Je m`appelle Pidgin, è claro now

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Je m`appelle Pidgin, è claro now
‫ ايوه‬je m'appelle Pidgin, è claro now? [1]
L'importanza del plurilinguismo nel mondo odierno
di Steve Roti *
In un mondo avvolto dalla rete degli scambi e delle comunicazioni internazionali come un globo
senza discontinuità, i confini tra Paesi e continenti sembrano invece divisioni cariche di irrisolvibili
problemi. E più lontane sono le terre di origine o di appartenenza delle diverse popolazioni, più
potrebbe sembrare difficile l'idea proposta da ALGEBAR di "Pensare Insieme". Indubbiamente, uno
dei modi per comprendere e valorizzare gli altri è la presa di conoscenza delle loro culture e
l'avvicinamento alle lingue in cui queste culture si esprimono.
Il punto di vista che è stato scelto per cominciare questo percorso sociolinguistico è quello dell’area
mediterranea. Qui confluiscono idiomi appartenenti a tre gruppi linguistici:
1. la famiglia indoeuropea, rappresentata dalle lingue romanze, slave meridionali, dal greco e
dall’albanese;
2. la famiglia afroasiatica, rappresentata dalle lingue semitiche (principalmente l'ebraico e l'arabo
del Mediterraneo, quest’ultimo con i suoi 150 milioni di parlanti) e dal berbero;
3. la famiglia altaica, con il turco come rappresentante più significativo.
Per avere un’idea della complessità dei fenomeni linguistici in quest’area, vorrei portare l’esempio
dell’Italia e della Francia.
Per quanto concerne l’ITALIA, alla presenza dell’italiano e del ricchissimo retroterra di dialetti [2],
che è uno tra i più diversificati al mondo, si deve aggiungere la presenza di 200 lingue diverse
parlate da 5 milioni di stranieri [3], ovvero uno ogni 12 abitanti [4].
Per quanto riguarda la FRANCIA, secondo il linguista Bernard Cerquiglini [5], in aggiunta alla lingua
ufficiale, esistono 75 lingue parlate da cittadini di nazionalità francese. Inoltre, a queste vanno
sommate le 400 lingue degli immigrati residenti.
Mentre l’Italia e la Francia sono in posizione piuttosto arretrata nel gestire il problema del
multilinguismo, una ben più tempestiva ed operativa attenzione è stata dimostrata da un Paese
importante del Mediterraneo quale la SPAGNA.
Nel Paese iberico, su 47 milioni di abitanti [6], il 34% è almeno bilingue. La Costituzione del 1978
riconosce la ricchezza e diversità linguistica come patrimonio culturale da rispettare e proteggere,
sancendo l’ufficialità, oltre che del castigliano, di altre lingue quali galiziano, basco e catalano, che
insieme contano 16 milioni di parlanti. Inoltre, vi sono 5 milioni e 700 mila stranieri, rappresentati
da sud americani, ma anche da arabi (in Catalogna, sono il 2.6% della popolazione totale), poi
bulgari, cinesi, inglesi, tedeschi, portoghesi e rumeni [6]. La vigente legge sull’istruzione del 2002, la
cosiddetta LOE (ovvero Ley Orgánica de Educación) stabilisce che l’apprendimento di una prima
lingua straniera inizi a partire dai cinque anni d’età durante la scuola primaria, con la possibilità di
aggiungere una terza lingua dai nove anni d’età in avanti.
Come si può capire dai dati citati, assistiamo oggigiorno a grandi trasformazioni linguistiche.
Queste hanno i loro picchi di complessità soprattutto nelle aree cittadine. Anche per questo, ci
appare importante l'idea di ALGEBAR di porre la città e i suoi abitanti al centro dell’attenzione delle
nostre ricerche, che dovrebbero saper mettere a confronto i diversi modelli di trasformazione
urbana.
Per noi, naturalmente, il punto di partenza è la città di GENOVA. Qui, gli stranieri, che nel 2005 erano
32.000, vale a dire il 5% della popolazione totale, nel 2010 sono saliti a 50.000, ovvero l’8%;
i loro Paesi di origine (in ordine di importanza) sono stati Ecuador, Albania, Marocco, Romania,
Perù, Cina, Ucraina, Senegal, Sri Lanka, Bangladesh, etc. [7]. Anche l’ateneo genovese è sempre più
multi-etnico: gli stranieri sono tremila su 35.000 studenti [8].
Di fronte al puzzle linguistico europeo con le sue ventitré lingue ufficiali all’interno dell’Unione, più
un’altra dozzina di lingue, sempre ufficiali dell’area a sud-est, più gli idiomi dei nuovi arrivati da
diverse aree del mondo, quale soluzione intercomunicativa adottare? Mentre alcuni difendono
l’idea che la comunicazione debba continuare a poggiarsi sull’anglofonia (come, ad esempio,
propone Sam Huntington in Who Are We? [9]) ed altri criticano ed invitano a respingere questa
ingombrante presenza (si veda Robert Phillipson in Linguistic Imperialism e English-Only Europe?
[10]), vi è il rischio di assistere allo scontro di cultura contro cultura, lingua contro lingua e ad un
ritorno reazionario all’isolazionismo.
Un’urgente e possibile alternativa è quella di dar vita ad una open community facilitata dall’uso
dell’inglese non come idioma dominante ma come lingua franca, punto di partenza funzionale che
può fare da supporto a un nuovo intercomunicante multilinguismo [11]. Come dice Telma
Gimenez: “La conoscenza dell'inglese ha valore non soltanto nel dare accesso a dati materiali, ma
anche nella possibilità che esso offre nel creare accoglienza e rispetto per il mondo e le sua
diversità” (traduzione personale) [12] .
L’Europa e i Paesi del Mediterraneo in particolare devono credere di più nel multilinguismo e
promuovere con tempestività e convinzione la formazione multilinguistica delle nuove generazioni,
nonostante i non trascurabili costi iniziali e un comprensibile senso di incertezza.
Quale Paese potrebbe offrire un modello di riferimento nel cercare di gestire al meglio, valorizzare,
potenziare e diffondere questa diversità linguistica? In Europa, nazioni come il Belgio e la Svizzera,
pur essendo multilingui, non sembrano offrire alcuna soluzione ideale, in quanto ogni gruppo è in
realtà chiuso al suo interno e quindi antagonistico, per via di interessi economici o per orgoglio
campanilistico.
E’ bene invece citare il caso del LUSSEMBURGO in quanto promuove un polilinguismo più funzionale.
In questo staterello, vige una specie di triglossia. Oltre al lussemburghese o Lëtzebuergesch, dialetto
germanico del ramo francone che è proprio dell’orale, a scuola si studiano tedesco e francese; a
quest’ultimo i programmi di studio danno sempre più importanza con l’avanzare dell’età dei
discenti. I giovani imparano quindi due lingue internazionali, oltre al dialetto locale e alla lingua di
appartenenza dei genitori immigrati [13].
Guardando ad ovest, dobbiamo subito escludere il modello statunitense; nonostante la grande
varietà etnica del Paese, permane un orientamento di tipo WASP [14]. Pur essendo cresciuto negli
ultimi anni un certo bilinguismo grazie allo spagnolo, esso rimane abbastanza superficiale e gli
STATI UNITI non sono attualmente propensi ad un vero multilinguismo.
Più vicino all’Europa e più autenticamente multiculturale e plurilinguistico è il modello canadese. Il
CANADA che protegge il francese come lingua ufficiale insieme all’inglese dal 1962 ha sul suo
territorio un quinto, ovvero quasi 7 milioni, di parlanti di altre lingue, soprattutto di recente
immigrazione asiatica. Come in Italia, le lingue rappresentate sono duecento. Anche gli arabi sono
bene rappresentati e sfiorano il mezzo milione. Altro fatto emblematico: solo il 60% dei canadesi
utilizza esclusivamente la lingua inglese tra le mura domestiche [15]. Dal 1991 al 1996, ha operato il
Department of Multiculturalism and Citizenship (ossia, Ministero per il multiculturalismo e la difesa
della cittadinanza), sostituito poi dal Department of Canadian Heritage (= Patrimonio nazionale).
Il nuovo appellativo sottolinea che l’eterogeneità etnico-linguistica dei suoi abitanti è un importante
valore identitario da difendere e che nonostante la sua multiforme composizione è possibile
mantenere una forte unità nella diversità [16].
Un’idea non molto dissimile è stata formulata nel Vecchio Continente con la Risoluzione del
Consiglio Europeo, del 21 novembre 2008, dove si dice che il plurilinguismo “contribuisce a
sviluppare la creatività consentendo l’accesso ad altri modi di pensare, di interpretare il mondo e di
esprimere l’immaginazione”.
Fermo restando che l’inglese può ancora fungere per noi come lingua franca, il bilinguismo fondato
su un’altra lingua e, ancor di più, il polilinguismo sono benéfici in diversi sensi. Non creano solo
un’apertura interpersonale, ma potenziano anche diverse qualità intrapersonali: una maggiore
flessibilità e capacità analitica, abilità nel formulare pensieri astratti e ipotesi creative, una più facile
connessione tra le diverse conoscenze che si hanno, l’attitudine a risolvere i problemi (con un
funzionamento simile alla matematica, sistema concettuale aggiuntivo). In breve: una più forte
creatività [17]. In ambito neurolinguistico, sembrerebbe addirittura che la mente di una persona
multilingue sia maggiormente difesa nei confronti di malattie neurodegenerative come il morbo di
Alzheimer.
E' inoltre facile capire come nuove generazioni in possesso di più lingue costituiscano una vera
ricchezza per un Paese: più apertura mentale e meno tensioni xenofobe e nazionaliste; più
possibilità di acquisire nuove conoscenze, quindi più know-how da immettere nell'economia; più
strade per scoprire e creare nuovi modelli di lavoro; più offerta di intelligenza per richiamare
investimenti.
Come pensare e andare insieme verso una soluzione positiva concreta? E' necessario innazitutto
portare ad un graduale superamento delle reciproche diffidenze, fornendo modelli di accoglienza
che arricchiscano tutte le parti in causa. In ambito locale, si potrebbero organizzare situazioni di
incontro, presso uno o più luoghi fisici, condotte da esperti animatori che preparino ad uno scambio
interlinguistico essenziale (saluti, richieste di informazioni, di aiuto, etc) presso uno o più luoghi
fisici.
Questi incontri dovrebbero facilitare l'avvicinamento in modo naturale di persone abituate a
considerarsi o ad essere considerate radicalmente lontane. Un buon esempio è quello del SUQ
Festival che, offrendo spazio alle numerose cucine extraeuropee, ha condotto alla scoperta delle
diverse culture del cibo, nate tutte da una identica spinta primordiale [18]. E ancora: l'apertura di
uno spazio che ci faccia scoprire attraverso la musica e le arti sceniche l'orizzonte dei suoni
condivisi, quei suoni che già percepiamo nel ventre materno come impulso iniziale auditivo che
precede l'acquisizione di ogni struttura o sistematizzazione sintattica [19].
Naturalmente, ci si deve anche avvalere dei mezzi tecnologici a nostra disposizione. Oltre ad
un’applicazione digitale, un sito ad hoc, una rivista online e una radio/tv via web, senza escludere
collaborazioni con i canali radiotelevisivi locali analogici, si potranno ora utilizzare strumenti quali
il rivoluzionario Skype Translator, disponibile presto in versione beta in quaranta lingue diverse.
Dopo dieci anni di intensi studi trasversali, ricercatori ed ingegneri della Microsoft hanno messo a
punto un sistema di traduzione interlinguistica in tempo reale con tanto di didascalie, prendendo in
considerazione anche il linguaggio di tipo informale (quello dei social network, per intenderci) e le
pause, ripetizioni o rapide riformulazioni del registro parlato [20].
Insomma, occorre favorire il confronto sereno tra i diversi modi di pensare anche per capire meglio
il proprio modo di pensare, così come Goethe diceve delle lingue: "Colui che non sa le lingue
straniere , non sa nulla della propria" [21].
* Steve Roti è lui stesso multilingue e si occupa di glottodidattica e ricerche in ambito
sociolinguistico.
[1] ‫ = اي وه‬aywah, "sì" in arabo; Je m'appelle = "mi chiamo..." (in lingua francese); claro = "chiaro"
(spagnolo); now = "ora/adesso" (inglese).
Il pidgin (che si è voluto scherzosamente personificare) "è un codice semplificato nato per
soddisfare limitate esigenze di comunicazione tra popolazioni prive di codice comune; (...) si
distinguono (...) pidgin a base inglese, francese, portoghese, olandese e in misura minore spagnola.
(...) Il vocabolario richiesto (...) è ridotto; ugualmente ridotte sono le strutture grammaticali, che
escludono qualsiasi tipo di ridondanza: la morfologia è essenziale e sostanzialmente analitica (...)" ~
Calleri D., 2004. In G. L. Beccaria, Dizionario di linguistica. Torino, Piccola Biblioteca Einaudi: 586587.
[2] Indagine Istat «Cittadini e tempo libero», 2007.
[3] Bagna C., Barni M., Vedovelli M., 2007, Italiano in contatto con lingue immigrate: nuove vie del
plurilinguismo in Italia. In C. Consani, P. Desideri (a cura di), Minoranze linguistiche. Prospettive,
strumenti, territori. Roma, Carocci: 270-290.
Barni M., 2008, Mapping Immigrant Languages in Italy. In M. Barni, G. Extra (a cura di), Mapping
Linguistic Diversity in Multicultural Contexts, Berlin, Mouton de Gruyter: 217-242.
[4] Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes, 2011.
[5] Cerquiglini B., 1999, Les Langues de la France: Rapport au Ministre de l'Education Nationale, de la
Recherche et de la Technologie, et à la Ministre de la Culture et de la Communication,
http://www.culture.gouv.fr/culture/dglf/lang-reg/rapport_cerquiglini/langues-france.html .
[6] Censos de Población y Viviendas, Instituto Nacional de Estadística, 2011,
http://www.ine.es/censos2011_datos/cen11_datos_resultados.htm .
[7] http://www.comuni-italiani.it/010/025/statistiche/stranieri.html [ISTAT].
[8] Immigrati, la frenata della contravuelta. E l’università è sempre più multietnica, La Repubblica,
martedì 3 giugno 2014, Sez. Genoa, pag. 7
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/06/03/immigrati-la-frenatadella-contravuelta-e-luniversita-e-sempre-piu-multietnicaGenova07.html .
[9] Huntington S, 2005, Who Are We?: The Challenges to America's National Identity. New York:
Simon & Schuster.
[10] Phillipson R, 1992, Linguistic Imperialism. Oxford & New York: Oxford University Press.
~, 2003, English-Only Europe?: Challenging Language Policy, London: Routledge/Taylor & Francis.
[11] Seidlhofer B., 2011. Understanding English as a Lingua Franca. Oxford: Oxford University Press.
[12] Gimenez T., ELT Journal 55/3, July 2001, p. 297.
[13] Maggiori informazioni sul panorama linguistico del Lussemburgo, si puo' consultare la
sezione "Luxembourg at a Glance, People and Languages",
http://www.luxembourg.public.lu/en/luxembourg-glance/populationlanguages/languages/index.html
o in francese, http://www.luxembourg.public.lu/fr/societe/langues/index.html .
[14] WASP è un'abbreviazione nata in contesto nordamericano che significa "protestante
anglosassone di razza bianca".
[15] Canada increasingly multilingual: Census,
http://cnews.canoe.ca/CNEWS/Politics/2012/10/24/20304481.html
[16] Sarebbe bello poter far nostro il motto di Jean de La Fontaine che, nel suo "Pâté d'anguille",
diceva: “Diversità è la mia insegna”.
[17] Per citare Peter M. Senge (2006, The Fifth Discipline: The Art & Practice of the Learning
Organization. New York: Broadway Business): "Lo scarto che esiste tra un'idea e la realtà in corso è
fonte di energia. Se non vi fosse alcuno scarto, non ci sarebbe bisogno di una qualsiasi azione che
tenda alla nostra idea. Quello spazio vuoto è dunque fonte di energia creativa: lo scarto può essere
definito tensione creativa" (traduzione personale).
[18] http://www.suqgenova.it/index.php?id=3&L=1
[19] Consigliere, S., 2008, La Parola e la sua storia. In L. Capocaccia Orsini, S. Fiorentini Angelini
(a cura di), I mille volti della comunicazione: Colori, profumi, suoni, gesti, parole, rete. Genova: Erga
edizioni: 61-75.
[20] Enabling Cross-Lingual Conversations in Real Time, http://research.microsoft.com/enus/news/features/translator-052714.aspx
[21] Testualmente: "Wer fremde Sprachen nicht kennt, weiß nichts von seiner eigenen".