amministrazione – a
promuovere la costruzione di una solida alleanza tra comunità e servizi, da cui
scaturisca anche maggior spazio di manovra per un’individuazione condivisa (tra
richiesta dei servizi ed offerta delle comunità) della struttura più idonea a ciascun
minore. Il momento della scelta della comunità è più drammatico in fase di uscita dalla
misura intramuraria, poiché in questo caso scatta un meccanismo di emergenza e resta
poco spazio per la programmazione ragionata, che naturalmente comporterebbe
un’attesa. Diverso il caso in cui il collocamento in comunità è prescritto nell’ambito di
un progetto di messa alla prova, che consente di effettuare una scelta nel senso più
vicino a quello letterale della parola. In ogni caso, come si vede il tema in oggetto non
riguarda solo il minore straniero, pur se quest’ultimo è certamente più esposto ai
rischi, ovvero alle sofferenze che possono derivare da una scelta che per varie ragioni
non è stato possibile ponderare adeguatamente. Tutto ciò per ribadire che la natura
stessa della questione impone di trattarla nel suo complesso, cioè con riguardo a tutte
le sue sfaccettature. Resta ad ogni buon conto il fatto che, al momento e
limitatamente al caso del minore straniero, il mediatore si mostra in grado di
contribuire su più versanti nell’individuazione della comunità verso cui indirizzare un
ragazzo.
In sintesi, è opportuno che il mediatore fornisca per via formale elementi di
valutazione utili all’individuazione della comunità cui destinare il minore, sia in
seguito a modifica della misura intramuraria, sia nel corso di progetto di messa alla
prova. In particolare, il contributo formale apportato dalla funzione di MLC si declina
nelle seguenti azioni:

contributo fornito agli operatori del servizio nell’orientare la scelta della
comunità;

supporto agli operatori della comunità che eventualmente non disponga
di mediatori al suo interno, per integrare la pertinenza culturale della
struttura, ovvero le competenze necessarie affinché sia garantito anche
al minore straniero quanto occorre per soddisfare esigenze relative a
culto, alimentazione ed accesso alla salute;

coordinamento col mediatore che lavora all’interno alla comunità – ove
presente – per un “trasferimento di consegne” che assicuri continuità al
percorso in atto;

contributo fornito agli operatori della comunità in ordine
all’individuazione ovvero predisposizione delle specificità culturali
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relative alle attività che il ragazzo è chiamato a svolgere (scuola,
formazione e quant’altro).
2.7 IL CONTRIBUTO DEL MEDIATORE NELLA FASE DEL RILASCIO
Come in parte anche accennato dalla Circolare n. 6 del 2002, il campo d’azione
della MLC si prolunga – per così dire – anche dopo l’uscita del minore straniero dal
circuito penale. Le indagini condotte danno conferma che molti mediatori, ancorché in
via informale, si preoccupano di dare continuità anche in tal senso al loro intervento
che altrimenti rischierebbe di vanificarsi, con forte pregiudizio sulla tutela del minore e
con non indifferente spreco delle risorse materiali ed umane impegnate per il suo
recupero. Più in particolare, la funzione del mediatore si rivela utile sia nel preparare la
fase del rilascio, sia a rilascio avvenuto e consiste nell’individuare, sensibilizzare ed
attivare le reti relazionali presenti nel territorio, che si dipanano a partire dalla famiglia
– quando essa è presente – o attorno alle reti parentali o amicali, per estendersi alle
reti etniche o di connazionali, fino agli altri attori territoriali che a vario titolo sono in
grado di partecipare alla socializzazione del minore: strutture del privato sociale,
associazionismo promosso da cittadini immigrati, mondo del volontariato, attori
dell’aggregazione ludica e quant’altro. Ma anche qui, come sempre accade quando ci si
confronta con la gestione della variabile culturale, ogni soluzione porta con sé rischi o
quanto meno solleva problemi: qui il nodo problematico risiede nelle possibili derive di
quest’approccio verso una sorta di “etnicizzazione” del minore straniero, più o meno
indotta, nella misura in cui permane un pregiudizio relativo al fatto che si pensi che il
minore, perché straniero, debba avere necessariamente accesso a reti etniche o su
base nazionale.
In sintesi, nella preparazione della fase di rilascio ed a rilascio avvenuto,
d’intesa con gli operatori istituzionali, il mediatore può svolgere formalmente,
nell’ambito della MLC, una funzione di raccordo tra la Giustizia minorile – intesa
come sistema per sua natura attivamente “aperto” al territorio – e le varie risorse
territoriali, dalla famiglia agli altri attori. Funzione svolta attraverso azioni di
individuazione, sensibilizzazione ed attivazione di tali risorse.
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