Ipoglicemizzanti orali in gravidanza: qualcosa sta cambiando?

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Ipoglicemizzanti orali in gravidanza: qualcosa sta cambiando?
G It Diabetol Metab 2015;35:149-153
149
Dalla Letteratura
Ipoglicemizzanti orali in gravidanza:
qualcosa sta cambiando?
Confronto degli esiti neonatali
in donne con diabete
gestazionale con iperglicemia
moderata, trattate con
metformina o glibenclamide.
Uno studio randomizzato
controllato
Aust N Z J Obstet Gynaecol
2015;55:47-52
George A, Mathews JE, Sam D,
Beck M, Benjamin SJ, Abraham A,
Antonisamy B, Jana AK,
Thomas N
Department of Obstetrics
and Gynaecology, Christian
Medical College, Vellore, India
Trattamento con metformina
in pazienti con diabete di tipo 2
in gravidanza: uno studio
controllato, randomizzato,
in aperto, a gruppi paralleli
J Diabetes Res
2015;2015:325851
Ainuddin JA1, Karim N2,
Zaheer S3, Ali SS4, Hasan AA5
1
Department of Obstetrics
and Gynecology, Dow University
of Health Sciences; 2Department of
Pharmacology, Medical and Dental
College, Bahria University; 3School
of Public Health, Dow University of
Health Sciences; 4Department of
Premessa. Due ipoglicemizzanti orali, metformina e glibenclamide, sono stati confrontati con l’insulina in diversi studi randomizzati controllati su casistiche estese, risultando altrettanto efficaci dell’insulina nel trattamento del diabete gestazionale.
Tuttavia, pochi studi hanno messo direttamente a confronto metformina e glibenclamide.
Materiale e metodi. Una popolazione di 159 donne dell’India meridionale, nelle quali
malgrado un adeguato periodo di terapia medica nutrizionale la glicemia risultava 5,57,2 mmol/mol (99-130 mg/dl) a digiuno e 6,7-13,9 mmol/mol (122-250 mg/dl) 2 ore
dopo i pasti, è stata assegnata in modo random a trattamento con glibenclamide
(n = 80) o metformina (n = 79), dopo ottenimento di consenso informato. Gli esiti neonatali sono stati valutati da specialisti neonatologi non a conoscenza della partecipazione delle donne allo studio, e successivamente registrati da ricercatori non informati
sul farmaco effettivamente utilizzato in gravidanza. L’outcome primario era costituito
da un insieme composto di esiti neonatali: macrosomia, ipoglicemia, necessità di fototerapia, distress respiratorio, morte endouterina fetale o morte neonatale, e trauma
da parto. Gli outcome secondari sono stati il peso alla nascita, i dati di controllo glicemico materno, l’ipertensione indotta dalla gravidanza, la prematurità, la necessità di
induzione del travaglio, le modalità e le complicazioni del parto.
Risultati. Le caratteristiche cliniche di base erano simili nei due gruppi, se non per livelli più elevati di trigliceridi nelle donne trattate con metformina. L’outcome primario
è occorso nel 35% del gruppo in glibenclamide, nel 18,9% di quelle in metformina
(p = 0,02). Questa differenza era attribuibile a una frequenza maggiore di ipoglicemia
neonatale nel gruppo in glibenclamide (12,5% vs 0 nel gruppo in metformina,
p = 0,001). L’occorrenza di outcome secondari è risultata simile nei due gruppi.
Conclusioni. In una popolazione di donne dell’India meridionale affette da GDM, la
metformina è risultata associata a esiti della gravidanza più favorevoli che non la glibenclamide.
Scopi. Valutare l’effetto della metformina in pazienti con diabete di tipo 2 in gravidanza, e confrontarla con la terapia insulinica, in termini di esiti perinatali, complicazioni
materne, necessità di insulina aggiuntiva e accettazione del trattamento.
Metodi. In questo studio randomizzato, in aperto, sono state selezionate 206 pazienti
ambulatoriali con diabete di tipo 2 in gravidanza, che soddisfacevano i criteri di eligibilità. L’insulina è stata aggiunta al trattamento con metformina quando necessario
per mantenere il target di controllo glicemico. Le pazienti sono state seguite fino al
parto, con registrazione degli esiti materni e perinatali, e delle caratteristiche della terapia farmacologica.
Risultati. Le caratteristiche materne erano paragonabili nei due gruppi di trattamento
con metformina e insulina. Nell’84,9% delle pazienti in metformina si è resa necessaria l’aggiunta della terapia insulinica, alla settimana gestazionale 26,58 ± 3,85. Il gruppo
in metformina ha fatto registrare un minore aumento ponderale materno (p < 0,001) e
una minore frequenza di ipertensione indotta dalla gravidanza (p = 0,02). Sempre nel
gruppo in metformina si è avuto un numero maggiore di neonati piccoli per l’età
gestazionale (p < 0,01), ma una frequenza significativamente minore di ipoglicemia
150
Dalla Letteratura - Ipoglicemizzanti orali in gravidanza: qualcosa sta cambiando?
Community Health Sciences,
United Medical and Dental College;
5
Department of Obstetrics and
Gynecology, Hamdard University
Hospital, Karachi, Pakistan
Il grado di esposizione fetale
alla metformina non influisce
sull’outcome neonatale nel
diabete mellito gestazionale
Acta Diabetol 2014;51:731-8
Tertti K, Laine K, Ekblad U,
Rinne V, Rönnemaa T
Department of Obstetrics and
Gynecology, University of Turku
and Turku University Hospital,
Turku, Finlandia
[email protected]
Considerazioni sulla sicurezza
dei trattamenti farmacologici
per il diabete mellito
gestazionale
Drug Saf 2015;38:65-78
Simmons D
Wolfson Diabetes and
Endocrinology Clinic, Institute
of Metabolic Science, Cambridge
University Hospitals NHS
Foundation Trust, Addenbrookes
Hospital, Cambridge, CB2 2QQ, UK
[email protected]
neonatale e di casi di permanenza in NICU (neonatal intensive-care unit) per più di 24
ore (p < 0,01). Infine, nelle donne che assumevano metformina si è verificata una significativa riduzione nel costo del trattamento.
Conclusione. La metformina, sola o con aggiunta di insulina, è un’opzione terapeutica efficace ed economica per le pazienti con diabete di tipo 2 in gravidanza.
Scopo. Esaminare il passaggio transplacentare in vivo della metformina, la sua associazione con l’outcome neonatale nelle pazienti con diabete gestazionale (gestational
diabetes mellitus, GDM) trattate con metformina, e l’influenza dell’esposizione alla metformina sul controllo glicemico e sull’incremento ponderale materno.
Metodi. Un totale di 217 pazienti con GDM è stato randomizzato a trattamento con
metformina o con insulina, presso l’Ospedale Universitario di Turku, Finlandia. Le concentrazioni di metformina sono state determinate con la spettrometria di massa sul
siero materno alla 36a settimana di gestazione e alla nascita, sul sangue del cordone
ombelicale. Gli outcome principali considerati sono stati il peso alla nascita, la settimana gestazionale alla nascita, il pH dell’arteria ombelicale e l’ipoglicemia neonatale,
l’incremento ponderale materno, le concentrazioni di HbA1c e fruttosamine.
Risultati. Il rapporto fra concentrazioni di metformina nel sangue del cordone ombelicale e nel siero materno è risultato 0,73. Non c’erano differenze nel peso alla nascita
misurato in grammi o in unità SD (p = 0,49), e nella settimana gestazionale alla nascita
(p ancora = 0,49) fra i pazienti trattati con insulina o con metformina, stratificati per terzili di concentrazione di metformina misurata alla 36a settimana gestazionale. Il controllo
glicemico materno era simile nei terzili di concentrazione di metformina alla 36a settimana. L’incremento ponderale materno è stato maggiore di 223 g per settimana (p =
0,038) nel terzile inferiore di metformina, in confronto con gli altri terzili combinati.
L’esposizione alla metformina è stata simile nella madre e nel feto.
Conclusioni. Le concentrazioni materne o fetali di metformina non sono predittive
del controllo glicemico materno o dell’outcome neonatale, ma una bassa esposizione
materna può portare a un maggiore incremento ponderale materno.
Il numero di donne con diabete gestazionale (GDM: diabete diagnosticato per la prima
volta in gravidanza) è in continuo aumento, insieme ai rischi, a esso associati, di complicazioni pre- e postnatali, e alla possibilità di sviluppare in futuro diabete e obesità,
sia per la madre sia per la prole. Recenti studi controllati randomizzati hanno dimostrato
evidenti benefici derivanti da una gestione intensificata del GDM basata sulla modificazione dello stile di vita, sull’autocontrollo domiciliare della glicemia, su una stretta
supervisione clinica e, nei casi dove la glicemia rimanga controllata in modo inadeguato, sulla terapia insulinica. Più recentemente, è stato dimostrato che metformina e
glibenclamide sono in grado di ridurre adeguatamente l’iperglicemia, come componenti
di un approccio graduale alla gestione del GDM, che preveda un passaggio alla terapia insulinica quando necessario. Non ci sono altri farmaci ipoglicemizzanti orali che
siano stati dimostrati sicuri per l’uso in gravidanza.
Il trattamento con insulina umana è sicuro, con i limiti dell’ipoglicemia e dell’aumento
ponderale. Anche la maggior parte degli analoghi dell’insulina è ormai considerata sicura per l’uso in gravidanza (insulina lispro, aspart e detemir).
La metformina è assunta per via orale, e pertanto preferita all’insulina, ma si associa
con più frequenti effetti avversi di tipo gastroenterico, anche se non con ipoglicemia o
eccessivo aumento ponderale. Al contrario, la glibenclamide è anch’essa una terapia
orale, ma si associa con ipoglicemia e aumento ponderale. D’altro canto, la metformina
passa il filtro placentare, mentre tuttora rimane non chiaro se questo avvenga per la
glibenclamide: rischi a lungo termine non sono stati dimostrati, e si pensa che siano
minimi, ma ulteriori studi su questo aspetto sono necessari.
La metformina è considerata da alcuni come il trattamento di scelta, quando l’aumento
di peso rappresenta un problema, una volta che sia stata affrontata la questione ancora irrisolta della sicurezza a lungo termine degli agenti orali.
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Glibenclamide, metformina e
insulina per il trattamento del
diabete gestazionale: revisione
sistematica e metanalisi
BMJ 2015;350:h102
Balsells M1, Garcia-Patterson A2,
Solà I3, Roqué M3, Gich I4,
Corcoy R5
1
Department of Endocrinology
and Nutrition, Hospital Universitari
Mútua de Terrassa, Terrassa 8821,
Spagna; 2Department of
Endocrinology and Nutrition,
Hospital de la Santa Creu i Sant
Pau, Barcelona 08025, Spagna;
3
Iberoamerican Cochrane Centre,
Hospital de la Santa Creu i Sant
Pau, Barcelona Institute of
Biomedical Research (IIB Sant
Pau), Hospital de la Santa Creu i
Sant Pau Barcelona CIBER
Epidemiología y Salud Pública
(CIBERESP), Instituto de Salud
Carlos III, Madrid 28029, Spagna;
4
CIBER Epidemiología y Salud
Pública (CIBERESP), Instituto de
Salud Carlos III, Madrid 28029,
Spain Department of
Epidemiology, Hospital de la Santa
Creu i Sant Pau, Barcelona
Department of Clinical
Pharmacology and Therapeutics,
Universitat Autònoma de
Barcelona, Bellaterra 08193
(Cerdanyola del Vallès), Spagna;
5
Department of Endocrinology and
Nutrition, Hospital de la Santa
Creu i Sant Pau, Barcelona 08025,
Spain CIBER Bioengineering,
Biomaterials and Nanotechnology
(CIBER-BBN), Instituto de Salud
Carlos III, Madrid Department of
Medicine, Universitat Autònoma de
Barcelona, Bellaterra, Spagna
[email protected]
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Scopo. Esaminare gli outcome a breve termine riportati negli studi randomizzati controllati che hanno messo a confronto il trattamento con glibenclamide o metformina con
la terapia insulinica, nelle donne con GDM per le quali si rendeva necessario un trattamento farmacologico.
Disegno. Revisione sistematica e metanalisi.
Criteri di inclusione nella selezione degli studi. Studi randomizzati controllati che
soddisfacevano i punti seguenti:
1) pubblicazione come “full text”;
2) casistica di donne con GDM richiedente un trattamento farmacologico;
3) trattamenti messi a confronto: glibenclamide vs insulina, metformina vs insulina,
metformina vs glibenclamide;
4) disponibilità di informazioni sugli “outcome” materni o fetali.
Origine dei dati. Sono stati esaminati Medline, CENTRAL ed Embase, fino alla data
del 20 maggio 2014.
Outcome. Sono stati presi in considerazione 14 outcome primari (6 materni e 8 fetali)
e 16 outcome secondari (5 materni e 11 fetali).
Risultati. Sono stati analizzati 15 articoli, comprendenti 2509 donne. Relativamente
agli outcome primari, si sono rilevate differenze significative fra glibenclamide e insulina per quanto riguarda peso alla nascita (differenza media 109 g [intervallo di confidenza, IC al 95% 35,9-181]), incidenza di macrosomia (RR 2,62 [1,35-5,08]) e di
ipoglicemia neonatale (RR 2,04 [1,30-3,20]). Confrontando metformina e insulina, è
stata raggiunta la significatività per aumento ponderale materno (differenza media –
1,14 kg [(da 2,22 a −0,06]), età gestazionale al parto (differenza media –0,16 settimane [(da −0,30 a −0,02]) e prematurità (RR 1,50 [1,04-2,16]), con una tendenza per
ipoglicemia neonatale (RR 0,78 [0,60-1,01]). Infine, confrontando metformina e glibenclamide, si è raggiunta la significatività per aumento ponderale materno (differenza
media –2,06 kg [da −3,98 a −0,14]), peso alla nascita (differenza media –209 g [da
−314 a −104]), macrosomia (RR 0,33 [0,13-0,81]), neonati grandi per l’età gestazionale (RR 0,44 [0,21-0,92]). Quattro degli outcome secondari sono risultati migliori per
metformina in confronto con insulina, uno peggiore rispetto a glibenclamide. La frequenza di fallimenti terapeutici è stata più elevata con metformina che con glibenclamide.
Conclusioni. Nel breve termine, in donne con GDM richiedente trattamento farmacologico, glibenclamide è chiaramente inferiore rispetto sia a metformina sia a insulina,
mentre con metformina (associata a insulina quando necessario) si ottengono risultati
lievemente migliori che con la sola insulina. Sula base di questi dati, glibenclamide non
dovrebbe essere utilizzata nel GDM, quando siano disponibili insulina o metformina.
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Dalla Letteratura - Ipoglicemizzanti orali in gravidanza: qualcosa sta cambiando?
Commento alla rassegna “Ipoglicemizzanti orali in gravidanza:
qualcosa sta cambiando?”
M. Bonomo
SSD Diabetologia, AO “Ospedale Niguarda Ca’ Granda”, Milano
Da sempre l’insulina è stata considerata l’unica opzione terapeutica possibile in corso di gravidanza, in caso di insuccesso di
un intervento basato sulla sola modificazione dello stile di vita. Anche in condizioni come il diabete gestazionale o il diabete pregestazionale di tipo 2, tipicamente caratterizzate da un prevalente stato di insulino-resistenza, l’uso di farmaci ipoglicemizzanti
orali, compresi insulino-sensibilizzanti come la metformina, tradizionalmente non ha trovato indicazione, quanto meno a livello
ufficiale. I punti più discussi riguardano il passaggio trans-placentare (accertato per metformina, controverso per glibenclamide), gli effetti sul controllo glicemico materno, le possibili conseguenze perinatali.
La situazione si è però modificata negli ultimi anni, con una serie di studi che hanno portato dati a favore sia della sicurezza sia
dell’efficacia clinica in gravidanza di farmaci precedentemente esclusi. Sulla glibenclamide il primo studio di rilievo è un RCT del
2000, pubblicato sul NEJM dal gruppo di Oded Langer, al quale hanno fatto seguito numerosi lavori osservazionali e sperimentali,
tutti sostanzialmente positivi in termini di efficacia clinica, se pure con qualche riserva sugli effetti collaterali. È invece del 2008,
ancora sul NEJM, la pubblicazione del trial “MIG” (metformin in gestational diabetes), che riportava ottimi risultati sull’uso di metformina, comparabili a quelli ottenuti con insulina, ma con minore frequenza di ipoglicemia. Anche in questo caso, il dato è stato
confermato in studi successivi.
Sulla base dei risultati positivi ottenuti, mentre in Italia persiste un atteggiamento di chiusura (l’edizione 2014 degli “Standard
di Cura” AMD-SID riporta infatti che «Gli antidiabetici orali non sono attualmente raccomandati in gravidanza, in quanto non sono
disponibili dati sufficienti sulla loro sicurezza sul feto»), a livello internazionale la posizione tradizionale è in corso di rivalutazione,
tanto che alcune autorevoli linee guida hanno parzialmente “aperto” alla terapia orale, determinando una situazione eterogenea in diversi Paesi:
– Negli Stati Uniti gli “Standards” ADA 2015 sottolineano efficacia e sicurezza a breve termine della gliburide (Cat. B) e della
metformina (Cat. B). Il documento sottolinea, tuttavia, il passaggio transplacentare di ambedue gli agenti, e la carenza di
dati disponibili sulla loro sicurezza a lungo termine.
– Una posizione analoga, di disponibilità verso glibenclamide e metformina come possibili alternative alla terapia insulinica,
comunque considerata come prima scelta, è stata assunta nel 2013 anche dalle linee guida canadesi. I due antidiabetici
orali vengono quindi ammessi per le gestanti poco “aderenti” o che rifiutano l’insulina, sempre però come prescrizione “off
label”, da discutere preventivamente con la paziente.
– Al contrario, simile all’attuale posizione italiana è quella adottata in Francia dalla SFD (Société francophone du diabète): in
un documento di consenso del 2010, i dati pubblicati su glibenclamide e metformina non sono considerati sufficienti per
raccomandarne l’uso in gravidanza. Questo documento è inoltre l’unico a prendere in considerazione altri farmaci non insulinici, come acarbose e rosiglitazone, comunque non raccomandati.
– Infine, decisamente positiva verso la metformina è la recentissima pubblicazione del NICE, in GB, che modifica sensibilmente
quanto scritto nelle edizioni precedenti. Si raccomanda infatti di iniziare la terapia farmacologica, quando necessario, con
metformina, proponendo l’insulina solo in caso di controindicazioni al farmaco, o di impossibilità a raggiungere i target metabolici. L’indicazione a iniziare direttamente insulina (associata o meno a metformina) è invece riservata ai soli casi con glicemia a digiuno superiore a 7 mmol/mol, o compresa fra 6,0 e 6,9 mmol/mol in presenza di macrosomia o polidramnios.
Nel GDM è inoltre accettata anche la glibenclamide (a differenza che per il diabete pre-gestazionale), per le gestanti non compensate con sola metformina che rifiutano la terapia insulinica o che non tollerano la metformina.
Queste premesse vanno tenute presenti nella valutazione degli abstract qui riportati, che si riferiscono agli articoli di più recente
pubblicazione sull’argomento.
Un lavoro di grande interesse, per l’estensione della casistica esaminata “in vivo”, e per i risultati ottenuti, per molti versi innovativi, è quello del gruppo finlandese di Tertti, sul passaggio trans-placentare della metformina, sull’esposizione materna e fetale al farmaco, e sulla sua relazione con gli esiti della gravidanza. Il passaggio trans-placentare è confermato, in misura ancora
maggiore di quella segnalata in studi precedenti, senza, tuttavia, conseguenze sull’outcome correlate al grado di esposizione,
dato che conferma la sostanziale sicurezza del farmaco in gravidanza, quanto meno nel breve periodo.
Un ampio spazio è riservato a metformina, così come a glibenclamide, all’interno di una rassegna più ampia sulla sicurezza dei
farmaci in gravidanza, pubblicata da David Simmons su Drug Safety: oltre a confermare i positivi effetti sul controllo glicemico
per ambedue i farmaci, l’autore ricorda i vantaggi di una terapia orale in termini di accettabilità e di aderenza terapeutica, esaminando poi gli effetti collaterali: ben noti quelli gastroenterici della metformina, che però, a differenza della glibenclamide, non
presenta aumento di rischi di ipoglicemia o di eccessivo aumento ponderale. Cautela viene però ancora raccomandata sulle
conseguenze a lungo termine, in considerazione del superamento del filtro placentare.
Dalla Letteratura - Ipoglicemizzanti orali in gravidanza: qualcosa sta cambiando?
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I due studi di George e di Ainuddin sono, in ordine di tempo, i più recenti RCT pubblicati sull’uso di metformina in gravidanza,
confrontata nel primo caso direttamente con glibenclamide in donne con GDM, nel secondo con terapia insulinica in pazienti
con diabete pre-gestazionale di tipo 2. I risultati sono favorevoli alla metformina, sia sul versante materno sia su quello
fetale/neonatale (se non per una maggiore frequenza di neonati piccoli per l’età gestazionale nel confronto con insulina). È tuttavia da segnalare che nel trial di Ainuddin, per raggiungere i “target” terapeutici, in un’elevata percentuale di casi la terapia con
metformina ha dovuto essere associata a insulina.
Il lavoro di George appena citato non era ancora inserito nella metanalisi di Balssels sul BMJ, al momento da considerare la più
recente e completa, relativamente al solo GDM. Le conclusioni hanno mostrato un’evidente superiorità di metformina, netta nei
confronti di glibenclamide, più sfumata vs insulina (rispetto alla quale risulta però una maggiore frequenza di prematurità). Anche
in questo caso viene poi segnalata una discreta percentuale di fallimenti terapeutici (38%), che ha reso necessaria l’associazione con insulina.
In conclusione, anche da questo rapido aggiornamento della letteratura, la discussione sull’uso degli ipoglicemizzanti orali in
gravidanza pare ancora non risolta, ma probabilmente vicina a un punto di svolta. Del resto, al di là delle discussioni teoriche,
non si può ignorare che questi farmaci sono ormai largamente utilizzati in alcuni Paesi: negli USA il 75% delle donne con GDM
trattato farmacologicamente usa oggi glibenclamide; il dato è meno eclatante altrove, ma comunque l’IADPSG (International
Association of Diabetes and Pregnancy Study Groups) nel 2010 ne stimava la frequenza al 35%, al di fuori degli USA. In Italia
mancano al momento statistiche attendibili; tuttavia, malgrado la negatività delle posizioni ufficiali, l’uso “off label” di ipoglicemizzanti orali, in particolare di metformina, è certamente non trascurabile, soprattutto in ambito ginecologico.
È probabile che, nei prossimi anni, l’attenzione si rivolga prevalentemente proprio sulla metformina, o su altri farmaci insulinosensibilizzanti: oltre al minor rischio di ipoglicemia materna, da un punto di vista concettuale pare infatti contradditorio puntare
su secretagoghi con probabile passaggio trans-placentare, in una situazione dove le principali complicazioni possono derivare
da uno stato di iperinsulinizzazione fetale. Il limite principale alla liberalizzazione dell’uso della metformina nel GDM (dove non
si pone il problema di un’eventuale teratogenesi conseguente all’esposizione al farmaco nella fase embrionale) è oggi quello
dell’incertezza sulle conseguenze a lungo termine sulla prole: la prossima pubblicazione dei dati di follow-up a 5 anni del “MIG”
(“MiG TOFU”) potrebbero dare un contributo importante alla definizione di un atteggiamento condiviso sulla questione.