giovedì 16 febbraio 2017
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 38 (17.472) Città del Vaticano giovedì 16 febbraio 2017 . Appello del Papa prima dell’udienza generale dedicata alla speranza Secondo uno studio presentato a Londra Per i diritti dei popoli indigeni sulle loro terre Accelera la corsa al riarmo «In questo momento in cui l’umanità sta peccando gravemente nel non prendersi cura della terra», Papa Francesco esorta i popoli indigeni a non permettere le nuove tecnologie «che distruggono la terra» e «l’equilibrio ecologico» finendo per distruggere anche la saggezza ancestrale di queste popolazioni. Una consegna, questa, risuonata mercoledì mattina, 15 febbraio, nell’auletta dell’aula Paolo VI dove il Pontefice prima dell’udienza generale ha incontrato i partecipanti al terzo forum internazionale dei popoli autoctoni, convocato dal Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), di cui ricorre quest’anno il quarantesimo di istituzione. In vista di «una maggiore responsabilizzazione economica» delle persone indigene, il Papa individua il “problema essenziale” nel saper «conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e culturale, con la tutela delle caratteristiche proprie» di tali popoli e dei loro territori. E ciò appare evidente soprattutto quando si avviano «attività economiche che possono interferire con le culture» locali. In tal senso Francesco ribadisce il primato del «diritto al consenso previo e informato» perché — spiega — «solo così è possibile assicurare una collaborazione pacifica tra autorità governative e popoli indigeni, superando contrapposizioni e conflitti». Il Pontefice chiede inoltre «progetti inclusivi dell’identità indigena, con una speciale attenzione per i giovani e le donne» prestando particolare attenzione all’“inclusione”. Il che vuol dire «per i Governi riconoscere che le comunità autoctone sono una componente della popolazione che va valorizzata e consultata e di cui va favorita la piena partecipa- zione»; mentre «non si può permettere una emarginazione o una divisione in classi». Da qui l’esortazione conclusiva del Papa affinché gli indigeni nelle loro tradizioni e nella loro cultura vivano «il progresso con una cura speciale per la madre terra». Successivamente all’udienza generale nell’aula Paolo VI il Pontefice ha proseguito le catechesi sulla speran- za cristiana alla luce della Parola di Dio. Nella circostanza ha commentato il brano della lettera di Romani (5, 1-5) sulla speranza che non delude. Perché, ha detto, chi accoglie il Signore riconosce in ogni cosa un dono e fa esperienza della «pace che scaturisce dalla fede». PAGINA 8 Confronto con Trump sul Vicino oriente Netanyahu alla Casa Bianca y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!?!#!.! TEL AVIV, 15. La Casa Bianca non sosterrà a oltranza la soluzione dei due stati, ma farà di tutto affinché israeliani e palestinesi raggiungano un accordo il prima possibile. A dichiararlo è stato un funzionario dell’amministrazione statunitense, rimasto anonimo, alla vigilia dell’incontro oggi tra il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e il presidente Donald Trump. «Una soluzione dei due stati che non porti alla pace è un obiettivo che nessuno vuole raggiungere» ha spiegato il funzionario. «L’obiettivo è la pace, che arrivi sotto la forma dei due stati o nel modo in cui vogliono le due parti» ha aggiunto. Parole rilanciate dai media internazionali, e che non hanno mancato di suscitare numerose polemiche. L’organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) ha parlato di «cambiamento della posizione degli Stati Uniti» sul conflitto e ha parlato di una «situazione senza senso». Secondo un membro del comitato esecutivo dell’Olp, Hanan Ashrawi, si tratta di una «politica irresponsabile che non giova alla causa della pace». Gli statunitensi «non posso- no soltanto dire questo senza proporre un’alternativa». Il principio di una soluzione del contenzioso tra israeliani e palestinesi che comporti la costituzione di due stati autonomi che possano convivere in sicurezza è stato ribadito più volte dalle Nazioni Unite e da tutti i principali protagonisti diplomatici. Lo stato dei colloqui e le possibilità di rilanciare il processo di pace con i palestinesi sarà al centro del confronto tra Netanyahu e Trump. I due leader — dicono fonti di stampa — condividerebbero un approccio comune basato su un maggiore coinvolgimento dei paesi arabi: non solo Egitto e Giordania, ma anche i paesi del Golfo. Un ruolo determinante sarà quello di Jared Kushner, genero del presidente americano, a cui quest’ultimo ha dato le chiavi dei negoziati, nominandolo inviato speciale. Kushner dovrà affrontare un tema centrale: quello degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. È questo infatti il punto più delicato: sono in molti ad affermare che proprio il continuo avanzamento degli insediamenti sarebbe la principale causa non solo dello stallo del dialogo tra le parti, ma anche della effettiva impossibilità di realizzare la soluzione dei due stati. I palestinesi chiedono l’immediato e completo stop a tutti i lavori edilizi israeliani. La tensione sul tema è cresciuta particolarmente nelle ultime settimane, con la Knesset (il parlamento israeliano) che ha approvato la regolarizzazione di circa 4000 alloggi negli insediamenti. Il ricorso, presentato da diverse ong, è all’esame della corte suprema. Anche il presidente Reuven Rivlin si è detto critico nei confronti della regolarizzazione, chiedendo soluzioni alternative. Salvatore da Horta Il taumaturgo degli ultimi Insediamenti israeliani in Cisgiordania (Ansa) GIUSEPPE BUFFON A PAGINA 4 Sul tavolo di Trump e Netanyahu ci sarà poi l’Iran. Trump ha più volte detto di voler rinegoziare l’accordo. Tuttavia, il capo del Pentagono James Mattis e il segretario di stato Rex Tillerson hanno dichiarato che questo non è il momento giusto per rivedere l’intesa. Di recente Washington ha imposto nuove sanzioni a Teheran per lo sviluppo del suo programma missilistico. LONDRA, 15. Nella corsa al riarmo si conferma l’emergere del continente asiatico. Tra il 2012 e il 2016 si è infatti registrata una crescita del 5-6 per cento delle risorse asiatiche destinate alla difesa, un mercato che invece a livello globale lo scorso anno ha conosciuto un calo dello 0,4 per cento, condizionato dalle riduzioni in Medio oriente. A fotografare lo stato delle spese militari nel mondo è l’annuale studio dell’International institute for strategic studies, intitolato The Military Balance 2017 e presentato ieri a Londra. Il documento conferma che non c’è stata in nessuna area del mondo una riduzione dei conflitti o dei rischi. Anzi, il business delle armi si conferma tragicamente come uno dei più redditizi. L’Asia, come detto, è l’area del mondo in cui le spese militari crescono con maggiore rapidità, mettendo in dubbio i rapporti di forza che eravamo abituati a considerare in tempi recenti, cioè, in sostanza, la predominanza occidentale, sia in termini di capacità tecnologica che di risorse. Già nel 2012 l’Asia aveva superato l’Europa in termini di spese militari. Nel 2016 il continente asiatico ha speso 1,3 volte più del vecchio continente. Il ruolo degli Stati Uniti di maggiore potenza militare del pianeta non è in discussione, con un budget 2016 di 604,5 miliardi di dollari. La Cina si conferma al secondo posto, con 145 miliardi di dollari di spesa, trainando tutto il resto del continente. Ma — sottolinea il rapporto — «la predominanza occidentale in termini di sistemi d’arma avanzati non è più un dato scontato». Per anni la Cina è stata impegnata principalmente nel riprodurre armi su modelli ex sovietici o su nuovi sistemi russi. Ora però – dicono gli analisti – è evidente che in alcuni settori chiave Pechino si sta distinguendo per «una nuova produzione frutto di una sempre più intensa attività di ricerca nazionale». Attualmente risulta che il bilancio ufficiale delle spese militari di Pechino è di 1,8 volte superiore a quelli della Corea del Sud e del Giappone messi insieme e rappresenta più di un terzo della spesa totale in Asia. Violenze nella Repubblica Democratica del Congo Oltre cento le vittime denunciate dall’Onu L’altro concetto chiave che emerge dal rapporto è altrettanto inquietante: non c’è stata nessuna riduzione nel livello di gravità delle sfide militari. Conflitti, tensioni, criticità si continuano a registrare in Africa, in Medio oriente e anche in Europa. Per non parlare della situazione nella penisola coreana. In più, quello che drammaticamente è cresciuto nel 2016 è stato il numero degli attacchi terroristici a livello transnazionale. E dunque — sottolinea il rapporto — un numero maggiore di stati sta seriamente considerando azioni di stampo militare nell’obiettivo di rafforzare la sicurezza nazionale. Il rapporto di quest'anno conferma dunque il trend annunciato l'anno scorso, quando gli analisti avevano registrato una spesa militare globale pari a 1700 miliardi di dollari, corrispondente al 2,3 per cento del prodotto interno lordo mondiale. C'è poi un altro dato confermato: il fatto che siano pochi i paesi traino del mercato: oltre l’80 per cento della spesa è coperta da soli 15 paesi. Proprio l’anno scorso aveva segnato un rialzo, dopo un decennio di contenimento. Intanto, sul piano della cronaca, c’è da dire che negli Stati Uniti proprio oggi è atteso il voto al senato sul provvedimento, voluto dal presidente Donald Trump, per allentare la stretta alle armi decisa dall’ex capo della Casa Bianca, il democratico Barack Obama. NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha deciso di concedere il titolo di Avvocato rotale: — all’Eminentissimo Cardinale Oswald Gracias, Arcivescovo metropolita di Mumbai (ex Bombay); — all’Eminentissimo Cardinale Lluis Martinez Sistach, Arcivescovo emerito di Barcellona; — a Sua Beatitudine il Cardinale Bechara Boutros Rai, O.M.M., Patriarca di Antiochia dei Maroniti. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio (Italia), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Luigi Negri. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Tianguá (Brasile), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Francisco Javier Hernández Arnedo, O.A.R.. Provviste di Chiese Forze di sicurezza congolesi a Kinshasa (Ap) KINSHASA, 15. Violenze senza fine nella Repubblica Democratica del Congo. L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato ieri di essere «profondamente preoccupato» per le notizie secondo le quali nel paese africano oltre cento persone sono state uccise in scontri tra militari e miliziani armati di machete e lance. Se il bilancio dei drammatici scontri fosse confermato, affermano le Nazioni Unite, questo «indicherebbe un uso eccessivo e sproporzionato della forza da parte dei soldati». Gli scontri più violenti sono stati segnalati a Mubinza, Ngwema, Lubi, Kamponde e Mikele. Il numero delle vittime è stato immediatamente criticato dal governatore locale e dal portavoce del governo di Kinshasa, che hanno definito i commenti delle Nazioni Unite «frettolosi e impropri». Il Santo Padre ha nominato Arcivescovo dell’Arcidiocesi di Ferrara-Comacchio (Italia) il Reverendo Monsignore Giancarlo Perego, del clero della Diocesi di Cremona, finora Direttore Generale della Fondazione «Migrantes». Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Tianguá (Brasile) il Reverendo Francisco Edimilson Neves Ferreira, finora Parroco della Cattedrale Nossa Senhora da Penha di Crato. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 giovedì 16 febbraio 2017 La siccità colpisce oltre 24 milioni di persone Fame e sete in Africa Aumentano le migrazioni per ragioni climatiche MO GADISCIO, 15. In Africa, oltre 24 milioni di persone soffrono la fame e la sete nelle zone più colpite dalla siccità, 12 milioni solamente tra Somalia, Kenya ed Etiopia. Ma l’insicurezza alimentare non lascia indenne neanche l’Uganda, i cui tassi di Intesa sulle elezioni libiche nel 2018 IL CAIRO, 15. L’agenzia di stampa ufficiale egiziana Mena ha annunciato nella notte che nei colloqui indiretti al Cairo (Egitto) fra il premier del governo di unità nazionale libico, Fayez Al Sarraj, e il generale Khalifa Haftar è stato «concordato di tenere elezioni parlamentari e presidenziali» in Libia nel febbraio del 2018, in linea con l’accordo politico libico firmato a Skhirat nel dicembre del 2015. Il sito del giornale «Libya Herald» cita «fonti del campo di Haftar» (comandante dell’esercito che fa capo al parlamento di Tobruk e “uomo forte” della Cirenaica) per sostenere che il generale non avrebbe accolto la proposta. La Mena, nel suo servizio, ha reso noto un documento pubblicato al termine delle riunioni che si sono tenute tra Al Sarraj, Haftar — i due protagonisti della grave crisi politico-istituzionale nel paese nordafricano — e il presidente della camera dei rappresentanti libica, Aqila Saleh. Ieri, una fonte ufficiale di Tobruk, dove è insediato Haftar, aveva riferito che il generale si era rifiutato di incontrare Al Sarraj. Fonti aeroportuali all’agenzia Ansa e giornalisti sul posto segnalano che Al Sarraj ha già lasciato la capitale egiziana. Al Cairo le parti libiche hanno anche concordato di formare un comitato congiunto del parlamento libico e dell’alto consiglio di stato. Questo nuovo organismo esaminerà tutte le questioni emendate nell’accordo politico firmato in Marocco nel 2015, con l’obiettivo di raggiungere un consenso su una bozza da inoltrare al parlamento, per poi essere approvata dai deputati. «Il parlamento libico — si legge nel documento ripreso dall’agenzia Mena — effettuerà i necessari emendamenti per includere l’accordo politico di Skhirat nella dichiarazione costituzionale». L’accordo afferma, inoltre, che tutti i detentori dei principali incarichi in Libia continueranno il loro lavoro. malnutrizione sono causa di forti preoccupazioni per le drammatiche conseguenze che potranno generare. Tra gli effetti del clima sulla vita delle persone, vi sono poi i flussi migratori. Le migrazioni per ragioni climatiche, che stanno interessando i Paesi maggiormente soggetti all’esaurimento delle scorte alimentari, sono infatti in sensibile aumento: lo scorso anno, i rifugiati e i richiedenti asilo sono stati circa tre milioni, rispetto al mezzo milione del 2015. Sono alcuni dati resi noti, in un rapporto dell’organizzazione umanitaria Amref. Il Corno d’Africa continua a patire gli effetti di una gravissima siccità. Somalia, Etiopia e Kenya sono i paesi più colpiti, con milioni di persone costrette a fronteggiare il problema della scarsità di cibo, una delle conseguenze principali della carenza di acqua. Tra il 2015 e il 2016, i fenomeni atmosferici el Niño e la Niña hanno colpito e devastato numerose aree del mondo, alternando aridità estrema a violente piogge. Nell’ultimo trimestre si attendevano POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Per il bene dell’Italia Le emergenze sociali, l’immigrazione e l’Europa sono stati i temi al centro dei colloqui di ieri pomeriggio, martedì 14 febbraio, tra la delegazione della Repubblica italiana e quella della Santa Sede, in occasione dell’incontro nella rappresentanza diplomatica italiana di Palazzo Borromeo, per le celebrazioni degli anniversari dei Patti lateranensi (11 Via libera all’accordo tra Europa e Canada STRASBURGO, 15. Con 408 voti a favore, 254 contrari e 33 astenuti, l’Europarlamento ha approvato l’accordo commerciale tra l’Unione europea e Canada, il cosiddetto Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement). L’accordo è stato firmato a ottobre scorso e attende la ratifica anche da parte dei parlamenti nazionali. Il voto di oggi apre la strada all’entrata in vigore provvisoria delle disposizioni. Ma per entrare davvero provvisoriamente in vigore, in teoria nel mese di aprile, il Ceta ora attende la ratifica da parte del parlamento canadese. Poi toccherà a 38 parlamenti nazionali e regionali dell’Ue esprimersi. A sostenere il Ceta all’interno dell’assemblea parlamentare sono stati i gruppi del Partito popolare europeo (Ppe), dell’Alleanza dei liberali e democratici (Alde), dei Conservatori e riformatori (Ecr) e dei Socialisti e democratici (S&D). Dichiaratamente contro, i Verdi, Sinistra Unitaria Europea/Sinistra Verde Nordica (Gue), Europa della libertà e democrazia diretta degli euroscettici (Efdd) ed Europa delle nazioni e della libertà (Enf). febbraio 1929) e dell’accordo di modifica del Concordato (18 febbraio 1984). «L’incontro è andato bene — ha dichiarato a conclusione del vertice il cardinale Pietro Parolin — e in un clima molto disteso abbiamo toccato non tutti ma molti dei temi che stanno a cuore sia all’Italia sia alla Santa Sede. C’è sintonia, con alcune divergenze, ma tutto in un clima molto costruttivo e con la volontà di collaborare per il bene del paese». Si tratta — ha aggiunto il segretario di Stato — «di essere attenti alle esigenze della gente, alle emergenze», come la mancanza di lavoro per le nuove generazioni e i fenomeni migratori. E in questo senso si registra preoccupazione «per l’emergere dei populismi, perché la chiusura non è mai una buona politica»; anzi «l’incapacità di accogliere e integrare può essere pericolosa. La storia ce lo insegna e speriamo che in questo senso non si ripeta». Inoltre, ha proseguito il cardinale Parolin, «è stato toccato anche il tema del terremoto e la necessità di una ricostruzione materiale e morale di quei territori e di quelle popolazioni». Ampliando lo sguardo sull’intero continente, ha detto ancora il segretario di Stato, si è «parlato anche dell’Unione europea in vista della celebrazione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, del bisogno di rilanciare e ripensare il progetto europeo. Si è insistito sul Incostituzionale il referendum per l’indipendenza della Catalogna MADRID, 15. Si allontanano le posizioni tra Madrid e la Catalogna. La corte costituzionale spagnola ha dichiarato ieri incostituzionale il referendum sull’indipendenza della Catalogna in programma per settembre. Il presidente della Generalitat de Catalunya, Carles Puigdemont, ha replicato annunciando che andrà avanti comunque. La corte ha dichiarato incostituzionale la mozione con la quale nell’ottobre scorso il parlamento della Catalogna aveva dato mandato di organizzare un referendum entro settembre. E ha ordinato a Puigdemont, al suo governo e alla presidente del parlamento catalano, Carme Forcadell, di non applicare la risoluzione, diffidandoli dal continuare a promuovere l’iniziativa. Con il rischio di sanzioni penali. Il parlamento europeo vota il trattato tra Ue e Canada (Reuters) tente» e circondata da una «corte di miracoli», oltre che fare pesanti allusioni alla sua vita privata. Il sindaco aveva respinto le dimissioni con riserva, ma la rivelazione di altri contenuti dello stesso colloquio avevano reso la posizione dell’assessore sempre più in bilico. Ieri la decisione definitiva da parte di Berdini. «Prendiamo atto che l’assessore preferisce continuare a fare polemiche piuttosto che lavorare. Noi andiamo avanti», è stato il commento del sindaco Raggi. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum A Palazzo Borromeo il tradizionale incontro per l’anniversario dei Patti lateranensi Strasburgo approva il Ceta che ora deve essere ratificato a Montréal Si è dimesso l’assessore all’urbanistica del Comune di Roma ROMA, 15. Dalla serata di ieri, martedì, le dimissioni dell’assessore all’urbanistica del Comune di Roma, Paolo Berdini, sono da considerare irrevocabili. Lo ha annunciato lo stesso funzionario attraverso una nota fortemente polemica nei confronti dell’amministrazione capitolina. L’assessore aveva presentato le dimissioni al sindaco Virginia Raggi già all’indomani della pubblicazione del suo colloquio con un giornalista del quotidiano «La Stampa», nel quale definiva la stessa Raggi «strutturalmente incompe- nelle regioni dell’Africa orientale precipitazioni atmosferiche tali da alleviare almeno parzialmente gli effetti della tremenda siccità, ma così non è stato. E, all’orizzonte, aleggia lo spettro della gravissima carestia del luglio di sei anni fa, la peggiore degli ultimi 60 anni. «Non possiamo aspettare che si verifichi nuovamente un disastro simile», ha spiegato in una nota la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. «L’entità della situazione — prosegue il comunicato — richiede un’azione comune immediata e il coordinamento a livello nazionale e regionale». Nei giorni scorsi, il governo del Kenya ha dichiarato come la siccità (che attualmente colpisce vaste aree) sia ormai un disastro di proporzione nazionale. Dal paese è arrivata una richiesta di aiuto, rivolta ai diversi partner, per mitigare gli effetti del fenomeno. Attualmente, 2,7 milioni di persone in 23 distretti kenyani patiscono la fame e la sete. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Europarlamento contro Trump su ong e aborto STRASBURGO, 15. Con una raccomandazione non vincolante, il parlamento europeo ha chiesto al consiglio europeo di «condannare» la cosiddetta Global Gag Rule, la legge con cui il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha interrotto lo stanziamento di fondi alle organizzazioni non governative (ong) internazionali che praticano o informano sull’aborto. L’aula ha chiesto un fondo internazionale che compensi i tagli. L’emendamento sul fondo, presentato e sostenuto dai gruppi del- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va la sinistra e dei liberali (S&D) e (Gue) e dai Verdi, è stato respinto dalla maggior parte dei deputati del Partito popolare europeo (Ppe). Si vorrebbe «colmare il divario finanziario» che si crea per «tutte le organizzazioni di assistenza d’oltremare che offrono servizi concernenti la salute sessuale e riproduttiva». In generale, la risoluzione contiene le priorità del parlamento in vista della prossima sessione della commissione delle Nazioni Unite sullo status delle donne. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale fatto che ci sono tante tensioni, tante difficoltà», le quali però «possono diventare, come si dice, un kairos, un momento opportuno per reimpostare su basi nuove anche il rapporto sulla politica». Entrambe le parti hanno infatti concordato sul fatto che l’Unione debba ritrovare i valori fondanti per il suo rilancio. È stato inoltre discusso il tema dei cristiani perseguitati nel mondo. Un problema, è stato convenuto, che va risolto non in quanto questione religiosa, ma perché si tratta di cittadini portatori di diritti e di doveri. Infine nell’ambito della discussione sul disegno di legge sul fine vita, il porporato ha espresso “preoccupazione” per «la riduzione di tutta la problematica solo sull’autodeterminazione del paziente. C’è bisogno di uno spazio maggiore per il dialogo tra medico e paziente», ha concluso. Accolti dall’ambasciatore Daniele Mancini, per la Santa Sede erano presenti tra gli altri, oltre al cardinale Parolin, gli arcivescovi Angelo Becciu, sostituto, e Paul Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati; i monsignori Paolo Borgia, assessore, e Antoine Camilleri, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Erano presenti inoltre, insieme a numerosi prelati, i cardinali Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), e Attilio Nicora, l’arcivescovo Adriano Bernardini, nunzio apostolico in Italia, e il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei. La delegazione italiana era composta dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal presidente del Consiglio dei ministri, Paolo Gentiloni, dal presidente del Senato, Pietro Grasso, e da ministri e membri del Governo. Al termine dei colloqui ufficiali, presso l’attigua basilica di Sant’Eugenio, in luogo del tradizionale ricevimento, i membri delle delegazioni hanno assistito a un concerto della Cappella musicale pontificia Sistina e della JuniOrchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, alla presenza di cardinali, capi dicastero della Santa Sede, ministri, vice ministri e sottosegretari italiani, ambasciatori. Commissione per il dialogo e la riconciliazione kosovara PRISTINA, 15. Il presidente kosovaro, Hashim Thaçi, ha presieduto ieri a Pristina la prima riunione di una nuova commissione istituita al fine di favorire la riconciliazione e il dialogo fra le varie comunità residenti in Kosovo. Dell’organismo fanno parte rappresentanti delle istituzioni, ex presidenti, esponenti di varie associazioni e comunità, rappresentanti della società civile e di tutte le comunità religiose. L’iniziativa, ha detto Thaçi, ha il sostegno di tutta la dirigenza kosovara e dei rappresentanti internazio- Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 nali. Si tratta, ha precisato, di una commissione indipendente, non statale. «Il dolore causato dalla guerra è un peso per tutti», ha detto il capo dello stato. «È triste — ha aggiunto — vedere le generazioni nate dopo la guerra guardare con odio ai loro coetanei appartenenti ad altre comunità. Una società non può costruire un futuro migliore se vive prigioniera del passato». Appoggio a Thaçi è venuto dal primo ministro, Isa Mustafa, e dal presidente del parlamento, Kadri Veseli. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 16 febbraio 2017 pagina 3 Siriani ad Aleppo in fuga dai bombardamenti (Afp) Bruxelles annuncia l’intenzione di rivedere le relazioni con Washington Proteste per il muro al confine col Messico Per rafforzare la tregua in Siria e rilanciare i negoziati L’Onu punta sul dialogo con Mosca DAMASCO, 15. Pressing diplomatico dell’Onu per la tregua in Siria. L’inviato speciale delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura, sarà in visita ufficiale domani a Mosca per incontrare il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov. A dare l’annuncio è il vice ministro degli esteri russo, Ghennadi Gatilov, precisando che durante la visita a Mosca di de Mistura sarà anche discussa la possibile creazione di una delegazione unica dell’opposizione siriana per i negoziati in programma a Ginevra a fine mese. Domani e dopodomani si svolgeranno invece ad Astana delle trattative a cui dovrebbero partecipare le due delegazioni dell’opposizione siriana e del governo di Damasco, i rappresentanti dei paesi garanti dei colloqui, cioè Russia, Iran e Turchia, e de Mistura. Saranno presenti anche i delegati della Giordania e, come osservatori, quelli degli Stati Uniti. Intanto, a livello militare, non si fermano le violenze. Al conflitto tra governativi e ribelli si mescolano non solo la lotta internazionale contro il cosiddetto stato islamico (Is), ma anche gli scontri tra i diversi gruppi estremisti, legati o ai ribelli o alle formazioni jihadiste. Decine di miliziani sono stati uccisi negli ultimi due giorni nel nordovest della Siria in combattimenti tra due raggruppamenti degli stessi insorti, secondo fonti di stampa locali. I combattimenti sono in corso a cavallo tra le province di Hama e di Idlib, in un territorio controllato da formazioni ribelli e da qaedisti del Fronte Fatah Al Sham (ex Fronte al Nusra). Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, almeno 69 miliziani sono rimasti uccisi da ieri in bombardamenti, esplosioni, esecuzioni sommarie e scontri che hanno visto opporsi il raggruppamento Hayyaat Tahrir Al Sham, di cui fa parte Fatah Al Sham, e quello del Jund Al Aqsa. Esponenti di ciascuna delle due parti, parlando con l’agenzia Ap, hanno accusato i rivali di avere provocato i combattimenti. Secondo l’Osservatorio, almeno quattro miliziani di Jund Al Aqsa sono morti facendosi esplodere con autobomba o con cinture esplosive durante attacchi suicidi alle postazioni della parte avversa. Il bilancio potrebbe aggravarsi ulteriormente perché si ignora ancora la sorte di altre decine di miliziani. Intanto, ieri l’organizzazione per la difesa dei diritti umani Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto nel quale accusa le parti sul terreno di aver compiuto attacchi con armi chimiche, e in particolare il cloro, ad Aleppo. rapporti tra Europa e Stati Uniti si apre una fase nuova, più pragmatica. È fuori di dubbio che l’amicizia tra i nostri popoli vada al di là dei cambiamenti di amministrazione. E non credo che gli Stati Uniti siano, o possano mai diventare, una minaccia per noi. Ma d’ora in poi il nostro rapporto sarà meno automatico. Dovremo verificare caso per caso quali siano i nostri interessi e se coincidano con quelli americani. E ci potranno essere casi in cui Europa e Stati Uniti non avranno le stesse posizioni» ha detto l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini. Da pare sua la presidente della Federal reserve Janet Yellen ha sot- tolineato che alcune delle politiche allo studio della Casa Bianca potrebbero avere un effetto sul deficit e sul debito. I conti pubblici americani sono già su una traiettoria «insostenibile» e nel delineare le politiche di bilancio vanno tenuti sotto controllo, ha aggiunto, rilevando che il rischio è quello di un’implosione con ricadute sulla crescita. Una parte della barriera al confine tra Messico e Stati Uniti (Afp) Oltre 750.000 civili allo sbando Militarizzata Rio de Janeiro in occasione del carnevale Allarme internazionale per Mosul Espulsi i poliziotti che hanno scioperato nello stato di Espírito Santo BAGHDAD, 15. Oltre 750 mila civili potrebbero restare intrappolati nella parte occidentale di Mosul senza nessuna via di fuga sicura dai combattimenti. È l’allarme lanciato ieri dalla organizzazione internazionale Oxfam, alla vigilia dell’imminente offensiva per sottrarre al controllo del cosiddetto stato islamico (Is) la parte ovest della città, che potrebbe scattare in qualsiasi momento nei prossimi giorni. In particolare, sottolinea l’organizzazione in un comunicato, a destare maggiore preoccupazione è la situazione che si potrebbe creare durante gli scontri nella parte vecchia della città, dove i quartieri densamente popolati potrebbero diventare «una trappola mortale per migliaia di uomini, donne e bambini». Per questo motivo Oxfam lancia un appello urgente alla coalizione internazionale e all’Iraq, affinché venga rispettato l’impegno del primo ministro iracheno, Al Abadi, nel dare priorità alla protezione dei civili nel corso delle operazioni militari. A temere gli effetti dell’offensiva su Mosul è soprattutto l’Europa. In molti hanno sottolineato in questi giorni che l’effetto più prevedibile dell’offensiva sarà un massiccio trasferimento dei profughi verso l’Europa. Una prospetti- Rohani riallaccia i rapporti con i paesi del Golfo TEHERAN, 15. Il presidente iraniano Hassan Rohani cerca di riallacciare i rapporti con i paesi del Golfo. Da oggi Rohani è in Oman e Kuwait e avrà due incontri separati e a porte chiuse, rispettivamente con il sultano dell’Oman, Qaboos bin Said Al Said, e l’emiro del Kuwait, Sheikh Sabah Al Ahmad Al Jaber Al Sabah. La notizia è uno sviluppo importante per la regione, dato che da almeno due anni a questa parte, soprattutto per via dei problemi con l’Arabia Saudita e il Bahrain, le relazioni tra Teheran e i paesi arabi del Golfo persico erano entrate in una fase di gelo. Nella visita lampo di una sola giornata, a Muscat e Kuwait City, Rohani è accompagnato da un’alta delegazione diplomatica e discuterà «lo sviluppo delle relazioni bilaterali e gli ultimi sviluppi regionali» come ha spiegato il responsabile per la stampa dello staff di Rohani, Parviz Esmaeili. WASHINGTON, 15. Tra gli oppositori al muro che l’amministrazione degli Stati Uniti intende rafforzare lungo la frontiera Messico ci sono le diverse popolazioni native che vivono nella fascia a ridosso del confine. La tribù dell’Arizona Tohono O’odham, che controlla di fatto circa un milione di ettari in parte confinanti con il Messico, ha già manifestato la sua ferma opposizione alla barriera voluta dalla Casa Bianca. Questo gruppo conta circa 28.000 persone, sottolineano i media locali. Ad aderire al movimento anti-muro ci sono anche gli Yaquies. «Siamo arrivati prima che i paesi e le frontiere ci dividessero», sottolineano alcuni dei leader delle tribù, al termine di una visita della zona dei Tohono lungo la frontiera. Bill Means, appartenente ai Lakota e tra i fondatori del Consiglio internazionale dei trattati indios, ha inoltre denunciato presunti abusi avvenuti sul fronte dei diritti umani, sottolineando di essere stato in questi giorni testimone di arresti, molti di donne e bambini, da parte di pattuglie di frontiera. L’amministrazione deve inoltre confrontarsi con posizioni molto ferme anche su altri fronti. «Nei A sbloccare la situazione pare sia stata la visita a Teheran di gennaio del ministro degli esteri kuwaitiano, Sabah Al Khalid Al Hamad Al Sabah, che aveva consegnato al presidente iraniano un messaggio del suo emiro. I paesi arabi della regione sono riuniti in una organizzazione, il Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), che ha tante questioni irrisolte con l’Iran. A partire dalla guerra in Yemen: dal 26 marzo 2015 l’Arabia Saudita ha iniziato a bombardare la nazione araba a seguito dell’avanzata dei ribelli huthi di confessione sciita; oltre 10.000 i morti, spiega l’Onu, con una nazione sull’orlo della catastrofe umanitaria. L’Iran vuole la fine dei combattimenti e il dialogo inter-yemenita, Riad chiede invece la resa degli huthi e la riconsegna del paese nelle mani del presidente legittimo Hadi. va resa ancor più credibile dall’instabilità interna all’Iraq. I jihadisti di Al Baghdadi hanno più volte risposto alle sconfitte sul terreno con attacchi suicidi e autobomba, anche nella capitale Baghdad, facendo strage di civili e militari. A ciò si aggiungono le tensioni create dalle proteste dei seguaci del leader sciita Moqtada Al Sadr. BRASILIA, 15. La segreteria di pubblica sicurezza dello stato brasiliano di Espírito Santo ha informato che saranno espulsi 161 agenti della polizia militare coinvolti nello sciopero occorso per nove giorni. Parallelamente verranno pubblicate anche le prime incriminazioni a carico di un totale di 703 uomini, accusati di insubordinazione. Nel frattempo, 875 agenti sono rientrati ufficialmente in servizio. Il provvedimento è stato assunto dopo che parenti dei poliziotti si sono accampati di fronte alle caserme dove lavoravano i propri congiunti impedendo di fatto la loro uscita dall’edificio e l’entrata in servizio. In questo modo i militari hanno tentato di aggirare il divieto di scio- La fossa delle Marianne cinquanta volte più inquinata dei fiumi cinesi Discarica negli abissi LONDRA, 15. Gli abissi marini, una volta considerati al sicuro dalle sostanze inquinanti, per la loro natura fisica di fosse profonde anche undici chilometri, si sono rivelati in realtà immensi depositi di sostanze tossiche messe al bando. È quanto emerge da una ricerca apparsa sulla rivista specializzata «Nature Ecology and Evolution». Alcuni ricercatori si sono in particolare concentrati sull’analisi di minuscoli crostacei, gli anfipodi lunghi non più di venti millimetri, spazzini dei fondi degli oceani e a loro volta cibo di predatori più grandi e quindi parte della catena alimentare. Gli esperti — secondo quanto riferiscono i media — hanno trovato nei corpi di queste specie sostanze nocive con valori di oltre cinquanta volte superiori a quelli riscontrati nei granchi che vivono nei fiumi più inquinati della Cina, finora usati come pietra di para- gone per indicare l’esempio peggiore di ecosistema. «Fino a oggi si pensava che quei luoghi così distanti e irraggiungibili fossero protetti dalle attività umane», commenta Alan Jamieson, autore dello studio. «Tuttavia, dobbiamo ricrederci». In particolare i dati forniti dai ricercatori mostrano che sia nella fossa delle Marianne, che si trova a 11.033 metri sotto il livello del mare, sia che in quella meno nota di Kermadec, profonda 10.047 metri, sono stati trovati anfibodi con grosse quantità di policlorobifenili e bifenili polibromurati, usati fino agli anni Settanta del secolo scorso e poi messi al bando. Queste sostanze sono state utilizzate come isolanti di cavi elettrici e per rallentare o spegnere incendi. Si parla nel complesso di oltre un milione di tonnellate di materiale inquinante. pero della loro categoria. L’ordine pubblico non è stato garantito per diversi giorni. Poi sono arrivati i provvedimenti nei confronti dei poliziotti. Sempre sul fronte della sicurezza Rio de Janeiro sarà militarizzata in occasione del carnevale, che comincia ufficialmente la prossima settimana. Lo ha annunciato il presidente Michel Temer, autorizzando l’invio delle forze armate. I primi uomini, che si affiancheranno alla polizia locale, sono già arrivati in città. Secondo il governatore di Rio, Luiz Fernando Pezão, i rinforzi resteranno fino al 5 marzo, a carnevale concluso. Ma la presidenza, secondo i media, sarebbe intenzionata a far terminare la collaborazione il 24 febbraio. Intanto il giudice della corte suprema brasiliana, José Celso de Mello Filho, ha deciso di mantenere nelle proprie funzioni il ministro Moreira Franco, dopo che alcuni partiti di opposizione al governo di Temer avevano inoltrato una richiesta ufficiale di sospensione della sua nomina a seguito di un’accusa di corruzione. Nel suo provvedimento, de Mello sottolinea che la nomina a ministro di Moreira Franco non comporta la sospensione di eventuali indagini a suo carico. Gli abitanti dell’area possono tornare alle loro case ma resta alta l’attenzione Rientra l’emergenza per la diga di Oroville La diga di Oroville, la più alta degli Stati Uniti (Afp) WASHINGTON, 15. Le autorità della California hanno revocato l’ordine di sgombero per i circa 180.000 residenti della zona adiacente alla diga di Oroville, la più alta degli Stati Uniti. La decisione fa seguito a un abbassamento del livello delle acque del lago Oroville e a una conseguente riduzione del rischio inondazioni. Secondo lo sceriffo della contea di Butte, Kori Honea, «la minaccia immediata è terminata», quindi il pericolo di un collasso del canale di scarico di emergenza, all’origine dell’allarme, è stato evitato. I residenti e la persone che lavorano nella zona possono quindi rientrare, ha aggiunto Honea, ma devono tenersi costantemente pronti a una nuova evacuazione che verrà immediatamente messa in essere qualora ve ne fosse la necessità. Nei giorni scorsi oltre 200.000 abitanti delle zone circostanti la diga erano stati fatti sgomberare per il pericolo di collasso della struttura. Quello di Oroville è uno dei principali bacini della California; è stato creato mediante una diga alta 238 metri. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 giovedì 16 febbraio 2017 Uomini alla ricerca delle larve di zanzara nel fiume Cixerri a Siliqua, Wolfgang Suschitzky (1948) di GIUSEPPE BUFFON Cagliari, il 14 maggio 1946, durante la prima riunione dell’Ente regionale per la lotta antianofelica (Erlaas), l’alto commissario per la Sardegna, generale Pietro Pinna, con afflato religioso, definisce l’impresa antimalarica finanziata dalla fondazione Rockefeller, «la più santa delle guerre, molto più santa di quelle che si sono finora combattute». Una Sardegna immobile, paralizzata e quasi moribonda, in netto contrasto con il poderoso apparato tecnologico del Sardinian Project, viene immortalata dalla macchina fotografica di Wolfgang Suschitzky, come a produrre l’immagine di un miracoloso intervento di guarigione: il moderno taumaturgo che, predisposti i suoi complessi laboratori di analisi e i suoi raffinati studi topografici, riforniti i suoi arerei con l’antidoto contro la malefica pestilenza, dal cielo si china sull’isola cadaverica per richiamarla a nuova vita. Rinascita è infatti il termine più frequentemente impiegato per esprimere la pretesa di una radicale modernizzazione, che dal settore sanitario si estende a quello economico, industriale, agrario e viario. L’abbattimento del tasso di disoccupazione regionale tanto da raggiungere in soli quattro anni uno standard lavorativo nettamente superiore a quello delle altre regioni meridionali offre un esempio tangibile e immediato della rinascita avviata dal Sardinian Project già con l’ingente impiego di personale nella pulizia di canali, il taglio della vegetazione e la pulitura degli specchi d’acqua. Nel 1950, registrando per la prima volta l’assenza totale di casi di malaria, non si teme di annunciare con l’estinzione del morbo pestilenziale la soluzione della stessa questione sarda. Lasciato ormai alle spalle l’antico tempo immobile, per la prima volta si guarda al futuro con il desiderio di esprimere una coscienza comune, di lottare per una causa comune, di riconoscere una identità unitaria moderna. Si avvia così l’esperienza autonomistica sarda e la parziale riforma agraria voluta da Anto- A La canonizzazione nel 1938 del religioso cinquecentesco ispirò e favorì nel secondo dopoguerra un movimento che ha contributo alla modernizzazione della Sardegna nio Segni. L’invenzione della costa Smeralda, laddove prima si praticava una pastorizia primitiva, un’agricoltura misera, laddove non esistevano scuole né presidi sanitari, tanto da far sorgere toponimi come Infarru e Mortorio, esprime in modo emblematico l’ansia di riscatto e di rinascita suscitato dalla sconfitta della malaria ottenuta dal Sardinian Project. Purtroppo, il messianismo tecnico industriale, commerciale e turistico dell’impresa Rockefeller, emblematica tanto da assumere connotati addirittura religiosi, privilegia unicamente una ristretta fascia di popolazione residente nei centri urbani e impiegata nei settori commerciale e turistico, la quale, inoltre, risulta in maggioranza di origini continentali. Come infatti constata la stessa commissione nazionale Unisco, durante il convegno cagliaritano sugli esiti dello sviluppo economico sardo nel decennio immediatamente successivo all’impresa Rockefeller (1949-1958), il sessanta per Salvatore da Horta e l’identità sarda Il taumaturgo degli ultimi cento della popolazione isolana, costituita in maggioranza da contadini e pastori, risulta escluso sia dalla trasformazione dei costumi, favorita dall’istruzione, sia dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, sia dalla tecnologia applicata per la realizzazione di opere pubbliche e per la riforma agraria, sia, infine, dallo sviluppo commerciale e turistico. Proprio in considerazione della frattura sociale, culturale e identitaria provocata dal progresso sanitario, economico, sociale e culturale successivo alla campagna antimalarica Rockefeller, la medesima commissione Unisco, si pone un interrogativo cruciale: per ottenere l’ammodernamento di culture non progredite è lecito imporre sistemi di paesi progrediti, o non è necessario, invece, costruire modelli culturali ex novo? Un modello di progresso affatto inserito nel tessuto popolare sardo ci viene prospettato invece con Salvatore da Horta [1520-1567], già figura di riferimento per Arcangelo Mazzotti, arcivescovo di Sassari e guida spirituale di quel movimento politico, detto dei “giovani turchi”, che indica il vero protagonista della modernizzazione sarda proprio nel ceto popolare, reso corresponsabile delle problematiche politiche e sociali isolane e quindi protagonista della crescita culturale, civile e economica regionale. Il taumaturgo sardo, infatti, benché forestiero, trova piena sintonia con le genti sarde, rappresentate da quei pastori e contadini, cittadini di una Sardegna profonda, che invece non ottengono collocazione adeguata nel piano regionale di modernizzazione prospettato dal Sardinian Project. Salvatore da Horta viene rappresentato non come un guaritore di febbri generiche, bensì come il medico delle febbri malariche isolane anche negli stessi gozos, espressione più genuina della tradizione popolare sarda. Il goigs en alabança del beato Salvador de Orta, composto già nel 1627, tra le categorie dei malati cui il beato rivolge le proprie cure, inserisce, oltre a quella dei febrosos, quelle dei baldatz e dei quaternaris. La sintomatologia malarica proposta da questa agiografia rispecchia dunque in pieno il deficit sanitario a lungo deplorato dalla popolazione sarda, lo stesso che Grazia Deledda rappresenta nel profilo caratteriale e psicologico dei suoi personaggi, lo stesso che viene denunciato impietosamente da viaggiatori straneri o censito dall’inchiesta Jacini, stato malarico che plasma perfino l’antropologia sarda e la stessa identità isolana. Non la febbre dei letterati, dei romanzieri, bensì la febbre dei proverbi popolari: Sa febbre terzana non est tuccu de campana, riceve accoglienza nella didascalia: Potentia Dei patris, sapientia Dei fili, virtus Spiritus sancti liberet te a febbre tertiana, quartana et ab omni malo, beato Salvatore orante pro te emulo suo, che Sequi inserisce nel frontespizio della biografia di Salvatore da Horta, pubblicata nel 1882, a commento dell’immagine del beato munito di aspersorio. La febbre costituisce il sintomo più ricorrente anche nella speciale occasione in cui il bollettino «B. Salvatore», fondato dal vice postulatore dalla causa di canonizzazione, Alfonso Casu, pubblica le prime foto di miracolate, Rosina Martucci Biggio e Gesuina Solaro, ponendole a corredo dei loro racconti di guarigione. La febbre che si prospetta alla considerazione del nuovo agiografo, Alfonso Casu, contrario tanto a una identità isolana impermeabile al progresso moderno quanto a una modernità invadente e irrispettosa della tradizione isolana, tuttavia, non deve più ritenersi la medesima dei gozos: pur conservando la connotazione malarica essa non risponde più infatti alla diagnosi di febbre malarica. Al modello del taumaturgo delineato dall’agiografa tradizionale urge ora l’adeguamento alle trasformazioni che l’imminente sviluppo del moderno sistema sanitario nazionale impone ormai, benché con ritardo, alla stessa regione sarda. Se dunque le antiche ansie legate alla malaria cedono il posto a nuovi timori, allora anche il taumaturgo di un’agiografia aggiornata deve offrire risposte adeguate, se intende farsi promotore sì di un progresso endogeno, ma non autoreferenziale e refrattario a ogni sollecitazione proveniente dall’esterno. Alla denominazione dell’antico morbo, perciò, Casu sostituisce volentieri quella di patologie elaborate dalla moderna diagnostica: enteriti, polmoniti, tumori, otiti, meningiti e oftalmie. Invece della sintomatologia corrispondente alla tradizionale terzana e quartana, tipica degli adulti, ormai immunizzati dalla malaria, il medesimo preferisce quella attinente alla terzana maligna o perniciosa, riconoscibile solo nei bambini, i cui effetti possono rivelarsi ancora fatali. Se la malaria non figura più tra le patologie del vocabolario medico, essa tuttavia costituisce la forma patologica fondamentale, l’humus patogeno nel quale si radicano quasi tutte le malattie cui va soggetta la popolazione sarda. Il «Beato Salvatore è invocato da tutti nelle malattie e febbri più disparate». Casu non rinuncia quindi a mantenere vivo il ricordo dell’agiografia tradizionale e pubblicando il suo vademecum sulla devozione all’ortense, nel 1929, decide di pagare il giusto tributo al tradizionale topos malarico: inserisce, tra i miracoli operati in vita dal taumaturgo, l’episodio della guarigione di un medico affetto da febbre e, inoltre, incapace perfino di risalire alla eziologia del male che già lo porta alle soglie della morte. Alfonso Casu prospetta un vero modello di integrazione tra progresso e tradizione affiancando il L’Orbetto, «San Salvatore da Horta che guarisce un cieco» (1600-40) profilo del medico delle febbri con quello del soccorritore delle partorienti. Senza rinnegare l’antichità, il valore e l’efficacia simbolica della bini affetti da malattie tipiche dell’età intradizione sul medico delle febbri malari- fantile, come meningite tubercolare e scarche, egli si ritiene tuttavia obbligato a op- lattina, e non invece a miracoli su partotare per un investimento catechetico a fa- rienti o su adulti affetti da febbre malarivore di un nuovo profilo del beato. È in- ca, si deve la prova definitiva della santità fatti il deficit riproduttivo e non più la ge- di Salvatore da Horta, a coronamento delnerica mortalità da malaria a segnare lo sforzo compiuto dal solerte vicepostulal’identità antropologica e culturale della tore, il medesimo Alfonso Casu. Dal 1930 e fino al 1960 la mortalità infantile sarda si dimostra infatti nettamente superiore alla media nazionale, assurgendo per gli storici della medicina a vero caso di studio. Salvatore da Horta si dimostra dunque il taumaturgo della Sardegna non solo perché medico delle febbri e taumaturgo delle partorienti, ma soprattutto perché protettore dei piccoli. L’individuazione della sardità di SalvaLurçat. Lo stesso Lurçat fu all’origine tore da Horta nella sua ansia protettiva della tarda iniziazione di Robert all’arte verso i piccoli non può che ascriversi al dell’arazzo detta d’Aubusson, dopo il merito di un’assidua collaboratrice del loro incontro nel 1941 nel monastero di bollettino, Clelia Angius, che firma i suoi Carcassonne. Robert, che si definiva numerosi articoli con il significativo pseudisegnatore fin dalla nascita, aveva donimo di Vera di Sardegna. ricevuto la chiamata alla vita monastica La fragilità fisica dei sardi scartati dal nel 1930, grazie a un altro incontro servizio militare in percentuali assai elevaprovvidenziale: quello col filosofo Jacques Maritain, che gli fu presentato te, specie nell’iglesiente e nel cagliaritano, da Jean Cocteau e dal compositore dove è maggiormente diffusa la devozione Maxime Jacob, con il quale entrerà a Salvatore da Horta, la loro antropomeall’abbazia d’En-Calcat. Riprese a tria negativa simbolizzata, o meglio, spiridipingere dopo l’ordinazione nel 1937 e tualizzata da Vera di Sardegna, trattegil trasferimento a Carcassonne, con una giando l’immagine del “piccolo santo”, ispirazione rinnovata dall’atmosfera non è che l’esito, per dirlo con le parole spirituale e dalla ricca vegetazione che dell’igienista sassarese Giovanni Loriga, circondava il monastero. L’acquerello fu delle «stimmate della malaria». allora il mezzo da lui prediletto per Il piccolo è dunque il vero malato, coesprimere la convinzione che «l’unica me si sforza di affermare con la sua prosa cosa che non inganna è la natura». simboleggiate Vera di Sardegna. Il piccolo Venne notato da Lurçat, all’epoca alla è anche la misura della santità sarda di ricerca di nuovi talenti in grado di Salvatore da Horta, perché solidale con misurarsi con la tappezzeria francese. (solène tadié) gli scartati prima di essere loro patrono. Gli arazzi del monaco amico di Cocteau e Maritain «La dolce vita» (1953) «Che peccato non aver abbastanza tempo né abbastanza occasioni di passeggiare senza meta in questo mondo di colori che lei ci offre per ascoltare il canto dei fiori, dei pavoni e dei pesci». Questa lode poetica, rivolta al monaco benedettino e maestro dell’arazzo moderno Dom Robert (Guy de Chaunac-Lauzac, 1907-1997), offre una suggestiva sintesi del suo universo artistico. Scritte negli anni settanta da monsignor Coffy, allora arcivescovo della città di Albi, queste parole rendono omaggio all’opera del «beato pigro» riuscito a inserire già «un po’ dell’altro mondo nel nostro presente». Universo, questo, che si può di nuovo scoprire al museo Dom Robert dell’abbazia di Sorèze, in Occitania, che ha appena riaperto le porte dopo la pausa invernale. Esteso su una superficie di 350 metri quadri, la serie di arazzi comprende sessanta opere del monaco e oltre trenta opere di altri importanti artisti, quali Mario Prassinos o Jean Sardegna contemporanea, come dimostra anche la statistica sulla aspettativa di vita a zero anni, che colloca la regione all’ultimo posto della graduatoria nazionale. Se la malaria curata dal medico delle febbri rimane sullo sfondo della crisi sanitaria isolana, a pagare il prezzo più elevato dell’infiacchimento e della depressione indotti dalla patologia è in Sardegna soprattutto la puerpera, cui si dedica ora il protettore delle partorienti specializzato sopra i parti felici. Il taumaturgo sopra i parti felici, adattamento del medico delle febbri, ideato da Casu in risposta all’istanza sanitaria coeva, si richiama anche al tradizionale modello dell’empirica, figura cara alla sardità femminile, cui sola è demandato il compito di introdurre la partoriente nello status di meri de domu, vigilando in particolare sulla felicità del suo umore. Dopo la trasformazione del medico delle febbri in taumaturgo sopra i parti felici, con l’avvento degli anni trenta, l’agiografia salvatoriana si dispone a un’altra importate metamorfosi, coniando il profilo del protettore dell’infanzia. La stessa scelta delle foto dei miracolati operata da Casu, con centodieci immagini di bambini contro le trentasei di adulti, depone a favore della preferenza dell’agiografo per il mondo infantile. Opzione perspicace e fortunata la sua, come dimostra il fatto che proprio a miracoli su bam- L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 16 febbraio 2017 pagina 5 Testimonianza da una parrocchia romana sull’invito del Papa Ero forestiero e mi avete ospitato di MARCO VALENTI on grande disponibilità e interesse la parrocchia di San Saturnino di Roma ha fatto suo l’invito di Papa Francesco a mettere in atto un progetto di accoglienza, in collaborazione con la Caritas diocesana, nei confronti di tre giovani richiedenti asilo: nei locali parrocchiali della casa della carità intitolata a Carlo Iavazzo, che erano stati prima sistemati e adibiti ad abitazione con la premura generosa di tanti volontari, sono stati infatti ospitati per diversi mesi tre giovani africani, Babakar e Mountaga del Senegal e Salif del Mali. Come noto, il progetto chiamato «Ero forestiero e mi avete ospitato», coordinato dalla Caritas diocesana, ha avuto inizio nel novembre 2015 e ha visto la partecipazione, oltre alla nostra, di altre 40 parrocchie e diversi istituti religiosi di Roma: in totale fino a ora sono state ospitate 123 persone tra richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. I beneficiari sono famiglie o singoli già in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, persone quindi che vivono in Italia da diverso tempo e hanno già iniziato il loro percorso di integrazione. Sono così nella condizione in cui devono ormai lasciare il circuito di assistenza, senza però aver, di fatto, raggiunto una piena autonomia, avendo dunque ancora difficoltà a inserirsi. All’inizio sembrava che alla nostra comunità parrocchiale mancassero i mezzi, le persone, le conoscenze, sembrava che le difficoltà fossero troppe. Invece di fronte a un’esperienza così coinvolgente, al di là della volontà dei singoli, si è fatta strada una forza inimmaginabile prima, che lentamente ha sbriciolato ogni forma di ritrosia, dispiegando un nuovo volto della solidarietà. Una solidarietà fatta di tenerezza, fiducia, speranza e amicizia. Era il mese di novembre del 2015 quando sono giunti i tre giovani africani, affidati, in particolare, alle cure del gruppo Masci Roma 22: il senso e il taglio della collaborazione con la Caritas si sono andati precisando e chiarendo nel tempo, ma l’intuizione di quello che sarebbe stato il compito dei volontari della nostra parrocchia è apparsa evidente fin dai primi giorni, di fronte a quei ragazzi spaventati e, insieme, preoccupati di nascondere le loro apprensioni e diffidenze, nate dai drammi vissuti. Eppure erano in Italia già da un anno, inseriti in corsi di istruzione. È risultato subito chiaro, dunque, che il ruolo dei parrocchiani dovesse consistere in questo: cercare di essere, in qualche mo- C do, la loro famiglia di questa na di Torre Angela insieme a terra straniera. È sembrato per- Salif e a due pakistani: il conciò naturale offrire — accanto a tratto con il proprietario sarà firquanto si andava programman- mato a giorni. do in modo più sistematico — Salif, dal canto suo, ha da poquell’aiuto semplice e quotidia- co terminato i tre mesi di tirocino che sanno dare i genitori nio pagati dalla Caritas presso quando si prendono cura di te, una pizzeria-ristorante, ma il daquando si accorgono se stai ma- tore del lavoro gliene ha offerti le o se stai bene, se ti porti die- altri tre e ha parlato di regolare tro da settimane un ascesso che assunzione in aprile. È impeti impedisce di mangiare o se gnato di pomeriggio talvolta ficammini zoppicando per qual- no a molto tardi, ma per fortuna cosa che non vuoi raccontare la nuova casa è piuttosto vicina (problemi di salute che sono sta- al ristorante. Contemporaneati curati realmente in due dei ra- mente ha continuato a lavorare gazzi accolti). Su questa linea si presso un B&B nelle mattine di è svolta la parte più significativa venerdì e domenica; anche qui è dell’accoglienza. molto apprezzato tanto che il Da qui l’idea di consolidare e datore di lavoro gli ha promesso approfondire i legami attraverso la regolare assunzione. È stato le uscite serali alla scoperta della lui a trovare la casa dove allogcittà, o lungo le strade del quar- gia con Mountaga e dove si è tiere, o l’iniziativa delle cene già organizzato. preparate dai parrocchiani (più Babakar è dunque rimasto sodi un centinaio di persone si so- lo nella nostra casa, ma è semno alternate ogni sera per alcuni pre fuori perché impegnatissimesi con cibi preparati da con- mo: il sabato tiene un corso di dividere). E ancora in questo cucito presso il laboratorio scaspirito ha preso vita, una volta labriniano di via Casilina, meninstallata la cucina elettrica, la tre negli altri giorni lavora nel “scuola per cuochi”, luogo di scambi di ricette e di abitudini, ma anche momento di amicizia, soprattutto con i giovani scout del reparto Roma 70. L’urgenza parallela di iniziare i nostri ospiti a fare la spesa si è tradotta nell’impatto con i prezzi da valutare, le etichette da interpretare, le quantità da gestire, e ha richiesto ancora l’assistenza premurosa dei volontari. I discorsi, gli scambi di esperienze e di opinioni non sono rimasti senza risultato: i ragazzi infatti hanno mostrato puntualità e correttezza nel mantenere un impegno e nel rispettare un appuntamento. L’aiuto diAbdoulaye Konaté, «Composition» (2016, particolare) retto e personale, con cui alcuni volontari li hanno affiancati nei corsi di alfabetizza- nuovo laboratorio scalabriniano zione della Caritas, li ha portati recentemente aperto in via della a leggere e scrivere con soddi- Lungaretta 22. sfazione le prime parole. Ora che il primo nostro proQualche giorno fa, dunque, getto parrocchiale di accoglienza terminato il percorso, Mountaga si avvia alla conclusione ci seme Salif hanno riconsegnato le bra di poter dire che mentre noi chiavi della casa. Mountaga la- ci ritroviamo arricchiti come covora come tirocinante (Progetto munità, i tre ragazzi sono oggi garanzia giovani della Regione più forti, più sereni, più prepaLazio) presso un bar a Lun- rati, più inseriti, capaci anche di ghezza. È pagato in parte dal partecipare, fornendo il loro aiudatore di lavoro, in parte dalla to concreto, a diverse iniziative regione. Spera di essere assunto organizzate negli ultimi tempi regolarmente da luglio. Lavora nei locali della parrocchia: l’imdalle ore 16 alle 22. Si è definitivamente trasferito presso la casa pegno caparbio e l’affetto di che ha preso in affitto nella zo- tante persone che li hanno sostenuti hanno quindi dato i loro frutti. Lentamente col trascorrere dei mesi abbiamo imparato a conoscerci meglio e lentamente ci siamo resi conto che anche le nostre fedi, perfino il nostro modo di pregare, hanno tanto in comune. Ci è venuto spontaneo, allora, condividere la nostra comune fiducia nella bontà di Dio attraverso qualche semplice preghiera. Ne ricordiamo specialmente una: «O Dio nostro, Tu vedi come tutti noi tanto spesso siamo costretti a vivere nell’incertezza, nel non sapere cosa succederà, dove andremo, cosa faremo e, per i più anziani, quanto ci resti da vivere. Questo ci rende inquieti e ci toglie la gioia e la serenità. Rafforza in noi la certezza che Tu non ci abbandoni mai, neanche quando noi lo pensiamo». Casa Rut e le vittime della tratta La nuova vita di Blessing vevo visto un film sulla prostituzione delle ragazze nigeriane in Italia. Ero scioccata, ma era pur sempre un film. Non era una cosa che mi riguardasse direttamente. Mai avrei pensato di venire in Italia. E neppure in un altro Paese europeo. E invece sono finita nelle mani dei trafficanti. Quando sono arrivata a Caserta, a Casa Rut, e ho visto che era una casa di suore, ho detto che non volevo entrare: «No, con le donne cristiane non voglio più avere niente a che fare!», ripetevo. Volevo che mi portasse via subito. Il poliziotto mi ha detto che erano delle brave persone e che sarei dovuta rimanere solo una notte. Ma io le suore non le volevo neppure vedere. Suor Assunta ha aperto la porta con un sorriso. In casa c’erano anche suor Rita, suor Anna e suor Maria. Ero diffidente, ma il modo in cui sono stata accolta mi ha subito colpito positivamente. Suor Rita mi ha accompagnata in sala da pranzo. Ha parlato con il poliziotto e con me. C’era una ragazza del Kenya che aiutava a tradurre. Poi, quando il poliziotto se n’è andato, ha voluto parlarmi con più calma. Mi ha chiesto cos’era successo e perché mi trovavo lì. Mi ha spiegato che in casa c’erano altre ragazze vittime di tratta. Molte avevano una storia simile alla mia. Qualcuna aveva appena partorito e stava lì con il suo bebè. Io ero molto guardinga e sospettosa. Non osavo rilassarmi e abbassare la guardia. Dicevo solo che volevo tornare in Nigeria. E quello che avevo detto anche alla polizia. Abbiamo parlato, ma io non ho spiegato niente. Suor Rita era molto pacata, mi A C’era una ragazza del Kenya che aiutava a tradurre Mi ha spiegato che in casa c’erano altre donne con la mia stessa esperienza parlava con gentilezza e mi ha calmata molto. Diceva che non dovevo avere paura. Che lì sarei stata al sicuro. In quel momento, a me non interessava niente. Ma la sua parola era piena di forza, entrava dentro di me e mi faceva sentire meglio. Non mi fidavo di nessuno; continuavo a pensare che sarei rimasta lì una notte, ma sentivo comunque qualcosa che mi penetrava. Come le frecce di un arco, quelle parole entravano nel mio cuore e mi liberavano dalla paura. Dentro di me ho provato un grande senso di liberazione. Quando si perde la fiducia è difficile ritrovarla. Suor Rita è Quando la sera sono tornata riuscita a liberarmi da quella a Caserta, dopo aver passato la sensazione di diffidenza e di giornata alla stazione di polizia chiusura. Ma non subito... di Castel Volturno, continuavo a Dopo aver parlato ancora un pensare che volevo rientrare in po’, mi ha accompagnata in una Nigeria il più presto possibile. A cameretta, mi ha dato un pigia- Casa Rut c’erano altre due rama e mi ha detto che potevo fa- gazze nigeriane, con cui ho parre una doccia. Avevo lasciato lato. Mi dicevano di come si tutto quello che avevo dalla ma- erano sentite disperate e perse, dam. Sono arrivata a Casa Rut ma anche di come stavano cocon i vestiti che portavo addos- minciando a riscoprire i valori so, dei pantaloni strappati e una della vita e a ritrovare un po’ di maglietta attillata. Avevo i ca- serenità e speranza per il futuro. pelli biondi lucidi: la madam mi Mi ci è voluto un po’ di temaveva fatto fare tre giri di exten- po per abituarmi a quella nuova sion. Era una specie di marchio distintivo. Sono arrivata così. Non avevo nient’altro. Il giorno successivo una ragazza mi ha dato dei vestiti e Pubblichiamo stralci tratti dal suor Rita un malibro Il coraggio della libertà. Una glione e una giacca. donna uscita dall’inferno della Poi il poliziotto è tratta, scritto da Blessing tornato e mi ha Okoedion insieme ad Anna Pozzi, portata di nuovo a con prefazione di Dacia Maraini e Castel Volturno per postfazione di Rita Giaretta di la denuncia. Sono Casa Rut (Cinisello Balsamo, rimasta lì tutto il Edizioni Paoline, 2017, pagine 123, giorno e sono toreuro 13). nata a Caserta in Il libro serata. Non avevo paura. Pensavo che tutti dovessero sapere, perché quei trafficanti e quegli sfruttatori erano dei criminali, distruggevano la vita delle persone. Se mi avessero costretta a fare quel “lavoro”, era come se fossi morta. Non mi importava dunque se mi uccidevano, ero già morta comunque. Questo pensiero mi ha tolto la paura. E poi, per me, denunciare significava non solo liberare me stessa, ma anche le altre ragazze. Nella casa della madam, erano tutte terrorizzate e succubi. Temevano che se avessero denunciato sarebbero diventate pazze, sarebbe morto qualcuno della loro famiglia o avrebbero avuto terribili sventure. È quello che hanno inculcato nelle loro teste con il ju ju e con le continue minacce. Volevo mostrare che si può continuare a vivere anche dopo aver denunciato, senza impazzire o ammalarsi, senza che qualcuno muoia. Ma si deve essere forti per lottare. A quel tempo non so se ero così forte, ma ero decisa a denunciare. I poliziotti mi hanno detto che avrebbero investigato. Dopo due settimane sono venuti di nuovo a Casa Rut e mi hanno riportata a Castel Volturno. Mi hanno fatto vedere delle foto, ma non c’erano le persone che avevo denunciato. Ho mostrato loro la casa della madam in cui stavo. Poi mi hanno riportata a Caserta. E non li ho più sentiti. Solo molto tempo dopo ho saputo che l’uomo che stava con la madam non è più tornato in Italia, perché sapeva della mia denuncia. E andato in Nigeria e si è fatto un’altra famiglia là. situazione. All’inizio non volevo rimanere. Avevo paura, non mi fidavo di nessuno. E avevo tanta rabbia dentro di me. Guardavo quelle quattro suore, studiavo il loro modo di fare, di comportarsi, di relazionarsi con le ragazze e i bambini. Erano delle brave persone, si vedeva: accoglienti, dolci, generose ma anche esigenti. In casa c’erano delle regole da rispettare, ma c’era soprattutto tanta comprensione e affetto. Ritrovavo spesso, nei loro atteggiamenti, gli insegnamenti di mio padre, della mia famiglia. E anche il senso vero dell’essere cristiano, quello che mi avevano insegnato e a cui avevo creduto. Perché vi avevo trovato un messaggio di bene, di speranza e di liberazione. A Casa Rut ho imparato di nuovo cosa significa essere cristiani. Che cos’è l’amore, la tenerezza, il dono e la fedeltà. Sentivo un po’ alla volta che mi stavo rinnovando come persona, come donna e anche come cristiana. Vengo da una famiglia credente, che mi ha trasmesso valori positivi. Avevo frequentato anche una boarding school cattolica, ma le suore erano molto dure. Qui a Casa Rut, invece, ho ritrovato i valori cristiani della mia infanzia e della mia famiglia, vissuti in maniera ancora più forte e autentica. Ho capito che cosa è la cura e la dedizione e che cos’è l’amore vero per tutti e per ciascuno. Qui ho visto l’amore in azione. Ho trovato un clima familiare, di tenerezza, pace, serenità e gioia. A Casa Rut mi hanno trasmesso di nuovo il senso di una vita vera e bella. Dentro di me pensavo: «È una vita nuova!». L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 giovedì 16 febbraio 2017 Per il patriarca copto e l’imam di al-Azhar La religione fa bene all’Egitto Mentre giovani volontari musulmani restaurano una chiesa strappata all’Is Il lento ritorno dei cristiani a Mosul MOSUL, 15. Un messaggio di pace a tutto il mondo: è quello che vogliono lanciare una cinquantina di giovani musulmani iracheni che hanno cominciato a ripulire e a restaurare, a Mosul est, una chiesa cattolica dedicata alla Madonna in un’area recentemente strappata dai lealisti ai miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is). A beneficiare dell’intervento — riferisce l’Ansa — è la chiesa della Vergine Maria, appartenente all’arcidiocesi di Mossul dei Caldei, nel quartiere di al-Dergazliya, che durante i due anni e mezzo di occupazione dello Stato islamico è stata trasformata in una sede della polizia morale del “califfato”. Risparmiata dalla barbarie, a differenza di molti altri luoghi di culto, comprese chiese e moschee, che sono state distrutte dai miliziani jihadisti. «Abbiamo deciso di assumere un ruolo diretto per ripulire la nostra città — ha detto Maher Al Obaidi, capo della Rete delle organizzazioni della società civile (ong che cura l’iniziativa) — e adesso è il momento di ripulire e risistemare moschee, chiese e altri luoghi di culto». Tutti i volontari all’opera, è stato sottolineato, sono musulmani, perché i membri delle altre comunità sono stati cacciati dalle loro case dai terroristi islamici e ancora non si sentono sicuri a tornare. Si tratta, ha aggiunto Mohammad Badrany, dell’organizzazione non governativa Ramah, che collabora all’ini- Appello in Indonesia Cattolici alle elezioni senza paura JAKARTA, 15. In nome dell’interesse nazionale. Alla vigilia delle elezioni regionali, le associazioni cattoliche indonesiane si mobilitano per esortare i concittadini cattolici a sostenere, senza paure o riserve, il proprio candidato. L’appello — reso noto attraverso la Commissione episcopale per i laici e ripreso da AsiaNews — vuole essere la risposta del mondo cattolico al clima di tensioni e minacce che sta accompagnando la campagna dei non musulmani per le elezioni che si terranno oggi, mercoledì, in cento distretti del Paese, incluso quello della capitale. Un clima ostile a qualsiasi candidato di fede non islamica, a prescindere dal suo programma politico. Basti citare le violente proteste nei confronti del governatore uscente di Jakarta, Basuki “Ahok” Tjahaja Purnama, cristiano (protestante) di etnia cinese, ripresentatosi nonostante le accuse di blasfemia che lo hanno riguardato. La dichiarazione, dal titolo «La nostra scelta basata sull’interesse dello Stato e della nazione», è stata sottoscritta da Associazione indonesiana delle donne cattoliche, Associazione degli intellettuali, Gioventù cattolica, Associazione degli studenti cattolici e Forum della società cattolica. «Questo è il momento in cui siamo chiamati a eleggere persone che siano al servizio del popolo», è il monito dei firmatari, rivendicando la natura pluralista della nazione indonesiana, la cui massima espressione è la Pancasila, fondamento del partito politico del governo indonesiano: «Questa società plurale dovrebbe essere politicamente assicurata. Le elezioni regionali sono soprattutto un evento politico per sviluppare una civiltà basata sulla Pancasila che miri a raggiungere l’agenda nazionale: prosperità per tutti». Nel documento le associazioni cattoliche spronano i cattolici a manifestare il proprio diritto civile di eleggere il loro candidato preferito nell’interesse di tutta la società indonesiana: «Non bisogna aver paura delle intimidazioni» e «non c’è spazio per l’ignoranza». L’appello segue quello dell’arcivescovo di Jakarta, Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo, che una settimana fa ha ribadito la posizione neutrale e apartitica della Chiesa, schierata in difesa dei valori fondanti dello Stato indonesiano. rifiutato di rinnegare la propria fede. Il gruppo di anziani (alcuni dei quali con gravi problemi di salute) era stato accolto a Kirkuk, dopo aver passato due giorni al freddo nella “terra di nessuno” tra i villaggi occupati dalle milizie dello Stato islamico e l’area sotto controllo dei peshmerga curdi. Altro luogo di culto tornato a disposizione della popolazione, seppur gravemente danneggiato, è la chiesa siro-ortodossa di Sant’Efrem, un tempo utilizzata dai jihadisti come sede del “consiglio di Stato dei mujahidin”. Situata in un’area della città già riconquistata dall’esercito iracheno, è stata visitata nei giorni scorsi da Nicodemus Daoud Matti Sharaf, metropolita siro-ortodosso di Mosul. Sulla facciata e sulle pareti dell’edificio ancora campeggiano gli striscioni e i cartelloni neri del cosiddetto Stato islamico. Nel luglio 2014 la croce che svettava sulla cupola era stata divelta. Il 9 settembre successivo, i raid aerei compiuti per colpire le postazioni dei jihadisti avevano danneggiato gravemente alcuni edifici adiacenti alla chiesa di Sant’Efrem e a quella siro-cattolica di San Paolo. Nel novembre 2014 Sant’Efrem venne svuotata dei suoi arredi interni e voci messe in rete via internet avevano accreditato la notizia (mai confermata) che il luogo di culto cristiano sarebbe stato presto trasformato in moschea. ziativa, di «un messaggio ai nostri fratelli cristiani affinché tornino alle loro case, perché Mosul ha bisogno di loro». In effetti, anche se lentamente, il ritorno dei cristiani nei quartieri orientali di Mosul, da poco sottratti dall’esercito iracheno alle milizie del cosiddetto Stato islamico, è già cominciato. Secondo quanto riportato dal sito in rete Ankawa.com e ripreso dall’agenzia Fides, sono almeno tre le famiglie armene che hanno fatto ritorno alle proprie case in aree urbane appena sottratte ai jihadisti e nonostante la situazione di generale insicurezza che continua a pesare su tutta la città. Nei giorni scorsi quelle zone di Mosul sono state teatro anche di attentati suicidi che hanno provocato almeno nove morti tra i civili. Com’è noto, i terroristi islamici avevano conquistato il capoluogo del governatorato di Ninawa il 9 giugno 2014. Nelle settimane successive, tutti i cristiani presenti in città avevano abbandonato le proprie case (molte delle quali subito espropriate dai jihadisti) cercando rifugio come profughi dapprima nei villaggi della piana di Ninive o a Kirkuk, e poi soprattutto a Erbil e nei villaggi del Kurdistan iracheno. Gli ultimi dieci cristiani, tutti anziani, rastrellati dai villaggi della piana di Ninive e trasferiti a Mosul nella seconda metà del 2014, erano stati espulsi dai miliziani jihadisti il 7 gennaio 2015, dopo che avevano IL CAIRO, 15. I valori religiosi e morali sono oggi più che mai fondamentali per mantenere viva l’unità nazionale e soprattutto per preservare il tessuto della società dalle pressanti minacce del fondamentalismo e del terrorismo. È quanto hanno affermato ieri, martedì, i leader delle due principali comunità religiose d’Egitto. Ahmed Al-Tayyeb, grande imam di al-Azhar, la più prestigiosa realtà accademica dell’islam sunnita, e Teodoro II, patriarca della Chiesa copta ortodossa, hanno partecipato insieme alla sessione di apertura di una conferenza che ha messo a tema appunto l’importanza sociale dei valori etici. Incontro che fa seguito agli appelli che il presidente Al-Sisi, soprattutto all’indomani di episodi terroristici, ha più volte inteso lanciare all’opinione pubblica perché le idee estremiste non trovino cittadinanza nel pensiero e nel discorso religioso. Una prospettiva più volte apprezzata dai leader religiosi egiziani. Al-Tayyeb nel suo intervento ha in proposito sottolineato l’importanza dei processi educativi, rilevando come i giovani egiziani appartengano a una civiltà che è profondamente radicata nella storia umana. «Questo patrimonio culturale — ha detto l’imam di alAzhar — può essere ripreso in qualsiasi momento, a condizione che tutti cooperino, ognuno nel proprio campo, per fornire l’atmosfera adatta e le condizioni per rilanciare il ruolo dei giovani». Anche il patriarca copto ortodosso ha rilevato la necessità di potenziare i processi e le strutture educative del Paese. Rilevando, al contempo, l’importanza di rilanciare il ruolo dell’istituzione familiare e dei suoi valori, come pietra angolare della vita sociale. Di qui la necessità di rivalutare i principi morali anche come fattori di stabilità e sicurezza del Paese. In questa prospettiva va ricordato che solo pochi giorni fa il presidente Al-Sisi aveva lanciato l’allarme sull’enorme numero di divorzi che da qualche tempo si registrano in Egitto. Nel corso di una cerimonia pubblica il capo dello stato ha infatti citato i dati dell’Ufficio statistico nazionale, secondo cui circa il 40 per cento dei 900.000 matrimoni celebrati ogni anno in Egitto terminano con il divorzio entro cinque anni dal loro inizio. Per arginare il fenomeno, Al-Sisi aveva proposto di considerare legale un divorzio solo se esso avviene alla presenza di un rappresentante religioso autorizzato dal governo. Nella sostanza soprattutto un modo per contrastare la prassi, assai diffusa nella comunità islamica, del “divorzio a voce” che consente agli uomini, e solo a loro, di rompere il vincolo matrimoniale con le proprie consorti con una semplice dichiarazione orale. Una proposta apprezzata dal segretario della Commissione parlamentare per gli affari religiosi, Amr Hamruch, ma non, come riferito dall’agenzia Fides, dal Consiglio degli anziani di alAzhar, che in una dichiarazione ufficiale ha confermato la validità del “divorzio a voce”, ritenendo che tale prassi soddisfa le condizioni della legge islamica. Oltre duecentomila pellegrini indiani al santuario mariano di Dantolingi Sotto il segno della famiglia BHUBANESWAR, 15. Oltre duecentomila fedeli, tra cui molti non cattolici, hanno partecipato nei giorni scorsi ai festeggiamenti per i cento anni del santuario di Nostra Signora di Lourdes, a Dantolingi, nello stato indiano dell’Orissa. Il luogo di culto, uno dei più noti del paese, è meta di pellegrinaggio per migliaia di persone. Il santuario, che è stato elevato a parrocchia, è stato eretto nel 1917 da missionari francesi, recatisi nello stato indiano per dare sollievo alla popolazione colpita da carestie ed epidemie. Le celebrazioni hanno avuto inizio con il “sadri”, una danza tradizionale indiana. Successivamente monsignor John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, ha presieduto una messa solenne assieme ad altri cinque vescovi indiani, alla presenza di oltre duecento sacerdoti e trecento suore provenienti da tutto il paese. Ai festeggiamenti per l’anniversario hanno partecipato anche molte famiglie non cattoliche del paese. È il caso di Pratap Sahu e di sua moglie Priti, entrambi di fede indù. I coniugi hanno raccontato che per molti anni hanno atteso invano l’arrivo di un figlio e attribuiscono la sua nascita poi alle preghiere rivolte alla Madonna di Lourdes. Il culto della Vergine di Lourdes in Orissa risale ai periodi di lunga siccità che si sono verificati nei secoli scorsi e che hanno provocato milioni di morti in India. In particolare nel 1866 il paese fu colpito da una grave carestia, aggravata dall’arrivo di un’epidemia di colera e di vaiolo, che decimò la popolazione. In quella drammatica situazione i primi ad intervenire furono i missionari di san Francesco di Sales d’Annecy, che raccolsero dalle strade centinaia di persone abban- donate e di bambini orfani e li ospitarono nell’orfanotrofio di Surada. I religiosi riuscirono a concentrare a Dantolingi le persone colpite dal colera e dal vaiolo, offrendo loro cure e assistenza e a poco a poco molti iniziarono a guarire. Per questo, terminata l’epidemia, tutti gli abitanti del luogo chiesero ai missionari di fondare il santuario: un modo sincero per ringraziare Maria per averli protetti durante la fame e le epidemie. Padre Sanjeeb Kumar Beero, parroco del santuario, ha sottolineato che attualmente vivono nel luogo di culto «circa duecentocinquanta famiglie, che stanno crescendo in modo graduale. Insieme alla diocesi di Berhampur, tentiamo di fornire ai pellegrini la migliore assistenza. Essi non vengono più solo una volta all’anno, ma una volta al mese di venerdì, quando organizziamo ritiri e momenti di raccoglimento». «Siamo felici — ha dichiarato monsignor Aplinar Senapati, vescovo di Rayagada, originario proprio di Dantolingi — che tutte queste famiglie costruiscano legami forti di amore, affetto e serenità l’una con l’altra». Durante l’omelia, monsignor Sarat Chandra Nayak, vescovo di Berhampur, ha ricordato gli insegnamenti contenuti nelle esortazioni apostoliche di Papa Francesco Amoris laetitia ed Evangelii gaudium. «Esse parlano della primaria missione della Chiesa: evangelizzare il mondo di oggi. Qualsiasi progresso avvenga in famiglia — ha sottolineato il vescovo Nayak — è un progresso anche nella Chiesa. Il nuovo mondo deve iniziare qui sulla terra». Parlando poi dei legami matrimoniali, sui quali i vescovi indiani hanno puntato in particolare l’attenzione pastorale per il 2017, il presule ha sottolineato come la parola matrimonio significhi «stare insieme per sempre. Nella vita matrimoniale non c’è posto per l’egoismo. La felicità non è limitata al sapere o alla ricchezza, ma si fonda sull’impegno sincero e sulla fiducia tra i coniugi». Le celebrazioni per il centesimo anniversario del santuario sono state precedute da una novena di preghiera. Ogni giorno il raccoglimento è stato guidato da un sacerdote, che ha proposto ai fedeli riflessioni su temi diversi. L’OSSERVATORE ROMANO giovedì 16 febbraio 2017 pagina 7 Giuseppe Monguzzi «La corona di spine» (1987) I lavori del Consiglio di cardinali di FRANCESCO BRASCHI «Nel suo senso più vasto la liturgia è l’umanità resa consapevole dell’adorazione a Dio come supremo suo significato, e del lavoro come gloria a Dio». È da una simile ampiezza di orizzonte che dobbiamo partire, se vogliamo accostarci con una reale consapevolezza del suo senso e del suo valore a questo testo di don Giussani, che possiamo definire allo stesso tempo “sintetico” e “fondamentale”. Il carattere sintetico del libro risiede non solo nella circostanza della sua genesi — come recita la nota alla prima edizione, si tratta di «rapidi appunti» raccolti da conversazioni tenute nell’arco di otto anni, dal 1965 al 1973 — ma soprattutto nell’intenzione che ne sta all’origine. In queste pagine, infatti, don Giussani ci si mostra all’opera per offrire una prospettiva di comprensione e insegnare un metodo di lettura capaci di introdurre alla liturgia cristiana così come essa viene vissuta dal popolo di Dio, ma nel me- Meditazioni sulla liturgia cristiana Il respiro della fede vissuta A distanza di quasi dieci anni da quel pronunciamento, in un contesto che vede ormai dichiarato e tangibile il crollo delle evidenze più necessarie al vivere, il valore di queste parole è non solo straordinariamente attuale, ma financo accresciuto dal fatto che la liturgia — anche a quanti ancora si Nuova edizione La liturgia come paradigma della vita e occasione d’incontro con la Presenza che salva il mondo. È la prospettiva contenuta nel libro Dalla liturgia vissuta. Una testimonianza di Luigi Giussani (Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2016, pagine 165, euro 15) di cui in questi giorni esce la nuova edizione — la prima risale al 1973. In esso il sacerdote educatore, scomparso nel 2005, attraverso una raccolta di «appunti» tratti da «conversazioni comunitarie», suggerisce l’impegno di una dimensione liturgica vissuta, soffermandosi sul significato della messa, dei periodi liturgici e delle principali festività del calendario cristiano. Pubblichiamo ampi stralci della presentazione a firma del curatore della nuova edizione del volume. desimo tempo — e questo è tutt’altro che scontato — rispettando pienamente tutta l’ampiezza e la profondità di significato che essa riveste: per la vocazione di ogni fedele e, prima di ogni altra ragione, per la sua stessa natura di opus Dei, di evidenza oggettiva della presenza di Dio quale soggetto della storia. Per questo motivo, le meditazioni che abbiamo tra le mani mostrano subito una caratteristica che le fa risaltare nel panorama dei testi coevi, fioriti con abbondanza dopo la riforma liturgica promossa dal concilio Vaticano II, ovvero la capacità di evitare le due possibili derive — solo apparentemente opposte — dell’“archeologismo” e del “sociologismo liturgico”. Tali modi di intendere la liturgia non sono puramente teorici o relegabili agli anni della riforma conciliare e postconciliare, ma piuttosto rappresentano una vera sfida per la fede, come autorevolmente ricordato da Papa Benedetto XVI nell’abbazia di Heiligenkreuz (Austria) nel 2007 quando, rivolgendosi ai monaci cistercensi, disse: «In ogni forma di impegno per la liturgia criterio determinante deve essere sempre lo sguardo verso Dio. Noi stiamo davanti a Dio — Egli ci parla e noi parliamo a Lui. Là dove, nelle riflessioni sulla liturgia, ci si chiede soltanto come renderla attraente, interessante e bella, la partita è già persa. O essa è opus Dei con Dio come specifico soggetto o non è». professano credenti e praticanti — appare sovente come un contenitore da riempire di attività — o, meglio, attivismo — quando non un luogo da vivere unicamente sull’onda del sentimento, magari afferrando alcune frasi o espressioni che colpiscono per un attimo. Non può inoltre sfuggire qui la limpidezza con cui Papa Ratzïnger individuava nell’oblio del carattere teologale della liturgia e del suo legame intrinseco con la fede la ragione ultima della frequente reciproca estraneità — quando non addirittura dichiarata contrapposizione — che spesso si coglie, per esempio, tra celebrazione e vita, tra archeologismo liturgico e istanze di rinnovamento, tra fedeltà alla tradizione e creatività celebrativa, tra modalità di approccio alla parola di Dio che separano nettamente — quasi fossero due oggetti differenti — la meditazione personale della Bibbia e la sua proclamazione liturgica, tra dimensione orizzontale-comunitaria e verticale-teologica, fino a riscontrare l’esito di una decostruzione che frammenta l’esperienza cristiana, cristallizzandola in una serie di dualismi irrisolti. Il richiamo del Papa emerito a rifiutare ogni prospettiva parzializzante, per guardare alla liturgia riconoscendo innanzitutto che Dio ne è il “soggetto presente” e che l’essenza di ogni atto celebrativo è la possibilità di uno sguardo verso di Lui — poiché è sempre da Lui che prende le mosse il dialogo con noi uomini — costituisce dunque un’importante indicazione di metodo, da accogliere prima di ogni altra considerazione pastorale, perché utile a farci ritrovare il nesso tra liturgia e fede: un legame vitale e costitutivo per ambedue i termini del binomio. Proprio questo è il metodo seguito da don Giussani in queste meditazioni. E proprio tale chiarezza di impostazione rende di sorprendente attualità — dopo cinquant’anni— le meditazioni che vengono ora riproposte. Il loro carattere sintetico, cui già abbiamo accennato, si può infatti ora esplicitare nella volontà e nella capacità dell’autore di collocarsi a un livello che si pone prima di ogni parzializzazione: è don Giussani stesso, nella premessa, a sottolinearlo: «Se è vero che si può restare colpiti di fronte a una frase o a un’altra del testo liturgico, dobbiamo essere attenti a non ridurre la ricchezza di questa meditazione a una cernita di frasi. Questo non è il centro del problema. Occorre che ci educhiamo a non meditare in quel modo la liturgia perché commetteremmo un errore. O, più che un errore, una minorazione, una riduzione dell’atteggiamento di valorizzazione della presenza di Dio. Spesso è stata operata tale riduzione: si è cioè trattata la Bibbia, che è la storia del mistero di Dio nel mondo, come fonte di belle frasi — giuste e profonde — ma si è lasciato da parte il contesto, cioè il vero discorso di Dio. Così abbiamo ridotto la Bibbia a sostegno dei nostri ideali morali. Invece di cogliere il discorso di Dio come la lingua nuova che distrugge la nostra sapienza, abbiamo reso la parola di Dio sostegno della nostra sapienza, quando addirittura non si è trattata la Bibbia in senso accomodatizio, cioè quando la “frase” non si è interpretata così come suonava al nostro orecchio, all’orecchio della nostra mentalità, della nostra cultura, invece di cercare di adeguare la nostra mentalità, la nostra cultura al significato, alla comunicazione, alla testimonianza che scaturiva dalla frase». Il modo corretto di accostarci alla liturgia — «consonare» e non «compitare», cioè leggere staccando le sillabe, come fanno i bambini della prima classe — è dunque quello di porci quanto più coscientemente possibile davanti a un discorso che è “altro” dai nostri discorsi, e di accogliere il «discorso di Dio come la lingua nuova che distrugge la nostra sapienza». Tre vincitori per il premio della fondazione Centesimus annus Economia e società Per la prima volta sono tre i vincitori del premio “Economia e società”, promosso dalla fondazione Centesimus annus pro Pontifice per diffondere «la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa cattolica». I loro nomi sono stati annunciati dal presidente della giuria, il cardinale Reinhard Marx, stamane, mercoledì 15 febbraio, nel corso di una conferenza nella Sala stampa della Santa Sede. Il premio internazionale è andato al tedesco Markus Vogt, per l’opera Prinzip Nachhaltigkeit. Ein Entwurf aus theologisch-ethischer Perspektive (Monaco, Oekom 2013), mentre il premio per i giornalisti, istituito quest’anno, è stato assegnato all’assunzionista francese Dominique Greiner, per il blog La doctrine sociale sur le fil pubblicato sul sito del quotidiano «La Croix», e al tedesco Burkhard Schäfers, per la trasmissione radiofonica dedicata a Oswald von Nell-Breuning (1890-1991), uno degli autori principali della Quadragesimo anno di Pio XI nel 1931. La premiazione avverrà il 18 maggio, alle 17, nel palazzo romano della Cancelleria, nella giornata inaugurale dell’annuale convegno della fondazione — sul tema: «Alternative costruttive in un’era di incertezza globale - Occupazione e integrità nell’età digitale. Incentivi alla solidarietà e alla virtù civica» — che si svolgerà fino al giorno 20 nell’Aula nuova del Sinodo in Vaticano. Nel suo intervento il cardinale Marx ha spiegato che quella vincitrice è stata selezionata tra più di 57 opere, provenienti da 12 Paesi e scritte in sei lingue diverse. «Vogt — ha ricordato — dopo aver studiato teologia e filosofia a Monaco e a Gerusalemme, ha lavorato come esperto di ecologia per il governo tedesco. Docente universitario di etica sociale cristiana prima a Benediktbeuern ora a Monaco, si occupa da più di vent’anni della sostenibilità» che è l’argomento principale dell’opera premiata e sta anche al centro della Laudato si’ di Papa Francesco. Vogt — ha proseguito il porporato — «non intende difendere un pensiero unilaterale, ma assume posizioni equilibrate di fronte a posizioni radicali. E riesce a indicare alcune strade concrete per migliorare il mondo». Da parte sua, il presidente della fondazione Domingo Sugranyes Bickel ha presentato il convegno e illustrato l’attività dell’organismo. Gruppi di fedeli all’udienza generale All’udienza generale di mercoledì 15 febbraio, nell’aula Paolo no presenti i seguenti gruppi: VI, era- Dall’Italia: Parrocchia Sant’Agostino, in Gubbio; Associazione Guardie ambientali italiane, di Salerno; Associazione Nessuno escluso, di Taranto; Associazione sportiva Poseidon Soccer, di Santa Marinella; Associazione Nuova mente, di Lecco; Coro Prealpi, di Villapedergnano-Erbusco; Coro Note ascendenti, di Sant’Eufemia-Lamezia; Terme Circolo didattico, di Pompei. Coppie di sposi novelli. I polacchi: Pielgrzymi z parafii Matki Bożej Nieustającej Pomocy z Suchania w diecezji szczecińsko-kamieńskiej; grupa pielgrzymów ze stowarzyszenia Kościół Domowy z parafii katedralnej św. Michała Archanioła i św. Floriana z Warszawy; nauczyciele z Publicznej Szkoły Podstawowej im. Armii Krajowej z Parysowa; pielgrzymi indywidualni. De France: Paroisse Sainte-Thérèse, d’Auneuil; paroisse de Mureaux; paroisse de Maisons-Laffitte et Mesnil-le-Roi; pa- roisse Sainte-Jeanne d’Arc, de Versailles; servants d’autel de la paroisse de Montaigu; servants d’autel de la paroisse de SaintQuentin-en-Yvelines; groupe de jeunes du diocèse de Bourges; lycée Frédéric Ozanam, de Chalons-en-Champagne; lycée Saint-Joseph du Loquidy, de Nantes; collège Saint-Michel, de Bourgoin-Mallieu; collège Saint-Gabriel; institution Saint-Joseph, de Draguignan; Institution Sainte-Marie, d’Antony. De Suisse: Paroisse Saint-Paul, de Genève. From England: Students and staff from Sir Harry Smith Community College, Peterborough. From Denmark: Students and staff from Frydensberg Boarding School. From the United States of America: Pilgrims from the parishes of the Annunciation and the Good Shepherd, Minneapolis, Minnesota; Pilgrims from St Mary’s Catholic Community, Helena, Montana; Students and faculty from University of Mary, Bismarck, North Dakota, Rome Campus. Aus der Bundesrepublik Deutschland: Pilgergruppe aus der Pfarrgemeinde Maria Rosenkranzkönigin, Berlin; Stipendiaten Max Weber Programm, Bayern; TSV 1860 München. Aus der Republik Österreich: Pilgergruppe aus der Pfarrei Hl. Thomas, Althofen; Kärntner Delegation von Katholischen und Evangelischen Pfarrern in Begleitung S. E. Dr. Alois Schwarz, Bischof von Gurk-Klagenfurt; Katholische Österreichische Studentenverbindung Kristall zu Leoben im ÖCV; Schülerinnen, Schüler und Lehrer aus dem KLEX, Graz; Höere Bundeslehranstalt und Fachschule für wirtschaftliche Berufe, Weiz. De España: Seminario Diocesano San Miguel, de la Diócesi de Orihuela-Alicante, con S.E. Mons. Jesús Murgul Soriano; grupo de estudiantes de la Universidad de Granada; Alumnos de Bachillerato Instituto Extremadura, de Mérida. De Dinamarca: Comunidad hispano hablante “San Toribio”, de Aarhus. De Argentina: grupos de peregrinos. Conclusa la diciottesima riunione L’esame di quella che viene definita “diaconia della giustizia”, ovvero l’attività della Penitenzieria apostolica, della Segnatura e della Rota romana, ha fatto il suo ingresso nelle discussioni del Consiglio di cardinali che nel pomeriggio di mercoledì 15 febbraio ha concluso la sua diciottesima riunione. Dopo la dichiarazione di sostegno pieno al Papa e al suo magistero che i consiglieri hanno voluto rilasciare lunedì 13, primo giorno della sessione di incontri (quella di lunedì è stata la seduta numero 100), i porporati hanno proseguito il loro confronto portando ulteriori considerazioni su vari dicasteri, in particolare sulla Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, su quella per le Chiese orientali e sul Pontificio consiglio per il dialogo religioso. Tutti i membri del Consiglio sono stati presenti durante i tre giorni di riunioni, sempre seguite da Papa Francesco tranne lunedì per il tempo necessario ad accogliere i vescovi della Costa Rica in visita ad limina, e la mattina di mercoledì durante l’udienza generale. Lunedì e martedì i cardinali consiglieri hanno concelebrato insieme al Pontefice nella cappella di Santa Marta. Tra i temi affrontati in questa sessione, c’è stato di nuovo il processo per la selezione dei candidati all’episcopato. Una discussione già avviata in precedenza e che deve ancora giungere a un risultato definitivo da consegnare al Papa. Come nelle precedenti riunioni, il cardinale Pell ha riferito sul lavoro della Segreteria per l’economia per la piena attuazione della riforma economica, con particolare attenzione all’attività di formazione del personale e alle risorse umane. Per quanto riguarda la riforma della comunicazione, lunedì sera il prefetto della segreteria, monsignor Viganò, ha dato conto dell’accorpamento della Radio vaticana con il Centro televisivo vaticano, e ha parlato del piano per ristrutturare le frequenze radio, delle nuove linee guida relative al mondo dei social network e della riforma della Libreria editrice vaticana. La prossima riunione si svolgerà dal 24 al 26 aprile. Nomine episcopali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Italia e in Brasile. Giancarlo Perego arcivescovo di Ferrara-Comacchio (Italia) Nato a Vailate, Cremona, il 25 novembre 1960, ha compiuto gli studi nel seminario diocesano cremonese e successivamente ha conseguito la licenza in teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Nel 1996 si è laureato in teologia alla Pontificia università Gregoriana. Ordinato sacerdote il 23 giugno 1984, è stato vicario parrocchiale di San Giuseppe al Cambonino fino al 1992, segretario particolare del vescovo Giulio Nicolini dal 1993 al 1994, direttore della Caritas diocesana di Cremona dal 1997 al 2002, vicedirettore della Caritas nazionale e responsabile del centro studi e dell’archivio storico dal 2002 al 2009, anno in cui è divenuto direttore generale della fondazione Migrantes. È stato, inoltre, segretario particolare del vescovo Enrico Assi dal 1984 al 1992, insegnante nel seminario diocesano di Cremona dal 1996 al 2002, docente all’università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Cremona) dal 1996 al 2002, assistente diocesano del Meic dal 1997 al 2003 e assistente spirituale della Fuci dal 1997 al 2002. Dal 2009 insegna teologia dogmatica alla Lumsa e dal 2012 al 2016 è stato consultore del Pontificio consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti. Ha pubblicato la tesi di laurea, intitolata Un ministero tutto spirituale, sulla teologia del ministero ordinato nel giansenismo lombardo tra illuminismo e liberalismo (1755-1955). È direttore della rivista «Migrantes» e ha pubblicato diversi articoli e scritti. Francisco Edimilson Neves Ferreira vescovo di Tianguá (Brasile) Nato il 3 ottobre 1969 a Jardim, diocesi di Crato, stato di Ceará, dove ha svolto gli studi primari, ha poi ricevuto la formazione filosofica e teologica presso il seminario regionale Nordeste 1, a Fortaleza. Ordinato sacerdote il 12 dicembre 1997, è stato parroco della Sagrado Coração de Jesus a Crato (1999-2003) e coordinatore della pastorale diocesana (2000-2014). Vicedirettore del collegio Pequeno Príncipe (dal 1998), attualmente era parroco della Cattedrale Nossa Senhora da Penha (dal 2003), membro del collegio dei consultori e del consiglio presbiterale, direttore esecutivo della fondazione “Padre Ibiapina” e direttore spirituale del seminario diocesano São José di Crato. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 giovedì 16 febbraio 2017 Il Papa parla della vita del cristiano Tutto è dono Chi accoglie Dio come «protagonista assoluto» della vita, riconosce in ogni cosa un dono e fa esperienza della «pace che scaturisce dalla fede». Lo ha detto Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì 15 febbraio, nell’aula Paolo VI, proseguendo il ciclo di catechesi dedicate alla speranza cristiana. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Più attenzione all’ambiente Con un abbraccio e un incoraggiamento Papa Francesco ha accolto quaranta rappresentanti dei popoli indigeni. Li ha voluti ricevere e pregare con loro, prima dell’udienza generale, nell’auletta dell’aula Paolo VI, assicurando loro di non essere soli nelle loro rivendicazioni. Ad accompagnarli monsignor Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso le organizzazioni e gli organismi delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, con il vicepresidente del Fondo delle Nazioni Unite per lo sviluppo agricolo (Ifad), Michel Mordasini. Al Pontefice hanno fatto presente ciò che le comunità indigene — trecento milioni di persone nel mondo — intendono per «supporto integrale»: uno stile di aiuto che non consideri solo gli indici economici e rivaluti i rapporti tra generazioni e l’attenzione all’ambiente. È proprio questo il principio cardine emerso nel terzo forum mondiale dei popoli indigeni che si è svolto dal 10 al 13 febbraio a Roma, nella sede dell’Ifad. A Francesco sono stati dunque presentati i contenuti del forum, un vero e proprio termometro dello stato dei diritti e delle condizioni di vita di queste comunità. Significativo, poi, che sia stata proprio l’agenzia dell’Onu per lo sviluppo agricolo a promuovere l’incontro: è, infatti, la terra la prima risorsa per queste popolazioni. Sono venuti dalla Spagna, precisamente da Granada, «per stare vicini al Papa»: eppure questi venti studenti universitari di latino, greco e italiano «non sono credenti, hanno esperienze di famiglie disgregate e anche di condizioni di vita non facili». Però «la testimonianza di Francesco li ha colpiti e in qualche modo provocati» spiega la loro professoressa, Mar Morata García de la Puerta. E c’è anche, confida l’insegnante, «qualcuno che comincia a parlare di voler essere battezzato». Particolarmente significativi gli incontri del Papa con le tante persone ammalate e disabili. Molte di loro sono state anche invitate personalmente da Francesco, in risposta alle loro lettere. Mariarosa e Giuseppe Dal Bianco hanno voluto incontrarlo per parlargli di Michele, il loro figlio sedicenne «morto il 13 febbraio 2015 per una malattia incurabile contro cui ha lottato per trentatré mesi». A dargli «una forza da guerriero — spiegano — è stata la sua fede incrollabile e anche la testimonianza del Papa che Michele seguiva sempre in televisione», dal suo letto a Zanè, nel vicentino. Il ragazzo scrisse una lettera all’indirizzo di Casa Santa Marta. E Francesco non mancò di rispondere. «Oggi abbiamo incontrato il Papa a nome di Michele, facendo quello che avrebbe voluto fare lui» dicono i genitori, ricordando «come abbia saputo preparare se stesso e gli altri alla sua morte» e sottolineando che «la sua testimonianza sulla risurrezione è stata raccolta anche in un libro». Sono giunte da Torino le famiglie che hanno dato vita all’associazione di volontariato “Piccolo carro”, «per sostenere socializzazione e integrazione dei ragazzi con disabilità intellettive, attraverso piccoli impegni lavorativi». Con «l’unico obiettivo di renderli autonomi il più possibile» raccontano Maria Teresa e Gianni, genitori di Chiara, che hanno fondato questa rete solidale. È venuto da Pompei, con i suoi compagni di classe del secondo circolo didattico, proprio per festeggiare i suoi dieci anni con Francesco: per Giovanni è stato davvero «un compleanno speciale, indimenticabile», oltretutto «preparato alla grande — confidano insegnanti e genitori — proprio per far vivere ai bambini, fino in fondo, questa esperienza di pellegrinaggio e universalità». E il regalo più bello è stata proprio la carezza del Papa. A Francesco è stata anche presentata la croce, chiamata «il mosaico dell’umanità», realizzata per l’Anno della misericordia. L’artista Roberto Joppolo ne ha scolpiti tre esemplari che saranno presto collocati a Lampedua e a San José in Costa Rica. Mentre una croce è già stata collocata, il 20 novembre scorso, a Viterbo. L’opera, in ferro e ceramica policroma, altra quasi tre metri, intende comunicare «un messaggio di pace, accoglienza, solidarietà e di dialogo ecumenico». Fin da piccoli ci viene insegnato che non è una bella cosa vantarsi. Nella mia terra, quelli che si vantano li chiamano “pavoni”. Ed è giusto, perché vantarsi di quello che si è o di quello che si ha, oltre a una certa superbia, tradisce anche una mancanza di rispetto nei confronti degli altri, specialmente verso coloro che sono più sfortunati di noi. In questo passo della Lettera ai Romani, però, l’Apostolo Paolo ci sorprende, in quanto per ben due volte ci esorta a vantarci. Di cosa allora è giusto vantarsi? Perché se lui esorta a vantarsi, di qualcosa è giusto vantarsi. E come è possibile fare questo, senza offendere gli altri, senza escludere qualcuno? Nel primo caso, siamo invitati a vantarci dell’abbondanza della grazia di cui siamo pervasi in Gesù Cristo, per mezzo della fede. Paolo vuole farci capire che, se impariamo a leggere ogni cosa con la luce dello Spirito Santo, ci accorgiamo che tutto è grazia! Tutto è dono! Se facciamo attenzione, infatti, ad agire — nella storia, come nella nostra vita — non siamo solo noi, ma è anzitutto Dio. È Lui il protagonista assoluto, che crea ogni cosa come un dono d’amore, che tesse la trama del suo disegno di salvezza e che lo porta a compimento per noi, mediante il suo Figlio Gesù. A noi è richiesto di riconoscere tutto questo, di accoglierlo con gratitudine e di farlo diventare motivo di lode, di benedizione e di grande gioia. Se facciamo questo, siamo in pace con Dio e facciamo esperienza della libertà. E questa pace si estende poi a tutti gli ambiti e a tutte le relazioni della nostra vita: siamo in pace con noi stessi, siamo in pace in famiglia, nella nostra comunità, al lavoro e con le persone che incontriamo ogni giorno sul nostro cammino. Paolo però esorta a vantarci anche nelle tribolazioni. Questo non è facile da capire. Questo ci risulta più difficile e può sembrare che non abbia niente a che fare con la condizione di pace appena descritta. Invece ne costituisce il presupposto più autentico, più vero. Infatti, la pace che ci offre e ci garantisce il Signore non va intesa come l’assenza di preoccupazioni, di delusioni, di mancanze, di motivi di sofferenza. Se fosse così, nel caso in cui riuscissimo a stare in pace, quel momento finirebbe presto e cadremmo inevitabilmente nello sconforto. La pace che scaturisce dalla fede è invece un dono: è la grazia di sperimentare che Dio ci ama e che ci è sempre accanto, non ci lascia soli nemmeno un attimo della nostra vita. E questo, come afferma l’Apostolo, genera la pazienza, perché sappiamo che, anche nei momenti più duri e sconvolgenti, la misericordia e la bontà del Signore sono più grandi di ogni cosa e nulla ci strapperà dalle sue mani e dalla comunione con Lui. Ecco allora perché la speranza cristiana è solida, ecco perché non delude. Mai, delude. La speranza non delude! Non è fondata su quello che noi possiamo fare o essere, e nemmeno su ciò in cui noi possiamo credere. Il suo fondamento, cioè il fondamento della speranza cristiana, è ciò che di più fedele e sicuro possa esserci, vale a dire l’amore che Dio stesso nutre per ciascuno di noi. È facile dire: Dio ci ama. Tutti lo diciamo. Ma pensate un po’: ognuno di noi è capace di dire: sono sicuro che Dio mi ama? Non è tanto facile dirlo. Ma è vero. È un buon esercizio, questo, dire a se stessi: Dio mi ama. Questa è la radice della nostra sicurezza, la radice della speranza. E il Signore ha effuso abbondantemente nei nostri cuori lo Spirito — che è l’amore di Dio — come artefice, come garante, proprio perché possa alimentare dentro di noi la fede e mantenere viva questa speranza. E questa sicurezza: Dio mi ama. “Ma in questo momento brutto?” — Dio mi ama. “E a me, che ho fatto questa cosa brutta e cattiva?” — D io mi ama. Quella sicurezza non ce la toglie nessuno. E dobbiamo ripeterlo come preghiera: Dio mi ama. Sono sicuro che Dio mi ama. Sono sicura che Dio mi ama. Adesso comprendiamo perché l’Apostolo Paolo ci esorta a vantarci sempre di tutto questo. Io mi vanto dell’amore di Dio, perché mi ama. La speranza che ci è stata donata non ci separa dagli altri, né tanto meno ci porta a screditarli o emarginarli. Si tratta invece di un dono straordinario del quale siamo chiamati a farci “canali”, con umiltà e semplicità, per tutti. E allora il nostro vanto più grande sarà quello di avere come Padre un Dio che non fa preferenze, che non esclude nessuno, ma che apre la sua casa a tutti gli esseri umani, a cominciare dagli ultimi e dai lontani, perché come suoi figli impariamo a consolarci e a sostenerci gli uni gli altri. E non dimenticatevi: la speranza non delude. Ai partecipanti a un forum promosso dall’Ifad Tutelare i popoli indigeni e i loro territori Quando un’attività economica interferisce «con le culture indigene e la loro relazione ancestrale con la terra», deve prevalere l’esigenza di un «consenso previo e informato» da parte delle popolazioni locali. Lo ha detto il Papa incontrando prima dell’udienza generale, in un’auletta dell’aula Paolo VI, i partecipanti al terzo forum dei popoli indigeni convocato dall’Ifad. Di seguito il testo italiano del discorso pronunciato in spagnolo. Cari Amici, sono lieto di incontrarvi a conclusione dei lavori del 3° Forum dei Popoli Indigeni convocato dal Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, di cui ricorre quest’anno il quarantesimo di istituzione. Vi siete soffermati a individuare le modalità per una maggiore responsabilizzazione economica dei Popoli autoctoni. Credo che il problema essenziale sia come conciliare il diritto allo sviluppo, compreso quello sociale e cultu- Nei saluti ai fedeli Una cultura inclusiva per i senza fissa dimora Un appello a «promuovere sempre una cultura inclusiva per le persone sole e per i senza fissa dimora» è stato lanciato dal Papa all’udienza generale, durante i saluti rivolti ai gruppi italiani presenti nell’aula. Sono lieto di salutare i pellegrini di lingua francese, in particolare i giovani e le parrocchie venuti da Francia e Svizzera. Lo Spirito Santo apra i nostri cuori all’amore di cui Dio ci ha riempiti per divenire in Gesù Cristo i testimoni della speranza verso tutti, in particolare i piccoli e i poveri. Dio vi benedica! Saluto i pellegrini di lingua inglese presenti all’odierna Udienza, specialmente quelli provenienti da Inghilterra, Danimarca e Stati Uniti d’America. Su tutti voi e sulle vostre famiglie invoco la grazia del Signore Gesù affinché possiate essere un segno della speranza cristiana nelle vostre case e nelle vostre comunità. Dio vi benedica! Un caloroso benvenuto ai pellegrini e ospiti di lingua tedesca. In particolare saluto il gruppo di parroci cattolici ed evangelici provenienti dalla Carinzia, accompagnati da Mons. Alois Schwarz. La speranza è un dono meraviglioso di Dio: siamo chiamati a farci suoi “canali” per tutti. In tal modo, come figli di Dio, impariamo a consolarci e a sostenerci gli uni gli altri. Lo Spirito Santo vi ricolmi con la sua pace e la sua gioia. Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española. En particular a los formadores y alumnos del Seminario Diocesano de Orihuela-Alicante, Monseñor Murgui tiene un buen seminario. Pidamos a María, Madre de misericordia, que interceda por nosotros para que nos ayudemos mutuamente con el testimonio de nuestra fe y perseverancia, y así crezca nuestra esperanza. Que el Señor los bendiga. Muchas gracias. Saluto i pellegrini di lingua portoghese presenti a quest’Udienza. Auguro che questo incontro, che ci fa sentire membri dell’unica famiglia dei figli di Dio, rinnovi la vostra speranza nel Dio misericordioso che non esclude nessuno e ci invita a essere testimoni del suo amore, particolarmente verso i più bisognosi. Grazie. Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua araba, in particolare a quelli provenienti dal Medio Oriente! Cari fratelli e sorelle, la speranza cristiana è solida e non delude perché è fondata sull’amore che Dio stesso nutre per ciascuno di noi. Diventiamo allora “canali” di questo dono straordinario e portiamolo a tutti. Il Signore vi benedica! Saluto i pellegrini polacchi venuti a quest’udienza. Ieri abbiamo ricordato i santi Patroni d’Europa: Cirillo monaco, e Metodio vescovo. Questi due fratelli di Salonicco hanno portato il Vangelo ai popoli Slavi. Ancor oggi essi ricordano all’Europa, e a noi tutti, il bisogno di mantenere l’unità della fede, la tradizione, la cultura cristiana e di vivere ogni giorno il Vangelo. A voi tutti che affrontate queste sfide, sostenendole con la vostra preghiera, imparto di cuore la mia Benedizione. Rivolgo un cordiale benvenuto ai fedeli di lingua italiana. Saluto i gruppi parrocchiali e le associazioni, in particolare Nessuno escluso di Taranto, esortando a promuovere sempre una cultura inclusiva per le persone sole e per i senza fissa dimora. Saluto il Coro Prealpi di Villapedergnano-Erbusco e Note Ascendenti di Sant’Eufemia - Lamezia Terme, e li ringrazio per la bella esibizione. Quando si vuole una cosa, si fa così! Così noi dobbiamo fare con la preghiera, quando chiediamo qualcosa al Signore: insistere, insistere, insistere, ... è un bell’esempio, un bell’esempio di preghiera! Grazie! Auspico che questo incontro susciti in ciascuno rinnovati propositi di testimonianza cristiana nella famiglia e nella società. Un saluto speciale porgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la festa dei Santi Cirillo e Metodio, evangelizzatori dei popoli slavi e compatroni d’Europa. Il loro esempio aiuti voi, cari giovani, a diventare in ogni ambiente discepoli missionari; la loro tenacia incoraggi voi, cari ammalati, ad offrire le vostre sofferenze per la conversione dei lontani; e il loro amore per il Signore illumini voi, cari sposi novelli, a porre il Vangelo come regola fondamentale della vostra vita familiare. rale, con la tutela delle caratteristiche proprie degli indigeni e dei loro territori. Questo è evidente soprattutto quando si vanno a strutturare attività economiche che possono interferire con le culture indigene e la loro relazione ancestrale con la terra. In questo senso dovrebbe sempre prevalere il diritto al consenso previo e informato, come prevede l’art. 32 della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni. Solo così è possibile assicurare una collaborazione pacifica tra autorità governative e popoli indigeni, superando contrapposizioni e conflitti. Un secondo aspetto riguarda l’elaborazione di linee-guida e progetti che siano inclusivi dell’identità indigena, con una speciale attenzione per i giovani e le donne. Inclusione e non solo considerazione! Ciò significa per i Governi riconoscere che le Comunità autoctone sono una componente della popolazione che va valorizzata e consultata e di cui va favorita la piena partecipazione, a livello locale e nazionale. Non si può permettere una emarginazione o una divisione in classi: prima classe, seconda classe... Integrazione con piena partecipazione. A questa necessaria road map può contribuire efficacemente l’IFAD con i suoi finanziamenti e la sua competenza, riconoscendo che «uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso» (Enc. Laudato si’, 194). E voi, nelle vostre tradizioni, nella vostra cultura — perché quello che voi portate nella storia è cultura — vivete il progresso con una cura speciale per la madre terra. In questo momento in cui l’umanità sta peccando gravemente nel non prendersi cura della terra, io vi esorto a continuare a dare testimonianza di questo; e non permettete che nuove tecnologie — che sono lecite e sono buone — ma non permettete quelle che distruggono la terra, che distruggono l’ecologia, l’equilibrio ecologico e che finiscano per distruggere la saggezza dei popoli. Vi ringrazio di cuore per la vostra presenza e chiedo all’Onnipotente di benedire le vostre Comunità e illuminare l’azione di quanti hanno la responsabilità del governo dell’IFAD. Grazie!