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cop_GDO2:Layout 1 29/04/10 17:24 Pagina 1
PROGETTO REGIONALE
“QUALITÀ, REGOLARITÀ E SICUREZZA NEL LAVORO”
Il lavoro di qualità nella
Grande distribuzione
organizzata
Assessorato Politiche attive del lavoro e della Occupazione.
Politiche dell’immigrazione
Unione Europea
Fondo sociale europeo
REGIONE LIGURIA
PROGETTO REGIONALE
“QUALITÀ, REGOLARITÀ E SICUREZZA NEL LAVORO”
Il lavoro di qualità nella
Grande Distribuzione
Organizzata
Genova, 15 marzo 2010
Ringraziamenti
Le attività sono state realizzate anche grazie al coinvolgimento diretto delle Associazioni Datoriali e Sindacali interessate ed in collaborazione
con i Soggetti Istituzionali.
Un doveroso e sentito ringraziamento, quindi, ai soggetti che hanno partecipato sin dalle fasi di progettazione e che hanno seguito lo svolgimento delle attività, ed in particolare a:
AGCI - Associazione Generale Cooperative Italiane | Associazione Nazionale Cooperative Dettaglianti ANCD NORDICONAD Liguria
Associazione Regionale Cooperative Consumatori ARCC | C.G.I.L. regionale Liguria | CISL
Confcommercio Liguria - Unione Regionale del Commercio e del Turismo della Liguria | Confcooperative Genova | Confesercenti Liguria
Confindustria Genova, Sezione GDO | Ente Bilaterale del Terziario Liguria -Terziario | Federdistribuzione, sede centrale
FILCAMS Commercio | FISASCAT (Federazione italiana addetti servizi commerciali, affini e del turismo)
Lega Ligure delle Cooperative - Legacoop Liguria GE | U.I.L.Tu.C.S. Unione Italiana Lavoratori Turismo, Commercio e Servizi | UIL
e alle strutture regionali del Dipartimento Sviluppo Economico - Settore Politiche di sviluppo del Commercio.
La realizzazione dell’indagine è stata possibile anche grazie alla collaborazione delle imprese;
• per la rilevazione diretta per l’approfondimento del quadro di contesto:
COOP (Supermercati – Ipermercati) | Di Meglio (Gruppo Interdis) | Dì per Dì (Gruppo Carrefour) | Euronics | FELTRINELLI | Gulliver (ALFI s.r.l.)
IN’S Mercato (Gecos – Gruppo PAM) | IKEA Italia Retail s.r.l. | La RINASCENTE | MAXISCONTO s.r.l. (Gruppo Dimar Spa)
MERCATONE UNO (M. Quarantadue s.r.l.) | METRO Italia Cash & Carry S.P.A | MONDADORI (Libreria Mondatori Retail s.p.a.)
PENNY MARKET Italia s.r.l. (Gruppo REWE) | SOGEGROSS | UNIEURO (Gruppo DGS International)
• per l’analisi dei casi, le seguenti imprese:
Basko | Brico Center | Carrefour | Decathlon | Ekom | E.Leclerc Conad | SoGeGross | Ikea | Ipercoop | La Prealpina | Metro
• per l’analisi dei casi si ringraziano inoltre le rappresentanze sindacali delle seguenti aziende:
Basko | Brico Center | Carrefour | Castorama | Decathlon | Ekom | E.Leclerc Conad | Esselunga | Gruppo So.Ge.Gross | Ikea | Ipercoop
La Prealpina | Metro
Il Dipartimento Ricerca, Innovazione, Istruzione, Formazione, Lavoro e Cultura della Regione Liguria ha promosso, attraverso l’Ufficio Sicurezza
e Qualità del Lavoro, il Progetto regionale “Qualità, regolarità e sicurezza nel lavoro”, affidandone l’attuazione ad Agenzia Liguria Lavoro.
Il gruppo di Agenzia Liguria Lavoro è costituito:
• Per l’analisi di contesto dall’UO Osservatorio Mercato del Lavoro:
• Adriana Rossato, con funzioni di coordinamento
• Monica Fiorentino
• Lia Orzati
• Valeria Pastore
• Per l’indagine diretta dall’UO Monitoraggio e Analisi:
• Elisabetta Garbarino, con funzioni di coordinamento
• Cristina Alloisio
• Carola Bargagliotti
• Daniela Maggi
• Per l’analisi dei casi, Agenzia ha affidato l’incarico alla Cooperativa Sociale La Cruna, che si è avvalsa della collaborazione di:
• Angelo Gasparre
• Marco Razzi
La stesura di questo volume è frutto di una riflessione comune del gruppo di lavoro; le attribuzioni specifiche sono:
Premessa alla lettura di Elisabetta Garbarino
Capitolo 1 di Valeria Pastore, ad eccezione del paragrafo 1.2 di Angelo Gasparre
Capitolo 2 di Adriana Rossato e Monica Fiorentino
Capitolo 3 di Marco Razzi, ad eccezione del paragrafo 3.9 di Angelo Gasparre
Alcune riflessioni conclusive di Angelo Gasparre
Daniela Maggi ha curato la rielaborazione e la sintesi delle interviste, oltre ad aver partecipato alla fase di realizzazione delle stesse.
Le attività sono state realizzate nel corso del 2009.
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Progetto: studio grafico Andrea Musso
INDICE
Premessa alla lettura
Gli obiettivi del progetto complessivo
La progettazione del percorso di ricerca
L’impostazione metodologica
Guida alla lettura
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Capitolo 1 – Il quadro di contesto
1.1 Lo scenario economico internazionale e nazionale: effetti su commercio e consumi
1.2 Lo scenario strategico e organizzativo: effetti su competitività e qualità del lavoro
1.3 Alcuni dati sulla grande distribuzione organizzata in Italia e in Liguria
1.3.1 La rete distributiva
1.3.2 Gli occupati
1.4 Elementi di attenzione sulla grande distribuzione italiana
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Capitolo 2 – La rilevazione dei dati
2.1 Le fasi preliminari dell’indagine
2.2 I risultati della rilevazione diretta
2.2.1 I soggetti coinvolti
2.2.2 Le caratteristiche dell’occupazione della Grande Distribuzione Organizzata in Liguria
2.2.3 L’analisi dell’occupazione per tipologia distributiva
2.2.4 I lavoratori stranieri
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Capitolo 3 – L’analisi dei casi
3.1 Premessa metodologica
3.2 La popolazione aziendale
3.3 L’ingresso in azienda
3.4 L’inquadramento contrattuale
3.5 Tempi e luoghi di lavoro
3.6 La formazione
3.7 La carriera
3.8 Qualità, salute e sicurezza, responsabilità sociale
3.9 Alcune buone pratiche nelle aziende liguri della GDO
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Alcune riflessioni conclusive
Premessa
Il quadro di riferimento: la buona occupazione e il “lavoro di qualità”
Flessibilità delle relazioni di lavoro e lavoro di qualità
Flessibilità, ottimizzazione della logistica e sicurezza
Flessibilità, innovazione tecnologica e cambiamento nel lavoro
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Bibliografia e sitografia
Bibliografia
Sitografia
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Allegati
1. Uno sguardo alla normativa
2. Principali definizioni e classificazioni
3. Aziende e gruppi coinvolti nella rilevazione quantitativa - Anno 2009
4. Scheda rilevazione quantitativa - Anno 2009
5. La traccia delle interviste per l’analisi dei casi
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Premessa
Il progetto Qualità, regolarità e sicurezza nel lavoro, promosso dalla Regione e realizzato per il tramite di Agenzia Liguria
Lavoro, prende avvio dalla legge regionale n. 30 del 13 agosto 2007, norme regionali per la sicurezza e la qualità del lavoro
ed è finalizzato a fornire strumenti conoscitivi utili a definire le politiche regionali più idonee su queste tematiche.
Tale indagine, che sperimentalmente ha interessato l’Agricoltura e la Grande Distribuzione Organizzata, è stata realizzata
nel corso del 2009 con il coinvolgimento diretto delle Associazioni Datoriali interessate ed in collaborazione con le Amministrazioni pubbliche e le Organizzazioni Sindacali, dando modo di attivare una rete sul territorio a dimostrazione del fatto
che dal coordinamento e dalla condivisione possono nascere progetti partecipati e quindi meglio rispondenti alle esigenze
delle realtà produttive della nostra regione.
Gli spunti e la ricchezza delle informazioni emersi da questo lavoro hanno inoltre consentito l’avvio di un Osservatorio sul
tema e la sperimentazione di una metodologia trasferibile ad altre realtà, stimolando così a proseguire su questo percorso,
in una logica di prevenzione ed ascolto dei bisogni in relazione a particolari aree e settori produttivi.
Ringraziando per la disponibilità offerta, auspico che questa collaborazione possa proseguire anche in futuro con l’obiettivo di condividere politiche e strategie orientate alla diffusione della cultura della sicurezza e della legalità del lavoro, in
un modus operandi socialmente responsabile da parte di datori di lavoro e imprese.
Genova, 15 marzo 2010
Giovanni Enrico Vesco
Assessore al Lavoro
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Premessa alla lettura
Gli obiettivi del progetto complessivo
Con la legge regionale n. 30 del 13 agosto 2007 “Norme regionali per la sicurezza e la qualità del lavoro”, che ha definito le politiche regionali per la qualità, la regolarità e la sicurezza del lavoro individuandone le azioni di indirizzo e di
coordinamento, le priorità e le strategie, la Regione Liguria ha avviato, in collaborazione con gli Enti locali, le Parti Sociali
e le Amministrazioni pubbliche e private, un programma di interventi finalizzato a realizzare un sistema integrato di sicurezza, tutela e miglioramento della vita lavorativa, per prevenire i rischi e garantire la regolarità ed il benessere nei
luoghi di lavoro.
Parallelamente, al fine di supportare e meglio finalizzare la futura programmazione regionale e le conseguenti linee di
intervento, è stato avviato il progetto regionale “Qualità, Regolarità e Sicurezza nel lavoro”, promosso dall’Ufficio Sicurezza e Qualità del Lavoro e realizzato per il tramite dell’Agenzia Liguria Lavoro, che si prefigge di fornire al sistema
regionale strumenti conoscitivi, qualitativi e quantitativi utili a favorire la realizzazione di azioni mirate ed effettivamente
rispondenti ai bisogni delle imprese e dei lavoratori liguri, in materia di qualità, regolarità e sicurezza del lavoro.
Attraverso un continuo raccordo con le Parti Sociali sono state impostate le attività di indagine finalizzate, appunto, ad
individuare esperienze, fabbisogni e linee di indirizzo per la programmazione e la realizzazione, a livello regionale, di
azioni mirate per lo sviluppo della cultura e della pratica della regolarità e della sicurezza sul lavoro.
Le attività di indagine hanno posto l’attenzione principalmente sul tema della regolarità del lavoro, anche in relazione
con quello della salute e sicurezza (le tematiche della prevenzione degli infortuni e della sicurezza sul lavoro si accompagnano spesso al problema del lavoro nero o parzialmente irregolare), tenendo conto delle diverse peculiarità proprie
dei due ambiti:
• sul tema della regolarità nel lavoro non esiste in Liguria un sistema strutturato di lettura quantitativa e qualitativa
del fenomeno, anche in relazione alla delicatezza dell’argomento e alla difficoltà di reperire i dati all’origine,
• sul tema della salute e sicurezza sul lavoro esistono pluralità di esperienze e informazioni, nonché una cultura pubblica
e privata più consolidata.
Pertanto il progetto ha previsto – con il coinvolgimento diretto delle associazioni datoriali interessate ed in collaborazione con soggetti istituzionali referenti e parti sindacali – sia una analisi di sfondo (a cura dell’UO Osservatorio Mercato
del Lavoro) sia un approfondimento qualitativo (a cura dell’UO Monitoraggio e Analisi) in relazione ai settori dell’agricoltura e della Grande Distribuzione Organizzata (GDO), al fine di individuare esperienze, fabbisogni e linee di indirizzo
per la programmazione e la realizzazione, a livello regionale, di azioni mirate per lo sviluppo della cultura e della pratica
della regolarità e della sicurezza sul lavoro.
Come sintetizzato nei documenti condivisi nelle diverse riunioni effettuate con le parti sociali, le finalità di questo progetto sono quelle di:
1. Migliorare la conoscenza delle realtà economiche liguri in relazione ai settori individuati per venire incontro ai problemi
di regolarità e sicurezza con azioni mirate di sostegno a imprese e lavoratori, non ai fini repressivi ma in una logica di
prevenzione ed ascolto dei bisogni.
2. Promuovere un maggior coordinamento e un’efficace collaborazione tra imprese e pubblica amministrazione locale attraverso la valorizzazione degli apporti delle parti sociali e della bilateralità.
3. Favorire e promuovere l’analisi e il confronto di buone prassi ed esperienze realizzate localmente trasferibili sul territorio
regionale.
4. Definire, sulla base degli esiti delle azioni di indagine e ricerca, le “linee di indirizzo” finalizzate alla programmazione
e realizzazione dei successivi interventi da attuare.
5. Individuare le politiche attive più idonee a favorire l’ instaurazione di rapporto di lavoro regolari e garantire più elevate
condizioni di sicurezza.
La governance del progetto, a regia regionale, è stata realizzata attraverso la costituzione di un Tavolo Tecnico, composto
da Regione Liguria, da rappresentanti degli Enti locali, delle Associazioni datoriali e sindacali, dagli Enti istituzionali competenti e coinvolti nel progetto, nonché dai referenti di Agenzia Liguria Lavoro, a cui è stata affidata la gestione operativa
degli interventi.
Il Tavolo Tecnico ha contribuito, in particolare, alla definizione della cornice di riferimento del progetto, individuando:
• gli ambiti di intervento; in relazione ai settori si è dato rilievo a quello dell’agricoltura nello spezzino e della Grande Distribuzione Organizzata in Liguria;
• gli Enti e le Associazioni datoriali e sindacali e altri soggetti dei settori/territori individuati, che sono stati coinvolti sia
nelle fasi di progettazione che nelle fasi di indagine e di comunicazione del progetto e che hanno fornito dati, materiali
e testimonianze provenienti dalla loro esperienza, al fine di favorire un’ampia ed efficace collaborazione di tutti i
soggetti coinvolti, contribuendo in modo assolutamente proficuo alla buona riuscita del progetto.
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All’interno del Tavolo Tecnico, attraverso incontri periodici, sono stati di volta in volta riportati gli esiti progressivi dell’iniziativa al fine di condividere le modalità di sviluppo del progetto in un’ottica anche di ridefinizione e di miglioramento
della programmazione dei successivi interventi.
Inoltre, l’avvio operativo dei progetti ha creato dei gruppi di lavoro specifici per i due settori di analisi.
Agricoltura: Referenti Parti Sociali
• CIA Liguria
• Coldiretti Liguria
• Confagricoltura
• Unione Provinciale Agricoltori
• CGIL FLAI
• FAI CISL Liguria
Grande Distribuzione Organizzata: Referenti Parti Sociali
• AGCI - Associazione Generale Cooperative Italiane
• Associazione Nazionale Cooperative Dettaglianti ANCD NORDICONAD Liguria
• Associazione Regionale Cooperative Consumatori ARCC
• C.G.I.L. regionale Liguria
• CISL
• Confcommercio Liguria - Unione Regionale del Commercio e del Turismo della Liguria
• Confcooperative Genova
• Confesercenti Liguria
• Confindustria Liguria
• Ente Bilaterale del Terziario Liguria –Terziario
• Federdistribuzione
• FILCAMS Commercio
• FISASCAT (Federazione italiana addetti servizi commerciali, affini e del turismo)
• Lega Ligure delle Cooperative - Legacoop Liguria GE
• U.I.L.Tu.C.S. Unione Italiana Lavoratori Turismo, Commercio e Servizi
• UIL
Il progetto complessivo aveva l’obiettivo sia di acquisire informazioni che potremmo definire “strutturali”, attraverso l’avvio di un Osservatorio di taglio quantitativo sia di approfondire con un’indagine qualitativa i temi legati all’organizzazione
del lavoro.
La ricaduta operativa, o meglio il “prodotto atteso” consiste nel fornire un supporto progettuale alla Regione – Ufficio
Sicurezza e Qualità del Lavoro – nella applicazione delle opportunità offerte dalla legislazione nazionale e regionale, con
particolare riferimento alla legge regionale n. 30/2007.
Per quanto riguarda l’individuazione dei settori produttivi – focus dell’indagine – si è tenuto conto delle risultanze del
Piano regionale della Prevenzione, del Rapporto annuale INAIL sugli infortuni sul lavoro, dei dati dell’attività di vigilanza
della Direzione regionale del lavoro e dell’INAIL e dalle proposte emerse nei diversi momenti di discussione con le Parti Sociali. Tali proposte sono collegate all’esigenza sia di ridurre e prevenire fenomeni collegati con l’irregolarità del lavoro sia di
individuare idee progettuali per realizzare investimenti migliorativi finalizzati ad innalzare la “qualità del lavoro” in Liguria.
Tra i settori maggiormente collegati a queste esigenze, si segnalano il settore agricolo, l’edilizia, il commercio, i trasporti,
il settore alberghiero e dei pubblici esercizi mentre, per quanto riguarda gli ambiti produttivi maggiormente a rischio di
infortuni sul lavoro e malattie professionali, le rilevazioni regionali evidenziano i settori delle costruzioni, dell’agricoltura,
dei trasporti e della cantieristica.
In considerazione del carattere sperimentale del progetto si è deciso di limitare l’attività di indagine a due soli settori produttivi,
l’agricoltura e il commercio (a regime si prevede infatti di estendere l’analisi anche agli altri comparti1) che, oltre ad essere
presenti su tutto il territorio regionale, costituiscono, ai fini dell’indagine, un ambito significativo di intervento rispetto a:
• tipologie contrattuali applicate (molti lavoratori atipici e stagionali);
• esposizione a rischio infortuni (in particolare nel settore agricolo – Piano regionale della Prevenzione 2007);
• problemi di conciliazione tra tempi e luoghi di vita e tempi e luoghi di lavoro (in particolare nel settore commercio);
• significativa presenza di lavoratori immigrati (sia nel settore agricolo sia nel settore terziario/servizi, con particolare riferimento alle attività di pulizia e facchinaggio).
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Ad esclusione, in questa fase iniziale, del settore edile in quanto già oggetto di iniziative specifiche quali il “Progetto Obiettivo” previsto dalla legge
regionale n. 31/2007 destinato al settore edilizia che prevede, tra gli altri, interventi mirati in materia di sicurezza e regolarità del lavoro.
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In linea con quanto previsto dal progetto è stata avviata e realizzata l’analisi quali-quantitativa finalizzata a conoscere
i fabbisogni espressi dal sistema socio economico in tema di regolarità, salute e sicurezza sul lavoro.
In particolare, dal punto di vista quantitativo l’attività è consistita nella messa a regime, attraverso la creazione
dell’“Osservatorio sul lavoro non regolare in Liguria” (come sezione e quindi parte integrante dell’Osservatorio regionale
sul mercato del lavoro), delle informazioni esistenti in materia (fonti istituzionali sia nazionali che locali, analisi di materiale documentale, esiti dell’indagine sul campo, ...) con la finalità di costruire uno strumento che consenta una lettura
continuativa e aggiornata del fenomeno accennato.
Dal punto di vista qualitativo, l’indagine è stata realizzata attraverso un’analisi sul campo sia per il settore agricolo che
per quello della GDO con interviste semistrutturate, al fine di individuare i bisogni di sostegno sul tema espressi dalle
imprese, sia in termini di incentivi che di formazione, partendo da quanto sinora già realizzato.
Nella fase di avvio della rilevazione sono state contattate le Associazioni di Categoria (per altro già coinvolte in sede di
progettazione generale dell’indagine) in qualità di interlocutori privilegiati sia per concordare il contenuto della scheda
di rilevazione, sia per definire le modalità adeguate di ricerca degli interlocutori aziendali.
Le attività previste dal progetto hanno ‘prodotto’ due indagini, differenti nella loro impostazione metodologica, ma coerenti con gli obiettivi generali del progetto.
In questo volume ci soffermeremo sul tema della GDO2, proponendo una lettura dell’intero processo di ricerca, dall’impostazione condivisa con le parti sociali ai risultati emersi, a loro volta fonte di ulteriori suggestioni.
La scelta – rispetto alla GDO – è imputabile al fatto che tale comparto costituisce un terreno di ricerca particolarmente
interessante sotto il profilo dei temi oggetto di approfondimento.
Si tratta, infatti, di un ambito operativo nel quale si intrecciano alcuni dei fenomeni più rilevanti che, in relazione alle trasformazioni in atto nelle imprese, nei mercati e, più in generale, dei modelli di business, caratterizzano il mercato del lavoro
italiano nel suo complesso. In particolare: l’evoluzione delle relazioni di impiego secondo la logica della flessibilità contrattuale e le trasformazioni – più in generale – delle modalità di rapporto tra tempi e luoghi di vita e tempi e luoghi di lavoro.
Tali trend costituiscono il risultato di un’evoluzione che investe in particolare il lato della domanda di beni e servizi che
sempre più spinge verso la logica “anytime–anywhere–anyhow shopping” (ampliamento degli orari di apertura al pubblico e delle possibilità di fruizione di canali distributivi sia tradizionali sia virtuali), rispetto alla quale i soggetti di offerta
hanno sviluppato nel tempo modalità innovative e flessibili di gestione delle risorse umane e dei processi organizzativi.
La progettazione del percorso di ricerca
A partire dagli obiettivi generali del progetto regionale Qualità, regolarità e sicurezza nel lavoro, sintetizzati in precedenza, sin dalle prime fasi di impostazione si è tenuto conto del quadro di riferimento, ossia quello di acquisire informazioni utili alla programmazione di interventi, in modo integrato rispetto ad altre attività dell’Ufficio Sicurezza; in particolare la campagna di informazione avviata da Regione Liguria, l’impostazione di un piano di formazione e il tema della
responsabilità Sociale delle Imprese.
La ricerca nasce dall’esigenza di Regione Liguria di disporre di elementi di conoscenza nell’ambito dei temi del progetto
per poter indirizzare efficacemente un piano di azioni formative mirate, di supporto e sostegno alla “buona occupazione”,
in particolare per ciò che concerne l’asse sicurezza sul lavoro e l’asse flessibilità/qualità.
Nel contesto generale, quindi, se per il comparto agricolo l’attenzione era maggiormente posta sul tema della sicurezza
in senso stretto e sulla regolarità, per la GDO l’enfasi è stata posta sulla qualità del lavoro, in modo congruente con la
tematica della responsabilità sociale delle imprese e con la necessità di effettuare interventi integrativi – ed eventualmente migliorativi – rispetto alla sicurezza.
Si è quindi posta maggiore attenzione sul tema della qualità del lavoro, collegato ai diversi modelli organizzativi che incidono sulle condizioni di vita e di lavoro (in particolare in riferimento alla flessibilità dovuta ai turni di lavoro).
Si evidenzia in questo caso un aspetto di potenziale crescita e miglioramento del settore legato all’organizzazione e quindi ai quadri aziendali e alla gestione delle risorse umane, sin dalla fase di reclutamento, fattore che ha determinato un
forte interesse da parte dei nostri interlocutori.
Risulta quindi centrale affrontare il tema della conciliazione, evidenziando fortemente il ruolo dell’azienda in questo senso. La ricerca ha rappresentato, da un lato, un momento di confronto tra le aziende coinvolte (direttamente o attraverso
la loro rappresentanza associativa3) e tra esse e il sindacato, individuando nella messa a fattor comune di pratiche organizzative un elemento di arricchimento del sistema, pur nella ovvia autonomia gestionale di ciascuno.
2
Si rimanda per l’agricoltura alla pubblicazione specifica.
Il fatto che alcuni interlocutori rappresentassero contemporaneamente Azienda e Associazione ha sicuramente consentito, anche nella fase di impostazione, di assumere il punto di vista dell’impresa.
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Le riunioni hanno infatti costituito un veicolo di diffusione di best practices. I temi emersi e condivisi – discussi nel
gruppo e approfonditi successivamente grazie all’analisi dei casi – hanno prevalentemente fatto riferimento alla “stabilità
nella precarietà”, alla pianificazione del lavoro, alla gestione del tempo, ai servizi per il personale, alla formazione e sviluppo della cultura della qualità del lavoro per i responsabili delle risorse umane e per i gestori.
Ancora, si è evidenziato un potenziale forte ruolo delle istituzioni in senso classico, di attivazione di “circoli virtuosi”, attraverso l’informazione e la formazione, interpretata come un investimento sulle Risorse Umane e sulle professionalità e
quindi come strategia verso la ripresa e come strumento di rilancio.
Un ulteriore elemento, strettamente correlato al comparto, ma esterno ad esso e su cui la ricerca ha solo ‘tangentato’ è
la parte logistica, collegata all’approvvigionamento e immagazzinamento delle merci, che costituisce una sub area di lavoro dove si concentra maggiormente il tema della sicurezza.
Da questi primi elementi, scaturiti nell’ambito delle riunioni operative con le Parti Sociali, è emerso come il fattore centrale fosse quello dell’organizzazione del lavoro, connesso all’evoluzione del mercato.
L’oggetto specifico di questa indagine non era il cambiamento organizzativo; ma in un settore come quello della GDO
esso diventa un elemento imprescindibile: le trasformazioni – anche di aspettative e abitudini dei consumatori – investono fortemente i cicli lavorativi e produttivi e di conseguenza le strategie di sviluppo sono focalizzate proprio sull’organizzazione delle risorse umane. Come è stato osservato “la concorrenza si gioca non tanto sui prezzi, quanto sui servizi offerti e quindi sulla flessibilità organizzativa rispetto ai bisogni dei clienti”.
Ed è proprio nel cambiamento che il concetto di “qualità” diventa centrale, qualità intesa come regolarità, sicurezza, ma
anche e soprattutto “buona occupazione”.
Va peraltro sottolineato che proprio tale concetto ha costituito l’elemento portante nel corso delle riunioni: le Parti Sociali hanno individuato nel fattore ‘qualità’ il raccordo tra le esigenze aziendali e le richieste dei lavoratori, ossia il collegamento tra aspettative e bisogni a volte divergenti. Qualità del lavoro intesa, quindi, come tema di ampio respiro, capace
di cogliere le molteplici implicazioni per i lavoratori e per le aziende connesse ad un complesso di fattori di cambiamento
a vari livelli che riguardano il comparto della GDO.
Su questo tema le Associazioni datoriali e sindacali hanno fortemente voluto condividere un processo di ricerca e di approfondimento, finalizzato appunto ad individuare strumenti conoscitivi – quantitativi e qualitativi – per definire azioni
mirate rispondenti ai diversi portatori di bisogni (le imprese, i lavoratori, i consumatori).
L’impostazione metodologica
In questo progetto è risultato assolutamente centrale il raccordo con le Parti Sociali, che hanno rappresentato una parte
integrante del processo di ricerca, a partire dal livello di governance – attraverso il Tavolo Tecnico che ha individuato le
macro linee sino al livello più ‘operativo’ del gruppo di lavoro con cui – attraverso incontri progressivi – è stato costruito
il progetto di indagine, mediante un processo di definizione puntuale nelle diverse fasi di impostazione e realizzazione.
Sin dall’inizio sono state proposte due modalità di acquisizione delle informazioni – autonome, ma fortemente integrate.
Da un lato una ricostruzione quantitativa del contesto, realizzata attraverso l’uso di dati statistici e di rapporti e indagini
precedenti, oltre alla somministrazione di una scheda, dall’altro una analisi di casi, di tipo qualitativo, finalizzata ad approfondire i temi specifici di interesse degli interlocutori e in linea con gli obiettivi del progetto.
In funzione della particolarità del settore in analisi, la prima cura dei membri dell’équipe di ricerca è stata quella di costruire la traccia di intervista con un approccio il più possibile improntato a criteri di “democrazia partecipata”. Questo
ha significato che la costruzione degli strumenti utilizzati per la raccolta delle informazioni ha previsto il coinvolgimento
degli esperti chiamati in causa, con particolare riferimento a testimoni qualificati individuati all’interno di varie realtà
aziendali, locali e non, significative per l’ambito di analisi e rappresentativi delle aziende del settore.
In altri termini, le azioni di ricerca – in particolare per analisi dei casi4 - sono il frutto di un lavoro condiviso con le Parti
Sociali, che hanno contribuito a:
• specificare il campo di indagine, con l’individuazione dei singoli casi aziendali
• definire lo strumento di analisi e quindi – nello specifico – ad individuare i temi della traccia su cui i nostri interlocutori
hanno manifestato interesse ad acquisire informazioni5
• individuare alcune buone pratiche per avviare processi di “contaminazione positiva”. Va in questo senso anticipato che
– a fronte di nostre proposte – le buone pratiche individuate6 sono state condivise dai componenti il gruppo di lavoro.
4
Cfr Capitolo 3.
Come verrà esplicitato meglio nella parte introduttiva del Capitolo 3, gli item della traccia costituiscono proprio lo schema di restituzione delle informazioni.
6
Cfr 3.9.
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Guida alla lettura
La complessità del tema e l’esigenza di realizzare un’indagine che rispettasse i diversi livelli conoscitivi prefissati – dal
macro contesto al micro dei casi aziendali – ha imposto l’uso di strumenti di indagine differenti ed una conseguente ‘restituzione’ delle informazioni che rispecchiasse questo andamento “a piramide rovesciata” dal macro al micro.
Questo volume è perciò suddiviso in tre capitoli, sostanzialmente autonomi, ma strettamente correlati:
1. nel primo l’obiettivo è quello di sintetizzare alcuni elementi conoscitivi di sfondo che caratterizzano il comparto della
GDO, finalizzato appunto a fornire una ‘cornice’ di riferimento generale;
2. nel secondo, frutto di una rilevazione quantitativa presso le imprese, viene proposta una lettura che definisce le caratteristiche dell’occupazione nel comparto in Liguria;
3. nel terzo vengono proposti gli stimoli emersi nel corso dell’analisi dei casi, con l’obiettivo di offrire alcune chiavi interpretative. Per chiarezza espositiva e per rispettare le richieste conoscitive emerse dal confronto con le Parti Sociali,
la struttura dei paragrafi rispetta tendenzialmente gli stimoli della traccia di intervista; sono inoltre specificati con dei
“box” i punti che hanno di volta in volta animato l’intervista per ogni macro tema.
Le riflessioni conclusive propongono una lettura congiunta dei diversi “punti di vista” adottati in questa indagine (indagine di sfondo, rilevazione quantitativa e approfondimento qualitativo) che ha offerto moltissimi spunti di riflessione.
Essa può costituire la base per progettare interventi correlati alla formazione, non sulla sicurezza in senso stretto, ma
sulla crescita professionale delle risorse umane coinvolte ai diversi livelli e per individuare possibili percorsi di Responsabilità sociale, correlati all’individuazione di buone pratiche e alla ‘contaminazione’, per citare quanto emerso nel corso
della discussione con le Parti Sociali.
Ci auguriamo che questo percorso possa costituire uno stimolo per avviare ulteriori approfondimenti e per strutturare in
modo ancor più propositivo il rapporto instaurato con le parti Sociali e le Imprese.
Le diverse rilevazioni realizzate (quantitativa e qualitativa) hanno consentito infatti di acquisire informazioni che – se
pur migliorabili – possono rappresentare una base conoscitiva utile.
Un risultato di questo percorso che vale la pena sottolineare – e che non è sintetizzabile come ‘prodotto’ di ricerca – è
proprio la relazione avviata con i diversi interlocutori. Di fatto questo lavoro ha costituito la sperimentazione di un colloquio costruttivo tra Istituzioni e Imprese.
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Capitolo 1 – Il quadro di contesto
1.1 Lo scenario economico internazionale e nazionale:
effetti su commercio e consumi
Lo scenario economico internazionale, che fra il 2004 e la prima metà del 2007 ha conosciuto una delle più intense
fasi di sviluppo della storia, ha mostrato a partire dall’estate 2007 una repentina inversione di tendenza dovuta alla sovrapposizione di fattori interconnessi tra cui la difficoltà dei mercati immobiliari, la crisi del credito (che hanno manifestato i primi segnali di crisi influendo fortemente sull’economia americana) e l’ascesa dei costi delle materie prime
(Cfr. Coop Italia, 2008). La crisi, già iniziata con lo scoppio della bolla subprime, con il fallimento della banca d’affari
Lehman Brothers, si è trasformata in maniera repentina sul finire dell’estate del 2008 nella peggiore recessione del dopoguerra (Coop Italia, 2009: 7).
È iniziata così quella che è stata definita la prima crisi dell’economia globale, e si è dovuto attendere l’ottobre del
2009 per affermare che “la recessione mondiale si è arrestata e si sta ora profilando una ripresa, in larga parte grazie
al sostegno delle politiche economiche espansive adottate nei principali paesi” (Banca d’Italia, 2009b: 5). Ovviamente
si tratta di una “ripresa dai ritmi contenuti, fino al prossimo anno” e “rimane inoltre molto elevata l’incertezza sulla
sua solidità” (ibidem).
L’economia italiana non è stata esentata dal riflusso di queste tendenze economiche sfavorevoli: nel 2007 ha registrato, infatti, i tassi di crescita più contenuti a livello europeo (Coop, 2008) e nel 2008 “la recessione ha colpito l’economia italiana con particolare violenza” (Coop Italia, 2009: 8). Come sottolinea la Banca d’Italia, infatti, l’economia
italiana è stata l’unica tra le maggiori economie dell’area dell’euro a registrare una riduzione del PIL già nella media
del 2008 (Banca d’Italia, 2009a: 5). Oltre “alla caduta dell’attività industriale e nei servizi privati, è seguito un progressivo calo dei consumi delle famiglie (…) e in tutte le aree geografiche ha iniziato a ridursi l’occupazione” (ibidem).
Anche se i primi segnali di un rallentamento della caduta dell’attività industriale si sono evidenziati già da aprile-maggio (Banca d’Italia, 2009a: 5), soltanto nel terzo trimestre 2009 anche per l’Italia il PIL è tornato a crescere (Banca
d’Italia, 2009b: 5). Seppure si è registrato un “miglioramento degli indicatori di fiducia delle famiglie e, in misura meno
decisa, delle imprese (…), continuano tuttavia a peggiorare gli indicatori relativi alle intenzioni di acquisto di beni durevoli e alle condizioni del mercato del lavoro” (Banca d’Italia, 2009b: 6). La situazione è quindi ancora piuttosto incerta
e, anche se si intravedono prospettive di avanzamento favorevole, restano i limiti all’indebitamento pubblico imposti
dagli accordi Maastricht che impediscono manovre espansive e la rivalutazione dell’Euro rispetto al Dollaro che penalizza il commercio con i paesi terzi (Cfr. Federdistribuzione, 2009). Secondo quanto evidenziato dall’ultima edizione del
Nielsen Global Consumer Confidence Index, l’indice a livello mondiale sale dai 77 punti del mese di aprile agli 86 di novembre 2009, anche se il comportamento dei consumatori rimane cauto nello spendere; in Italia l’indice rimane invece
in pratica stabile con un incremento minimo del +1%.
Per fronteggiare la crisi, hanno ricoperto un ruolo importante le politiche attuate dai Paesi di nuova adesione all’economia mondiale, la funzione del sistema creditizio di assorbire le perdite e l’influenza dei parametri del prezzo del petrolio,
particolarmente altalenanti (Coop Italia, 2008). Ad aiutare l’Italia sono state, tra le altre, alcune sue caratteristiche quali
il risparmio privato e la prudenza delle banche (Ufficio Studi Confcommercio, 2009: 2), ma sarebbero auspicabili anche
un maggior risparmio sul superfluo, la messa in discussione delle posizioni di rendita, la riduzione delle inefficienze e,
nel medio termine, il rilancio del potere d’acquisto dei salari (Coop Italia, 2009: 9). Al di là della crisi poi, rileva il direttore
dell’Ufficio Studi di Confcommercio, il periodo 2001-2008 è stato già di modestissima crescita, se così possiamo definire
tale performance. La cosa drammatica è questa, dunque: mentre possiamo ammettere che ogni tanto una crisi accada,
non possiamo accettare una crescita strutturalmente debole” (Ufficio Studi Confcommercio, 2009: 2).
In questo contesto, le opzioni di politica economica disponibili per l’Italia, che ha uno dei maggiori debiti pubblici al
mondo, “sono indubbiamente molto limitate” (Coop Italia, 2009: 9). Dello stesso parere l’Ufficio Studi della Confcommercio (2009, 10): “siamo tornati, e nel biennio 2010-2011 ci muoveremo poco, ai livelli di consumi e Pil per abitante
dell’inizio del 2000. Nella misura in cui benessere, consumi e Pil sono correlati - e lo sono, stiamone pur certi - la perdita
è particolarmente grave”.
17
Fig. 1 - PIL e consumi: problemi strutturali
Fonte: Ufficio Studi Confcommercio (2009: 11)
Il commercio ha quindi risentito del deterioramento del clima di fiducia delle famiglie, registrando un calo dei consumi,
soprattutto di beni durevoli (Banca d’Italia, 2009a: 17)7. Come si vede nel grafico precedente, infatti, la correlazione del
PIL con la dinamica dei consumi è strettissima (Ufficio Studi Confcommercio, 2009: 2).
I consumatori hanno messo in atto una gestione finanziaria familiare attenta e, di conseguenza, una maggiore attenzione
negli acquisti (Coop Italia, 2008 e 2009). Le preferenze dei consumatori si sono spostate, infatti, verso merceologie più
convenienti e, per esempio, tra i prodotti di largo consumo si preferiscono quelli che offrono prezzi più economici rispetto
ai prodotti di marca. Si è innescato il cosiddetto meccanismo di downgrading della spesa (letteralmente “il calo” della
spesa) ossia quell’insieme di accorgimenti e aggiustamenti nelle abitudini di spesa che le famiglie mettono in atto per
difendersi dalla perdita di potere d’acquisto (Coop Italia, 2008 e 2009): “si consuma di meno (…) tagliando soprattutto il
superfluo e ricercando (…) l’efficienza nella spesa. Si rimanda l’acquisto dell’auto, si fanno vacanze più spartane, si ricorre
maggiormente alle vendite promozionali, si riducono gli sprechi in tutti gli ambiti della vita quotidiana” (Coop Italia,
2009: 8). Allo stesso tempo però, la ricerca di convenienza e risparmio, induce il consumatore a rivolgersi verso canali
distributivi più efficienti e a rinnovare la sua fiducia nei confronti della Grande Distribuzione organizzata che sembra
garantire le migliori condizioni di rapporto qualità del prodotto e convenienza del prezzo (Coop Italia, 2008), anche se
il calo dei consumi ha avuto effetti pesanti anche sulle dinamiche della distribuzione commerciale e del commercio in
generale. (Coop Italia, 2009: 10).
Come rileva l’ultimo Rapporto Coop, infatti, “la recessione ha colpito più duramente i negozi indipendenti di piccola superficie, ma ha impattato in maniera significativa anche sulle vendite della grande distribuzione (…) per la prima volta
hanno subito una battuta d’arresto anche le grandi superfici specializzate non alimentari che avevano vissuto negli ultimi
anni una crescita senza apparente soluzione di continuità (Coop Italia, 2009: 181). Nonostante tali difficoltà, continua il
rapporto, la grande distribuzione organizzata ha mantenuto in ogni caso buoni tassi di crescita dei fatturati che rimangono positivi, però, solo grazie alle nuove aperture mentre l’andamento delle vendite a parità di rete è oramai considerato
strutturalmente negativo (ibidem).
7
Il valore aggiunto ai prezzi base del settore dei servizi è diminuito nel 2008 dello 0,3 per cento in termini reali, a fronte di un incremento medio nei
due anni precedenti dell’1,8 per cento. Secondo le stime preliminari dell’Istat, il valore aggiunto è rimasto sostanzialmente stazionario nelle regioni
del Nord Ovest e del Nord Est, mentre è calato al Centro (–0,4%) e nel Mezzogiorno (–0,7%) (Banca d’Italia, Economie regionali, 2009: 5).
8
La rilevazione mensile sulle vendite al dettaglio condotta dall’Istat si riferisce alle imprese commerciali operanti tramite punti di vendita al minuto
in sede fissa, autorizzati alla vendita di prodotti nuovi. Sono escluse dalla rilevazione le imprese la cui attività prevalente consiste nella vendita di generi di monopolio, di autoveicoli e combustibili. Sono inoltre esterni al campo di osservazione i punti di vendita di beni usati, gli ambulanti ed i mercati.
Dal comunicato stampa relativo ai dati di gennaio 2009, le serie degli indici sono diffuse con riferimento alla base 2005=100 e alla nuova classificazione delle attività economiche Ateco 2007 (versione italiana della classificazione europea Nace Rev. 2). Con l’introduzione della nuova base all’anno
2005 invece che al 2000 è stata interrotta la produzione di indici per ripartizione geografica, in quanto tale elaborazione, per rappresentare adeguatamente la dinamica territoriale, necessita di informazioni sulla localizzazione dei singoli punti di vendita delle imprese stesse, al momento non disponibili. Le operazioni di messa a regime della nuova rilevazione sono ancora in corso e, pertanto, le stime mensili degli indici sono da considerare, al
momento, provvisorie e soggette a rettifica. È, peraltro, in corso la ricostruzione retrospettiva degli indici delle vendite espressi in nuova base e nuova
Ateco, relativamente al periodo compreso tra il 2000 e il 2004, finalizzata a rendere disponibili serie storiche sufficientemente omogenee. Per una descrizione più approfondita delle caratteristiche dell’indice in base 2005 si vedano la Nota Informativa “I nuovi indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio in base 2005=100” del 31 marzo 2009 (Istat, Note Informative - Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio
– Agosto e settembre 2009).
18
A conferma del periodo di crisi riportiamo i dati Istat sugli “Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio”8 di agosto e settembre 2009.
I dati di agosto9 evidenziano, rispetto all’anno precedente, un calo del valore delle vendite al dettaglio nella grande distribuzione in tutte le tipologie di esercizi della grande distribuzione. Il calo più elevato del –3,9% riguarda gli esercizi
non specializzati a prevalenza non alimentare, mentre la diminuzione minore la hanno gli esercizi specializzati con
un –0,4%. Se si confrontano i dati tra gennaio e agosto 2009 con quelli dell’anno precedente, emergono anche alcune
variazioni positive: in particolare i discount alimentari segnalano un +0,9%, mentre tra i valori più negativi si trova
il –1,7% degli ipermercati.
Anche i dati del mese di settembre10 indicano variazioni negative per tutte le tipologie di imprese della grande distribuzione a parte per gli ipermercati, che segnano una variazione positiva rispetto l’anno precedente del +0,3%. La flessione
più significativa è stata registrata per gli esercizi non specializzati a prevalenza non alimentare (–1,3%).
Tab. 1 – Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio a prezzi correnti (base 2005=100) per
tipologia di esercizio della grande distribuzione
Agosto e settembre 2009
Indici – variazioni percentuali
Fonte: Elaborazioni OML su dati Istat – Indice del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio
Per quanto riguarda la dimensione delle imprese della grande distribuzione, il valore delle vendite ad agosto 2009 rispetto
al 2008 è in generale calo: la flessione maggiore la registrano le imprese fino a 5 addetti (–3,4%), seguono quelle con
almeno 50 addetti (–2,7%) e le imprese da 6 a 49 addetti (–2,3%). Variazioni negative, seppur con valori minori, anche a
settembre 2009: si sono evidenziate diminuzioni del 2,3% nelle imprese da 6 a 49 addetti, dell’1,9% nelle imprese fino a
5 addetti e dello 0,8% nelle imprese con almeno 50 addetti.
Tab. 2 – Indici del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio a prezzi correnti (base 2005=100) per dimensione delle imprese
Agosto e settembre 2009
Indici – variazioni percentuali
Fonte: Elaborazioni OML su dati Istat – Indice del valore delle vendite del commercio fisso al dettaglio
9
ISTAT - Comunicato Stampa diffuso il 22 ottobre 2009.
ISTAT - Comunicato Stampa diffuso il 25 novembre 2009.
10
19
1.2 Lo scenario strategico e organizzativo:
effetti su competitività e qualità del lavoro
Alcuni temi in particolare caratterizzano lo scenario strategico e organizzativo nel quale si muovono le aziende della
GDO11. Un primo aspetto riguarda la dimensione internazionale della competizione, un tema a cui si connette strettamente quello delle strategie di fidelizzazione della clientela, una questione che, per il tema oggetto di analisi in questa
ricerca, è estremamente rilevante dal momento che tali strategie implicano in particolare un significativo prolungamento
delle fasce orarie e giornaliere di apertura dei punti vendita e dunque un mutamento della domanda di lavoro delle aziende della GDO, sempre più orientata alla flessibilità delle formule di impiego.
Per quanto riguarda la questione dell’internazionalizzazione della competizione, è da osservare come il settore della distribuzione vada sempre più configurandosi come arena competitiva a carattere internazionale, nella quale i player più importanti sulla scena mondiale stanno acquisendo quote di mercato significative in una logica ultra-nazionale12. Una circostanza
che ha evidentemente ripercussioni – nel mondo globalizzato – anche in contesti come quello italiano, la cui struttura imprenditoriale non esprime ancora livelli dimensionali delle imprese tali da consentire percorsi di crescita di questo tipo13.
È un fatto che numerose e importanti grandi aziende della GDO operanti in Italia abbiano la propria sede all’estero14. La
presenza sul territorio italiano di grande aziende di levatura internazionale ha decretato, in particolare nell’ultimo decennio, un incremento decisivo delle dinamiche competitive. Una circostanza che, se da un lato ha comportato vantaggi
evidenti dal punto di vista dei consumatori, che possono contare oggi su un’offerta particolarmente ampia e variegata di
prodotti e soluzioni distributive, dall’altro ha innescato un significativo processo di ottimizzazione delle logiche organizzative e strategiche che, sul piano delle formule di impiego e di gestione delle risorse umane, implica un inevitabile ricorso a logiche di riferimento orientate ad una sempre maggiore flessibilità.
Una domanda di flessibilità che si spiega, più specificamente, con riferimento ai mutamenti nelle politiche di fidelizzazione della clientela delle aziende della GDO, sempre più orientate ad incontrare i gusti dei consumatori, sia in rapporto
alle caratteristiche di qualità e prezzo dei prodotti offerti, sia rispetto ad es. alle abitudini di acquisto e, dunque, alla
propensione a privilegiare lo shopping in certe fasce orarie e ad utilizzare specifici canali e format distributivi15.
Come mostrano le numerose analisi su questi temi, il consumatore moderno è più attento alla qualità dei prodotti e al
rapporto qualità-prezzo, predilige un’offerta di prodotti e servizi il più possibile ampia e variegata e dà inoltre molta importanza alla comodità ed alla rapidità negli acquisti, in coerenza con le specifiche esigenze di compatibilizzazione dei
tempi di lavoro e di svago e la necessità di poter acquistare i beni ed i servizi di cui ha bisogno16.
La GDO ha risposto a queste nuove esigenze ampliando significativamente la gamma delle soluzioni distributive tradizionali ed i servizi accessori all’acquisto: consegna a domicilio, shopping online, etc. Un aspetto particolarmente significativo
11
La letteratura di riferimento su questi temi è estremamente ampia. Si veda in particolare il rapporto Isfol (2004) su Commercio e distribuzione e poi
Ministero dello Sviluppo Economico (2009); Pellegrini (1996); Sciarelli e Vona (2000); Cattaneo (2005); Musso e Risso (2006); Tieri e Gamba (2009).
12
Sono emblematici a questo proposito i percorsi di crescita dei due maggiori player mondiali della grande distribuzione: Wal-Mart e Carrefour. Attualmente Wal-Mart è presente in 15 diversi paesi, oltre il mercato d’origine, tra cui Argentina, Brasile, Canada, Cile, Cina, Costa Rica, El Salvador,
Guatemala, Honduras, India, Giappone, Messico, Nicaragua, Porto Rico e, sulla scena europea, nel Regno Unito attraverso l’acquisizione, nel 1999,
della terza catena britannica di supermercati Asda. Anche per Carrefour il sentiero di crescita è avvenuto in larga parte sulla scena internazionale: nel
1969 apre il primo ipermercato fuori dal territorio francese, in Belgio, nel 1973 in Spagna, nel 1975 entra pionieristicamente nel mercato brasiliano e,
successivamente, nel 1982 in Argentina, nel 1991 in Grecia, nel 1993 in Italia ed in Turchia, nel 1994 in Messico ed in Malesia, nel 1995 in Cina, nel
1996 in Tailandia, Corea e Hong Kong, nel 1997 a Singapore e in Polonia, nel 1998 è la volta di Cile, Colombia e Indonesia, nel 2000 in Giappone. A
partire dal 2000 si consolida la presenza del gruppo in Argentina, Italia, Grecia e Belgio attraverso l’acquisizione di diverse catene nazionali (in Italia
si tratta del Gruppo GS, già parte del gruppo Promodès).
13
Nel corso dell’ultimo decennio, peraltro, una parte consistente delle aziende italiane operanti nel comparto food e non-food hanno dovuto cedere
il passo ai “big player” d’oltre confine: si pensi a Standa, oggi Billa, (azienda un tempo leader di segmento, prima Montedison, poi Finivest e poi ceduta
per il comparto abbigliamento al gruppo Coin, poi in parte passato a La Rinascente (oggi Auchan) e in alleanza con la multinazionale francese Fnac e,
per il comparto alimentare, passata varie volte di mano ed in parte ceduta a Coin ed al gruppo tedesco Rewe), od al gruppo GS, acquisito sul finire
degli anni ’90 da Promodès e oggi parte del Gruppo Carrefour, od al caso di Conad, la quale nel 2002 ha dovuto stringere un’alleanza per il comparto
ipermercati con la francese E.Leclerc.
14
È il caso ad es. di Auchan e Carrefour nel comparto Ipermercati, di Metro nel settore del commercio all’ingrosso, di Ikea, Fnac, Mediaworld, Decathlon, Castorama (oggi Leroy Merlin) e Unieuro nel segmento delle Grandi Superfici Specializzate
15
Un’analisi svolta commissionata da Federdistribuzione al Cermes dell’Università Bocconi (Cermes, 2006), ad es., mostra che, durante le domeniche
di apertura, su un campione di 1.016 individui residenti in Italia, il 64% degli intervistati ha fatto acquisti nei supermercati, 54,7% nei negozi del
centro e il 56,8% nei centri commerciali e negli ipermercati. Gli acquisti domenicali vertono principalmente su abbigliamento e calzature (69,1%) rispetto ai generi alimentari (63,5%). Il 20,3% degli intervistati è soddisfatto degli orari di apertura vigenti in Italia, ma solo il 19,5% degli insoddisfatti
vorrebbe i supermercati aperti tutte le domeniche. Se i negozi fossero aperti tutte le domeniche, il 50% degli intervistati dichiara che non cambierebbe
il giorno dedicato alla spesa e allo shopping e solo per il 6% la domenica diventerebbe il giorno preferito. L’apertura per due domeniche al mese è la
soluzione per la maggior parte degli intervistati (40,3%).
16
Anche il mutato contesto nel mercato del lavoro ha innescato una modificazione dei comportamenti di acquisto. Ad es. la partecipazione femminile
nel mondo del lavoro è fortemente aumentata, gli orari di lavoro sono diventati più flessibili e dunque è richiesto da parte dei consumatori un significativo prolungamento o comunque una maggiore aderenza degli orari di apertura delle strutture commerciali (così come, in realtà, di altri servizi:
poste, banche, asili nido, ecc) alla nuova tempistica di vita e di lavoro.
20
riguarda il prolungamento dell’orario di apertura degli esercizi commerciali, un fattore che è diventato progressivamente
un fattore competitivo sempre più importante per le aziende della GDO.
Se nella veste di consumatori tale mutamento è generalmente vissuto in termini positivi, dal punto di vista del personale
di vendita è chiaro che questo nuovo scenario implica un mutamento delle formule tradizionali di lavoro, in particolare
per una domanda aziendale che tende a concentrarsi in fasce orarie ed in giorni tradizionalmente dedicati al riposo od
alla socializzazione, dentro e fuori dai propri nuclei famigliari17.
Sotto il profilo delle implicazioni per i lavoratori indotte dai mutamenti della domanda di lavoro delle aziende della GDO,
il quadro che emerge dall’ampia letteratura sul tema del cd. “Work-Life Bilance” (conciliazione tra tempi e luoghi di vita
e tempi e luoghi di lavoro) – un tema di ricerca particolarmente sentito dalle istituzioni dell’Unione Europea – è composto
sia di opportunità18 sia di rischi19. L’idea di fondo a cui si ispira questa letteratura è quella della Flexicurity (o Flessicurezza): uno dei punti cardine del ‘Libro Verde’ della Commissione Europea sulla modernizzazione del diritto del lavoro,
che prevede la realizzazione di un corretto bilanciamento fra “flessibilità” nell’organizzazione aziendale –necessaria per
affrontare le sfide della globalizzazione, aumentare la competitività e rispondere alle dinamiche del mercato – e “sicurezza” dei lavoratori, intesa come tendenziale stabilità delle formule di impiego, possibilità di accedere a percorsi di crescita professionale lungo tutto l’arco della vita lavorativa e tutela dei diritti fondamentali delle persone.
Lo scenario di cambiamento strategico e organizzativo nel quale si muovono le aziende della GDO, come si è visto, si caratterizza in particolare per un aumento significativo delle pressioni competitive e per una sempre maggiore propensione
dei consumatori allo shopping nel fine settimana e in fasce orarie più ampie rispetto al passato. Tali fenomeni hanno richiesto alle aziende della GDO livelli di flessibilità dell’offerta di servizio progressivamente crescenti20.
Per far fronte a questi mutamenti le aziende della GDO hanno dovuto rivedere, principalmente nell’ultimo decennio, le
proprie formule di impiego del personale, che in precedenza poggiavano su una richiesta di flessibilità – comunque presente – ma largamente consolidata: il ricorso al lavoro stagionale, tendenzialmente con contratti di lavoro a tempo determinato per far fronte ai picchi di lavoro, l’utilizzo del part-time per gestire efficacemente la dinamica giornaliera di
accesso ai punti vendita.
Il mutato contesto implica oggi un ricorso assai più rilevante a soluzioni di impiego orientate alla flessibilità. Rispetto al
passato, inoltre, si è ampliata la gamma dei format distributivi (si pensi al fenomeno dei Factory Outlet, od agli stessi
centri commerciali) e sono entrati nel mercato nuovi attori21: realtà aziendali che in molti casi “nascono” flessibili, per le
specificità stesse dei rispettivi business.
Il tema della flessibilità del lavoro è un tema “caldo”.
17
La pratica del lavoro nei giorni o nelle ore tradizionalmente dedicate al riposo ed alla festa, peraltro, non costituisce certamente una completa
novità dei nostri giorni (Olini, 2005). Quote più o meno rilevanti di persone impegnate nell’attività lavorativa festiva, notturna, etc. erano presenti
nella società industriale ed anche in epoca preindustriale. Si pensi ad es. al personale di servizio nelle famiglie, quello addetto alla pastorizia, al personale delle ferrovie, a chi naviga, a chi lavora negli ospedali e nelle altre strutture di ricovero, agli addetti di molte realtà del turismo, ai giornalisti ed
a coloro che, per ragioni connesse ai particolari vincoli tecnici dell’attività svolta, ad es. a ciclo continuo storicamente hanno sempre considerato il
proprio tempo di lavoro fisiologicamente diverso dal modello standard, connesso tipicamente alla formula fordista dell’impiego eight to five, con la
pausa pranzo.
18
Per quanto riguarda gli aspetti positivi, ad es. Hardarson (2007) mostra che il 69% delle donne impiegate saltuariamente durante il weekend trova
conveniente per la propria vita privata lavorare in questi momenti. La percentuale scende al 67,4% per gli uomini. Un gruppo di lavoratrici inglesi, in
particolare, sottolinea l’importanza di lavorare part-time o durante le ore serali ed i fine settimana, in modo da gestire meglio la cura dei figli con il
proprio partner. Ulteriori elementi di soddisfazione connessi al lavoro serale e nel week-end riguardano la popolazione degli studenti-lavoratori: questi
momenti, insieme alla fascia oraria del primissimo mattino, sono infatti gli unici compatibili con i loro impegni di studio.
19
Per ciò che concerne gli aspetti negativi, un’analisi svolta in Germania nel 1999 (Eiro, 2000), evidenzia come, in seguito ad un prolungamento degli
orari di apertura delle attività commerciali, i lavoratori coinvolti in tali attività lavorative abbiamo subito un peggioramento nella capacità di riconciliare vita privata e professionale, una diminuzione del tempo dedicato alla famiglia, per il tempo libero e per l’istruzione. L’unico miglioramento testimoniato dai rispondenti all’analisi riguarda l’aumento del salario mensile. La Fondazione Europea per il Miglioramento delle Condizioni di Vita e di Lavoro, meglio nota come Fondazione di Dublino – un’istituzione di ricerca dell’Unione Europea – rileva in diverse ricerche (Eurofound, 2003; 2006;
2007a; 2007b) come tra coloro che lavorano almeno una volta al mese di domenica una più alta quota di lavoratori presenta problemi di salute rispetto
a coloro che non lavorano mai in questa giornata. Sono maggiormente coinvolte le sintomatologie relative a stress, affaticamento generale, insonnia,
stato ansioso. Le stesse ricerche sottolineano come siano tendenzialmente i soggetti più deboli del mercato del lavoro quelli più esposti al lavoro domenicale, festivo, serale e notturno. Coloro che, a partire da un basso profilo educativo e/o rilevanti esigenze di sostentamento del proprio nucleo famigliare, dispongono di basso potere negoziale nei confronti del proprio datore di lavoro, una circostanza che li spinge ad accettare più che a scegliere
formule di impiego, spesso flessibili, che comportano tempi di lavoro non tradizionali. Nell’analisi denominata Fourth European Working Condition
Survey (Eurofound, 2007b), si chiarisce che il fatto di lavorare, anche saltuariamente, la sera, nel week-end e la notte sia tendenzialmente associato
ad un basso livello di soddisfazione nell’organizzazione della propria vita personale e professionale, mentre l’orario di lavoro standard (40 ore settimanali, prevalentemente in giorni feriali ed in fascia diurna) è considerato la miglior soluzione in termini di conciliazione tra tempi e luoghi di vita e
tempi e luoghi di lavoro per i lavoratori assunti a tempo indeterminato.
20
Per molte aziende della grande distribuzione la distribuzione settimanale del fatturato ha elevati livelli di concentrazione nel week-end, e nello
stesso week-end in alcuni casi la maggior parte degli acquisti si concentra in specifiche fasce orarie (tendenzialmente sabato e domenica pomeriggio).
Per molti comparti poi si deve aggiungere una stagionalità particolarmente accentuata – in questo caso si tratta di un fenomeno storicamente consolidato – ad es. per le aziende localizzate in are geografiche ad alta incidenza turistica il comparto food durante l’estate verifica picchi di lavoro particolarmente accesi, ed ugualmente – al di là della specifica area territoriale – il periodo natalizio è storicamente un intervallo temporale di concentrazione della domanda per molti comparti.
21
Si pensi, nel comparto delle Grandi Superfici Specializzate, alle seguenti insegne, oggi assai diffuse, che solo pochi anni fa non erano presenti in
Italia: Ikea, Decathlon, Castorama, MediaWorld, Euronics, UniEuro, etc.
21
Dal punto di vista delle aziende che orientano le proprie strategie organizzative e di impiego è elemento di domanda
imprescindibile. Per stare sul mercato. Per predisporre livelli qualitativi di servizio all’altezza delle aspettative della
propria clientela (si pensi ad es. ai tempi medi di attesa alla cassa di un Ipermercato od in una Grande Superficie nelle
ore di punta).
Dal punto di vista dei lavoratori e delle organizzazioni sindacali è un oggetto di rivendicazione: ad es. riguardo l’utilizzo del lavoro supplementare (il lavoro straordinario dei part-time); per quanto riguarda l’orario spezzato e il problema dei “rientri”; rispetto alla questione della disponibilità al lavoro straordinario ed alla richiesta – talvolta poco
tempestiva – di disponibilità al cambio turno; in riferimento allo spettro temporale di programmazione delle presenze
non sufficientemente ampio, tale da non garantire la conciliazione con impegni extra-lavorativi; od in merito all’utilizzo del contratto di apprendistato professionalizzante, in alcuni casi – pur nella completa legittimità giuridica – vissuto come una forzatura se proiettato su orizzonti temporali mediamente lunghi per mansioni ed elevato tasso di
routinarietà; per ciò che concerne la disponibilità di occasioni formative che siano coerenti con l’avvio di percorsi di
crescita aziendale.
Le richieste dei lavoratori si vanno concentrando inoltre su elementi accessori al lavoro che siano funzionali a temperare
gli effetti della flessibilità in termini di sconnessione tra tempi e luoghi di lavoro ed esigenze di benessere o di cura delle
responsabilità familiari: ad es. la disponibilità di una mensa aziendale, di servizi di baby-sitting o di un asilo aziendale, etc.
Rispetto a queste istanze alcune aziende della GDO si sono mosse in maniera innovativa, cogliendo l’aspetto virtuoso, e
funzionale rispetto alle proprie esigenze di business, connesso ad una relazione con i propri collaboratori ispirata alla
composizione del conflitto ed alla creazione di basi relazionali trasparenti, orientate al “matrimonio” più che alla contrapposizione di interessi. In alcune realtà infatti l’attività sindacale è vissuta – per cultura aziendale, condizioni specifiche di contesto, etc. – come del tutto connaturata al lavoro ed all’attività aziendale, c’è piena legittimazione e rispetto
reciproco, pur – fisiologicamente – nella diversità delle specifiche posizioni. In altri casi, invece – al di là della libertà
formale di aderire ad un sindacato – le logiche aziendali muovono da presupposti differenti ed interiorizzano una cultura
di riferimento che si pone in termini conflittuali rispetto all’attività sindacale, talvolta vissuta addirittura come una sorta
di “tradimento” rispetto all’appartenenza all’azienda. Due filosofie di fondo che certamente non costituiscono uno specifico della grande distribuzione ma che al contrario caratterizzano la generalità dei comparti produttivi (Costa e Gianecchini, 2009).
Al di là della questione del rapporto con il sindacato – che in alcuni casi potrebbe essere poco presente o poco attivo –
anche a fronte di un atteggiamento aziendale aperto (si pensi ad es. alle realtà aziendali giovani, dove il personale è
composto in prevalenza da ragazzi poco più che ventenni che considerano il lavoro una tappa iniziale o intermedia di un
percorso di crescita professionale da realizzare in altri contesti lavorativi) la realtà della GDO mostra casi di aziende che
hanno saputo cogliere la sfida della flessibilità rimodulando o – per le aziende più giovani – impostando fin dall’origine
una “personnel idea” (Normann, 1985)22 che fosse coerente con le proprie esigenze di business: con le strategie di rapporto con il mercato e con le scelte di struttura.
Un atteggiamento, quest’ultimo, particolarmente lungimirante ed efficace nel realizzare quel “matrimonio di interesse” a cui si faceva riferimento pocanzi. Il fatto che l’utilizzo di relazioni di impiego flessibili comporti necessariamente
solo vantaggi per le imprese e solo svantaggi per i lavoratori, infatti, è un’ipotesi che non può essere accettata in
senso assoluto.
Certamente questa impostazione porrebbe non banali problemi di coerenza con una tradizione di studi sul lavoro, ed in
particolare in tema di management delle risorse umane (McCourt e Eldridge, 2003; Cascio, 2008; Costa e Gianecchini,
2009), che invece da sempre postulano la necessità per le imprese di sviluppare un costante rapporto negoziale con i
propri collaboratori, in termini di contributi richiesti a fronte degli incentivi erogati, tendenzialmente su di un orizzonte
temporale di lungo periodo. Una “personnel idea”, si diceva, che nelle parole di Richard Normann – il guru di management
scandinavo – è il “grado e il tipo di integrazione fra le capacità, le attese e le esigenze vitali di un particolare gruppo
di persone, da un lato, e l’ambiente o il contesto che l’azienda può offrire a quel gruppo, continuando a soddisfare le
esigenze del proprio business, dall’altro”. L’obiettivo è chiaro: legare la domanda aziendale (di flessibilità, in questo caso)
all’esigenza di sviluppare impegno (commitment), lealtà (loyalty), condivisione degli obiettivi e dei valori aziendali come
elementi infrastrutturali per l’incremento dei livelli di motivazione a partecipare ed a produrre e, per questa via, realizzare
tassi di produttività e risultati sempre crescenti.
Parallelamente non è affatto detto che una formula di impiego flessibile implichi necessariamente solo svantaggi per i
lavoratori. Ad es. nel caso delle casalinghe londinesi intervistate nella ricerca di Hardarson (2007), a cui si faceva riferimento più sopra23, emerge chiaramente come, in termini di Work-Life Balance l’idea di lavorare nel fine settimana costituisca per loro un significativo plus, così come per il caso degli studenti lavoratori. Allo stesso modo per un giovane al
primo impiego, ad es., la condizione di flessibilità – stante il contesto – potrebbe essere vissuta in maniera del tutto
22
23
22
Per l’esplicitazione di questo concetto si veda di seguito.
Si veda nota 18.
fisiologica, e ne potrebbe cogliere, positivamente, l’aspetto di dinamicità o di “trampolino di lancio” verso impieghi più
stabili, ai quali mirerà in seguito. È chiaro invece che le medesime relazioni d’impiego proposte a lavoratori cosidetti
bred-winner (chi deve portare a casa la pagnotta) ben difficilmente potranno sortire livelli motivazionali incentivanti
alla produttività.
Per le aziende si tratta di calibrare opportunamente le reciproche congruenze tra strategie aziendali, domanda di flessibilità, targeting delle risorse umane, turn-over e politiche di incentivazione. Non porre adeguata attenzione a questi
“equilibri” conduce sia le aziende sia i lavoratori in una condizione di “precarietà”, e non di “flessibilità”, pur – evidentemente – nella diversità dei rapporti di forza24.
1.3 Alcuni dati sulla grande distribuzione organizzata in Italia e in Liguria
Trovare dati affidabili e aggiornati sulla Grande distribuzione organizzata non è cosa scontata, poiché essa non è considerata come un comparto a sé stante entro il settore dei servizi.
L’Istat, per esempio, per quel che riguarda la disaggregazione per attività economica la include nel settore del commercio
e in alcuni casi specifica il comparto del commercio al dettaglio (ed anche Movimprese), una descrizione nella quale possono riconoscersi i grandi magazzini, ma che include di fatto anche i piccoli esercizi di generi miscellanei (Funzione studi
del Banco Popolare, 2009; AGCM, 2007). La disaggregazione dei Conti economici territoriali dell’Istat non è però così
fine, dato che all’interno del settore sono ricompresi tanto il commercio al dettaglio quanto quello all’ingrosso, e non
viene scorporata la parte relativa alle riparazioni (di auto, moto, beni personali e per la casa) (AGCM, 2007: 28). A questo
vanno ad aggiungersi le difficoltà riguardanti la disponibilità dell’articolazione territoriale del dato, causate dall’aggiornamento in corso dei sistemi di elaborazione Istat25.
I dati specifici sulla Grande distribuzione sono stati quindi reperiti prevalentemente da altre fonti, in particolare da associazioni settoriali. Si è fatto soprattutto riferimento alla base dati dell’Osservatorio nazionale del commercio del Ministero
dello Sviluppo Economico26 e ai dati di Federdistribuzione.
Presentiamo, tuttavia, come elemento introduttivo e di sfondo i dati ufficiali di Infocamere sulle imprese registrate, iscritte e cassate del settore del commercio (comprensivo quindi di tutte le dimensioni della distribuzione) in Italia e in Liguria.
Nell’anno 2008 in Italia si contano 166.538 imprese commerciali registrate, aumentate rispetto al 2000 del +4,9%; diminuiscono però per il periodo preso in esame le imprese iscritte del –6,8%, mentre quelle cessate annotano un aumento
significativo del 16%. In Liguria si segnalano, sia per le imprese registrate sia per quelle iscritte nel settore commercio,
variazioni negative: le 45.753 imprese registrate nel 2008 sono diminuite rispetto all’anno 2000 del –4,7%, e le imprese
iscritte sono diminuite ben del –23,7%; tuttavia le imprese cessate registrano un aumento non molto elevato del 3%,
minimo rispetto a quello nazionale.
24
Si può infatti indicare (Gasparre e Torre, 2008) con l’etichetta “flessibilità” la condizione che in positivo potrebbe prodursi (non c’è nulla di deterministicamente dato: “fare management”, ed in particolare fare “buon management” è un arte…) sia sull’impresa: allentamento delle rigidità nelle
scelte organizzative e produttive, riduzione dei costi, ampliamento delle potenzialità competitive, etc., sia sulle persone: maggior protagonismo nei
percorsi di crescita professionale, capacità superiori di conciliazione tra esigenze di vita e di lavoro, emancipazione da una logica di mera subordinazione nel rapporto con l’impresa e con il lavoro, etc. Con l’etichetta “precarietà”, allo stesso modo, ci si può riferire alla condizione che in negativo potrebbe realizzarsi, sia per le persone: destabilizzazione delle condizioni di contesto che presiedono alla definizione del benessere in termini di stabilità,
maturazione, crescita, sicurezza economica, etc., sia per le imprese: conflittualità nel rapporto con i collaboratori e con il sindacato, peggioramento
del clima organizzativo, elevati tassi di turn-over, bassi livelli di commitment e di produttività, etc.
25
Vedi nota n. 2.
26
Come spiegato sul sito dell’Osservatorio Nazionale del commercio (www.sviluppoeconomico.gov.it/) il sistema statistico per il monitoraggio della
rete distributiva ha subito recentemente una revisione e ampliamento del settore dei servizi sulla base dell’esperienza maturata, ed alla luce delle
nuove necessità derivanti della applicazione della direttiva 2006/123/ce. Il funzionamento del sistema è basato sull’utilizzo delle informazioni presenti
nel Registro delle Imprese, la cui codifica fa riferimento alla classificazione delle attività economiche adottata dall’Istituto Nazionale di Statistica: si
ricorda che nel corso del 2009 il Registro delle Imprese ha riorganizzato la propria banca dati sulla base della nuova classificazione ATECO2007, con
conseguenti modifiche sia nelle voci precedentemente utilizzate, che nella numerosità delle posizioni ad esse riconducibili. Per quanto riguarda le statistiche economiche presenti sul sito, l’Osservatorio informa inoltre di quanto segue. Il Ministero dello Sviluppo Economico ha attivato, con la collaborazione dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne, una sezione conoscitiva a carattere economico, per fornire elementi di valutazione sull’efficienza distributiva della rete al dettaglio. Il sistema informativo si basa su un’analisi economica territoriale contenente due categorie di variabili: a) la prima a
cadenza semestrale e disaggregazione regionale relativa all’entità, composizione e andamento delle vendite del dettaglio fisso, distinto per settore
(alimentare, non alimentare) e per canale distributivo (grande distribuzione, altri esercizi); b)la seconda a cadenza annuale e disaggregazione provinciale relativa all’entità, composizione e andamenti dei principali aggregati economici del settore (consumi delle famiglie, costo del lavoro, occupazione,
valore aggiunto). I procedimenti di calcolo sono illustrati nelle due note metodologiche predisposte dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne, pubblicate insieme alle tavole statistiche. Trattasi di stime ottenute mediante l’utilizzo di fonti statistiche diverse, tutte a carattere ufficiale, organizzate in modo
da supplire alla mancata disponibilità di alcune variabili. Si segnala che a causa della necessità di valutare la compatibilità delle stime con il quadro
di insieme derivante da conti economici regionali elaborati dall’ISTAT, i valori al momento della pubblicazione sono da considerarsi provvisori e possono,
in seguito, subire delle modifiche.
23
Tab. 1 - Movimento anagrafico delle imprese del settore commercio in Italia e in liguria
Anni 200-2008 (*)
Valori assoluti – variazioni assolute e percentuali
z
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati Infocamere
*I valori delle cessazioni risultano depurati dal numero di aziende cancellate d’ufficio dalle Camere di Commercio nel 2008
I dati più aggiornati del terzo trimestre 2009 rispetto allo stesso periodo del 20089 indicano tendenze differenti. L’Italia
mostra una sostanziale stabilità delle imprese registrate seppur con una lieve diminuzione del -0,2%, mentre per le imprese iscritte la variazione negativa è del -5,2% e diminuiscono del -12% le imprese cessate. Anche la Liguria conta un
calo del -1,5% delle imprese registrate, ma riporta un aumento rispetto al terzo trimestre del 2008 per le imprese iscritte
del +3,6%; le imprese cessate registrano un aumento del +1,3%.
Tab. 2 - Movimento anagrafico delle imprese del settore commercio in Italia e in liguria
3° trimestre 2008 – 3° trimestre 2009
Valori assoluti – variazioni assolute e percentuali
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati Infocamere
1.3.1 La rete distributiva
Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale del Commercio27 per il Ministero dello Sviluppo economico, in Italia a livello
generale la consistenza degli esercizi commerciali con attività primaria di commercio al dettaglio in sede fissa presenta,
alla data del 31 dicembre 2008, un valore nazionale pari a 775.421 unità, con un decremento di 3.113 unità rispetto alla
fine dell’anno precedente (–0,4%), registrando pertanto una significativa inversione di tendenza, dopo sette anni di aumenti ininterrotti. Variazione altrettanto negativa per la regione Liguria dove troviamo 24.941 esercizi nel 2008, con un
decremento di –183 unità (–0,7%). Le variazioni per le altre regioni sono sempre negative e contano in percentuale valori
simili: dal –0,1% di Umbria e Abruzzo all’eccezione del –2,7% della Valle d’Aosta, l’unica a superare il –1% registrato
solo dalla Toscana28. Il “Rapporto sulle Economie Territoriali”, realizzato da Confcommercio sul periodo tra il primo gennaio 2002 e il primo gennaio 2008, conferma la tendenza di un’economia che muove in favore di una Grande Distribuzione Organizzata a scapito dei piccoli esercizi29, soprattutto alimentari.
27
L’analisi delle forme distributive moderne viene realizzata dalla Direzione attraverso un censimento annuale effettuato in sede locale per il tramite
delle Camere di Commercio, finalizzato alla conoscenza dell’entità del fenomeno, rilevandone le caratteristiche principali e la relativa evoluzione
(www.sviluppoeconomico.gov.it/osservatori/commercio/).
28
Analizzando a livello nazionale il complesso degli esercizi secondo la localizzazione nella sede di impresa o in unità locali, si rilevano rispettivamente
581.761 e 193.660 unità, registrando rispetto al 2007 una diminuzione delle sedi (–1,4%) e un aumento delle unità locali (+2,8%) che indica una percentuale crescente di nuove aperture alle localizzazioni separate. A tal proposito anche a livello regionale si registra la stessa tendenza, anche se con
una variazione solo leggermente più significativa: la diminuzione delle sedi è del –2% e l’aumento delle unità locali (+3,1%). Infatti, analizzando il
rapporto tra sedi e unità locali l’Italia registra una media del 3, 1 così come la Liguria. Più alto invece rispetto alla media nazionale il rapporto di
densità (il numero di esercizi ogni 1000 abitanti): l’Italia ne registra 13, la Liguria 15,5. Rilevanti ovviamente le diversità sul piano territoriale, con
valori che spaziano dai 9,3 della Lombardia ai 17,2 della Campania.
29
Il punto di forza su cui gli esercizi del “piccolo dettaglio”, soprattutto alimentare, dovranno fare leva per contrastare la concorrenza delle strutture
della G.D.O., è rappresentato dalla tendenza ormai consolidata di rispondere alle esigenze di una fascia di utenti sempre più ampia di consumatori anziani dotati di minore mobilità o nuclei familiari per i quali si riduce il tempo disponibile per gli acquisti (cfr. Confcommercio, 2009).
24
Per quanto riguarda la grande distribuzione organizzata nell’anno 2008 in Italia si registra una crescita complessiva che
conferma il progressivo ammodernamento della rete distributiva italiana verso questo tipo di distribuzione, tenuto anche
conto dell’inversione di tendenza registrata dalla rete al dettaglio nel suo complesso. A livello nazionale si registra, infatti,
una variazione positiva complessiva per il numero di esercizi rispetto al 2007 del +3,5%, per le superfici degli esercizi del
+4,7%, per il numero di addetti del +4%.
L’Osservatorio Nazionale del Commercio ha esaminato lo sviluppo dimensionale della rete moderna attraverso un dato
normalizzato con il peso demografico, è stata realizzata una suddivisione della superficie di vendita regionale per i rispettivi abitanti, distinguendo i due comparti alimentare e non alimentare30.
Il totale nazionale è pari a 321,2 mq di vendita ogni mille abitanti – con un incremento del 3,4% rispetto all’analogo valore dell’anno precedente – di cui 189,7 mq presenti nel settore alimentare e 131,5 mq nel non alimentare e un uguale
tasso di accrescimento per entrambi.
Il rapporto esistente fra l’ampiezza delle superfici appartenenti ai due settori, si attesta a livello nazionale intorno al
60% per l’alimentare e al 40% per il non alimentare.
La Liguria si trova rispetto al dato nazionale in una posizione abbastanza centrale con 264,6 mq totali ogni mille abitanti
(164,1 nel settore food e 100,5 nel non food); al vertice si trova la Valle d’Aosta con 595 mq totali ogni mille abitanti
(211,7 nel settore food e 383,4 nel non food) mentre all’ultimo posto si colloca la Campania con 160 mq (88,5 nel settore
food e 71,5 nel non food).
Esaminiamo nel seguito, a livello nazionale e per la Liguria, alcune caratteristiche principali della grande distribuzione
rispetto alle diverse tipologie di esercizi nel 2008: numero di esercizi, superficie di vendita e occupati, sempre attraverso
i dati rilevati dall’Osservatorio nazionale del Commercio.
Tab. 3 – Caratteristiche principali della grande distribuzione organizzata in Italia
Dati al 31/12/2008
Valori assoluti
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati Osservatorio Nazionale Commercio
Tab. 4 – Caratteristiche principali della grande distribuzione organizzata in Liguria
Dati al 31/12/2008
Valori assoluti
Fonte: Elaborazioni OML su dati Osservatorio Nazionale Commercio
30
L’Osservatorio Nazionale del Commercio ricorda che per il settore alimentare vengono conteggiate le superfici relative a supermercati, minimercati,
parte alimentare degli ipermercati; per il settore non food invece quelle relative ai grandi magazzini, alle grandi superfici specializzate, alla parte non
alimentare degli ipermercati.
25
La tipologia di esercizi più presente sul territorio nazionale sono i supermercati31 (51,3%), seguiti dai mini mercati
(29,8%), mentre a distanza troviamo le grandi distribuzioni specializzate32 (8,2%), i grandi magazzini33 (7,6%) e, infine,
gli ipermercati34 (3,1%). La graduatoria cambia per la regione Liguria, che al primo posto conta i mini mercati (50,8%)
seguiti dai supermercati (35,8%); troviamo poi le grandi distribuzioni specializzate (6,2%), i grandi magazzini (5,5%) e,
infine, gli ipermercati (1,6%).
Tipologia di esercizi della GDO
in Italia al 31/12/2008
Tipologia di esercizi della GDO
in Liguria al 31/12/2008
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati Osservatorio Nazionale Commercio
Apriamo qui una parentesi sulle articolazioni della grande distribuzione specializzata. In Italia le specializzazioni prevalenti, in termini percentuali di numero di esercizi, sono nel settore dei mobili/arredamento/tessile casa (28,3%), nel tessile/abbigliamento pellicceria (19,5%), negli elettrodomestici/elettronica/informatica (17,1%) e nel ferramenta/bricolage/giardinaggio (14,2%). In Liguria primeggia, invece, la grande distribuzione di elettrodomestici/elettronica/informatica
(28,6%), seguita principalmente anch’essa da mobili/arredamento/tessile casa (25,7%) e dal tessile/abbigliamento pellicceria (20%). In Liguria non sono presenti grandi invece superfici specializzate in strumenti musicali/audio e video.
31
Nel corso degli anni, il supermercato, si è confermato come uno dei luoghi più frequentati dalle famiglie per gli acquisti di prodotti di generale e
largo consumo, ampliando la gamma dei servizi e dei prodotti offerti. Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale del Commercio, la presenza di questa
tipologia di forma distributiva (che comprende strutture con una superficie che varia dai 400 ai 2.500 mq) si è consolidata in tutto il Paese (cfr. Confcommercio, 2009).
32
Secondo l’Osservatorio Nazionale del Commercio, le Grandi Superfici Specializzate sono caratterizzate dalla vendita al dettaglio di prodotti non alimentari, spesso appartenenti ad una catena distributiva a succursale, che tratta in modo esclusivo o prevalente una specifica gamma mercelologica di
prodotti su una superficie di vendita di grande dimensione, in genere non inferiore ai 1.500 mq. Oltre all’ampiezza e all’assortimento dei prodotti
offerti, a caratterizzare l’attività commerciale della GSS interviene anche la competitività dei prezzi e l’alta prestazione nel servizio al consumatore
(dall’assistenza di vendita alla rateizzazione dei pagamenti). I settori merceologici maggiormente coinvolti in questa tipologia distributiva sono principalmente: tessile/abbigliamento, bricolage, attività sportive, mobili elettrodomestici, elettronica di consumo, tempo libero, giardinaggio, giocattoli,
prodotti per l’infanzia, prodotti per l’auto (cfr. Confcommercio, 2009).
33
Con il termine Grande Magazzino si intendono quegli esercizi che operano nel campo non alimentare, hanno una superficie di vendita superiore ai
400 mq e dispongono di almeno 5 distinti reparti con una specializzazione orientata verso l’abbigliamento e i prodotti semidurevoli. In questi esercizi,
generalmente localizzati in centro città all’interno di edifici di prestigio, la vendita è assistita e l’assortimento si posiziona su un livello medio-alto sia
per la qualità del prodotto sia per i prezzi. La storia di questa tipologia distributiva conosce un andamento altalenante. Dopo aver conosciuti anni di
grande fortuna economica e grande riscontro da parte del pubblico consumatore, negli anni ’90 con l’apertura dei grandi Centri Commerciali, tendenzialmente collocati lontani dal centro urbano, la concorrenza diventa tale da far registrare forti cali nelle vendite e far emergere la necessità di reinventare le formule pubblicitarie e le offerte commerciali. Negli ultimi anni, infatti, si assiste ad un’inversione di tendenza volta a favorire il rilancio dei
Grandi Magazzini attraverso rinnovamenti dell’offerta e nell’ambiente di vendita e favorendo la valorizzazione dei centri storici e delle attività commerciali presenti (cfr. Confcommercio, 2009).
34
Questa tipologia di strutture è approdata in Italia nei primi anni ’90 e la sua diffusione è stata costante e continua. La presenza di aree di intensa
urbanizzazione e di una popolazione con livelli di reddito molto elevati, hanno favorito la crescita e lo sviluppo di questa forma distributiva che si è
concentrata, in un primo tempo, nelle regioni del Nord per tendere ai mercati meridionali solo in un secondo momento. Si tenga presente che per caratteristica costitutiva, gli Ipermercati, necessitano di ampie aree edificabili (si parla di strutture con estensione di superficie di vendite superiore ai
2.500mq) (cfr. Confcommercio, 2009).
26
Grandi superfici specializzate in Liguria e in Italia al 31/12/2008
Fonte: Elaborazioni OML su dati Osservatorio Nazionale Commercio
Confrontando l’anno 2008 con il 2007, si può osservare che la maggiore dinamicità di numero di esercizi in Italia è da
attribuire agli Ipermercati (+6,2%), alle Grandi Superfici Specializzate e Grandi Magazzini (+4,6%), seguiti dai supermercati (+3,6%) e dai minimercati (+2,3%).
Molto interessante la rispettiva analisi regionale per tipologie: in Liguria si registra la variazione più alta a livello nazionale rispetto al 2007 per gli ipermercati con un incremento del +50% (da 36.316 a 48.544 unità). Aumentano anche le
Grandi superfici specializzate del +12%, dove la Liguria è superata a livello nazionale solo dalla Basilicata con un +26,1%
e seguita dal +9,9% dell’Emilia Romagna. Incrementano, ma con valori vicini alla media italiana i minimercati (+4,4%) e
i supermercati (+2,6%). Oscillante a livello nazionale la variazione dei grandi magazzini che va da un -28,6% per la Basilicata al +57,1% della Valle d’Aosta; per la Liguria si registra un -6,1%.
La percentuale di superficie di vendita in metri quadrati per tipologia di esercizi per l’Italia e per la Liguria è uguale per
quanto riguarda i grandi magazzini (10,8% per Italia e Liguria) e molto simile per la grande distribuzione specializzata
(22% per l’Italia e 21,1 per la Liguria). Percentuali vicine anche per i supermercati (41,5% per l’Italia e 37,5% per la Liguria). Più differenziate le percentuali degli Iper (17,5% per l’Italia e 11,4% per la Liguria) e soprattutto dei minimercati,
molto presenti in Liguria (8,1% per l’Italia e 18,8% per la Liguria).
Superfice di vendita per tipo
di esercizi in Italia al 31/12/2008
Superfice di vendita per tipo
di esercizi in Liguria al 31/12/2008
Fonte: Elaborazioni OML su dati Osservatorio Nazionale Commercio
27
Le variazioni della superficie di vendita sono simili, a livello nazionale e per la regione ligure, all’andamento del numero
degli esercizi. Per l’Italia si registrano aumenti per tutte le tipologie: +6,8% per gli ipermercati, +6,1 la grande distribuzione specializzata, +4% per i grandi Magazzini, +3,3% per supermercati e +2,2% per i minimercati. In Liguria troviamo
il +33,7% degli ipermercati, il +8,7 della grande distribuzione specializzata, il +4,6 dei minimercati, il +1,3% dei supermercati e il -19,7% dei grandi magazzini; in quest’ultimo caso sottolineiamo che si tratta della diminuzione percentuale
più elevata a livello nazionale, seguita a distanza dal -8,9% dell’Abruzzo e dal -7% del Veneto.
Come abbiamo spiegato nell’Introduzione il settore è molto complesso e i dati che si trovano hanno sistemi di rilevazione,
classificazione e tipi di contatto differenti, non trattandosi di statistiche cosiddette ufficiali. Presentiamo quindi anche i
dati che raccoglie ogni anno Federdistribuzione35.
Per quanto riguarda la terminologia Federdistribuzione fa riferimento alla grande distribuzione organizzata denominandola “Distribuzione moderna”; la articola poi in distribuzione alimentare al dettaglio (ipermercati, superstore, mini iper,
supermercati, libero servizio, discount), distribuzione non alimentare al dettaglio (Grandi superfici specializzate non alimentari e grandi magazzini) e Cash & Carry.
In Italia Federdistribuzione conta, per l’anno 2008, 32.852 esercizi facenti parte della distribuzione moderna, consistenti
principalmente in libero servizio36 (48,8%), supermercati (24,9%) e discount (12,2%). In Liguria si registrano 939 esercizi,
anch’essi prevalentemente riguardanti il libero servizio (51%), i supermercati (18,2%) e i discount (18,1%). Agli ultimi
posti per punti vendita troviamo gli ipermercati sia in Italia sia in Liguria.
Tab. 5 – La rete di vendita della distribuzione moderna in Italia e in Liguria
Fonte: Elaborazioni Federdistribuzione su dati ACNielsen e IRI infoscan
35
Federdistribuzione, come scrive sul suo sito, riunisce e rappresenta, nelle sedi istituzionali, sindacali e comunitarie le imprese distributive operanti
nei settori alimentare e non alimentare che svolgono la propria attività attraverso le più innovative formule del commercio moderno.
36
Con la denominazione di “libero servizio” si fa riferimento alla categoria di superficie minore della grande distribuzione (detta anche “superette”
per le superfici superiori a 200 mq.), che è allimite tra GDO e commercio tradizionale.
28
Distribuzione delle tipologie di esercizi in Italia e Liguria
Fonte: Elaborazioni OML su dati Federdistribuzione
Confrontando la presenza di esercizi sul territorio nazionale i dati di Federdistribuzione indicano la Lombardia come la
regione con il numero più elevato di esercizi al dettaglio (12,4%) seguita dalla Sicilia (8,7%), dal Lazio (8,6%), dal Veneto
(8,5%), dalla Campania (8,2%) e dalla Puglia (8,1%). Agli ultimi posti si trovano invece la Valle d’Aosta (0,2%), il Molise
(0,6%) e la Basilicata (1,4%). La Liguria, rispetto alla sua superficie, ha un buon numero di punti vendita (2,9%).
Punti vendita della distribuzione moderna per regione
Anno 2008
Fonte: Elaborazioni OML su dati Federdistribuzione
29
1.3.2 Gli occupati
Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Nazionale del Commercio, gli occupati della grande distribuzione in Italia sono
impiegati soprattutto nei supermercati (46,4%) e negli Ipermercati (23,9%). Seguono gli occupati nella grande distribuzione specializzata (13%), nei grandi magazzini (10,8%) e nei mini mercati (9,1%). Anche in Liguria il podio va al numero
di occupati nei supermercati (44,4%), ma al secondo posto si trovano i mini mercati (20,5%). Da rilevare che, nonostante
gli ipermercati siano in percentuale minima sul territorio regionale (1,3%), essi impiegano, probabilmente per le dimensioni, ben il 16,9% degli occupati della GDO in Liguria. Troviamo infine la grande distribuzione specializzata (12,6%) e i
grandi magazzini (10,8%).
Totale occupati per tipo
di esercizi in Italia al 31/12/2008
Totale occupati per tipo
di esercizi in Liguria al 31/12/2008
Fonte: Elaborazioni OML su dati Osservatorio Nazionale Commercio
Per quanto riguarda l’occupazione le variazioni nel 2008 rispetto al 2007 a livello nazionale si distinguono le Grandi superfici specializzate (+6,3%) e i Minimercati (+4,9%), seguiti dai supermercati (+4,1%), dagli ipermercati (+3%) e dai
grandi magazzini (+2,2%). In Liguria, in linea con l’aumento del numero di esercizi anche se non in modo così elevato,
aumenta l’occupazione negli ipermercati del +21,1%, incremento più alto a livello nazionale. Segue un aumento del
+7,4% nella grande distribuzione specializzata e un +5,8% dei minimercati, in linea con gli incrementi nazionali. Infine
troviamo il calo del -16,3% degli occupati nei grandi magazzini, la diminuzione più alta per questo tipo di esercizi in
Italia, seguita dal -6% della Calabria che però aumenta sia per il numero di esercizi e per la superficie di vendita contrariamente alla Liguria che diminuisce anche in questi ambiti.
Osservando gli occupati per genere si nota sia in Italia sia in Liguria la prevalenza delle donne, rispettivamente il 61,8%
e il 65%.
Occupati nella GDO in Italia
per sesso al 31/12/2008
Occupati nella GDO in Liguria
per sesso al 31/12/2008
Fonte: Elaborazioni OML su dati Osservatorio Nazionale Commercio
Attraverso i dati forniti dalle comunicazioni obbligatorie si possono osservare le tipologie contrattuali adottate per gli
avviati al lavoro nel settore del commercio ligure: nell’anno 2008 si tratta prevalentemente di contratti a tempo determinato (49,6%), a tempo indeterminato (21,7%) e di apprendistato (13,3%). Seguono contratti di lavoro flessibile (8,6%),
di tirocinio (4,4%) e altre tipologie (2,5%).
30
Tab. 6 – Avviati domiciliati in Liguria nel terziario e nel commercio per tipologia contrattuale (*)
Anno 2008 – Valori assoluti – valori percentuali
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati S.I.L. regionale (estrazioni effettuate dal 27 al 30 aprile 2009)
* Il riferimento è alla Provincia di dimicilio del lavoratore.
Settori di attività e tipologia contrattuali risultano dell’aggregazione di quelli presenti nel S.I.L.
Simile la situazione dei contratti registrata nel secondo trimestre del 2009: i contratti a tempo determinato primeggiano
in modo più marcato (52%), sempre seguiti da quelli a tempo determinato (18,8%), dall’apprendistato (12,4%), dal lavoro
flessibile (9,3%), tirocinio (4,5%) e altre forme contrattuali (3,1%).
Tab. 7 – Avviati domiciliati in Liguria nel terziario e nel commercio per tipologia contrattuale (*)
2° trimestre 2009 – Valori assoluti – valori percentuali
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati S.I.L. regionale (estrazioni effettuate dal 31 agosto al 4 settembre 2009)
* Il riferimento è alla Provincia di dimicilio del lavoratore.
Settori di attività e tipologia contrattuali risultano dell’aggregazione di quelli presenti nel S.I.L.
Nel 2008 il genere prevalente degli avviati nel commercio in Liguria è quello femminile con il 58,6% di presenze e che
nel secondo trimestre del 2009 arriva al 60,5%.
Tab. 8 – Avviati nel terziario e nel commercio domiciliati in Liguria per genere (*)
Anno 2008 – Valori assoluti – valori percentuali
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati S.I.L. regionale (estrazioni effettuate 30 marzo al 3 aprile 2009)
* Il riferimento è alla Provincia di dimicilio del lavoratore.
Settori di attività e tipologia contrattuali risultano dell’aggregazione di quelli presenti nel S.I.L.
31
Tab. 9 – Avviati nel terziario e nel commercio domiciliati in Liguria per genere (*)
2° trimestre 2009 – Valori assoluti – valori percentuali
Fonte: Elaborazioni O.M.L. su dati S.I.L. regionale (estrazioni effettuate 30 marzo al 3 aprile 2009)
* Il riferimento è alla Provincia di dimicilio del lavoratore.
Settori di attività e tipologia contrattuali risultano dell’aggregazione di quelli presenti nel S.I.L.
1.4 Elementi di attenzione sulla grande distribuzione italiana
La ricerca dell’Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM, 2007) ha posto l’accento sul fatto che nel futuro
sarà necessario, per il sistema commerciale italiano, attivare politiche commerciali convergenti tra le Amministrazioni
locali, i sottoinsiemi distributivi della Grande Distribuzione Organizzata e le PMI commerciali, ed imprenditoriali in genere. Questo per rispondere al meglio alle quattro tendenze principali del commercio nazionale individuate nella ricerca
(SRM, 2007):
a. la prima sottolinea che il modello di sviluppo della grande distribuzione va gestito e non subito. Lo sviluppo del
canale distributivo “moderno” infatti, proseguirà per volontà del mercato e dei consumatori. Il processo di crescita dimensionale delle superfici, l’aumento dei servizi offerti, la globalizzazione dell’offerta di prodotti, la crescita degli investimenti esteri nel territorio, la spinta alla riorganizzazione delle strutture interne della rete distributiva, il connesso
snellimento a vantaggio del consumatore rappresentano dati di fatto che uniscono elementi di positività evidenti in
termini di redditività di mercato, mix di offerta e generazione di valore indotto sul territorio ad alcuni elementi evidenti
di squilibrio delle forze in gioco e di eccessiva standardizzazione. Pertanto valorizzare, a livello locale, tali indubbie dinamiche di sviluppo dei diversi canali distributivi implica l’adozione di linee di indirizzo e di policy che puntino a contenere il più possibile gli squilibri di sistema e favorire, nel contempo lo sviluppo ordinato delle forza competitive di
mercato.
b. La seconda suggerisce che la pianificazione del territorio diviene elemento centrale. La capacità progettuale di integrazione del modello di sviluppo distributivo sempre di più dovrà coordinarsi con il processo di sviluppo, riqualificazione, ammodernamento delle città e del territorio. Pertanto, lo sforzo progettuale e di pianificazione urbanistica deve
essere coerente con le caratteristiche dei territori attraverso modalità di gestione unitaria delle attività (Town Centre
Management). Poca attenzione è stata infatti dedicata al tema della necessità di trovare una regia comune per la valorizzazione e la gestione dei Centri Commerciali e dei moderni box distributivi all’interno del perimetro delle città;
questo fenomeno può inserirsi in maniera coerente con la programmazione europea che sempre di più vuole incentivare
lo sviluppo economico produttivo all’interno delle città.
c. La terza pone l’attenzione alle relazioni tra grande distribuzione e PMI commerciali. Appare evidente che alle PMI
commerciali non è legittimo prospettare il possibile freno della Grande Distribuzione attraverso policy ostative, ma
occorre intervenire con azioni volte a creare per le PMI quelle condizioni esterne di competitività che il sistema della
Grande Distribuzione genera autonomamente in termini di logistica, impianti, strutture, urbanistica ecc. Al contempo
le stesse attività di nicchia e di commercio al dettaglio dovranno sostenere la propria attività di riqualificazione di
mercato e nelle nuove opportunità che anche il mercato distributivo stesso continuerà a proporre.
d. La quarta approfondisce i rapporti tra comparto produttivo locale e la grande distribuzione, caratterizzati da evidenti elementi di debolezza, ma anche da taluni fattori di forza e spinte potenziali all’accrescimento competitivo, in
particolare, delle PMI produttive. Mentre per le grandi imprese le problematiche sono in parte legate alla difesa, alla
visibilità del marchio e alla facile replicabilità dei prodotti, nei confronti delle aziende di minore dimensione, la distribuzione può attuare forme di potere tese alla coercizione, generando conflitto e, talvolta, dipendenza da parte dell’industria. Infatti, per vendere alla GDO, le piccole e medie aziende devono affrontare degli investimenti specifici. Per
soddisfare l’esigenza in termini di volumi, qualità e continuità della fornitura, le PMI produttive dovranno ammodernare
o ampliare la capacità produttiva, investire in competenze e risorse umane che siano in grado di dialogare con i buyer,
migliorare la dotazione finanziaria ed i sistemi informativi ed, infine, adottare standard operativi che permettano una
coerente interfacciabilità con la distribuzione.
32
Capitolo 2 – La rilevazione dei dati
2.1 Le fasi preliminari dell’indagine
Definito il quadro di contesto, si è passati alla realizzazione di una rilevazione diretta volta ad approfondire le caratteristiche occupazionali della Grande Distribuzione Organizzata in Liguria.
Con l’obiettivo di selezionare i soggetti dell’indagine, è stato individuato un universo di riferimento che ha tenuto conto
sia delle diverse tipologie distributive classificate dall’ISTAT (Ipermercati, Supermercati, Grandi Magazzini,…) sia la tipologia di prodotti di vendita (abbigliamento, arredo casa, elettronica,…).
Per individuare il campione di aziende da coinvolgere nella rilevazione sono state contattate le Associazioni di Categoria
che si occupano del settore commercio (ASCOM Confcommercio, Confesercenti), Confindustria e Lega Coop.
La definizione del potenziale universo di riferimento ha comportato non poche difficoltà. Non esiste, infatti, una fonte
aggiornata ed attendibile delle strutture presenti sul territorio, in relazione alla tipologia di vendita e alla classificazione
corrispondente. Il lavoro di individuazione dei potenziali soggetti da contattare si è dimostrato piuttosto complesso ed
articolato e il database, creato in questa fase del lavoro, ha avuto necessità di aggiornamenti continui. Internet, si è rivelato uno strumento prezioso per il reperimento delle informazioni e, laddove possibile, del loro aggiornamento.
L’universo di riferimento individuato è stato classificato per:
• tipologia distributiva37: Ipermercati, Supermercati, Grandi Magazzini, Discount, Grandi Superfici Specializzate, Cash &
Carry, Superette;
• tipologia produttiva: alimentare, non alimentare (abbigliamento, arredamento casa, accessori arredo casa, elettronica,
librerie, music store, profumerie);
• azienda/gruppo di appartenenza;
• insegne;
• numero punti vendita presenti sul territorio e per provincia.
Sono stati individuati N° 70 gruppi/aziende per un totale di N° 91 insegne.
Definito tale universo, le realtà produttive da indagare sono state selezionate secondo un duplice criterio:
• ripercorrere la realtà indagata nell’ambito dello “Studio dei casi”, realizzato dall’U.O. Monitoraggio e Analisi, in modo da
rendere complementari le attività delle due Unità Operative (“Osservatorio Mercato Lavoro” e “Monitoraggio e Analisi”);
• selezionare alcune tipologie produttive ritenute di particolare interesse sulla base di specifiche motivazioni:
• Alimentare: rappresenta una delle realtà più significative della G.D.O. da un punto di vista economico-occupazionale;
• Arredamento: nello ”Studio dei Casi” è stata intervistata un’insegna che rappresenta una realtà commerciale-occupazionale importante su tutto il territorio nazionale (ed internazionale); si è pensato, pertanto, di estendere l’ambito
di indagine anche ad altre insegne e gruppi;
• Elettronica e Librerie/Music Store: sono settori che commercializzano generi non di prima necessità e sembrano risentire
solo parzialmente della crisi economica, pertanto si è ritenuto interessante analizzarle sotto il profilo occupazionale;
• Sono stati, inoltre, selezionati marchi che rappresentano realtà significative e radicate da lungo tempo sia sul territorio
nazionale che a livello provinciale.
Si rimanda, inoltre, alla nota relativa alle caratteristiche della rete distributiva ligure (presente nella parte introduttiva)
dove si evidenzia che i settori trainanti nella nostra regione sono rappresentati proprio da Elettrodomestici/Elettronica/Informatica (con un peso sull’economia regionale del 28,6%) e Mobili/Arredamento/Tessile casa (con un peso sull’economia
regionale del 25,7%).
Il “campione” così circoscritto conta 35 insegne distribuite sul complesso del territorio regionale (vedi allegato 3).
Le principali difficoltà riscontrate nel corso dell’indagine si possono riassumere come segue:
• individuazione del giusto interlocutore per ogni azienda, ciascuna delle quali dotata di assetto organizzativo ed amministrativo differente. In alcuni casi la gestione del personale è di competenza della sede centrale (dislocata spesso
fuori regione), oppure appaltata ad agenzie esterne; la difficoltà di individuazione del giusto interlocutore è da attribuire
ad un triplice ordine di fattori:
• difficoltà di comprensione da parte delle aziende del tipo di coinvolgimento richiesto e dell’obiettivo dell’indagine;
37
Cfr. classificazioni fonte ISTAT
35
profonda diffidenza rispetto agli obiettivi che si perseguono attraverso la realizzazione dell’indagine medesima38;
• elevato turn-over che caratterizza questo ambito occupazionale (soprattutto ai livelli manageriali);
definizione della GDO e tipologie distributive: le prime difficoltà sono sorte nella fase di individuazione della definizione/classificazione delle tipologie di G.D.O. attraverso la consultazione delle fonti istituzionali che non sempre concordano o sono complete rispetto alla gamma di tipologie distributive conosciute39;
individuazione dell’universo di riferimento: non esistendo, infatti, un censimento delle aziende facenti parte della
GDO in base alle caratteristiche della tipologia distributiva, è stato complesso risalire alle aziende presenti sul territorio
ligure, individuare le sedi amministrative (che potessero rispondere alle richieste esplicitate nella scheda di rilevazione),
comprendere la gestione amministrativa dell’azienda e delle sedi decentrate distribuite sul territorio nazionale e censire
i punti vendita effettivamente presenti e attivi sul territorio40;
definizione del campione: le difficoltà di individuazione dell’universo di riferimento hanno avuto significative ripercussioni sulla definizione del campione e nella scelta di definizione dei criteri di campionamento.
•
•
•
•
Note alla lettura
In riferimento alle sopraccitate difficoltà, è opportuno suggerire alcune note per una lettura più chiara delle informazioni
emerse dall’indagine diretta.
•
•
In primo luogo si segnala che le informazioni raccolte sono relative a 19 delle 35 insegne contattate.
Osservando i totali forniti nelle diverse tabelle si evidenziano valori differenti a seconda della variabile esaminata (tipologia contrattuale, inquadramento professionale, titolo di studio e profilo professionale). Le motivazioni di tale anomalia sono diverse e da ricondursi principalmente al fatto che, anche gli interlocutori più collaborativi, hanno riscontrato
significative difficoltà nella raccolta/elaborazione dei dati contenuti nei propri archivi.
Le schede sono spesso state restituite con una compilazione parziale e le motivazioni si possono riassumere come segue:
• spesso non sono presenti né gli uffici che si occupano di trattare le informazioni relative ai dipendenti (età, titolo di
studio, inquadramento professionale,…), né i dipendenti che si occupano esclusivamente delle politiche del personale;
• come già indicato, in alcuni casi, l’amministrazione del personale è affidata alle sedi centrali dislocate, spesso in altre
regioni (come nel caso dei grandi marchi/gruppi, a cui risulta difficile disaggregare le aziende liguri dal complesso delle
strutture presenti in determinate aree territoriali) o a società esterne che spesso non dispongono delle informazioni
disaggregate o di dettaglio;
• attraverso i riscontri telefonici, si è verificata anche la non adeguatezza dei software informatici utilizzati dagli uffici
amministrativi (quando presenti) per i fini statistici.
Le informazioni richieste attraverso il questionario nella rilevazione riguardano, sostanzialmente, il numero complessivo
dei dipendenti, il sesso e la tipologia oraria. Per queste tre variabili sono stati richiesti incroci con informazioni relative
alla classe d’età, alla tipologia contrattuale, all’inquadramento professionale, al titolo di studio e al profilo professionale.
Si segnala che sono emerse difficoltà legate specificamente alla tipologia di informazione richiesta ed in particolare, in
riferimento a:
• classe d’età: spesso i software sono predisposti per riportare la data di nascita dei lavoratori ma non per elaborare l’informazione in forma aggregata;
• tipologia contrattuale: in alcuni casi, il part-time, ha una gestione aggregata di più lavoratori che ricoprono uno stesso
ruolo in azienda, tale aspetto sfasa i risultati dei totali41;
• titolo di studio: questa informazione, spesso, non è riportata nel database (infatti, il titolo di studio è stato espresso
in riferimento al 63,6% del totale dei dipendenti).
Per le restanti variabili, le difficoltà riscontrate sono minori ed hanno riguardato:
• la scarsa disponibilità di tempo, da parte dell’interlocutore, da poter dedicare all’attività richiesta;
38
Durante l’attività di re-call le risposte fornite dagli interlocutori sono state diverse; ad esempio: “quale prodotto vuole vendere?”,”ma il nostro
organico è al completo, perché volete informazioni sul personale occupato?”; in altri casi ci sono stati forniti nominativi di interlocutori che durante
le successive telefonate sono risultati inesistenti.
39
Alcuni punti vendita si definiscono “superette” ma le informazioni relative a questa tipologia distributiva sono piuttosto scarse, l’unica fonte che ne
cita le caratteristiche, per altro sotto la definizione di “libero servizio”, è la Nielsen (per ulteriori approfondimenti si veda l’Allegato 2).
40
Ovvero non è stato semplice raccogliere le informazioni relative ai punti vendita di nuova apertura o di recente chiusura perché gli elenchi dei punti
vendita presenti nei siti internet dei diversi marchi, non risultavano sempre aggiornati.
41
Ovvero: anche se, i lavoratori sono 2, contrattualmente vengono considerati un’unità contrattuale in quanto si alternano nello svolgimento della
medesima mansione).
36
•
•
•
l’imprecisa organizzazione del database ha generato incertezza nei soggetti che hanno compilato le schede42;
in alcuni casi alcune variabili seguono classificazioni differenziate a seconda delle disposizioni aziendali e si è riscontrata
difficoltà a rendere omogenee le informazioni fornite dai diversi interlocutori, come nel caso dei livelli di inquadramento
professionale e del ruolo ricoperto in azienda43;
la categoria “altro” degli occupati per livello di inquadramento professionale, comprende in ampia parte gli apprendisti.
2.2 I risultati della rilevazione diretta
2.2.1. I soggetti coinvolti
Le Insegne
Come già anticipato, nell’ambito della presente indagine, i soggetti che hanno fornito le informazioni richieste, appartengono a 19 insegne ripartite tra le diverse tipologie distributive. Il diverso grado di partecipazione all’indagine dipende,
in ampia misura, anche dalla differente presenza sul territorio regionale della tipologia distributiva a cui i marchi coinvolti
appartengono.
Si segnala, inoltre, che, facendo riferimento ai dati forniti dall’Osservatorio Nazionale del Commercio (di seguito anche
ONC) si evidenzia la significativa presenza dei Supermercati, seguita dalla Grande Distribuzione Specializzata, dai Grandi
Magazzini e dagli Ipermercati.
Si ricorda, però, che i parametri di classificazione dell’ONC non corrispondono a quelli adottati dall’ISTAT, presi in considerazione ai fini della rilevazione (ad esempio, non sono stati considerati i Minimercati in quanto caratterizzati da una
contenuta superficie di vendita mentre si è indagata la realtà del Cash & Carry).
Alla luce di queste premesse, è comunque possibile sostenere che le insegne appartenenti alle diverse tipologie distributive hanno fornito risposte in modo rappresentativo per la realtà ligure:
• 21,1% Supermercati – Grandi Superfici Specializzate
• 15,8% Discount – Cash & Carry
• 10,5% Grandi Magazzini e Altro (categoria che comprende librerie e Music-Store)
• 5,3% Ipermercati (si ricorda che è la tipologia meno frequente sul territorio ligure).
Tab. 1 – Tipologie distributive che hanno risposto all’indagine
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro = librerie, Music store
42
Come, ad esempio, nel caso dell’inquadramento professionale degli apprendisti per cui è risultata spesso una significativa difficoltà di attribuzione
del giusto livello.
43
Secondo le classificazioni ISTAT, ad esempio, al 5° livello corrisponde la figura dell’addetto alle operazioni di vendita, ma alcuni dei soggetti coinvolti
nell’indagine, non hanno adottato la medesima suddivisione.
37
Tipologie distributive coinvolte nel’indagine – Anno 2008
I punti vendita
Le 19 insegne che hanno partecipato all’indagine, hanno fornito informazioni relative ai diversi punti vendita presenti
sul territorio regionale e, anche in merito a questo aspetto, sono emerse informazioni interessanti. I dati raccolti riguardano, infatti, 176 punti vendita distribuiti sul territorio regionale.
Come già indicato per le insegne, anche per i punti vendita, i principali fattori che portano ad evidenziare una differenza
percentuale di risposta, sono da ricercarsi nella diversa presenza delle tipologie distributive (e pertanto di insegne e, di
conseguenza, del numero dei punti vendita) e nelle caratteristiche economiche e geografiche del territorio ligure.
Il 71% (pari a 125 unità) delle strutture è, infatti, rappresentato dai Supermercati, mentre il restante 29% appare così
suddiviso:
• 10,8% (pari a 19 punti vendita) Discount
• 7,4% (pari a 13 unità) Grandi Superfici Specializzate
• 5,1% (pari a 9 unità) Cash & Carry
• 2,3% (pari a 4 unità) Ipermercati
• 1,7% (pari a 3 unità) Grandi Magazzini
• 1,7% (pari a 3 unità) Librerie/Music Store
Numero punti vendita per tipologia distributiva in Liguria – Anno 2008
Il 79% dei punti vendita coinvolti è concentrato nella provincia di Genova; il restante 21% risulta così ripartito nelle restanti province:
• 9,7% Savona
• 6,3% La Spezia
• 5,1% Imperia
38
Tab. 2 - Numero punti vendita di cui si sono raccolte le informazioni per provincia
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Punti vendita per provincia
Osservazioni interessanti emergono anche dall’analisi a livello provinciale.
In ogni provincia, i punti vendita maggiormente presenti appartengono alla tipologia distributiva dei Supermercati con
la sola eccezione di Imperia che mostra valori più significativi in favore delle Grandi Superfici Specializzate.
Per quanto riguarda la presenza delle restanti 6 categorie rilevate, i risultati dell’indagine mostrano valori assoluti e percentuali piuttosto eterogenei probabilmente dovuti alle caratteristiche del territorio e delle economie locali.
Tab. 3 - Numero punti vendita nell’indagine diretta per tipologia distributiva e provincia
Anno 2008
Valori assoluti
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro = librerie, Music store
39
Tab. 3 - Numero punti vendita nell’indagine diretta per tipologia distributiva e provincia
Anno 2008
Valori percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro = librerie, Music store
Imperia è la provincia con il minor numero di punti vendita, di cui si sono raccolte informazioni (9 unità pari al 5,1% del
totale rilevato).
Diverse tipologie distributive non sono presenti sul territorio (Ipermercati, Grandi Magazzini, Discount e Librerie-MusicStore).
Come già indicato la tipologia distributiva che mostra i valori più significativi è quella delle Grandi Superfici Specializzate
(44,4%) seguita dai Supermercati (33,3%) e dai Cash & Carry (22,2%).
Imperia
Savona, in linea con l’andamento regionale e con le altre province liguri, mostra una prevalenza di Supermercati (58,8%)
seguiti da Discount, Cash & Carry e Grandi Superfici Specializzate (che registrano analoghi valori percentuali pari
all11,8%) e Ipermercati (5,9%). Non si registra la presenza di Grandi Magazzini e Librerie-MusicStore.
40
Savona
Genova è l’unica provincia in cui vengono rappresentate tutte le tipologie distributive. La presenza più significativa è di
punti vendita appartenenti alla tipologia dei Supermercati (77%). Il restante 23% è ripartito tra Discount (10,1%), Cash
& Carry e Grandi Superfici Specializzate (3,6%), Grandi Magazzini e Librerie-MusicStore (2,2%) e Ipermercati (1,4%).
Genova
Infine, la provincia di La Spezia mostra valori più distribuiti tra le tipologie distributive presenti nel territorio. I Supermercati (che rimangono la categoria più rappresentativa, in linea con il trend regionale) sono, infatti, presenti con un
dato percentuale inferiore al 50% (45,5%) in favore dei Discount (che in questa provincia mostrano la presenza più significativa con un valore pari al 27,3%) e delle Grandi Superfici Specializzate (18,2%). Una percentuale significativa si
registra anche per gli Ipermercati (9,1%). Non sono rappresentati, invece, Grandi Magazzini e Librerie-MusicStore.
La Spezia
41
2.2.2 Le caratteristiche dell’occupazione della Grande Distribuzione Organizzata in Liguria
Secondo le risposte fornite dalle imprese che hanno partecipato alla rilevazione diretta condotta dall’Osservatorio sul
Mercato del Lavoro sull’assetto occupazionale della GDO in Liguria si evidenzia un universo costituito, al 31/12/2008, da
5.972 lavoratori occupati, dei quali il 64,2% (pari a 3.833 unità) donne ed il 35,8% (pari a 2.139 unità) uomini. Lo scostamento rispetto all’anno precedente risulta minimo (+0,3%, pari a +20 unità); interessante è, tuttavia, osservare l’andamento a forbice del fenomeno che vede un incremento di 104 unità per quanto riguarda l’occupazione maschile, mentre l’occupazione femminile flette di 84 unità.
Per quanto riguarda l’analisi di genere, si osserva come la proporzione tra occupazione maschile e femminile che emerge
dal’indagine diretta si presenti omogenea ai dati forniti dall’Osservatorio Nazionale del Commercio, secondo i quali, a
fronte di un universo censito pari a 10.351 unità, le femmine risultano pari a 6.733 unità (65%), mentre gli uomini sono
3.618 unità (34,9%).
Occupati per sesso
Tab. 4 – Occupati nella GDO in Liguria
Anni 2007-2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 4a – Occupati nella GDO in Liguria
Variazioni assolute e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 5 – Numero addetti nella grande distribuzione organizzata per categoria e sesso in Liguria
Dati al 31/12/2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Elaborazioni O.M.L. – Agenzia Liguria Lavoro su dati Osservatorio Nazionale del Commercio
42
Le classi d’età
Analizzando la suddivisione per classi di età si evidenzia come lo “zoccolo duro“ degli occupati nella Grande Distribuzione
ligure (oltre il 75%) si collochi tra i 30-39 (42,5%) ed i 40-49 anni (32,8%), mentre decisamente meno significative sono
le quote dei giovanissimi (16-19 anni) e degli over 50, rispettivamente pari allo 0,3% ed all’8,4%. Da rilevare dunque come, rispetto al dato medio sui complessivi occupati liguri, nella GDO si nota una presenza maggiormente accentuata
degli appartenenti alle classi di età centrali, mentre minor peso presentano gli occupati più giovani e più anziani.
Per quanto riguarda l’analisi di genere si evidenzia come le donne costituiscano la maggioranza in tutte le classi di età,
ad eccezione della classe 16-19 anni. Particolarmente numerose si presentano nella classe 30-39 anni, dove arrivano a
costituire oltre il 70%.
Tab. 6 – Occupati nella GDO in Liguria per classe d’età e sesso
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Il titolo di studio
Dall’analisi dei dati forniti per quanto riguarda il titolo di studio si evidenzia come gli occupati liguri nella GDO si attestino ad un buon livello: oltre il 40% risulta infatti in possesso di un diploma di scuola media superiore, cui è da aggiungersi un 2,4% di laureati ed un 20,7% di possessori di qualifica professionale. Nel complesso, dunque, quasi i due terzi
degli occupati hanno titoli di studio più elevati rispetto alla scuola dell’obbligo.
Esaminando la disaggregazione per sesso si evidenzia come le donne si attestino su valori decisamente elevati in tutte le
tipologie di studi, con l’eccezione della laurea, in relazione alla quale prevalgono i maschi.
Tab. 7 – Occupati nella GDO in Liguria per titolo di studio e sesso
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
La tipologia oraria
Per quanto riguarda la tipologia oraria, si evidenzia, sul complessivo numero degli addetti, una leggera prevalenza del
part-time: 50,9%, a fronte del 49,1% del full-time. Da osservare tuttavia come il full-time riguardi soprattutto i lavoratori ultraquarantenni, mentre il part-time non solo interessa le classi di età più giovani, ma presenta valori più elevati
con il decrescere delle classi di età.
Tab. 8 – Occupati nella GDO in Liguria per classe d’età e tipologia oraria
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
43
Aggiungendo all’analisi la variabile sesso, si evidenzia come la componente maschile risulti costantemente in maggioranza nella modalità full-time. Le proporzioni si invertono nel part-time, dove le donne si presentano via via più numerose
con l’avanzare delle classi di età.
Tab. 8a – Occupati nella GDO in Liguria per classe d’età; sesso e tipologia oraria
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
L’inquadramento professionale
Per quanto riguarda l’inquadramento professionale, il 78% circa degli addetti risulta concentrato tra il V° ed il III° livello.
La maggior parte degli addetti (2.814 unità, pari al 52,2%) si concentra nel IV livello (addetti alle vendite), mentre gli
addetti alle operazioni di vendita (V° livello) costituiscono il 18% (pari a 973 unità) e gli specialisti di vendita (III° livello)
sono il 15,3% (pari a 826 unità). Nei primi due livelli si raccoglie il 12% delle altre figure professionali (Responsabili e
Direttori), i quali rappresentano rispettivamente il 7,6% (pari a 411 unità) e il 4,4% (pari a 239 unità).
Tab. 9 – Occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Osservando la suddivisione per inquadramento professionale e sesso si evidenzia come la presenza delle donne si concentri nel IV e nel V livello, dove costituiscono tra il 70 ed il 75% del complesso, mentre per quanto riguarda la figura del
Direttore (I° livello) sono gli uomini a prevalere nettamente (77,6%). Per quanto riguarda il III° (specialista di vendita) e
il II°livello (responsabile) la suddivisione tra maschi e femmine è più omogenea: nel terzo livello si evidenzia infatti una
leggera prevalenza dei maschi (che costituiscono il 53,5%, a fronte del 46,5% delle femmine), mentre nel secondo livello
la maggioranza è costituita dalle donne (55,2%, a fronte del 44,8% costituito dagli uomini).
Tab. 9a – Occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale e sesso
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Incrociando la tipologia oraria con l’inquadramento professionale si evidenzia come il part-time costituisca la tipologia
oraria più diffusa tra gli addetti alle vendite (80,2% nel quinto, 59,5% nel quarto livello), mentre tende alla diminuzione
fino alla scomparsa nei livelli più elevati.
44
Tab. 9b – Occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale e tipologia oraria
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
In particolare, incrociando le informazioni relative ad inquadramento professionale, sesso e tipologia oraria si conferma
nel part time una presenza particolarmente elevata delle donne nel quarto e nel quinto livello, mentre gli uomini in tutti
i livelli sono maggiormente presenti nel full-time.
Tab. 9c – Occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale, sesso e tipologia oraria
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Le tipologie contrattuali
In riferimento alle tipologie contrattuali si evidenzia un’assoluta prevalenza del contratto a tempo indeterminato (83%).
Per quanto riguarda le altre tipologie di lavoro flessibile, quella pressoché esclusivamente utilizzata è il tempo determinato (13,6%), mentre la somministrazione di lavoro rappresenta soltanto lo 0,3%. Anche il contratto di apprendistato
pare non suscitare particolare interesse rappresentando soltanto il 3% del complesso degli addetti.
I contratti flessibili vengono applicati soprattutto alle donne (73,1% per quanto riguarda il tempo determinato, 100%
per quanto riguarda la somministrazione di lavoro), mentre nell’apprendistato la suddivisione tra maschi e femmine appare maggiormente equilibrata.
Tab. 10 – Occupati nella GDO in Liguria per tipologia contrattuale e sesso
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
45
Incrociando le informazioni sulla tipologia contrattuale e la tipologia oraria si evidenzia come, per quanto riguarda il
tempo indeterminato, la proporzione tra full time e part time appaia abbastanza equilibrata, seppure con una prevalenza
di circa nove punti percentuali del full time. Anche per quanto riguarda l’apprendistato si evidenzia una prevalenza del
full time, mentre nei lavori flessibili predomina largamente il part time.
Tab. 10a – Occupati nella GDO in Liguria per tipologia contrattuale e tipologia oraria
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 10b – Occupati nella GDO in Liguria per tipologia contrattuale e tipologia oraria
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
I profili professionali
In riferimento ai profili professionali emergono interessanti riflessioni.
Si segnalano, in primo luogo, due fattori di rilievo:
• un’elevata concentrazione di figure professionali con qualifica generica;
• nel complesso, una significativa eterogeneità delle figure presenti in azienda; si tenga presente che sul complesso
delle professioni segnalate nell’indagine, sono state raccolte informazioni relativamente a 65 diversi profili professionali.
46
Tab. 11 – Occupati nella GDO in Liguria per profilo professionale
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
Profili professionali
Addetto operazioni ausiliarie alla vendita
Addetto alla vendita
Addetto ipermercato
Banconiere salumi e formaggi
Capo reparto
Addetto registri di cassa
Specialista di vendita
Coordinatore P.D.V.
Impiegato amministrativo
Apprendista addetto alle operazioni ausiliarie di venidta
Impiegati retribuzioni
Coordinatore
Capo turno
Macellaio
Addetto reparto service & payment
Mangement
Addetto reparto food
Banconiere pescheria
Apprendista
Addetto reparto logistica
Commesso
Banconiere macelleria
Addetto data-entry
Responsabile punto vendita
Apprendista commesso
Apprendista addetto vendite
Responsabile di reparto
Responsabile di negozio
Direttore punto vendita
Addetto rifornimento banchi
Addetto vendita farmaci non soggetti a prescrizione
Addetto ortofrutta
Vice coordinatore
Magazziniere
Commesso specializzato
Gestore di filiale 1° livello
Addetto reparto communication & interior design
Apprendista banconiere salumi/formaggi
Addetto amministrativo con funzione EDP
Cassiere
Aiuto commesso
Addetto ricevimento merci
Capo area
Banconiere forneria
Addetto marketing
Capo ufficio
Addetto cassa centrale
Addetto merci
Promotore vendite
Assistente direttore
Addetto manutenzione
Apprendista banconiere macelleria
Confezione macelleria
Capo casse
Capo area vendita
Allestitore
Gastronomo preparatore
Apprendista magazziniere
Apprendista addetto ortofrutta
Addetto qualificato banco carni
Addetto pulizie
Addetto operazioni multiple di magazzino
Addetto decorazione
Responsabile visual
Addetto sistema informatico
Totale
v.a.
1.101
861
773
278
167
122
104
81
79
70
62
62
62
61
60
50
50
49
48
47
46
42
26
25
25
24
22
22
22
22
20
19
17
17
17
14
14
12
12
11
11
11
10
10
10
9
7
6
5
5
5
4
3
3
3
3
2
2
2
2
2
2
2
1
1
4.737
v.%
23,2%
18,2%
16,3%
5,9%
3,5%
2,6%
2,2%
1,7%
1,7%
1,5%
1,3%
1,3%
1,3%
1,3%
1,3%
1,1%
1,1%
1,0%
1,0%
1,0%
1,0%
0,9%
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
0,5%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,4%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,2%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,1%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
0,0%
100,0%
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
47
La presenza più significativa è rappresentata dai profili professionali meno qualificati e mansioni generiche: basti pensare
come il 57,7% del totale degli occupati rilevati sia rappresentato da 3 figure professionali:
• addetto operazioni ausiliarie di vendita (1.101 unità pari al 23,2% del complesso degli occupati rilevati);
• addetto alla vendita (861 unità, pari al 18,2% del complesso degli occupati rilevati);
• addetto ipermercato (773 unità, pari al 16,3% del complesso degli occupati rilevati).
Il restante 42,3% degli occupati è distribuito tra le ben 62 professioni rilevate restanti.
Tale aspetto si spiega con un duplice ordine di fattori:
• da un lato, infatti, si ricorda che definizioni generiche come Addetto alle operazioni ausiliarie di vendita o Addetto alla vendita
sono le voci che generalmente vengono inserite nei contratti di lavoro per coloro che hanno le prime esperienze in azienda
(tenuto conto che nella Grande Distribuzione il turn-over44 è piuttosto elevato, tale aspetto non risulta ininfluente);
• dall’altro lato, un inquadramento così generico permette al datore di lavoro di impiegare il dipendente nello svolgimento
delle mansioni in modo elastico e funzionale alle esigenze dell’azienda.
Si tenga presente che, nella Grande Distribuzione Organizzata, “non sono rari i casi in cui un lavoratore generico possa
svolgere più di una mansione con la possibilità di occuparsi anche di mansioni specialistiche45”. Tali profili professionali,
infatti, da definizione contrattuale, svolgono un’ampia gamma di mansioni, dal confezionamento alla vendita dei prodotti
da banco (gastronomia, salumi e formaggi…), dal servizio clienti al servizio cassa, dall’allestimento degli scaffali alla segnalazione degli ordini al magazzino, passando per l’appunto da mansioni più generiche a quelle più specialistiche46.
Tale aspetto spiegherebbe, peraltro, come si vedrà di seguito, il motivo per cui il numero dei dipendenti assegnati ai registri di cassa appaiano in numero piuttosto contenuto.
Si segnala, inoltre, che l’ampia eterogeneità di figure professionali indicate dai soggetti coinvolti nell’indagine, è da ricondursi, in parte, ad una diversa modalità di definizione delle medesime figure professionali ma di cui non è possibile
avere certezza di corrispondenza pertanto anche figure con definizioni simili sono state trattate separatamente.
Come già anticipato, le informazioni emerse sono apparse piuttosto articolate ed eterogenee. Pertanto per proporre una
più facile lettura, il complesso delle 60 figure professionali rilevate è stato suddiviso il 6 aree d’impiego in base alle
principali mansioni che caratterizzano le diverse figure che ne fanno parte.
Si distinguono, pertanto:
• Addetti Lay-out: comprende tutti quei lavoratori che si occupano del prodotto di vendita (dalla disposizione sugli scaffali ai rifornimenti del magazzino) e del servizio per i clienti; questa categoria rappresenta il 69,1% del totale dei lavoratori rilevati.
• Manager: raggruppa la classe dirigenziale (dai direttori ai responsabili di reparto) che rappresenta il 12,1% del complesso
dei lavoratori rilevati;
• Addetti reparto food: sono addetti alla preparazione/vendita dei prodotti da banco generalmente con una specializzazione legata alla tipologia di prodotto; il peso percentuale di queste figure sul complesso del dato rilevato è del 10,9%;
• Apprendisti: quella degli apprendisti è una categoria trasversale a quelle individuate e rappresenta il 3,9% del complesso
degli occupati rilevati;
• Addetti area amministrativa: a testimonianza di quanto indicato nella premessa, gli impiegati nel settore amministrativo,
necessari per lo svolgimento delle attività connesse alle risorse del personale e alla gestione dei magazzini e dei prodotti di
vendita, sono presenti in parte piuttosto contenuta rappresentando il 3,8% del totale per un valore assoluto di 180 unità;
• Altre figure professionali: tale categoria è stata compresa per segnalare la presenza di Addetti alla manutenzione e
Addetti alle pulizie che non rientrano nelle precedenti categorie, rappresentano, comunque, lo 0,1% del totale.
Tab. 12 – Occupati nella GDO in Liguria per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
44
Cfr. Scheda tecnica ISFOL sulla figura professionale “Addetto alle vendite” www.orientaonline.isfol.it.
Cfr. Andrea Pierantoni, Caratteristiche occupazionali della grande distribuzione nell’area metropolitana milanese, in ADAPT – Working Paper, 23 novembre 2009, n° 100.
46
Ibidem, Intervista al Segretario Regionale della Uiltucs.
45
48
Addetti Lay-out
Quella degli Addetti layout è la categoria d’impiego più rappresentativa della Grande Distribuzione Organizzata con un
peso percentuale del 69,1% sul totale del dato rilevato con un valore assoluto di 3.727 unità.
Risulta, inoltre, l’area d’impiego con la gamma più ampia di mansioni e profili rappresentati per un totale di 24 figure
professionali.
L’attività di figure generiche come l’addetto alle vendite47, può comprendere funzioni e attività di diverso livello: o estremamente specializzate e qualificate come, ad esempio, i settori food dei punti vendita di grandi dimensioni, o attività
fortemente standardizzate e con bassa qualifica come accade nei settori self-service di supermercati e grandi magazzini.
Questi aspetti confermerebbero quanto già indicato circa le esigenze aziendali di grande elasticità del lavoro dei propri
dipendenti soprattutto nello svolgimento di quelle mansioni essenziali per l’esercizio dell’attività come il servizio ai clienti
e l’esposizione della merce. Un’ulteriore conferma è rappresentata dal fatto che, le già citate figure professionali che
mostrano la presenza più significativa nella G.D.O., fanno parte proprio di questa area d’impiego.
Si segnala, infine, la modesta presenza degli Addetti ai registri di cassa e dei cassieri di cui per altro è difficile reperire
definizioni esaustive per comprendere le precise differenze di competenza.
Appare evidente come la loro presenza sia decisamente contenuta soprattutto se confrontata con le altre professioni
della medesima area d’impiego. A giustificare tale fenomeno, interverranno sicuramente le motivazioni già indicate relative alle competenze attribuite a figure professionali più generiche.
Tab. 12a – Dettaglio dei profili professionali per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
ADDETTI LAY-OUT
Addetto operazioni ausiliarie alla vendita
Addetto alla vendita
Addetto ipermercato
Addetto registri di cassa
Specialista di vendita
Addetto reparto service & payment
Addetto reparto logistica
Commesso
Addetto rifornimento banchi
Addetto vendita farmaci non soggetti a prescrizione
Commesso specializzato
Magazziniere
Addetto reparto communication & interior design
Addetto ricevimento merci
Aiuto commesso
Cassiere
Addetto marketing
Addetto cassa centrale
Addetto merci
Promotore vendite
Allestitore
Addetto decorazione
Addetto operazioni multiple di magazzino
Totale
v.a.
v.%
1.101
861
773
122
104
60
47
46
22
20
17
17
14
11
11
11
10
7
6
5
3
2
2
3.272
33,6%
26,3%
23,6%
3,7%
3,2%
1,8%
1,4%
1,4%
0,7%
0,6%
0,5%
0,5%
0,4%
0,3%
0,3%
0,3%
0,3%
0,2%
0,2%
0,2%
0,1%
0,1%
0,1%
100,0%
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
47
Cfr. Scheda tecnica ISFOL sulla figura professionale “Addetto alle vendite” www.orientaonline.isfol.it
49
Manager
I valori relativi alle figure professionali legati all’area manageriale, risultano significativi sia per la rappresentatività del
dato, sia per varietà dei profili rilevati.
I manager occupati nelle aziende coinvolte nell’indagine sono 575, pari al 12,1% del complesso dei lavoratori rilevati.
Anche in questa area d’impiego la gamma delle figure indicate è piuttosto eterogenea. Si contano, infatti, 18 figure differenti ripartite tra capi area, responsabili, coordinatori e direttori di struttura.
La significativa varietà e la consistenza numerica delle figure manageriali possono essere ricondotte a diversi fattori
tra cui:
• il già citato problema della diversa definizione per indicare la medesima figura professionale;
• l’elevata parcellizzazione dei reparti a cui sono sottoposte le strutture di maggiori dimensioni coinvolte nell’ambito
dell’indagine (la figura con i valori più consistenti è, infatti, quella del capo reparto con 167 unità pari al 29% delle
figure relative all’area manageriale).
Tab. 12b – Dettaglio dei profili professionali per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Addetti reparto food
In questa area d’impiego le figure professionali rilevate sono 11. Ovviamente, si riferiscono ad attività svolte esclusivamente nel comparto alimentare e necessitano di una particolare preparazione soprattutto per coloro che devono utilizzare macchinari o forni (si pensi ai forni per la cottura del pane, alle affettatrici del banco salumi e formaggi o all’abilità
necessaria per il taglio ed ai coltelli necessari per quest’attività).
Particolare attenzione meritano le figure del reparto macelleria. Tali profili professionali sono presenti con diverse diciture
nella tabella di riferimento. Si trovano, infatti, oltre al macellaio, anche l’addetto qualificato banco carni, il banconiere di
macelleria e l’addetto confezione macelleria. Anche in questo caso è difficile reperire informazioni dettagliate sulle mansioni attribuite alle quattro figure indicate, ma la differenza sostanziale è da trovarsi nel percorso formativo affrontato e
nelle competenze acquisite per il taglio delle carni e per la preparazione del prodotto alla vendita.
50
Tab. 12c – Dettaglio dei profili professionali per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
ADDETTI REPARTO FOOD
v.a.
v.%
Banconiere salumi e formaggi
Macellaio
Addetto reparto food
Banconiere pescheria
Banconiere macelleria
Addetto ortofrutta
Banconiere forneria
Confezione macelleria
Addetto qualificato banco carni
Gastronomo preparatore
Totale
278
61
50
49
42
19
10
3
2
2
516
53,9%
11,8%
9,7%
9,5%
8,1%
3,7%
1,9%
0,6%
0,4%
0,4%
100,0%
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Apprendisti
L’apprendistato è impiegato moderatamente nella Grande Distribuzione Organizzata (rappresentando il 3,9% dei lavoratori occupati), ma in modo piuttosto trasversale alle diverse aree d’impiego con una presenza più significativa nelle attività di vendita.
Tab. 12d – Dettaglio dei profili professionali per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Addetti area amministrativa/informatica
Interessanti anche i dati riferiti all’area amministrativa.
Come segnalato nella “nota alla lettura” la gestione del personale appare un’area poco potenziata all’interno delle singole
strutture. Parrebbe infatti, che per ottimizzare il modo di funzionamento delle imprese commerciali (soprattutto quelle
di maggiori dimensioni), vi sia la tendenza ad affidare la gestione di alcune funzioni ad una struttura centrale che agisca
per conto dell’intero gruppo48 o in altri casi ad agenzie specializzate nella gestione amministrativa.
Infatti, il totale dei profili evidenziati nell’indagine di questa area d’impiego è di 180 unità, un valore piuttosto contenuto
rispetto al campione coinvolto e al numero complessivo di lavoratori rilevati.
Una nota di attenzione meritano anche le figure con competenza relativa al sistema informatico.
L’introduzione degli strumenti informatici ha permesso, infatti, grandi sviluppi organizzativi e facilitato la gestione delle
imprese più o meno grandi nella GDO, trovando ampio spazio di applicazione (oltre che nella gestione del personale)
nelle attività di:
• cassa: si pensi al sistema computerizzato della registrazione di cassa basato sulla lettura ottica dei codici dei prodotti
e dei relativi prezzi che ha permesso una più facile gestione della clientela e dei pagamenti;
• gestione della merce a scaffale e nei magazzini.
48
Cfr. ISFOL – Area Occupazionale – Commercio e Distribuzione – Studio di area (versione young) (p. 8).
51
Tab. 12e – Dettaglio dei profili professionali per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
ADDETTI AREA AMMINISTRATIVA/INFORMATICA
v.a.
v.%
Impiegato amministrativo
Impiegati retribuzioni
Addetto data-entry
Addetto amministrativo con funzione EDP
Addetto sistema informatico
Totale
79
62
26
12
1
180
43,9%
34,4%
14,4%
6,7%
0,6%
100,0%
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Altri profili professionali rilevati
Sono state inoltre rilevate altre figure professionali non riconducibili alle categorie sopra indicate.
Tab. 12e – Dettaglio dei profili professionali per area d’impiego
Anno 2008 – Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
2.2.3 L’analisi dell’occupazione per tipologia distributiva
Soffermandosi sul dettaglio degli occupati per tipologia distributiva si evidenzia che, in linea con la numerosità delle
strutture, circa la metà dei lavoratori è occupata nei Supermercati (46,4% pari a 2.771 unità).
Il 20,3% dei lavoratori risulta, invece, occupato negli Ipermercati, strutture numericamente poco presenti sul territorio
ligure, ma caratterizzate da una superficie di vendita molto ampia (circa 2.500 mq) che li porta a rappresentare un importante bacino occupazionale.
Seguono il 12,9% degli occupati nel Cash & Carry, l’11,5% nelle Grandi Superfici Specializzate, il 5,9% nei Discount, il
2,1% nei Grandi Magazzini e lo 0,9% nelle Librerie-Music Store.
Occupati per tipologia distributiva
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Incrociando le informazioni relative agli occupati per sesso e tipologia distributiva emerge un andamento complessivo
coerente. La presenza femminile supera, infatti, il 50% delle presenze in ogni tipologia distributiva con la sola eccezione
per il Cash & Carry che mostra valori più consistenti in favore degli uomini che rappresentano il 60,3% del totale degli
occupati rilevati in questa tipologia distributiva.
La motivazione della maggiore presenza maschile, potrebbe essere ricondotta alle caratteristiche proprie di questa tipologia distributiva. I punti vendita si presentano, infatti, organizzati in modo chiaro e accessibile per favorire l’acquisto
52
autonomo da parte dei clienti. Non sono molte le figure professionali al servizio diretto del cliente e le professioni più
numerose sono quelle relative al magazzinaggio e alla disposizione della merce sugli scaffali, attività per le quali generalmente sono impiegati uomini.
La logica opposta, condiziona probabilmente le assunzioni nei Grandi Magazzini che mostrano una percentuale femminile di ben il 79,4% (la più alta tra i valori rilevati). Le donne occupate sono 100 sul totale dei 126 lavoratori in questa
tipologia distributiva. Si tenga in considerazione che un punto di forza di questa tipologia distributiva è proprio il servizio
al cliente e l’attenzione da parte del personale alle diverse richieste ed esigenze. Tendenzialmente questo tipo di attività
è affidata alle donne.
Lavoratori occupati per tipologia distributiva e sesso
Anno 2008
Tab. 13 – Lavoratori occupati nelle aziende coinvolte nell’indagine diretta per tipologia distributiva e sesso
Raffronto 2007-2008 – Valori assoluti
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
53
Tab. 13a – Lavoratori occupati nelle aziende coinvolte nell’indagine diretta per tipologia distributiva e sesso
Raffronto 2007-2008 – Valori percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
Osservando l’andamento dell’occupazione della Grande Distribuzione Organizzata negli anni 2007-2008, non si evidenziano dinamiche di rilievo. La crescita occupazionale è, infatti, appena del +0,3% rispetto al 2007 (pari a +20 unità). Si
evidenziano, però, tendenze differenziate dall’analisi di genere. Mentre il numero degli uomini occupati cresce del +5,1%
(pari a +104 unità), il numero delle donne mostra una flessione del –2,1% (pari a –84 unità).
Tab. 13b – Lavoratori occupati nelle aziende coinvolte nell’indagine diretta per tipologia distributiva e sesso
Variazione anni 2007-2008 – Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
Aspetti interessanti emergono dall’osservazione del dettaglio per tipologia distributiva.
La crescita più significativa si registra nei Discount con un incremento del 28,2% (pari a +78 unità). Registrano segno
positivo, anche se di modesto valore, Supermercati (+1,5%), Grandi Superfici Specializzate (+0,4%) e Cash & Carry
(+0,1%). Segno negativo, invece, per le assunzioni negli Ipermercati (–7,1% pari a –93 unità), nei Grandi Magazzini
(–6,7%) e nelle Librerie-Music Store (–3,5%).
54
Variazione dei lavoratori negli anni 2007-2008 per tipologia distributiva
Dall’analisi di genere si evidenzia come la crescita è rallentata soprattutto dalla flessione del dato riferito alle donne.
Delle 7 tipologie distributive prese in esame, 4 ne segnalano un calo di occupazione. In termini assoluti la flessione più
significativa si registra negli Ipermercati con un dato pari a –77 unità (–7,8%). Con la differenza di una sola unità, il canale Cash & Carry mostra una flessione altrettanto importante di –76 donne occupate (con una variazione percentuale
del -19,9%). Flessioni meno significative si registrano anche per le Grandi Superfici Specializzate (–7 unità pari a –1,8%)
e Librerie-Music Store (–3 unità pari a –9,7%).
In crescita invece l’occupazione femminile nei Discount (+53 unità pari a +25,9%) e nei Supermercati (+26 unità pari a
+1,4%).
Stazionaria la situazione occupazionale dei Grandi Magazzini, dove il numero delle donne occupate non subisce variazione alcuna.
Diverso l’andamento delle assunzioni degli uomini che registrano flessioni (di poche unità) solo negli Ipermercati e nei
Grandi Magazzini con valori rispettivamente pari a –16 e –9 unità pari a –5,1% e –25,7%.
I valori più favorevoli, in termini assoluti, si registrano nel canale Cash & Carry con +77 unità, mentre in termini percentuali nei Discount con una crescita del 34,7%.
In riferimento a tali variazioni, si segnala, inoltre, che in questo settore d’impiego il turn over è piuttosto elevato, aspetto
difficile da evincere solo dai dati raccolti attraverso la scheda di rilevazione. Si segnala pertanto la possibilità che, sulle
flessioni registrate, influisca anche l’attesa di reperimento del nuovo personale.
Variazione dei lavoratori negli anni 2007-2008 per tipologia distributiva e sesso
55
Elementi interessanti emergono anche dall’analisi della tipologia oraria impiegata nelle diverse strutture prese in esame.
Tab. 14 – Occupati per tipologia distributiva e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori assoluti
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
Soffermandosi sul dettaglio delle diverse tipologie distributive, si evidenzia, infatti, un utilizzo differente delle due tipologie orarie. Infatti, il full-time è utilizzato maggiormente in 5 delle 7 tipologie distributive indagate. In particolare il
Cash & Carry mostra il 68,3% dei rapporti di lavoro con tipologia oraria full-time. Seguono: Grandi Magazzini e Librerie,
Music-Store (56,3%), Discount (54,1%) e Grandi Superfici Specializzate (50,4%).
Ipermercati e Supermercati sembrano, invece, prediligere contratti di lavoro part-time con valori rispettivamente pari al
66,2% e 50,9%.
Tab. 14a – Occupati per tipologia distributiva e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
Occupati per tipologia distributiva e tipologia orari - Anno 2008
56
Dall’incrocio delle informazioni relative alle diverse tipologie orarie con il genere, si evidenzia come, il part-time sia maggiormente diffuso tra le donne. L’83,3% del part-time, infatti, è attribuito alle donne. Tendenze decisamente differenti
per i contratti di lavoro full-time; il 52,1% dei contratti full-time, infatti, sono attribuiti agli uomini.
Tab. 15 – Aziende coinvolte nell’indagine diretta per tipologia distributiva, sesso e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori assoluti
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
Il full time evidenzia come oltre il 50% dei contratti di lavoro siano in favore degli uomini. Questo avviene in 4 delle 7
tipologie distributive indagate, ovvero: Ipermercati (59,7%), Grandi Superfici Specializzate (54,5%), Cash & Carry (54,3%)
e Supermercati (50,7%). Diversa la situazione nelle restanti tipologie distributive che mostrano valori in favore delle donne: Librerie- Music Store (77,8%), Grandi Magazzini (70,4%), Discount (55,7%).
Si segnala, inoltre, che le percentuali relative al lavoro full-time riferite a uomini e donne, mostrano una forbice di valori
decisamente più ampia quando tale tipologia oraria mostra una peso percentuale più favorevole ai contratti delle donne.
Appare diversa la situazione se ci si sofferma sul part-time. La disparità è decisamente più evidente in favore dell’attribuzione di questa tipologia oraria alle donne. Oltre a registrare un dato medio piuttosto significativo (come già indicato
l’83,3% dei contratti di lavoro part-time riguarda la situazione femminile), i valori di 5 sulle 7 tipologie distributive coinvolte, superano ampiamente il 70% dei contratti in rosa, raggiungendo un peso percentuale del 93% negli Ipermercati.
Tab. 15a – Aziende coinvolte nell’indagine diretta per tipologia distributiva, sesso e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori assoluti
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
* Altro= Librerie, Music Store
57
Occupati full-time per tipologia distributiva e sesso - Anno 2008
Occupati part-time per tipologia distributiva e sesso - Anno 2008
2.2.4 I lavoratori stranieri
Per quanto riguarda gli stranieri presenti tra gli occupati nella GDO in Liguria si può in primo luogo osservare come,
sulla base delle risposte pervenute, il loro numero appaia piuttosto contenuto. Si tratta soprattutto di donne (oltre il
60%) in prevalenza concentrate nelle classi tra i 20 ed i 29 anni e tra i 30 ed i 39 anni. La tipologia oraria più utilizzata
è il part–time (60%), modalità oraria che risulta anche in questo caso praticata soprattutto dalle donne. Per quanto riguarda l’inquadramento professionale il 77% circa risulta concentrato nel quarto e nel quinto livello, quindi nelle mansioni di addetto alle operazioni di vendita e addetto vendita.
Dall’analisi dell’incrocio tra inquadramento professionale e tipologia oraria trova conferma l’utilizzo, soprattutto da parte
delle donne, del part-time nei livelli e nelle mansioni meno specialistiche, mentre con l’aumentare dei livelli di responsabilità si incrementa il tempo pieno.
58
Tab. 16 – Stranieri occupati nella GDO in Liguria per classe d’età e sesso
Anno 2008 - Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 16a – Stranieri occupati nella GDO in Liguria per classe d’età e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 17 – Stranieri occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale e sesso
Anno 2008 - Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 17a – Stranieri occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Tab. 17b – Stranieri occupati nella GDO in Liguria per inquadramento professionale, sesso e tipologia oraria
Anno 2008 - Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
59
In riferimento ai profili professionali ricoperti dagli stranieri si evidenziano due tendenze chiare quanto opposte.
Gli stranieri, infatti, vengono inseriti in azienda con profili molto generici o, all’opposto, molto qualificati per ricoprire
ruoli manageriali.
24 dei 30 stranieri rilevati, svolgono le mansioni generiche previste per gli addetti alle operazioni di vendita. Anche se
vengono utilizzate diverse definizioni (come addetto vendita, addetto ipermercato, addetto reparto sevizio clienti, addetto
attività di ristorazione) come già anticipato, queste definizioni identificano una sorta di factotum della Grande Distribuzione Organizzata per quanto riguarda le mansioni legata alla presentazione del lay out di vendita (dalle attività di magazzinaggio al servizio cassa).
1 figura è inquadrata come apprendista, sempre con caratteristiche generiche.
Le restanti 5 figure sono assunte con ruoli manageriali come:
• Capo reparto
• Coordinatore
• Direttore di punto vendita
• Manger di punto vendita
• Responsabile Visual
Tab. 18 – Stranieri occupati nella GDO in liguria per profilo professionale
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Per quanto riguarda i continenti di provenienza degli stranieri presenti nelle aziende liguri (che hanno partecipato alla
rilevazione) emerge una presenza più significativa di stranieri provenenti dall’Europa (60%). Seguono gli stranieri provenenti dall’Africa (26,7%) e dal Sud America (13,3%).
Nazionalità di provenienza dei lavoratori stranieri
Infine, per quanto riguarda le nazionalità di provenienza, si evidenzia che il 23,3% (pari a 7 unità) degli stranieri proviene dalla Romania. Seguono il 10% rispettivamente di stranieri provenenti da Albania, Ecuador e Marocco. Le 4 nazionalità appena indicate rappresentano anche le 4 nazionalità presenti in percentuali più significative sul territorio ligure
secondo le fonti istituzionali competenti (Istat, Inail, Unioncamere).
60
Tab. 19 – Stranieri occupati nella GDO in Liguria per nazionalità di provenienza
Anno 2008
Valori assoluti e percentuali
Fonte: Agenzia Liguria Lavoro – O.M.L. – Elaborazione su dati indagine diretta
Top ten delle nazionalità di provenienza
61
Capitolo 3 – L’analisi dei casi
3.1 Premessa metodologica
Nell’ambito del quadro di contesto delineato nelle parti precedenti e a completamento e integrazione delle informazioni
raccolte, è stato realizzato un approfondimento ulteriore delle peculiarità dell’ambito oggetto di studio, ossia una analisi
di casi, finalizzata a centrare l’attenzione sulle problematiche connesse alla “buona occupazione”.
È stato quindi individuato un sub universo di imprese, considerate rappresentative delle diverse realtà presenti nel territorio ligure e intervistate con l’obiettivo di rilevare informazioni più dettagliate rispetto a quanto già ottenuto attraverso
la rilevazione quantitativa.
Come è stato anticipato, l’individuazione dei casi è frutto di un confronto condiviso con il gruppo di lavoro costituito
dalle Parti Sociali.
L’analisi ha quindi riguardato i punti vendita delle aziende più importanti che operano nel comparto della distribuzione
organizzata in Liguria.
A partire da un universo di riferimento che comprende un’ampia varietà di forme distributive si è scelto di concentrare
questa fase di approfondimento su una selezione di casi scelti sulla base dei seguenti criteri:
• Dimensione e numerosità dei lavoratori: visti i temi oggetti di approfondimento del progetto si è scelto di orientare la
selezione sui punti vendita di maggiore dimensione, nei quali sono occupati il maggior numero possibile di lavoratori,
fatti salvi gli altri criteri.
• Tipologia: vista la grande varietà di formule distributive che compongono il variegato universo della distribuzione organizzata (Supermercati, Ipermercati, Superstore, Grandi magazzini, Cash & Carry, Grandi Superfici Specializzate, Megastore e Discount) si è scelto di orientare la selezione dei casi in maniera tale da rappresentarne il maggior numero
possibile, fatti salvi gli altri criteri.
• Aziende: il tema della qualità del lavoro è evidentemente connesso con le specifiche politiche di ogni singola azienda
in tema di gestione delle risorse umane, salute e sicurezza, responsabilità sociale, etc. Per questa ragione si è scelto di
orientare la selezione dei casi per dare massima rappresentatività del panorama delle aziende operanti nel comparto
della grande distribuzione in Liguria, fatti salvi gli altri criteri.
• Localizzazione: benché la localizzazione dei punti vendita sul territorio non assuma rilievo particolare dal punto di vista
dell’indagine si è scelto di comporre il campione in maniera tale da rappresentare adeguatamente le diverse aree territoriali che compongono la regione: imperiese, savonese, genovese, tigullio, spezzino.
L’utilizzo congiunto dei criteri menzionati ha portato all’individuazione dei casi su cui si è concentrata l’attività di ricerca49.
1
Basko
Genova
GE Supermercato
2
Brico Center
La Spezia
SP Grande Superficie Specializzata
3
Carrefour
Taggia
IM Superstore
4
Castorama
Genova
GE Grande Superficie Specializzata
5
Decathlon
Genova
GE Grande Superficie Specializzata
6
E.Leclerc Conad
Taggia
IM Ipermercato
7
Ekom
Uscio
TG Discount
8
Esselunga
La Spezia
SP Superstore
9
Ikea
Genova
GE Grande Superficie Specializzata
10
Ipercoop
Carasco
TG Ipermercato
11
La Prealpina
Albenga
SV Grande Superficie Specializzata
12
Metro
Genova
GE Cash & Carry
13
Sogegross
Lusingano d’Albenga
SV Cash & Carry
49
Si ricorda peraltro che il tipo di campionamento non probabilistico utilizzato per selezionare i casi (nello specifico, un campione “per esperti” o
definito anche ‘sociologico’) non permette l’inferenza statistica dei risultati all’intero universo di riferimento.
65
L’articolazione territoriale e per categoria è sintetizzata di seguito:
I casi per articolazione territoriale
I casi per tipologia
Per la raccolta delle informazioni è stata costruita una traccia di intervista semistrutturata50, sulla base della proposta di
Agenzia e integrata con specifiche richieste conoscitive proposte dalle parti sociali.
In accordo con i nostri interlocutori è stato stabilito che la raccolta delle informazioni potesse e dovesse essere indirizzata
a testimoni in grado, funzionalmente alla loro varietà di ruoli e mansioni, di proporre descrizioni e riflessioni approfondite
in relazione agli stimoli proposti. Ne è derivata la scelta di contattare, per ogni realtà, prima l’interlocutore aziendale e
successivamente il rappresentante sindacale (e in caso di mancanza, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).
In questo modo è stato ottenuto un quadro di riferimento frutto di due punti di osservazione diversi, ma complementari.
Il confronto tra le considerazioni e le riflessioni proposte dagli intervistati è stato inoltre agevolato dal fatto che, ad entrambe le tipologie di soggetti, è stata proposta la stessa traccia di intervista.
Nonostante la necessità di tempi oggettivamente lunghi per la conduzione delle interviste (mediamente due ore, tempo
non facile da avere a disposizione), gli intervistati hanno dimostrato una collaborazione e una disponibilità davvero notevoli, permettendo così di chiarire ogni aspetto che, data la complessità del settore e dei temi trattati, poteva richiedere
approfondimenti e spiegazioni dettagliate e di poter disporre di molto materiale, rilevante per la quantità ma soprattutto
per la qualità delle informazioni rilevate sul campo.
Di seguito si propone una sintesi di quanto emerso in sede di intervista. Per chiarezza espositiva, i paragrafi seguono
l’ordine degli stimoli previsto dalla traccia e, nei “box”, è specificata l’articolazione degli approfondimenti proposti per
ogni macro tema.
In linea con gli obiettivi di indagine, il focus di attenzione è posto sul tema della “buona occupazione”, sicurezza e regolarità costituiscono uno “sfondo” su cui si innestano i temi della qualità del lavoro, incluso l’aspetto della soddisfazione
del personale, un indicatore di clima.
Le indicazioni emerse con riferimento al punto n. 9 della traccia “Il lavoro di qualità nella programmazione regionale”
sono state presentate con riferimento ai temi specifici a cui si riferivano, poiché sono state trattate in modo trasversale
rispetto ai temi proposti nella traccia.
50
66
Cfr. Allegato 5.
3.2 La popolazione aziendale
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Numerosità
Ripartizione per aree/reparti, livelli organizzativi
Profilo demografico e di genere
I lavoratori stranieri
Aree di residenza
Provenienza scolastica
Percorsi lavorativi in entrata e in uscita
Il turn-over
Evoluzione storica
Il numero di addetti rilevati nelle diverse aziende contattate risulta estremamente variabile, in funzione della presenza
sia di imprese di piccola dimensione, sia di grandi gruppi, con sedi in entrambi i casi anche al di fuori del territorio ligure51: in base alle dichiarazioni dei rispondenti si passa da 17-18 a oltre 400 addetti (il dato ‘medio’ è compreso indicativamente fra 70 e 130 addetti).
Non tutte le aziende hanno indicato le classi d’età dei propri addetti, fatto questo che non ha permesso di calcolare una
media affidabile di questo indicatore. Si passa così, nei casi in cui esso è stato invece dettagliato dagli interlocutori contattati, da un organico piuttosto giovane (entro i 25 anni), ad altri superiori ai 30 e, in un caso, prossimo ai 40 anni.
L’età giovane o meno è correlabile anche a fattori quali il tipo di attività svolta: ciò avviene, ad esempio, nelle aziende di
piccole dimensioni, dove gli addetti alle vendite possono essere ‘polifunzionali’, dovendo occuparsi talvolta anche di gestione del magazzino, oltre che dei rapporti con i clienti: in questi casi specifici è probabile trovare, oltre ad addetti giovani, anche una prevalenza maschile, in quanto il tipo di attività richiede l’impiego di una certa forza fisica.
La componente femminile è piuttosto ben rappresentata nelle realtà di grandi dimensioni, dove esiste la turnazione a
motivo di orari di lavoro non corrispondenti ad otto ore giornaliere, oppure di aperture al pubblico per sette giorni alla
settimana: in questi casi è frequente la richiesta da parte delle aziende di orari part-time e, più in generale, di flessibilità
di orario (peraltro molto raramente spezzato).
Non frequente, invece, è il caso di donne ai livelli alti delle diverse imprese. Questo dato è motivato non da forme discriminatorie, quanto più dall’impegno sempre crescente che viene richiesto ai lavoratori, a mano a mano che le incombenze
aumentano: tale impegno non riesce quasi mai a coniugarsi con una gestione ‘normale’ delle famiglie di appartenenza.
Con tutto ciò spesso gli interlocutori hanno ribadito come non esistano forme di preclusione alla carriera ex ante: è piuttosto il tipo di lavoro che produce a monte un effetto selettivo di genere.
In linea di massima l’area di residenza dei lavoratori è abbastanza vicina all’azienda di appartenenza. Questo dato non
deve far pensare che esista ancora il mito del lavoro ‘comodo’: se ciò innegabilmente in alcuni casi può corrispondere
alla realtà, in altri è la stessa azienda che preferisce addetti che vivono in aree contigue alla propria sede operativa.
Come ha fatto notare un responsabile di un’azienda della Grande Superficie Specializzata, ciò avviene essenzialmente:
• per ragioni di tipo logistico (le imprese sono spesso insediate in aree distanti dalle stazioni ferroviarie; l’utilizzo di mezzi
propri – es. auto – potrebbe ovviare a questo problema, ma comporterebbe un aggravio di costi per gli spostamenti,
spesso non convenienti per lo stesso lavoratore);
• per facilità nella gestione dei turni, se dovesse essere necessario prevedere sostituzioni dell’ultimo minuto: in caso di
assenza improvvisa di colleghi, un lavoratore può sostituirli più facilmente e più rapidamente se vive vicino al posto di
lavoro.
Con riferimento ai titoli di studio dei lavoratori, gli intervistati hanno indicato diplomi che variano da quelli di secondaria
di primo grado (licenze medie) fino alla laurea (nelle più differenti materie).
Vi sono casi in cui tali titoli rivestono poca importanza per i datori di lavoro, in quanto ad essi viene tendenzialmente
preferita la capacità di relazionarsi al pubblico, l’attitudine alla comunicazione e al lavoro di gruppo, la conoscenza puntuale del tipo di prodotto che deve essere venduto, quindi competenze di base e trasversali non necessariamente correlabili al contenuto di differenti percorsi scolastici.
Peraltro, a seconda degli obiettivi aziendali, è invece possibile che, in fase di selezione, del personale sia dato più spazio a
persone con diplomi di secondaria superiore o lauree: sono stati anche riscontrati casi di giovani assunti in percorso universitario, che si mantengono agli studi lavorando sia part-time, sia in turni particolari (es. mattino presto), sia full-time.
51
Questo aspetto non è di poca importanza. Ad esempio, con riferimento all’apprendistato, può comportare un confronto costante, da parte dei rappresentanti di aziende con sedi legali in regioni diverse dalla Liguria, con regole di mercato e normative talvolta anche molto differenti rispetto al
proprio ambito territoriale di riferimento.
67
L’obiettivo è non solo o comunque quello di permettere ai giovani di raggiungere la laurea o di poter disporre di denaro
per non dipendere dalle famiglie, ma quello di avviarli a percorsi di carriera interni, se esiste interesse e soprattutto una
forte motivazione.
Il turn over è variabile: alcune delle aziende contattate hanno dichiarato una sostanziale tendenza dei propri dipendenti
a non cercare alternative (del resto, in un momento particolare come quello in atto, in molti hanno notato che di alternative non ce ne sono molte e che, quindi, chi ha un lavoro tende a tenerselo stretto!).
Con tutto ciò, in un ipermercato, si è verificato di recente un caso di oltre 20 apprendisti che, nell’arco di poco più di un
anno hanno volontariamente lasciato il percorso lavorativo intrapreso (con l’eccezione di soli tre addetti, che sono invece
stati passati ad una forma contrattuale diversa, in quanto confermati), poiché non riuscivano a reggere i ritmi di lavoro
e le richieste di flessibilità, decisamente tipiche in particolare del comparto in oggetto.
Analogamente sono stati dichiarati casi, trasversali alle imprese contattate (quindi senza specificità settoriali, anche se
la provenienza da gruppi noti sul mercato è abbastanza una garanzia di risultati positivi nei processi di mobilità) di lavoratori che lasciano il proprio posto per cercarne uno nuovo presso la concorrenza o comunque sempre nel settore, così
come di giovani che, una volta conseguita la laurea, preferiscono abbandonare questo tipo di lavoro (evidentemente vissuto volutamente fin dall’inizio come temporaneo) per uno magari più consono al tipo di percorso di studi fatto.
In ogni caso, il raggiungimento della laurea può essere (ma anche non essere) il momento in cui il lavoratore abbandona
l’azienda per cercarne un lavoro più consono al tipo di studi completato: come già accennato, l’azienda stessa tende, se
può e se ravvisa motivazione nel soggetto, a proporgli percorsi di carriera interni.
Infine, il turn over è anche di tipo ‘interno’ funzionale cioè a coprire ammanchi di personale per periodi più o meno prolungati in sedi diverse o a risolvere necessità impellenti temporanee (es. inventario, che può richiedere spostamenti di
addetti da una sede all’altra per la sua realizzazione in tempi brevi: la chiusura di un punto vendita per inventario avvantaggia la concorrenza e, a prescindere da questioni di logiche concorrenziali di mercato, rappresenta un puro costo
per l’azienda).
È poco frequente la presenza di stranieri nelle aziende intervistate (in alcune essi mancano completamente). Le motivazioni sono le più differenti: dalla necessità che la lingua italiana sia ben conosciuta, in funzione del particolare linguaggio
tecnico richiesto per determinate categorie di prodotti, al fatto che non siano frequentissime presso certi gruppi le domande di assunzione presentate da parte di lavoratori non italiani.
Ciò che è emerso dalle interviste è che, comunque, questo settore è in grado di assorbire, potenzialmente, manodopera
di vario livello e di diversa provenienza in quanto ad iter scolastico (anche di basso profilo), d’età giovane e, in base al
periodo, anche numericamente consistente, sottolineando nuovamente come questa ultima peculiarità sia peraltro mutevole nel tempo: tutti questi aspetti non sono da poco per un territorio come quello ligure, dove la ricerca di un posto
di lavoro può essere particolarmente ostica, specie per giovanissimi senza molta esperienza.
Box 1 – La popolazione aziendale
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68
Settore potenzialmente in grado di assorbire giovani e grandi numeri, se e quando necessario e se la congiuntura
economica lo permette
Aziende intervistate di dimensioni variabili (da 17-18 addetti a oltre 400)
Aziende con addetti giovani (entro i 25 anni) ma anche adulti (entro i 40 anni)
Le tipologie di attività motivano sia gli organici giovani, sia a volte la prevalenza maschile (specie se le mansioni
richiedono forza fisica)
Componente femminile ben rappresentata specie nelle aziende di dimensioni medio-grandi per ruoli e mansioni
medi; presenza più sporadica ai vertici delle aziende, per l’impegno e la dedizione richiesti
Aree di residenza dei lavoratori tendenzialmente limitrofe all’azienda, per ragioni logistiche (del lavoratore) e organizzative (delle aziende)
Titoli di studio dei lavoratori variabili dalle licenze di scuola secondaria di primo grado a lauree
Presenza di addetti con titoli di studio medi e alti talvolta per esplicita politica aziendale; in alcuni casi però il
titolo di studio non è stato dichiarato come elemento significativo
Turn over tendenzialmente non elevato: il momento economico particolare non incentiva infatti fuoriuscite dalle
aziende se non per eventuali opportunità migliori (peraltro difficili da trovare)
Scarsa presenza di stranieri motivata dal fatto che, in alcuni casi, il tipo di prodotti offerti richiede un’ottima padronanza della lingua italiana, in altri lo stesso straniero non fa domande presso le aziende di questo settore.
3.3 L’ingresso in azienda
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I canali di reclutamento
L’inserimento in azienda
I diversi profili professionali
Le figure di difficile reperimento
I canali attraverso cui il personale viene reclutato dalle aziende intervistate sono risultati vari.
Una prima modalità è quella di consegnare un curriculum vitae. nei punti vendita, dove sono spesso allestiti spazi dedicati
alla raccolta dei curricula. In alternativa, esiste anche la possibilità di predisporre una richiesta di assunzione (in più di
un caso sono stati segnalati prestampati scaricabili dai siti aziendali da rinviare via email, una volta compilati).
Un intervistato dell’area ipermercato ha spiegato come i curricula acquisiti presso i punti vendita vengano trasmessi per
prima cosa alla direzione, che a sua volta li invia poi alla sede centrale per la valutazione di merito.
Vengono però utilizzati pressoché tutti i canali disponibili, con differenze soprattutto funzionali al tipo di figura ricercata,
alla sua permanenza in azienda (assunzioni temporanee o stabili) o ad altre variabili di volta in volta correlate al settore
di appartenenza dell’impresa stessa.
E non è peraltro detto che da un inserimento inizialmente temporaneo non possa derivare poi la trasformazione in un
rapporto di lavoro più duraturo.
A questo proposito un intervistato dell’area della Grande Superficie Specializzata ha ricordato il caso di due persone, assunte tramite agenzia di lavoro interinale, che in funzione della buona resa sul lavoro dimostrata sono state poi passate
a tempo indeterminato.
La relazione con i Centri per l’Impiego è variabile: in alcuni casi le aziende passano semplicemente da essi per perfezionare
l’assunzione di soggetti reperiti attraverso ricerca di personale svolta in autonomia. In altri invece il Centro per l’Impiego rappresenta il soggetto principale cui l’azienda si rivolge per valutare eventuali candidati disponibili iscritti. Tutto dipende peraltro
dal tipo di figura ricercata e dalla loro correlata reale disponibilità presso il Centro per l’Impiego di diretto riferimento.
È stato anche sottolineato un meccanismo di cosiddetta ‘cooptazione’, ossia di ingresso in azienda mediato da personale
già parte dell’organico, che presenta una persona da lui conosciuta, interessata al lavoro.
Un intervistato della Grande Superficie Specializzata ha affermato come i canali di reclutamento a suo giudizio più funzionali siano rappresentati dalle autocandidature spontanee (presso i siti o ai punti vendita), perché attestano un livello
di interesse effettivo dei singoli e la loro forte motivazione rispetto alle eventuali opportunità lavorative dell’azienda o
delle aziende presso cui si sono proposti.
Ai fini di una ricerca di personale con titolo di studio alto (laurea), alcuni intervistati hanno inoltre dichiarato di aver
fatto presentazioni dell’azienda in Università, accogliendo poi adesioni per potenziali valutazioni dei curricula e, se adeguati, per colloqui di lavoro.
Alcune imprese hanno affermato di partecipare, con specifiche finalità di reclutamento di personale, anche a diverse manifestazioni tematiche (es. giornata di orientamento post laurea). Questa può essere sinteticamente definita un’attività di marketing esterno mirato, dove l’evento è garanzia di serietà e affidabilità e, quindi, il potenziale incontro domanda-offerta si basa
su un altrettanto potenziale interesse effettivo dei vari candidati; ciò permette all’azienda di contare, a priori, su una prima
scrematura delle candidature, in quanto chi si presenta è infatti presumibile sia mosso da interesse e motivazione reali.
Un canale indicato con minor frequenza, ma pur sempre previsto, è dato dai Centri di formazione, che per i percorsi in
cui è previsto lo stage aziendale creano il primo link fra utenti e impresa. Il successivo eventuale consolidamento del
rapporto di lavoro dipende ovviamente dalla buona riuscita del periodo di stage e dall’effettiva necessità di personale da
parte dell’azienda ospitante.
Analogamente il mondo della scuola può essere fautore di un eventuale match, come per esempio attraverso i percorsi
di Alternanza Scuola Lavoro e gli stessi stage, previsti in alcuni istituti tecnici e professionali.
L’estratto dall’intervista presentato di seguito assomma tutti i vari canali citati in precedenza, anche se nuovamente
sembra premiato lo spirito di iniziativa personale. Del resto ciò non deve stupire: al settore in analisi tendono infatti a rivolgersi soggetti in cerca di lavoro spinti non tanto dall’interesse o dalla passione verso il tipo di lavoro o la mansione
specifica proposti, quanto più dalla maggior facilità (anche se a volte però solo teorica) di opportunità di inserimento,
temporaneo o no che sia. L’autocandidatura, pur non essendo garanzia di un puro e genuino interesse, appare però, come
già detto, la modalità più interessante per le aziende.
“I canali di reclutamento sono i più ampi e disparati, partiamo dall’auto candidatura, il nostro sito, la collaborazione
con i centri per l’impiego, gli organi presenti sul territorio, gli enti di formazione, gli istituti scolastici, le associazioni
della formazione scolarità e orientamento al lavoro.
Il più significativo è assolutamente l’auto candidatura.”
(Direzione Grande Superficie Specializzata)
69
Infine, per alcuni interlocutori, l’inserimento sembra basarsi esclusivamente su percorsi di selezione organizzati e gestiti
al proprio interno in tutte le loro fasi, senza quindi mai ricorrere a soggetti anche istituzionali presenti nel territorio di
riferimento.
Dal punto di vista delle modalità di inserimento in azienda, le indicazioni emerse sono diverse.
In un primo caso l’attenzione è stata posta su come i singoli neo inseriti vengano avviati al lavoro, una volta ‘assunti’. In
questo caso sono stati spesso ricordati i percorsi formativi previsti prima del vero e proprio avvio a regime, strutturati
per periodi più o meno lunghi, a seconda del tipo di mansione cui i singoli devono essere attesi (con tempi variabili da
uno a sei mesi al massimo).
In altre realtà non è invece previsto alcun processo formativo, mentre è preferito l’affiancamento dei nuovi inseriti “on
the job” a colleghi di comprovata e lunga esperienza; anche in questo caso la durata di questa formazione su campo ha
modalità differenti da azienda ad azienda e da mansione a mansione.
In altri casi, invece, gli intervistati non hanno inteso la domanda come finalizzata a rilevare i meccanismi di inserimento,
in particolare per la tipologia di contratto alla base del primo periodo di lavoro. Ne è conseguito quindi il dettaglio di
tutte le tipologie contrattuali proponibili ai neo assunti (si veda, per questo tema, più oltre).
A seconda del tipo di attività svolta risulta rivestire, inoltre, un ruolo fondamentale il lavoro stagionale, indicato in molti
casi come strumento di accesso in grado di garantire disponibilità di personale esperto nel tipo di lavoro, nei periodi di
effettivo bisogno e con continuità, visto che alcune di queste risorse su cui l’azienda conta sono sempre le stesse nel
tempo, quindi stagionali per scelta espressa e non per vicende di vita.
Un intervistato di un’azienda della Grande Distribuzione Specializzata ha sinteticamente illustrato un iter di inserimento
nella propria azienda segnalando, in particolare, come da un colloquio possano derivare opportunità anche in momenti
successivi, se il candidato ha comunque fatto buona impressione ma non ci sono opportunità professionali disponibili
nel breve periodo. L’azienda tende infatti a “mettersi a vento” funzionalmente alle proprie opportunità di sviluppo pianificate nel tempo e, in funzione di ciò, tiene comunque memoria delle candidature valide anche se valutate in momenti di
non oggettiva esigenza di personale.
Con riferimento ai diversi profili professionali previsti nelle diverse aziende, ciascun intervistato ha esplicitato le proprie
specificità.
Un intervistato dell’area Cash & Carry ha descritto i primi livelli di inserimento disponibili nell’azienda di appartenenza,
ossia gli addetti vendita assunti anche se privi di specifica esperienza e messi in affiancamento on the job a personale
già esperto, gli addetti alla vendita on line, diversi per competenze richieste dai precedenti (per il tipo di rapporto con il
cliente finale, nel primo caso diretto, nel secondo più mediato). Lo steso intervistato ha citato anche il personale responsabile invece della distribuzione, ricezione, smistamento e preparazione della merce nei punti di vendita, che afferiscono
all’area della logistica e che da questa sono direttamente selezionati e reclutati.
Altri intervistati hanno invece parlato direttamente del proprio organico in modo più o meno specifico, dettagliandone
comunque sempre i livelli con un approccio ‘gerarchico’: ad esempio, per l’area della Grande Superficie Specializzata,
l’addetto vendita di un reparto; i vari livelli di addetti alle casse; lo specialista degli ordini che sovraintende però a più
reparti, il caposettore con mansioni prevalentemente organizzative delle attività lavorative e formative dei diversi reparti.;
infine il direttore del punto vendita.
Con riferimento infine alle figure di difficile reperimento, esse variano ovviamente da tipo di settore merceologico, anche
se sembra in particolare non semplice la ricerca di personale esperto specie nel settore alimentare: più di un intervistato
di tale settore ha sottolineato la difficoltà di reperire addetti alla vendita di carni e pesci, di prodotti farmaceutici da
banco e, a livello più generale, di soggetti con funzioni di capireparto.
La difficoltà nel trovare le professioni poc’anzi accennate sembrano da correlare anche alle particolari aspettative economiche in particolare per i banconisti, non esattamente in linea - secondo alcuni intervistati della parte aziendale con quanto previsto dal contratto nazionale.
Talvolta la ricerca è complicata dal fatto che la figura di cui un’azienda necessita non è immediatamente disponibile sul
mercato tout court: si potrebbe parlare di casi assimilabili a quelle che in passato era definite “quasi professioni” per la
loro mancata previsione negli elenchi ministeriali di figure professionali corrispondenti (erano frequenti, in tal senso,
specialmente nei settori dell’informatica e della comunicazione); nella Grande Distribuzione le figure più difficili da reperire sono in realtà spesso quelle caratterizzate da compresenza di competenze riconducibili a più ruoli e mansioni differenti, come tali raramente reperibili fra i soggetti in cerca di prima occupazione.
In altri casi, ancora, la ricerca è incentrata su una figura generale, possibilmente dotata di conoscenza e passione per
l’attività ‘centrale’ del tipo di lavoro che dovrà svolgere, non necessariamente con esperienze pregresse, ma di livello alto
in quanto a percorso di studi. In questo caso rileva la già citata attitudine potenziale, correlata ai requisiti elencati poc’anzi: la pratica e l’esperienza sono considerate peculiarità che potranno quindi essere acquisite successivamente.
È quindi complesso definire uno standard di profilo professionale, e del resto questo era presumibile, vista l’innegabile
diversità di settori e di tipologie di aziende, da cui la Grande Distribuzione risulta composta.
Ogni ambito ha le sue esigenze, che se in alcuni casi possono essere ‘trasversali’ ad aziende di settori merceologici diffe-
70
renti, tendenzialmente si differenziano nel momento in cui si entra più nel dettaglio del tipo di prodotto trattato, del
tipo di clientela finale, delle modalità di gestione anche operativa del lavoro (orari di lavoro oltre le consuete 8 ore, che
rendono quindi necessaria l’organizzazione di turni; apertura sette giorni su sette, con il correlato obbligo di lavorare
anche sabato, domenica e festivi; ecc.).
Box 2 – L’ingresso in azienda
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Il canale principale di ingresso in azienda è stato indicato nella consegna di un proprio curriculum in azienda: in
questo modo è è anche valutato il reale interesse del singolo candidato verso il tipo di lavoro
Le aziende hanno affermato di far spesso ricorso anche ad annunci e ai servizi offerti dalle Agenzie di Lavoro Interinale
I centri per l’Impiego sono presi in considerazione per la ricerca
Frequente ricorso a forme di ‘cooptazione’ a cura del personale già inserito in azienda (presentazioni di conoscenti
interessati)
Auto-presentazioni delle aziende in Università per la ricerca di giovani da avviare a percorsi interni di carriera
Partecipazione a manifestazioni tematiche (es. giornate di orientamento)
Per determinate posizioni le aziende possono fare riferimento anche agli stage o tirocini previsti dalle scuole
Meno frequente ma citata comunque è la ricerca nell’ambito della formazione professionale, in particolare attraverso gli stage
Prevista formazione a seguito dell’inserimento in azienda con modalità diverse: a volte obbligo di seguire percorsi
formativi con cadenze cicliche, a volte direttamente formazione on the job
Dichiarate molte difficoltà a reperire determinate figure professionali, specie nei banconisti con diverse specializzazioni
Talvolta la difficoltà della ricerca è correlata al tipo di figura necessaria, spesso cumulativa di competenze diverse
(una sorta di “quasi professione”, come tale non esistente sul mercato)
In sintesi ogni azienda ha le proprie esigenze con riferimento alle caratteristiche dei lavoratori, fatto per cui uno
standard di figura professionale è poco definibile
3.4 L’inquadramento contrattuale
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Le forme contrattuali utilizzate
La domanda di flessibilità
Evoluzione storica
Dinamiche infra-annuali
Nella Grande Distribuzione il personale viene inserito attraverso un ricorso frequente a contratti di apprendistato (fino a
quattro anni), che permette di formare le risorse umane per il tipo specifico di lavoro da svolgere e che comporta poi
l’obbligo per l’azienda di assumere una quota parte elevata dei soggetti avviati con questa tipologia contrattuale.
Un intervistato dell’area Ipermercato ha peraltro sottolineato come il prolungamento di questa forma contrattuale possa
essere funzionale all’acquisizione, da parte dell’apprendista stesso, di un maggior livello di consapevolezza professionale,
in particolare della maturità necessaria per poter garantire lo svolgimento dei propri compiti al meglio ed in modo sufficientemente responsabile.
Se questa è una delle strade percorse, anche altre forme contrattuali vengono comunque applicate ai lavoratori.
Ne è un esempio lo stage, che inizialmente prevede il solo rimborso spese ma che, come ha peraltro sottolineato un intervistato dell’area della Grande Superficie Specializzata, viene spesso convertito in contratto a termine, se il candidato
ha dimostrato un buon livello professionale.
Lo stesso intervistato ha invece affermato un minor ricorso alle agenzie di lavoro interinale, che sono invece chiamate in
causa dall’azienda per far fronte a necessità di personale prevalentemente nei periodi di picco di lavoro, in cui servono
ovviamente risorse preparate e non da formare ex novo.
In un altro caso, oltre alla conferma di forme contrattuali in parte già indicate in precedenza, un intervistato dell’area
Ipermercato ha ricordato anche il ricorso a contratti a tempo determinato e al tirocinio professionalizzante attivabile
anche attraverso la collaborazione con il Centro per l’Impiego di riferimento.
Altri intervistati, nel sottolineare poi l’elevato ricorso a forme contrattuali a ‘scadenza’, hanno evidenziato come spesso la
scelta sia quella di non prolungare oltre un anno e mezzo la loro durata, anche se il Contratto Collettivo di riferimento permetterebbe tempi più ampi (fino a 3 anni). Lo stesso intervistato ha peraltro sottolineato, pur con la consapevolezza che
71
questo vada oltre il livello locale in quanto dipendente da scelte nazionali, come un aumento di assunzioni a tempo indeterminato potrebbe avvenire se fosse concessa una maggior flessibilità nell’utilizzo del contratto a tempo determinato part-time.
Il ricorso al part-time (da 16 a 30 ore) è in particolare tipico della componente femminile, anche se più di un intervistato
ha sottolineato come non sia più così connotabile univocamente dal punto d vista del genere. Dalle interviste sembrerebbe che la politica più diffusa sia quella di ricorrere al tempo parziale in modo piuttosto ampio ai fini dell’ingresso in
azienda del nuovo personale, per valutare poi, anche sulla base di eventuali richieste dirette dei lavoratori, l’eventuale
opportunità di sua trasformazione in full time (mediamente fra le 36 e le 40 ore), ovviamente se possibile.
Il part-time sembra però essere anche uno ‘strumento’ funzionale per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza o simili.
Come si può osservare, la contrattualistica sembra in parte giocare a favore delle aziende (es. il caso citato in precedenza
dell’apprendistato prolungabile fino ad un massimo di 4 anni, chiaramente a prescindere dall’oggetto specifico del lavoro
da svolgere).
Per contro, va detto anche che gli stessi lavoratori giovani non riescono a dare evidentemente tutte le garanzie a priori
per poter far decidere alle imprese nella direzione di assunzioni sempre e subito a tempo indeterminato52.
In altri casi i responsabili delle aziende hanno sottolineato la necessità che i giovani in primo ingresso nel mondo del
lavoro imparino di più a rispettare gli orari, ad essere il più possibile flessibili e, soprattutto, ad essere meno protetti
dalle famiglie: a questo proposito un intervistato ha ricordato episodi di genitori che si presentavano sul posto di lavoro per chiedere cambi di ruoli o di mansioni per i propri figli. Veniva dunque ignorata la capacità del datore di lavoro
di saper valutare il posto più o meno adatto per gli addetti, mentre dominavano altri aspetti (dalla fatica fisica richiesta, amplificata, all’“accettabilità sociale” della mansione, ecc.) che motivavano quindi la tutela genitoriale verso i
propri figli.
La necessità di capire realmente l’interesse al tipo di lavoro richiede, dunque, all’azienda una buona dose di attenzione e
valutazione, funzionale a decidere il tipo di mansione più adatta, così come il tipo di contratto e quindi, in un certo
senso, potrebbe ulteriormente motivare il ricorso a forme contrattuali non definitive.
Infine, a dipendenza del territorio di appartenenza sono stati dichiarati, come già accennato in precedenza, ricorsi a contratti
stagionali che, se da un lato permettono all’azienda di far fronte a picchi di lavoro temporanei, sono al contempo ambiti
dagli stessi lavoratori, che ricercano un impegno professionale non eccessivo, e quindi ottenibile attraverso queste forme
contrattuali.
Con riferimento alla flessibilità, invece, sono diverse le forme in cui essa si esplicita.
Ci sono aziende in cui il datore di lavoro la mette in pratica attraverso l’aumento delle ore previste da contratto, funzionalmente ad esigenze specifiche che la giustifichino.
In altri casi è invece il tipo di lavoro a produrre richieste di flessibilità in particolare in termini di orari di lavoro (ad esempio solo nei week end o nei soli festivi) o di durata limitata di alcuni contratti.
“La nostra domanda di flessibilità è strettamente connessa alla stagionalità della nostra domanda... Per questo abbiamo
contratti anche di soli 3 mesi … Teniamo inoltre conto di una cosa: il 46% del nostro fatturato si sviluppa tra sabato e
domenica, e di questo 46% il 48% nella fascia oraria che va dalle 15 alle 21. È chiaro che noi cerchiamo persone che
siano disponibili a lavorare con queste logiche. Stiamo parlando di tutti, anche del management, ovviamente …”
(Grande Superficie Specializzata)
Altre aziende esprimono invece la flessibilità in termini di necessità correlabili agli orari di lavoro anche contenuti nelle
8 ore giornaliere (quindi senza previsione di orario serale), ma con apertura dei punti vendita 7 giorni su 7.
“La domanda di flessibilità è abbastanza connaturata al tipo di lavoro da svolgere: i punti vendita del gruppo funzionano
7 giorni su 7 (la chiusura totale è prevista soltanto per 6 giorni all’anno corrispondente alle festività base); i contratti di
lavoro sono da 40 ore settimanali, con 3 ore e mezza di lavoro al mattino (9,00-12,30) e 4 ore e mezza al pomeriggio
(15,00-19,30). Non è quindi previsto orario serale.”
(Responsabile personale Grande Superficie Specializzata)
La flessibilità richiesta ai lavoratori pare quindi connaturata di volta in volta al tipo di settore e di specifica attività svolta
dalle diverse aziende.
In questo senso in più di un’occasione gli interlocutori intervistati hanno fatto notare come il tipo di servizio offerto dipenda in parte da politiche aziendali, ma soprattutto dalla domanda dei consumatori, che per vari motivi (es. i propri
tempi di lavoro) richiedono prolungamenti degli orari di apertura, con correlata necessità da parte delle aziende, che
52
Si ricorda il già citato caso di un’azienda della Grande Superficie Specializzata, che ha ricordato il caso di 20 ragazzi assunti con contratto di apprendistato, 17 dei quali, nell’arco di un anno, hanno preferito interrompere il rapporto di lavoro.
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decidono di rispondere positivamente a tali aspettative, di dover organizzare le presenze del personale su un totale giornaliero variabile anche dalle 12 alle 15 ore complessive.
Il settore appare quindi connotato da regole abbastanza particolari, che richiedono come già detto flessibilità e un sistema di organizzazione piuttosto consolidato.
Pur avendo rilevato come il forte ricorso a strumenti per l’occupazione come l’apprendistato, i tirocini e gli stage, o anche
tipologie contrattuali come il part-time o il lavoro stagionale, sia giustificato dalla necessità di formare adeguatamente
le risorse, sembra peraltro che la Grande Distribuzione riesca ad utilizzare tali strumenti in modo abbastanza personalizzato, come già accennato in precedenza.
Probabilmente questo approccio (che si sottolinea peraltro essere previsto dalla legge con queste forme) trova una spiegazione nel fatto che questo è rimasto uno dei pochi settori in cui possono trovare occupazione giovani e, soprattutto,
numeri elevati di lavoratori in base al momento e al turn over in atto.
Forse in questo senso sarebbe utile valutare una maggior diffusione della conoscenza di questo segmento di mercato
(ossia delle sue caratteristiche e ‘regole’), attraverso un adeguato orientamento e una formazione mirata, ad esempio nei
moduli trasversali di conoscenza del mondo del lavoro.
Box 3 – L’inquadramento contrattuale
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Frequente ricorso al contratto di apprendistato, per favorire la formazione dei giovani in ingresso in azienda
Ricorso anche a contratto di lavoro interinale, stage aziendali con solo rimborso spese, tirocini
Ricorso frequente anche a forme contrattuali a termine
Elevato ricorso al part-time (anche per i particolari orari di lavoro richiesti: vedi dopo punto flessibilità), in particolare dalla componente femminile, ma non solo da essa
Elevato ricorso anche al lavoro stagionale
Molta flessibilità richiesta ai lavoratori, per la tipologia di orari diversa da altri ambiti a motivo di apertura dei
punti vendita per 12 ore; orari di lavoro complessivo anche di 15 ore, considerando la preparazione del punto
vendita prima dell’apertura e dopo la chiusura al pubblico, ovviamente su turni; apertura 7 giorni su 7
3.5 Tempi e luoghi di lavoro
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Orari di lavoro, turni
Il lavoro straordinario, serale, festivo
Mobilità intra-aziendale
La conciliazione tra tempi/luoghi di vita e tempi/luoghi di lavoro
L’orario di lavoro full-time varia come di consueto fra le 36 e le 40 ore a settimana, al minimo con 6 giorni lavorativi e
con turni non sempre molto pianificabili, anche se, in altri casi, gli intervistati hanno invece riferito di possibile pianificazione personale basata su turni conosciuti con un certo anticipo.
Come già accennato la Grande Distribuzione prevede di regola orari di lavoro diversi da quelli, più tipici, dei negozi di piccole dimensioni, fatto questo che motiva la necessità di organizzare sistemi di copertura di tali orari, che di per sé non potrebbero essere svolti da singole persone, ma anche per i casi in cui essi siano di 8 ore ma per 7 giorni alla settimana.
“Noi siamo aperti dalle 9 alle 20, siamo aperti tutti i giorni, l’attività in negozio però inizia alle 8 e finisce verso le 20:30.
Il rifornimento lo facciamo tutte le mattine, arriva un responsabile, che ha le chiavi del negozio e lo apre, arriva il camion
c’è una squadra che sistema i cartoni, mette l’antifurto e il materiale sugli appendini e sugli scaffali; loro a mezzogiorno
finiscono di lavorare. Chi arriva la mattina quindi fa 8-12 generalmente, poi tipo fanno dalle 15-19 o 16-20, non facciamo lo spezzato e comunque il turno minimo è di 4 ore giornaliere.”
(Direzione Grande Superficie Specializzata)
Salvo rari casi l’orario ‘spezzato’ non è praticato ma sostituito dagli stessi turni, che permettono una migliore gestione
del tempo delle persone e che sono più funzionali da parte delle aziende per poter rispondere alle richieste di part-time,
laddove fattibile.
In alcune aziende esso è invece previsto, per lo più limitato al fine settimana, e comunque correlato a mansioni abbastanza specifiche: un intervistato ha per esempio associato lo spezzato alla mansione del cassiere, funzionalmente all’orario prolungato richiesto dall’azienda. Peraltro l’organizzazione sindacale cerca di limitare al massimo il ricorso ad
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esso, al minimo intervenendo con richieste relative alla razionalizzazione dei turni, anche se non sempre è facile gestire
tutte le aspettative da entrambe le parti (lavoratori e datori di lavoro).
I turni possono cominciare per i dipendenti al mattino presto (per la disposizione/rifornimento delle merci sui banchi), a
meno che questa attività non sia esternalizzata (generalmente a cooperative).
“I primi camion arrivano alle 5, che corrisponde all’orario di entrata dei lavoratori del primo turno. Gli ultimi escono alle
21, un’ora dopo la chiusura al pubblico del punto vendita.
Orari del turno del mattino: dalle 5/6 alle 10/11. Il personale di vendita comincia alle 10; gli altri a seguire con orari più
classici.”
(Direzione Grande Superficie Specializzata)
La sera da noi non è prevista salvo casi particolarissimi come ad esempio la vigilia di Natale o per una particolare promozione. C’è una Cooperativa esterna che lavora di notte, dalla chiusura in poi.
(Rappresentante sindacale Ipermercato)
Il ricorso al lavoro straordinario, serale e festivo, si basa su esigenze aziendali diverse, pur se da più parti è stato segnalato
come ad esso si faccia riferimento il minimo possibile. In ogni caso, un intervistato ha segnalato come la propria azienda
lo utilizzi per far fronte alle assenze improvvise del personale, mentre per un altro è possibile sotto festività specifiche, a
motivo dell’incremento dei flussi di clientela talmente significativo da rendere necessario, oltre al rinforzo del personale,
appunto il ricorso ad esso.
Molti intervistati hanno peraltro affermato che lo straordinario è anche tendenzialmente disincentivato dalle aziende di
appartenenza a causa della crisi in atto, che si pone in modo inversamente proporzionale al suo utilizzo.
“Ultimamente l’azienda cerca di ricorrerci il meno possibile per la crisi, quando la si invoca spesso chiede al personale di
recuperarlo. I contratti a termine che assumiamo li assumiamo con la clausola a ore. Fai dello straordinario io ti pago la
maggiorazione, qui è tutto pagato, tutto regolare.”
(Rappresentante direzione Cash & Carry)
Per quanto riguarda la mobilità infra aziendale, gli intervistati hanno esplicitato come essa sia praticata per esigenze
temporanee (es. in occasione di inventario, in modo da concluderlo nel minor tempo possibile, o per apertura di nuovi
punti vendita, in cui magari una risorsa esperta può essere chiamata per formare i nuovi colleghi), ma anche come opportunità di crescita professionale e di dimostrazione ulteriore di flessibilità, nel senso di capacità di assolvere a più mansioni da parte dello stesso soggetto, aspetto quest’ultimo particolarmente auspicato almeno in alcune aziende, per principio generale, ma soprattutto per concrete esigenze del tipo di lavoro.
In particolare, alcuni intervistati hanno segnalato come la mobilità sia un requisito comunque richiesto (a prescindere
che poi venga attuato o meno) a priori, in particolare ai soggetti che occupano le posizioni di vertice, in parte per esigenze oggettive, ma in parte anche per evitare forme di fidelizzazione con i dipendenti (un intervistato le ha espressamente definite “abitudini nelle relazioni”).
La mobilità è stata inoltre anche intesa come richiesta di passaggio dal tipo di contratto precedente ad uno diverso, per
motivi di varia natura.
La disponibilità alla mobilità è stata infine dichiarata funzionale per i lavoratori neo assunti a conoscere tutti gli aspetti
del lavoro che andranno a fare; la si considera quindi come formativa, parte del necessario bagaglio di esperienza, connaturato al tipo stesso di lavoro da svolgere.
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Box 4 – Tempi e luoghi di lavoro
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Full time variabile dalle 36 alle 40 ore su 6 giorni lavorativi al minimo e con turni dovuti alla particolarità del
settore già accennate nel punto precedente
In genere le aziende cercano di non ricorrere all’orario spezzato, anche se questa non è la regola. Su questo aspetto
peraltro anche le rappresentanze sindacali tendono a vigilare, per limitarne quanto più possibile la diffusione o
l’applicazione eccessiva
Sono frequenti modalità di turnazioni particolari dei lavoratori, condizionate da vari aspetti: aperture per l’intera
settimana, organizzazione del lavoro, che richiede presenza di lavoratori ad esempio già dal mattino presto (per la
ricezione delle merci e/o per il riempimento degli scaffali), preparazione degli spazi di vendita la sera precedente
per il mattino successivo
Ricorso a lavoro straordinario abbastanza altalenante: tendenzialmente le aziende cercano di evitarlo quanto più
possibile (anche in funzione della crisi diffusa); è invece molto ambito dai lavoratori per ovvi motivi
Lavoro festivo abbastanza frequente (considerando la presenza di aziende con orari di apertura 7 giorni su 7)
Mobilità infra-aziendale frequente per: agevolare la conclusione degli inventari (in modo da accelerarne la conclusione); supportare la fase di avvio di nuovi punti vendita, in questo caso con il supporto formativo da parte di
interni verso i nuovi assunti; garantire ai neo assunti la conoscenza di tutti gli aspetti del lavoro che andranno a
svolgere, attraverso la circolazione in sedi diverse
3.6 La formazione
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I destinatari
I contenuti
La cadenza
Le modalità
La formazione è in generale organizzata e svolta più all’interno delle aziende che all’esterno; questo perché per molte delle
aziende contattate è necessario poterla personalizzare e gestire, evitando al contempo problemi al regolare svolgimento
delle attività, data la sua sovrapposizione con i diversi turni di lavoro. Come emerge da quanto affermato da un intervistato, la scelta di svilupparla internamente è stata dettata anche dal fatto di aver provato, in un primo tempo, a delegarne
l’attuazione ad un’agenzia formativa: poi però l’azienda di appartenenza ha preferito fare tutto al proprio interno.
La sicurezza è l’ambito forse più curato attraverso la formazione. Spesso sono previsti audit a cura di consulenti esterni,
i cui risultati mirano ulteriormente le conseguenti attività formative, oltre a diventarne in alcuni casi parte integrante,
consolidata nei successivi corsi pianificati dall’azienda.
Con riferimento alle attività formative svolte nei punti vendita (anche ovviamente sulla sicurezza), le aziende fanno quasi
sempre riferimento al personale interno esperto, la cui competenza maturata nel tempo garantisce esiti buoni per gli
stessi formandi.
“La formazione sui punti vendita con riferimento alle ordinarie attività è garantita da personale interno esperto, in
quanto ormai consolidato sulle competenze generali e specifiche richieste dal gruppo.
Infine la formazione correlata a prodotti o macchinari è spesso fornita direttamente dal fornitore, che illustra agli addetti alle vendite/magazzino tutte le caratteristiche che devono essere note ed eventuali modalità di maggior successo
ai fini della vendita stessa.”
(Responsabile del personale Grande Superficie Specializzata)
In alcune aziende i piani formativi degli addetti sono, inoltre, estremamente personalizzati, in particolare sulle esigenze
del tipo di clientela finale (sono stati citati percorsi di customer orientation e sales-passion). Vengono anche costruiti
percorsi individuali con il diretto apporto di ogni addetto (modalità del self-made learning), che conoscendo i propri fabbisogni formativi li esplicita nel suo progetto e li porta a conoscenza dell’azienda, contando su un positivo accoglimento
dello stesso percorso progettato.
È stato più volte sottolineato che, nei casi di formazione interna, il sistema è strutturato in modo da produrre i migliori
esiti, soprattutto dal punto di vista organizzativo e di risultato finale complessivo. A volte la formazione viene fatta anche
quasi preventivamente, in previsione di future esigenze aziendali: in questo caso la risorsa è formata non in corso di lavoro, ma perché possa essere subito pronta ad inserirsi proficuamente al momento in cui realmente serve.
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“La formazione è gestita, in prevalenza, internamente attraverso un sistema molto strutturato che articola la propria
attività sia attraverso la formazione d’aula sia con lo stage. C’è un responsabile della formazione centrale, ogni attività
formativa si conclude con un report finale.”
(Direzione Ipermercato)
“La formazione viene fatta tanto sull’assistenza cliente, la formazione ai banchi viene fatta in modo molto preciso da persone
che ti seguono. Viene fatto un corso sulla sicurezza quando vieni assunto (ti fanno vedere un cd) ma viene chiesto soprattutto
agli “anziani” di seguire i nuovi assunti per insegnargli l’attenzione che bisogna mettere nel lavoro di tutti i giorni.”
(Rappresentante sindacale Ipermercato)
“Oggi attraverso tirocini formativi con impegno di assunzione si cerca di addestrare le persone; non c’è la necessità di
partire subito con l’assunzione perché queste persone devono essere formate molti mesi prima, non sarebbe sostenibile
assumere già le persone per mantenerle comunque inattive ancora per tanto tempo.”
(Direzione Ipermercato)
In un caso un intervistato ha, infine, sottolineato come l’investimento in formazione sia anche un modo con cui l’azienda
fa capire ai lavoratori il riconoscimento delle loro capacità professionali e la volontà di farli crescere al proprio interno.
Box 5 – La formazione
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La formazione viene fatta più facilmente in azienda, con programmi personalizzati e con docenze svolte da personale
interno
L’argomento principale oggetto di corsi di formazione è la sicurezza; seguono poi corsi per l’utilizzo di macchinari,
erogati in genere direttamente dai fornitori
In alcune aziende sono previsti percorsi formativi individuali, pensati direttamente del personale che, sulla
base delle proprie esigenze, li espone in un progetto e li porta a conoscenza dell’azienda, per la valutazione di
merito
La formazione si basa spessissimo su programmi che le stesse aziende hanno costruito e che rappresentano la concreta definizione di esigenze specifiche, come tali modificabili da azienda ad azienda
Essa è stata trasversalmente definita (anche se non da tutti gli intervistati) come un indicatore aziendale di interesse
specifico verso il personale: proporla significa cioè far capire ai lavoratori che l’azienda è interessata a loro e
desidera che siano costantemente aggiornati e preparati
La formazione è stata infine indicata in un caso come strumento fondamentale per la diffusione di competenze in
materia di conoscenza del cliente finale e di passione per la vendita, con un programma del tutto personalizzato
alle specifiche finalità aziendali
3.7 La carriera
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Le prospettive all’ingresso
I percorsi interni (azienda)
I percorsi esterni (settore)
Le donne e la carriera
Con riferimento alle opportunità di carriera, pressoché tutti gli intervistati hanno confermato che essa è fattibile senza
particolari ostacoli, anche a prescindere dai titoli di studio. Ciò nonostante alcuni intervistati hanno specificato come le
richieste di titoli studio aumentino in correlazione col tipo di posizione professionale proposta e del suo specifico contenuto: per attività di relazioni con il pubblico si tende a preferire laureati in Materie Umanistiche, per l’ambito commerciale quelli con laurea in Economia; per chi dovrà essere addetto al controllo di gestione, infine, sono preferiti laureati in
Matematica o in Scienze Statistiche.
In alcune aziende, come hanno specificato alcuni intervistati (specie del settore dell’Ipermercato) per poter accedere a
determinate posizioni, sembra però necessario aver ricoperto mansioni all’interno, a garanzia di una approfondita conoscenza dell’ambiente e del tipo di lavoro da svolgere: in questi casi è quindi raro che, dall’esterno, qualcuno possa accedere direttamente a determinati ruoli interni.
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Per ricoprire posizioni chiave noi cerchiamo di far fare carriera interna, a prescindere da quale sarà la posizione che si
andrà a ricoprire, ad esempio Capo del Personale, Amministrativo etc, la persona verrà cercata tra i capi reparto. Se una
persona esterna vuole riscoprire un ruolo di questo tipo deve anzitutto entrare a fare il capo reparto, dopodiché se avrà
le caratteristiche può avanzare ed arrivare al livello superiore.”
(Direzione Ipermercato)
Quel che è stato anche osservato da alcuni intervistati è come non sia particolarmente complicato percorrere una carriera
interna in un numero di anni anche ragionevole.
Il problema resta però che, arrivati ad un certo livello, è possibile si creino casi di “colli di bottiglia”, che producono una
concentrazione di persone simultaneamente ferme allo stesso livello, con poche opportunità di procedere oltre (se peraltro, a quel punto, non è lo stesso candidato a non chiedere di andare oltre, come talvolta accade, secondo quanto riferito
da un intervistato dell’area Cash & Carry).
Da un’altra intervista, invece, emerge che, per le posizioni più elevate, l’azienda tende a non cercare fra il personale disponibile
all’interno, ma preferisce far riferimento a figure esterne, creando così nuovamente il collo di bottiglia accennato poc’anzi.
Un’azienda ha sottolineato invece come la scelta della persona per ricoprire una certa posizione avvenga guardando per
prima cosa alle risorse interne disponibili e adeguate e che solo se la figura adatta non risulta essere già presente, la ricerca si sposta (ovviamente e necessariamente) all’esterno.
Con riferimento al lavoro al femminile, e comunque a proposito sempre della presenza o assenza di vincoli alla carriera,
un’azienda ha segnalato come, al proprio interno, le donne abbiano scarse possibilità di ricorrere al part-time nella prima
fascia, visto l’orario di apertura fissato a metà mattina, che rende quel turno raramente praticabile. L’altro turno di possibile part-time è altrettanto poco scelto, in quanto in sovrapposizione con l’organizzazione e gestione dei figli.
Questo è un caso abbastanza sui generis, visto che dalle interviste è emerso, come si ricorderà, che il part-time è piuttosto
ricercato dalla componente femminile anche se, nell’ultimo periodo e per certe mansioni, pure da quella maschile.
In un’altra realtà aziendale esiste una sorta di limite fisiologico di genere nel ricoprire determinate posizioni in funzione
del tipo di lavoro, poiché richiede forza fisica non sempre compatibile con la componente femminile. Per il resto non esistono ostacoli né differenze.
Alla crescita di posizione corrisponde, peraltro, una richiesta sempre più forte di tempo da dedicare all’azienda. Questa è
una delle ragioni per cui, ad esempio, in certe realtà è più difficile (anche se non impossibile) trovare donne ai vertici.
Analogamente una sorta di selezione in funzione delle richieste aziendali può avvenire fra i lavoratori di genere maschile:
nuovamente l’opportunità di carriera si correla in modo direttamente proporzionale con la disponibilità del singolo a
dare buona parte del proprio tempo all’azienda.
Infine, il tema dei percorsi esterni non è stato quasi mai affrontato dagli intervistati. Nei pochi casi in cui il tema è stato
trattato, le considerazioni fatte vanno in direzione di possibilità di inserimento in altri competitor del settore, specie se
l’azienda di provenienza è di grandi dimensioni e consolidata nel territorio.
Box 6 – La carriera
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Tutti gli intervistati hanno convenuto sul fatto che nella Grande Distribuzione la carriera sia diffusamente fattibile,
senza ostacoli particolari, fino a determinati livelli
In alcuni casi può essere richiesto, come requisito di accesso a posizioni medio-alte, l’aver ricoperto mansioni all’interno dell’azienda
In altri gli intervistati hanno invece sottolineato come l’azienda stessa scelga di non mettere ai vertici personale
interno (forse per evitare rischi di ‘nepotismo’), preferendo cercare le figure idonee in esterno.
In altri ancora l’azienda prima cerca questo tipo di profilo necessario all’interno: solo se non trova soggetti adeguati
fra il proprio personale, sposta la ricerca all’esterno
La modalità intermedia descritta in precedenza può quindi creare dei ‘colli di bottiglia’: nel senso che la facilità di
carriera fino a certi livelli induce una presenza di personale di pari grado a posizioni pre-dirigenziali, al di sopra
delle quali il personale avrà pochissime possibilità di avanzamento (o nulle se la politica aziendale è di ricorrere all’esterno per le figure alte)
La componente femminile non è ostacolata minimamente nella carriera in questo settore: però possono rappresentare un limite poco superabile: nel caso delle posizioni di dirigenza, la difficoltà di coniugare la cura della
famiglia con il tipo di impegno professionale atteso, correlato a tali posizioni; in aziende di alcuni settori, la necessità
di dover possedere anche una discreta dose di forza fisica, per svolgere alcune delle mansioni previste
Il tipo di impegno fisico richiesto può, quindi, avvantaggiare la componente maschile in certe aziende. Ma, paradossalmente, l’elevata quantità di tempo da dedicare all’azienda risulta un deterrente senza potenziali distinzioni di genere
Con riferimento ai percorsi esterni di carriera, gli intervistati si sono espressi poco. È solo emerso che la provenienza
da determinati grandi gruppi del settore garantisce opportunità di potenziale occupazione presso la concorrenza
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3.8 Qualità, salute e sicurezza, responsabilità sociale
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La qualità in azienda
La salute e la sicurezza
La responsabilità sociale
La sicurezza è un tema che è risultato estremamente sentito da tutte le aziende contattate. Su questo argomento in
particolare non sono, inoltre, state riscontrate grandi differenze tra i vari interlocutori intervistati, anzi si può quasi parlare di uno standard diffuso e condiviso. Ecco di seguito alcuni stralci di interviste di realtà aziendali differenti.
“Sulla sicurezza direi che in generale sono molto fiscali, e poi anche sul personale dell’azienda tramite rls aziendale …
pretende che chiunque (anche e soprattutto se esterno) operi nell’ipermercato lavori in sicurezza, abbia i presidi … è a
loro tutela … se si dovesse far male qualcuno …”
(Rappresentante sindacale Ipermercato)
“Sulla sicurezza tartassano molto, infatti l’azienda sta facendo molto per la messa in sicurezza.
Rischi grossi qui dentro no, però insomma puoi farti male.”
(Rappresentante sindacale Grande Superficie Specializzata)
Con riferimento agli infortuni, le aziende mostrano di avere come obiettivo diffuso l’abbattimento di incidenti sul lavoro,
attraverso sia la formazione mirata alla sicurezza, sia la costante diffusione di documenti in merito alla valutazione fatta
dei rischi, sia la consegna di dotazioni antinfortunistiche agli addetti a lavorazioni a rischio.
“Dotazione antinfortunistica: divisa sia per la riconoscibilità sia perché i pantaloni ad esempio sono impermeabili, guanti
speciali, scarpe diverse a seconda del tipo di lavoro che si svolge, da quelle più basse a quelle più alte per i ricevitori per
la protezione della caviglia (per chi movimenta carichi tutto il giorno) con la punta di ferro. Ci sono anche altre dotazioni
e protezioni individuali (tappi, mascherina).”
(Direzione Grande Superficie Specializzata)
Gli incidenti dichiarati sono fortunatamente pochi (ordine di grandezza per le aziende che ne hanno parlato: unità): quelli
gravi risultano, dal punto di vista numerico, pressoché irrisori.
I più frequenti sono provocati da momenti di disattenzione o, per contro, dall’estrema confidenza nel compiere operazioni
di routine: ne derivano così eventi come ferite prodotte da coltelli; cadute a seguito di scivolate su pavimenti viscidi o
bagnati per i banconisti.
È in particolare interessante quanto affermato dal seguente intervistato:
“Gli infortuni ci possono essere anche da parte del lavoratore che non segue le norme a dovere. Il capo manutentore ha
fatto un lavoro molto preciso e anche i lavoratori si sono abituati a lavorare in maniera più attenta.
(...) Grazie alle relazioni sindacali il documento di valutazione dei rischi è portato maggiormente a conoscenza del lavoratore, non è più un documento che si firma senza conoscerne il contenuto.
Abbiamo un manuale degli infortuni valutati annualmente (…). Gli infortuni vengono valutati per livello di gravità e per
la frequenza attraverso indici: La nostra azienda è considerata dal punto di vista della frequenza “infrequente” (vale a
dire che si verificano infortuni ma non con frequenza alta) e da quello della gravità ‘lieve’ (quantificata in base al numero di giorni di infortunio che vengono dati).
(Rappresentante sindacale Ipermercato)
Sulla sicurezza, da un lato le aziende hanno dichiarato come la formazione mirata e i già accennati audit siano la garanzia per eccellenza del rispetto di quanto previsto dalla legge. Anche gli stessi macchinari, fra l’altro, sono ormai progettati
con sistemi di sicurezza che, ulteriormente, contribuiscono ad aumentarne validità e uso in assenza di rischi.
Un intervistato ha affermato come gli stessi fornitori esterni che inviano propri lavoratori in azienda debbano essere in
regola con le norme sulla sicurezza, per poter continuare ad essere considerati tali. Laddove una ditta risultasse non a
norma per un qualche aspetto, sarebbe in automatico esclusa dal circuito dei fornitori di riferimento.
Un intervistato dell’area Cash & Carry ha dichiarato di fare anche formazione mirata sulla sicurezza attraverso programmi
appositi su supporto informatico, in particolare per il sistema di gestione della stessa sicurezza e per l’apprendimento in
merito ai rischi specificamente correlati al tipo di attività svolta.
Nei rari casi in cui possono esservi rischi connaturati al tipo di prodotto offerto, anche gli stessi laboratori e magazzini
devono essere ovviamente a norma di legge.
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“Le zone più a rischio sono il magazzino ed il laboratori, sono zone molto a rischio per via dei lavori manuali (…) e magari
per l’uso di additivi chimici. Ma i laboratori comunque sono organizzati per la massima sicurezza.“
(Referente sindacale Grande Superficie Specializzata)
Con riferimento alla certificazione ISO, quasi nessuna delle aziende contattate ne ha dichiarato il possesso, mentre è
stato di frequente attestato un sistema di controllo di qualità sui prodotti, che sono solitamente garantiti dallo stesso
marchio di appartenenza. Gli estratti di interviste riportati di seguito possono essere considerati trasversali alle varie
aziende contattate.
“La qualità in azienda non passa attraverso nessuna certificazione tipo ISO o altre simili. Chiaramente esiste un sistema
interno di controllo di gestione, così come un controllo di qualità sui prodotti offerti, di cui garantisce il gruppo direttamente, ed in particolare su prodotti a marchio proprio.”
(Responsabile del personale Grande Superficie Specializzata)
Per il certificato di qualità lo avevamo, da alcuni anni invece non abbiamo più seguito questo discorso, si seguono percorsi legati al nostro controllo.”
(Direzione Cash & Carry)
“Non abbiamo certificazioni ISO né per qualità né per attività logistiche. Abbiamo però un’attività di controllo attraverso
un laboratorio interno, è importante considerate la filiera del prodotto a marchio, c’è un presidio, un controllo che va
dalla produzione fino alla scatoletta che arriva al punto vendita, uno dei punti più importanti per questa azienda è quello di essere riconosciuta per il proprio prodotto.”
(Direzione Ipermercato)
Sulla responsabilità sociale sono spesso le campagne promozionali le attività più diffuse in materia sulla base della dichiarazione dei vari intervistati.
Un’azienda prevede addirittura un responsabile ambientale e si impegna nel bilancio sociale per controbilanciare l’impatto che produce sul territorio.
Un’altra, infine, cerca di contenere l’impatto ambientale attraverso l’utilizzo di impianti non inquinanti o in grado di garantire risparmio energetico.
Infine, in relazione alla soddisfazione del personale gli interlocutori contattati hanno esplicitato nel corso delle interviste
le loro impressioni e sensazioni in termini di punti di forza e criticità.
Fra i primi molti hanno sottolineato la gradevolezza dell’ambiente di lavoro, valutato positivamente per le relazioni quasi
‘familiari’, per il clima disteso tra colleghi e per i rapporti con i superiori, soprattutto in termini di loro ascolto delle istanze fatte su temi diversi. È stato poi sottolineato il vantaggio del particolare orario di lavoro (anche perché in alcuni casi
programmato), cui è stata correlata anche la qualità della vita ottenuta grazie ad esso; lo stesso punto di forza è stato
anche sottolineato indirettamente da un altro intervistato, che ha rimarcato la facilità di conciliazione tra tempi di vita
e di lavoro attraverso il modello organizzativo attuato dall’azienda di cui è parte.
Un interlocutore ha poi sottolineato come l’azienda garantisca un trattamento economico gratificante ai propri dipendenti, aspetto che contribuisce a viverla al meglio. Nella stessa direzione va un altro aspetto evidenziato da uno degli interlocutori, dato dalla percezione netta del proprio posto di lavoro come sicuro: questa valutazione non è da poco, in un
momento in cui la tendenza generale non è quella di considerare quasi più il posto di lavoro come stabile nel tempo e
domina più la filosofia del precariato, effettivo o percepito che sia.
Alcune delle criticità dichiarate mostrano invece posizioni antitetiche sullo stesso tema.
Sono questi i casi degli intervistati che fra i punti di debolezza hanno segnalato:
• l’ambiente di lavoro (in quanto considerato refrattario ai nuovi ingressi se questi cercano di proporre nuovi modelli o
nuove regole, a prescindere – sembrerebbe – dalla loro effettiva validità);
• gli orari, indicati da un intervistato come troppo pesanti;
• la difficoltà ad ottenere di fare straordinari;
• l’aspetto organizzativo, in un caso definito ‘arcaico’;
• la non conoscenza approfondita del cliente finale;
• l’eccessivo inquadramento aziendale e una richiesta di fedeltà al lavoro non riconosciuta diffusamente;
• i canali di comunicazione non adeguati e, soprattutto, uno scarso coinvolgimento del personale su determinate scelte
aziendali che li riguarderebbero però direttamente;
• la difficoltà di fare carriera, anche in questo caso dichiarata da un interlocutore contattato.
79
Box 7 – Qualità, salute, sicurezza, responsabilità sociale
•
•
•
•
•
•
•
•
La sicurezza sul posto di lavoro è, come già accennato, il tema sicuramente più sentito dalle aziende intervistate
(e comunque in generale da tutte le aziende del settore)
La formazione mirata sul tema e anche le forme di audit realizzate da società esterne su questo tema rappresentano
la garanzia del rispetto di quanto previsto dalla legge; analogamente i macchinari utilizzati dal personale sono
ormai prodotti nel rispetto totale delle normative in materia
Anche laboratori e magazzini, laddove esistenti, sottostanno al rispetto pieno delle leggi sulla sicurezza; analogamente i fornitori possono avere relazioni con le aziende solo se accreditati, ossia in regola con le norme in
materia
Raramente è stata dichiarata la certificazione ISO come necessaria
Frequente invece la presenza di un sistema di controllo di qualità dei prodotti, garantiti dal marchio di appartenenza
La responsabilità sociale è attestata dalle campagne promozionali ciclicamente previste da pressoché tutte le
aziende intervistate. In un’azienda è prevista anche la figura del responsabile ambientale; essa si impegna nel bilancio sociale a ‘controbilanciare’ l’impatto che produce a livello di territorio. Il numero di infortuni di basso e
medio livello risulta diffusamente molto contenuto. Rarissimi i casi di infortuni gravi. A detta sia della parte aziendale, sia di quella sindacale, le loro cause sono più facilmente riconducibili a disattenzione del personale o di eccessiva confidenza nel compiere operazioni di routine, che produce un abbassamento dei normali livelli di guardia
(in particolare per banconisti)
Ogni azienda fornisce ai propri lavoratori dotazioni antinfortunistiche adeguate al tipo di rischi professionali
Alcuni intervistati hanno rilevato l’assenza di standard per la definizione di rischi specifici o di forme di controllo
sulle malattie professionali
3.9 Alcune buone pratiche nelle aziende liguri della GDO
Sul piano dei risultati della ricerca è emersa con chiarezza una certa polarizzazione tra un gruppo di casi di aziende
che, più di altre, interpretano la relazione con i propri collaboratori alla luce di una filosofia di fondo orientata all’idea dello “scambio” o – se si preferisce, del “matrimonio” di interessi53 – in termini di esigenze ed interessi delle
aziende e dei lavoratori e, dall’altro, alcuni esempi di realtà aziendali che si orientano a filosofie meno avanzate ed
innovative.
Per le prime si tratta di comporre il mosaico di una doppia domanda di flessibilità: quella aziendale, per rispondere al
mutato quadro competitivo, e quella dei lavoratori, in termini di conciliazione tra lavoro e vita privata e di contrasto
alle ipotesi di erosione di quel set di “sicurezze” che insieme costituiscono l’essenza di percorsi lavorativi di “buona occupazione”.
Per le seconde, invece, tendenzialmente vale una logica gerarchica di risposta a questa “doppia domanda”: in primo piano
le esigenze aziendali, in via subordinata quelle dei lavoratori.
Tra le buone pratiche delle quali si è avuto modo di raccogliere informazioni nel corso della ricerca si segnalano, in particolare54:
• gli “orari a isola” nell’azienda Alpha;
• la programmazione annuale degli orari nell’azienda Beta.
53
Si veda il par. 1.2.
È bene sottolineare che questi casi, segnalati qui come buone pratiche aziendali, non esauriscono certamente il complesso delle iniziative che vanno
nella logica della “buona occupazione”. La selezione, piuttosto, ha inteso privilegiare l’innovatività delle idee e delle formule di attuazione con le quali
sono state realizzate.
54
80
Gli “orari a isola” nell’azienda Alpha
L’organizzazione del lavoro attraverso lo schema degli “orari a isola” è un’iniziativa realizzata dall’azienda Alpha in
accordo con le RSU e le organizzazioni sindacali di riferimento. L’obiettivo è quello di favorire la conciliazione dei
tempi di vita e dei tempi di lavoro, intesa come corrispondenza fra i bisogni dei lavoratori in termini di gestione del
tempo e le esigenze organizzative aziendali derivanti dai flussi di servizio.
Pensato principalmente per le donne con famiglia e figli a carico, il progetto è aperto anche a quei lavoratori che,
pur non avendo famiglia o figli, possono esserne interessati. La diffusione maggiore, comunque, riguarda la popolazione femminile, prevalentemente occupata nelle barriere casse e nei servizi collegati.
Le peculiarità del funzionamento dell’organizzazione “a isole” sono costituite, in particolare, da:
• la programmazione anticipata, mediante l’ausilio di strumenti informativi, delle coperture di presidio dell’area casse
ed esposizione del piano dei fabbisogni;
• l’individuazione da parte dei lavoratori suddivisi in gruppi (isole) degli orari più confacenti alle loro esigenze;
• la concentrazione nell’ambito di ogni gruppo (isola), con il supporto di un animatore, degli orari effettivi per raggiungere la corrispondenza fra le due esigenze: aziendali e dei lavoratori.
Fonte: interviste studio di caso azienda Alpha e A.I.A.55 di riferimento
La programmazione annuale dell’orario di lavoro nell’azienda Beta
La programmazione annuale dell’orario di lavoro è un progetto avviato dall’azienda Beta in accordo con le RSU e le
organizzazioni sindacali di riferimento al fine di contemperare le esigenze dei consumatori, in termini di qualità dei
livelli di servizio offerti dall’azienda, con quelle dei lavoratori in merito all’esigenza di conciliare tempi di vita e tempi
di lavoro.
La programmazione dell’orario di tutti i lavoratori interessati avviene dunque su base annuale:
• entro una certa scadenza i lavoratori comunicano la propria disponibilità all’effettuazione del lavoro domenicale
per il periodo successivo, indicando il numero delle domeniche che intendono lavorare nell’anno di riferimento;
• successivamente si procede all’analisi ed eventualmente al confronto sulle preferenze individuali in merito alla distribuzione dell’orario in base a modelli di distribuzione settimanale di tipo verticale, orizzontale e misto; a seguito
di tale indagine l’azienda realizzerà le opportune pianificazioni di reparto, finalizzate ad adottare le distribuzioni
d’orario desiderate dai lavoratori, se compatibili con le esigenze organizzative e nel rispetto di eventuali intese in
vigore a livello di Negozio;
• l’azienda, infine, comunica a tutti i lavoratori interessati la programmazione dell’orario di lavoro per l’anno successivo.
Fonte: interviste studio di caso su azienda Beta e A.I.A. di riferimento.
55
Accordo Integrativo Aziendale.
81
Alcune riflessioni conclusive
Premessa
Un dato di fondo caratterizza le aziende della GDO, in Liguria come in altri ambiti territoriali: in tutti i casi si tratta di
aziende di grandi dimensioni, in alcuni casi operative sul piano internazionale, dotate di una struttura organizzativa articolata e di un profilo imprenditoriale di altissimo livello. Un pool di aziende che nei rispettivi ambiti di operatività sono
leader di settore: aziende note al grande pubblico ed apprezzate per la propria capacità innovativa, serietà, attenzione
alla qualità dei prodotti e attive sul fronte della responsabilità sociale e ambientale.
Ci si aspettava dunque di incontrare attenzione ed interesse per la ricerca e così è stato. Sia sul fronte dei rappresentanti delle aziende coinvolte negli studi di caso sia dal punto di vista dei delegati sindacali che hanno partecipato alle
interviste56.
Come è stato chiarito nella prima parte di questo rapporto di ricerca – dedicata all’analisi di scenario – sono molteplici le sfide alle quali sono state chiamate le aziende della GDO nel corso dell’ultimo decennio: in particolare un’evoluzione nelle dinamiche di domanda che sempre più spinge verso la logica “anytime-anywhere-anyhow shopping”
(ampliamento degli orari di apertura al pubblico e delle possibilità di fruizione di canali distributivi sia tradizionali
sia virtuali) a cui si accompagnano pressioni competitive particolarmente significative che tendono a minare le basi
storiche di fidelizzazione della clientela, anche alla luce di un ampliamento significativo della numerosità dei soggetti di offerta.
Le aziende liguri della GDO hanno risposto proattivamente a queste sfide, sia in termini di innovazione dell’offerta, sia –
parallelamente – rimodulando le soluzioni organizzative e gestionali in chiave di flessibilità. Una flessibilità che investe
sia le logiche di relazione con i propri collaboratori ed i sistemi aziendali di gestione delle risorse umane sia gli altri processi organizzativi implicati – a tutto tondo – nella catena del valore delle proprie attività57.
Si tratta, evidentemente, di un processo di cambiamento che implica orizzonti temporali di realizzazione di medio-lungo
periodo. La ricerca, da questo punto di vista, ha permesso di cogliere alcuni aspetti di questo percorso di trasformazione,
in particolare per ciò che concerne le pratiche di organizzazione del lavoro in essere nei punti vendita oggetto degli studi
di caso, con un’attenzione particolare per i temi della salute e sicurezza dei lavoratori, ed in merito alle implicazioni dal
punto di vista della conciliazione tra esigenze di flessibilità aziendale e di benessere dei lavoratori, focalizzando in particolare la tematica del cosidetto Work-Life Balance58.
La ricerca, in particolare, ha messo in risalto alcune questioni principali, su cui ci si soffermerà in questo paragrafo conclusivo59:
• in tema di rapporto tra flessibilità delle relazioni di lavoro e “buona occupazione”, un versante sul quale Regione Liguria
ha avviato da tempo un percorso di riflessione e azione, sia in termini di politica legislativa (legge regionale n. 30 del
13 agosto 2007 “Norme regionali per la sicurezza e la qualità del lavoro”) sia rispetto all’attività di promozione di buone
pratiche in svariati settori;
• in tema di rapporto tra flessibilità nella gestione della logistica interna ed esterna e sicurezza e qualità del lavoro, con
particolare riferimento alle iniziative di esternalizzazione delle attività di movimentazione delle merci in magazzino e
di rifornimento dei prodotti nei punti vendita;
• in tema di rapporto tra flessibilità, innovazione tecnologica e cambiamento nel lavoro, con particolare riferimento alle
iniziative di automazione delle attività di pagamento alla cassa ed ai riflessi in termini di qualità del lavoro.
56
In un solo caso l’azienda ha declinato l’invito a prendere parte alle interviste. In un altro caso non è stato possibile mettersi in contatto con la direzione del punto vendita oggetto dello studio di caso a causa di un avvicendamento nelle responsabilità direzionali nel periodo di effettuazione dell’indagine.
57
Un cambiamento che investe dunque (Porter, 1985) sia i processi primari: logistica interna, operations, logistica in entrata e in uscita, marketing e
vendite, attività di servizio; sia gli altri processi di supporto: approvvigionamenti, innovazione tecnologica, attività infrastrutturali (pianificazione, programmazione e controllo, etc.).
58
Si veda a questo proposito il par. 1.2.
59
Trattandosi di una ricerca a carattere esplorativo, le riflessioni che si propongono qui non possono essere considerate esaustive o rappresentative
del complesso delle dinamiche che investono la popolazione aziendale complessiva della GDO in Liguria. Piuttosto, come è stato esplicitato nella Premessa – a partire dall’approfondimento su 13 casi aziendali ritenuti particolarmente significativi nel panorama regionale delle GDO – si è cercato di
cogliere alcune dinamiche di trasformazione e di valutarne le implicazioni in termini di qualità del lavoro. I risultati di questo percorso di ricerca hanno
peraltro reso evidenti ulteriori esigenze di approfondimento sul tema della qualità del lavoro nella GDO: ad es. si dovrebbero svolgere analisi empiriche
mirate sui processi terziarizzati da parte delle aziende della GDO e sulle relazioni di lavoro nei servizi di logistica, movimentazione e trasporto merci.
85
Il quadro di riferimento: la buona occupazione e il “lavoro di qualità”
Non esiste una definizione condivisa della nozione di “buona occupazione”, né in letteratura né nella prassi aziendale.
Un punto di riferimento fondamentale, comunque, è l’azione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO: International Labour Organization), l’agenzia multilaterale delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso
(Decent Work) e produttivo – o, secondo l’accezione utilizzata in questa ricerca, il “lavoro di qualità” – (ILO, 2007a)60.
Secondo la definizione dell’ILO “[…] il lavoro dignitoso è quello a cui ogni individuo aspira per la propria vita lavorativa;
esso comporta la possibilità di ottenere una posizione produttiva e sufficientemente retribuita, sicurezza sul lavoro e protezione sociale per sé e per le proprie famiglie. Lavoro dignitoso significa migliori prospettive per lo sviluppo personale e
per l’integrazione sociale, libertà di manifestare le proprie opinioni, di organizzarsi e di partecipare alle decisioni riguardanti la propria vita, e dà pari opportunità di trattamento a tutte le donne e gli uomini.”
Come si evince dall’agenda e dalle azioni intraprese dall’ILO su questo specifico tema (ILO, 2007a; 2009c), l’ambito di riferimento prioritario riguarda il lavoro nei paesi in via di sviluppo, in particolare per le tensioni sul lavoro che si creano
laddove la globalizzazione è spesso agita dai big player in chiave predatoria: si pensi allo sfruttamento del lavoro minorile,
al lavoro irregolare ed in assenza di qualsiasi forma di tutela, in paesi nei quali è scarso o del tutto assente il presidio di
autorità di garanzia (ILO, 2004; 2008).
Come rimarca Pierangelo Albini nella sua veste di Vice Direttore Area Relazioni Industriali, Sicurezza, Affari Sociali di
Confindustria, comunque, la questione del lavoro dignitoso “deve valere per le economie avanzate, così come per quelle
in via di sviluppo” (Confindustria, 2009: p. 4), sottolineando come la struttura tripartita dell’ILO ne faccia l’unica organizzazione mondiale in cui imprenditori e lavoratori hanno la stessa voce dei governo nel formulare le politiche ed i programmi61. Ancora Albini chiarisce come “non può esistere una ‘via unica’ verso il lavoro dignitoso”, essendo invece più
coerente immaginare “significati diversi, ma ugualmente fondamentali, per i paesi in via di sviluppo e per quelli già avanzati, come anche l’Italia”, ribadendo come “le imprese sane, che riconoscono il valore della libera concorrenza e della
giusta competitività, sono le prime ad impegnarsi per far sì che questi principi trovino il più ampio riconoscimento possibile in tutte le economie del mondo” (Confindustria, 2009: p. 7-8).
L’innalzamento generalizzato del livello di flessibilità delle forme occupazionali tende ad erodere parte delle “sicurezze”
implicate nella definizione di lavoro dignitoso (Gallino, 2007: p. 79-80):
• sicurezza dell’occupazione: sia nel senso di protezione dei lavoratori da licenziamenti arbitrari, sia di stabilità temporale
dell’occupazione, compatibilmente con le condizioni generali dell’economia;
• sicurezza professionale: nel senso di possibilità di accedere a percorsi di crescita professionale accrescendo progressivamente, tramite il lavoro, le proprie competenze in una logica di costruzione progressiva di una riconoscibile identità
professionale;
• sicurezza sui luoghi di lavoro: sia nel senso di un contesto di lavoro che garantisce la protezione contro gli incidenti e
le malattie professionali, sia nei termini di un quadro complessivo di impiego che preveda e rispetti limiti agli orari ed
agli straordinari, nonché la riduzione dello stress da lavoro;
• sicurezza del reddito: nei termini di una capacità di ottenere, tramite il lavoro, un reddito adeguato, cioè in grado di assicurare al lavoratore e ai suoi familiari gli elementi minimi di sussistenza, a fronte di un dato livello di sviluppo sociale;
• sicurezza della rappresentanza: intesa come possibilità effettiva di espressione collettiva sul mercato del lavoro attraverso l’adesione ad organizzazioni sindacali libere ed indipendenti e ad altri organismi capaci di rappresentare gli interessi dei lavoratori;
• sicurezza previdenziale: nei termini della possibilità di assicurarsi, attraverso il lavoro, un reddito che permetta di mantenere, dopo l’uscita dal lavoro, standard di vita comparabili a quelli sperimentati durante il lavoro.
60
I principali obiettivi dell’ILO sono (ILO, 2005): promuovere i diritti dei lavoratori, incoraggiare l’occupazione in condizioni dignitose, migliorare la
protezione sociale e rafforzare il dialogo sulle problematiche del lavoro. L’ILO è l’unica agenzia delle Nazioni Unite con una struttura tripartita: i rappresentanti dei governi, degli imprenditori e dei lavoratori determinano congiuntamente le politiche ed i programmi dell’Organizzazione. L’ILO è l’organismo internazionale responsabile dell’adozione e dell’attuazione delle norme internazionali del lavoro. Forte dei suoi 181 Stati membri, l’ILO si prefigge di assicurare che le norme del lavoro siano rispettate sia nei principi che nella pratica. A partire dal 2005, il “Lavoro dignitoso” è diventato uno
degli “Obiettivi del Millennio” indicati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
61
Politiche e programmi che recentemente si sono indirizzati specificamente anche alle economie ed ai settori dei paesi ad economia avanzata, come
testimonia ad es. il recente studio pilota sul decent work in Austria (ILO, 2009a), o i rapporti sulla questione dei salari minimi nell’Europa allargata
(2009e), sugli effetti della crisi (ILO, 2009d) e, nello specifico, sulle implicazioni che ne derivano per i lavoratori impiegati dalle agenzie di lavoro temporaneo: “tra i primi a perdere il lavoro in seguito alla crisi economica e finanziaria” (ILO, 2009b: p. 35).
86
Flessibilità delle relazioni di lavoro e lavoro di qualità
I mutamenti intervenuti nel mercato del lavoro, alla luce delle trasformazioni dell’economia, mettono a serio rischio
molte di queste garanzie. Con riferimento alla grande distribuzione, comunque – anche alla luce degli elementi di riscontro raccolti nella ricerca – la flessibilizzazione delle relazioni di lavoro non si realizza attraverso il ricorso alle forme
più aspre – se oggetto di uso improprio da parte delle aziende – di flessibilità contrattuale. Non è affatto presente il ricorso alle collaborazioni (le vecchie collaborazioni coordinate e continuative e le collaborazioni occasionali, oggi lavoro
a progetto), né ad istituti come le partite IVA, l’associazione in partecipazione, il lavoro a chiamata (job on call, oggi non
più stipulabile, ai sensi della L. 247/2007) che invece sono assai diffuse in altri ambiti. Anche il ricorso alla somministrazione di lavoro è marginale. Dall’analisi svolta, inoltre, non si segnala alcuna forma di lavoro irregolare, come peraltro
era del tutto pacifico attendersi stante l’elevato standing delle aziende della GDO, la serietà e l’elevato livello di strutturazione organizzativa che le caratterizza.
Tra le varie forme di flessibilità (Salmieri, 2003), la domanda delle aziende della GDO coinvolte nell’analisi si concentra
in particolare in:
• un’esigenza di flessibilità produttiva (la variazione del numero di ore lavorate connessa alla variazione – giornaliera,
settimanale, mensile o stagionale – dei volumi di attività), un tipo di flessibilità ottenibile con il ricorso al part-time, a
contratti di lavoro a tempo determinato, alla somministrazione di lavoro ed al lavoro supplementare e straordinario;
• un’esigenza di flessibilità funzionale o flessibilità dei compiti, intesa come la possibilità di variare i contenuti specifici
del lavoro assegnati alle persone nella logica dell’incremento del potenziale di sostituibilità all’interno dei reparti o, in
alcuni casi, tra reparti diversi (job rotation), un tipo di flessibilità che non è connessa ad alcuna forma contrattuale
specifica, attenendo piuttosto ai contenuti ed alle modalità di svolgimento del lavoro, più che alla sua forma.
Il ricorso generalizzato a forme di impiego a tempo determinato, e la leva del lavoro supplementare, comunque, potrebbero effettivamente tradursi in una tendenziale erosione di quelle “sicurezze” che qualificano lo svolgimento di un lavoro
di qualità, a cui si faceva riferimento pocanzi.
Si riduce, in primo luogo, quella relativa alla stabilità dell’occupazione, ed anche la formazione e la valorizzazione della
professionalità e dell’identità lavorativa è resa più difficile se la condizione di lavoratore temporaneo implica una dinamica di “rincorsa” delle occasioni di lavoro, per mansioni disomogenee, talvolta in una varietà di ambienti lavorativi differenti. Anche le occasioni formative aziendali non riescono ad essere colte e valorizzate appieno se l’impiego si limita a
periodi temporali di breve durata.
Sul fronte della sicurezza sul lavoro, inoltre, è ipotizzabile l’esistenza di una correlazione negativa tra efficacia dei percorsi formativi e dell’apprendimento sostanziale delle norme di sicurezza nel caso in cui si sia titolari di contratti di lavoro
di breve durata. Talvolta anche sul fronte aziendale potrebbero venir meno gli incentivi ad investire in maniera significativa nella formazione sulla sicurezza del personale temporaneo. Sul fronte della salute poi, i riscontri di questa ricerca
confermano quanto emerge da numerose analisi (Eurofound, 2003; 2006; 2007a; 2007b), evidenziando come i lavoratori
a tempo determinato siano più inclini a ridurre le attenzioni per la propria salute. In un quadro di lavoro frenetico –
come si verifica spesso nella grande distribuzione – e con organici in tendenziale diminuzione per minimizzare i costi di
gestione, i lavoratori temporanei tipicamente vivono con maggiore apprensione le verifiche di produttività, delle quali
percepiscono l’importanza ai fini di un eventuale rinnovo contrattuale. In tali circostanze potrebbero ad es. decidere di
posporre l’opportunità di sottoporsi ad una visita medica alla necessità di essere presenti sul posto di lavoro, sperando
così di accrescere (o non diminuire) la probabilità di ottenere l’agognato rinnovo contrattuale. Ed è chiaro che recarsi al
lavoro benché indisposti, non prendere sul serio lo stress da lavoro ed in generale il proprio stato di salute, nel lungo termine può dare luogo ad un peggioramento del proprio benessere.
Sul fronte del benessere, poi, per i lavoratori part-time a cui è richiesto un significativo impegno supplementare si potrebbero porre problematiche connesse al cd. Work-Life Balance62. In particolare nel caso in cui le condizioni ambientali
di lavoro – il clima organizzativo – codifichino e rendano esplicita la necessità di “rendersi disponibili”, ad es. per non incorrere nella riprovazione morale di superiori o degli stessi colleghi.
Per quanto riguarda la sicurezza reddituale e previdenziale, allo stesso modo, per mere ragioni di computo temporale
della retribuzione e degli accantonamenti previdenziali, i lavoratori a tempo determinato ed i part-time (quando non si
tratta di una soluzione contrattuale elettiva) sperimentano tipicamente una decisa erosione della propria capacità di
reddito e di sostentamento, sia nel corso della propria vita lavorativa sia una volta usciti dal circuito del lavoro. In numerosi casi, nelle interviste ai delegati sindacali, emerge con chiarezza una diffusa disponibilità a lavorare per più ore.
62
Si veda il par. 1.2.
87
Sul fronte della sicurezza della rappresentanza, infine, la condizione di lavoratore a tempo determinato o in somministrazione va tipicamente nella direzione di un allentamento delle condizioni di contesto che rendono ipotizzabile la relazione con le organizzazioni sindacali.
Com’è stato specificato nella prima parte di questo rapporto63 – comunque – non è affatto detto che queste conseguenze
negative in termini di “erosione delle sicurezze” si producano in ogni caso per i lavoratori flessibili impiegati nella grande
distribuzione. La forma contrattuale di per sé non è un indicatore attendibile di precarietà. Mentre assumono un’estrema
rilevanza una molteplicità di altre variabili. Sia dal punto di vista delle condizioni soggettive dei lavoratori, sia dal punto
di vista della filosofia di fondo delle aziende in tema di gestione delle risorse umane e degli investimenti specifici in termini di flexicurity che potrebbero decidere di realizzare.
Per quanto riguarda il primo punto (le condizioni soggettive dei lavoratori) contano infatti:
• l’età e la collocazione temporale delle esperienze di lavoro flessibile nel ciclo di vita delle persone: come emerge da
questa indagine e da numerose altre ricerche64, la sperimentazione di condizioni di precarietà si colloca tendenzialmente
in fasi temporali successive al primo ingresso nel mercato del lavoro. Per i più giovani, al contrario, avviare un’esperienza
lavorativa, anche a termine, è un’esperienza tendenzialmente vissuta come un investimento sul proprio futuro, oltre
che talvolta come un modo concreto per sbloccare una situazione di disoccupazione che, se protratta per lunghi periodi,
potrebbe indurre a rivedere (verso il basso) le proprie aspettative circa il lavoro e la carriera. Le valutazioni delle persone
mutano decisamente, invece, nel caso in cui la condizione di instabilità contrattuale permanga anche in momenti successivi al periodo della cd. “gavetta”: l’assenza di un lavoro stabile diventa un dato di valutazione negativa perché ostacola l’avvio di processi di crescita personale e sociale;
• la prospettiva temporale di impiego: l’avvio di relazioni lavorative traguardate su orizzonti annuali o pluriennali, piuttosto
che solo su pochi mesi, consente tipicamente di maturare un’occasione formativa di primo piano, potenzialmente capace
di arricchire il bagaglio di conoscenze e competenze dei lavoratori inseriti, i quali potranno poi spenderle in quella
stessa realtà aziendale o in altre. Per i lavoratori un vantaggio ulteriore, inoltre, consiste nell’opportunità di contribuire
con queste esperienze ad ispessire il proprio curriculum, una circostanza che si realizza con minore efficacia nel caso
di contratti di breve durata;
• il grado di tutela nella contrattazione sindacale, ai vari livelli: a parità di contratto di lavoro, evidentemente, una differenza anche sostanziale in termini di qualificazione – positiva o negativa – della propria condizione di lavoratore
flessibile riguarda sia il livello delle tutele sostanziali garantite dalla presenza in azienda delle rappresentanze sindacali
sia, dal punto di vista retributivo e delle condizioni di lavoro, dei risultati della contrattazione integrativa. Nel corso
della ricerca, come emerge dal resoconto delle interviste, in più di un caso è emerso un legame tra soddisfazione dei
lavoratori per il proprio lavoro e la presenza (o l’assenza) di un accordo integrativo aziendale particolarmente gratificante
e/o tutelante;
• le scelte di vita e le responsabilità familiari: questo aspetto della condizione soggettiva dei lavoratori è particolarmente importante per cogliere le determinanti di una propensione a considerare positivamente o negativamente ad
es. la titolarità di un contratto di lavoro a termine, di un impiego interinale o di un part-time. Ancora una volta non
è il contratto in sé a fare la differenza, ma piuttosto l’elettività di una specifica condizione contrattuale. Per quanto
riguarda il part-time ad es. i dati della ricerca mettono in luce come una parte consistente della popolazione aziendale
di sesso femminile, soprattutto nel caso in cui abbia responsabilità familiari nella cura dei figli o di persone anziane,
tipicamente sceglie di lavorare part-time, e da questa condizione trae di per sé elementi di conciliazione tra esigenze
di lavoro e connesse alla vita privata. Ovviamente a patto che l’orario di lavoro permetta concretamente di gestire
questa duplicità di veste. Altro è il caso di coloro che nella sostanza subiscono questo contratto e che sarebbero
invece disponibili a lavorare più ore. La diversità di condizione si riflette (all’inverso) nel caso in cui l’azienda utilizzi
in maniera significativa la leva del lavoro supplementare: ben accetto nel secondo caso, vissuto in maniera tendenzialmente conflittuale nel primo, anche alla luce di un altro aspetto qualificante che entra nella valutazione soggettiva di qualità del lavoro, e cioè la disponibilità o l’assenza di una rete familiare o sociale di supporto su cui tali
lavoratrici possono eventualmente contare;
• gli obiettivi reddituali e le aspirazioni di carriera: non tutti si propongono di realizzare la “scalata” al successo in campo
lavorativo. Per alcuni, infatti, il successo sul lavoro è gerarchicamente subordinato alla realizzazione di altri obiettivi,
ritenuti prioritari: ad es. la cura dei figli o della casa, la coltivazione di hobby, etc. anche in rapporto ad un’altra variabile
– non irrilevante – che compone il quadro soggettivo di valutazione di qualità del lavoro: quella delle condizioni socioeconomiche di provenienza. Per altri invece la realizzazione di sé ha una forte componente connessa al successo lavorativo. È chiaro che anche in questo caso la valutazione della propria condizione di lavoratore flessibile è diametralmente
63
Si veda il par. 1.2.
Si veda ad es. Bombelli, 2003; Salmieri, 2003; Paci, 2005; Hardarson, 2007; Gasparre e Torre, 2008 oltre ai numerosi rapporti di ricerca della Fondazione di Dublino (indicati in bibliografia alla voce Eurofound) e dell’ILO, anch’essi rintracciabili in bibliografia.
64
88
opposta da parte dei due gruppi di persone, ed anche gli aspetti legati allo stress da lavoro potrebbero connotarsi in
termini diversi nel caso, ad es., di chi deve gestire una condizione di lavoratore part-time a cui si richiede di lavorare
per più ore, magari con scarso preavviso. Coloro che si riconoscono nel segmento dei carrier seeker verosimilmente si
mostreranno più disponibili e interessati al lavoro supplementare, al contrario coloro che hanno fatto scelte di vita di
tipo diverso ne percepiranno l’incoerenza e se i codici culturali aziendali “richiedono” comunque disponibilità tale circostanza potrebbe tradursi in aumento dello stress da lavoro, con effetti negativi sulla motivazione e sulla produttività
da un lato e sul proprio benessere dall’altro.
Per quanto riguarda il secondo punto (gli investimenti specifici in termini di flexicurity che le aziende potrebbero decidere
di realizzare) si segnalano in particolare65:
• servizi di supporto alla cura genitoriale, come nidi aziendali, nursery interne, spazi giochi, ludoteche, etc.
• servizi di supporto alla maternità, finalizzati a mantenere un rapporto con l’azienda (ad es. mailing aziendale dedicato
alle donne in maternità sui fatti aziendali più salienti) ed a gestire efficacemente il rientro graduale al lavoro (es.
progetti temporanei di telelavoro);
• servizi di mobility management, finalizzati alla ottimizzazione degli spostamenti dei dipendenti (car sharing aziendale,
servizi navetta, convenzioni con il trasporto pubblico locale, etc.;
• iniziative di programmazione concordata tra i lavoratori dei turni di lavoro a livello di reparto ed altre soluzioni gestionali
di raccolta delle disponibilità orarie dei dipendenti finalizzate alla predisposizione di un calendario di lavoro (turni,
riposi, ferie, etc.) sul lungo periodo, per agevolare la programmazione degli impegni familiari delle persone;
• servizi di supporto alle cura degli anziani, ad es. attraverso convenzioni per i dipendenti con case di cura e di accoglienza;
• servizi di supporto alla gestione del menage quotidiano, come la previsione di servizi di lavanderia o di consegna sul
lavoro della spesa dei dipendenti;
• servizi connessi al miglioramento del livello di accoglienza degli ambienti fisici di lavoro: mense di qualità, salette caffè,
spazi fumatori, etc.;
• servizi culturali come mini-biblioteche o cineteche aziendali, convenzioni con musei, teatri, etc.;
• servizi di supporto al benessere dei dipendenti come palestre aziendali, convenzioni con centri sportivi o di benessere, etc.;
• servizi a carattere burocratico come sportelli bancari o postali interni.
Come è stato chiarito nella prima parte di questo rapporto di ricerca66, l’idea di fondo a cui si ispirano queste iniziative
aziendali muove da considerazioni che hanno uno stretto legame con il perseguimento di obiettivi di business67.
La letteratura di Human Resource Management, infatti, segnala fin dai primi studi della scuola delle Relazioni Umane
(anni ’30), e poi nelle diverse correnti motivazionaliste (dagli anni ’40 e ’50 dei primi studi di Maslow ed Herzberg agli
orientamenti successivi di negli anni ’60 e ’70) fino agli indirizzi della qualità totale degli anni ’80 e ’90 ed agli sviluppi
più recenti – la necessità per le aziende di sviluppare sistemi di compensation capaci di cogliere sia le determinanti strettamente materiali della motivazione dei lavoratori (retribuzione, salute e sicurezza, etc.) sia le componenti di natura immateriale o “informale” (il clima organizzativo, l’appartenenza al gruppo di lavoro ed all’azienda, l’autorealizzazione, etc).
E cioè alla luce di un quadro di rapporto tra motivazione e produttività che permetta di sviluppare performance aziendali
coerenti con gli obiettivi di competitività e di crescita di lungo periodo68. Il tema è illustrato graficamente nella figura
che segue.
65
Queste indicazioni, frutto dell’analisi diretta che è stata realizzata, confermano peraltro le acquisizioni di una mole imponente di letteratura su
questo tema. Si segnalano tra gli altri i seguenti lavori di ricerca: Schlesinger e Zornitsky, 1991; Schlesinger, 1995; Christensen, Degroot e Friedman,
1998; Perry-Smith e Blum, 2000; Bombelli, 2003 e Hardarson, 2007 oltre ai classici manuali di Human Resource Management come McCourt e Eldridge, 2003 o Cascio, 2008 che da decenni riportano questi servizi ai dipendenti come esempi di azioni concrete finalizzate alla conciliazione virtuosa
tra esigenze aziendali in termini di produttività ed esigenze dei lavoratori in termini di conciliazione tra lavoro e vita privata.
66
Si veda il par. 1.2.
67
Alcune di queste iniziative prendono corpo nelle grandi corporation americane (alla Apple, ad esempio), nei lontani anni ’70. Esempi più vicini a noi
si ritrovano – addirittura fin dagli anni ’40 – alla Olivetti di Adriano Olivetti, impresa socialmente (e autenticamente) responsabile ante litteram, nella
quale per i figli dei dipendenti c’erano asili, asili-nido e colonie estive e per la “comunità” aziendale iniziative culturali, una mensa (che serviva più di
10.000 pasti al giorno), assistenza medica, assistenti sociali e un centro per lo studio dei problemi psicologici connessi all’attività lavorativa, sale cinema, centri culturali, spazi congressi etc. Tra i moltissimi volumi che ripercorrono i temi del welfare olivettiano si veda in particolare Gallino (2001).
68
In merito ai programmi aziendali di Work-Life Bilance, in particolare, ciò che si sostiene, alla luce di una traccia storica consolidata di risultati empirici congruenti, è che il “gioco” – per l’azienda e per il lavoratori – sia a somma positiva. È quello che sostengono, ad es., Christensen, Degroot e
Friedman (1998) in un noto articolo pubblicato sulla prestigiosa “Harvard Business Review” dal titolo inequivocabile: Work and life: the end of the zero-sum game (Lavoro e vita privata: fine del gioco a somma zero).
89
Fig. 3.1: Work-Life Balance: benessere delle persone e performance aziendali
Fonte: Ballone et al. (2009)
Flessibilità, ottimizzazione della logistica e sicurezza
Le trasformazioni del quadro competitivo hanno richiesto alle aziende della GDO di avviare significativi processi di ottimizzazione nell’uso delle risorse e degli spazi. Come è emerso dalla ricerca, tale percorso ha portato alcune aziende ad esternalizzare porzioni rilevanti dei processi che riguardano la logistica in entrata e la movimentazione delle merci, sia in magazzino,
sia all’interno degli spazi aperti al pubblico dei punti vendita. Tale circostanza riguarda per ora un numero limitato di casi,
ma è prevedibile che nel prossimo futuro il fenomeno abbia una diffusione più ampia, andando a coinvolgere, potenzialmente, anche altri processi, sia nell’ambito delle attività primarie sia con riferimento alle attività di supporto69.
Dal punto di vista del tema di riferimento di questa ricerca – la qualità del lavoro – questo fenomeno (ed i casi specifichi
che sono emersi nell’analisi sul campo) costituiscono sfide rilevanti. È nota al riguardo la proposta interpretativa di Atkinson (1984), il quale per primo introduce i termini “core workers” (i lavoratori più importanti, difficilmente sostituibili)
e “peripheral” o “contingent workers” (quelli più facilmente interscambiabili, che possono avere livelli di turnover anche
elevati senza compromettere la stabilità dei processi di creazione del valore dell’impresa). I primi rimangono impiegati
nei processi diretti delle aziende di riferimento, per gli altri è elevato il rischio di transitare tra le file dei lavoratori terziarizzati. Nello specifico della GDO, peraltro, un comparto caratterizzato da qualificazioni medio-basse, ad alta intensità
di lavoro (Gallino, 2007: p. 90) tale circostanza potrebbe riguardare una molteplicità di aree di lavoro (si pensi ad es. ai
servizi casse, che alcune aziende della GDO stanno valutando di terziarizzare, od alle attività di rifornimento banchi).
Si tratta di un processo evolutivo tendenzialmente inarrestabile, come è stato chiarito, che peraltro mette in discussione
determinanti storiche del rapporto tra impresa e lavoratori: ad es. in tema di appartenenza, impegno (commitment), lealtà
aziendale (loyalty), etc. ed anche, sul piano operativo, in merito alle determinanti della soddisfazione e del benessere dei
lavoratori. Sia dal punto di vista retributivo: all’allungarsi della catena di produzione-erogazione dei servizi si accompagna
una fisiologica erosione dei margini economici di compensation delle risorse umane, sia dal punto di vista della condizione
di flessibilità, garantita dal fornitore all’impresa e fisiologicamente “scaricata” sulle risorse umane che lavorano in un contesto di terziarizzazione, pena la tenuta competitiva della relazioni di fornitura (contratti precari, talvolta atipici). Sia dal
punto di vista specifico del benessere dei lavoratori. Tendenzialmente: orari di lavoro più flessibili, richiesta più significativa
di lavoro supplementare per gestire economicamente le variazioni della domanda dell’impresa, lavoro notturno, etc.
Dal punto di vista della sicurezza sono ipotizzabili coefficienti di rischio specifico tendenzialmente più elevati per questi lavoratori rispetto ai “colleghi” impiegati dalle aziende della GDO. Il tema, peraltro, meriterebbe di essere approfondito ulteriormente, svolgendo analisi empiriche mirate sui processi di terziarizzazione nella GDO, al fine di verificare la sostenibilità di questa ipotesi ed eventualmente quali possano essere le azioni strategiche della Regione per supportarne la sostenibilità. Un primo
spunto, comunque, emerge anche dalle analisi condotte in questa ricerca, nell’ambito della quale è stato realizzato un approfondimento specifico su di una azienda che gestisce alcuni processi terziarizzati da parte di diverse aziende liguri della GDO.
69
L’idea di fondo, che ha ampia cittadinanza nella letteratura di management, è di un progressivo cambiamento nelle logiche strategiche ed organizzative
che porta le aziende a concentrarsi sulle attività cd. “core” (prioritarie, qualificanti) dal punto di vista della capacità di creare valore e di caratterizzare
l’offerta dal punto di vista competitivo, nel rapporto con gli altri player, esternalizzando invece la generalità dei processi “non-core” (di supporto, tendenzialmente standardizzabili e non qualificanti dal punto di vista della potenzialità competiviva). A fronte di un quadro – ormai superato – di aziende “integrate”, dove la logica produttiva è tutta interna, da tempo lo scenario presenta “organizzazioni minime”, “cellulari” (Miles e Snow, 1986; 1996), ed una
costellazione del valore (Normann e Ramirez, 1995) che si crea nel rapporto tra una molteplicità di attori che interagiscono sulle diverse filiere.
90
Da questo punto di vista ciò che emerge, e che andrebbe verificato ulteriormente, è che i rischi per il benessere dei lavoratori e, più in generale, per la qualità del lavoro, possono essere tenuti sotto controllo sia attraverso un atteggiamento
serio e socialmente responsabile delle aziende che terziarizzano (in sede di selezione del fornitore e di verifica ciclica
delle performance, anche con riferimento a temi come la qualità e la sicurezza sul lavoro) sia attraverso un presidio puntuale delle istituzioni preposte alla vigilanza. Parallelamente i livelli di sicurezza, salute e benessere dei lavoratori terziarizzati sono strettamente connessi al livello di pressione economica (condizioni contrattuali) che le aziende della GDO
potrebbero esercitare sull’azienda terziarizzata. Le grandi imprese della distribuzione, infatti, hanno aumentato considerevolmente nel tempo il proprio potere negoziale nei confronti degli attori a monte del processo distributivo, la qual cosa
le porta spesso a poter controllare e garantire sul piano sostanziale la sostenibilità dell’intera catena del valore70.
Il caso analizzato, comunque, è configurabile, da questo punto di vista, come una “buona pratica”: le aziende clienti si
rapportano al fornitore – ad es. in sede negoziale, in occasione dei rinnovi contrattuali – in una logica di valutazione della
qualità dell’offerta, piuttosto che dei meri corrispettivi economici per i servizi acquistati, il ché si traduce in margini di riferimento per l’azienda che gestisce la terziarizzazione tali da permettere una valorizzazione congrua del lavoro e condizioni di contesto di alto livello (ad es, in termini di presidi di sicurezza, rispetto delle norme, orari di lavoro, turni, etc.).
Flessibilità, innovazione tecnologica e cambiamento nel lavoro
Il percorso di ottimizzazione dei processi di lavoro e di innalzamento della qualità del servizio offerto alla clientela tende
a realizzarsi, in alcuni casi, con l’implementazione di innovazioni tecnologiche che consentono di realizzare vantaggi sia
in termini di costo sia in termini di ampliamento della gamma di servizio.
Da quanto è emerso dalle attività di ricerca, in particolare, un ambito di recente sperimentazione da parte di alcune
aziende della GDO riguarda l’area dell’automazione dei servizi di contabilizzazione e di pagamento degli acquisti (casse
automatiche o casse veloci). L’intervento degli operatori è richiesto in termini di servizio di supporto ai clienti nelle casse
veloci. Gli operatori, inoltre, in alcuni casi mantengono alcune prerogative di vendita (es. negli Ipermercati e nei Supermercati: ricariche telefoniche, prodotti di valore elevato non a scaffale). Nel passaggio dalle casse tradizionali alle casse
automatiche, dunque, si realizza un cambiamento delle procedure di lavoro degli operatori della barriera casse (cambiano
le attività da svolgere), ed anche delle condizioni di contesto nelle quali il lavoro si svolge (in piedi, in movimento).
Il fatto che si tratti di un’innovazione recente, inoltre, implica che la stessa clientela in molti casi sperimenti difficoltà
oggettive allo svolgimento corretto delle procedure necessarie alla contabilizzazione dei prodotti ed al pagamento degli
acquisti (si pensi agli anziani o alla clientela non abituale). Il lavoro da svolgere per gli operatori si fa più complesso di
quanto non fosse alle tradizionali postazioni cassa71 e aumenta l’interazione con i clienti e con la molteplicità di eventi
che possono scaturire dalla loro carenza di abilità o di pratica, od anche, come si diceva, per verificare che la contabilizzazione e il pagamento siano effettuati correttamente ed evitare comportamenti disonesti72.
La transizione dal lavoro nelle casse tradizionali all’attività di supporto ai clienti alle casse automatiche, comunque, può
avere parallelamente anche effetti positivi sulla qualità del lavoro: da un lato perché il lavoro nelle casse tradizionali
comporta lo svolgimento di alcune attività che, tipicamente, implicano una valutazione negativa da parte dei lavoratori
in termini di soddisfazione (ripetitività, interazione “povera” con la clientela, sedentarietà, problemi connessi alla postura,
etc.), dall’altro perché, in positivo, il passaggio alle casse automatiche può implicare un arricchimento della qualità dell’interazione con la clientela, o nei termini ad es. dello svolgimento di un lavoro a qualificazione più elevata.
70
Se da un lato non è immaginabile alcuna forma di connessione diretta o automatica delle imprese della GDO con gli eventuali comportamenti scorretti da un punto di vista etico da parte dei propri fornitori, in quanto soggetti giuridicamente autonomi, è altrettanto evidente, però, che alcuni di
questi comportamenti potrebbero essere il risultato – esplicitamente non pianificato – di una logica di rapporto dei soggetti della GDO nei confronti
dei propri fornitori tale da rendere materialmente probabili azioni eticamente scorrette da parte di questi ultimi. Laddove ad es., l’accesa competizione
nei mercati finali dei prodotti porti le aziende della GDO a negoziare al ribasso gli standard contrattuali di fornitura delle aziende che gestiscono i
processi terziarizzati, questi potranno essere rispettati dalle aziende a monte nella filiera della distribuzione solo a fronte di violazioni di norme di
legge (ad es. in tema di corrispettivi orari di lavoro o di standard di sicurezza) da parte di queste ultime.
71
Una complessità che si realizza spesso per la necessità di sviluppare e presidiare molteplici livelli di attenzione: alle richieste esplicite di informazioni
da parte dei clienti attivi nelle diverse postazioni automatiche di cui l’operatore è responsabile (fino a 6, in alcuni grandi Ipermercati); alle “emergenze”
che si possono verificare (mancato funzionamento di alcuni dispositivi, svolgimento non corretto da parte del cliente delle operazioni previste); ad alcune altre esigenze che tipicamente potrebbero richiedere supporto da parte dei clienti (pagamento con carta, sconti, etc.); alla mancata contabilizzazione di alcuni articoli (per semplice distrazione o per un comportamento scorretto dei clienti); alla gestione delle possibili contestazioni o lamentele
dei clienti; alle richieste di supporto da parte di colleghi meno esperti; etc.
72
Emblematica, da questo punto di vista, la circostanza che si può verificare nel momento in cui l’operatore si accorge, ad es., che un articolo non è
stato passato allo scanner. Può trattarsi di una disattenzione o del tentativo di realizzare un furto e l’operatore si trova a dover gestire queste dinamiche vestendo contemporaneamente i panni del “controllore” e di dipendente disponibile ed attento alle esigenze dei clienti. Le dinamiche di interazione
che si creano in quel momento sono coinvolgenti e, alla lunga, possono innescare fenomeni di burn-out, che si verificano tipicamente nel momento in
cui gli operatori percepiscono uno squilibrio, nelle attività di lavoro, tra richieste e risorse, che comporta logoramento, esaurimento di risorse interiori,
senso di fallimento, ecc. (Rulli, 2006).
91
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97
Allegati
1. Uno sguardo alla normativa
Una presentazione, seppur sintetica delle regole che disciplinano il settore commerciale in Italia è una premessa basilare
per comprendere la complessità del comparto: “non è un caso, infatti, se l’impianto della legislazione commerciale in
Italia ha prodotto effetti condizionanti non solo per l’attività e lo sviluppo delle imprese distributive, ma, in via diretta e
indiretta, per l’industria, la concorrenza e in generale l’economia” (De Berardinis, 2007).
In Italia la distribuzione commerciale, con la Legge 426/71, per lungo tempo ha avuto un quadro unitario di norme
applicate, almeno nei loro presupposti generali, a livello nazionale (Pellegrini, 2009). In seguito, con la cosiddetta Riforma Bersani del 199873, si è fissato un quadro di riferimento comune, ma lasciando ampi margini alla regolamentazione locale, tanto che oggi si può dire che la regolamentazione del settore ha definitivamente assunto una dimensione regionale e, spesso, addirittura provinciale o comunale a seguito delle deleghe che le leggi regionali danno agli
enti locali subordinati (ibidem)74.
Questo anche perché con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001 si sono trasferite alle regioni le competenze
in materia di commercio e l’ultima cornice normativa unitaria definita dalla Riforma Bersani, ha quindi perso rilevanza
tanto che si può dire che “non esiste una normativa di riferimento, ne esistono venti (ventuno se si considerano le
province autonome di Trento e Bolzano), ed esse si stanno sviluppando seguendo linee autonome e divergenti” (Pellegrini, 2009; AGCM, 2008). I cambiamenti da una parte hanno permesso un’innovazione del settore e una maggiore liberalizzazione di alcuni mercati75 (ibidem), dall’altra hanno creato alcune barriere all’entrata e vincoli operativi76” (Pellegrini, 2009).
Come sostiene l’AGCM (2008), infatti, la riforma operata dal decreto legislativo n. 114/1998 è stata quasi vanificata
del tutto dall’interpretazione disomogenea e in molti casi restrittiva che le Regioni hanno dato in sede di concreta applicazione della nuova disciplina. Le restrizioni sostanzialmente ingiustificate – o comunque non proporzionate – all’apertura degli esercizi commerciali, all’insediamento e alla localizzazione, all’ampliamento e alla trasformazione dei punti
vendita, nonché i vincoli tuttora imposti dalla disciplina vigente in materia di turni e orari di esercizio dell’attività, accrescono le barriere all’entrata e ostacolano il corretto ed efficiente funzionamento dei meccanismi di mercato a vantaggio delle imprese già operanti (AGCM, 2008).
In Liguria il pieno recepimento del decreto Bersani è avvenuto solo in seguito a diversi provvedimenti regionali (così come
nel caso della Lombardia e della Puglia) (AGCM, 2007) ed è arrivato nel 2007 a dotarsi di una sua legge (Legge Regionale
3 gennaio 2007 n. 1) con il nuovo Testo Unico sul commercio. Prima di delineare le principali linee del nuovo Testo
Unico, riportiamo alcune osservazioni riguardanti il periodo precedente.
L’Autorità Garante della Concorrenza e Del Mercato (AGCM, 2007), infatti, nella sua pubblicazione sulla qualità della regolazione e performance economiche a livello regionale della distribuzione commerciale italiana, ha espresso dei giudizi
in merito all’applicazione del decreto Bersani a livello regionale nel periodo precedente all’approvazione del nuovo Testo
Unico sul Commercio. Si tratta in particolare di valutazioni (alto, medio e basso) che esprimono il livello di liberalizzazione introdotto da ciascuna legge rispetto ad un particolare elemento di interesse.
73
Si tratta del decreto legislativo 31 marzo 1998, n° 114 contenente la “Riforma della disciplina del commercio”.
Il principio ispiratore del decreto è stato quello della tutela della concorrenza, conseguito attraverso la finalità della normativa di raggiungere un
maggior livello di apertura del mercato, innestando un processo di deregolamentazione e liberalizzazione del settore (AGCM, 2007). I principi del decreto sono richiamati all’art. 1: la trasparenza del mercato; la concorrenza, la libertà d’impresa, la libera circolazione delle merci; la tutela del consumatore (con particolare riferimento alla garanzia del servizio di prossimità e all’approvvigionamento); l’efficienza, lo sviluppo delle rete distributiva,
l’evoluzione tecnologica dell’offerta, il pluralismo e l’equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita, con
particolare riguardo al riconoscimento e alla valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese; la valorizzazione e la salvaguardia del servizio
commerciale nelle aree urbane, rurali e montanare (AGCM, 2007).
75
Si ricordano i provvedimenti che hanno consentito la vendita dei farmaci da banco da parte delle imprese commerciali e l’apertura del mercato dell’energia elettrica (De Berardinis, 2007).
76
Con barriere all’entrata il saggio di Pellegrini (2009) fa riferimento ai vincoli operativi su alcune variabili come il razionamento delle superfici di
vendita, i limiti in alcune aree alla possibilità di localizzazione di punti vendita, o di particolari tipologie di punto vendita, e ad altre che riguardano
l’assortimento, i requisiti professionali e gli orari di apertura.
74
101
Fig. 2 - Applicazione del Decreto Legislativo 114/98 in Liguria77 precedente al nuovo Testo Unico regionale
Liguria
Livello di liberalizzazione
Esigenze urbanistiche
Basso
Vincoli quantitativi
Basso
Termini e modalità procedurali
Medio
Sospensiva autorizzazioni e azione sostitutiva delle Regioni
Basso
Orari
Alto
Comuni turistici
Alto
Vendite straordinarie
Alto
Vendita congiunta ingrosso e dettaglio
Medio
Fonte: Elaborazione OML su dati AGCM, 2007
Rispetto al criterio di valutazione dell’AGCM che riguarda le disposizioni introdotte allo scopo di rendere compatibile
l’impatto territoriale e ambientale degli insediamenti e di riqualificare il tessuto urbano, la Liguria si è distinta a livello
nazionale nell’ambito delle aree da dedicare a parcheggio che sono state individuate da precise relazioni matematiche
fra metri quadri di superficie di vendita, da un lato, e metri quadri adibiti a parcheggio e numero di posti auto, dall’altro
(AGCM, 2007). Le disposizioni in assoluto più delicate sono state quelle concernenti i vincoli quantitativi relativi all’apertura di nuove medie e grandi strutture di vendita al dettaglio. A questo proposito l’AGCM evidenzia come la Liguria abbia
introdotto nel 199978 limiti dimensionali più contenuti rispetto a quelli previsti dal Bersani, sia per ciò che riguarda gli
esercizi di vicinato, che per quanto riguarda le medie strutture. La Regione non aveva inoltre permesso l’apertura di nuove
grandi strutture alimentari, mentre l’apertura di quelle non alimentari era stata temporaneamente sospesa, nell’attesa
che le Province elaborassero piani territoriali di coordinamento79. Virtuosa, secondo l’AGCM, l’individuazione dei comuni
ad economia prevalentemente turistica e dei periodi di maggiore afflusso turistico80: la Regione Liguria aveva infatti disposto in breve tempo che tutti i comuni fossero da considerarsi turistici, liberalizzando così in tutto il territorio regionale
gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita che sono ancora oggi disciplinati dai Comuni81.
Soffermandosi invece sul nuovo testo unico in materia di commercio della Regione Liguria approvato con legge regionale 3 gennaio 2007 n.1 (pubblicata sul Bollettino ufficiale n. 1, parte prima, del 3/1/2007), è possibile evidenziare alcuni
elementi significativi anche per la grande distribuzione organizzata.
Tra le finalità del testo unico emerge l’attenzione per uno sviluppo equilibrato della rete distributiva “con particolare riguardo al riconoscimento, alla tutela e alla valorizzazione del ruolo delle piccole imprese commerciali, anche in relazione
alla loro funzione di salvaguardia e di presidio del territorio e del tessuto urbano” e alla promozione di “forme di aggregazione e di collaborazione tra le piccole imprese commerciali quale strumento per una loro miglior tutela e valorizzazione”.
Si intende inoltre “rendere compatibile l’impatto territoriale e ambientale degli insediamenti commerciali e valorizzare
la funzione del commercio degli esercizi di piccole, medie e grandi dimensioni per la riqualificazione del tessuto urbano,
in particolare per quanto riguarda i quartieri urbani degradati al fine di ricostituire un ambiente idoneo allo sviluppo del
commercio.
77
Provvedimenti esaminati: L. R. 19/1999; Circolare n. 6 del 24/12/1999; D.G.R. n. 443/1999; Delib. C. R. 29/1999; Delib. C. R. 12/2001; Delib. C. R.
25/2002; Delib. C. R. 53/2003; Delib. C. R. 13/2004; Delib. C. R. 30/2004; Delib. C. R. 15/2005.
78
Delibera del Consiglio Regionale 27 aprile 1999, n° 29.
79
Tale politica così restrittiva è giustificata, all’interno della stessa legge, con due premesse contenute nell’art. 10 della delibera del Consiglio Regionale
27 aprile 1999, n° 29, le quali recitano: “In primo luogo il prevedibile sviluppo dei consumi commercializzati e degli insediamenti residenziali in Liguria
nel prossimo triennio è assai modesto, a motivo delle dinamiche demografiche negative e del quasi totale immobilismo quanto a nuove espansioni residenziali. Ciò determina un ridotto fabbisogno di nuove grandi strutture di vendita, specie nel settore alimentare.
In secondo luogo in Liguria negli anni più recenti si è verificata, anche a motivo delle opportunità offerte dal previgente piano regionale per il commercio, una crescita intensa di nuove grandi strutture di vendita, specie nel settore alimentare, una parte delle quali tuttora in via di realizzazione. È
pertanto certo che quanto prima la disponibilità di superficie di vendita nelle grandi strutture manifesterà comunque un incremento consistente”. Anche l’ampliamento delle grandi strutture di vendita non alimentari è limitato, nel periodo di vigenza dei piani comunali per la riqualificazione della
rete commerciale, entro un limite complessivo di autorizzabilità del 6% della superficie esistente nell’intero settore al 31 dicembre del 2000; tale superficie potrà essere incrementata fino ad un massimo del 2% a decorrere dal primo giorno di vigenza del terzo anno di validità di ciascun piano.
80
Nei quali gli esercenti possono determinare liberamente gli orari di apertura e di chiusura, e possono derogare dall’obbligo di osservare la chiusura
domenicale e festiva dell’esercizio, nonché la mezza giornata di chiusura infrasettimanale (art. 12 del decreto Bersani).
81
Art. 18 della Delibera del C. R. 27 aprile 1999, n° 29.
102
Si definisce la classificazione regionale dimensionale delle strutture di vendita al dettaglio82 e quella tipologica83.
Nasce lo sportello unico del Comune che rilascerà tutti i titoli per l’esercizio dell’attività commerciale e diventerà unico
referente per il cittadino utente consumatore, con una notevole semplificazione amministrativa.
Si sottolinea la Competenza programmatoria della Regione e competenze gestionali in campo ai Comuni che continuano
ad avere ampia autonomia sugli orari degli esercizi commerciali.
Si prevede infine una tutela per centri storici, aree montane e piccoli comuni per non stravolgere la rete commerciale
esistente e tutelare particolari realtà urbanistiche, attraverso abbattimento delle dimensioni delle strutture.
Da questa breve rassegna normativa risulta evidente la complessità del settore a livello nazionale, che si ripercuote a livello definitorio, classificatorio e di raccolta dati.
2. Principali definizioni e classificazioni
La Grande Distribuzione è un settore composito, diversificato e dinamico e la complessità della sua analisi “sta anche
nella considerazione di fondo che non esiste una definizione univoca e tantomeno statica di Grande Distribuzione Organizzata (GDO)” (SRM, 2007).
Un recente studio sulla Grande Distribuzione Organizzata in Italia (cfr. Funzione Studi Banco Popolare, 2009) delinea i
principali elementi distintivi che la definiscono e caratterizzano. Si chiarisce in particolare che la Grande Distribuzione
Organizzata:
• esercita la gestione di attività commerciali sotto forma di vendita al dettaglio di prodotti alimentari e di prodotti non
alimentari di largo consumo, in punti vendita a libero servizio;
• è caratterizzata dall’utilizzo di grandi superfici, con una soglia dimensionale minima generalmente individuata in 200
metri quadrati per i prodotti alimentari e in 400 mq. per le categorie non alimentari;
• è contraddistinta dall’esercizio dei punti vendita mediante “catene commerciali” di più punti vendita caratterizzati da
un unico marchio, attorno al quale vengono dispiegate le strategie promozionali (ovvero le politiche commerciali e le
relative campagne pubblicitarie). Queste sono sviluppate a livello centrale così come le politiche di approvvigionamento
(la scelta dei fornitori e la gestione degli acquisti), con le connesse politiche di pricing.
La GDO, si distingue in base all’assetto organizzativo e al coordinamento delle filiali in Grande Distribuzione (GD) e Distribuzione Organizzata (DO) (cfr. Federdistribuzione, 2006; Funzione Studi Banco popolare, 2009).
La Grande Distribuzione in senso stretto, è rappresentata da un’organizzazione gerarchica che vede un unico soggetto
proprietario (anche a livello internazionale) governare grandi strutture centrali che, a loro volta, gestiscono direttamente i punti di vendita che si configurano quindi come “succursali” di un’unica entità economica. Ne rappresentano
un esempio diffuso sul territorio nazionale marchi come Carrefour, Esselunga ed Auchan (i primi due presenti anche
in Liguria).
82
Articolo 15: 1. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni contenute nel presente capo, si intendono: a) per esercizi di vicinato, gli esercizi singoli con
superficie netta di vendita minore o uguale: 1) a 100 mq. nei centri storico-commerciali; 2) a 150 mq. nelle restanti parti del territorio comunale per
Comuni con popolazione inferiore a 10.000 residenti; 3) a 250 mq. nelle restanti parti del territorio comunale per Comuni con popolazione superiore
a 10.000 residenti; b) per Medie Strutture di Vendita, gli esercizi aventi superficie netta di vendita superiore ai limiti degli esercizi di vicinato e fino:
1) a 1.000 mq. nei Comuni con popolazione inferiore a 10.000 residenti; 2) a 1.500 mq nei Comuni con popolazione inferiore a 50.000 residenti; 3) a
2.500 mq nei Comuni con popolazione superiore a 50.000 residenti e nei capoluoghi di Provincia. c) per Grandi Strutture di Vendita gli esercizi aventi
superficie netta di vendita superiore ai limiti delle medie strutture di vendita.
83
Si intendono: a) per esercizi singoli, gli esercizi di vendita al dettaglio in sede fissa in cui l’attività di commercializzazione delle merci è esercitata
da un unico operatore; b) per aggregazioni di esercizi singoli, un insieme di esercizi che, per opportunità di natura edilizia, sono organizzati in spazi
dotati di infrastrutture o servizi comuni, pur mantenendo, ai fini amministrativi, il carattere di esercizi singoli; c) per distretti commerciali tematici,
quegli esercizi singoli del tipo Media o Grande Struttura di Vendita o Media o Grande Struttura di Vendita articolata in più esercizi, che si caratterizzino
per un’offerta merceologica coerente con i temi merceologici dell’area in cui insistono e siano tali da poter agire su un mercato di domanda ampio e
di scala sovraregionale; in tali esercizi oltre all’attività commerciale possono essere svolti anche altri servizi di particolare interesse per la collettività
eventualmente in convenzione con soggetti pubblici o privati. Possono essere, altresì, previsti degli esercizi di vicinato con un’offerta merceologica
non strettamente coerente con i temi merceologici dell’area, esclusivamente sulla base di quanto previsto dalla programmazione commerciale ed urbanistica di cui all’articolo 3; d) per Centri Commerciali, Medie Strutture di Vendita o Grandi Strutture di Vendita nelle quali più esercizi commerciali
sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono in comune di infrastrutture, accessi, servizi, viabilità, parcheggi. Per superficie di
vendita di un Centro Commerciale si intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi al dettaglio in essa presenti. e) per
Parchi Commerciali, un insieme di esercizi di cui all’articolo 15, sulla base di quanto stabilito dalla programmazione commerciale ed urbanistica di cui
all’articolo 3. Per superficie di vendita di un Parco Commerciale si intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti.
103
Nel caso della Distribuzione Organizzata in senso stretto, invece, i soggetti attivi sono rappresentati da operatori commerciali indipendenti che hanno la piena gestione del singolo punto vendita ma che decidono di mettere a fattore comune alcune funzioni aziendali. Sono così centralizzati gli acquisti, con l’obiettivo primario di aumentare il potere contrattuale nei confronti dei fornitori, e alcune funzioni strategiche quali l’insegna standardizzata, l’attività promozionale,
i prodotti a marchio“privato”. Come ricorda Federdistribuzione, infatti, negli ultimi 60 anni, rapide e radicali trasformazioni hanno caratterizzato il commercio al dettaglio: infatti, le attività artigianali organizzate nelle tradizionali botteghe
hanno gradualmente lasciato spazio ad attività sempre più strutturate ed organizzate che hanno dato origine all’attuale
Distribuzione Moderna Organizzata (Federdistribuzione, 2006). La DMO, rappresenta di fatto l’evoluzione del commercio,
la giusta sintesi che coniuga l’abbattimento dei costi della vendita all’ingrosso con l’esposizione e il servizio tipici del
commercio al dettaglio. Sempre secondo Federdistribuzione (ibidem) il cammino verso la modernizzazione economicocommerciale, ha portato più vicino a una produzione industriale e a una maggiore attenzione alle esigenze del consumatore. I principi fondamentali della DMO, infatti, si possono sintetizzare in due punti essenziali: centralità del consumatore e liberalizzazione e concorrenza in tutti i settori.
Operativamente in realtà “la distinzione tra le due modalità gestionali va a sfumare quando imprese della Grande Distribuzione tendono a concedere maggiore autonomia ai singoli punti vendita (ad es. sulle campagne d’offerta) e i consorzi
della Distribuzione Organizzata tendono ad evolvere in forme più capitalistiche” (Funzione Studi Banco Popolare, 2009).
Altre classificazioni che si trovano in letteratura sono relative a due caratteristiche:
• dimensione (in riferimento sia ai metri quadri di superficie di esposizione, sia al numero di addetti);
• tipologia di prodotti in vendita (alimentare e non alimentare).
Le classificazioni delle tipologie distributive della GDO presenti nella letteratura di riferimento sono spesso eterogenee e
in evoluzione, rispecchiando l’ampiezza e la dinamicità del settore; anche per questo l’articolazione più utilizzata resta
quella relativa all’ampiezza della superficie di vendita. Senza pretesa di esaustività presentiamo, quindi, alcune tra le
principali denominazioni di riferimento.
L’ISTAT ha recentemente modificato84 la definizione della classificazione delle imprese per forma distributiva;85 in particolare è stato modificato l’aggregato “grande distribuzione”, soprattutto sulla sua articolazione interna. Secondo l’Istat
rientrano nella grande distribuzione organizzata le imprese non specializzate a prevalenza alimentare, le imprese non
specializzate a prevalenza non alimentare, le grandi superfici specializzate. Tra le imprese non specializzate a prevalenza
alimentare si possono individuare le seguenti tipologie:
• Supermercato: Esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare (autonomo o reparto di grande magazzino) organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita
normalmente superiore a 400 mq. e di un vasto assortimento di prodotti alimentari in prevalenza preconfezionati
nonché articoli del settore non alimentare per l’igiene e la pulizia della casa, della persona e degli animali.
• Ipermercato: Esercizio di vendita al dettaglio con superficie di vendita superiore a 2.500 mq., articolato in reparti (alimentari e non alimentari), ciascuno dei quali avente, rispettivamente, le caratteristiche di supermercato e di grande
magazzino.
• Discount di alimentari: Esercizio di vendita al dettaglio in sede fissa di superficie medio-grande che, attuando una
politica di abbattimento dei costi di impianto, di gestione e di servizio, offre in self-service una gamma limitata di prodotti, generalmente non di “marca”, a prezzi contenuti rispetto alla media di mercato.
84
A partire dal comunicato stampa relativo ai dati di gennaio 2009 le serie degli indici vengono diffuse con riferimento alla base 2005=100 e alla
nuova classificazione delle attività economiche Ateco 2007 (versione italiana della classificazione europea Nace Rev. 2). Per una descrizione più approfondita delle caratteristiche dell’indice in base 2005 si vedano la Nota Informativa “I nuovi indici del valore delle vendite del commercio fisso al
dettaglio in base 2005=100” del 31 marzo 2009.
85
Questa la precedente classificazione:
- Ipermercato: Esercizio di vendita al dettaglio con superficie di vendita superiore a 2.500 mq, articolato in reparti (alimentare e non alimentare),
ciascuno dei quali avente, rispettivamente, le caratteristiche di supermercato e di grande magazzino.
- Grande magazzino: esercizio al dettaglio operante nel campo non alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq. e di almeno 5 distinti reparti (oltre l’eventuale annesso reparto alimentare), ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori
merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo.
- Supermercato: Esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare (autonomo o reparto di grande magazzino) organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita normalmente superiore a 250 mq. e di un vasto assortimento di prodotti alimentari in prevalenza preconfezionati nonché articoli del settore non alimentare per l’igiene e la pulizia della casa, della persona e degli animali.
- Altro esercizio specializzato: esercizio di vendita al dettaglio in sede fissa che attua la vendita di una varietà unica o prevalente di prodotti non alimentari, su una superficie di vendita generalmente superiore ai 400 mq.
- Hard discount: Esercizio di vendita al dettaglio in sede fissa di superficie medio-grande che, attuando una politica di abbattimento dei costi di impianto, di gestione e di servizio, offre in self-service una gamma limitata di prodotti, generalmente non di “marca”, a prezzi contenuti rispetto alla
media di mercato.
104
Le imprese non specializzate a prevalenza non alimentare comprendono le seguenti tipologie:
• Grande magazzino: esercizio al dettaglio operante nel campo non alimentare, che dispone di una superficie di vendita
superiore a 400 mq. e di almeno 5 distinti reparti (oltre l’eventuale annesso reparto alimentare), ciascuno dei quali
destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo.
• Esercizio non specializzato di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo
audio e video, elettrodomestici.
Tra le grandi superfici specializzate rientrano le imprese commerciali che attuano la vendita, attraverso esercizi in sede
fissa, di una tipologia unica o prevalente di prodotti non alimentari, su una superficie di vendita generalmente superiore
ai 400 mq con caratteristiche organizzative proprie della grande distribuzione86.
Per la società Nielsen, che opera su scala internazionale ed è specializzata nelle ricerche di mercato sui beni e servizi di
largo consumo, i canali di vendita della Grande Distribuzione Organizzata possono così essere classificati (Funzione studi
del Banco Popolare, 2009):
• Ipermercato: struttura con un’area di vendita al dettaglio superiore ai 2.500 metri quadrati. All’interno di questa fascia
dimensionale, il segmento che va dai 2.500 mq. ai 4.000 mq. è detto Iperstore;
• Supermercato: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai 400 mq ai 2.500 mq. All’interno di questa fascia
dimensionale, il segmento che va dai 1.500 mq. ai 2.500 mq. è detto Superstore;
• Libero servizio: struttura con un’area di vendita al dettaglio che va dai 100 ai 400 mq. All’interno di questa fascia dimensionale, il segmento che va dai 200 mq. ai 400 mq. è detto Superette;
• Discount: struttura in cui l’assortimento non prevede in linea di massima la presenza di prodotti di marca;
• Self Service specialisti Drug: esercizi che vendono prodotti per la cura della casa e della persona;
• Cash & Carry: struttura riservata alla vendita all’ingrosso87.
Infine, sono considerati “tradizionali” gli esercizi che vendono prodotti. Infine, sono considerati “tradizionali” gli esercizi
che vendono prodotti di largo consumo su superfici inferiori ai 100 mq.
L’Osservatorio Nazionale del Commercio suddivide la Grande distribuzione in despecializzata e specializzata.
La despecializzata comprende:
• Grande Magazzino: esercizio al dettaglio operante nel campo non alimentare che dispone di una superficie di vendita
superiore a 400 mq. e di almeno cinque distinti reparti, ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti
a settori merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo.
• Supermercato: esercizio al dettaglio operante nel campo alimentare, organizzato prevalentemente a libero servizio e
con pagamento all’uscita, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq. e di un vasto assortimento di
prodotti di largo consumo e in massima parte preconfezionati nonché, eventualmente, di alcuni articoli non alimentari
di uso domestico corrente.
• Ipermercato: esercizio al dettaglio con superficie di vendita superiore a 2.500 mq., suddiviso in reparti (alimentare e
non alimentare), ciascuno dei quali aventi, rispettivamente, le caratteristiche di supermercato e di grande magazzino.
• Minimercato: esercizio al dettaglio in sede fissa operante nel campo alimentare con una superficie di vendita che varia
tra 200 e 399 mq. e che presenta le medesime caratteristiche del supermercato.
• Cash & Carry: esercizio all’ingrosso organizzato a self-service, con superficie di vendita superiore a 400 mq., nel
quale i clienti provvedono al pagamento in contanti, contro emissione immediata di fattura, e al trasporto diretto
della merce.
86
La classificazione Istat prosegue con:
- Punto di vendita operante su piccola superficie: punto di vendita specializzato, non appartenente alla grande distribuzione, caratterizzato da una
superficie inferiore ai 400 mq. per gli esercizi che attuano in prevalenza vendita di prodotti non alimentari, o ai 250 mq. per gli esercizi che attuano
in prevalenza vendita di prodotti alimentari.
- Minimercato: Esercizio di vendita al dettaglio in sede fissa che attua la vendita di prodotti (quasi) esclusivamente alimentari, la cui superficie non
supera i 250 mq.
87
Federdistribuzione specifica che il Cash & Carry, letteralmente “prendi e porta via”, è una formula distributiva in cui la vendita di prodotti alimentari
e/o non alimentari è rivolta ad utilizzatori professionali in possesso di partita IVA. La normativa italiana richiede, per una struttura Cash & Carry,
un’area di vendita superiore ai 400 m (Osservatorio Nazionale del Commercio). Il Cash & Carry, quindi, è una forma di vendita, fra un grossista e soggetti autorizzati all’acquisto all’ingrosso dei prodotti. Le sue caratteristiche sono: esistenza di impresa commerciale all’ingrosso, accoglienza dei clienti
da parte del grossista nel proprio magazzino, organizzato nella forma self-service; prelevamento diretto della merce da parte del cliente pagamenti in
contanti della merce e trasporto della stessa successivo all’acquisto da parte del cliente.
105
La specializzata coincide invece con la
• Grande Superficie Specializzata: esercizio al dettaglio operante nel settore non alimentare (spesso appartenente ad una
catena distributiva a succursali) che tratta in modo esclusivo o prevalente una specifica gamma merceologica di prodotti
su una superficie di vendita non inferiore ai 1.500 mq88.
Altri tipi di lettura delle tipologie distributive della GDO (di cui si possono reperire alcune informazioni all’interno delle
pubblicazioni redatte da Federdistribuzione) evidenziano anche la Superette, un punto vendita alimentare al dettaglio,
a libero servizio, di prodotti di largo consumo con una superficie compresa tra i 200 ed i 400 mq. Punta di più sui servizi,
sulla scelta e sulla tecnica di vendita di tipo misto (al banco o self-service).
3. Aziende e gruppi coinvolti nella rilevazione quantitativa - Anno 2009
AZIENDA-GRUPPO
LE INSEGNE
PUNTI VENDITA
Sogegross
7 punti vendita in Liguria:
• 4 Genova
• 2 Imperia
• 1 Savona
42 punti vendita in Liguria:
• 31 Genova
• 3 Imperia
• 4 Savona
• 4 La Spezia
33 punti vendita in Liguria:
• 28 Genova
• 5 La Spezia
1 punto vendita in Liguria:
• Genova
Basko
SOGEGROSS
Dorocenty
Esperya
Ekom
Carrefour
GS Superstore
CARREFOUR
Dì per dì
Coin
COIN
Oviesse
Sidis
INTERDIS
Di Meglio
44 punti vendita in Liguria:
• 40 Genova
• 2 Savona 2 Imperia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Imperia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Imperia
76 punti vendita in Liguria:
• 53 Genova
• 12 Imperia
• 9 Savona
• 2 La Spezia
2 punti vendita in Liguria:
• 1 Genova
• 1 Imperia
12 punti vendita in Liguria:
• 6 Genova
• 3 Savona
• 2 Imperia
• 1 La Spezia
n.d.
27 punti vendita in Liguria:
• 18 Genova
• 9 La Spezia
88
Sono nate nei primi anni del 2000 per far fronte alle esigenze espresse dai consumatori, poiché la formula dell’Ipermercato non sembra soddisfare
le necessità di consolidamento nel mercato del non food, a causa della forte despecializzazione che caratterizza questa formula distributiva. Il negozio
di Ferramenta di vicinato viene così sostituito da Centri di Bricolage, il negozio di abbigliamento o di articoli sportivi da centri delle grandi catene internazionali che diffondo anche in Italia le Grandi Superfici Specializzate (Unioncamere, 2007).
106
AZIENDA-GRUPPO
REWE
PPR GROUP
LE INSEGNE
PUNTI VENDITA
Penny Market
5 punti vendita in Liguria:
• 3 Genova
• 2 La Spezia
9 punti vendita in Liguria:
• 5 Genova
• 3 Imperia
• 1 Savona
1 Punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
11 punti vendita in Liguria:
• 7 Genova
• 1 La Spezia
• 3 Imperia
2 punti vendita in Liguria:
• 2 Savona
2 punti vendita in Liguria:
• 1 Savona
• 1 Imperia
44 punti vendita in Liguria:
• 12 Genova
• 10 Savona
• 15 Imperia
• 7 La Spezia
20 punti vendita in Liguria:
• 1 Genova
• 9 Savona
• 8 Imperia
• 2 La Spezia
4 punti vendita in Liguria:
• 2 Genova
• 1 Savona
• 1 La Spezia
28 punti vendita in Liguria:
• 22 Genova
• 2 Savona
• 1 Imperia
• 3 La Spezia
27 punti vendita in Liguria:
• 15 Genova
• 7 Savona
• 3 Imperia
• 4 La Spezia
3 punti vendita in Liguria:
• 3 Genova
14 punti vendita in Liguria:
• 12 Genova
• 2 Savona
10 punti vendita in Liguria:
• 5 Genova
• 4 Savona
• 1 La Spezia
19 punti vendita in Liguria:
• 5 Genova
• 5 Savona
• 7 Imperia
• 2 La Spezia
3 punti vendita in Liguria:
• 1 Genova
• 1 Imperia
• 1 Savona
Standa
Fnac
Di Più
SELEX-DIMAR
Famila
Dimar (Cash & Carry)
Conad
E-LECLERC CONAD
Margherita
IperCoop
Coop Liguria
COOP LIGURIA
Dico
Pam
GECOS-GRUPPO PAM
In’s
Lidl
SCHWARZ
Eurospin
EuroSpin Italia s.p.a
Metro
METRO GROUP
107
AMS Sourcing B.V.
Esselunga
DECATHLON
OXYLANE GROUP
Castorama
GRUPPO ADEO
IKEA
Bricocenter
Ikea
Gulliver
GULLIVER ALFI srl
SADAS S.p.a.
CRAI
(Società cooperativa)
GRUPPO RINASCENTE
AUCHAN
Despar
Crai
La Rinascente
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
Upim
9 punti vendita in Liguria:
• 5 Genova
• 3 Imperia
• 1 La Spezia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Imperia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
18 punti vendita in Liguria: 9 Genova 2 Savona 2 Imperia 5 La Spezia
Investitori Associati
Rinascente
BENNET
GIGLIO BAGNARA
Bennet
Giglio Bagnara
Expert
Unieuro
GRUPPO AIRES
Euronics
Trony
G.R.E.
Sinergy
Saturn
MEDIAMARKET SATURN
HOLDING GmBH
Mediaword
Aiazzone
AIAZZONE
108
1 punti vendita in Liguria:
• 1 La Spezia
3 punti vendita in Liguria:
• 2 Genova
• 1 La Spezia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
1 punto vendita in Liguria:
• 1 La Spezia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
14 punti vendita in Liguria:
• 11 Genova
• 3 Savona
3 punti vendita in Liguria:
• 3 La Spezia
n.d.
9 punti vendita in Liguria:
• 3 Genova
• 3 Imperia
• 1 La Spezia
• 2 Savona
5 punti vendita in Liguria:
• 2 Genova
• 2 La Spezia
• 1 Imperia
6 punti vendita in Liguria:
• 1 Genova
• 2 Savona
• 3 Imperia
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Savona
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
1 punto vendita in Liguria:
• 1 Genova
2 punti vendita in Liguria:
• 1 Genova
• 1 Savona
4. Scheda rilevazione quantitativa - Anno 2009
109
Tab. 1 - Lavoratori occupati per classe di età, tipologia di orario e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 2 - Lavoratori occupati per tipologia contrattuale, tipologia di orario e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 3 - Lavoratori occupati per tipologia contrattuale, classe di età e sesso
Al 31/12/2008
110
Tab. 4 - Lavoratori occupati per inquadramento professionale, tipologia di orario e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 5 - Lavoratori occupati per inquadramento professionale, classe di età e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 6 - Lavoratori occupati per inquadramento professionale, tipologia di orario e sesso
Al 31/12/2008
111
Tab. 7 - Lavoratori occupati per titolo di studio, classe di età e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 8 - Lavoratori occupati in azienda
Al 31/12/2008
112
Tab. 9 - Lavoratori stranieri occupati per classe di età, tipologia di orario e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 10 - Lavoratori stranieri occupati per inquadramento professionale, tipologia di orario e sesso
Al 31/12/2008
Tab. 11 - Lavoratori stranieri occupati per in azienda
Al 31/12/2008
113
Tab. 11 - NAzionalità dei lavoratori stranieri occupati per in azienda
Al 31/12/2008
114
5. La traccia delle interviste per l’analisi dei casi
Rivolta a:
• direzioni del personale
• rappresentanti sindacali
1.La popolazione aziendale
a. Numerosità
b. Ripartizione per aree/reparti, livelli organizzativi
c. Profilo demografico e di genere
d. I lavoratori stranieri
e. Aree di residenza
f. Provenienza scolastica
g. Percorsi lavorativi in entrata e in uscita
h. Il turn-over
i. Evoluzione storica
2.L’ingresso in azienda
a. I canali di reclutamento
b. L’inserimento in azienda
c. I diversi profili professionali
d. Le figure di difficile reperimento
3.L’inquadramento contrattuale
a. Le forme contrattuali utilizzate
b. La domanda di flessibilità
c. Evoluzione storica
d. Dinamiche infra-annuali
4.Tempi e luoghi di lavoro
a. Orari di lavoro, turni
b. Il lavoro straordinario, serale, festivo
c. Mobilità intra-aziendale
d. La conciliazione tra tempi/luoghi di vita e tempi/luoghi di lavoro
5.La formazione
a. I destinatari
b. I contenuti
c. La cadenza
d. Le modalità
6.La carriera
a. Le prospettive all’ingresso
b. I percorsi interni (azienda)
c. I percorsi esterni (settore)
d. Le donne e la carriera
7.Qualità, salute e sicurezza, responsabilità sociale
a. La qualità in azienda
i. Il sistema di gestione della qualità
ii. Il percorso
iii. La certificazione ISO 9000
iv.Altre certificazioni
b. La salute e la sicurezza
i. Il sistema di gestione della sicurezza
ii. I rischi specifici
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iii. Gli infortuni: numerosità, dinamiche, cause
iv.Le attività di prevenzione
v. Informazione/formazione sulla sicurezza
c. La responsabilità sociale
i. I percorsi avviati
ii. Gli strumenti (bilancio sociale, altro)
iii. Le certificazioni (SA 8000, altri standard)
iv.Il coinvolgimento del personale
8.La soddisfazione del personale
a. Punti di forza
b. Criticità
9.Il lavoro di qualità nella programmazione regionale
a. Le politiche regionali: valutazione sul passato
b. Le politiche regionali del futuro: se dovesse scegliere lei?
i. Dove indirizzare le risorse?
ii. Quali politiche formative?
iii. Quali politiche per una flessibilità sostenibile?
iv.Quali politiche per la conciliazione tra tempi/luoghi di vita e tempi/luoghi di lavoro?
v. (altro)
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