Il disarmo nucleare unilaterale del Sud Africa

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Il disarmo nucleare unilaterale del Sud Africa
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Roberta Daveri
IL DISARMO NUCLEARE UNILATERALE
DEL SUDAFRICA.
ANALISI E PROSPETTIVE
Abstract
Una volta che gli Stati diventano nucleari restano tali. Questa, quanto meno, è la
realtà che è sempre prevalsa dal 1945. Nel 1989, invece, il presidente sudafricano
de Klerk decise unilateralmente di porre termine al programma di armamento
nucleare nazionale. Grazie a questa scelta inedita, il Sudafrica occupa a tutt’oggi
una posizione unica al mondo: è l’unico Paese, infatti, nel quale la produzione di
armi atomiche sia stata avviata, smantellata ed infine dichiarata illegale con un
decreto governativo. Nonostante le azioni dei leaders dell’apartheid si siano
dimostrate per una volta degne di lode, tuttavia, sorsero fin da subito numerosi
dubbi riguardo alle reali motivazioni dietro tale decisione.
Once a State becomes “nuclear”, it remains so. That is, at least, the reality that
has prevailed since 1945. In 1989, however, the President of South Africa de
Klerk unilaterally decided to end the Country's nuclear weapons programme. Due
to this unusual conclusion, South Africa occupies a unique position in to the
world: it is the only Country, in fact, in which the production of nuclear weapons
has been started, dismantled and, finally, declared illegal by a government
decree. Despite the actions of the leaders of apartheid have been, for once,
praiseworthy, many questions rose about the real incentives behind that decision.
1
INDICE
1. Storia breve dell’atomo sudafricano
p. 1
2. Le motivazioni dello smantellamento del programma nucleare sudafricano
p. 4
3. Le relazioni con l’Iran e con gli altri attori internazionali
p. 6
Capitolo I
Storia breve dell’atomo sudafricano.
Il Sudafrica ha una composizione etnica molto differenziata: il 79,5% della
sua popolazione è di discendenza nera, ma il Paese ospita anche le più grandi
comunità europee, asiatiche e meticce di tutto il continente africano. Dopo la
seconda guerra mondiale, il partito nazionalista uscito vittorioso alle elezioni del
1947 seppe sfruttare le collaborazioni già avviate nel periodo bellico con i Paesi
occidentali per lo sviluppo di un programma militare prima a fini civili, poi, dagli
anni Settanta, a fini militari.1 L’apartheid2, in vigore dal 1948 al 1993, garantì il
costante prevalere degli interessi dei bianchi, sebbene in costante contrasto con le
crescenti rivendicazioni politico-sociali all’interno ed all’esterno dei confini
nazionali. L’African National Congress (ANC, il maggior partito di colore
dell’opposizione) e gli Stati confinanti (Mozambico e Angola) furono, infatti,
etichettati come “comunisti” sostenuti da URSS e Cuba in quanto avevano dato
vita e ospitavano a movimenti di “liberazione” del Sudafrica.
Da un tale contesto regionale ne conseguì che, avendo Pretoria saldamente
stretto alleanza con l’Occidente ed essendo le armi nucleari la principale moneta
di scambio del confronto internazionale, si decise che avrebbe dovuto dotarsi di
un tale tipo di armamenti, con o senza l’aiuto degli alleati. In primo luogo, infatti,
coloro che il governo sudafricano riteneva suoi nemici erano o appoggiati da una
potenza nucleare appartenente al blocco comunista; in secondo luogo, gli alleati
capitalisti imponevano al Sudafrica sanzioni economiche e militari, facendone
uno Stato paria a causa del suo regime segregazionista. Tale decisione collocò
improvvisamente il Sudafrica al centro delle preoccupazioni internazionali in
materia di proliferazione. 3
Non vi fu alcun progresso degno di nota però fino al 1974, quando il
Primo Ministro J. Vorster approvò lo sviluppo pratico di una capacità esplosiva
nucleare, comunque limitata ad usi pacifici. Già un anno dopo, tuttavia, la
situazione mutò radicalmente: il governo, preoccupato per l’aggravarsi della
minaccia sovietica, decise la costruzione di sette bombe a fissione nucleare e
l’avvio della realizzazione di un poligono sotterraneo nel deserto di Kalahari per
1
E.H. Purkitt, F.S. Burgess, South Africa’s weapons of mass destruction, Bloomington 2005,
Indiana University Press.
2
L'apartheid (lingua afrikaans, letteralmente "separazione") era la politica di segregazione razziale
istituita dal governo di etnia bianca del Sudafrica nel dopoguerra e rimasta in vigore fino al 1993.
L'apartheid fu applicato dal governo sudafricano anche alla Namibia, fino al 1990 amministrata
dal Sudafrica. L'apartheid fu dichiarato crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni
Unite, votata dall'assemblea generale nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976 (International
Convention on the Suppression and Punishment of the Crime of Apartheid) e quindi
successivamente inserito nella lista dei crimini contro l'umanità.
3
http://www.nti.org/country-profiles/south-africa/nuclear/
2
l’effettuazione dei relativi test4. Nel 1976 l’intelligence USA ottenne informazioni
attendibili sugli sforzi di Pretoria per procurarsi armi nucleari5 ed in seguito a ciò
Washington decretò la sospensione delle forniture di combustibile nucleare al
Paese, decisione che ebbe un notevole impatto sulle ambizioni nucleari di
Pretoria.
Eppure non furono queste circostanze ad arrestare completamente il suo
programma nucleare: malgrado tali limitazioni, infatti, l’Atomic Energy Board,
invece che una bomba ad implosione, riuscì comunque a portare a termine la
costruzione di un primo ordigno atomico cosiddetto “gun-type”6. In pochi mesi
Pretoria riuscì compiere tutti i preparativi per collaudare il suo primo ordigno nel
deserto del Kalahari. Tali movimenti, ad ogni modo, non sfuggirono alla
sorveglianza dell’URSS, la quale allertò prontamente gli Stati Uniti a riguardo. Il
Sudafrica fu immediatamente diffidato dal continuare tanto che, subito dopo le
prime pressioni internazionali, abbandonò il sito del collaudo dopo averlo
ricoperto di lastre di cemento.7 Alcuni analisti ritengono che nel 1976 l’URSS
fosse così preoccupata dai progressi del programma nucleare di Pretoria non solo
da discuterne apertamente con gli USA, ma anche da proporre il bombardamento
dell’impianto sudafricano con un attacco preventivo, proposta prontamente
rifiutata da Washington.8
Nonostante queste preoccupazioni internazionali, a fine 1977 un impianto
nucleare entrò a pieno regime, realizzando negli anni seguenti la fabbricazione di
altri ordigni atomici. Degno di essere riportato fu un episodio verificatosi il 22
settembre 1979 a largo delle coste sudafricane. Un satellite statunitense Vela
(progettato per rilevare esplosioni nucleari) fotografò un duplice bagliore in quella
zona e subito si ritenne che tali bagliori fossero stati causati dal collaudo di un
ordigno nucleare. Alcuni esperti ipotizzarono che fosse stato Israele a testare un
ordigno nucleare per conto proprio o per conto del Sudafrica, ma Pretoria negò
ogni coinvolgimento. A tutt’oggi la vicenda resta controversa.9
Il successo del programma nucleare sudafricano si spiega con alcuni
fattori: in primo luogo, Pretoria acquisì velocemente una padronanza completa del
processo di produzione ed arricchimento dell’uranio, con tecniche all’avanguardia
di gestione delle scorie; in secondo luogo, l’industria della Difesa in Sudafrica si
dimostrò sufficientemente avanzata da approntare i necessari vettori di lancio;
terzo, il programma nucleare poté avvalersi di personale esperto e di una rete ben
integrata di commesse militari all’estero; infine, Pretoria non nutrì mai ambizioni
4
B. Boyle, “South Africa says it has destroyed its nuclear bombs”, Executive News Service
24/3/1993; “South Africa’s secret nuclear program: from a PNE to a deterrent”, Nuclear Fuel,
10/5/1993.
5
L.S. Spector, J.R. Smith, “Nuclear ambitions: the spread of nuclear weapons 1989-1990, San
Francisco 1990, Westview Press.
6
Scelta obbligata perché l’impianto non aveva ancora prodotto la quantità sufficiente di uranio
altamente arricchito per costruire bombe più potenti.
7
M. Reiss, “South Africa: Castles in the Air” in Bridled Ambition: why countries contrai their
nuclear capabilities, Washington D.C. 1995, Woodrow Wilson Center.
8
D. Albright, “South Africa and the Affordable Bomb”, Bulletin of the Atomic Scientists, luglioagosto 1994.
9
D. Albright, “A Curious Conversion”, Bulletin of the Atomic Scientists, 6, 1993.
3
esagerate, scegliendo di sviluppare un programma di armamento semplice ed a
basso costo.10
Una volta che gli Stati diventano nucleari restano tali; questa, quanto
meno, è la realtà che prevale dal 1945. Nel 1989, invece, in maniera del tutto
imprevedibile, il nuovo governo del presidente F.W. de Klerk decise di porre
termine al programma di armamento nucleare del Sudafrica.11 Perché un governo
dovrebbe impegnarsi ben tre lustri in un costoso programma di armamento segreto
per poi decidere all’improvviso e nonostante significativi progressi di
smantellarlo? Nel caso del Sudafrica due furono le motivazioni. Da un parte, gli
eventi che si susseguirono a partire dal 1989 (la partenza dei soldati cubani
dall’Angola, la caduta del muro di Berlino, il crollo dell’URSS e l’indipendenza
della Namibia) modificarono radicalmente l’assetto della sicurezza della regione
e, di conseguenza, influenzarono pesantemente la politica nucleare sudafricana.
Dall’altra, Pretoria non poté ignorare le conseguenze delle molteplici sanzioni
internazionali militari ed economiche a causa del proseguimento dell’apartheid.
Nel 1991, quindi, Pretoria aderì al Trattato di non proliferazione nucleare
(TNP)12 firmando poi con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica
(AIEA)13 anche un accordo di tutela giuridica. Due anni dopo de Klerk rivelò
ufficialmente che il Sudafrica aveva costruito ed in seguito distrutto sei bombe
nucleari e mezzo e si impegnava a vietare la ripresa del programma. Dal 1995,
inoltre, il Sudafrica assunse un ruolo chiave nel Nuclear Suppliers Group14
(addirittura presiedendolo nel biennio 2007-2008) e nel 1996, insieme ad altri
quarantadue Stati africani, firmò l’African Nuclear-Weapon-Free-Zone Treaty,
noto anche come Trattato di Pelindaba15. Sempre nello stesso anno, il Sudafrica
era entrato a far parte della Conferenza dell’ONU sul disarmo a Ginevra ed aveva
firmato il Comprehensive nuclear Test Ban Treaty (CTBT)16. Infine, nel 2002 il
Sudafrica firmò con l’AIEA il Protocollo Aggiuntivo di salvaguardia al TNP.
10
“South Africa enrichment program”, Rapporto CIA, agosto 1977, p. 458.
“Non-proliferation of weapons of mass destruction Act No. 87 of 1993”, versione emendata, n.
50, 4/10/1995 e n. 1750, 1711/1996.
12
Per maggiori approfondimenti sul Trattato di non proliferazione si rimanda a: I. Abbate e R.
Daveri, Passato, presente e futuro del TNP ed il ruolo dell'Italia, in “Nuclear News” 8/2013,
http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/57020_Abbate_Daveri_TNP
_ ott_2013.pdf
13
Per una più completa trattazione del processo di istituzione e delle funzioni dell’AIEA, si
consiglia
la
lettura:
http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/32249_Cicioni_AIEA_
1.pdf
http://www.archiviodisarmo.it/siti/sito_archiviodisarmo/upload/documenti/48780_Cicioni_AIEA_
parte_2.pdf http://www.AIEA.org/About/statute.html
http://www.enea.it/it/internazionali/cooperazione-multilaterale/aiea
14
Il NSB è un organismo multilaterale, fondato nel 1974, il cui scopo è fermare la proliferazione
nucleare attraverso il controllo delle esportazioni ed il ritrasferimento del materiale fissile
utilizzabile per la costruzione di bombe nucleari ed il rafforzamento dei dispositivi di safeguards
esistenti.
15
Per maggiori approfondimenti in merito al Trattato di Pelindaba, si rimanda a: M. Simoncelli
(a/c): La pace possibile. Successi e fallimenti degli accordi internazionali sul disarmo e sul controllo
degli armamenti, Roma, Ediesse, 2012.
16
La ratifica di Pretoria era indispensabile per l’entrata in vigore del CNTBT (avvenuta nel 1999),
in quanto il Sudafrica era un Paese produttore ed esportatore di materiale e tecnologie nucleari.
11
4
Sebbene nel 1989 il governo sudafricano avesse in maniera definitiva
posto fine al programma di armamento atomico e avesse chiuso tutti gli impianti
ad esso collegati, le infrastrutture nucleari mantenevano intatte tute le loro
capacità, per non parlare delle riserve di uranio del Paese: le quarte più grandi al
mondo.17 Nel contrastare la crisi energetica del Paese, quindi, nel 2006 Pretoria
annunciò il suo intento di rimettere in funzione sei nuovi reattori per la
produzione civile, con l’obiettivo di collocarsi tra i principali produttori al
mondo.18 A tal scopo, nel 2009 venne firmato un accordo bilaterale di
cooperazione con gli USA in tema di reattori e tecnologie avanzate per la
produzione di energia nucleare.19
Alcune problematiche legate alla corretta gestione di tale energia rimasero,
tuttavia, ben presenti. Benché il Sudafrica sia ad oggi un membro importante del
regime internazionale della non proliferazione, infatti, da alcune indagini era
emerso che durante gli anni Novanta e nei primi anni Duemila singole aziende
nazionali avevano avuto, a vario titolo, un ruolo di fornitori della rete nucleare
illegale di A.Q. Kahan20, al che Pretoria dovette impegnarsi formalmente a livello
internazionale a perseguire i colpevoli. Nel novembre 2007, inoltre, l’impianto di
Pelindaba, in cui erano stoccate centinaia di chili di uranio altamente arricchito, fu
vittima di un tentativo di intrusione da parte di un gruppo di malviventi ben
organizzato. Nonostante dalle dichiarazioni ufficiali risultasse non essere stato
rubato niente, un fatto del genere mise in luce la vulnerabilità della gestione di tali
impianti, anche perché i responsabili non vennero mai identificati.21
Attualmente, quindi, in quanto potenza nucleare leader del continente
africano22, il Sudafrica è costantemente esposto a rischi per la sicurezza nucleare.
Pur se le armi nucleari ormai non trovano posto in Sudafrica o nel continente
africano, è “normale” aspettarsi che l’energia nucleare possa aiutare a fornire
parte del mix energetico richiesto. Il nucleare, infatti, potrebbe rispondere alla
eccezionale carenza di energia di cui soffrono gli Stati africani: il Continente,
infatti, produce energia circa agli stessi livelli della Spagna, nonostante abbia una
popolazione venti volte superiore. Le preoccupazioni sull’uso del nucleare in
Africa, tuttavia, vanno al cuore del problema: la sua governance.
17
Abdul
Minty,
discorso
al
Nuclear
Safeguard
Symposium
(17/10/2006),
http://www.armscontrol.org/act/2007_01-02/BourestonLacey
18
C. Laurence, “South Africa flirts with plans to enrich own uranium”, Johannesburg Business
Daily, 28/8/2006.
19
“U.S.-South Africa sign agreement on cooperation on nuclear energy field”, comunicato stampa
del Dipartimento di Stato, 16/9/2009 http://southafrica.usembassy.gov/press090916.html
20
A.Q. Kahan, ingegnere metallurgico, è conosciuto per essere il “padre” della prima bomba
atomica del Pakistan. Nel gennaio del 2004 confessò di essere coinvolto in una rete internazionale
che trafficava tecnologie per la costruzione di armi nucleari che si estendeva dal Pakistan, alla
Libia, alla Corea del Nord.
21
M. Zenko, “A nuclear site is branched”, Washington Post, 20/12/2007 e “Nuke facility raid an
inside job?”, CBS NEWS, 23/11/2008.
22
Il Sudafrica detiene il 18% delle riserve globali di uranio ed un’industria mineraria in costante
espansione.
5
Capitolo II
Le fasi e le motivazioni dello smantellamento del programma nucleare
sudafricano
Sul finire dell’apartheid, come precedentemente ricordato, le autorità
sudafricane fecero un passo che ebbe delle implicazioni importanti sia per il Paese
sia per il continente africano: smantellarono il programma militare nucleare. La
prima fase comportò la demolizione delle sei testate nucleari del Sudafrica più
una parzialmente assemblata. Una decisione in questo senso fu presa, come
precedentemente ricordato, dall’allora presidente F.W. de Klerk nel febbraio
1990, poco dopo la scarcerazione di Nelson Mandela e la caduta del bando al
Congresso nazionale africano, al Congresso panafricanista e al Partito comunista
sudafricano.
Le autorità sudafricane cooperarono pienamente con l’AIEA durante tutto
il processo di verifica e nel 1992 ricevettero l’apprezzamento dell’allora direttore
generale dell’agenzia, Hans Blix, per aver fornito agli ispettori accesso illimitato
ed una quantità di dati maggiore rispetto a quella richiesta dal Safeguards
Agreement.
La seconda fase previde lo smantellamento del programma sudafricano di
missili balistici, che iniziò nel 1992 e durò circa diciotto mesi. Il processo culminò
con l’ammissione al regime di non proliferazione nel settore missilistico nel
settembre 1995, dopo la verifica della distruzione dell’ultimo motore dei missili.
La terza fase, infine, comportò la conclusione del programma di guerra chimica e
biologica del Sudafrica.23
Grazie a queste atti unilaterali il Sudafrica occupa, ad oggi, una posizione
unica al mondo in quanto è il primo Paese ad aver volontariamente smantellato il
proprio potenziale nucleare. Sebbene potenzialmente in grado di far ripartire il
programma militare nucleare, infatti, Pretoria ha ormai bandito giuridicamente
tale opzione in maniera definitiva, come testimoniano l’adesione ai trattati sulla
non proliferazione e agli accordi di cooperazione per il rafforzamento dei controlli
sulla propria capacità nucleare passibile di uso duale (militare e civile). Infine, il
ruolo attivo giocato in varie piattaforme internazionali vuole assicurare
chiaramente l’impegno di Pretoria a far sì che il proprio programma nucleare resti
confinato a scopi esclusivamente civili.24
L’esperienza sudafricana evidenzia chiaramente l’importanza di creare il
giusto ambiente in cui i regimi possano sentirsi abbastanza sicuri di sé per
disarmare e rimanere disarmati, analizzando il contesto geo-strategico in cui il
Sudafrica era inserito, ad ogni modo.
In termini di immagine, la decisione del Sudafrica di smantellare il
programma nucleare militare ha fatto aumentare esponenzialmente la sua autorità
23
Il Sudafrica fa anche parte dell’ICAN (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons),
una iniziativa congiunta sulle conseguenze umanitarie delle armi nucleari presentata dalla Nuova
Zelanda all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel maggio 2012.
24
L. Asuelime, “Perché il Sudafrica si è fatto la bomba atomica (e poi l’ha smantellata)” in “A
Qualcuno piace atomica”, LIMES, giugno 2012, pp. 237-244.
6
morale sulla questione della non proliferazione. La Comunità Internazionale si
chiese, a questo punto, se veramente Pretoria avesse smantellato le armi nucleari
del Paese perché credeva in un’Africa senza le armi nucleari o se invece dietro ci
fossero state altre motivazioni: i dirigenti del regime razzista, avendo intuito che i
neri avrebbero prevalso, avevano forse distrutto le armi nucleari sudafricane per
tenerle fuori dalla portata di Nelson Mandela e dall’incombente amministrazione
dell’ANC?
Chiedendosi quale sia stato il vero motivo dello smantellamento del
programma nucleare militare, che aveva richiesto anni e miliardi per svilupparsi,
alcuni osservatori internazionali ipotizzarono che il regime di Pretoria potesse
aver beneficiato segretamente di un do ut des molto vantaggioso per addivenire a
questa sua decisione. Alcuni analisti stranieri, in particolare, si chiesero se un
ruolo determinante non lo avesse in realtà giocato il fatto che il regime
dell’apartheid stesse per implodere ed il fatto che le sanzioni internazionali si
stessero facendo sentire troppo pesantemente. Per molti analisti sarebbe stato
importante indagare, allora, cosa venne barattato, quali garanzie vennero date e se
dei fondi segreti furono davvero istituiti in tutto il mondo per i fuggitivi, come era
successo in Germania alla fine della Seconda guerra mondiale.
Secondo certi studiosi, quali che fossero state il ricompense, dovevano
essere state molto significative ed il risultato dell’attività militare in Angola e il
sostegno a Jonas Savimbi (leader dei ribelli angolani) deve essere stato in cima
alla lista.
Altri analisti suggeriscono, ancora, che il regime dell’apartheid fu messo
alle strette dall’Occidente e forse anche da Mosca affinché rinunciasse al suo
programma nucleare militare, nonostante il tutto fu mascherato da onorevole
“ritirata” da un’Africa nucleare.25
Interrompere un programma nucleare, tuttavia, è molto diverso
dall’annunciare di aver costruito sei bombe nucleari e mezzo (non curante delle
pressioni internazionali) e dopo poco tempo eliminarle. In definitiva, secondo
alcuni analisti, un ruolo di primo piano lo giocarono sicuramente i timori da parte
dell’AEC che l’ANC potesse prendere il potere ereditando così dall’oggi al
domani una tale “dote” nucleare; in secondo luogo, l’AEC stava a quel tempo
cercando un’occasione per vendere il proprio “pacchetto di arricchimento”
dell’uranio e sembrava che Taiwan potesse essere potenzialmente interessato a
riguardo: tale mossa era dunque funzionale al raggiungimento di un accordo.
Infine, il Sudafrica temeva che, nel caso non avesse ratificato il TNP ed il suo
programma nucleare fosse trapelato, le tecnologie per l’uso del nucleare a scopi
civili non sarebbero più state accessibili.26
25
http://ipsnotizie.it/nota.php?idnews=1912
“AEC vs. Armscor Arguments Regardsin South Africa’s nuclear Weapons”, Cold War
International History Progect, 1989.
26
7
Capitolo III
Le relazioni con l’Iran e con gli altri attori internazionali
Il Sudafrica è stato un convinto sostenitore del diritto dell’Iran a sviluppare
le proprie infrastrutture nucleari, come dichiarato, ad esempio, nel 2006
dall’ambasciatore sudafricano Yusuf Saloojee: “Iran is a signatory to the NPT
and is thus entitled to use peaceful nuclear technology.”27. I funzionari del
Sudafrica, infatti, non sembrano aver prestato molta attenzione agli accordi presi
in sede di revisione del Trattato di non proliferazione del 2000, nella cui sede gli
Stati membri si erano accordati a che l’inalienabile diritto all’accesso alla
tecnologia nucleare per scopi pacifici dovesse essere subordinato al rispetto
dell’articolo III del TNP, relativo agli obblighi di salvaguardia nucleare da parte
di ogni Paese.
Gli Stati Occidentali, infatti, obbiettano che l’Iran avesse perso tale diritto
a causa della sua condotta contraria all’articolato del TNP. In replica a ciò,
nell'agosto 2006 il vice ministro sudafricano degli Affari Esteri Aziz Pahad
affermò che il problema iraniano era “primarily due to the unequal
implementation of the delicately balanced rights and obligations contained in the
NPT itself” e che “few states doubt the inherent discriminatory nature of the
treaty, which created two distinct groups: the haves and the have-nots. Many of
those have-nots are developing countries.”28
Nel maggio 2006, i Ministri degli Esteri di Nigeria, Pakistan, Sudafrica,
Siria e Venezuela si incontrarono con il ministro degli Esteri iraniano Mottaki. In
seguito al meeting, il vice ministro degli Esteri sudafricano Alan van der Merwe
potè parlare di legami più forti con l'Iran, in particolare nel quadro NAM
(Movimento dei Paesi Non Allineati) asserendo che l'Iran era determinante nel
fornire stabilità regionale.29 Dopo l’incontro, Mottaki dichiarò anche che “given
that today NAM member States more than ever have commonalities in the
international scene, their coordination and close cooperation can create a
powerful movement in the world.”30 Nell'agosto 2006, la cooperazione bilaterale
venne ulteriormente rafforzata negli incontri tra Mottaki ed una serie di funzionari
di governo sudafricani, tra cui il Ministro degli Affari Idrici e Forestali Buyelwa
Sonjica, il Ministro del Commercio e dell'Industria Mandisi Mpahlwa e il
Ministro della Scienza e della Tecnologia Mosibudi Mangena.31 Alcune fonti
rivelarono, inoltre, che in quella sede il Sudafrica potrebbe aver anche offerto di
trasferire l'uranio “naturale” all’Iran affinché lo utilizzasse nel suo programma,
anche se non vi è alcuna indicazione che tale accordo sia effettivamente stato
concluso o meno.32
27
http://www.armscontrol.org/act/2007_01-02/BourestonLacey
“Opening Remarks by the Minister of Foreign Affairs, Dr. Nkosazana Dlamini Zuma, at the 9th
Joint Bilateral Commission Between South Africa and Iran, Pretoria,” South African Government
Information, August 21, 2006.
29
“Iranian Foreign Minister Confers With NAM Member State Counterparts,” IRNA, May 30,
2006.
30
Ibid.
31
“Iran’s Foreign Minister to Meet S-A Gov., Sasol,” Mail and Guardian, August 20, 2006.
32
“South Africa Proposes Nuclear Cooperation With Iran,” Iranian Students News Agency,
November 7, 2005.
28
8
Oltre a ciò, vi sono state altre significative aperture tra Iran e Sudafrica per
rafforzare la loro cooperazione nucleare. Durante l’apertura dei lavori della
sessantunesima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (settembre
2006), il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad e Mbeki discussero alcuni
punti per rafforzare le relazioni bilaterali tra i due Paesi in vari settori, tra cui
appunto quello nucleare.33 Questa e altre iniziative sembrano aver causato
notevoli preoccupazioni a livello internazionale: gli Stati Uniti, in particolare, si
attivarono inviando il proprio ambasciatore presso l’AIEA Gregory Schulte in
Sudafrica per esortarlo a prendere una posizione più rigorosa sulla questione
nucleare iraniana.34
Del resto, come ricordato nel primo capitolo, il Sudafrica non era sempre
stato un player responsabile in tema di commercio internazionale nucleare. Dal
2004, infatti, era venuto fuori che alcuni individui ed aziende con sede in
Sudafrica avevano fornito attrezzature legate alla costruzione di armi nucleari alla
Libia ed alla rete nucleare di A.Q. Khan.35 L'indagine ed il procedimento penale
erano rivolti contro Gerhard Wisser, un ingegnere tedesco amministratore
delegato della Krisch Ingegneria (una azienda con sede in Sudafrica) e Daniel
Geiges, un ingegnere meccanico svizzero, anche lui amministratore delegato della
Krisch Ingegneria. Wisser e Geiges, secondo le accuse, sarebbero stati coinvolti
nella pianificazione della fabbricazione di sistemi di estrazione per un impianto di
arricchimento in Libia, mentre Johan Meyer, un altro ingegnere meccanico
sudafricano, venne arrestato per il suo presunto coinvolgimento nella rete di
Khan.36 Con lo stesso capo di accusa, nel gennaio 2004 era stato catturato anche
Asher Karni, cittadino sudafricano naturalizzato e salesman per la società TopCapo Tecnologia. Gotthard Lerch, invece, dovette rispondere di un suo
coinvolgimento a partire dal 1980 nella rete di contrabbando nucleare per
l’ottenimento di materiale per l’industria nucleare da parte dell’azienda leader del
settore nucleare Urenco.37
In conclusione, il Sudafrica sembra portare avanti una politica nucleare
con obiettivi e interessi contraddittori. Per apparire come attore responsabile,
infatti, la politica del Sudafrica dovrebbe poter contare su più chiarezza e,
soprattutto, coerenza: il sostegno del Sudafrica ad alcuni Paesi sotto sorveglianza
internazionale (Iran) potrebbe rivelarsi dannoso, se non controproducente, per i
suoi lodevoli sforzi per la non proliferazione e per il disarmo.
Il Sudafrica, del resto, ha sempre messo in chiaro che il suo programma
per sviluppare il nucleare civile si sarebbe concentrato per scopi esclusivamente
pacifici. La condivisione della tecnologia dei suoi reattori, tuttavia, potrebbe
minacciare il regime di non proliferazione nel caso che le transazioni non fossero
seguite attentamente dalle autorità competenti e non fossero imposti controlli più
33
“Iranian, South African Presidents Hold Talks at UNGA, Stress Expansion of Ties,” IRNA,
September 22, 2006.
34
C. Lourens, “South Africa Flirts with Plan to Enrich Own Uranium”, Johannesburg , The
Weekender, 22 July 2006.
35
“UN: Libya Nuke Suppliers Spanned Globe,” Associated Press, May 29, 2004; Douglas Frant
and William Rempel, “Complete Nuclear Bomb Plant Earmarked for Libya Found,” Los Angeles
Times, November 29, 2004.
36
Ibid.
37
Mark Hibbs, “German Probe Zeroing In on Cascade Piping for Libya,” Nucleonics Week,
September 2, 2004.
9
severi sulle esportazioni di materiale e tecnologia nucleare sensibile. Il Sudafrica
dovrebbe, quindi, impegnarsi anche a promuovere un approccio multilaterale più
lungimirante per le questioni legate al trasferimento tecnologie e materiali
nucleari, come suggerito dall’ex-direttore generale dell’AIEA Mohamed
ElBaradei.38
In conclusione, il Sudafrica è chiamato a continuare la ricerca di un
equilibrio tra il sostegno dei diritti degli Stati di sviluppare tecnologie nucleari per
scopi pacifici e lo sforzo per fermare i progressi di quelli che potrebbero utilizzare
queste tecnologie per lo sviluppo di armi nucleari. Grazie alla sua posizione unica
e il ruolo di leadership in importanti organizzazioni internazionali, il Sudafrica,
infatti, ha l'opportunità di contribuire a dare la giusta rotta al dossier nucleare ed
al regime di non proliferazione globale. Un’opportunità di fatto unica, che
Pretoria dovrebbe cogliere al volo.
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“Multilateral Nuclear Approaches to the Nuclear Fuel Cycle: Expert Group Report to the
Director General of the International Atomic Energy Agency,” February 2005.
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