173 Pubblico impiego Pubblico impiego, giro di vite di fine estate

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173 Pubblico impiego Pubblico impiego, giro di vite di fine estate
Pubblico impiego
Pubblico impiego, giro di vite di fine estate Più severa la disciplina che
regola il rapporto di lavoro
Arturo Bianco, Pubblico Impiego, Il Sole 24 Ore, settembre 2009, p. 18
La c.d. riforma Brunetta muove i primi passi con il Dl 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ed è ispirata non solo a finalità di contenimento,
ma anche di riduzione della spesa per il pubblico impiego, nonché al più volte proclamato intento di
“moralizzare” l’intero settore.
Come è dato evincere da una breve lettura del testo normativo, l’intervento normativo manca di
organicità, proprio perché inserito nella c.d. manovra finanziaria d’estate, che ha seguito un suo
ordine logico nel chiaro intento di semplificare e ridurre oneri amministrativi e burocratici. Le
diverse norme si trovano collocate in titoli diversi, sebbene presentino il comune denominatore di
innovare in materia di pubblico impiego. La presente trattazione offre uno sguardo sulle novità
introdotte nel PI, cercando di fornire anche un utile approfondimento ed interessanti spunti di
riflessione.
Nel titolo II (sviluppo economico, semplificazione e competitività), al capo VI (piano industriale
della pubblica amministrazione) sono collocate le norme di cui agli artt. 46, 46-bis e 47, in tema rispettivamente - di riduzioni delle collaborazioni e consulenze nella pubblica amministrazione, di
revisione dei distacchi, aspettative e permessi sindacali, di controlli su incompatibilità, cumulo degli
impieghi e incarichi, nonché di lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni. Nel capo IX
(giustizia) del medesimo titolo il legislatore detta nuove norme in tema di cancellazione della causa
dal ruolo (art. 50), comunicazioni e notificazioni per via telematica (art. 51) e di razionalizzazione
del processo del lavoro (art. 53), con diretti riflessi, per quanto qui occupa, sull’andamento delle
stesse controversie giudiziarie in materia di pubblico impiego.
Infine, il titolo III (stabilizzazione della finanza pubblica), nel capo II (contenimento della spesa nel
pubblico impiego) prevede le più numerose novità in tema di organizzazione scolastica (art. 64),
contrattazione collettiva e controllo sui contratti nazionali ed integrativi (art. 67), riduzione degli
organismi collegiali (art. 68) e di duplicazione delle strutture (art. 74), riduzione degli assetti
organizzativi della pubblica amministrazione di progressione triennale degli stipendi di talune
categorie (art. 69), esclusione dei trattamenti economici aggiuntivi per infermità dipendenti da
causa di servizio (art. 70), assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle
pubbliche amministrazioni (art. 71) e di collocamento a riposo del personale dipendente prossimo
al compimento dei limiti di età (art. 72). (Paola Briguori)
Le nuove regole dettate in materia di personale dipendente dalle PA sono assai importanti e
rappresentano uno degli aspetti più rilevanti del Dl n. 112, per come convertito dalla legge n.
133/2008.
Complessivamente l’importanza di questo provvedimento in tema di gestione del personale e di
organizzazione delle pubbliche amministrazioni è del tutto paragonabile a quella delle leggi
finanziarie, elemento che lo stesso Governo ha voluto sottolineare, dimostrando così di compiere
in via di fatto una importante riforma istituzionale. Basta ricordare, per gli enti locali, l’importanza
oltre alle norme sul personale, delle disposizioni dettate in tema di patto di stabilità e la
riforma dei servizi pubblici locali. Da sottolineare che l’esame parlamentare ha sostanzialmente
confermato e non stravolto l’impianto originario e che molte delle novità, come le regole per il
patto di stabilità e la riforma dei servizi pubblici locali, nascono da emendamenti presentati dallo
stesso Esecutivo.
Si deve subito in premessa ricordare che il contenuto del decreto non esaurisce le innovazioni in
materia di organizzazione delle PA e di gestione del personale dipendente da soggetti pubblici.
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Le scelte contenute nel decreto si collegano infatti strettamente con le indicazioni contenute nei
due disegni di legge di accompagnamento che il Governo ha varato unitamente al Dl nel mese
di giugno e che saranno esaminati dal Parlamento nel prossimo autunno, in virtù della corsia
preferenziale di cui dovrebbero godere.
Per la sua importanza si deve sottolineare in particolare il contenuto della proposta che vuole
conferire al Governo la delega per la revisione del Dlgs n. 165/2001. In particolare, si devono
ricordare le indicazioni in esso contenute relativamente soprattutto al ruolo della dirigenza pubblica
ed alla valorizzazione della sua autonomia; all’evidenziazione della centralità del sistema
meritocratico, in particolare per gli sviluppi di carriera ed economici; al rafforzamento del ruolo
della valutazione ed alla radicale revisione delle regole oggi in vigore in tema di relazioni sindacali.
Le regole per il personale delle PA
Sono molte le disposizioni rilevanti contenute in materia di personale dipendente da PA nel Dl n.
112/2008, per come convertito dalla legge n.
133/2008. In primo luogo, si devono ricordare le nuove norme per scoraggiare le assenze per
malattia, ma anche le regole dettate per la spesa per il personale e per le assunzioni a tempo
indeterminato. Non si deve inoltre dimenticare la nuova disciplina per le assunzioni flessibili e
per il conferimento di incarichi di collaborazione, consulenza, studio e ricerca a soggetti esterni
alle PA. Uno spazio di assoluto rilievo hanno le novità introdotte in materia di controlli sulla
contrattazione collettiva decentrata integrativa.
Ma vi sono anche moltissime altre disposizioni che, pur non avendo lo stesso rilievo, sono dense di
conseguenze per l’operatività delle amministrazioni e per molti dipendenti. Basta ricordare le nuove
regole che vengono dettate per le assunzioni delle società a capitale pubblico locale, le
limitazioni alle incentivazioni per la progettazione di opere pubbliche, le modifiche al
part-time concesso per svolgere una seconda attività lavorativa, le novità sull’orario di lavoro.
Ed ancora gli stimoli allo svecchiamento del personale, le forme di semplificazione di numerosi
adempimenti burocratici, la revisione dei distacchi e permessi sindacali ecc.
Le assenze per malattia
La norma che più ha colpito l’attenzione della opinione pubblica e dei dipendenti delle PA è quella
dettata in materia di assenza per malattie. Al fine di scoraggiarle e di ridurre l’assenteismo viene
previsto che ai dipendenti pubblici non sia corrisposta per i primi 10 giorni di ogni malattia
nessuna forma di trattamento economico accessorio. Queste disposizioni nascono dalla
constatazione che il tasso di assenteismo dei dipendenti pubblici è generalmente molto superiore a
quello che si registra tra i dipendenti privati. Si ritiene che la sanzione economica possa costituire
un deterrente, almeno per una buona parte del personale: la bontà di questa tesi sembra essere
dimostrata dai primi dati che sono stati rilevati in alcune PA nello scorso mese di luglio, anche se
una dimostrazione certa dei reali effetti della disposizione si avrà solo nei prossimi mesi. Per
contrastare il fenomeno dell’assenteismo la ricetta voluta dal legislatore prevede inoltre
l’ampliamento della fascia entro cui i lavoratori possono ricevere la visita di controllo e
ribadisce che essa si impone già a partire dalla prima giornata di assenza. In via interpretativa
dallo stesso dipartimento della Funzione pubblica è stato di fatto “spuntato” un ulteriore strumento,
cioè la necessità di una certificazione medica rilasciata da una struttura pubblica per le
assenze superiori a 10 giorni e per quelle successive alla seconda nel corso di un anno.
Le norme sono contenute nell’art. 71 del provvedimento ed il dipartimento della Funzione
pubblica, con la circolare n. 7/2008, ha già fornito numerosi ed importanti chiarimenti.
Siamo, per molti aspetti, dinanzi ad una sostanziale “rilegificazione”, cioè una materia
disciplinata dalla contrattazione collettiva viene normata di nuovo da una disposizione di legge.
Anzi, il legislatore la sottrae definitivamente alla contrattazione collettiva, stabilendo che
queste norme non sono derogabili attraverso accordi o intese sindacali. L’effetto concreto è la
disapplicazione dalla data di adozione del provvedimento, cioè dallo scorso 26 giugno, delle
disposizioni contrastanti con le nuove regole contenute nei contratti collettivi che disciplinavano la
materia, in particolare per le forme di trattamento economico accessorio da riconoscere al
personale assente per malattia.
Una norma di difficile lettura nei suoi risvolti operativi, in particolare per stabilirne l’immediata
operatività, è contenuta nel co. 4: su questo punto si attendono chiarimenti.
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Tale disposizione stabilisce che la contrattazione collettiva o la normativa di settore definiscano i
termini e le modalità di fruizione delle assenze per permesso retribuito, ovviamente entro i
limiti massimi fissati dalla norma. Per la contrattazione collettiva e per la normativa di settore
viene previsto uno specifico limite: quantificare esclusivamente ad ore i permessi per i quali la
legge, i contratti o le norme regolamentari prevedono una possibilità di fruizione in forma
alternativa ad ore o a giorni. Viene infine stabilito che nei casi di assenza per un’intera giornata
si debba calcolare come incidenza il numero delle ore che il dipendente avrebbe dovuto osservare.
Siamo dinanzi ad un intervento che vuole giungere ad una forma di razionalizzazione,
impedendo gli abusi che spesso si riscontrano. Sul terreno operativo deve essere chiarito se
questa norma è già immediatamente operativa ovvero se abbisogna del recepimento da parte
dei contratti collettivi per poter essere applicabile.
Vediamo le altre disposizioni che si occupano direttamente ed esclusivamente delle assenze per
malattia.
Viene stabilito che nei primi 10 giorni di ogni assenza per malattia ai dipendenti pubblici non
possa più essere corrisposta nessuna forma di trattamento economico accessorio.
Sfuggono a questa limitazione unicamente le assenze per malattia dovuta ad infortunio sul lavoro o
causa di servizio, a ricovero ospedaliero, anche in day hospital e le assenze per le c.d. terapie
salva-vita.
Si deve subito evidenziare che queste disposizioni si applicano per ogni periodo di assenza,
quindi non per i primi 10 giorni nel corso dell’anno, ma per i primi 10 giorni di ogni singolo periodo
di malattia.
Quindi, ogni qual volta tra un periodo di assenza ed un altro vi è un’interruzione con il rientro in
servizio maturano le nuove forme di ritenuta, mentre il prolungarsi di un periodo ininterrotto di
assenza per malattia non fa scattare nuove ritenute. Sia l’Aran che il dipartimento della Funzione
pubblica hanno fornito chiarimenti per l’identificazione delle voci che sono oggetto di ritenuta. Si fa
prima a dire quelle che ne sono escluse: lo stipendio tabellare, la posizione di progressione
economica conseguita, l’eventuale retribuzione individuale di anzianità e gli eventuali
assegni ad personam.
Sono perciò da considerare soggette alla ritenuta l’indennità di comparto per tutti i dipendenti
degli enti locali e le voci analoghe per gli altri settori pubblici, le indennità di posizione dei
dirigenti e le indennità di posizione dei titolari di posizione organizzativa.
Ed ancora l’indennità per specifiche responsabilità, quella di vigilanza ed i compensi per il
personale educativo e docente. Ovviamente continuano a non potere essere corrisposte quelle
indennità che già la contrattazione collettiva ha subordinato alla effettiva presenza in servizio,
come ad esempio il turno, il maneggio valori, il rischio ed il disagio. In sede di conversione è stato
previsto che le nuove regole non si applichino alle assenze per malattia dovute a lesioni
riportate in attività operative o addestrative nei comparti della sicurezza e delle forze armate.
Ovviamente questa deroga non è in alcun modo estensibile alla polizia locale.
La norma di legge, al co. 5, stabilisce l’impossibilità di equiparare le assenze, siano esse per
malattia che per qualunque altra ragione, a presenze ai fini della distribuzione delle incentivazioni
previste dalla contrattazione collettiva. Questa disposizione in pratica impone di decurtare dai
compensi per produttività i periodi di assenza dal servizio. La disposizione si completa
prevedendo i casi in cui questo principio non si applica: assenze per maternità e congedi di
paternità (ivi compresa l’eventuale interdizione anticipata), nonché fruizione di permessi per
lutto, per rendere testimonianza, per lo svolgimento delle funzioni di giudice popolare, le
assenze in caso di decesso o grave infermità del coniuge o di altro parente stretto e quelle che
spettano al dipendente portatore di gravi handicap (2 ore al giorno o 3 giorni al mese).
Come evidenziato dalla circolare n. 7/2008 della Funzione pubblica, non siamo in presenza di una
condizione che di per sé giustifica l’erogazione di queste forme di compenso, che - ricordiamo non possono essere distribuite “a pioggia”, cioè sulla base di meccanismi automatici, quali la
presenza.
Ma la nuova disposizione impone di escludere i periodi di assenza dal computo delle giornate utili ai
fini dell’erogazione del compenso stesso.
I risparmi devono affluire all’ente, che a tal fine deve prevedere una specifica voce nel proprio
bilancio, dovendo contribuire al miglioramento dei saldi, quindi con una chiara finalizzazione
all’obiettivo di assicurare l’effettiva parità tra le entrate e le uscite. Vi è un assoluto divieto
di utilizzazione per impinguare i fondi destinati alla contrattazione decentrata integrativa.
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Viene previsto che le assenze per malattia di durata superiore a 10 giorni e quelle successive
alla seconda nel corso di un anno possano essere giustificate solo attraverso una
certificazione rilasciata da “struttura sanitaria pubblica”. La valenza restrittiva di questa
disposizione è stata sostanzialmente attenuata dall’interpretazione fornita dal dipartimento della
Funzione pubblica (circolare n. 7 del 2008 citata), per cui anche i medici convenzionati con il
Servizio sanitario nazionale sono abilitati a rilasciare questa certificazione: di fatto sono escluse
solo le certificazioni prodotte dai medici liberi professionisti.
Viene inoltre stabilito che le amministrazioni debbano disporre visite di controllo anche nel caso
di assenze di un solo giorno. Tale disposizione era già preesistente (si vedano in proposito le
indicazioni fornite dalla Funzione pubblica ancora nel mese di dicembre del 2007), ma è stata
ribadita con forza. Tale vincolo opera “tenuto conto delle esigenze funzionali ed organizzative”,
non ha cioè un valore assoluto. In qualche modo si può dire che la regola è la visita di controllo,
ma che questa regola è derogabile in presenza di specifiche ragioni, quale potrebbe essere ad
esempio la circostanza che il dipendente non ha nel passato in alcun modo abusato di questo
istituto.
Ha molto rilevanza concreta l’ampliamento della fascia oraria entro cui i dipendenti devono
trovarsi presso il proprio domicilio per ricevere la visita di controllo. Essa copre il periodo 8-13 e
14-20 di tutti i giorni, compresi quelli feriali non lavorativi, le domeniche e gli altri giorni festivi.
I vincoli agli enti locali
Nuovi e più rigorosi vincoli sono imposti agli enti locali per il contenimento della spesa per il
personale e, in prospettiva, per le assunzioni a tempo indeterminato. In parte queste nuove
disposizioni sono immediatamente operative, come i chiarimenti sulle voci da includere nella
spesa per il personale, in parte sono rinviate ad uno specifico decreto del presidente del
Consiglio dei ministri, come i limiti alle assunzioni a tempo indeterminato e, a giudizio dell’Anci,
anche l’obbligo di contenere l’incidenza della spesa per il personale su quella corrente.
Occorre subito evidenziare che le nuove norme non sono dettate esclusivamente per gli enti locali,
ma che ne sono destinatarie tutte le pubbliche amministrazioni, a partire da quelle statali, a
cui sono imposti da subito drastici vincoli per le assunzioni (non superamento di regola del tetto del
10% delle cessazioni e della spesa per il personale cessato). Si deve inoltre evidenziare che le
nuove regole, ma su questo punto siamo dinanzi ad una norma di principio, tendono a creare una
differenziazione non solo tra enti soggetti o meno al patto di stabilità, ma utilizzando anche
criteri di virtuosità, in particolare con riferimento al rapporto tra spesa per il personale e la spesa
corrente.
Ed ancora che si vogliono stimolare le amministrazioni ad un contenimento delle posizioni
dirigenziali.
In questo senso si devono anche ricordare le disposizioni immediatamente prescrittive che
sono dettate per la riorganizzazione delle amministrazioni statali, norme che per gli enti
locali costituiscono un importante punto di riferimento.
Le disposizioni sono contenute nell’art.76 e l’esame parlamentare non ha inciso su di esse in modo
radicale per la parte riguardante il personale, mentre ha introdotto tagli ai trasferimenti alle
comunità montane. Ricordiamo che, alla base dei vincoli alla spesa, vi è l’esclusione della voce
personale dal computo delle spese su cui si calcola il rispetto del patto di stabilità, il che
“impone” al legislatore di dettare specifici vincoli.
Il co. 1 fornisce una serie di importanti chiarimenti alla nozione di spesa per il personale: essi
sono dettati nella forma della integrazione del co. 557 della Finanziaria 2007. I chiarimenti sono
assai importanti, perché affrontano alcuni dei punti su cui erano emersi numerosi dubbi applicativi
e, a parte alcune integrazioni che vanno nella direzione del rafforzamento delle limitazioni,
confermano sostanzialmente le interpretazioni fornite dalla Ragioneria generale dello Stato (in
particolare, circolare n.
9/2007). Viene stabilito che rientrano nella spesa per il personale, ai fini del suo contenimento
che lo stesso comma stabilisce come principio di carattere generale, le seguenti voci:
collaborazioni coordinate e continuative, contratti di somministrazione, assunzioni a tempo
determinato di dirigenti e/o responsabili effettuate ai sensi dell’art. 110 del Dlgs n. 267/2000 e,
elemento completamente innovativo, gli oneri per il personale utilizzato da strutture
collegate o dipendenti dall’ente senza che si sia proceduto ad un’estinzione del rapporto di
lavoro con la PA.
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Queste disposizioni sono dettate espressamente per gli enti soggetti al patto di stabilità, ma si
estendono a tutte le amministrazioni locali.
Il co. 2 dispone la sospensione, fino all’emanazione del Dpcm sulle assunzioni a tempo
indeterminato, della possibilità di aumentare la spesa per il personale negli enti che non
sono soggetti al patto di stabilità, opportunità che consente a queste amministrazioni anche la
deroga al tetto delle assunzioni, cioè il numero dei dipendenti cessati dal servizio nell’anno
precedente. Questa deroga può continuare ad essere utilizzata solamente dai comuni che hanno in
servizio un numero di dipendenti a tempo pieno non superiore a 10. Occorre evidenziare che
questa disposizione incide anche sulle procedure di assunzione in itinere, cioè su quelle che
sono state deliberate dagli enti non soggetti al patto avvalendosi della deroga al tetto di spesa, ma
che non sono state completate. La possibilità di deroga rimane invece completamente invariata per
le amministrazioni soggette al patto di stabilità, ovviamente nel rispetto delle condizioni previste in
questo provvedimento.
Nello stesso articolo viene inserita una sanzione durissima per le amministrazioni locali che non
hanno rispettato il patto di stabilità nell’anno precedente: il divieto assoluto di effettuare
nuove assunzioni di personale. Questo divieto si estende a tutti i tipi di assunzioni, quindi anche
a quelle a tempo determinato. La norma prevede inoltre che essa non sia aggirabile né
attraverso la stipula di contratti di co.co.co., né attraverso il ricorso al contratto di
somministrazione.
Ed ancora che sono inibite le stabilizzazioni di personale precario e, previsione del tutto
inedita, viene previsto il divieto di stipulare contratti di servizio che costituiscano una forma di
aggiramento di tale vincolo. Norma che non può certamente essere intesa come un divieto di
stipulare qualunque forma di contratto per la fornitura di servizi.
Una previsione completamente nuova è contenuta nel co. 5: tutte le amministrazioni locali devono
garantire, oltre al contenimento della spesa per il personale, la riduzione della sua incidenza
percentuale sulla spesa corrente. Occorre capire se questa norma sia immediatamente
operativa ovvero se le modalità di applicazione sono rimesse al Dpcm, tesi sostenuta dall’Anci. Da
evidenziare che la misura minima di tale contenimento non è determinata e che la
disposizione prevede che si debba in particolare ridurre la spesa per la contrattazione decentrata
integrativa, nonché che a tal fine siano utilizzate tutte le disposizioni dettate per le amministrazioni
statali. Il riferimento va alle previsioni delle leggi finanziarie che impongono tagli al fondo per le
risorse decentrate ed alle risorse per l’incentivazione del personale previste da specifiche norme di
legge. Di fatto ciò sembra autorizzare la possibilità di effettuare riduzioni della parte
variabile del fondo per le risorse decentrate, posto che la parte stabile appare intangibile,
salvo che nel caso di riduzione del numero dei dipendenti.
Il successivo co. 6 delega il Governo all’emanazione di un Dpcm per la definizione delle regole
per le assunzioni differenziate in base al grado di virtuosità delle amministrazioni.
Il termine per l’adozione del provvedimento è fissato per la fine del prossimo mese di settembre,
cioè entro 90 giorni dall’entrata in vigore del Dl. Prima della sua adozione dovrà essere raggiunta,
in omaggio al principio del federalismo cooperativo che la Corte costituzionale ha stabilito
come un vincolo assolutamente necessario, una specifica intesa in sede di Conferenza
unificata tra Stato, regioni ed autonomie locali.
Il che fa dubitare dell’effettivo rispetto di tale scadenza. I tetti alle assunzioni e quelli di spesa
saranno fissati in modo differenziato sulla base dei parametri di virtuosità. Questi saranno
individuati in relazione ai seguenti fattori: numero degli abitanti, incidenza degli oneri per il
personale sul totale delle spese correnti ed andamento di tale incidenza nel corso degli ultimi 5
anni. Con questo Dpcm saranno inoltre dettate le regole per le assunzioni e per il contenimento
della spesa per il personale negli enti che non sono soggetti al patto di stabilità; i parametri
ed i tetti per le assunzioni negli uffici di staff ed il conferimento di incarichi di dirigente e/o
responsabile ai sensi degli artt. 90 e 110 del Dlgs n. 267/2000; i criteri ed i parametri per la
riduzione nel numero delle posizioni dirigenziali rispetto alla consistenza della dotazione
organica. Per la determinazione di questi ultimi due parametri si terrà conto del numero degli
abitanti, per la riduzione del numero delle posizioni dirigenziali e per il contenimento delle
assunzioni a tempo determinato disposte ex artt. 90 e 110 del Tuel. Ovviamente questi nuovi
vincoli sono dettati per raggiungere l’obiettivo di contenere sia il numero dei dirigenti,
responsabili e dipendenti degli uffici di staff assunti a tempo determinato, che per comprimere il
numero complessivo degli incarichi dirigenziali.
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Il co. 8, l’ultimo dell’articolo in esame, vieta alle Camere di commercio di effettuare
assunzioni del personale dipendente dalle proprie aziende speciali se non ricorrendo a
procedure selettive di natura concorsuale ed entro il tetto delle assunzioni che esse possono
effettuare. Ovviamente la disposizione prevale - peraltro il testo di legge lo dice espressamente sulle eventuali diverse norme statutarie e/o regolamentari.
La norma prevede infine, a parte le disposizioni dettate per vietare agli enti di aumentare le
indennità degli amministratori ed il taglio dei trasferimenti alle comunità montane, il
divieto di effettuare assunzioni di personale con qualunque tipologia contrattuale, per le
amministrazioni che hanno una spesa per il personale superiore al 50%delle spese correnti.
Le assunzioni flessibili
Cambiano nuovamente le norme per le assunzioni flessibili, sostanzialmente ritornando alle
disposizioni previgenti: in pratica, sono cancellate le innovazioni introdotte dalla legge finanziaria
2008, n. 244/2007. È questo l’effetto di maggiore rilievo determinato dall’art. 49 del Dl n. 112: la
norma restituisce, come sottolinea l’Anci, margini di flessibilità alle amministrazioni locali. Anche in
questo caso viene completamente riscritto l’art. 36 del Dlgs n. 165/2001. Ricordiamo che a
questa modifica si accompagna l’ampliamento operato dall’art. 21 dei margini di utilizzazione
delle assunzioni a tempo determinato, modifiche che assegnano un ruolo rilevante alla
contrattazione collettiva. Ambedue queste scelte sembrano essere ispirate dalla stessa logica. Si
deve sottolineare che la preoccupazione a che non si formi nuovo precariato nel lavoro con le PA
viene superata attraverso l’imposizione di un tetto massimo di durata dei contratti di lavoro
flessibile. Occorre innanzitutto precisare che per assunzioni flessibili si devono intendere, sulla
base dell’espresso dato legislativo, quelle a tempo determinato, i contratti di
somministrazione e quelli di formazione e lavoro. Il ricorso a questi istituti è consentito per
esigenze temporanee ed eccezionali, mentre è vietato per lo svolgimento delle normali attività:
ricordiamo che questa distinzione era stata introdotta dal Dl n. 4/2006.
Viene ribadita la necessità di ricorrere a procedure selettive ispirate dai principi di imparzialità
e trasparenza.
Viene vietata l‘utilizzazione con più istituti contrattuali per un periodo superiore a 3 anni nel corso
dell’ultimo quinquennio. Ricordiamo che, sulla base delle previsioni dettate dal Dlgs n. 368/2001, le
assunzioni a tempo determinato non possono superare il tetto di 3 anni nel caso di proroga, che
può essere disposta per una volta sola.
Vengono previste specifiche sanzioni.
La violazione delle norme sulle assunzioni flessibili non può dare in nessun caso luogo
all’assunzione a tempo indeterminato: ricordiamo che questa disposizione (che non modifica le
regole esistenti) dà attuazione al vincolo costituzionale per cui le assunzioni nelle PA possono
essere effettuate solo tramite concorsi pubblici. In capo al dipendente matura unicamente il
diritto al risarcimento dei danni che dimostri di aver subito: se essi sono provocati da dolo o
colpa grave del dirigente, questi sarà chiamato a sostenere tali oneri e la sua attività diventa fonte
di responsabilità amministrativa e dirigenziale.
È scomparsa la sanzione del divieto di effettuare assunzioni per un triennio prevista per le
amministrazioni inadempienti.
Gli incarichi a soggetti esterni
Sono completamente riscritte le norme sul conferimento di incarichi di collaborazione,
consulenza, studio e ricerca a soggetti esterni alla amministrazione locale. Siamo dinanzi ad una
materia che è stata oggetto di numerosi interventi legislativi finalizzati a ridurre il ricorso a
questo istituto. Finalità che non è stato possibile raggiungere perché la Consulta ha bocciato
come illegittima l’imposizione di limiti di spesa per specifiche voci, dovendosi la legislazione
statale limitare a dettare tetti complessivi di spesa. L’interpretazione di queste disposizioni è stata
oggetto di numerosi contrasti, che sono scoppiati anche tra Funzione pubblica e Corte dei conti, in
particolare per le collaborazioni coordinate e continuative. L’intervento legislativo accoglie le tesi di
Palazzo Vidoni.
Anche in questo caso la forma utilizzata è la modifica dell’art. 7, co. 6, del Dlgs n. 165/2001.
Siamo dinanzi ad un insieme di correzioni parziali e limitate rispetto alle novità introdotte dalla
Finanziaria 2008. Le novità più importanti sono le limitazioni apportate alla disciplina delle
collaborazioni coordinate e continuative.
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Il testo finale della legge di conversione è sostanzialmente analogo a quanto previsto dal Dl n. 112.
Viene previsto che il ricorso a questo istituto sia consentito nel rispetto delle condizioni poste
dalla normativa, condizioni il cui valore viene rafforzato poiché diventano “presupposti di
legittimità”, cioè la loro violazione determina conseguenze in termini di illegittimità dei
provvedimenti di conferimento degli incarichi.
Di tutti questi elementi si deve dare motivatamente atto nel provvedimento con cui il
dirigente conferisce l’incarico.
Le amministrazioni devono, in primo luogo, verificare la presenza delle condizioni di c.d.
impossibilità soggettiva o oggettiva. Cioè devono accertare che quella professionalità non
esista tra il personale in servizio presso l’ente (impossibilità soggettiva) ovvero che la
professionalità esistente non possa essere utilizzata per ragioni che devono essere dimostrate
(impossibilità oggettiva).
Tali ragioni possono essere la mancanza di una specifica esperienza e/o il carico di lavoro ecc.
Come ha ricordato il Dfp nello schema di regolamento, è opportuno che le amministrazioni
individuino e responsabilizzino uno specifico dirigente per effettuare queste verifiche.
Occorre che la materia oggetto dell’incarico corrisponda a finalità istituzionali dell’ente e che
essa si sostanzi in obiettivi o progetti specifici e determinati. In altri termini, non si può
ricorrere a questi incarichi per lo svolgimento di compiti generici ed ordinari: gli incarichi a soggetti
esterni possono essere conferiti solo per obiettivi precisi. Si registra dunque un sostanziale
avvicinamento con le previsioni dettate per le aziende private dalla legge Biagi: cioè il lavoro a
progetto. La norma prevede, ed è una novità, che il provvedimento di conferimento dell’incarico
sia motivato anche in termini di esigenze di funzionalità dell’ente: siamo dinanzi ad una
sorta di valutazione del rapporto tra costi e benefici che le amministrazioni devono effettuare.
Ed, ancora, le prestazioni devono essere altamente qualificate e temporanee e si devono
preventivamente determinare durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Le
precisazioni ed i chiarimenti introdotti in relazione al titolo di studio che deve essere posseduto
costituiscono un ulteriore intervento da sottolineare.
Siamo dinanzi ad una norma che sostanzialmente recepisce le indicazioni già fornite dalla Funzione
pubblica.
Il possesso del titolo di studio universitario costituisce una previsione di carattere generale;
essa può essere derogata nel caso di iscrizione ad un ordine o albo professionale, per le attività
artistiche e per quelle artigianali. Occorre in ogni caso il preventivo accertamento della effettiva
esperienza professionale. Ricordiamo che il Dfp ha anche precisato che la competenza universitaria
deve essere intesa come possesso di una laurea specialistica o magistrale o del vecchio
ordinamento.
La disposizione vuole infine limitare pesantemente il ricorso alle co.co.co., con ciò impedendo le
letture estensive fornite da alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. L’utilizzazione
dei collaboratori per lo svolgimento di funzioni ordinarie dell’ente diventa fonte di responsabilità
amministrativa per il dirigente che ha conferito tale incarico. Ed ancora la stessa responsabilità
matura nel caso di utilizzazione impropria delle collaborazioni, cioè con le modalità previste per il
lavoro subordinato.
I controlli sulla contrattazione
Vengono intensificati i controlli sulla contrattazione decentrata integrativa e sui fondi per le
risorse decentrate: è questa la risposta legislativa al fenomeno dell’ingiustificato aumento dei
costi che si registra nei contratti stipulati nella gran parte delle amministrazioni locali ed
all’illegittimità di una parte rilevante delle disposizioni in essi contenute. Il provvedimento avvia
così un radicale ripensamento delle regole attualmente in vigore in tema di relazioni
sindacali nel pubblico impiego; con l’approvazione del disegno di legge delega per la riscrittura
del Dlgs n. 165 del 2001 tale ripensamento si completerà con la revisione delle materie oggetto di
contrattazione (che saranno fortemente ridotte) e delle procedure.
Le amministrazioni locali devono prestare una particolare attenzione agli effetti che derivano
dall’applicazione dell’art. 67 del Dl n. 112/2008: esse infatti corrono il concreto rischio che nei
loro confronti si aprano le procedure previste dalla norma, e cioè la contestazione degli errori, la
sospensione delle relative clausole e l’obbli go di recupero nella sessione contrattuale
immediatamente successiva. Ed ancora che si possa aprire un procedimento dinanzi alla Corte dei
conti per responsabilità amministrativa.
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Non dimentichiamo che, per espressa indicazione del Dlgs n. 165/2001, ripetuta nello stesso Ccnl
del 1° aprile 1999, la contrattazione decentrata è gerarchicamente subordinata a quella nazionale
e, di conseguenza, le clausole dei contratti decentrati che sono in contrasto con quelle nazionali o
che disciplinano materie ad esse non rimesse o che dispongono spese aggiuntive, sono nulle e non
possono essere applicate, formula quest’ultima che sottolinea l’elevata responsabilità che è
posta in capo agli amministratori, ai segretari, ai dirigenti ed ai responsabili.
In altri termini, è quanto meno opportuno che venga rapidamente, cioè prima della trasmissione di
una copia dei contratti stessi, effettuato un check up dei contenuti della contrattazione decentrata
integrativa e che le clausole di dubbia legittimità siano attentamente controllate.
Il co. 8 obbliga tutte le amministrazioni, entro il 31 maggio di ogni anno, ad inviare alla Corte
dei conti, tramite la Ragioneria generale dello Stato, specifiche informazioni sulla
contrattazione decentrata integrativa.
Tali informazioni devono essere certificate da parte degli organi di controllo interno, cioè nei
comuni e nelle province da parte dei revisori dei conti. Il modello da utilizzare sarà definito dal
giudice contabile, d’intesa con la Rgs e con il dipartimento della Funzione pubblica. Si può
ipotizzare, anche sulla base della coincidenza delle date, del richiamo al ruolo dei controlli interni e
dell’espresso collegamento con il conto del personale, che la concreta attuazione di questa norma
si realizzerà attraverso un’integrazione delle informazioni richieste tramite tale strumento.
La norma di legge individua tre punti su cui i modelli di trasmissione delle informazioni si dovranno
analiticamente diffondere: la costituzione del fondo per le risorse decentrate, il loro
andamento nel corso degli anni e le clausole dei contratti decentrati che danno
attuazione ai principi di valorizzazione del merito, in particolare nella produttività e nelle
progressioni orizzontali. Come si vede, le notizie da fornire riguarderanno tutti i punti più “caldi”
della contrattazione collettiva decentrata integrativa.
Queste informazioni saranno utilizzate, in primo luogo, per monitorare l’andamento della
contrattazione nei vari comparti e proporre le modifiche che si giudicheranno necessarie, in
particolare attraverso il referto sul costo del lavoro pubblico che la magistratura contabile deve
presentare annualmente al Parlamento. Ma, sulla base della norma, da parte della Corte dei conti
possono essere segnalate anomalie e proposti interventi correttivi anche a livello di singole
amministrazioni. In questo caso matura per gli enti l’obbligo di sospendere l’applicazione delle
clausole di cui è stata segnalata l’illegittimità e, con la prima contrattazione successiva, di
recuperare quanto indebitamente erogato. La norma ci ricorda che rimane comunque ferma
l’eventuale responsabilità amministrativa maturata, che - ricordiamo - può configurarsi in
capo al presidente ed ai componenti la delegazione trattante di parte pubblica, ai dirigenti o ai
responsabili che hanno dato attuazione a queste clausole, al segretario ed agli amministratori che
hanno autorizzato la sottoscrizione del contratto.
Viene inoltre previsto che queste informazioni siano rese pubbliche e che le PA siano tenute
a pubblicarle sul proprio sito internet, peraltro con modalità che devono consentire un immediato
accesso. La mancata applicazione di questo vincolo viene sanzionata con il divieto di
integrare le risorse destinate alla contrattazione decentrata integrativa e gli organi di revisione
sono impegnati a vigilare sulla corretta applicazione di queste disposizioni.
L’articolo prevede, e siamo ai commi iniziali, una serie di tagli alle risorse che le norme di legge
destinano al finanziamento della contrattazione decentrata integrativa del personale delle
amministrazioni statali. Viene previsto che l’erogazione di queste risorse sia sospesa nell’anno
2009 e che dall’anno 2010 gli importi siano ridotti del 20%. Ed ancora si dispone, sempre per
le amministrazioni statali ed a partire dall’anno 2009, il taglio del 10% delle risorse
complessivamente destinate alla contrattazione decentrata integrativa.
I risparmi conseguiti attraverso l’applicazione di queste disposizioni affluiscono al bilancio
dello Stato. Questa norma ha una duplice importanza per gli enti locali. In primo luogo,
costituisce una disposizione di principio; ma, sulla base delle previsioni espressamente contenute
nell’art. 76, queste norme sono utilizzabili per raggiungere l’obiettivo di contenere la spesa per
la contrattazione integrativa e ridurre l’incidenza degli oneri per il personale sul complesso della
spesa corrente.
Vengono inoltre dettate alcune modificazioni alle regole che presiedono alla contrattazione
collettiva nazionale.
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La novità di maggiore rilievo è costituita dal divieto di stipulare contratti in presenza di una
certificazione negativa da parte della Corte dei conti. A seguito di una tale pronuncia, il
presidente dell’Aran è tenuto a riconvocare le parti per riscrivere le norme non certificate.
Ovvero, se i rilievi riguardano singoli aspetti, il contratto potrà essere sottoscritto ed applicato per
tutte le parti non contestate, mentre quelle su cui la Corte dei conti si è pronunciata negativamente
rimangono sospese.
Ed ancora vengono riscritte le norme sulle procedure di certificazione dei Ccnl. Si conferma che
le verifiche si devono concludere entro il termine di 40 giorni dalla data di sottoscrizione della
pre-intesa e che tale termine può essere prolungato per una volta sola di 15 giorni, per
arrivare ad un massimo di 55 giorni, se il comitato di settore e/o il Governo chiedono chiarimenti
all’Aran. La norma si completa stabilendo che il riferimento normativo comprende unicamente i
giorni lavorativi.
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Semplificazione
Dopo la Dia avvio dell'impresa immediatoOberdan Forlenza, Guida al Diritto, Il Sole
Come si è già visto in sede di analisi del decreto legge
24 Ore, 20 settembre 2008 n. 37, p. 88
112/2008, gli articoli 38 e 43 introducono (sia pure attraverso il rinvio a successive disposizioni, di
fonte regolamentare e non) misure volte a semplificare l'attività delle imprese, consistenti:
in primo luogo (quelle di cui all'articolo 38), nel disciplinare l'avvio dell'attività imprenditoriale,
quale ne sia l'oggetto, al fine, così come è espressamente affermato, «di garantire il diritto di
iniziativa economica privata di cui all'art. 41 Cost.», conseguendo l'obiettivo (come si afferma
nella rubrica) dell'«impresa in un giorno»;
in secondo luogo (quelle di cui all'articolo 43, che non ha, in pratica, subito alcuna modifica),
nella «semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e di sviluppo
dell'impresa», al fine di «favorire l'attrazione degli investimenti e la realizzazione di progetti di
sviluppo di impresa rilevanti per il rafforzamento della struttura produttiva del Paese, con
particolare riferimento alle aree del Mezzogiorno».
Impresa in un giorno e semplificazione degli strumenti di attrazione degli investimenti e
di sviluppo dell'impresa (Dl 112/2008, articoli 38 e 43) - In sede di conversione, le modifiche
apportate ai due articoli in esame (e in particolare al secondo), si presentano affatto marginali,
senza dunque incidere sulla sostanza del contenuto normativo, nemmeno per migliorare il testo o
sciogliere (attraverso una più chiara esposizione) alcuni dubbi interpretativi.
Ed è appena il caso di ricordare che (come si è più diffusamente esaminato in sede di commento al
decreto legge, cui si rinvia), non è la prima volta che il legislatore interviene per snellire i
procedimenti relativi all'avvio di attività di impresa, attraverso norme che, per molti versi, già
sembrano prevedere rimedi quali quelli ora introdotti, come ad esempio:
sul piano dell'attività amministrativa (ora) procedimentalizzata, il limite al ricorso all'esercizio
di potestà autorizzatoria, prevedendo casi in cui è sufficiente una mera «dichiarazione (o
denuncia) di inizio attività», ovvero, nel caso in cui il procedimento resti necessario, ipotesi di
silenzio-assenso ovvero di intervento di terzi privati, in attività istruttorie proprie della
pubblica amministrazione (legge 229/2003 di modifica dell'articolo 20 della legge 59/1997);
qualora l'avvio di una attività dipenda dall'esercizio di poteri autorizzatori di più
amministrazioni, con la previsione della conferenza di servizi (anche a richiesta di privati) e lo
sportello unico. Già ora, infatti, nelle ipotesi in cui l'avvio di una attività del privato dipende
dall'emanazione di provvedimenti da parte di più amministrazioni, può essere convocata una
conferenza di servizi da parte dell'amministrazione «competente per l'adozione del
provvedimento finale», su richiesta del privato stesso (articolo 14 della legge 241/1990);
in particolare, con l'istituzione dei distretti produttivi (legge 28 dicembre 2005 n. 266), con
l'obiettivo di «accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare
l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione, secondo principi di sussidiarietà verticale e
orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali»;
per ciò che riguarda gli adempimenti amministrativi previsti per l'iscrizione al registro delle
imprese, attraverso l'istituzione della comunicazione unica (articolo 9 del Dl 7/2007, convertito
dalla legge 40/2007);
inoltre, con il decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, convertito dalla legge 80/2005 il legislatore
ha ridisciplinato gli istituti della dichiarazione di inizio attività (articolo 19 della legge
241/1990) e del silenzio-assenso (articolo 20 della legge 241/1990), prevedendo che
quest'ultimo trovi generalizzata applicazione, fuori dei casi di Dia e fatti salvi alcuni settori
espressamente esclusi.
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Prima di esaminare il contenuto delle disposizioni, e delle modifiche apportate, occorre ricordare,
sul piano operativo, che il legislatore non introduce norme immediatamente operative, ma detta
criteri cui devono ispirarsi successivi atti da adottarsi, e precisamente: regolamenti governativi
cosiddetti di delegificazione, nel caso dell'articolo 38, e un decreto di natura non regolamentare del
ministro delle Sviluppo economico, nel caso dell'articolo 43.
Le novità - Più in generale, occorre sottolineare che le norme introdotte dal legislatore (e quelle di
cui ai successivi atti normativi di completamento) trovano generale applicazione, imponendosi
anche alle regioni. Ciò in quanto, richiamando l'articolo 117, comma secondo, lettere m) e p) della
Costituzione, il legislatore ha affermato (articolo 38, comma 2), che tali norme rientrano nella
potestà legislativa esclusiva dello Stato, poiché attengono «ai livelli essenziali delle prestazioni per
garantire uniformemente i diritti civili e sociali e omogenee condizioni per l'efficienza del mercato e
la concorrenzialità delle imprese su tutto il territorio nazionale».
La disciplina dell'impresa in un giorno - L'articolo 38 afferma che, al fine di garantire il diritto
di iniziativa economica privata, costituzionalmente previsto, per il soggetto in possesso dei requisiti
di legge, «l'avvio di attività imprenditoriale... è tutelato sin dalla presentazione della dichiarazione
di inizio attività e della richiesta del titolo autorizzatorio».
Le osservazioni - In sede di conversione, il legislatore non è intervenuto con modifiche sostanziali
al testo, di modo che non possono che restare ferme le osservazioni già formulate in sede di primo
commento, alle quali se ne aggiungono di ulteriori.
La prima osservazione, di carattere generale, riguarda lo stesso ambito di applicazione della nuova
disciplina, che, come si è già detto, è stata dichiarata espressione di potestà legislativa esclusiva
dello Stato (e quindi tale da imporsi anche alla disciplina regionale).
È senza dubbio ragionevole la ricerca di una disciplina unitaria, ma occorre osservare che, in
occasione delle modifiche alla legge 241/1990 operate dalla legge 15/2005 (e cioè relative agli
istituti della conferenza di servizi, Dia, silenzio assenso), è stato lo stesso legislatore statale a
escludere (ripetutamente: si vedano l'articolo 21 della legge n. 15 e il modificato articolo 29 della
legge 241/1990) che tali norme fossero espressione di potestà legislativa esclusiva, creando non
pochi problemi agli interpreti e agli operatori.
Se ora vi è un ripensamento consapevole, questo non può che essere accolto favorevolmente, ma,
purtroppo, i dubbi non possono dirsi del tutto fugati. E infatti: è veramente possibile, ad esempio,
attrarre alla potestà legislativa esclusiva dello Stato aspetti, quali quelli del governo del territorio
(al quale inerisce la disciplina edilizia da applicare agli immobili da adibire all'attività produttiva),
aspetti espressamente afferenti alla legislazione concorrente, e quindi alla potestà legislativa di
dettaglio delle regioni? Sul punto (con particolare riguardo alla Dia), occorre forse riprendere
quanto affermato (in senso regionalista) dalla sentenza 303/2003 della Corte costituzionale.
Ancora: come è possibile delegare alle Camere di commercio la gestione dello sportello unico, se
almeno parte delle funzioni da questo svolte attiene a materie (si pensi ancora alla edilizia e
urbanistica, al commercio), di competenza regionale, e dalle regioni delegate ai comuni?
Vi sono, poi, ulteriori osservazioni, già in parte formulate.
In primo luogo, l'articolo 38 afferma (senza che ciò abbia un particolare e innovativo significato
giuridico) che «l'avvio di attività imprenditoriale... è tutelata fin dalla presentazione della
dichiarazione di inizio di attività o dalla richiesta del titolo autorizzatorio». Né sembra che la norma
aggiunga speciali modalità di tutela. Inoltre:
per un verso, si afferma che, salvo eccezioni espressamente indicate, «lo sportello unico
produttivo costituisce l'unico punto di accesso per il richiedente in relazione a tutte le vicende
amministrative riguardanti la sua attività produttiva» (articolo 38, comma 3, lettera a), con il
che si fa supporre la persistenza di poteri autorizzatori della Pa; al tempo stesso si demanda
alle Agenzie per le imprese il rilascio di un titolo autorizzatorio per l'esercizio dell'attività,
allorché questa dipenda dal mero accertamento del possesso dei requisiti (attività
amministrativa vincolata);
per un verso, si afferma che la Dia consente l'avvio immediato dell'attività stessa (con ciò
ritornando all'originaria e più consona previsione dell'articolo 19 della legge 241/1990,
sostituita da un avvio posticipato, con le modifiche introdotte dal Dl 35/2005), e per altro
verso si afferma che la ricevuta rilasciata in occasione della presentazione della Dia
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«costituisce titolo autorizzatorio». Il che produce un duplice, paradossale effetto: in primo
luogo, si reintroduce una autorizzazione in procedimenti in cui essa non era più prevista
(mentre la volontà del legislatore - sembrerebbe di comprendere - è volta alla riduzione dei
poteri autorizzatori); in secondo luogo, tale previsione contrasta sia con la dichiarazione di
conformità delle Agenzie, che non prevede più l'esigenza di Dia e di ricevute, sia con la
speditezza: se la ricevuta costituisce provvedimento autorizzatorio essa non può essere
ragionevolmente rilasciata all'atto della mera presentazione, ma comporta accertamenti e,
quindi, ben difficilmente l'impresa si avvierà in un giorno;
infine, molto confusa appare la previsione della lettera h), secondo la quale, qualora non vi sia
stata la conferenza di servizi, decorso il termine entro il quale le amministrazioni partecipanti
devono fornire il loro avviso, l'amministrazione procedente provvede anche senza tali avvisi
(sempre che, come è ovvio, li abbia richiesti), ma si prevede altresì che, salvo tale ultima
ipotesi, «il responsabile del procedimento non può essere chiamato a rispondere degli eventuali
danni derivanti dalla mancata emissione degli avvisi medesimi». Ma colui che «non può essere
chiamato a rispondere» non è il responsabile del procedimento, bensì, più propriamente, colui
che, avendo la potestà provvedimentale, emana l'atto finale; né si è chiamati a rispondere dei
danni causati «dalla mancata emissione degli avvisi medesimi», bensì, più correttamente, dal
provvedimento emanato senza la previa acquisizione degli avvisi.
In sede di conversione del decreto, il Parlamento non ha ritenuto di migliorare il testo, chiarendo i
dubbi che esso pone già a prima lettura; né ha ritenuto di riordinare la ormai intricata serie delle
disposizioni in tema di semplificazione dell'attività amministrativa.
Restano, infine, intatti i dubbi in ordine all'adeguatezza degli atti indicati (regolamenti di
delegificazione e decreti non aventi ex lege natura regolamentare) al fine del completamento della
normativa primaria. Toccherà alla giurisprudenza, ad esempio, individuare - in presenza di un
regolamento governativo (quello da emanarsi) e di leggi regionali in materie di legislazione
concorrente
quale
sia
la
disciplina
concretamente
applicabile.
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