Il sogno di Stalin è diventato realtà: «Siamo tutti tracciati, identificati

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Il sogno di Stalin è diventato realtà: «Siamo tutti tracciati, identificati
Il sogno di Stalin è diventato realtà: «Siamo tutti tracciati, identificati e geolocalizzati. Unica alternativa?
Buttare il telefono. E navigare anonimi dal pc». Parla il padre del software free
10 agosto 2016
A tutti gli agenti dell’Nsa e dell’Fbi impegnati a leggere questa mail: in nome della Costituzione americana mi
appello a voi affinché seguiate l’esempio di Edward Snowden». L’originale inciso in capo alla mail rivela le
attitudini politiche e comunicative di Richard Stallman, attivista e intellettuale newyorkese capofila del
movimento per il software libero: «Ci troviamo tutti implicati nostro malgrado in un perfetto
panopticon tecnologico», spiega il padre del copyleft: «La sorveglianza digitale di massa è ormai
un fenomeno globale».
Stallman, una laurea in fisica ad Harvard e altre nove “honoris” causa sparse per il globo, persegue con
tenace coerenza la sua filosofia: l’unica opposizione efficace alla violazione dei diritti nel Web è il ricorso a
programmi non proprietari, liberi di essere studiati, modificati, copiati e ridistribuiti. «Laddove tutto
questo è vietato», sostiene il presidente della Free Software Foundation, «siamo di fronte a software
in grado di reperire informazioni dal nostro computer e dalla nostra vita privata».
Assistiamo a una mediatizzazione sempre più pervasiva delle nostre esistenze. Da un lato
smartphone e computer hanno rotto il monopolio dei mezzi unidirezionali come la
televisione, dall’altro sembrano diventati imprescindibili per le nostre esistenze.
«La democrazia e le libertà individuali sono a repentaglio ugualmente. Avere un cellulare oggi significa essere
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costantemente sotto la minaccia della tracciabilità. E non solo. Ogni dispositivo ha una backdoor universale
comandabile da remoto che può trasformare in qualsiasi momento il nostro microfono in un registratore
permanente. Anche se non stiamo parlando al telefono o ad apparecchio spento. È quello che ho chiamato
“Stalin’s dream”, il sogno di Stalin. L’unica soluzione è usarli il meno possibile. Una democrazia che si rispetti
sa tutelare i suoi cittadini, a partire dai suoi dissidenti».
Lei si è apertamente schierato contro i più grandi colossi dell’hi-tech come Apple e Microsoft.
Che cosa imputa a queste compagnie?
«Innanzitutto impediscono l’accesso ai codici sorgenti dei loro programmi ostacolando qualsiasi
cambiamento. Per me i prodotti Apple si dovrebbero chiamare tutti “iPrison”, in quanto minano alla base le
libertà informatiche dal momento che accettano solo programmi sviluppati esclusivamente dalla compagnia.
Ogni foto o video prodotto su un dispositivo Apple finisce immediatamente sui server della compagnia. Il
livello di censura è allarmante: una applicazione di nome Metadata+ che svelava informazioni sugli attacchi
nel mondo da parte dei droni statunitensi è stata bloccata per ben cinque volte. Lo stesso avviene su servizi
che riguardano il diritto all’aborto o l’occupazione dei Territori palestinesi. La Microsoft ha inserito
intenzionalmente su Windows dei bug e backdoor per modifiche unilaterali a distanza. Per non parlare
del controllo che esercita: Windows 10 ha per esempio tredici schermate di opzioni sulla sorveglianza di
difficilissima disattivazione. Ognuna di queste compagnie produce software intenzionati a captare
informazioni ai propri utenti. Ricorrere ai software liberi è sempre più urgente».
Le sue critiche non hanno risparmiato neanche Amazon e la tecnologia e-book.
«I Kindle sono diventati un buon indice del livello toccato da queste compagnie che in nome dei principi
neoliberisti hanno perso ogni scrupolo. Se per usufruire di un libro non avevi bisogno di alcuna tecnologia
segreta, né firmare alcun contratto, né essere identificato o dare informazioni su quali sono le tue letture, con
gli e-book s il mondo si è rovesciato. Non puoi prestare un file né tanto meno rivenderne uno “usato”. Ma
soprattutto sei costretto ad usare carta di credito e pertanto a essere tracciato. Come su Amazon e nell’ecommerce in genere».
Esistono delle contromisure per garantire la propria privacy?
«Innanzitutto non dare mai informazioni e dati personali a siti Web. Non uso la carta di credito se non per
acquistare biglietti aerei, sempre su browser liberi come Tor in grado di rispettare l’anonimato. Accetto solo
cookies temporanei e i siti che non rispettano le mie condizioni, semplicemente li evito. Come del resto
Facebook: la sua unica funzione è quella di raccogliere dati sulla nostra vita e le persone che ci circondano. Il
sogno di ogni agenzia di spionaggio. Scoraggio chiunque a postare foto mie e di altre persone, è il modo più
semplice per rintracciarne la posizione. Non ricorro mai al cloud computing (immagazzinamenti on line della
memoria, ndr). Anche se detesto questa terminologia, non affido a nessuno la mia memoria elettronica:
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consegnarla ad un esterno significa consentirne l’accesso perenne».
Veniamo alla politica. In Italia c’è il Movimento 5 Stelle che nasce dalla Rete inseguendo il
sogno di una democrazia diretta basata sul voto on line. Che cosa ne pensa?
«Non affiderei per nessuna ragione al mondo qualsiasi consultazione elettorale a un computer o a software
informatici. Negli Usa questa tentazione sta prendendo piede e ne sono fondamentalmente preoccupato. Per
quanto riguarda il Movimento 5 Stelle ho criticato con veemenza il ricorso a programmi proprietari come
Meetup e l’uso di tablet delle grandi compagnie. Se vuoi batterti seriamente per la libertà, il primo passo per
un partito sviluppatosi attraverso Internet è la coerenza negli strumenti a cui ricorri».
Nelle scorse settimane gli Stati Uniti sono stati scossi dal ritorno di un acceso scontro
razziale. L’ennesimo assassinio di un afroamericano trasmesso in diretta su Facebook,
l’attentato di Dallas e infine le proteste del gruppo Black Lives Matter con arresti di massa tra
i manifestanti...
«È paradossale che da un prodotto come Facebook per cui nutro un profondo disaccordo nasca una denuncia
così costruttiva. Credo che questa però sia una battaglia tutta politica, una guerra alla povertà. Non è solo
razzismo, abbiamo una parte consistente di poliziotti violenti che si protegge credendosi al di sopra della
legge. Credo che oggi essere un poliziotto inteso come pubblico ufficiale negli States sia eroico. In Italia
dovreste ricordare quanto successo al G8 di Genova. Solo un’esigua minoranza denuncia i soprusi. A questa
violenza repressiva di sistema si aggiunge una discriminazione politica. Seguendo le politiche neocon di non
tassazione dei ricchi, si mira a colpire i più deboli. Che in molti casi non hanno accesso al voto dal momento
che l’id card (la carta d’identità che garantisce l’accesso al voto, ndr) ha costi in termini di tempo e denaro
inaccessibili per molti. Infine la presenza massiccia di armi acuisce la gravità degli abusi e delle reazioni di
protesta. Condanno nel modo più totale le risposte violente e gli omicidi di poliziotti, ma l’equazione tra
violenza della repressione e violenza dell’oppresso resta per me inaccettabile».
Tutto questo potrebbe avere una ricaduta sulle elezioni di novembre in un contesto
internazionale incandescente, tra guerre, terrorismo globale e fenomeni d’immigrazione che
suscitano reazioni di chiusura.
«Ero un acceso sostenitore di Bernie Sanders. Hillary Clinton e Donald Trump, come del resto Obama,
appartengono alla stessa categoria. Siamo in piena plutocrazia, comandano i miliardari. Basti pensare al
disastro della guerra in Iraq e all’alleanza ingiustificabile con quella che io chiamo “Arabia Salafita” (Arabia
Saudita, ndr) che propaga la Sharia, senza rispetto per i diritti umani. Obama, nonostante abbia evitato
guerre aperte, ha perseverato nell’usare i droni che fanno molte vittime civili; sarebbe più intelligente
bombardare Daesh in campo aperto sovvenzionando le forze locali. Ah, smettiamo di chiamarlo “Stato
Islamico”, non rappresenta in alcun modo il variegato mondo musulmano, prima vera vittima del terrorismo.
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Per il futuro sono molto pessimista: in qualche decade, tra guerre e riscaldamento globale, non so ipotizzare
quali saranno le conseguenze di fronte ai milioni di rifugiati in fuga alla ricerca delle più banali forme di
sopravvivenza».
cloud computing
Richard Stallman,
sono invece considerate come una parola ingannevole ideata dal marketing per far cadere gli utenti nel tranello
dei software offerti come servizio, che spesso li privano del controllo delle loro attività informatiche
Quel server in realtà a chi serve?
di Richard Stallman
La prima versione di questo articolo è stata pubblicata su Boston Review.
Su Internet il software non libero non è l'unico modo per perdere la vostra libertà: il servizio come
surrogato del software (Service as a Software Substitute, SaaSS) è un altro modo per lasciare che
qualcun altro abbia potere sulle vostre attività informatiche.
Il punto è che si può avere il controllo di un programma che qualcun altro ha scritto (se è libero), ma non si
può mai avere il controllo di un servizio fornito da un altro: quindi mai usare un servizio quando un programma
potrebbe fare la stessa cosa.
SaaSS [NdT: in italiano, “servizio come surrogato del software”, in contrasto al “Software as a Service”, cioè
“software come servizio”] significa usare un servizio implementato da qualcun altro come surrogato
dell'esecuzione della vostra copia del programma. Il termine è nostro, visto che gli articoli e le pubblicità non
lo useranno, né vi diranno se un certo servizio è un SaaSS. Probabilmente useranno piuttosto il vago e
fuorviante termine “cloud”, che raggruppa il SaaSS con diverse altre pratiche, alcune offensive, altre
accettabili. Grazie alla spiegazione e agli esempi di questa pagina potrete distinguere quando un servizio è un
SaaSS.
Premessa. Come il software proprietario vi sottrae la libertà
La tecnologia digitale può darvi libertà, ma può anche sottrarvela. La prima minaccia al nostro controllo sulle
nostre attività informatiche viene dal software proprietario, software che gli utenti non possono controllare,
perché a controllarlo è il proprietario (un'azienda come Apple o Microsoft). Il proprietario infatti spesso
approfitta di questo potere iniquo aggiungendo delle funzioni malevole, come spyware, back doors o Digital
Restrictions Management (DRM) (chiamati nella loro propaganda “Digital Rights Management”).
La nostra soluzione a questo problema è di sviluppare software libero e di rifiutare il software proprietario.
Software libero significa che voi, in qualità di utenti, avete quattro libertà fondamentali: 0. eseguire il
programma come volete, 1. studiare e modificare il codice sorgente affinché faccia ciò che volete,
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2. ridistribuire copie identiche del programma, 3. ridistribuire copie del programma che avete modificato. Si
veda anche la Definizione di software libero.
Grazie al software libero noi utenti ci riprendiamo il controllo delle nostre attività informatiche. Il software
proprietario esiste ancora, ma, come molti hanno già fatto, possiamo escluderlo dalle nostre vite.
Ciononostante ora affrontiamo una nuova minaccia al nostro controllo delle nostre attività informatiche, cioè i
servizi come surrogati del software (SaaSS) e per amore della nostra libertà dobbiamo rifiutare anche quelli.
I servizi come surrogati del software vi sottraggono la libertà
Per servizio come surrogato del software (SaaSS) intendiamo l'uso di un servizio come surrogato
dell'esecuzione della vostra copia del programma. In pratica, qualcuno imposta un server in rete che si occupa
di certe attività informatiche, come modificare una foto, tradurre testo in un'altra lingua, ecc..., ed invita poi gli
utenti ad eseguirle attraverso quel server. L'utente del server invierebbe al server i propri dati, su cui esso
eseguirebbe l'attività propria dell'utente e infine ne restituirebbe il risultato all'utente, o eseguirebbe qualche
azione per lui.
L'attività è propria dell'utente poiché per ipotesi egli, in linea di principio, può eseguirla con un programma sul
suo computer, a prescindere dal fatto che tale programma sia disponibile o meno. Se, viceversa, quest'ipotesi
non è applicabile, allora non si tratta di un SaaSS.
L'estorsione del controllo effettuato da questi server è ancor più inesorabile di quanto non avvenga nel caso
del software privato. Nel caso del software non libero solitamente gli utenti hanno a disposizione un eseguibile
sprovvisto di codice sorgente, il che rende difficile studiare il codice in esecuzione: è difficile determinare cosa
faccia davvero il software, ed è difficile cambiarlo.
Nel caso del SaaSS gli utenti non hanno nemmeno l'eseguibile che esegue l'attività informatica. È sul server
di qualcun altro e non possono né vederlo, né toccarlo: è impossibile verificare cosa faccia davvero il software,
ed è impossibile cambiarlo.
Inoltre il SaaSS produce effetti equivalenti alle funzionalità malevole di certi software non liberi.
Ad esempio, certi programmi proprietari sono “spyware”, cioè comunicano informazioni sul comportamento
degli utenti: Microsoft Windows ne invia a Microsoft; Windows Media Player racconta cosa l'utente guarda o
ascolta; il Kindle di Amazon riferisce quali pagine, e di quali libri, l'utente guarda, e quando lo fa; Angry Birds
riferisce lo storico di geo-localizzazione dell'utente.
A differenza del software proprietario, il SaaSS non ha bisogno di codice di copertura per ottenere i dati degli
utenti: per usare il server sono questi ultimi che devono spedire i dati. L'effetto è lo stesso dello spyware: grazie
alla natura del SaaSS, il gestore del server ottiene i dati senza particolare sforzo. Amy Webb, che mai avrebbe
voluto pubblicare le foto di sua figlia, fece l'errore di modificarle usando un SaaSS (Instagram) e alla fine da lì
sono state divulgate.
In teoria, in futuro grazie alla crittografia omomorfica potrebbe diventare possibile costruire servizi SaaSS che
non possano comprendere una parte dei dati che gli utenti inviano loro. Questi servizi potrebbero essere
impostati in modo da non spiare gli utenti, ma questo non significa che non spieranno in alcun modo gli utenti.
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Alcuni sistemi operativi privati hanno una back-door generale, che permette ad alcuni di installarvici modifiche
al software. Per esempio, Windows ne ha una che consente a Microsoft la modifica coatta di qualsiasi software
sia sulla macchina, e lo stesso avviene pure per quasi tutti i telefonini. Anche certe applicazioni private
possiedono delle back-door generali, come il client Steam per GNU/Linux, che permette allo sviluppatore di
installare da remoto delle versioni modificate.
Ora, nel caso del SaaSS, il gestore del server può cambiare il software che è in funzione sul server.Niente di
strano, visto che il computer è suo, ma l'effetto è lo stesso di usare un'applicazione non libera che abbia backdoor generali: qualcuno ha il potere di imporre silenziosamente dei cambiamenti su come l'attività informatica
sia effettuata.
In conclusione, pertanto, usare un SaaSS è equivalente ad eseguire un software privato con uno spyware e
una back-door generale. Ciò dà al gestore del server un iniquo potere sull'utente e noi dobbiamo opporci a
questo potere.
SaaSS e SaaS
All'inizio avevamo fatto riferimento a questa prassi problematica con il termine “SaaS”,che sta per “Software
as a Service” [NdT: software come servizio], un termine comunemente utilizzato quando un software viene
messo in funzione su server, invece che distribuito agli utenti. Pensavamo che questo descrivesse
precisamente i casi nei quali questo problema si presenta.
Successivamente ci siamo resi conto che il termine SaaS è usato talvolta per servizi di comunicazione, che
sono attività per le quali il problema non si pone. Inoltre il termine “Software come servizio” non
spiega perché si tratti di una cattiva pratica. Abbiamo pertanto coniato il termine “Servizio come surrogato del
software”, che definisce più chiaramente questa pratica cattiva e spiega cosa ci sia di male.
Distinguere il problema del SaaSS dal problema del software proprietario
Il SaaSS e il software proprietario conducono a risultati similmente dannosi, ma con meccanismi diversi: con
il software proprietario avete una copia del software ma modificarla vi è difficile e/o illegale; con il SaaSS non
avete neppure la copia del software che esegue le vostre attività informatiche.
Queste due problematiche sono spesso, e non solo accidentalmente, confuse fra loro. Gli sviluppatori web
usano il vago termine “applicazione web” per raggruppare il software del server con il software che che gira
sul vostro browser. Certe pagine web, infatti, installano nel vostro browser dei programmi JavaScript non banali
o addirittura grossi senza informarvi della cosa. Quando quei programmi non sono liberi causano lo stesso
tipo di ingiustizie di ogni altro software non libero, ma ora ciò che ci interessa è il problema dell'uso del servizio
stesso.
Molti sostenitori del software libero credono che il problema del SaaSS sarà risolto sviluppando software libero
per i server. È vero che per gli amministratori del server è meglio che i programmi in esecuzione sul server
siano liberi, poiché altrimenti i proprietari/sviluppatori del software avrebbero controllo sul server, e ciò sarebbe
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ingiusto per gli amministratori del server e di alcun servizio agli utenti. Ma anche se i programmi sul server
sono liberi, sono gli utenti del server a non essere protetti dagli effetti del SaaSS, perché tali programmi
liberano gli amministratori e non gli utenti.
Ciononostante, pubblicare il codice sorgente di un software per server giova alla comunità, visto che dà la
possibilità agli utenti con le giuste competenze ad impostare server simili, magari cambiando il software. Quindi
per i programmi da server noi consigliamo l'uso della licenza GNU Affero GPL.
In ogni caso nessun server, a meno che non sia il vostro (sotto il vostro controllo, a prescindere dal fatto che
sia di vostra proprietà o meno), vi darebbe il controllo sulle attività che svolgete su di esso. Può quindi essere
accettabile fidarsi del server di un amico per certe attività, proprio come potreste accettare che un vostro amico
faccia manutenzione sul vostro computer, ma in ogni altro caso il server va considerato come SaaSS. Il SaaSS
vi costringe al potere dell'amministratore del server e l'unica soluzione è non usare SaaSS! Non usate un
server di qualcun altro per svolgere le vostre attività informatiche con i dati che gli fornite.
Questo problema dimostra quanto sia significativa la differenza tra “open” e “libero”. Il codice sorgente che è
open source è quasi sempre libero. Ma l'idea di unservizio “open software”, usata per indicare un servizio in
cui il software server è open source e/o libero, non cattura il problema del SaaSS.
Insomma, i servizi sono insomma sostanzialmente diversi dai programmi e le questioni etiche sollevate dai
primi sono quindi sostanzialmente diverse da quelle dei secondi, quindi, per evitare di fare confusione, evitate
di chiamare un servizio “libero” o “proprietario”.
Riconoscere il SaaSS tra gli altri servizi di rete
Quali servizi online sono SaaSS? L'esempio più chiaro è quello di un servizio di traduzione che, diciamo,
traduce testo dall'inglese allo spagnolo. Ora, tradurre un testo è un'attività prettamente vostra e, avendo solo
il programma appropriato potreste svolgerla eseguendolo sul vostro computer, e potreste farlo anche
eticamente, se il programma fosse libero. Il servizio di traduzione, invece, sostituisce il programma quindi è
un servizio come surrogato del software (o SaaSS) e, dal momento che vi nega il controllo dell'attività
informatica, vi fa del male.
Un altro esempio chiaro è l'uso di un servizio come Flickr o Instagram per modificare una foto: le persone
hanno svolto questa attività sui loro computer per decenni, mentre farlo su un server fuori dal vostro controllo
invece che sul vostro computer è SaaSS.
Rifiutare il SaaSS non significa però rifiutare di usare qualsiasi server in rete che sia gestito da altri che da voi.
La maggior parte dei server, infatti, non sono SaaSS, visto che le attività che svolgono non sono degli utenti,
bensì rientrano nell'ambito della comunicazione.
L'idea iniziale dei server web non era di svolgere attività informatiche per voi, ma piuttosto di pubblicare
informazioni cui darvi accesso. Questo è tutt'ora ciò che fa la maggior parte dei siti web senza porre il problema
del SaaSS, visto che accedere ad informazioni pubblicate da altri non è una attività informatica vostra. Neppure
lo è pubblicare il vostro materiale su un blog o usare un servizio di microblog, come Twitter o StatusNet,
sebbene questi servizi possano, a seconda dei casi, avere altri problemi; e lo stesso vale per altre
comunicazioni che non abbiano carattere privato, come le chat di gruppo.
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In sostanza, le reti sociali sono una forma di comunicazione e di pubblicazione che non sono SaaSS, ma un
servizio che abbia come scopo principale il social networking potrebbe, ciononostante, avere funzionalità o
estensioni che sono SaaSS.
Del resto, il fatto che un servizio non sia SaaSS, non implica che il servizio vada bene, visto che bisogna
considerare altre questioni etiche legate ai servizi. Per esempio, Facebook distribuisce filmati in Flash
spingendo gli utenti ad utilizzare software non libero, richiede l'esecuzione di codice JavaScript non libero, e
dà agli utenti una fuorviante impressione di privacy proprio mentre li induce a mettere a nudo le loro vite su
Facebook. Si tratta di problemi importanti, ma diversi da quello del SaaSS.
Ci sono servizi, come i motori di ricerca, che raccolgono dati nel web e vi permettono di analizzarli. Ora,
passare in rassegna la loro raccolta di dati non è un'attività informatica solitamente definibile vostra, dato che
non siete voi che avete fornito quella raccolta, quindi usare tale servizio per fare ricerche nel web non è SaaSS.
D'altro canto, realizzare un servizio di ricerca per il vostro stesso sito usando un server altrui, questo è SaaSS.
Nemmeno fare acquisti online è SaaSS, perché l'attività informatica non è vostra, bensì è realizzata
congiuntamente da voi e il venditore. Il vero problema degli acquisti online è piuttosto se vi fidiate della
controparte nel darle denaro ed altre informazioni personali, in primis, il vostro nome.
Neppure i siti di depositi di progetti, come Savannah o SourceForge, sono intrinsecamente SaaSS, dato che
il compito di un deposito è quello di pubblicare i dati che gli sono forniti.
Nemmeno l'uso dei servizi di un progetto collettivo è SaaSS, perché le attività informatiche non sono vostre,
ma del progetto. Per esempio, se modificate delle voci di Wikipedia, non state compiendo un'attività informatica
personale, ma state collaborando alle attività informatiche di Wikipedia, realizzate sui server controllati da
Wikipedia stessa. Anche le organizzazioni, però, esattamente come accade ai singoli utenti, si imbattono nel
problema del SaaSS quando svolgono le proprie attività informatiche su server esterni.
Inoltre, ci sono siti che offrono svariati servizi ed è possibile che, mentre uno di questi non sia SaaSS, un altro
lo sia. Il servizio principale di Facebook, per esempio, è la rete sociale, che non è SaaSS, ma contiene anche
applicazioni di terze parti, alcune delle quali lo sono. Ancora, il servizio primario offerto da Flickr è la
distribuzione di foto, che non è SaaSS, ma esso offre anche funzionalità di modifica delle foto, che lo sono.
Similmente accade, infine, su Instagram: pubblicarvi una foto non è SaaSS, mentre usarlo per modificarla lo
è.
Esaminare un singolo servizio può diventare alquanto complesso, come ci mostra il caso di Google Docs, un
servizio che invita gli utenti a modificare un documento usando un grosso programma JavaScript non libero.
Il che è chiaramente ingiusto, ma, visto che il servizio offre anche delle API per caricare e scaricare i documenti
in diversi formati, un editor di testo libero potrebbe modificarlo ed usare tali API. Questo caso d'uso non è
SaaSS, perché Google Docs è utilizzato come un semplice deposito, ma, per una questione di privacy, è
comunque sbagliato mostrare i propri dati ad una azienda. Se invece usate il servizio per la conversione tra
formati, questo è SaaSS, perché è qualcosa che potreste fare usando un programma appropriato,
sperabilmente libero, sul vostro computer.
Ovviamente l'uso di Google Docs attraverso un editor di testo è alquanto raro e molto più spesso le persone
usano il programma JavaScript non libero, cattivo come ogni altro programma non libero. Anche questo
scenario potrebbe però coinvolgere il SaaSS, a seconda di cosa, dell'editor di testo, sia realizzato dal
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programma JavaScript e cosa dal server. Non si sa, ma non è nemmeno così importante saperlo, poiché il
SaaSS e il software proprietario sono similarmente dannosi all'utente.
La pubblicazione usando depositi altrui non pone, in generale, problemi di privacy, ma quella su Google Docs
ha un problema particolare: è necessario eseguire codice JavaScript non libero nel browser anche solo
per leggere un documento. Di conseguenza, anche se non a causa del SaaSS, non dovete usare Google
Docs per pubblicare nulla.
L'industria informatica scoraggia gli utenti a fare questo genere di distinzioni e, infatti, il termine in voga “nuvola
informatica” (o “cloud”) serve proprio a questo. È un termine così nebuloso che potrebbe riferirsi a qualsiasi
uso di Internet e include, pertanto, sia il SaaSS, sia altre pratiche di uso dei servizi in rete. Difatti, preso un
contesto qualsiasi, l'autore che scrive “nuvola”, se è un tecnico, probabilmente ha un preciso significato in
mente, ma in genere non spiega che in altri articoli questa parola abbia degli specifici significati diversi. Questa
parola insomma induce le persone a fare semplicistiche generalizzazioni su pratiche che invece dovrebbero
prendere in considerazione separatamente.
“Nuvola informatica” un significato ce l'ha, ma non riguarda il modo di fare informatica, ma piuttosto un modo
di concepirla: un approccio incurante che dice “Non fatevi domande. Non preoccupatevi di chi controlla le
vostre attività informatiche o di chi abbia i vostri dati. Non controllate, prima di ingoiare un servizio, se ci sia
un amo nascosto. Credete alle aziende senza esitare.” Ovvero, in altre parole “Siate stupidi”. Una nuvola nella
mente è un ostacolo alla chiarezza del pensiero quindi, per chiarezza di pensiero, evitiamo di usare la parola
“nuvola”.
L'affitto di un server non è SaaSS
Quando si affitta un server (reale o virtuale) che rimane, dal punto di vista del software, sotto controllo, questo
non è SaaSS. Nel SaaSS qualcun altro decide quale software eseguire sul server e quindi controlla le
elaborazioni. Ma se voi installate il software sul server, siete voi a controllare le elaborazioni e quindi il server
affittato si comporta come se fosse un vostro comupter, almeno a questi fini.
I dati sul server affittato sono meno sicuri che su un server casalingo, ma questo è un altro problema, non
legato a SaaSS.
Gestire il problema del SaaSS
Solo una piccola parte dei siti web offre SaaSS, quindi per la maggior parte di essi il problema non si pone.
Che dobbiamo fare con quelli che invece lo pongono?
Nel caso semplice, dove le vostre attività informatiche riguardano dati che sono nelle vostre mani, la soluzione
è semplice: usate la vostra copia di un'applicazione libera. Modificate il vostro testo con la vostra copia di un
editor di testo libero, come GNU Emacs, o un programma di videoscrittura libero; e modificate le vostre foto
con la vostra copia di un software libero, come GIMP. E se non c'è un programma libero disponibile? Un
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programma privato o un SaaSS vi sottraggono la libertà e non dovete usarli, potete invece contribuire, con il
vostro tempo o con il vostro denaro, allo sviluppo di un programma sostituto che sia libero.
E quando si collabora con altre persone in un gruppo? Al momento potrebbe essere difficile farlo senza usare
un server e il gruppo potrebbe non sapere come metterne in funzione uno proprio. Se usate un server di altri,
almeno non fidatevi di quello di una azienda. Il solo contratto di fornitura del servizio non offre alcuna garanzia,
a meno che non siate in grado di individuare le violazioni e intentare una causa legale, tenendo anche presente
che le aziende probabilmente stendono i loro contratti proprio per consentirgli un'ampia gamma di abusi. Lo
stato, inoltre, può richiedere alla società i vostri dati, come quelli di chiunque altro, in qualità di prova in sede
giudiziaria, come fece il presidente Obama con le compagnie telefoniche. Per non parlare di quando sono le
stesse aziende ad offrirsi volontariamente, come accadde con le compagnie telefoniche statunitensi che
intercettarono illegalmente i propri utenti per il presidente George W. Bush. Insomma, se siete costretti ad
usare un server, usate un server i cui gestori vi offrano una base di fiducia che vada al di là di una relazione
meramente commerciale.
In una scala temporale lunga, comunque, potremo creare alternative all'uso di questi server. Ad esempio,
possiamo creare un programma peer-to-peer col quale i collaboratori possano scambiare dati cifrati, e poi la
comunità del software libero potrebbe sviluppare dei sostituti alle “applicazioni web” importanti, che abbiano,
appunto, un'architettura distribuita peer-to-peer. Queste potrebbero infine essere pubblicate con saggezza,
usando la licenza GNU Affero GPL, visto che sarebbero candidati promettenti per essere convertiti da altri in
programmi di tipo server. Il progetto GNU sta cercando volontari per lavorare su questi sostituti. Infine,
possiamo esortare gli altri progetti di software liberi a tenere presente questa problematica nella progettazione.
Nel frattempo, se una compagnia vi invita ad usare il suo server per fare le vostre attività informatiche, non
cedete, e non usate SaaSS. Non comprate, né installate “thin clients”, quei computer così poco potenti che vi
costringono a fare tutto il vero lavoro su un server, a meno che questo non sia un server vostro. Per amore
della vostra libertà, usate computer veri, tenete i vostri dati lì ed eseguite le vostre attività informatiche sulla
vostra copia di un programma libero.
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