Untitled - Associazione Italiana Economisti dell`Energia

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Vittorio D’Ermo
LE FONTI DI ENERGIA TRA CRISI E SVILUPPO
MERCATI E OPERATORI
2
Alberto Di Pierro ha contribuito alla trattazione della parte relativa all’assetto del
mercato petrolifero, con particolare riferimento ai modelli interpretativi delle strategie
dell’OPEC.
3
SOMMARIO
Cap. I - Lo sviluppo
2.1 I primi utilizzi delle fonti di energia
2.2 L'epoca del carbone
2.3 La comparsa del petrolio e dell'energia elettrica
2.4 Gli inizi del 1900
2.5 Dagli anni '20 alla seconda guerra mondiale
2.6 Energia e sviluppo economico negli anni '50 e '60
Cap. II - Le crisi e i loro effetti
3.1 Gli avvenimenti
3.2 Il cambiamento del legame tra energia e sviluppo
3.3 I cambiamenti della struttura industriale
3.4 I fabbisogni di energia ed il ruolo delle diverse fonti
primarie
Le aree di produzione
Cap. III - Verso nuovi assetti di mercato
4.1 Il petrolio
4.1.1 Le crisi e il bilancio petrolifero mondiale
4.1.2 La produzione
4.1.3 I prezzi del greggio, le strategie OPEC e i
modelli interpretativi
4.1.4 La crisi del Golfo e l’affermazione delle regole di
mercato
4.1.5 I prezzi dei prodotti
4.1.6 La raffinazione
4.1.7 Le riserve
4.2 Il gas naturale
4.2.1 Gli anni '70
4.2.2 Gli anni '80 e la prima metà degli anni ‘90
4.3 I combustibili solidi
Cap. IV - Gli operatori dell'industria energetica
5.1 I diversi profili
5.2 Le compagnie petrolifere
5.3 Le imprese pubbliche energetiche
Cap. V - Le nuove prospettive della politica energetica europea
Cap. VI - Le prospettive di evoluzione della domanda e
l’offerta di energia
6.1 L'esperienza di liberalizzazione dei mercati energetici
dell’Unione Europea
6.2 L'ambiente
6.3 La prospettiva dell'integrazione dell'Europa dell'Ovest e
dell’Europa dell’Est
Cap. VII - Il sistema energetico italiano
7.1 L'affermazione degli idrocarburi
7.2 Le crisi energetiche
4
7.2.1 Le ripercussioni sugli indirizzi di politica
energetica e sulla fisionomia degli operatori
7.2.2 Le ripercussioni sull'offerta
7.2.3 Le ripercussioni sulla domanda
7.3 Il periodo 1986-1995
7.3.1 Verso nuovi indirizzi di politica energetica
7.3.2 Gli sviluppi della domanda e dell'offerta
7.4 I prezzi dell'energia: dal controllo al mercato
7.4.1 I prezzi dei prodotti petroliferi
7.4.2 Le tariffe del gas naturale
7.4.3 Le tariffe elettriche
7.4.4 La fiscalità sui prodotti energetici
7.5 Le prospettive
5
Registrazione SIAE, 8 novembre 1996
6
CAP. I
LO SVILUPPO
1.1 I primi utilizzi delle fonti di energia
Il rapporto tra le attività umane e l'energia risale direttamente alla prima presenza
dell'uomo sulla terra. Prima ancora che il pensiero scientifico con la sua progressiva
evoluzione cominciasse a definire il concetto di energia, l'uomo aveva già iniziato ad
utilizzare le fonti energetiche per soddisfare alcuni dei suoi fabbisogni primari.
L'energia termica e l'energia luminosa del fuoco sono state impiegate già nei primi
insediamenti della preistoria. L'energia meccanica, necessaria per la fabbricazione dei
primi utensili e per l'attività agricola, è stata fornita dall'uomo stesso che ha
successivamente scoperto che essa poteva essere ottenuta dagli animali, dal vento,
dall'acqua dei fiumi direttamente o tramite apposite canalizzazioni.
Questo schema di utilizzo dell'energia si è protratto per tutta la durata delle civiltà
primitive e, con una serie di perfezionamenti, si è esteso anche alle civilizzazioni di
epoca storica.
Facendo riferimento all'antichità classica, troviamo ancora una netta distinzione tra
energia termica, fornita per lo più dalla legna, ed energia meccanica fornita dall'uomo,
in particolare dagli schiavi, dagli animali e, tramite semplici apparati trasformatori,
dall'energia eolica e dall'energia idraulica, ovvero da combinazioni tra energia fornita
dall'uomo e energia eolica (si pensi alle navi che utilizzavano remi e vele). Rispetto ai
primordi, vengono sviluppati una serie di congegni (macchine), spiegati in termini
razionali con la nascita della fisica moderna, che portano ad un miglioramento del
rapporto tra energia spesa e risultato ottenuto, nel campo dell'utilizzo sia dell'energia
termica sia di quella meccanica. Si pensi alla creazione di forni via via più perfezionati,
che portano alla nascita e allo sviluppo della metallurgia; si pensi alla scoperta della
leva, della carrucola, del piano inclinato e della ruota, che consente di ottenere un dato
spostamento con un minor impiego di energia meccanica, ed ancora all'utilizzo del
trasporto su acqua, che consente anch'esso un notevole risparmio di energia per la
minore resistenza allo spostamento che incontra un mezzo immerso in un liquido,
secondo un principio che viene formulato già da Archimede; si pensi, infine,
all'invenzione del remo, all'impiego di sistemi di vele più complessi ed efficaci.
Nell'ambito di questo schema di utilizzo dell'energia, la possibilità di aumentare la
produzione materiale veniva comunque a dipendere dalla disponibilità di forza
muscolare umana e animale, con l'apporto dell' energia eolica nel campo dei trasporti e
di quella idraulica nei primi mulini.
Sotto questo profilo, le differenze nei sistemi produttivi dell'antichità sono state
relativamente limitate, nè la disponibilità di particolari tecnologie di utilizzo
dell'energia - forse con l'eccezione delle tecniche metallurgiche - ha costituito un fattore
di per sè decisivo all'affermarsi di una civiltà sulle altre.
Questo quadro relativamente statico si prolungherà anche nei secoli successivi alla
caduta dell'impero romano, durante i quali si affermano sistemi di vita chiusi, con forme
di utilizzo dell'energia legate ancor di più allo sfruttamento delle risorse locali, date le
difficoltà di trasporto via terra e via acqua.
Le innovazioni tecnologiche del Medioevo, quelle del Rinascimento, le scoperte
geografiche, la formazione dei grandi stati nazionali, segnando delle tappe decisive
nella storia dell'umanità, portano ad una prima svolta nel legame tra energia ed attività
umane. L'aumento dei traffici, consentendo la specializzazione delle produzioni e il
superamento del sistema chiuso tipico del Medioevo, determina un miglioramento delle
condizioni economiche generali.
Il livello produttivo dipende però, ancora, dalle forze dell'uomo e degli animali
7
utilizzate in modo via via più razionale, con lo sviluppo di macchine semplici, e
dall'impiego, più esteso ed efficiente, dell'energia eolica e di quella idraulica che
giocano un ruolo crescente nella fase di preindustrializzazione.
L'impiego dei mulini ad acqua da parte dell'industria siderurgica e di quella tessile, oltre
che per la macinatura dei cereali, diventa l'elemento determinante per lo sviluppo di
molte aree del continente europeo.
In questo contesto, il pensiero economico mercantilista considera principali elementi
dello sviluppo gli scambi, mentre la scuola fisiocratica tende ad individuare nelle
attività agricole le sole capaci di produrre un sovrappiù. D'altro canto, fino a buona
parte del 1700, l'attività industriale è ancora caratterizzata dalla semplice
trasformazione, più che dal costante aumento della produttività, e dalla capacità di
innovazione .
Il modello di utilizzo delle fonti energetiche subisce un drastico cambiamento, con
enormi conseguenze anche sul piano economico e sociale, con la invenzione della
macchina a vapore. Questo dispositivo mette in pratica, ancora prima della sua
concettualizzazione
rigorosa, uno dei principi fondamentali della fisica: la
trasformazione dell'energia termica (fornita dalla combustione di legna o carbone) in
energia meccanica. Le esperienze di J.P. Joule (1818-1898) chiarirono poi la relazione
che intercorre tra calore e lavoro, stabilendo la "equivalenza" tra le due grandezze
fisiche; ad essa si ricollega direttamente il primo principio delle termodinamica,
secondo il quale la quantità di calore Q assorbita da un sistema termodinamico non
isolato, quando subisce una trasformazione, è sempre uguale alla somma del lavoro "L"
fatto dal sistema sull'ambiente esterno e della variazione della sua energia interna (U2 U1):
Equivalenza tra calore e lavoro
Q = (U2 - U1) + L
dove
Q
= calorie fornite dalla fonte di energia ad un sistema termodinamico
L
= calorie trasformate in lavoro utile
(U2 - U1) = calorie non trasformate in lavoro utile
Anche se l'efficienza energetica (rapporto tra lavoro e calore assorbito) della prima
macchina a vapore era certamente molto limitata (il secondo principio della
termodinamica afferma che è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico
risultato sia quello di assorbire una quantità di calore Q da una unica sorgente di calore
e trasformarla completamente in energia meccanica W, affidando quindi alla evoluzione
della tecnologia il compito di contenere la produzione di calore a tutto vantaggio della
conversione in energia meccanica), il suo impatto sul sistema economico è dirompente.
La storica strozzatura costituita dalla limitata disponibilità di energia meccanica viene
finalmente superata: si aprono, pertanto, nuovi orizzonti nel campo della produzione
industriale e, successivamente, dei trasporti.
La scoperta della macchina a vapore segna l'inizio di una epoca che sarà definita della
rivoluzione industriale e che sarà caratterizzata anche da profondi cambiamenti nei
rapporti sociali;la sua introduzione porta ad una diversa organizzazione della
produzione che tende a concentrarsi nella fabbrica con un crescente fabbisogno di
manodopera non specializzata, soggetta a regole precise.
La rivoluzione industriale segna la nascita di un nuovo sistema con l'affermarsi di
nuove classi sociali, quella della borghesia imprenditoriale e quella degli operai,
rispetto ai proprietari terrieri, ai commercianti, agli artigiani e ai contadini delle epoche
precedenti.
8
1.2
L'epoca del carbone
Lo sviluppo sempre più rapido della macchina a vapore pone il problema della sua
alimentazione.
In una fase caratterizzata da notevoli limitazioni nei sistemi di trasporto terrestri, la
localizzazione delle prime fabbriche tende a concentrarsi dove c'è ampia disponibilità di
legname o vicino ai punti di attracco di battelli attrezzati per il suo trasporto.
Di fronte al repentino aumento del fabbisogno di energia termica, emerge ben presto la
necessità di integrare la disponibilità dei combustibili vegetali con quelli fossili e, in
particolare, con il carbone, in grado di fornire - a parità di peso - energia termica e
quindi energia meccanica in misura circa tre volte superiore a quella ottenibile dalla
legna. Tenendo conto del minor volume, il vantaggio per il carbone aumenta ancora.
I fabbisogni energetici mondiali tra il 1800 ed il 1900
(miliardi di tep)
1800
1850
1875
1900
Comb.li
solidi(1)
13
65
169
455
Petrolio(2)
Gas(3)
..
..
1
21
..
..
..
10
Energia
idroelettrica(4)
..
..
..
2
Totale
13
65
171
489
N.B.1 tep equivale a 10.000.000 di kcal
(1)6400 kcal/kg ;(2)10000kcal/kg ;(3)8250 kcal/mc
(4)i kWh sono valutati ad input termoelettrico ovvero circa 2400kcal /kWh
Fonte:
Elaborazioni su: Carlo Paoloni, Storia del Metano, Milano, 1988; Bureau of Census,
Historical Statistics of the United States (1789-1945), Washington, 1949; J.
Darmstadter, Energy in the
World Economy, A Statistical Review of Trends
in Output Trade and Consumption since 1925; J. Hopkins Press, Baltimore, 1971;
D.S. Landes, Prometeo Liberato,
Trasformazioni Tecnologiche e Sviluppo
Industriale nell'Europa Occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 1978.
Nasce cosi una nuova geografia della produzione industriale;l'energia meccanica fornita
dai mulini alimentati dai corsi d'acqua non può reggere la concorrenza di quella fornita
dal vapore, sia in termini di quantità sia in termini di costo per l'utente.
Nella definizione di questo nuovo assetto dei sistemi produttivi, in cui l'energia diviene
uno dei fattori decisivi dell'accumulazione di capitale e, quindi, dello sviluppo
economico, l'Inghilterra si trova in una posizione privilegiata per la disponibilità della
tecnologia della macchina a vapore, della fonte di energia - il carbone - capace di
alimentarla nelle migliori condizioni, e, infine, delle tecnologie per la produzione dei
materiali necessari alla costruzione delle macchine che generano vapore e di quelle che
utilizzano la sua energia (telai, torni, etc.) , che sostituiscono rapidamente quelle usate
prima della rivoluzione industriale.
Gli enormi cambiamenti indotti dalla nuova macchina e dal rapido allargarsi dei suoi
campi di applicazione, dall'industria tessile alla meccanica, alla estrattiva, e, in
particolare, alle miniere di carbone alle quali spetta il compito di alimentare il nuovo
sistema produttivo, superano, dopo un certo numero di anni, i confini inglesi per
estendersi a tutto il continente europeo, all'America e alle altre aree del mondo.
L'uso del carbone diviene una delle caratteristiche di fondo del secolo diciannovesimo:
questo combustibile fossile viene infatti usato per uso termico (riscaldamento) , dove
sostituisce sempre più i combustibili vegetali , per uso termico industriale (calore di
processo), per usi tecnologici (siderurgia), per la produzione di gas illuminante, di gas
di officina e, infine, per fornire l'energia meccanica necessaria alle attività industriali.
Nella prima metà del secolo il settore dei trasporti è ancora caratterizzato dall'utilizzo
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dell'energia eolica e dalla forza degli animali; ma questa situazione ha ormai carattere
transitorio in quanto, attraverso una serie di innovazioni, si riesce ad utilizzare l'energia
meccanica prodotta dalla macchina a vapore per muovere anche le navi e un mezzo del
tutto nuovo che rivoluziona il trasporto terrestre: la locomotiva. Questo veicolo,
muovendosi su rotaia, si caratterizza per un buon rendimento della trasformazione
dell'energia meccanica, prodotta dalla caldaia a vapore, in energia cinetica.
Nella seconda metà del secolo diciannovesimo si arriva alla definitiva affermazione di
un sistema in cui la parte preponderante degli usi finali dell'energia (calore ed energia
meccanica) viene soddisfatta da una sola fonte: il carbone.
La produzione mondiale di combustibili solidi si adegua alla crescente domanda con
l'apertura di nuovi impianti produttivi in Europa e nel Nord-America ed anche
attraverso una serie di innovazioni nei metodi di estrazione. I quantitativi resi
disponibili per il consumo passano dai 20 milioni di tonnellate del 1800 ai 100 milioni
di tonnellate del 1850 ed ai 700 milioni di tonnellate sul finire del secolo.
La quota dei combustibili solidi sul totale del fabbisogno energetico aumenta
continuamente sino ad oltre il 90%, livello corrispondente alla massima espansione
degli impieghi di questa fonte, che sul finire del secolo comincerà a subire la
concorrenza di altre fonti energetiche, secondo lo schema classico del ciclo di vita del
prodotto che, pur essendo stato formulato per i beni finali, sembra potersi applicare,
sia pure su ben più lunghi orizzonti temporali, anche alle fonti di energia.
1.3
La comparsa del petrolio e dell'energia elettrica
L'accelerazione del processo di innovazione tecnologica indotta dalla rivoluzione
industriale porta, nel settore dell'energia, anche alla realizzazione di nuovi dispositivi
per la trasformazione dell'energia termica in energia meccanica. Tra questi una
posizione di primo piano spetta al motore a scoppio, con una flessibilità di impiego e
un rendimento energetico superiore a quello della macchina a vapore.
Il rapido sviluppo del motore a combustione interna consentirà di avviare la parziale
sostituzione del carbone con i prodotti petroliferi nel settore dei trasporti già nel primo
decennio del ventesimo secolo.
L' affermazione del petrolio sulla scena energetica mondiale è infatti strettamente legata
alla invenzione di questo tipo di macchina. Prima di questa scoperta l'uso del petrolio peraltro conosciuto sin dall'antichità - era rimasto limitato per una serie di ostacoli
tecnici ed economici.
Il primo era costituito dalla pratica impossibilità di utilizzarlo come combustibile in
quanto tale: a differenza del carbone, il petrolio doveva - e deve ancora oggi - essere
trasformato in prodotti attraverso il processo di raffinazione, che rappresenta una fase
produttiva ben distinta da quella dell'estrazione; inoltre, fino alla nascita del motore a
scoppio, gli unici prodotti con sufficiente spazio di mercato erano stati il petrolio per
illuminazione e riscaldamento ed alcuni derivati per uso non energetico (bitumi,
grassi, lubrificanti, etc.); la benzina era invece considerata un sottoprodotto
indesiderabile e pericoloso.
L'altra grande innovazione del secolo diciannovesimo è l'inizio della produzione su
scala industriale dell'energia elettrica: certamente la fonte energetica più duttile nel
senso che, oltre ad alimentare gli apparati elettronici, è la più facilmente trasformabile
in energia luminosa, in energia meccanica ed in energia termica.
La caratteristica di fonte derivata dalla trasformazione di una fonte primaria (energia
idroelettrica) ovvero di una fonte secondaria (energia termoelettrica da carbone, da gas,
da prodotti petroliferi), implica però che l'uso termico dell'energia elettrica - al di là di
una serie di usi tecnologici - si presenti poco conveniente dal punto di vista del
rendimento energetico e quindi, nella maggioranza dei casi, anche dal punto di vista
economico. In effetti, i primi utilizzi dell'energia elettrica sono l'illuminazione, con
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vantaggi enormi rispetto ai metodi tradizionali (lumi a petrolio o a gas derivati dal
carbone nel caso dell'illuminazione pubblica, etc.), e la fornitura di energia meccanica.
L'impiego crescente dell'energia elettrica ,per usi diversi da quelli termici, segnerà un
punto di svolta nella organizzazione della produzione: nella fabbrica della prima
rivoluzione industriale l'energia meccanica prodotta dalla macchina a vapore veniva
trasmessa con sistemi di cinghie alle varie posizioni di lavoro; nei nuovi stabilimenti
l'energia elettrica potrà, invece, alimentare tanti motori quante sono le necessità
produttive, con un enorme vantaggio in termini di flessibilità operativa.
L'energia elettrica consente anche di ampliare la gamma delle fonti di energia
complessivamente utilizzate: essa infatti può essere prodotta sia sfruttando le risorse
idriche su scala ben più ampia di quella dell'epoca dei mulini, sia ricorrendo a macchine
alimentate da carbone e prodotti petroliferi.
1.4
Gli inizi del 1900
I fabbisogni energetici mondiali - sul finire del diciannovesimo secolo - continuano ad
essere soddisfatti dal carbon fossile, che rimane ancora la fonte dominante, ma la
presenza dei prodotti petroliferi, dell' energia elettrica e del gas naturale comincia,
specie in alcune aree e paesi , a raggiungere livelli significativi.
Dal punto di vista degli usi finali, il carbone è ancora usato su ampia scala per fornire
calore all'industria e agli usi domestici , per essere trasformato in gas d'officina, per la
trazione ferroviaria e la propulsione navale; i prodotti petroliferi sono per lo più
impiegati per l'illuminazione nelle aree non servite da reti di distribuzione di elettricità
o di gas, per la propulsione di alcune navi a vapore in sostituzione del carbone e per
l'alimentazione delle prime auto; l'energia elettrica è utilizzata per l ' illuminazione e
per fornire forza motrice.
I fabbisogni energetici mondiali tra il 1900 e il 1925
(milioni di tep)
Comb.li
solidi
1900
455
1913
813
1925
800
Fonte: v. tavola pag.
Petrolio
Gas
Energia
idroelettrica
Totale
21
49
140
10
15
41
2
4
20
489
881
1.001
Questo schema subisce importanti mutamenti ad un ritmo sempre più accelerato:
mentre i fabbisogni termici dell'industria continuano ad essere soddisfatti
prevalentemente dal carbone e dai suoi derivati, si prospettano nuovi utilizzi
dell'energia elettrica nella metallurgia e nella chimica, ed anche nel settore degli usi
domestici e commerciali si amplia il ricorso ai prodotti petroliferi e all'energia elettrica,
in concorrenza non solo con i combustibili solidi ma anche con il gas di officina,
certamente la forma di utilizzo del carbone più flessibile e più facile per l'utente finale .
Nel campo dell'energia per trasporto, l'affermazione del motore a scoppio ed il suo
impiego, oltre che per trazione terrestre anche per quella navale, segnano l'avvio di
una svolta nella struttura del bilancio energetico mondiale.
Il carbone, per contro, vede ridursi la propria quota di mercato molto rapidamente: esso
sarà infatti impiegato solo nella trazione ferroviaria in concorrenza con l'energia
elettrica, in rapido sviluppo per le sue eccellenti caratteristiche, e nell'alimentazione del
naviglio di tipo più antiquato in via di progressiva sostituzione con le nuove unità spinte
da propulsori che utilizzano derivati petroliferi.
L'energia elettrica guadagna spazi di mercato sempre piùsignificativi nel campo della
11
illuminazione delle abitazioni, degli uffici e degli spazi collettivi .
1.5
Dagli anni '20 alla seconda guerra mondiale
Dopo la conclusione della prima guerra mondiale, che ha dato una spinta notevole
all'innovazione tecnologica anche in campo energetico,il modello di sviluppo
economico basato sull'impiego di quantitativi crescenti di fonti di energia fossili si
rafforza sempre più. Si valuta che nel 1925 il fabbisogno energetico mondiale abbia
raggiunto il livello di 1 miliardo di tonnellate di petrolio equivalenti, di cui 800
rappresentate da combustibili solidi per lo piùdi origine fossile, 140 da petrolio, 40 da
gas naturale e 20 da energia idroelettrica.
Nell'ambito del nuovo modello di utilizzo delle fonti energetiche, solo l'energia
idroelettrica - tra le fonti rinnovabili - riesce ad avere un ruolo significativo, mentre il
resto del fabbisogno energetico sarà soddisfatto con lo sfruttamento sempre più intenso
delle riserve di fonti non rinnovabili .
Il Nord-America e, in particolare, gli Stati Uniti sono all'avanguardia nella creazione di
un sistema di produzione e di consumo, che comporta una forte crescita dei fabbisogni
energetici, ma anche una piùrapida diversificazione del bilancio energetico .
In questa area la disponibilità di energia termica per usi industriali e civili viene presto
integrata dal gas naturale, una fonte energetica con un potenziale simile a quello del
petrolio ed il cui utilizzo, sempre più esteso, viene reso possibile dalla costruzione di
una grande rete di metanodotti per il trasporto dalle aree di produzione a quelle di
consumo.
L'eccezionale sviluppo dei trasporti comporta altresì la rapida crescita del ruolo del
petrolio .I consumi energetici,pari nel 1925 a 507 milioni di tep, con una presenza già
molto significativa di petrolio (99 milioni di tep) e di gas naturale (23 milioni di tep),
raggiungono al momento della grande crisi 576 milioni di tep, con una quota degli
idrocarburi pari ad oltre il 30% ed una presenza dell'energia elettrica superiore al 10%.
I fabbisogni energetici tra il 1925 e il 1938
(milioni di tep)
Comb.li
solidi
Petrolio
1925
1929
1938
800
905
825
140
192
259
1925
1929
1938
380
395
250
1925
1929
1938
30
50
80
Gas
Energia
Idroelettrica
Totale
MONDO
1925
1929
1938
Fonte:
330
385
380
v. tavola pag.
41
56
83
NORD AMERICA
99
23
135
36
149
55
EUROPA ORIENTALE
8
2
13
3
32
9
EUROPA OCCIDENTALE
12
1
18
1
34
1
20
33
50
1.001
1.185
1.217
5
9
17
507
472576
..
..
3
39
66
124
7
9
14
350
413
429
Sia pure con un certo ritardo, anche l'Europa Occidentale si adegua ai modelli
produttivi e di consumo che si affermano negli Stati Uniti: lo sviluppo delle
motorizzazione privata è infatti molto più lento e ciò rende meno rapida la penetrazione
del petrolio nel bilancio energetico dei paesi europei.
12
Nel 1925 i consumi energetici dell'area sono pari a 350 milioni di tep, di cui 330
rappresentati dai combustibili solidi ,12 dal petrolio e 7 dall'energia idroelettrica .
Negli anni successivi la crescita del petrolio e dell'energia idroelettrica sarà più rapida
di quella dei combustibili solidi, la cui quota comincia a declinare,
sia pure
lentamente.
Questo periodo si caratterizza anche per l'ulteriore affermazione dell'energia elettrica
per la produzione di energia meccanica, per l'illuminazione, per il trasporto e, infine,
per l'alimentazione dei primi elettrodomestici e dei primi apparecchi elettronici che si
sviluppano molto rapidamente; il complesso di queste applicazioni comporterà la
nascita e lo sviluppo di utilizzi elettrici obbligati, con notevoli implicazioni sulla
struttura dei sistemi energetici.
Il ruolo del carbone subisce una importante modifica dal punto di vista degli usi finali
con la perdita graduale, ma inarrestabile, del mercato della produzione di energia
meccanica:la macchina a vapore viene infatti rapidamente sostituita dai motori elettrici
e dai motori a combustione interna.
In compenso esso viene sempre più impiegato nella produzione termoelettrica ad
integrazione dell'energia idroelettrica,che sia pure in forte sviluppo non riesce a
soddisfare la domanda e mantiene le posizioni nel campo della chimica.
Per contro, i prodotti petroliferi assumono un rilievo sempre più strategico nel
funzionamento del sistema economico mondiale che, dopo quella industriale, è ora
interessato ad una nuova rivoluzione nel settore dei trasporti.
La mobilità delle persone e delle merci può infatti contare ,in aggiunta ai mezzi
collettivi, sulla produzione in serie di auto ed autocarri. Questa innovazione, ricchissima
di conseguenze per il settore energetico, modificherà profondamente il modello di
sviluppo, dapprima del Nord-America e poi dell'Europa e del resto del mondo .Benzina,
gasolio, olio combustibile diventano le fonti di alimentazione - praticamente
insostituibili - della stragrande maggioranza dei mezzi di trasporto terrestri,marittimi ed
aerei .
A questi mercati specializzati ed altamente remunerativi si aggiunge anche quello
molto interessante, specie in prospettiva, della petrolchimica.
Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale - e soprattutto negli Stati Uniti,
all'avanguardia nella utilizzazione del petrolio - vengono messi a punto i primi
processi per la produzione della gomma sintetica, di prodotti tessili (nylon) e di una
serie di prodotti chimici che ben presto passeranno alla fase industriale, sino alla
definitiva affermazione (negli anni '50) sui derivati della chimica del carbone.
L'Unione Sovietica, seppure caratterizzata da un sistema economico e politico
profondamente diverso, negli obiettivi e nei metodi di funzionamento, da quelli degli
Stati Uniti e dei paesi europei, investe anch'essa notevoli risorse nello sviluppo del
settore energetico. L'energia idroelettrica, in particolare, considerata fattore chiave del
processo di industrializzazione, si affianca rapidamente all'industria del carbone e del
petrolio, che vanta una struttura già ben consolidata e che viene anch'essa potenziata.
Tra il 1925 ed il 1938 i consumi energetici mondiali passano da 1,5 a 1,8 miliardi di
tonnellate di petrolio equivalenti,nonostante gli effetti della crisi economica del 1929
che porta ad un drastico ridimensionamento dei consumi del Nord-America. Il
fenomeno dell'espansione dei consumi energetici tende ormai ad assumere un rilievo
mondiale anche se la quota dei paesi al di fuori del Nord-America e dell'Europa
occidentale ed orientale, compresa l'Unione Sovietica,nel 1938, è di poco superiore al
10%.
1.6 Energia e sviluppo economico negli anni '50 e '60
Nel 1950, conclusa la fase della ricostruzione post-bellica, i consumi energetici
mondiali raggiungono i 2,6 miliardi di tep con un incremento di circa 0,8 miliardi di
13
tep rispetto al livello di anteguerra. Anche la struttura dei consumi energetici presenta
dei cambiamenti molto significativi:la quota dei combustibili solidi, pari nel 1938 al
68% circa, scende al 57% circa, mentre quella del petrolio raggiunge il 28 % e quella
del gas naturale il 10%. In ulteriore consolidamento la quota dell'energia idroelettrica
che sfiora il 5 %.
I fabbisogni energetici tra il 1950 ed il 1970
(milioni di tep)
Comb.li
solidi
Petrolio
1950
1965
1970
1.010
1.440
1.518
498
1.490
2.201
1950
1965
1970
354
310
345
1950
1965
1970
325
336
288
1950
175
1965
305
1970
498
Fonte: v. tavola pag.
Gas
Energia
Idroelettrica
MONDO
180
87
553
226
841
268
NORD AMERICA
320
146
35
594
391
72
755
539
91
EUROPA OCCIDENTALE
55
1
25
368
16
65
591
63
69
EUROPA ORIENTALE
45
17
6
210
120
30
315
189
39
Nucleo
elettrica
Totale
..
7
18
1.775
3.716
4.845
..
2
5
855
1.369
1.735
..
5
10
406
790
1021
..
..
1
43
665
1.052
La scoperta e la valorizzazione delle enormi riserve di greggio del Medio Oriente, con
costi di estrazione decisamente inferiori a quelli degli Stati Uniti, rendono possibile ,
anche attraverso la rottura degli accordi oligopolistici fino ad allora dominanti,
l'estensione dell' utilizzo dei prodotti petroliferi anche nei settori dove la fonte
carbonifera occupa ancora un ruolo di rilievo (calore per usi industriali e civili e
produzione termoelettrica).
La crescente competitività dei prodotti petroliferi viene assicurata dal progressivo
abbandono del sistema di controllo dei mercati e delle aree di influenza instaurato nel
1928 con gli accordi di Achnacarry, che avevano istituito un patto di cartello tra la
Shell, la Anglo Persian e la Standard N.J.i, esteso a tutte le aree del mondo al di fuori
degli Stati Uniti e dell'Urss.
Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, l'affacciarsi sul mercato
internazionale di nuovi operatori indipendenti che puntano ad una politica di
ampliamento delle proprie quote di mercato modifica profondamente gli equilibri
preesistenti ed i tradizionali meccanismi di fissazione dei prezzi del greggio e dei
prodotti .
In particolare si rivela non più praticabile il riferimento, in tutto il mondo, ai prezzi
vigenti negli Stati Uniti, cui erano collegati prezzi del greggio e dei prodotti con il
sistema dell"import parity".Questo sistema comportava che i prezzi sui vari mercati
mondiali fossero fissati aggiungendo il costo di trasporto ai prezzi praticati nell'area del
Golfo del Messico, da cui tradizionalmente venivano esportati i prodotti delle raffinerie
americane .
In particolare, nel corso degli anni '50, con l'eccezione del periodo della crisi di
Suez(1956)che si era ripercossa anche sulle quotazioni dei prodotti petroliferi, i prezzi
del greggio effettivamente praticati iniziano una fase discendente.
La nascita dell'Opec nel 1960, su iniziativa del Venezuela, si collega con l'obiettivo dei
14
paesi membri di salvaguardare i propri interessi e le proprie entrate in una fase di
prezzi calanti percepita come una forte minaccia per le loro prospettive di sviluppo.
Per contro, specie nel caso dei Paesi Ocse, la possibilità di acquisire una fonte di
energia ad un prezzo, per unità calorica, notevolmente ridotto rispetto a quello della
fonte allora prevalente - cioè il carbone - ha due ordini di conseguenza: i paesi già
industrializzati, ovvero quelli dotati di riserve di carbone, riducono progressivamente
l'impiego di tale fonte a favore del più economico petrolio che diventa un fattore di
ulteriore crescita; paesi come il Giappone e l'Italia -scarsamente dotati di fonti di
energia - si trovano in condizioni comparabili,in termini di costi energetici, a quelle
delle altre economie e possono iniziare un nuovo ciclo di sviluppo, ben più intenso di
quello realizzato prima della seconda guerra mondiale, che li porta a livelli di reddito
prossimi a quelli dei paesi economicamente più avanzati.
La disponibilità di greggio e quindi di prodotti derivati a prezzi stabili e/o decrescenti in
termini reali ha come ulteriore conseguenza il continuo allargamento dei mercati di
utilizzo: rispetto al tradizionale settore dei trasporti, i prodotti petroliferi vengono
impiegati in misura crescente:
• come combustibile per l'industria;
• come materia prima per l'industria petrolchimica, con le punte di massimo sviluppo
negli anni '60;
• come combustibile per il riscaldamento nel settore domestico, commerciale e dei
servizi;
• come combustibile nelle centrali termoelettriche per la trasformazione in energia
elettrica.
L'affermazione del petrolio non impedisce, però, che in alcune aree geografiche si
manifesti un notevole sviluppo degli impieghi di gas naturale; all'inizio degli anni
cinquanta questa fonte rappresenta il 10 per cento del fabbisogno energetico mondiale:
i principali mercati di utilizzo sono costituiti dagli usi termici industriali e dagli usi
civili; gli impieghi termoelettrici rivestono un ruolo ancora secondario.Dopo un
decennio, l'importanza relativa nei vari mercati di utilizzo si va progressivamente
modificando a favore degli usi civili e di quelli termoelettrici, che appaiono
caratterizzati da una dinamica più accentuata degli usi industriali che pure avevano
assicurato la base dello sviluppo di questa fonte di energia.
In Unione Sovietica, gli investimenti per la ripresa economica del dopoguerra
considerano come prioritario quello dell'energia: come conseguenza vengono
valorizzate ingenti riserve di gas che, nel 1970, vengono stimate pari a oltre 12.000
miliardi di mc, ovvero il 30% di quelle mondiali, mentre i consumi arrivano a circa 200
miliardi di mc/anno. Viene anche realizzata una grande rete di trasporto che potrà,
successivamente, sostenere sempre maggiori esportazioni verso ovest .
In Europa occidentale grazie ai ritrovamenti della Valle del Po in Italia, di Lacq in
Francia nel 1951, e di Slochteren, nei pressi di Groningen, nei Paesi Bassi nel 1959, il
mercato del gas naturale comincia a crescere.
Successivamente, altre risorse importanti vengono individuate e sfruttate. Al primo
posto si colloca lo sfruttamento del giacimento di Groningen, che consente ai Paesi
Bassi di divenire nel 1970 il più importante paese consumatore e produttore della
regione, con una produzione di oltre 30 miliardi di mc/anno e con 2.000 miliardi di mc
di riserve recuperabili. Tali riserve consentono anche di alimentare un flusso di
esportazione verso Belgio, Germania Federale e Francia già a partire dal 1966.
Le risorse del Medio Oriente, in conseguenza dell'intensa attività petrolifera in questa
area, sono stimate, nel 1970, pari ad oltre 6.600 miliardi di mc. L'Iran, che ne detiene
oltre 3.000, è anche l'unico grande consumatore della regione, con una produzione nel
1970 di 12 miliardi di mc/anno, di cui circa 1 esportato in Unione Sovietica.
Anche in Giappone nasce un mercato del gas naturale, basato dapprima sulla modesta
produzione domestica, ma sviluppatosi in seguito con massicce importazioni di GNL.
Nel 1970 il consumo risulta pari a 4 miliardi di mc, di cui 1 circa coperto dal GNL
15
dell'Alaska, sulla base di un contratto d'importazione diventato operativo nel 1969.
In Africa, con oltre 3.800 miliardi di mc di riserve, l'Algeria è l'unico paese a sfruttare
le sue ingenti risorse, valutate in quasi 3.000 miliardi di mc, per soddisfare parte dei
propri fabbisogni di energia e per alimentare le prime esportazioni sotto forma di GNL.
A partire dal 1970 si cominciano ad individuare nuove aree di consumo e nuove
potenzialità di produzione.
La domanda supera i 1.000 miliardi di mc, che rappresentano più del 18% del
fabbisogno di energia nel mondo; il 63% dei consumi è localizzato nel Nord America,
dove il gas naturale ha un ruolo energetico del 32%; il 23% nell'Europa dell'Est, con
un ruolo del 18%; l'8% in Europa occidentale, con un ruolo del 7% solamente. Anche
se con quantitativi minori, il gas naturale ha invece un ruolo considerevole in aree
geografiche come l'America Latina (22%) e il Medio Oriente (26%).
Le riserve sono valutate in 40.000 miliardi di mc , di cui 32% nell'Europa dell'Est,
24% nel Nord America, 17% nel Medio Oriente, 10% in Africa, 9% in Europa
occidentale e il restante 8% ripartito tra America Latina e Asia-Oceania.
L'affermazione degli idrocarburi sulla scena energetica mondiale comporta un forte
ridimensionamento della quota dei combustibili solidi, il cui utilizzo si va concentrando
negli usi siderurgici e nella produzione termoelettrica .La perdita di quota non significa
però diminuzione generalizzata nei livelli assoluti: tra il 1950 ed il 1970 , a fronte di
una riduzione dei livelli di consumo in Europa occidentale e negli Stati Uniti, si
registrano sensibili incrementi nell'Europa orientale, che costituisce ormai un blocco
economico non guidato dalle convenienze di mercato ma da obiettivi di produzione
fissati centralmente, e nei paesi in via di sviluppo, tra cui la Cina e l'India, sia pure con
diverse strutture economiche.
Notevole interesse suscita la realizzazione delle prime centrali nucleari, destinate,
secondo i piani di investimento di molte imprese elettriche pubbliche e private, ad una
rapidissima crescita .Le aspettative si realizzeranno però solo in parte per il
progressivo manifestarsi di una serie di ostacoli tecnici ed economici di portata ben
superiore al previsto .
Il contributo di questa fonte primaria al soddisfacimento del fabbisogno mondiale
raggiunge nel 1970 il valore dello 0,4%, ovvero circa 18 milioni di tep, di cui circa 10
prodotte nell'Europa occidentale e nel Nord-America.
In conclusione, negli anni '50 e '60 la disponibilità di energia non costituisce mai un
vincolo alla crescita economica; al contrario, le condizioni di mercato assecondano il
costante aumento della produzione e la nascita di un sempre più ampio mercato di
inputs di base,di beni strumentali e di beni di consumo il cui utilizzo richiede, a sua
volta, un crescente ricorso alle fonti di energia. Il consumo energetico mondiale
raggiunge nel 1973 i 6 miliardi di tep , di cui 3 soddisfatti dal solo petrolio.
Inoltre la progettazione di gran parte dei beni e degli apparecchi utilizzatori di energia
parte dal presupposto che quest'ultima sia sempre disponibile a prezzi tali da non
richiedere particolari accorgimenti in materia di efficienza. Questo fenomeno - che avrà
pesanti ripercussioni nel periodo successivo quando si rivelerà la difficoltà di
conversione dei sistemi energetici - trova riscontro in tutti i settori, da quello
industriale, a quello del riscaldamento, a quello dei trasporti e a quello degli apparecchi
elettrodomestici, con punte più o meno accentuate a seconda delle caratteristiche e del
livello di reddito dei vari paesi.
16
CAP. II
LE CRISI E I LORO EFFETTI
2.1 Gli avvenimenti
Il modello di sviluppo basato su impieghi crescenti di energia viene messo in crisi dalle
crisi energetiche del 1973 e del 1979. La prima crisi è innescata dal conflitto tra Israele
ed Egitto , cui fa seguito l'embargo dei paesi Arabi produttori ed esportatori di greggio
nei confronti dei paesi alleati di Israele. La seconda è provocata dalla rivoluzione
iraniana, cui fa seguito la lunga guerra tra Iran ed Iraq, conclusasi nell'agosto 1988.
La crisi di Suez (1956) e la guerra arabo-israeliana del 1967 avevano già portato a
gravi difficoltà nel sistema di approvvigionamento petrolifero dei paesi occidentali e a
repentini aumenti di prezzo, ma l'impatto era stato riassorbito abbastanza rapidamente.
I repentini aumenti dei prezzi internazionali del greggio, innescati da questi eventi,
derivano, in realtà, più che dall'esaurimento delle risorse mondiali di petrolio, dal
verificarsi di situazioni di quasi pieno utilizzo della capacità produttiva.
Queste occasioni vengono colte pienamente dai paesi OPEC (Organizzazione dei Paesi
Produttori ed Esportatori di Petrolio) che divengono protagonisti della politica
petrolifera mondiale.
Si tratta di un obiettivo perseguito dal lontano 1960 in una situazione di mercato ben
diversa, ovvero quando il prezzo del greggio sembrava destinato a subire ulteriori
erosioni, compromettendo definitivamente le prospettive di sviluppo economico dei
paesi fondatori dell'organizzazione stessa, riuniti per iniziativa del Venezuela.
Oltre che affermare il ruolo dell'OPEC, le due crisi petrolifere mettono in discussione
l'intero sistema energetico mondiale, sia dal punto di vista dell'offerta sia da quello
della domanda.
Relativamente all'offerta, i paesi industrializzati, singolarmente e su base collettiva ,
attraverso l'AIE (Agenzia Internazionale per l'Energia) e la CEE, fissano ambiziosi
traguardi di riduzione del grado di dipendenza dal petrolio di importazione e di
diversificazione del bilancio in fonti primarie.
Strumenti di questa politica sono lo sviluppo di nuove risorse di idrocarburi al di fuori
dell'area OPEC (Mare del Nord, Messico), la rivalutazione del carbone, un forte
impulso all'energia nucleare negli USA, in Europa ed in Giappone.
Il ricorso alla fonte nucleare - in contrasto con le ottimistiche aspettative - incontra però
una serie di limiti e una opposizione che si fa via via più decisa dopo l'incidente di
Harrisburg (USA, 1980) e il ben più grave episodio della fusione del nocciolo della
centrale sovietica di Chernobyl. In Europa solo la Francia realizza pienamente il suo
programma di installazione di centrali nucleari.
2.2 Il cambiamento del legame tra energia e sviluppo
Un altro fondamentale effetto delle due crisi energetiche è quello relativo alla
razionalizzazione della domanda.
Presupposto di questo approccio è una crescente attenzione al problema dell'efficienza e
del miglioramento del rapporto tra energia utile (quella che interessa effettivamente
all'utente) ed energia primaria (quella che l'industria energetica deve approvvigionare).
Nell'epoca dell'energia a basso costo, questi due aspetti erano stati trascurati dando
luogo a sistemi energetici poco diversificati e poco efficienti.
Una serie di autorevoli studi dimostrano invece la perfetta conciliabilità tra efficienza
17
energetica ed elevato standard di benessere1 2 3 4.
L'uso razionale dell'energia, la realizzazione di nuovi tipi di caldaie e di motori, la
produzione combinata di energia elettrica e di calore si rivelano come le aree di
intervento prioritario; poco praticate sono ,invece, le modifiche strutturali dei sistemi di
trasporto, che tendono ancora a privilegiare il ricorso ad auto ed autocarri, a scapito
dei vettori energeticamente più efficienti (treni e navi).
D'altra parte, la razionalizzazione dei cicli di produzione e di utilizzo dell'energia
comincia ad imporsi anche come fondamentale contributo al contenimento dell'impatto
ambientale connesso all'impiego delle fonti di energia.
La dinamica dei consumi energetici comincia così a risentire, oltre che dell'impatto
negativo sul ciclo economico degli aumenti dei prezzi del greggio, di una profonda
modifica delle strutture produttive, che tendono a ridurre il peso delle attività a
maggiore assorbimento energetico, nonchè di una serie di cambiamenti tecnologici che
riducono il consumo di energia a parità di servizio reso (risparmio e conservazione
dell'energia).
In altri termini il processo di riduzione dell’ intensità energetica (il consumo di energia
per unità di prodotto, espresso in moneta costante )subisce una forte accelerazione
anche se con delle notevoli differenziazioni a livello di area .
Nell’area Ocse ,dove già prima delle crisi alcuni comparti industriali avevano raggiunto
la fase della maturità,l’intensità energetica subisce ,tra il 1970 ed il 1980 una riduzione
del 14% ,seguita da una ulteriore flessione del 18% nel decennio successivo .
Il fenomeno subisce peraltro una pausa nella prima metà degli anni ’90 in relazione alla
minore tensione sui prezzi dell’energia ed al rallentamento nell’introduzione sul
mercato di tecnologie ancora più efficienti .
Nei paesi in via di sviluppo (PVS) la dinamica dell’intensità energetica sembra
muoversi in controtendenza: nel periodo 1970-1990 si registra un aumento del , 30% .In
realtà per molti di questi paesi, a partire da quelli produttori di petrolio, questo periodo
corrisponde anche ad una fase di sviluppo intenso, spesso basato su attività ad alto
assorbimento energetico,ma già a partire dal 1990 l’intensità energetica non appare più
in crescita .
Nei paesi dell'Europa orientale (PEO), l'intensità energetica raggiunge nel 1980 il
massimo livello mondiale per poi ridursi nel decennio successivo pur mantenendosi ben
al di sopra della media mondiale.
Un modello di sviluppo basato sulla industrializzazione, in mancanza di segnali di
scarsità relativamente all’uso delle fonti energetiche,è all’origine di questa situazione
che stenta a a modificarsi anche dopo il crollo dei sistemi ad economia pianificata.
Dopo il 1990 ,infatti, a seguito di flessioni del prodotto interno lordo ancora più
accentate di quelle della domanda di energia risulta ancora in aumento ,sottolineando lo
spessore della crisi di questi paesi (v.cap.v).
1 Rapporto Saint-Geours, Pour une croissance econome en energie, Commission des
Communautes Europeennes, Bruxelles, 1979
2 Alternative Energy Demand Futures to 2010, National Accademy of Sciences, Washington,
D.C., 1979
3 An efficient Energy Future: Prospects for Europe and North-America, United Nations
Economic Commission for Europe, ButterWorths, London 1983
4 L. Schipper, S. Meyers, Energy efficiency and human activity: past trends, future prospects,
Cambridge University Press, Cambridge, 1992
18
2.3 I cambiamenti della struttura industriale
La continua espansione dei consumi energetici è stata una caratteristica costante del
modello di industrializzazione seguito negli ultimi due secoli che, anche se in quadri
istituzionali diversi, si è diffuso prima nell'Europa occidentale e poi nell'America del
nord e nell'Europa orientale.
Durante l'ultima fase di espansione degli anni '50 e '60 e anteriormente alla prima crisi
energetica, l'incidenza dei consumi di energia per usi industriali sulla domanda
energetica complessiva, era, comunque, in fase riflessiva a cominciare dai sistemi più
maturi, quali quello nordamericano.
Le due crisi energetiche hanno accelerato tale processo e, negli anni '80, hanno
comportato una diminuzione dei consumi energetici industriali dovuta agli sforzi di
razionalizzazione dell'uso dell'energia e all'introduzione di nuove tecnologie di
produzione e di nuovi materiali. L'entità di questo fenomeno, chiamato da alcuni
dematerializzazione, è difficile da misurare, perchè tra l'altro il processo di
industrializzazione si è esteso ad altre zone geografiche, con caratteristiche non sempre
facilmente identificabili 1.
Per interpretare il fenomeno ,che riveste grande importanza per la valutazione dei futuri
fabbisogni di energia, si sono analizzati i seguenti fenomeni: l'andamento dei consumi
industriali e delle relative intensità energetiche, l'andamento della produzione e della
localizzazione di alcuni settori ad alta intensità di energia, l'andamento del consumo per
unità di prodotto di alcuni materiali di base.
Con riferimento al primo fenomeno, dal 1970 al 1990 i consumi energetici industriali a
livello mondiale sono cresciuti ad un ritmo più lento di quello relativo ai consumi
energetici complessivi : dal 1970 al 1980, di circa 440 milioni di tep e, nel decennio
successivo, di 220 Mtep.
Nei paesi membri dell'OCSE, dal 1970 al 1990, i consumi energetici industriali si sono
comportati in modo diverso nel primo e nel secondo decennio. Fra il 1970 ed il 1980,
essi sono cresciuti ancora di circa 50 Mtep, mentre sono scesi di 40 Mtep nel periodo
successivo,per poi registrare , negli ultimi anni, nuove tendenze al rialzo.
Il ruolo dell'intensità energetica è stato determinante :negli anni '70, essa ha contenuto
la tendenza al rialzo dei consumi energetici in valore assoluto; negli anni successivi
essa ha contribuito alla loro diminuzione .Il fenomeno ,aiutato dai programmi e dalle
politiche di conservazione, è stato molto accentuato nelle industrie ad alta intensità di
energia .
I consumi energetici dell'industria dei paesi dell'Europa orientale, compresa l'ex-URSS,
sono saliti nettamente fino agli inizi degli anni '80, anche a causa del peso delle
industrie di base.
Negli anni '80, con l'emergere di difficoltà economico-politiche, la domanda energetica
dell'industria si è dapprima contratta e poi è scesa alla fine del decennio, in
concomitanza con la crisi dei modelli politico-economici dominanti da sessant'anni. In
questa regione, l'intensità energetica nel 1970 ha superato quella della regione OCSE
del 70% (e l'intensità dell'industria dell'84%), amplificando l'effetto dell'incremento del
PIL. Questa tendenza si è invertita nel decennio successivo, quando la variazione del
PIL si è accompagnata ad una lieve caduta dell'intensità energetica e ad una minore
incidenza del PIL dei PEO sul totale mondiale. Nonostante questa evoluzione, agli inizi
degli anni '90, la regione est-europea ha ancora la più alta intensità energetica, pari a tre
volte quella della regione OCSE. Ciò conferma l'enorme potenzialità di risparmio
energetico e di dematerializzazione di un sistema che si è sviluppato al di fuori delle
regole del mercato e quindi senza direttive per una distribuzione efficiente delle fonti
energetiche e delle materie prime.
1 V. D'Ermo, S. La Bella, N. Passarini, G. Vergerio, Industrialized Economies and base material
industries - Dematerialization and relocation: myths and realities, WEC, Madrid, 1992.
19
Il comportamento dei PVS è stato diverso, con una tendenza al rialzo dei consumi
energetici industriali, sostenuti da un aumento dell'intensità .
In Medio Oriente sono state costruite molte grandi raffinerie dopo la decisione dei
paesi produttori di greggio di gestire autonomamente le proprie risorse; ciò ha fatto
salire i consumi del comparto industriale da 14 a 22 Mtep dal 1970 al 1980 e a 49 Mtep
alla fine degli anni '80. Anche i consumi dell'Africa sono aumentati notevolmente; in
questo caso la crescita è stata anche strettamente legata alla localizzazione di impianti
per la trasformazione di materiali energetici di base. In entrambe le aree, l'incremento
della domanda energetica si è accompagnato ad un considerevole aumento dell'intensità
energetica. I paesi dell'area del Pacifico, con un repentino e intenso processo di
industrializzazione, hanno visto crescere i loro consumi energetici, nonostante la
diminuzione dell'intensità energetica. Anche nell'America Latina l'industrializzazione
ha comportato un aumento dei consumi energetici, passati da 43 Mtep a 83 Mtep negli
anni '70 e poi a circa 110 Mtep verso la fine del decennio successivo, con un
conseguente aumento dell'intensità energetica.
Nel complesso, i consumi energetici industriali dei PVS sono passati da 260 Mtep nel
1970 a 470 Mtep nel 1980 e a 695 Mtep nel 1990. Il PIL corrispondente, anche se con
notevoli differenze, è salito del 72 % nel periodo 1970-80 e del 33 per cento nel
decennio successivo;questi andamenti , insieme all' aumento dell'intensità energetica,
rendono debole l'ipotesi di una sostanziale dematerializzazione del sistema economico
mondiale. Parte dei risparmi energetici dell'area OCSE sono stati quindi controbilanciati
dall'aumento dei consumi industriali nei PVS, dove un ulteriore ampliamento della base
economico-produttiva richiederà, in ogni caso, la razionalizzazione degli usi energetici
e tecnologie più avanzate.
In conclusione, anche se in tutto il mondo i consumi energetici dell'industria stanno
perdendo il loro ruolo trainante a beneficio degli altri settori (terziario, trasporti e
domestico), essi mantengono un peso rilevante, che sembra difficilmente comprimibile.
L'indubbio declino dell'intensità energetica dell'industria registrato soprattutto dai paesi
OCSE, alimentato dagli interventi di risparmio, dalle nuove tecnologie e da una minore
intensità d'uso di materiali di base, è stato compensato da fattori quali la
delocalizzazione di molti impianti di produzione ad alta intensità di energia e l'avvio di
processi di industrializzazione in nuove aree con tecnologie non sempre finalizzate al
risparmio energetico, soddisfacendo sia la domanda locale che le esportazioni. La
prospettiva di una contrazione dei consumi energetici dell'industria appare, quindi,
subordinata al verificarsi di una serie di interventi di politica industriale e energetica.
Anzitutto, gli interventi di risparmio energetico avviati nella regione OCSE dovrebbero
essere mantenuti ed intensificati. In secondo luogo, tutti gli ostacoli ad una più ampia
diffusione delle tecnologie a bassa intensità energetica dovrebbero essere rimossi. In
terzo luogo, dovrebbe verificarsi un passaggio più rapido ai materiali di nuova
generazione, su scala mondiale.
2.4 I fabbisogni di energia ed il ruolo delle diverse fonti primarie
La domanda mondiale di energia , che tra il 1970 ed il 1973 era aumentata da 5,0 a 5,7
miliardi di tep, subisce una battuta di arresto per effetto della forte recessione
economica innescata dalla già richiamata crisi del Kippur del 1973 e dall'avvio dei
processi di modifica dei legami tra energia e sviluppo .
Dopo il recupero del periodo 1976-1979, i consumi mondiali di energia, che si erano
portati sino 6,7 miliardi di tep nel 1979, subiscono un nuovo ridimensionamento, come
conseguenza della fase recessiva provocata dal nuovo forte rialzo dei prezzi del
greggio, determinato, a sua volta, dalla guerra tra Iran e Iraq.
Questa fase particolare, dominata dalle crisi, si interrompe dopo il 1982 con l'inizio di
una nuova fase di espansione, che porterà la domanda mondiale di energia a
raggiungere gli 8,4 miliardi di tep nel 1995.
20
In questo arco temporale notevoli sono anche le modifiche della struttura della
domanda di fonti primarie.
Nel 1973 i combustibili solidi soddisfano circa il 31 % del totale; il gas il 18,4%; il
petrolio il 45,0 %; l'energia idrogeoelettrica il 5,2 %; l'energia nucleare meno dell'1 %.
Nel 1980 appaiono alcuni significativi spostamenti a favore dell'energia nucleare che si
porta al 2,3%, del gas naturale che si porta al 19,7 %, dell'energia idrogeoelettrica che si
porta al 5,7 %, mentre il petrolio, che sembrava avviato a superare il 50%, scende al
44,9 %.
Nel 1985, alla vigilia del crollo dei prezzi del greggio del 1986, la struttura è ancora in
fase di modifica, con i combustibili solidi che si sono portati a poco meno del 30 %; il
gas al 20,8 %; l'energia nucleare al 4,5, mentre il petrolio scende al 39,1 % e l'energia
idrogeoelettrica si colloca intorno al 6,0% .
Domanda mondiale di energia in fonti primarie (milioni di tep)
1970
OCSE
Combustibili solidi
gas naturale
petrolio
energia idroelettrica
energia nucleare
totale
1973
1975
1980
1985
1990
1995
774
683
1643
188
16
3304
722
756
1977
203
41
3697
694
722
1822
221
71
3530
807
802
1883
234
133
3859
905
770
1662
262
265
3864
946
862
1836
263
354
4261
907
1012
1922
284
421
4547
332
168
247
28
1
776
355
210
306
28
3
902
368
243
352
29
6
998
337
334
421
40
16
1149
323
490
417
47
37
1313
308
597
420
51
46
1422
192
470
215
55
38
969
Combustibili solidi
gas naturale
petrolio
energia idroelettrica
energia nucleare
totale
304
42
308
39
0
693
350
55
399
49
1
854
389
66
427
60
1
944
486
106
574
92
4
1261
673
164
639
126
14
1616
825
244
795
161
24
2049
983
343
1020
207
32
2586
Mondo
Combustibili solidi
gas naturale
petrolio
energia idroelettrica
energia nucleare
totale
1555
924
2253
261
17
5010
1581
1058
2752
287
44
5723
1616
1075
2681
318
79
5769
1820
1303
2974
378
155
6630
2100
1491
2802
446
323
7162
2245
1768
3138
484
437
8070
2211
1883
3227
558
505
8383
ex-URSS
Combustibili solidi
gas naturale
petrolio
energia idroelettrica
energia nucleare
totale
Paesi in via di sviluppo
* Poteri calorici adottati per la conversione delle unità fisiche in calorie e,quindi,in tonnellate equivalenti di
petrolio (tep) :combustibili solidi :6600kcal/kg ;gas naturale :9000 kcal/mc ;petrolio e prodotti
petroliferi :10000kcal/kg ;energia idroelettrica e nucleare : 2200 kcal/kWh
Fonte : Elaborazioni su BP, Statistical Review of World Energy, annate varie; IEA, World
Energy à Statistics and Balances, OECD, Paris, annate varie; IEA,Energy Balances of OECD
Countries, OECD, Paris,annate varie; questa serie, che si basa prevalentemente sui dati BP,
presenta alcune differenze rispetto a quella riportata nel capitolo I prevalentemente per i diversi
coefficienti di conversione in calorie del gas naturale e dei combustibili solidi .
Negli anni successivi il processo di modifica delle quote relative delle varie fonti
21
primarie cambia direzione, con una nuova perdita di peso dei combustibili solidi che
scendono di nuovo al di sotto del 30 %, la stabilizzazione della quota del petrolio
intorno al 39 %,la perdita di velocità dell'aumento della quota dell'energia nucleare che
raggiunge 1l 6% solo nel 1995 ed il rafforzamento della quota del gas naturale che
sempre nel 1995 supera la soglia del 20%..
Rispetto ai trend rilevabili a livello mondiale, la dinamica dei consumi di energia
presenta,nelle principali aree economiche, delle importanti differenze.
Nell’ambito dei paesi OCSE, dove si concentra circa la metà dei consumi mondiali di
energia., gli eventi del 1973 si traducono, in una flessione dei consumi complessivi di
energia che nel 1975 scendono a 3,5 miliardi di tep dopo aver toccato nel 1973 il
massimo storico di 3,7 miliardi di tep; la successiva crisi energetica comporta
riduzioni pronunciate e prolungate: da 3,9 miliardi di tep nel 1979, nuovo massimo, a
3,6 miliardi di tep nel 1983.
Nello stesso periodo anche la struttura dei consumi energetici della stessa area subisce
una trasformazione. Tra il 1973 e il 1980 il ruolo del petrolio diminuisce dal 53,5 al
48,8 %; quello dell'energia nucleare aumenta dall’1,1 al 3,4%; quello del gas passa dal
20,4 al 20,8; quello dei combustibili solidi passa dal 19.5 al 20,9; l'energia
idrogeoelettrica si porta al 6,1%. Nel 1985 le posizioni dei combustibili solidi e
dell'energia nucleare appaiono ulteriormente migliorate con quote rispettivamente del
23,4% e dell'6,9%; il petrolio segna un ulteriore arretramento sino al 43,0%; il gas
rimane intorno al 18%.
Nel 1990, a seguito della flessione dei prezzi internazionali del greggio,si cominciano a
notare evidenti sintomi di rallentamento del processo di diversificazione verso i
combustibili solidi che scendono al 22,2%,mentre l’energia nucleare sale all’8,3%e la
quota del gas si attesta intorno al 20%. Nello stesso periodo il processo di riduzione
della quota del petrolio tende ad attestarsi su livelli superiori al 40% del totale.
Ben diverso appare il profilo della domanda di energia dei paesi dell'Europa orientale e
dell'ex-Urss caratterizzati, fino al 1988, da un assetto pianificato dell’economia ivi
compreso il settore energetico . Questa area è così influenzata solo in misura limitata
dalle vicende che interessano le economie di mercato e soprattutto dagli aumenti dei
prezzi del greggio e del gas naturale che si verificano sui mercati internazionali; questi
aumenti addirittura beneficiano la bilancia commerciale dell'area dell’ex-URSS in
relazione alle sue caratteristiche di esportatrice netta di energia . Per contro, i prezzi
interni ,che continuano ad essere particolarmente bassi rispetto a quelli internazionali ,
favoriscono la crescita dei consumi ma anche di notevoli sprechi ', almeno sino al
1988, quando il sistema politico ed economico del COMECON entra definitivamente in
crisi.
Tra il 1973 ed il 1980 i consumi energetici complessivi dell'Europa dell'Est e dell 'exUrss passano da 1,2 miliardi di tep a 1,5 miliardi di tep, per raggiungere poi, nel 1988,
1,9 miliardi di tep. D'altra parte, in questi paesi, anche per la mancanza di una efficace
politica di conservazione, l'intensità energetica tende a rimanere costante e ciò fa si che
ogni aumento di Prodotto Interno Lordo si traduca in un corrispondente aumento di
fabbisogno energetico.
Con particolare riferimento ai paesi dell’Europa orientale, tra il 1973 e il 1990 la
struttura della domanda in fonti primarie subisce, dei significativi mutamenti a favore
del gas naturale, che passa dal 13,9% al 19,3% mentre nello stesso periodo il peso dei
combustibili solidi si riduce dal 57,2% al 48,9% e quello del petrolio si mantiene
intorno al 25%
Nella ex-URSS le modifiche sono ancor più rilevanti, con la quota del gas naturale che
supera la soglia del 40 % mentre i combustibili solidi scendono al 22% circa ed il
petrolio scende al di sotto del 30%.
Il crollo del sistema pianificato e l'inizio di una difficile transizione al mercato
comportano una netta flessione dei consumi di energia, che dopo aver toccato il
massimo storico nel 1990 si riducono progressivamente sino a 1,5 miliardi di tepnel
22
1995.Il processo di modifica strutturale della domanda di fonti primarie viene al
contrario accelerato anche in relazione all’emergere di una nuova sensibilità ai problemi
ambientali. Il peso dei combustibili solidi tende così a ridursi ulteriormente a favore di
una sempre maggiore presenza del gas naturale.
Caratteristiche particolari sono riscontrabili infine nell’evoluzione della domanda
energetica dei paesi in via di sviluppo, che ,a partire dal 1973, registra una costante
tendenza all'aumento, sia per i bassi livelli di partenza , specie tenendo conto del peso
demografico di questa area, sia per il processo di rapida industrializzazione di molti
paesi aderenti all'OPEC, che investono i profitti derivanti dagli aumenti dei prezzi del
greggio in attività ad alto assorbimento energetico a partire dai settori della raffinazione
e della petrolchimica.
L'intensità energetica di questa area, come in precedenza evidenziato , in netta crescita,
contribuisce ad amplificare l'entità dei fabbisogni energetici attraverso aumenti più che
proporzionali rispetto a quello del reddito prodotto.
Per questi motivi i consumi energetici del 1973, pari a 0,9 miliardi di tep, raggiungono
nel 1980 un livello pari a 1,3 miliardi di tep, con un aumento di poco meno del 60 che
non trova riscontro in nessuna altra area economica.
L ' aumento è sensibile anche tra il 1980 e il 1985 e negli anni successivi, anche se a
sostenerlo non saranno più i soli paesi OPEC, in crescente difficoltà dopo il crollo dei
prezzi del greggio, ma i paesi in via di rapida industrializzazione che si affacciano sulla
scena economica internazionale, a partire da quelli del "Pacific Rim" (Cina, paesi del
Sud-Est Asiatico, Taiwan, Corea).
Alla fine del 1990, con 2,0 miliardi di tep la quota dei paesi in via di sviluppo, sul
totale dei consumi energetici mondiali, è pari al 25% contro il 15 % del 1973. Nel
1995 questa quota raggiunge il 31%, un traguardo particolarmente significativo,
specialmente in prospettiva .
2.5 Le aree di produzione
Le crisi energetiche del 1973 e del 1979 provocano dei notevoli cambiamenti anche
nella struttura produttiva delle fonti primarie e nella sua distribuzione geografica. I
"trends" che avevano caratterizzato gli anni '50 e '60 si interrompono bruscamente.
Si tratta di sviluppi di grande rilievo che derivano da un intenso processo di
riorientamento degli investimenti energetici, anche a seguito del crollo del sistema
economico dei paesi dell’Est.
L'area OCSE, la più dipendente dall'esterno per il proprio approvvigionamento
energetico, compie, per effetto di misure di politica energetica e dei nuovi prezzi
dell'energia, un notevole sforzo per il potenziamento della produzione interna . I
risultati conseguiti sono notevoli :la produzione di combustibili solidi in precedenza
caratterizzata da una fase di declino, registra tra il 1973-1985 un netto aumento
sostenuto in particolare da paesi come gli Stati Uniti e l’Australia, che diviene uno dei
grandi paesi esportatori di questa fonte energetica.
Nell’Europa occidentale ed in Giappone è soprattutto l’energia nucleare ad evidenziare
una crescita accelerata sostenuta anche dall’impegno diretto di gran parte dei
governi.La produzione nucleare per l’intera area Ocse passa dai 41 milioni di tep del
1973 ai 265 del 1985 e sino 421 del 1995, un ammontare equivalente a quello
dell‘Arabia Saudita.Anche se la costruzione di nuovi impianti subisce un progressivo
rallentamento, dopo il 1980, è innegabile che lo sviluppo di questa fonte, che
sostituisce notevoli quantitativi di olio combustibile, abbia contribuito al crollo dei
prezzi del greggio del 1986 .
Forte è anche il rilancio della produzione di petrolio che sembrava destinata ad un
rapido declino, ma che, grazie soprattutto al Mare del Nord, è in grado di aumentare il
suo apporto sino a poco meno di un miliardo di t nel 1995.
Più contrastato appare il progresso della produzione del gas naturale che per la prima
23
parte degli anni ’80 risente della politica di prezzi controllati praticata dagli Stati Uniti
ma che successivamente, anche in relazione allo sviluppo dei giacimenti del Mare del
Nord, supererà ampiamente i livelli del 1973.
L’impegno per la riduzione della dipendenza energetica si manifesta anche attraverso
rilevanti investimenti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili che vengono considerate
anche come un valido strumento per contrastare gli effetti negativi sull’ambiente
determinati dall’uso comunque crescente delle fonti tradizionali. I risultati in termini di
bilancio energetico sono peraltro molto limitati e le statistiche energetiche
internazionali non riescono ancora a quantificare esattamente il contributo di queste
fonti. Uno studio della World Energy Conference ha peraltro stimato, relativamente al
1990, un contributo delle fonti rinnovabili di tipo nuovo, escludendo quindi l’energia
idroelettrica e le biomasse ricavate con metodi tipo tradizionale, in molti casi con danno
per l’ambiente (deforestazione) ,in circa 160 milioni di tep a livello mondiale .
In termini di sviluppo delle tecnologie i traguardi conseguiti appaiono invece
significativi in quanto per molte delle fonti rinnovabili si passa dalla fase dei prototipi
ad applicazioni di taglia quasi industriale con costi che si vanno avvicinando,in alcuni
casi, a quelli delle fonti tradizionali. Tra queste un posto di primo piano spetta
all’energia fotovoltaica con 45000 kWp raggiunti nel 1990 rispetto ai 3300 del 1980;
anche l’espansione dell’energia eolica è sensibile con oltre 2400 MW installati agli
inizi degli anni ’90 nell’area OCSE .
Notevoli anche i progressi nel campo delle biomasse utilizzabili sia per la produzione
di calore ed energia elettrica sia per la produzione di biocombustibili.
Non direttamente collegato alle crisi energetiche è lo sviluppo produttivo che si registra
nell'ambito dei paesi ad economia pianificata dell’Europa orientale. Tra il 1973 e il
1990 la produzione di questa area passa da 1,2 a 1,9 miliardi di tep: l'energia nucleare
registra il massimo incremento,da 3 a 59 milioni di tep, seguita dal gas naturale (con un
incremento del 217,6%), dall'energia idroelettrica (+74,0%) e, infine, dal petrolio
(+30,5%).
Con la crisi del sistema Comecon, la produzione energetica di questa area, che veniva
determinata sulla base di piani di sviluppo,considerati di importanza strategica, subisce
una netta riduzione,da 1,9 a 1,4 miliardi di tep nel 1995, in attesa della completa
riorganizzazione del sistema sulla base di regole di mercato. La crisi colpisce tutte le
fonti, ma in particolare i combustibili solidi ,il petrolio e l’energia nucleare .
La produzione dei paesi in via di sviluppo, a livello aggregato, tra il 1973 e il 1985,
risulta in diminuzione; in realtà questo andamento riflette la decisione dei paesi OPEC
di ridurre i livelli produttivi del greggio (da 1,5 miliardi di t nel 1973 a 0,8 miliardi nel
1985) per sostenere il livello dei prezzi, a seguito della forte flessione della domanda
sul mercato internazionale verificatasi dopo il 1980.La produzione di gas naturale
registra invece un significativo incremento (+210%), cosi come quella dei combustibili
solidi (+104%), dell'energia idroelettrica e dell'energia nucleare .A partire dal 1986
questa tendenza si inverte, con il graduale recupero della produzione dell'OPEC e lo
sviluppo della produzione dei paesi non OPEC, dove viene avviato un intenso ciclo di
sviluppo di nuove risorse petrolifere. In ulteriore notevole espansione risulta anche la
produzione di gas e di altre fonti energetiche, necessarie non solo per alimentare le
esportazioni verso i paesi più sviluppati, ma anche per sostenere la domanda interna in
quei paesi dove il processo di sviluppo e di industrializzazione è più rapido e intenso.
Complessivamente la produzione energetica dei paesi in via di sviluppo si porta nel
1995 a 5,9 miliardi di tep, pari al 62 % del totale mondiale, con un contributo del
petrolio prodotto dai paesi OPEC pari al 14%.
24
Produzione mondiale di fonti primarie
milioni di tep
1970
1973
1975
1980
1985
1990
1995
Combustibili solidi
760
740
790
832
880
948
878
gas naturale
677
765
722
769
700
761
868
petrolio
658
681
642
814
952
889
972
energia idroelettrica
188
203
221
234
262
263
284
OCSE
energia nucleare
totale
16
41
71
133
265
354
421
2299
2431
2446
2782
3059
3216
3423
341
355
375
378
345
332
204
ex-URSS
Combustibili solidi
gas naturale
166
198
243
365
540
685
594
petrolio
353
429
491
603
597
571
355
energia idroelettrica
28
28
29
40
47
51
55
energia nucleare
1
3
6
16
37
46
38
889
1013
1144
1403
1565
1684
1246
Paesi in via di sviluppo
Combustibili solidi
310
332
381
486
678
824
999
gas naturale
47
70
86
136
219
312
421
petrolio
2002
2434
2239
2481
2194
2608
2897
(di cui OPEC)
1172
1537
1352
1350
817
1212
1331
energia idroelettrica
39
49
60
92
126
161
207
energia nucleare
0
1
1
4
14
24
32
totale
3571
4423
4119
4547
4048
5141
5887
Mondo
Combustibili solidi
1540
1562
1686
1856
2087
2252
2210
gas naturale
912
1058
1078
1302
1490
1781
1898
petrolio
3027
3559
3386
3910
3753
4076
4231
energia idroelettrica
261
287
318
378
446
484
558
energia nucleare
17
44
79
155
323
437
505
5757
6510
6548
7601
8099
9030
9402
totale
totale
Fonte : Elaborazioni su IEA,World Energy Statistics and Balances,OECD,Paris,annate
varie; IEA,Energy Balances of OECD Countries, OECD, Paris,annate varie;
25
CAP. III
VERSO NUOVI ASSETTI DI MERCATO
3.1 Il petrolio
3.1.1 Le crisi e il bilancio petrolifero mondiale
Gli anni settanta e gli anni ottanta sono stati caratterizzati da profondi cambiamenti del
mercato petrolifero mondiale relativamente a domanda, offerta, prezzi, operatori.
Le tappe salienti di questo processo sono di particolare interesse per apprezzare quali
modifiche possano essere considerate compiute e quali siano, invece, le vie da
percorrere e le sfide che attendono gli operatori di questa industria, dove il modello
dell'impresa innovatrice, di tipo schumpeteriano, dovrà ulteriormente affermarsi rispetto
agli schemi concentrati sullo sfruttamento di rendite di posizione.
La crescita dei consumi mondiali di petrolio, che era stata una delle caratteristiche degli
anni sessanta, subisce una netta battuta di arresto per effetto della complessa serie di
avvenimenti, già richiamati, che hanno luogo a partire dalla fine del 1973.
Il petrolio, pur rimanendo la fonte energetica più importante, perderà progressivamente
il ruolo di fonte egemone in tutti i settori di impiego, a favore di una presenza che si
concentrerà nei settori dove i prodotti petroliferi sono più difficilmente sostituibili
,come i trasporti e la petrolchimica.
La domanda mondiale, dopo aver raggiunto, proprio nel 1973, un punto di massimo
con 2,8 miliardi di t, subisce una flessione sino a 2,7 miliardi di t nel 1975, per effetto
degli aumenti dei prezzi del greggio e dei prodotti, nonchè della recessione economica.
La successiva fase di recupero viene interrotta bruscamente sul finire del 1979 dalla
seconda crisi energetica, che avrà conseguenze ancora più profonde sul livello dei
prezzi del greggio e sulla struttura dei consumi energetici mondiali. .
Solo negli ultimi anni, a seguito del favorevole andamento dell'economia mondiale e
del netto ridimensionamento delle quotazioni del greggio, i consumi di prodotti
petroliferi sono di nuovo in espansione sino ad oltre 3,1 miliardi di t.
Lo spessore del cambiamento è dimostrato dalla notevole variabilità della dinamica dei
consumi petroliferi nelle varie aree economiche.
Bilancio petrolifero mondiale
Milioni di barili/giorno
Domanda
1966 1973 1979 1980 1986 1990 1991 1992 1995
OCSE
Nord America
Europa occidentale
Pacifico
NON OCSE
Paesi in via di sviluppo
ex- USSR
Cina
Europa Orientale
Domanda Totale
24,2
13,1
8,6
2,5
40,8
19,7
14,9
6,1
42,1
20,9
14,8
6,3
38,9
19,6
13,3
6,0
35,7
18,1
12,4
5,2
37,9
18,9
13,0
6,0
38,3
18,6
13,4
6,2
38,8
18,9
13,6
6,3
40,4
19,9
13,9
6,6
9,3
4,4
3,9
0,3
0,7
16,6
7,9
6,3
1,0
1,4
23,3
10,8
8,7
1,8
2,0
23,7
11,1
8,9
1,8
1,9
26,1
13,3
9,0
2,0
1,8
28,4
16,0
8,4
2,4
1,6
28,5
16,3
8,3
2,5
1,4
28,4
17,5
6,9
2,7
1,3
28,8
19,7
4,4
3,3
1,4
33,5
57,4
65,4
62,6
61,8
66,3
66,8
67,2
69,2
26
Offerta
1966 1973 1979 1980 1986 1990 1991 1992 1995
OCSE
Canada
Stati Uniti
Europa occidentale
di cui: Mare del Nord
10,6
1,2
9,6
0,4
...
14,0
1,7
10,1
0,4
14,9
1,8
10,1
2,4
2,0
14,8
1,7
10,2
2,6
2,2
16,8
1,8
10,3
4,1
3,6
15,9
2,0
9,0
4,2
3,8
16,3
2,0
9,2
4,5
3,9
16,6
2,1
9,0
4,8
4,2
17,9
2,3
8,5
6,4
5,8
NON OCSE
Paesi in via di sviluppo
ex- USSR
Cina
Europa Orientale
OPEC
- greggio
- NGL's
8,2
2,2
5,4
0,3
0,3
15,5
15,3
0,2
13,3
3,2
8,6
1,1
0,4
31,2
30,8
0,4
19,5
5,3
11,7
2,1
0,4
31,5
30,6
0,9
20,7
5,9
12,2
2,1
0,5
27,6
26,6
1,0
24,1
8,7
12,4
2,6
0,4
20,0
18,3
1,7
24,5
10,0
11,5
2,8
0,3
25,1
23,1
2,0
23,8
10,3
10,4
2,8
0,3
25,4
23,3
2,1
22,6
10,5
9,0
2,8
0,3
26,5
24,4
2,1
22,7
12,5
7,0
3,0
0,3
27,5
25,1
2,4
TOTALE
PROCESSING GAINS
34,3
0,2
58,5
0,4
65,9
0,7
63,1
0,8
60,9
1,1
65,5
1,4
65,5
1,4
65,7
1,5
68,1
1,5
TOTALE OFFERTA
34,5
58,9
66,6
63,9
62,0
66,9
66,9
67,2
69,6
1,0
1,5
1,2
1,3
0,2
0,7
0,1
0,0
0,4
...
Offerta-Domanda
Fonte :IEA,Oil Market Report,OECD,Parigi;BP,Statistical Reviewof World Energy,Londra
Dopo una lunga fase di crescita regolare, i consumi di petrolio dei paesi OCSE flettono
nettamente nel 1975, per poi recuperare e raggiungere il punto di massimo nel 1980
con oltre 1,8 miliardi di t ; inizia a questo punto un periodo di riduzioni sino a 1,6
miliardi di t nel 1985, seguito da una nuova fase di recupero.
Il peso di questa fonte, sul totale dei consumi energetici dell'area, dopo aver superato
ampiamente la soglia del 50 per cento, nel 1973 è sceso sino al 43 per cento, livello
intorno al quale tende a stabilizzarsi.
I consumi di petrolio dei paesi in via di sviluppo, che comprendono anche quelli dei
paesi produttori di petrolio associati nell'OPEC, subiscono, nel corso degli anni settanta
e ottanta, una fortissima accelerazione per l'avvio dei programmi di industrializzazione
e lo sviluppo della motorizzazione privata, soprattutto nell'ambito dei paesi OPEC, che
possono contare su un aumento sostanziale delle entrate connesse alle esportazioni di
greggio.
Gli impieghi di petrolio dei paesi dell'Europa dell'Est ,sino alla crisi interna della fine
degli anni '80, risultano in aumento per far fronte alla crescente domanda di energia
dell'industria e dei trasporti, ma anche in presenza di diffuse inefficienze
nell'utilizzo,come evidenziato dall'andamento dell'intensità petrolifera che tende alla
stabilità.
L'aumento più sensibile dei consumi petroliferi di questi paesi si registra comunque nel
corso degli anni settanta, mentre nel decennio successivo la crescita sarà più limitata,
soprattutto per la concorrenza del gas naturale.
La riduzione e, quindi, la stabilizzazione della quota del petrolio nel soddisfacimento
della domanda energetica mondiale non possono comunque essere interpretate come la
conclusione del ciclo espansivo iniziato dopo la prima guerra mondiale, ma, piuttosto,
come un riposizionamento strategico sui mercati dove i prodotti petroliferi sono molto
poco sostituibili.
27
Dopo i rallentamenti conseguenti alla prima ed alla seconda crisi energetica, i prodotti
come la benzina, il gasolio autotrazione, il kerosene aviazione hanno conosciuto una
sensibile espansione. In aumento, al netto delle fluttuazioni congiunturali, anche le
materie prime per la petrolchimica ed i prodotti speciali, come i lubrificanti.
Tutto ciò ha significato, a livello mondiale, un progressivo alleggerimento del barile e
la marginalizzazione delle frazioni pesanti utilizzate in ambiti di mercato sempre più
limitati. L'industria petrolifera ha così dovuto affrontare una sfida non più basata sulla
quantità e sulla presenza su tutto il mercato energetico, ma su spazi più selezionati,
dove la richiesta di qualità si fa sempre più pressante sino a costituire una precondizione
per competere.
L'andamento della produzione mondiale riflette puntualmente i sostanziali mutamenti
delle politiche petrolifere dei paesi produttori e dei paesi consumatori,intervenuti a
partire dal 1973.
Nell'area OCSE la produzione petrolifera ,in forte declino negli anni precedenti la prima
crisi energetica, subisce un netto cambiamento di tendenza nell'arco del decennio 19731983, caratterizzato dall'ascesa delle quotazioni del greggio; non appena queste ultime
subiscono il tracollo del 1986, i livelli produttivi dell'area tendono a stabilizzarsi per il
venir meno dell'interesse economico verso l'attività di ricerca e sviluppo, specialmente
nell'area nord-americana particolarmente sensibile al clima del mercato.
Parallelamente , il grado di dipendenza dal petrolio di importazione, sempre dell'area
OCSE, pari a circa il 66 per cento nel 1975 ed al 62 per cento nel 1980, subisce una
sensibile riduzione negli anni successivi, per poi stabilizzarsi intorno al 54 per cento.
La produzione di greggio dei paesi OPEC, in netta espansione negli anni settanta,
subisce un forte ridimensionamento nel periodo 1981-1985, quando essi e, in
particolare, l'Arabia Saudita, si trovano costretti a ridurre i livelli produttivi per
sostenere livelli di prezzo a cui non corrisponde più una adeguata domanda.
Il trend si inverte a partire dal 1986 con il drastico cambiamento di strategia da parte
dell'Arabia Saudita che punta non più al mantenimento dei livelli di prezzo, ma
all'aumento della propria quota di mercato.
In questo nuovo contesto, la produzione OPEC ricomincia a crescere per portarsi a
livelli di poco inferiori a quelli degli anni della prima crisi energetica.
L'andamento produttivo dell'ex-Unione Sovietica, dopo una netta ascesa nella seconda
metà degli anni settanta, perde velocità nel corso del decennio successivo, nonostante
l'entità delle risorse da valorizzare, per una serie di problemi tecnici e le difficoltà di
finanziamento dei progetti di sviluppo in aree difficili e remote, in un contesto
politico e sociale caratterizzato dapprima dalla crisi e poi dal crollo del sistema
comunista.
3.1.2 I prezzi del greggio , le strategie OPEC e i modelli interpretativi (*)
L'andamento del prezzo del greggio è un ottimo indicatore dell'intensità e del segno
delle trasformazioni del settore petrolifero e dell'atteggiamento dei principali attori.
Il prezzo medio del greggio importato nei paesi OCSE, che risulta da una media molto
differenziata in relazione alla qualità dei singoli greggi e alle formule contrattuali tra
paesi produttori e compagnie, è passato da un valore di 1,7 $/b nel 1970 a 11,6 $/b nel
1974.
Dopo una fase di relativa stazionarietà, questo prezzo ha raggiunto i 20,0 $/b nel 1979,
i 32,9 $/b nel 1980 e 36,2 $/b nel 1981, valore che rappresenta il massimo storico,
sempre su base annua. Le quotazioni mensili e giornaliere sono state ben più elevate
,sino a oltre 40 $/b.
(*) Da :Vittorio D’ERMO e Alberto DI PIERRO, Nuove configurazioni del mercato del petrolio Note di ricerca ENI, n. 15, novembre 1994.
28
PREZZI INTERNAZIONALI DEL GREGGIO
Anni
Greggio importato nei
paesi Aie
cif
Arabian
light
fob
Brent
Dubai
fob
fob
$/Bbl
$/Bbl
$/Bbl
$/Bbl
1970
1,7
1,8
n.d.
n.d.
1973
3,5
2,8
n.d.
n.d.
1974
11,6
10,8
n.d.
n.d.
1975
11,4
10,5
n.d.
n.d.
1980
32,9
36,2
27,0
35,7
1981
36,2
34,3
32,0
34,0
1982
33,8
31,9
34,0
31,2
1985
27,5
27,5
27,5
26,5
1986
15,0
-
14,4
13,0
1987
17,9
-
18,4
16,9
1990
22,2
20,7
23,8
20,5
1991
19,5
17,5
20,0
16,6
1992
18,4
17,9
19,4
17,2
1993
16,5
15,8
17,1
14,9
1994
15,5
15,3
16,0
14,8
1995
17,1
16,7
17,2
16,1
Fonte: Platt's Oilgram;Petroleum Intelligence Weekly
Gli schemi interpretativi delle crisi energetiche sono numerosi : la quadruplicazione del
prezzo del greggio, avvenuta tra il 1973 e il 1974, è un evento di enorme rilievo ed
impatto. Al momento del suo verificarsi, alcuni economisti ed osservatori giudicano
l'azione dell'OPEC come un errore, se non una follia, e prevedono un collasso del
prezzo del greggio in tempi brevi.
La più importante personalità che difese tale opinione fu Milton Friedman5, secondo il
quale l'OPEC era un cartello instabile e destinato a disgregarsi.
Secondo una prima interpretazione, l'OPEC è riuscita effettivamente a "cartellizzare" il
mercato petrolifero mondiale, sfruttando il suo potere per spingere i prezzi oltre il
livello di concorrenza (o determinato dal libero gioco della domanda e dell'offerta),
restringendo a questo scopo i livelli di produzione.
Un importante sostenitore di questa tesi è Robert Pindyck6 che ha testato
empiricamente un modello in cui l'OPEC è vista come un'organizzazione fortemente
coesa, un monopolista che tende a massimizzare il valore presente capitalizzato della
sua rendita mineraria, tenendo un alto grado di controllo sul prezzo. Nel 1982, Pindyck
ha poi rigettato questa sua formulazione estrema, pur mantenendo l'ipotesi dell'OPEC
come cartello. Comunque, il modello empirico di Robert Pindyck resta importante
perchè dimostra come inizialmente il prezzo in un mercato del monopolista è
5Newsweek, 4 marzo 1974
6Gains to producers from the cartelization of exhaustible resources , Review of Economics and
Statistics, n. 2, May, 1978
29
sensibilmente più alto del prezzo concorrenziale, in linea con l'ipotesi teorica di
Hotelling del 1931.
Una seconda interpretazione sostiene che l'incremento del prezzo del greggio rifletteva
semplicemente il mutamento delle condizioni di fondo del mercato, che si era andato
verificando negli anni '60: la domanda mondiale di petrolio era andata crescendo
rapidamente, la produzione non-OPEC era stagnante e i costi di estrazione stavano
salendo. Come afferma Paul McAvoy,7"non c'era possibilità di evitare l'aumento di
prezzo, necessario "to clear the market" dai continui incrementi di domanda di greggio".
Questa tesi ha almeno due varianti.
Ali Johany8 affermò che gli aumenti di prezzo erano il naturale risultato del
trasferimento dei diritti di proprietà delle riserve di greggio dalle compagnie
internazionali ai paesi arabi o meglio OPEC, verificatosi nei tardi anni '60 e all'inizio
degli anni '70. Poichè i paesi produttori scontavano il futuro con una "discount rate"
più bassa (cioè avevano un orizzonte temporale per lo sfruttamento delle risorse più
lungo) che non le compagnie internazionali, sempre
agenti sotto il timore
dell'espropriazione, essi tentarono di effettuare una politica di "conservation" delle
risorse, rifiutandosi di aumentare continuamente la loro produzione. Gli incrementi del
prezzo del greggio sarebbero stati, quindi, la naturale conseguenza di questa mutata
situazione.
La seconda variante, dovuta a Ali Ezzani9, Cremer e Ishafani10 ed a David Teece11,
non è basata sull'ipotesi di un comportamento deliberatamente collusivo dei paesi
produttori, ma sull'assunto che sono i bisogni di investimento interno che determinano
un livello desiderato di ricavi petroliferi.
I bisogni di fondi da investire trovano un limite nella "absorption capacity" dei paesi
produttori: quando i ricavi petroliferi soddisfano il livello di ricavi-obiettivo (target
revenue), i paesi produttori non hanno più incentivo ad espandere la produzione ed i
prezzi tendono a salire.
I forti aumenti del prezzo del greggio, innescati dalla crisi iraniana del 1979,
riaccendono il dibattito e di nuovo ci si trova di fronte a due spiegazioni alternative,
una che privilegia la collusione tra paesi OPEC e l'altra che enfatizza il ruolo delle forze
di mercato.
Per alcuni, l'OPEC sfruttò la crisi iraniana per imporre prezzi più alti. Va ricordato che
nel pieno della crisi, all'inizio del 1979, l'Arabia Saudita ridusse il suo livello di
produzione. Questo comportamento è coerente con il concetto di un cartello OPEC in
cui l'Arabia Saudita è il produttore che determina il prezzo, permettendo agli altri
membri OPEC di produrre quanto desiderano a quel prezzo, agendo come "swing
producer"12 che varia il suo output assorbendo fluttuazioni di domanda e offerta per
7Crude Oil Prices as Determined by OPEC and Market Fundamentals, Cambridge: Ballinger,
1982
8OPEC is not a Cartel, Doctoral Dissertation, University of California-Santa Barbara, 1978
9European Economic Review, Agust 1976
10Caress Working Paper No. 80-4, University of Pennsylvania, 1980
11OPEC Behavior: an Alternative View, in J.M. Griffin and David J. Teece eds., OPEC Behavior
and World Oil Prices, London 1982
12Dermot Gately, A ten year Retrospective: OPEC and the World Oil Market, Journal of
Economic Literature, September, 1984
30
sostenere il prezzo da esso deciso.
Negli anni '70 era stato previsto13 che la produzione OPEC,nel decennio successivo,
sarebbe dovuta salire a 45 milioni di b/g. Vedendo nel 1979 questo livello produttivo
nè probabile nè desiderabile, l'OPEC accelerò la spinta all'aumento dei prezzi,
approfittando della crisi iraniana e della bassa elasticità della domanda nel breve
termine, date le aspettative che stavano spingendo ad uno stoccaggio precauzionale.
La spiegazione alternativa è di nuovo basata sul cosiddetto libero gioco della domanda
e dell'offerta: dopo la crisi iraniana, i prezzi spot continuarono a salire, inducendo vari
membri OPEC a spuntare prezzi più alti. Ad aggravare la relativa tensione del mercato
in quella fase ci fu un aggressivo processo di accumulazione di scorte da parte dei paesi
consumatori. Questo fenomeno favorì, secondo i sostenitori della seconda tesi, un
incremento del prezzo maggiore di quello che ci sarebbe stato altrimenti.
Come nel periodo 1973-1979, nel periodo 1980-1983 l'economia mondiale entrò in una
fase recessiva, in parte attribuibile all'incremento dei prezzi del petrolio.
La domanda mondiale di petrolio greggio cadde di circa il 20 per cento, molto più che
non la caduta del 6 per cento nel periodo 1973-1975. Ciò derivò dagli effetti combinati
della recessione e del risparmio energetico, il primo quale risposta di breve termine agli
aumenti dei prezzi del greggio del 1979-80, il secondo come effetto di lungo termine,
indotto dalla quadruplicazione del prezzo del 1973-74.
La domanda per il petrolio OPEC cadde ancor più pesantemente: nel 1973-1975 era
scesa del 15 per cento ; nel 1980-1983 la diminuzione fu di tre volte tanto: parte della
differenza fra il 1973-1975 e il 1980-1983 è spiegata dalla espansione della produzione
non OPEC, pari a 15 milioni di barili/g nel 1983.
All'inizio del 1983, la produzione OPEC risultò essere pari al 55 per cento del livello
del 1973. I prezzi spot erano almeno il 20 per cento sotto il prezzo ufficiale di 34 dollari
ed era iniziata una "guerra" di prezzo all'interno dell' OPEC con riduzioni unilaterali.
L'OPEC affrontò infine la realtà di un mercato debole effettuando la sua prima
riduzione del prezzo nominale del greggio, portandolo a 29 dollari, e tentò di imporre,
ciò che prima non aveva fatto, un accordo sulle quote produttive fra i paesi membri.
James Griffin14 offre una soluzione al problema di scelta tra i vari schemi
interpretativi dell'andamento del prezzo del greggio e del mercato internazionale del
petrolio nel periodo 1973-1983, sottoponendo a verifica empirica i vari modelli
indicati (cartello, modello concorrenziale puro, modello di ricavi-obiettivo, modello dei
diritti di proprietà).
I risultati migliori vengono dati da un modello di cartello a "partial market sharing",
cioè con imperfetto accordo sulle quote produttive. Degli 11 membri OPEC, il Kuwait,
il Qatar, la Libia e il Venezuela manifestano una tendenza ad accettare quote di
mercato più basse in un regime di prezzi elevati.
Dei paesi OPEC che tendono a incrementare la quota produttiva quando il prezzo sale,
si ha un raggruppamento che va dall'Arabia Saudita all'Indonesia. L'Arabia Saudita
sembra usare gli incrementi di produzione per moderare gli aumenti di prezzo, mentre
le stime per Indonesia e Nigeria riflettono una tendenza a incrementare la produzione
di fronte a prezzi più alti, come ci si dovrebbe aspettare da piccoli produttori con
comportamenti concorrenziali, cioè poco legati alla logica di cartello.
Alla luce dei risultati di James Griffin, si propone una rilettura degli andamenti del
mercato.
All'inizio della cosiddetta "oil crisis", l'OPEC si considerò in modo miope come un
monopolista (ovvero come un cartello operante come monopolio) nel mercato
13Workshop on Alternative Energy Strategies (WAES), 1977
14American Economic Review, vol. 75 n. 5, December 1985
31
energetico. Questa posizione si manifestò in una politica di prezzo che si può
generalmente definire con la tradizionale espressione: "carica il prezzo più alto che il
compratore può accettare" (charge what the traffic could bear).
Questo comportamento è tecnicamente erroneo perchè non assicura la massimizzazione
del profitto di lungo periodo. Tuttavia, date le condizioni di costo alle quali l'OPEC
operava, la politica di cui sopra poteva trovare una spiegazione. Si deve tuttavia
sottolineare di nuovo che essa fu applicata in modo assai miope. Infatti, tale
impostazione indusse il cartello OPEC a trascurare l'elasticità di lungo termine della
domanda di petrolio ed a decidere sulla base di una curva di domanda di breve termine,
per definizione assai meno elastica e che si presumeva dovesse rimanere immutata nel
tempo.
Questa visione fu anche favorita dalla corsa al petrolio, immediatamente successiva
allo shock del 1973 e determinata dalla aspettativa destabilizzatrice di un incombente
"oil shortage", che prevalse allora nei paesi industrializzati. Ne nacque una situazione in
cui, con prezzi del greggio già elevati, il compratore inseguiva il venditore, proponendo
fra l'altro contratti di fornitura a lungo termine.
In queste condizioni, in sintesi, l'OPEC seguì una politica di prezzo basata sul
cosiddetto "crude" o "not adjusted" ricavo marginale e non sul ricavo marginale
corretto o aggiustato, cioè senza prendere in considerazione gli effetti della politica di
prezzo applicata al tempo zero sui livelli futuri sostenibili di domanda di greggio e di
prezzo.
Lo schema di ragionamento è basato sostanzialmente sull'ipotesi che il livello di prezzo
che il monopolista applica in un dato periodo si riflette sul livello e sull'elasticità della
domanda di lungo periodo e, quindi, sulla configurazione dei ricavi nel lungo termine.
I fattori che determinano livello ed elasticità della curva di domanda(elasticità rispetto
al prezzo e al reddito con la quale il monopolista o gli oligopolisti si confrontano) sono:
disponibilità e livello di prezzo dei prodotti o beni sostitutivi; livello del reddito dei
consumatori e coefficiente di intensità di uso (intensità petrolifera) rispetto a detto
reddito (in questo caso, il GNP dei paesi importatori di greggio). Va subito aggiunto
che il prezzo che il monopolista carica inizialmente ha effetto anche su livello e
elasticità della curva di offerta.
Caricando un prezzo del greggio molto elevato nel periodo iniziale, e cioè dal 1973, i
produttori OPEC hanno determinato una situazione in cui : 1) il prezzo relativo delle
fonti alternative e del risparmio energetico è divenuto più competitivo; 2) è divenuto
conveniente lo sviluppo dell'esplorazione e della ricerca di greggio in aree extra-OPEC,
con successiva entrata sul mercato di nuovi produttori e di nuova capacità di produzione
da parte di paesi non-OPEC; 3) è stata indotta, almeno in parte, una stagnazione nei
paesi industrializzati con conseguente effetto di reddito negativo sulla loro domanda di
energia.
In effetti, a partire dal 1982, l'assetto del mercato petrolifero internazionale è
interessato da una fase del tutto nuova, caratterizzata da ribassi dei prezzi internazionali
del greggio via via più accentuati.
La politica dell'OPEC di "price defence" viene praticata con crescenti difficoltà fino
al 1985 quando l'Arabia Saudita abbandona il ruolo di swing-producer per assumere
quello di impresa dominante (dominant firm), che decide liberamente il suo livello di
produzione.
Con prezzi elevati, produzione elevata e quindi elevatissime entrate dall'export
petrolifero (280 miliardi di dollari per l'intero gruppo di paesi dell'OPEC nel 1980), non
sussistevano particolari problemi di coesione, ovvero di accordo sulle rispettive quote
di export e di mercato. Tale politica non era però senza effetti sulla domanda mondiale
di greggio e, in particolare ,su quello richiesto all' OPEC.
Quest'ultimo era divenuto "swing oil"; i paesi consumatori si approvvigionavano in
primo luogo con greggio non di provenienza OPEC, la cui produzione, esclusi i paesi
ad economia pianificata, cresceva di più di 7,6 mb/g durante il periodo 1973-1985 a
32
causa dei rilevanti investimenti in esplorazione e sviluppo stimolati dai prezzi elevati
degli anni '70 e iniziali anni '80 .
In realtà, già nel 1981 ,su iniziativa dell'ENI, si era tenuta a Roma una importante
conferenza tra i paesi produttori dell'OAPEC e i rappresentanti di paesi consumatori
europei , durante la quale era stato proposto un approccio di collaborazione in materia
di produzione e di prezzi al fine di promuovere lo sviluppo economico delle due aree15.
Purtroppo l'iniziativa era rimasta senza conseguenze pratiche sino al momento del
cambio di strategia da parte saudita .
Come risultato della politica di price defence, la quota OPEC sul totale mondiale,
esclusi i paesi ad economia pianificata , della produzione di greggio diminuiva da circa
2/3 a meno del 40 per cento, e l'output dell'OPEC cadeva a circa 15,7 mb/d nel 1985
contro i 31 mb/d nel 1979.
La coesione tra paesi OPEC non era peraltro monolitica : non tutti i paesi membri
commercializzavano il loro greggio a prezzi ufficiali. Il "fixed price" o l’"official
selling price" erano applicati soltanto alle vendite dirette ufficiali di un paese o
governo, le quali in realtà riguardavano soltanto una parte del totale delle esportazioni
OPEC. Il rimanente era trasferito a prezzi orientati dal mercato, tramite meccanismi
quali vendite di prodotti petroliferi raffinati, greggio equity prelevato da compagnie exconcessionarie, scambi di merci e "counter-trade". In pratica, solo una quota ridotta, il
30 per cento circa, funzionava come "frontal oil", a sostegno della struttura di "fixed
price" interna all'OPEC.
Ciò significa che paesi OPEC con più elevate quote di greggio venduto a prezzi
ufficiali, come l' Arabia Saudita, dovevano sopportare un onere o perdite più onerose di
altri membri dell'OPEC, quando i prezzi di mercato scendevano al di sotto dell' "official
selling price".
Il dilemma "price defence" -" market share "si manifesta con evidenza nel 1985, quando
il ministro del petrolio saudita dell'epoca - lo sceicco Z. Yamani - decide per la seconda
opzione, ovvero di non accettare ulteriormente il ruolo di swing-producer come
sostegno ad una politica di alti prezzi.
In tale anno il livello globale dell'export petrolifero OPEC si situa intorno ai 13,8
milioni di barili al giorno, con le esportazioni dell'Arabia Saudita più penalizzate che
non quelle degli altri paesi membri.
In questa specifica congiuntura nasce la "market share strategy", con l'export saudita
che risaliva nel 1986 a 4,7 milioni di barili al giorno, anche grazie all'introduzione su
scala sempre più ampia dei contratti a net-back, con i quali il paese produttore accetta
un corrispettivo per il proprio greggio pari al valore dei ricavi derivanti dalla vendita sul
mercato dei prodotti finiti ottenuti dal processo di raffinazione.
In misura molto limitata risaliva anche l'export di greggio della maggioranza dei paesi
OPEC. L'export totale passava da 13,8 a 16,2 milioni di barili/giorno16.
In corrispondenza di questa espansione quantitativa dell'export, considerata come
manifestazione di una "market share policy", si verificava una netta diminuzione dei
ricavi dall'export petrolifero dell'OPEC da 133 a 75 miliardi di dollari USA.
Nel 1987 la situazione era stata apparentemente "normalizzata" con la defenestrazione
da Ministro del petrolio saudita dello sceicco Z.Yamani, al quale subentra il Ministro
della programmazione Y. Nazer, e con il raggiungimento - in sede di riunione
ministeriale OPEC - di un accordo su un prezzo base del greggio di 18 dollari il barile e
su un rinnovato impegno al rispetto delle quote di produzione concordate. In questo
15Development Through Cooperation, Seminar between OAPEC, Italy and South European
Countries, Rome, April 7th - 9th, 1981, in "Energia", Numero Speciale, Luglio 1981
16R. Mabro Ed., The 1986 Oil Price Crisis, Oxford University Press, Oxford Insitute for Energy
Studies, 1988
33
nuovo contesto, i ricavi risalivano a 97 miliardi di dollari, i prezzi si situavano, in
media di anno, intorno a 18$/ barile; il totale delle esportazioni ridiscendeva,però, dai
16,2 milioni di barili al giorno del 1986 ai 15,7 milioni barili del 1987, con la
riduzione praticamente a carico dell'Arabia Saudita : dai 4,7 milioni di barili al giorno
del 1986 ai 4,0 del 1987 , riproponendo per questo paese il dilemma "price defence "-"
market share", che sarà sciolto a favore della seconda strategia ,anche se a costo
dell'apertura di un contrasto all'interno dell'OPEC.
I paesi esportatori con limitate risorse di greggio e con elevata densità di popolazione
e/o ambiziosi piani di sviluppo economico industriale e quindi con esigenze
finanziarie urgenti (tipico è il caso dell'Algeria ) hanno infatti da sempre sostenuto la
politica della "price defence".
Anche se tale politica è frutto di una strategia di massimizzazione dei ricavi
petroliferi, essa ha però un orizzonte temporale ristretto. L'obiettivo è di massimizzare
il flusso scontato delle entrate petrolifere nel breve termine, contando su una relativa
anelasticità della domanda mondiale di greggio e su una relativa anelasticità dell'offerta
non-OPEC di greggio. Tale politica è però razionale solo dal punto di vista del singolo
paese esportatore con le caratteristiche descritte sopra: esso è infatti orientato, nelle sue
decisioni fra produrre "oggi" e produrre "domani", da un elevato tasso soggettivo di
preferenza temporale o tasso soggettivo di sconto, da cui deriva una definita preferenza
per un profilo della produzione, esportazione, prezzo del greggio e cash flow, con punte
iniziali elevate e rapido crollo o addirittura azzeramento, se il paese giunge
all'esaurimento delle riserve.
Da questo ragionamento emerge un paradosso: un paese esportatore del tipo descritto,
mentre da un lato punterà ad alti prezzi iniziali del greggio, non avrà dall'altro lato
alcun potere di fare il prezzo, di essere un price maker, nè da solo nè insieme agli altri
paesi della sua tipologia, essendo implicitamente la sua offerta di greggio anelastica,
cioè pressocché sempre vicina alla capacità produttiva.
Con offerta anelastica il prezzo dipende dal livello e dall'elasticità della domanda;
facendo l'ipotesi che questi paesi si trovino di fronte ad una scheda di domanda al
netto della quota dell'Arabia Saudita, graficamente si può definire l'asserto ora esposto
d1,d2 = livelli alternativi di domanda del petrolio
q
= offerta dei paesi che producono a piena capacità
In tale grafico, la curva di offerta di greggio è verticale: cioè, a qualunque livello di
prezzo, la quantità offerta è sempre presunta di piena capacità; a domanda di greggio
elevata corrisponde il prezzo del petrolio p1 ,a domanda più bassa corrisponde il
prezzo del petrolio p2; in altri termini, il livello del prezzo dipende dal livello della
34
domanda.
Ci si può e ci si deve allora porre un quesito: come si verifica che i paesi come quelli
descritti (es. Algeria, Indonesia, Venezuela e Libia) possano puntare ad una strategia di
"price defence" quando non hanno una "price making capacity"? La spiegazione del
paradosso va ritrovata nel fatto che l'OPEC, come cartello coeso e con precisa
allocazione di quote produttive, non è in effetti esistito. Infatti tali paesi, dato il loro
elevato tasso di sconto soggettivo, mal si adegueranno, e infatti solo in rari casi si sono
avvicinati ad accettare un accordo intra-OPEC sulle quote produttive .
Ne segue che l'ipotesi sottostante alla strategia della "price defence", sostenuta da questi
paesi, riposa sull'assunto che i paesi membri OPEC con maggiori risorse e maggiore
capacità produttiva svolgano un ruolo di "swing producer", comprimendo la loro
produzione quanto necessita per sostenere il prezzo. E giungiamo quindi al concetto di
"frontal oil" di Chalabi (OPEC Review dell'agosto 1988), essendo questo "frontal oil",
su cui pesa tutta la struttura dei prezzi petroliferi, il greggio dell'Arabia Saudita venduto
all' " official selling price".
Questa logica può essere descritta e condotta ad una ratio esplicativa, grazie ad un altro
grafico.
Ponendo di nuovo il prezzo del greggio sull'asse delle ordinate e la quantità prodotta
dall'Arabia Saudita su quella delle ascisse e assumendo che l'Arabia Saudita sia in grado
di scegliere fra alternativi livelli di produzione, siano essi per semplicità q1, q2, q3,
ove q3> q2> q1, si ha che p1 corrispondente a q1 è maggiore di p2 corrispondente a
q2, a sua volta maggiore di p3 corrispondente a q3 (vedi grafico 2).
d = curva di domanda aggregata di petrolio
q1, q2, q3 = possibili livelli alternativi di offerta del paese leader (Arabia Saudita)
Ne segue che in effetti l'Arabia Saudita mantiene un elevato potere di fare il prezzo,
per il semplice fatto che la sua produzione ha un rilevante peso sulla produzione
OPEC ed è, soprattutto, elastica, cioè espandibile e comprimibile sia per l'ampia
capacità produttiva disponibile sia per il basso Rs o tasso di sconto soggettivo.
Essendo quindi l'Arabia Saudita l'effettivo "price maker" nell'ambito dell'OPEC e, in
sostanza , sul mercato internazionale del greggio, si possono ricongiungere i due grafici
e vedere meglio la logica dei paesi che sostengono la strategia di "price defence". Il
grafico 3 evidenzia infatti come questi paesi godano di maggiori entrate (l'area del
35
rettangolo p1xq è > dell'area p2xq > di p3xq) quanto più l'Arabia Saudita si assume il
ruolo di swing producer .
d = curva di domanda di petrolio per l'Arabia Saudita a fronte di livelli alternativi di
produzione di tale paese (q1, q2, q3)
q = offerta dei paesi che producono a piena capacità
Per contro, i paesi OPEC, con ampie riserve di greggio ed elevata capacità produttiva,
con bassa densità di popolazione e/o con piani di sviluppo economico-industriali
commisurati alla loro dimensione, vorranno evitare il ripetersi del ciclo storico 19821986 che ha visto la caduta sia del prezzo del greggio sia delle esportazioni. Per le
caratteristiche ora descritte, essi saranno orientati, nelle loro decisioni di prezzo e di
produzione, da un basso o relativamente basso tasso soggettivo di sconto; essi
punteranno alla massimizzazione del flusso scontato dei loro "cash flows" su un
orizzonte di tempo assai più lungo di quello considerato dagli strateghi della "price
defence".
Paesi come l'Arabia Saudita sono i naturali sostenitori di una strategia "market share" o
quota di mercato, non solo nel senso di voler preservare un'elevata quota del mercato
per l'OPEC, ma per il greggio in generale rispetto ad altre fonti energetiche . La loro
preoccupazione principale è di non abbassare l'elasticità e il livello della domanda di
greggio OPEC, evitando di stimolare con elevati prezzi la ricerca e l' esplorazione di
nuove riserve di greggio non-OPEC e la sostituzione del greggio con altre fonti
energetiche, incluso il risparmio energetico nei paesi consumatori.
Ciò effettivamente può garantire la massimizzazione del valore attuale dei flussi di
revenues petroliferi, dato che, come si è detto, sono orientati da relativamente bassi tassi
soggettivi di sconto.
Questa strategia ha cominciato ad essere attuata nella seconda metà degli anni '80 con
la politica di recupero di ruolo del petrolio OPEC sul mercato dell'energia, guidata
dall'Arabia Saudita
Tra il 1986 ed 1i 1989, le quotazioni del greggio si sono mosse in una fascia compresa
tra i 14 ed i 18 $/b, con riferimento alla quotazione media annua del Brent, rispetto ad
36
una media dei primi anni ‘80di circa 30 $/b.
3.1.3 La crisi del Golfo e l’affermazione delle regole di mercato
Il ritorno alla logica di mercato e la creazione di un nuovo clima , anche a seguito degli
avvenimenti che hanno portato al crollo del sistemi di economia pianificata ,sono stati
messi alla prova dalle vicende drammatiche della crisi del Golfo, iniziata nell'agosto
del 1990 con l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq .
Il possibile avvio di una spirale di aumenti dei prezzi del petrolio, simile a quella che
aveva caratterizzato il periodo della rivoluzione iraniana e poi le prime fasi del conflitto
tra Iraq-ed Iran, è stato contrastato efficacemente.
Dal lato dell'offerta, il forte aumento della produzione dell'Arabia Saudita ha
ampiamente compensato il deficit di Iraq e Kuwait ed ha dimostrato l'attenzione della
maggioranza dei paesi produttori al tema della continuità delle forniture, in attuazione
di una politica di "market share" che riconosce sempre di più il ruolo delle forze di
mercato.
Nel corso del 1990, la produzione di greggio saudita è passata dai 5,6 milioni di b/g
del mese di agosto ai 7,5 milioni di b/g di settembre e, infine, agli 8,4 milioni di b/g
del mese di dicembre.
Produzione di Arabia S.,Iraq,Kuwait
16000
14000
migiaia di b/g
12000
Saudi Arabia
10000
Kuwait
8000
Iraq
6000
4000
2000
19
94
19
92
19
90
19
88
19
86
19
84
19
82
19
80
0
Gli incrementi produttivi degli altri paesi sono stati molto più contenuti e nella maggior parte dei
casi non hanno superato livelli di 0,3-0,5 milioni di b/g.
Anche l'andamento della domanda ha avuto un ruolo positivo: il progressivo esaurirsi
del ciclo espansivo dell'economia americana e il rallentamento dell'attività anche in
Europa hanno determinato, infatti, una netta inversione della tendenza all'aumento dei
consumi di prodotti petroliferi nell'area dell'OCSE .
I consumi del complesso dei paesi OCSE sono stati , nel quarto trimestre 1990, in
flessione del 4,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
I governi dei paesi consumatori ,dal canto loro,di fronte ai gravi rischi che la nuova
crisi del Golfo poteva comportare sugli approvvigionamenti di greggio, avevano ,sin
dal mese di agosto, manifestato l'intenzione di attivare tutti i meccanismi disponibili e
pianificati da tempo per far fronte ad eventuali emergenze, specie attraverso l'Agenzia
Internazionale per l'Energia (AIE).
Inoltre, per dimostrare questa determinazione, il Governo americano sul finire del
37
settembre '90 aveva annunciato una prima vendita di greggio proveniente dalla riserva
strategica per calmierare i prezzi del greggio, che dai circa 20 dollari al barile all'inizio
di agosto erano saliti sino ad oltre 40 dollari al barile.
In effetti, a partire dal mese di ottobre '90, le quotazioni del greggio iniziavano un
processo di ridimensionamento, sia pure in un contesto di elevata volatilità, verso i 28
dollari al barile sul finire dell'anno.
Dopo la prima azione di guerra nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, mentre i
governi dei paesi AIE ribadivano di essere pronti ad adottare tutte le opportune misure
di emergenza, con particolare riferimento all'immissione sul mercato di greggio da
prelevare dagli stoccaggi strategici e all'adozione di misure di controllo della
domanda, le prospettive di un pesante coinvolgimento dei centri di produzione e di
esportazione di greggio dall'area del Golfo apparivano sempre più remote .In presenza
di un atteggiamento Opec di massima apertura, le quotazioni del greggio Brent
scendevano , dopo fasi alterne, sino a circa 18 dollari al barile.
Anche nelle settimane successive del mese di gennaio, i prezzi del Brent rimanevano
intorno ai 20 dollari al barile, in quanto i pur drammatici sviluppi del conflitto e le
gravi distruzioni del potenziale produttivo del Kuwait non arrivavano a comportare
sostanziali limitazioni al traffico delle petroliere dai centri di esportazione dell'Arabia
Saudita e dell'Iran , ma solo temporanei ritardi e aumenti nei noli e nelle assicurazioni.
Cosi, nella seconda parte del mese di febbraio, nonostante l'approssimarsi
dell'offensiva terrestre per la liberazione del Kuwait, i prezzi del Brent scendevano a
circa 17 dollari al barile. Con l'inizio dell'attacco terrestre, le quotazioni si sono poi
andate riportando verso i 20 dollari al barile, dove si sono attestate al momento della
cessazione delle ostilità: 28 febbraio 1991.
La forte variabilità dei prezzi durante la crisi del Golfo conferma da un lato la forte
influenza sul mercato delle transazioni effettive di greggio e di prodotti dei mercati,
dove si contrattano i cosiddetti "paper barrel" (barili di carta) e dove i fattori
contingenti e le aspettative hanno spesso il sopravvento su quelli di fondo (i
"fundamentals") e ,dall'altro, la minore influenza delle impostazioni di tipo ideologico,
che avevano caratterizzato l'atteggiamento dei paesi produttori in occasione delle
precedenti crisi 17.
Nei mesi successivi del 1991, le spinte al rialzo, determinate sia da fattori tecnici
relativi a difficoltà produttive sia da fattori politici ,come il tentativo di colpo di stato
nella ex-Unione sovietica , non hanno alterato la tendenza di fondo al mantenimento
dei prezzi del greggio nella fascia dei 18-20 dollari /barile .
A partire dal 1992 e sino a tutto il 1995 i prezzi del greggio sono stati caratterizzati da
una forte variabilità all’interno di una fascia di oscillazione (trading range), compresa
tra i 14 ed i 20 $/b ,su base trimestrale,per il Brent.
Nel 1992 la quotazione spot FOB del Brent, in media annua, è stata di 19,4 $/b, contro i
20,0 del 1991, con una diminuzione del 3,1 per cento; il corrispondente valore per il
Dubai è stato di 17,2 $/b, contro i 16,6 del 1991 .Il differenziale tra questi due greggi,
collegato all'andamento dei prezzi dei prodotti,è diminuito dai 3,5 $/b ai 2,2 $/b .
Nel primo trimestre il prezzo medio del Brent è stato di 18,0 $/b, per poi passare nel
secondo trimestre in una fase di tensione a 20,0 $/b. Le quotazioni hanno risentito da
un lato del buon andamento della domanda e ,dall’altro, della diminuita offerta dalla exURSS, delle manovre speculative innescate dall’embargo decretato dall'ONU contro la
Libia e della perdurante carenza della produzione irakena
Nel terzo trimestre, la quotazione spot FOB media del Brent è stata di 20,1 $/b in
presenza di una rilevante diminuzione del differenziale di qualità rispetto al Dubai, a
motivo della debolezza dei prezzi della benzina e del rafforzamento delle quotazioni
dell'olio combustibile ATZ.
17W.G. Prost, H.L. Lax, Oil-Futures Markets, Lexington Books, Lexington, Massachussets, 1983
38
Nel quarto trimestre il prezzo del Brent è sceso a 19,2 $/b, in una fase di domanda
invernale debole e di scarsa disciplina all’interno dell’OPEC.
Nel 1993 il mercato petrolifero ha risentito di una domanda debole, mentre dal lato
dell’offerta si è registrata una sensibile crescita della produzione del Mare del Nord a
fronte di una offerta OPEC, che più volte si è rivelata in eccesso rispetto ai fabbisogni
effettivi del mercato e dell’aspettativa di un rientro della produzione dell’IRAQ.
In questo anno, il prezzo medio del Brent su base annua (17,1 $/b) ha quindi registrato
una nuova riduzione rispetto all’anno precedente, mentre la quotazione del Dubai ha
subito una flessione analoga, lasciando invariato il differenziale tra i due greggi .
Nel corso dell’anno le quotazioni del Brent, che nei primi due trimestri si erano
mantenute su un valore medio di 18,2-18,3 $/bl, dopo aver perso terreno nel terzo
trimestre sino a 16,6 $/bl, sono cedute ulteriormente sino ai 15,0 $/bl di fine anno; la
riunione OPEC, svoltasi a novembre per fronteggiare la situazione, non è infatti
riuscita,secondo uno schema ormai consolidato, a raggiungere un accordo sui livelli
produttivi, limitandosi a lanciare un appello, senza risposta, ai produttori non OPEC a
ridurre la propria produzione.
Nel 1994 il prezzo medio annuo del Brent ha toccato i 16 $/b ,uno dei valori più bassi
registrati dopo il 1986, mentre il differenziale Brent-Dubai si è ulteriormente ridotto a
1,2 $/b.
Sul fenomeno, tra l’altro inatteso,hanno inciso diversi fattori, tra cui la minore
disponibilità sul mercato europeo di greggi pesanti e ad alto contenuto di zolfo, il
contemporaneo sensibile aumento dell’offerta di greggi del Mare del Nord leggeri e a
basso contenuto di zolfo e, infine, una domanda particolarmente debole di prodotti medi
e leggeri, evidenziata dall’ andamento dei prezzi relativi di questi prodotti rispetto al
greggio.
La variabilità,su base trimestrale, del prezzo del Brent rispetto al valore medio annuo è
stata notevole.
Nella prima parte dell’anno, la possibilità del ritorno sul mercato del greggio dell'Iraq
ha spinto al ribasso i prezzi del Brent, sino a 13,90 $/barile ; successivamente, acquisti
speculativi di "paper barrels”, rallentamenti produttivi nel Mare del Nord, ripetuti
blocchi della produzione Nigeriana, guerra civile nello Yemen hanno spinto al rialzo i
prezzi, sino a superare nella prima decade di agosto i 19 $/bl .Il venir meno di questi
elementi congiunturali ha successivamente determinato una spinta al ribasso dei
prezzi,sempre del Brent, verso i 16 $/b.
Nel 1995 la quotazione media annua del Brent è risalita a 17,2 $/b in un contesto
caratterizzato da oscillazione meno pronunciate rispetto a quelle dell’anno precedente ;
il differenziale Brent -Dubai ha registrato ,dal canto suo, il valore medio minimo
dell’ultimo decennio (1,1 $/bl), a causa dell'ampia offerta di greggi leggeri e sweet e
della carenza dell'offerta dei greggi pesanti e ad alto contenuto di zolfo, amplificata
dalle continue interruzioni delle esportazioni del greggio pesante Ural proveniente dal
Mar Nero.
Su base trimestrale il prezzo del Brent è passato da un valore medio di 17,1 $/b del
primo trimestre a 18,1 $/b del secondo trimestre; questo rialzo è stato alimentato, come
già accaduto nel 1994, da fattori prevalentemente congiunturali, come le forti tensioni
tra gli Stati Uniti e l’ Iran e la Libia , lo sciopero dell'industria petrolifera brasiliana per
l'intero mese di maggio e ,dal lato della domanda, la ripresa dei consumi di benzine
negli Stati Uniti.
Con il terzo trimestre, il mercato petrolifero internazionale è tornato a riflettere
un'offerta più che sufficiente a soddisfare la domanda; i prezzi dei greggi di
conseguenza sono tornati sui valori di inizio d'anno con il Brent a 16,2 $/bl, per poi
risalire nell'ultimo trimestre dell'anno a 17,0 $/bl.
In conclusione, la prima metà degli anni 90’ si caratterizza per un netto prevalere dei
fattori economici rispetto a quelli politici che avevano contraddistinto,invece, i due
decenni precedenti.
39
Di fronte ad una produzione extra-OPEC che si fa sempre più consistente, l'Arabia
Saudita e gli altri paesi OPEC non si impegnano nè in una guerra di prezzi attraverso un
aumento sostanziale dei volumi produttivi, nè in una politica di rigido controllo
dell'offerta.
Con questo atteggiamento, l'OPEC tende a collocare sul mercato la sua produzione
accettando che il prezzo venga determinato dal gioco della domanda e dall'offerta.
Il sistema delle quote di produzione, pur se mantenuto in vigore, non costituisce una
strozzatura all'offerta, anche perchè i tetti produttivi continuamente rivisti vengono
praticamente a coincidere con i quantitativi richiesti dal mercato. Ne emerge che il
termine di cartello diviene del tutto riappropriato per descrivere il comportamento
dell'OPEC, mentre si può parlare con più realismo di un mercato petrolifero fortemente
concorrenziale.
D'altra parte, l'unico paese in grado di esercitare una politica di controllo dell'offerta,
l'Arabia Saudita, non ritiene opportuno attuare questa opzione per la possibilità di
minori entrate nel breve termine e il pericolo di perdita di quota di mercato nel lungo
termine.
Conseguenza diretta di questo assetto del mercato è la crescente volatilità delle
quotazioni ;d’altra parte, in un sistema dove i margini di risposta a fatti non previsti si
vanno facendo sempre più esigui ,anche per la politica di costante riduzione degli
stoccaggi attuata dagli operatori per contenerne i relativi costi, anche fattori,
certamente non drammatici, come le punte stagionali di domanda o problemi dal lato
offerta, possono diventare capaci di innescare forti rialzi dei prezzi, sia pure su base
temporanea.
3.1.4 I prezzi dei prodotti
Dopo la stabilità degli anni '60, le crisi petrolifere determinano forti oscillazioni anche
sui mercati internazionali dei prodotti petroliferi, a prescindere dall'impatto della
fiscalità dei singoli paesi consumatori .
Gli andamenti dei prezzi dei prodotti sono notevolmente differenziati rispetto a quelli
del greggio in relazione alle caratteristiche dei mercati di utilizzo, alla maggiore o
minore sostituibilità con altri prodotti energetici e, in ultima analisi, al profilo della
domanda .
Sul mercato di Rotterdam ,il più rappresentativo della realtà europea, il prezzo della
benzina, il prodotto meno sostituibile e, quindi, anche il più sensibile ai segnali del
mercato, è passato dai 33 $/t (media annua) dei primi anni settanta ai 129 $/t del 1975,
ai 371 $/t del 1981 in corrispondenza della massima quotazione del prezzo del petrolio.
Negli anni successivi, i prezzi di questo prodotto sono andati diminuendo, ma non alla
stessa velocità di quelli del greggio, mantenendosi ben al di sopra dei 250 $/t.
Le quotazioni sono crollate solo nel 1986 (162 $/t su base annua) in coincidenza con la
nuova politica di offerta perseguita dall'Arabia Saudita e con l'accettazione del principio
del "net-back pricing " .
Nel 1987 il prezzo della benzina ha recuperato però oltre 16 $/t, per poi perdere 10 $/t
nel 1988, ma riguadagnare di nuovo sino a 208 $/t nel 1989.
La variabilità del prezzo della benzina è anche ben indicata dall'andamento del valore
del rapporto tra il prezzo spot della benzina sulla piazza di Rotterdam e il prezzo del
greggio: quest'ultimo valore, dopo aver superato il livello di 450 negli anni della prima
crisi petrolifera, supera ampiamente il livello di 290 in occasione della seconda crisi,
per poi scendere a meno di 130 negli anni successivi, in corrispondenza del lungo
periodo di flessione della domanda petrolifera .
Con la nuova fase espansiva dei consumi avviata dopo il 1986, il valore del rapporto
benzina /greggio, sempre su base trimestrale, appare in recupero verso il livello di 150.
Il prezzo internazionale del gasolio, utilizzato per trazione e riscaldamento, dove è in
concorrenza con il gas naturale, registra forti incrementi, anche se meno accentuati di
40
quelli della benzina: da una quotazione di 25-30 $/t degli inizi degli anni settanta si
passa nel 1975 a 100 $/t , in media annua , sulla piazza di Rotterdam; nel 1979 si
arriva poi ad una quotazione, sempre in media annua, di 307 $/t .Nel periodo 19801985, le quotazioni registrano un netto arretramento, anche se si mantengono al di
sopra dei 230 $/t soprattutto per la tenuta della domanda del settore dei trasporti .
Il 1986 segna una brusca diminuzione sino a 142 $/t, che si accentua ancora nel 1988
con 135 $/t, prima del recupero del 1989 con 161 $/t .
Particolarmente significativo l'andamento del prezzo relativo del gasolio rispetto al
greggio che, dopo aver superato il valore di 390 e 263 in occasione, rispettivamente,
della prima e della seconda crisi, scende verso valori di circa 110 negli anni successivi,
caratterizzati da forti flessioni di domanda in Europa e Nord America.
Con la ripresa dei consumi, a partire dalla seconda metà degli anni '80, particolarmente
vivace nel Nord America e nel Pacifico, il prezzo relativo del gasolio, rispetto al
greggio, mostra segni di recupero
La dinamica del prezzo dell'olio combustibile, che ha risentito in maniera crescente
della concorrenza del carbone e del gas naturale, negli usi termici industriali e nella
produzione termoelettrica, e dell'energia nucleare nella generazione elettrica, è
caratterizzata da aumenti inferiori a quelli degli altri prodotti meno sostituibili: da una
quotazione ,sul mercato di Rotterdam, di circa 13-18 $/t prima del 1973 si passa ad una
quotazione di 67 $/t nel 1975 e a 183 $/t nel 1981.
Nel periodo successivo i prezzi tendono al ribasso, ma nel 1984, in concomitanza con
lo sciopero dei minatori inglesi che blocca la produzione di carbone di quel paese, le
quotazioni dell'olio combustibile, l'unica fonte in grado di sostituire il carbone negli
impianti termoelettrici alimentabili a doppio combustibile, risalgono per effetto della
forte domanda sino ad oltre 180 $/t.
Nel 1986, però, la nuova politica saudita di offerta di greggio comporta un tracollo
dei prezzi dei prodotti e ,in particolare , di quelli dell'olio combustibile, che scendono a
73 $/t, appena 12 $/t al di sopra delle quotazioni del 1975, un livello che dovrebbe
renderlo di nuovo competitivo nei confronti del carbone e del gas naturale.
Dopo un recupero nel 1987, seguito da una nuova flessione al di sotto dei 70 $/t, il
prezzo dell'olio combustibile riesce a riportarsi a 87 $/t nel 1989 in relazione al miglior
clima di mercato.
Si verifica inoltre un graduale aumento del differenziale di prezzo tra olio combustibile
a basso tenore di zolfo ,il cui utilizzo in alcuni casi diviene praticamente obbligato per
rispettare gli standard di qualità dell'aria , e olio combustibile ad alto tenore di zolfo.
L'andamento del prezzo relativo dell'olio combustibile rispetto al greggio dimostra,
ancor più del livello assoluto dei prezzi, la difficoltà ,in questo periodo, di seguire la
dinamica del greggio. Il suo spazio di mercato ,specie per la qualità ad alto tenore di
zolfo, si va infatti sempre più restringendo a causa delle normative sulla qualità dell'aria
che si fanno sempre più severe.
Il valore del rapporto olio combustibile ad alto tenore di zolfo/greggio, dopo aver
superato, su base annuale, il valore di 100 nei momenti di crisi o in occasione di eventi
eccezionali, come il già richiamato sciopero dei minatori inglesi, mostra una chiara
tendenza al ridimensionamento intorno ad un livello di 60-65.
La crisi del Golfo porta ad un fortissimo aumento delle quotazioni dei prodotti che
raggiungono, a partire dal secondo trimestre del 1990, livelli analoghi a quelli raggiunti
in occasione della seconda crisi energetica .
Il prezzo medio della benzina nel quarto trimestre, sempre 1990, si posiziona sui 325/t
rispetto ai 216 $/t del primo trimestre (+50%), mentre quello del gasolio raggiungeno i
296 $/t rispetto ai 175 $/t del primo(+69%).
Molto accentuato anche l’aumento dei prezzi del kerosene-jet dai 197$/t ai 366 $/t,
sempre tra il primo ed il terzo trimestre 1990. L’aumento dei prezzi dei prodotti leggeri
e medi interessa anche gli oli combustibili, con variazioni del 51% per l’olio
combustibile ATZ e del 30% per quello BTZ.
41
Con la fine della Guerra del Golfo, anche i prezzi internazionali dei prodotti petroliferi
sono caratterizzati da sensibili riduzioni, sia pure in un contesto di volatilità che si andrà
accentuando negli anni successivi, con sviluppi inattesi relativamente ai rapporti tra i
prezzi dei diversi prodotti .
Nel 1992 la quotazione media della benzina super, per valori spot FOB Rotterdam, è
stata di 211 $/t, con una riduzione del 10,6 per cento rispetto al 1991;il prezzo della
virgin naphtha, che si era indebolita meno degli altri prodotti nel 1991, è diminuito
dell'11,3 per cento, scendendo a 185 $/t.Anche i distillati medi hanno registrato notevoli
flessioni: meno 11,8 per cento il gasolio, e meno 12,0 per cento il jet kerosene, con
valori, rispettivamente, di 177 e 196 $/t.
I prezzi degli oli combustibili, nonostante la diminuzione del prezzo del greggio, sono
risultati stabili o in aumento. Per l'olio combustibile BTZ la quotazione media annua è
stata di 92 $/t, come nel 1991, mentre per l'olio combustibile ATZ si è avuto un
rafforzamento delle quotazioni, con 82 $/t (5,2 per cento in più rispetto all'anno
precedente).D’altra parte la crisi del Golfo aveva avuto conseguenze soprattutto sui
prodotti leggeri e medi anche in relazione agli eccezionali spostamenti di mezzi navali
,aerei e terrestri verso il medio Oriente.
In termini di scala valori si è avuta una sensibile riduzione dei valori relativi a
benzina(144) e gasolio(121), mentre quelli relativi agli oli combustibili si sono
rafforzati .
I margini di raffinazione ,molto sensibili alle quotazioni della benzina e del gasolio
rispetto al greggio, hanno cosi registrato una netta riduzione rispetto all’anno
precedente(-43%).
Il 1993 è stato caratterizzato da ulteriori riduzioni dei prezzi dei prodotti in valori
assoluti ;in termini di scala valori si è peraltro avuto un apprezzamento dei prodotti
medi come il kerosene, il gasolio e dell'OC BTZ, mentre si sono indebolite le
quotazioni della virgin naphta, che ha risentito di un basso profilo della domanda dell'
industria petrolchimica, e dell’olio combustibile ATZ.
In questo contesto i margini di raffinazione sono migliorati nella misura del 17%.
Il 1994 è stato dominato da andamenti non coerenti con le aspettative deli operatori :si è
infatti verificata una nuova forte riduzione dei prezzi dei prodotti leggeri e medi a
fronte di un un rafforzamento delle quotazioni dell’olio combustibile ,in particolare di
quello ad alto tenore di zolfo che sembrava destinato a scomparire rapidamente dal
mercato.
In particolare, la flessione dei prezzi delle benzine ha risentito del sensibile calo delle
importazioni USA dall'Europa18 a causa del cambiamento delle specifiche qualitative
richieste,del manifestarsi di un surplus di capacità di conversione sul mercato europeo;
quella dei gasoli è stata invece determinata da fattori più congiunturali, quali le
condizioni climatiche invernali particolarmente miti degli ultimi due mesi del 1994 sia
in Europa che negli USA e nell'area del Pacifico.
Per contro i forti aumenti dei prezzi degli oli combustibili sono stati determinati dalla
forte richiesta da parte dei mercati del sud est asiatico, in un contesto di minore
disponibilità di questo prodotto, a sua volta influenzata dalle frequenti interruzioni delle
esportazioni di greggi pesanti dal Mar Nero e dalla maggiore produzione OPEC di
greggi leggeri al posto di quelli pesanti e ,infine, dalla strutturale riduzione delle rese di
olio combustibile conseguente alla maggiore sofisticazione delle raffinerie.
La scala valori evidenzia l'entità del cambiamento con un deterioramento dei valori
relativi a benzine(140) e gasoli(121), a fronte di un apprezzamento di quelli relativi agli
oli combustibili (75 per la qualità BTZ).
Una combinazione di fatti congiunturali e di fatti strutturali ha così portato ad una
situazione particolarmente negativa per l’industria della raffinazione europea e
18L'Europa è strutturale esportatore di benzine verso gli USA per volumi variabili tra 3 e 5
milioni di tonn. anno.
42
,paradossalmente,proprio per gli impianti più sofisticati, quelli capaci di produrre
elevati quantitativi di prodotti leggeri e medi a scapito di quelli pesanti. I margini di
raffinazione sono infatti diminuiti del 25 % rispetto all’anno precedente.
Nel 1995 le quotazioni dei prodotti ,in un contesto di elevata volatilità,hanno registrato
in media annua un diffuso recupero,inferiore però per molti prodotti all’aumento del
greggio .
In termini di rapporti, rispetto a questo ultimo si è avuto, infatti, un netto peggioramento
della situazione relativamente ai prodotti leggeri e medi .
Il mercato delle benzine ha continuato a risentire della persistente sovracapacità di
impianti di raffinazione orientati a benzina , di ostacoli all’esportazione verso gli USA e
di una domanda poco vivace anche per la maggiore competitività delle auto diesel
rispetto a quelle diesel in vari paesi europei; i prezzi del gasolio dal canto loro hanno
risentito di condizioni climatiche abbastanza favorevoli.
L’ulteriore rafforzamento dei prezzi degli oli combustibili rispetto al greggio è stato
determinato, non diversamente dal 1994, da una forte domanda, da parte dei mercati del
sud est asiatico e dalla persistente scarsa disponibilità del prodotto .
La scala valori ha cosi visto il prezzo della benzina scendere a 137, quello del gasolio a
118, mentre quello dell’olio combustibile BTZ saliva a 79 .
In questo quadro i margini di raffinazione hanno subito una ulteriore diminuzione con
delle punte particolarmente basse nella prima parte dell’anno, mentre successivamente
si è manifestato un certo recupero .
3.1.5 La raffinazione
Mentre la domanda di prodotti petroliferi risente immediatamente degli aumenti dei
prezzi del greggio che si manifestano a partire dal 1973, la fase di intenso sviluppo della
capacità di raffinazione in tutte le aree del mondo non sembra subire interruzioni, dato
che molti operatori ritengono, a torto, che i cali di domanda possano essere presto
riassorbiti.
La capacità mondiale di raffinazione passa, infatti, dai 3,2 miliardi di t/anno del 1973 ai
3,6 miliardi di t del 1975, ai 4,2 miliardi di t nel 1980; ma nelle principali aree
economiche i segni di cambiamento sono sempre più evidenti con il progressivo
concentrarsi delle nuove realizzazioni nei paesi produttori.
Inoltre, dopo il 1980 , con la forte diminuzione dei consumi di prodotti petroliferi e, in
particolare, di olio combustibile sostituito in modo sempre più massiccio da altre fonti,
l'industria della raffinazione non può più rinviare un radicale processo di
ristrutturazione, per tener conto della nuova composizione del barile di domanda che si
va sempre più modificando ed alleggerendo a favore di prodotti quali le benzine, i
gasoli, il kerosene per aerei e i prodotti speciali.
Tra il 1980 e il 1985, la capacità mondiale di raffinazione scende da circa 4,2 miliardi di
t a 3,7 miliardi di t, con forti tagli negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale che
perdono quota a favore delle nuove raffinerie localizzate nel Medio Oriente, secondo
un modello che aveva caratterizzato le prime fasi di sviluppo dell ' industria petrolifera
mondiale .
A partire dal 1986, il processo di riorganizzazione della industria petrolifera assume un
nuovo profilo connotato da profonde differenze tra l’area OCSE ed i paesi in rapido
sviluppo dell’Asia.
Gli elementi più significativi di questo processo sono: ulteriore modifica del barile di
domanda in presenza di una domanda complessiva non particolarmente brillante
nell'area OCSE; eccezionale sviluppo della domanda petrolifera sui mercati dell'Asia,
con una struttura del barile orientata in prevalenza verso i prodotti medi.
Negli Stati Uniti, con gli emendamenti approvati nel Clean Air Act del 1990, è entrata
in vigore una legislazione che ha determinato nuove specifiche tecniche delle benzine
(contenuto massimo di benzene, il peso minimo di ossigeno e di MTBE o di altri
43
ossigenati etc.).Tale legislazione ha avuto un peso decisivo con progressiva estensione
del suo campo di applicazione ai vari stati, a partire da quelli più soggetti a problemi
ambientali .
La riduzione degli aromatici ha richiesto un potenziamento della capacità di
isomerizzazione e di alchilazione e la costruzione di nuovi impianti per la produzione di
MTBE ottenuto da metanolo da gas naturale e da isobutilene di raffineria. Dall'ottobre
1993,inoltre, il contenuto massimo di zolfo nel gasolio per autotrazione è passato dallo
0,3 per cento, in peso, allo 0,05 in gran parte del territorio degli Stati Uniti.
Parallelamente all’adeguamento qualitativo di molti impianti ,negli Stati Uniti sono
state chiuse molte raffinerie di piccole dimensioni: tra il 1985 ed il 1995 la capacità di
raffinazione è passata da 15,5 a 15,2 milioni di b/g, mentre il coefficiente di utilizzo
degli impianti è passato dal 78 al 92%. Nonostante l’aumento del tasso di utilizzo delle
raffinerie , si è venuto a manifestare a metà degli anni 90’un deficit crescente di prodotti
leggeri (25 milioni di t), prodotti medi (22 milioni di t), prodotti pesanti (18 milioni di
t).
Anche in Europa la legislazione di tipo ambientale ha avuto un notevole impatto sulla
industria della raffinazione in aggiunta a quanto richiesto dalla evoluzione della
domanda di prodotti, con un peso crescente dei prodotti leggeri e medi .
L'adeguamento della capacità a standard di qualità sempre più stringenti comporta e
comporterà la necessità di ingenti investimenti,con particolare riferimento agli impianti
di conversione in grado di aumentare le rese di distillati medi, alla desolforazione dei
prodotti ed alla eliminazione dei residui pesanti.
Per effetto del processo di ristrutturazione, sempre nel periodo 1986-1995, la capacità di
raffinazione dell'Europa Occidentale è scesa da 17.4 a 16.6 milioni di b/g, mentre il
coefficiente di utilizzo degli impianti è passato dal 65 all'87%.
Nonostante la riduzione di capacità primaria a livello globale, in Europa si è andato
manifestando negli ultimi anni un notevole deficit non solo di olio combustibile, ma
anche, ed in misura crescente, di distillati medi, mentre la capacità orientata a benzine
si è rivelata superiore alla domanda, in quanto, specie agli inizi degli anni novanta, la
costruzione di nuova capacità secondaria è stata prevalentemente orientata alle benzine,
nell’aspettativa di una forte crescita della domanda di questo prodotto .
In Giappone la capacità di raffinazione è passata da 5 (1985) a 4,9 milioni di b/g (1995)
ed il coefficiente di utilizzo è passato dal 63 all’85%
Nonostante il surplus di capacità primaria, questo paese si caratterizza quale
importatore netto di prodotti leggeri come il GPL (15 milioni di t) e di virgin naphta (20
milioni di t), con scarse prospettive di modifica di questa situazione che, al contrario, è
destinata ad accentuarsi con un notevole impatto sui mercati internazionali. In passato il
Giappone aveva tradizionalmente puntato alla sicurezza attraverso la programmazione
degli approvvigionamenti e la stipula di accordi di lungo termine con i paesi produttori,
ma, con la liberalizzazione di quel mercato, lo scenario è drasticamente cambiato.
Mentre nell’area Ocse il settore della raffinazione è dominato dai processi di
riorganizzazione, l’elemento dominante su quelli asiatici è quello dello sviluppo; la
capacità di raffinazione di questa area,sempre tra il 1985 e il 1995, è passata da 6,9 a
10,8 milioni di b/g, mentre il coefficiente di utilizzo degli impianti è passato dal 79
all'88%. Nonostante l’aumento della capacità, si sono andati manifestando squilibri in
tutti i prodotti progressivamente più accentuati nel caso dei distillati medi e dell'olio
combustibile per un totale di circa 70 milioni di t.
In conclusione, a metà degli anni ’90, nonostante un gigantesco processo di
riorganizzazione nel sistema di raffinazione mondiale, permangono forti squilibri
esaltati dalla specificità delle realtà regionali e dalla frammentazione dei mercati in
relazione alle diverse specifiche dei prodotti che rendono più difficile il riassorbimento
degli sbilanci tra domanda e offerta.
Negli Stati Uniti la prospettiva della costruzione di nuovi impianti è poco probabile per
motivi ambientali ed economici con un possibile aumento del deficit di benzine; di
44
conseguenza, il mercato del Nord America tenderà ad integrarsi ancor più strettamente
con i centri di esportazione del Centro e Sud America.
In Europa la sovrabbondanza di capacità pro-benzina potrebbe accentuare il fenomeno
della chiusura di intere raffinerie, aumentando, in questo caso, il deficit di prodotti medi
approvvigionabili, ma con difficoltà, dalle raffinerie dell’europa dell’est.
D'altra parte, la ripresa delle esportazioni di benzina verso il Nord America appare una
prospettiva non facile per le specifiche adottate in quella regione, che rendono il
mercato europeo e quello nord-americano non perfettamente comunicanti.
Per far fronte alla crescita della domanda dei prossimi anni, l'Asia sta sviluppando ampi
programmi di espansione della capacità di raffinazione, ma non è ancora chiaro se la
nuova capacità sarà in grado di colmare il deficit che già si profila .Ciò implicherà lo
sviluppo di una relazione privilegiata con il Medio Oriente (Arabia Saudita, Kuwait,
Iran ed altri produttori del Golfo) che è destinato a divenire lo "swing-producer" di
greggio e di prodotti raffinati, più nei confronti dell'Asia che verso i tradizionali mercati
dell'Europa Occidentale e del Nord America.
In questo nuovo quadro, caratterizzato da una forte spinta alla regionalizzazione dei
mercati, l'impatto sui mercati del greggio e dei prodotti di qualsiasi evento imprevisto,
sia dal lato della domanda sia dal lato dell'offerta, può essere molto rilevante, anche per
la capacità di amplificazione derivante dalla ridotta disponibilità di scorte e dai fattori
speculativi.
3.1.6 Le riserve
Nonostante i molti messaggi allarmistici che si sono susseguiti nel tempo, le riserve
mondiali di petrolio, agli inizi degli anni novanta, appaiono più consistenti di quelle
censite all'inizio della prima crisi energetica; le riserve provate, sfruttabili con le attuali
tecnologie, ammontano, secondo le valutazioni della BP ,che non si discostano di molto
da quelle della World Energy Conference , a138,3 miliardi di t contro 90,5 miliardi di
t nel 1975.
Questo significa che nell'arco di circa un ventennio, sia attraverso nuove scoperte, sia
attraverso la rivalutazione del potenziale produttivo di giacimenti noti con metodi più
avanzati, il patrimonio petrolifero mondiale non solo è stato reintegrato ma addirittura
accresciuto.
I progressi tecnologici e gli aumenti del prezzo del greggio,registrati agli inizi degli
anni '80 , sono stati gli elementi propulsori dell'attività di ricerca e sviluppo, che si è
estesa dalle aree tradizionali in terraferma alle zone più difficili: aree onshore e offshore
a grande profondità, mari artici, con risultati promettenti per il futuro.
Dal punto di vista geografico, le nuove scoperte e le rivalutazioni hanno comportato
alcune modifiche della situazione esistente all'inizio degli anni settanta, ma non hanno
modificato il ruolo di assoluta preminenza del Medio Oriente dove si concentrano
oltre i 2/3 delle riserve mondiali .
Questa area detiene le maggiori riserve con circa 90 miliardi di t, seguito dall'America
Latina,compreso il Messico, con 19 miliardi di t, dall'Africa con 10 miliardi di t, dai
paesi dell 'Europa orientale e dall'ex-Urss con 8,2 miliardi di t, dall'Asia e Australasia
con 6,1 miliardi di t, dall'America del Nord con 4,6 miliardi di t, dall'Europa
occidentale con 1,9 miliardi di t.
Nel 1975 le riserve del Medio Oriente erano pari a 50,4 miliardi di t, seguite da quelle
dei paesi dell'Europa orientale e dell'ex -Urss con 11 miliardi di t, dell'Africa con 9,0
miliardi di t, dell'America del Nord con 6,4 miliardi di t, dell'America Latina con 4,8
miliardi di t, dell'Europa occidentale con 2,3 miliardi di t.
Il paese dotato delle maggiori riserve è l'Arabia Saudita con 35,7miliardi di t , pari al
26% del totale mondiale , seguita dall'Iraq con 13,4 miliardi di t, dagli Emirati Arabi
Uniti con 12,7 miliardi di t, dall'Iran con 12,0 miliardi di t, dal Kuwait con 13,3 miliardi
di t, dal Venezuela con 9,3 miliardi di t , dall'ex URSS con 7,8 miliardi di t .
45
Le riserve dei paesi dove si concentrano i maggiori consumi petroliferi sono
relativamente meno consistenti: nel Nord America, che pure detiene le maggiori riserve
dei paesi industrializzati (4,6 miliardi di t), il rapporto riserve/produzione è, infatti, pari
a circa 10 anni; analogamente, in Europa occidentale, dove le riserve sono pari a 2,3
miliardi di t, il rapporto è di poco inferiore ai 7 anni.
Tutto ciò evidenzia l'enorme importanza dei temi della cooperazione e della
integrazione tra paesi consumatori e paesi produttori di greggio, in una prospettiva che
punti al pieno utilizzo di questa fonte.
Il mancato raggiungimento di questo obiettivo può significare la rinuncia alla
valorizzazione delle risorse petrolifere più abbondanti e con i costi di produzione più
bassi a livello mondiale.
Riserve mondiali provate di petrolio alla fine del 1995
A fine 1975
A fine 1985
A fine 1994
A fine 1995
A fine 1995
miliardi di
barili
Miliardi di
barili
miliardi di
barili
miliardi di
barili
miliardi di
tonnellate
Stati Uniti
Messico
Totale Nord America
39,3
9,5
57,0
35,9
49,3
92,6
30,1
50,8
88,2
29,6
49,8
86,6
3,7
7,1
11,7
Venezuela
Totale Sud e C.
America
17,7
25,9
25,6
34,9
64,5
78,3
64,5
78,9
9,3
11,4
Norvegia
Totale Europa
7,0
28,6
10,9
28,4
9,4
18,8
8,4
17,7
1,1
2,3
Totale ex Urss
80,4
61,0
57,0
57,0
7,8
64,5
34,3
71,2
151,8
32,2
368,3
47,9
44,1
92,5
171,5
33,0
398,0
89,3
100,0
96,5
261,2
98,1
660,3
88,2
100,0
96,5
261,2
98,1
659,5
12,0
13,4
13,3
35,7
12,7
89,2
Algeria
Libia
Nigeria
Totale Africa
7,4
26,1
20,2
65,1
8,8
21,3
16,6
56,7
9,2
22,8
17,9
62,2
9,2
29,5
20,8
73,1
1,2
3,9
2,8
9,8
Cina
Totale Asia &
Australasia
20,0
41,4
18,4
37,3
24,0
44,5
24,0
44,1
3,3
6,1
666,7
708,9
1009,2
1016,9
138,3
Iran
Iraq
Kuwait
Arabia Saudita
Emirati Arabi Uniti
Totale Medio Oriente
TOTALE MONDO
Fonte: BP, Statistical Review of World Energy, Londra.
46
3.2
3.2.1.
Il gas naturale 19
Gli anni '70
Tra il 1970 ed il 1980 il gas naturale risente positivamente del nuovo quadro generale
del mercato internazionale dell'energia,caratterizzato dalla volontà di molti paesi di
diversificare i propri sistemi energetici,anche se con modalità profondamente
differenziate nelle varie aree geografiche ed economiche.Nello stesso periodo la
domanda mondiale di gas aumenta di quasi il 50%, per arrivare sino a 1450 miliardi di
mc, pari al 19% del fabbisogno totale di energia ; a livello mondiale, le riserve,
nonostante un calo negli Stati Uniti, quasi si raddoppiano raggiungendo i 77.000
miliardi di mc. Il 40% di esse sono localizzate nell'ex-Unione Sovietica, il 25% circa
nel Medio Oriente, solo il 10% nel Nord America.
La ulteriore affermazione del gas naturale in quasi tutte le aree è sostenuta dagli usi
civili e dagli usi termoelettrici; il ridimensionamento di molte attività energy intensive
negli Stati Uniti e in Europa occidentale e la razionalizzazione degli impieghi di
energia, sotto la spinta di forti aumenti dei prezzi dei prodotti petroliferi, determinano
una forte riduzione dei consumi di combustibili per usi industriali : su questo mercato,
che si va riducendo, il gas comunque aumenta sensibilmente la propria quota.
Rispetto ad un quadro mondiale di crescita, solo i trend che caratterizzano gli Stati Uniti
appaiono in netta controtendenza ; in questo paese, il mercato del gas naturale è già in
una fase matura, con gradi di copertura dei fabbisogni energetici settoriali molto
elevati ; la vita residua delle riserve è di poco più di 10 anni ,anche se in questo
indicatore,anche negli anni precedenti , non ha mai raggiunto livelli molto elevati.
Le vicende istituzionali continuano a giocare un ruolo di grande rilievo nella dinamica
dell'offerta e della domanda.
L'industria del gas degli Stati Uniti è nata e si è sviluppata in un contesto caratterizzato
dall'assenza di grandi operatori integrati con una netta separazione tra produttori - in
questo caso in analogia con il settore petrolifero -, trasportatori, distributori ed
utilizzatori industriali.
Diversamente dal petrolio, il gas non ha bisogno di
trasformazioni; l'elemento di rigidità e di potenziale controllo di mercato è costituito
dal trasporto (tra Stati e all'interno degli Stati).
In questo settore, il ruolo delle autorità di controllo, rappresentate dalla "Interstate
Commerce Commission" e dalla "Federal Regulatory Commission", è molto rilevante;
queste ultime, per effetto di una complessa disciplina normativa, sottopongono a disciplina
sia il vettoriamento del gas nelle reti di trasporto sia il regime dei prezzi di trasferimento
dal produttore (il prezzo "well-head ") al trasportatore.
Lo scoppio della crisi del 1973 e l'aumento dei prezzi del petrolio di importazione
inducono il governo americano ad una politica di stretto controllo dei prezzi del gas
naturale, che avrà come conseguenza il graduale restringimento delle disponibilità di
questa fonte rispetto alla domanda potenziale 20.
Il consumo di gas naturale passa cosi dagli oltre 600 miliardi di mc del 1970 ai 560 del
1980. Le riserve si riducono nello stesso periodo da 7800 a 5500 miliardi di mc. Il
ruolo del gas naturale, nel quadro del fabbisogno totale di energia di questo paese,
scende dal 33% al 27%.
Nel resto del mondo la domanda di gas naturale è in piena espansione, con un
conseguente aumento del ruolo di questa fonte nella copertura del fabbisogno di
energia .
19 Vedi V. D’Ermo e C.Forli, Il ruolo del gas naturale nel quadro energetico mondiale degli
ultimi 60 anni, CH4 Energia e Metano, n. 3-1991.
20 F.E. Banks, The Political Economy of Natural Gas, Goom Helm, London, 1987
47
Diversamente dagli Stati Uniti, dove l'offerta viene assicurata da una pluralità di
giacimenti, anche di piccole dimensioni, e la cui proprietà è ripartita tra numerosi
operatori minerari, in Europa lo sviluppo dell'industria gassifera poggia su un ristretto
numero di operatori, spesso integrati verticalmente. Questi ultimi, in una prima fase,
assicurano lo sviluppo delle risorse nazionali, per lo più concentrate dal punto di vista
geografico (Mare del Nord olandese, norvegese e inglese, Val Padana in Italia ed
Aquitania in Francia); gli stessi operatori, successivamente, avviano una politica di
approvvigionamento delle aree più prossime all'Europa sulla base di grandi progetti,
via tubo o via navi metaniere, che sono resi possibili dalla rilevante capacità finanziaria,
dalla possibilità di programmare lo sviluppo degli impieghi ed anche dal rilevante
potere negoziale nei confronti dei produttori.
L' espansione della produzione di gas dell'Europa occidentale degli anni '70 si basa , in
particolare, sullo sviluppo dei grandi giacimenti dell'off-shore dei Paesi Bassi, che
sono in grado di alimentare, oltre che il mercato interno, un consistente flusso di
esportazioni verso Belgio, Francia e Germania Federale e, quindi, nel 1974, Italia e
Svizzera.
Negli anni successivi , con il progressivo sfruttamento delle risorse del Mare del Nord,
la produzione nell'off-shore norvegese viene esportata verso il Regno Unito ed il
Continente, con circa 26 miliardi di mc/anno verso la fine del decennio. La produzione
dell'Europa occidentale passa dagli 80 miliardi di mc del 1970 ai quasi 200 del 1980.
Anche lo sviluppo delle importazioni dall'Unione Sovietica,via condotta, e dall'Algeria,
con navi metaniere, è molto significativo .
L'ampiezza del mercato gassifero dell’Europa occidentale sale cosi dagli 80 miliardi di
mc agli oltre 200, con una copertura del fabbisogno totale di energia del 15%.
I principali paesi consumatori nel 1980 risultano nell'ordine : Germania Federale, con
circa 60 miliardi di mc, Regno Unito con quasi 50, Paesi Bassi con circa 35 , Francia e
Italia con circa 25 , Belgio con oltre10 .
Sia pure in un contesto istituzionale molto diverso, i consumi di gas naturale
dell'Europa dell'Est si collocano nel 1980 intorno ai 450 miliardi di mc circa, di cui oltre
370 nell'ex Unione Sovietica. Questo paese, grazie all’eccezionale sviluppo della
produzione e del sistema di trasporto che collega i bacini di produzione del nord e del
sud ai centri di consumo, si trova nella condizione non solo di soddisfare i propri
fabbisogni interni ma anche di esportare crescenti quantitativi verso i paesi dell'Europa
orientale e verso i paesi dell'Europa occidentale, come Germania Federale (dal 1973),
Italia e Francia, mediante la stipula di contratti di lungo termine caratterizzati dalla
clausola di take or pay.
In America Latina il volume di gas domandato nel 1980(circa 60 miliardi di mc)
rappresenta circa il doppio di quello consumato nel 1970 ; in particolare emergono
come grandi consumatori Messico (25 miliardi di mc nel 1980), Venezuela (15) ed
Argentina (12). In questa area gli usi industriali svolgono un ruolo trainante, seguiti
dagli impieghi termoelettrici e da quelli civili.
In Africa, Algeria e Libia, paesi detentori di importanti riserve di gas (3200 miliardi di
mc il primo paese e 700 il secondo), diventano importanti fornitori dell'Europa
Occidentale con la realizzazione di una serie di impianti per la liquefazione del gas e
,quindi,per la sua esportazione a mezzo di apposite navi metaniere.
L'Algeria, che aveva iniziato le esportazioni di GNL (gas naturale liquefatto) già a metà
degli anni '60, si propone come il più grande esportatore di GNL nel mondo, stipulando
nuovi contratti con paesi europei e con società statunitensi. Al primo impianto di
liquefazione di Arzew si aggiunge l'impianto di Skikda. Nel 1980 l'Algeria produce 18
miliardi di mc esportandone 7.
Anche la Libia stipula contratti con Italia e Spagna per l'esportazione a partire dal 1972
di 4 miliardi di mc/anno di GNL dal terminale di Marsa el Brega.
Nel Medio Oriente l'Iran, con oltre 10000 miliardi di mc di riserve, produce oltre 20
miliardi di mc a metà anni '70, esportandone circa la metà verso l'Unione Sovietica. La
48
rivoluzione del 1979 provoca, però, una forte riduzione della produzione che nel 1980
è di solo 8 miliardi di mc.
In complesso, nelle aree del Medio Oriente ed in Africa, dove agli inizi del decennio
dominavano gli impieghi industriali, si verifica una crescita molto sensibile degli
impieghi termoelettrici sino a circa un terzo dei consumi complessivi.
In Asia il più importante mercato è rappresentato dal Giappone, con un consumo che,
nel 1980 ,raggiunge i 26 miliardi di mc quasi interamente coperti da importazione di
GNL dall'Alaska, dal Brunei (a partire dal 1972), e da Abu Dhabi e Indonesia (dal
1977).In questo paese la forte espansione della domanda di gas viene sostenuta, in
primo luogo, dal settore termolettrico, che punta decisamente verso questa fonte, con
assorbimenti che passano da 1,4 a 18,6 miliardi di mc e, quindi, dagli usi civili che
raggiungono 8,3 miliardi di mc rispetto ai 4,4 del 1970; i consumi industriali non
superano invece i 3,3 miliardi di mc, differenziando quindi notevolmente la struttura
degli impieghi di questo paese da quella dei paesi europei e degli Stati Uniti.
Nei rimanenti paesi dell'Asia la struttura degli impieghi di gas rimane concentrata sugli
usi industriali, mentre il settore termoelettrico gioca un ruolo minore e gli usi civili
occupano uno spazio molto ridotto.
3.2.2. Gli anni '80 e la prima metà degli anni ‘90
Dopo il forte sviluppo del decennio precedente, nei primi anni '80 la crescita del gas
naturale subisce un temporaneo rallentamento.
La crisi del 1979, con il nuovo forte rialzo dei prezzi internazionali del petrolio ,porta
ad una nuova e più pesante diminuzione dei consumi di energia nei paesi
industrializzati, in un contesto di stagnazione economica.
Al difficile scenario di questi anni si aggiunge la presa di posizione di alcuni paesi
produttori di gas dell'area OPEC, come Algeria e Libia, che mettono in discussione i
criteri di formulazione dei prezzi di esportazione accettati fino a quel momento e che
tenevano conto dei maggiori costi di trasporto del gas rispetto al greggio.Dopo la crisi
del 1973, i prezzi internazionali del gas, stabiliti nell'ambito di contratti a lungo termine,
erano già stati modificati consensualmente per tener conto ,in qualche misura, dei
mutamenti intervenuti sui mercati del greggio e dei prodotti petroliferi .Queste
modifiche non avevano però alterato il principio del riconoscimento da parte del
produttore dei maggiori oneri di trasporto rispetto al greggio e del tipo di mercati
serviti.
L'emergere di un atteggiamento rigido, che arriva a sostenere il principio della
equiparazione dei prezzi del gas a quelli del greggio a parità calorica su base fob,
frena lo sviluppo del mercato del GNL sia verso l'Europa che verso il Nord America.
Anche il completamento dei lavori del gasdotto dall'Algeria all'Italia, che realizzerà
per la prima volta un collegamento fisico tra l' Africa e l' Europa per un quantitativo
annuo di 12 miliardi di mc/anno, e l'avvio delle importazioni subiscono dei ritardi
.Dopo una lunga e complessa trattativa, la Snam,titolare del contratto, non accetta di
modificare i prezzi già convenuti La controversia viene risolta portando la trattativa a
livello governativo e raggiungendo in quella sede un compromesso di tipo politico che
riconosce alla parte algerina un sovrapprezzo ,non giustificabile in termini
rigorosamente economici ,che graverà sul bilancio dello Stato italiano .
Con il contro-shock petrolifero del 1986, l’avvio di un ciclo economico espansivo e la
sempre maggiore sensibilità per i problemi ambientali, si determinano le condizioni
per un rilancio del gas naturale che è in grado di offrire valide risposte sul piano della
diversificazione e della qualità. Anche le impostazioni più estreme in materia di prezzi
all’esportazione vengono abbandonate, con il progressivo affermarsi delle regole del
mercato . Sul piano della contrattualistica si affermano comunque regole e formule
strutturate in modo da attenuare l’impatto, sui prezzi all’esportazione del gas, della
estrema variabilità delle quotazioni dei prodotti petroliferi a cui i prezzi del gas
49
naturale sono collegati .
Si consolidano così tendenze già emerse alla fine degli anni Settanta, con particolare
riferimento allo sviluppo degli scambi internazionali che raggiungono alla fine del
decennio il considerevole volume di oltre 300 miliardi di mc/anno, per poi espandersi
ulteriormente, sino a raggiungere i 400 miliardi di mc, di cui 300 esportati a mezzo
gasdotto e circa 100 a mezzo navi metaniere.
Nel corso degli anni ’80, gli usi civili diventano il principale mercato di assorbimento,
mentre gli usi industriali, specie nelle economie più mature, continuano a risentire del
ridimensionamento di alcune attività e della riduzione dei consumi specifici di
combustibili per unità di prodotto ; sviluppi consistenti si registrano comunque nei paesi
più in ritardo nel processo di industrializzazione.
Anche gli usi termoelettrici continuano la loro ascesa in numerosi paesi, sotto la spinta
di interventi di politica energetica, che riconoscono l'importanza di questo combustibile
per motivi ecologici e di efficienza di utilizzo.
In Europa occidentale, i consumi di gas arrivano nel 1990 a circa 300 miliardi di
mc/anno, di cui 50 importati dalla exURSS e 35 dal Nord Africa. L'incremento rispetto
al 1980 risulta superiore al 20 %. La Germania è sempre il principale paese
consumatore dell'area, con un volume di circa 60-80 miliardi di mc/anno. Seguono il
Regno Unito con oltre 50 miliardi di mc, l'Italia, caratterizzata da uno sviluppo molto
accentuato specie nella seconda metà degli anni '80, con oltre 40 miliardi, i Paesi
Bassi con oltre 35 miliardi, la Francia con circa 30 miliardi
Il ruolo del gas naturale, sul totale fabbisogno di energia dell'Europa occidentale, è in
aumento sino al 19 %.
Le consistenza delle riserve aumenta considerevolmente nel corso del decennio, grazie
ai ritrovamenti nella zona norvegese del Mare del Nord; alla fine del 1990 esse sono
valutate in circa 6300 miliardi di mc, di cui 2700 appartenenti alla Norvegia; la loro
consistenza è tale da aprire nuove prospettive all’approvvigionamento gassifero europeo
.
Nel quinquennio successivo, in tutta l’Europa occidentale la fase espansiva della
domanda di gas naturale prosegue e si rafforza, sostenuta in particolare dal settore della
produzione di elettricità il cui assetto subisce un profondo riassetto in senso privatistico
in molti paesi .
D’altra parte, la sempre maggiore attenzione ai temi ambientali e l’alta efficienza di
trasformazione ottenibile dagli impianti a gas rendono la scelta a favore del gas sempre
più frequente .
Il mercato del gas naturale del Nord-America ,superata la fase recessiva della prima
metà degli anni '80, mostra chiari segni di recupero .
Il livello di domanda raggiunto nel 1990, pari ad oltre 600 miliardi di mc, risulta di
nuovo allineato a quello del 1980, con un contributo di circa un quarto al
soddisfacimento del fabbisogno di energia dell'area. Le riserve, che ammontano a circa
7300 miliardi di mc, di cui circa 5000 negli Stati Uniti, rappresentano solo il 5% del
totale mondiale, con un rapporto
riserve/ consumi relativamente basso, ma
tendenzialmente stabile, il che significa che ogni anno vengono scoperte riserve pari ai
consumi dell’anno.
Le decisioni del governo americano continuano ad avere un impatto notevole sullo
sviluppo di questo mercato : dopo la fine del controllo dei prezzi praticati agli utenti ad
opera del "Final Use Act" del 1987 e la fine dei controlli sui prezzi alla produzione
("well-head" ), con un provvedimento legislativo del 1989, il gas naturale viene messo
in condizioni di competitività piena con le altre fonti e quindi nella possibilità di
recuperare il terreno perduto.
Altro elemento di novità è la possibilità di accesso degli utenti alle reti di trasporto
("open access"), che consente maggiore libertà di azione sul mercato a distributori
locali e utilizzatori industriali, sino alla nascita di un mercato spot e di un mercato a
termine del gas naturale, che susciterà grande interesse anche in paesi come il Regno
50
Unito dove la scoperta di numerosi giacimenti di gas nelle aree off-shore del mare del
Nord consente la nascita di un mercato con una pluralità di produttori e di utilizzatori
(v. cap. V, par. 6.1).
Nel nuovo contesto, il mercato del Nord-America continua a svilupparsi anche nella
prima metà degli anni ’90, raggiungendo la prima posizione nel mondo con oltre 600
miliardi di mc .
Agli inizi degli anni ’80, nei paesi dell’Europa dell’Est, il settore del gas naturale
continua il suo sviluppo senza alcun rallentamento, fino al momento del crollo della
struttura unitaria del sistema economico di questi paesi; a metà degli anni '80, la
produzione degli Stati Uniti è superata da quella dell’ex-URSS che diventa il più
importante produttore del mondo; sul finire del decennio la produzione si porta sugli
800 miliardi di mc, di cui circa 100 esportati ,il quantitativo più rilevante a livello
mondiale.Le riserve di questo paese , poco prima della creazione della Comunità di
stati indipendenti, assommano ad oltre 50000 miliardi mc, pari al 40% del totale
mondiale .
La domanda di gas dell'intera Europa dell'Est raggiunge alla fine degli anni ’90 circa
800 miliardi di mc e il ruolo di questa fonte sul totale fabbisogno di energia dell'area è
pari al 35% circa.
La difficile fase di transizione all'economia di mercato e la grave crisi economica che
investono la federazione russa e le nuove repubbliche della CSI si riflettono anche sul
settore del gas naturale, che comunque reagisce meglio degli altri settori energetici,
anche in relazione al peso economico ,politico e finanziario della struttura che gestisce
questo settore: la società Gasprom; la riduzione dei livelli produttivi dell'ex-Urss , di
circa 100 miliardi di mc, che si registra tra il 1990 ed il 1995 , si ricollega più che ad
un collasso delle strutture produttive alla crisi della domanda interna ed a quella dei
paesi dell'Europa orientale .Questi ultimi non possono più importare gas naturale
secondo il sistema di prezzi politici che vigevano all'interno dell'area Comecon e, allo
stesso tempo, devono affrontare una grave crisi economica .La solidità del sistema
produttivo trova anche conferma dal mantenimento e dall’ulteriore sviluppo della
capacità di esportazione verso i paesi dell’Europa occidentale.
Nell' Asia-Oceania, quarta area consumatrice nella graduatoria mondiale,la domanda di
gas arriva nel 1995 a 215 miliardi di mc/anno rispetto ai 70 miliardi del 1980 ; negli
ultimi anni si registra una netta accelerazione del ritmo di crescita, anche perchè il
ruolo del gas naturale nella regione è il più basso del mondo, con un modesto 7%, ed i
fabbisogni energetici dell’area si vanno espandendo rapidamente .
Le riserve di questa area assommano ad oltre 9500 miliardi di mc: i principali paesi
detentori sono Indonesia (2600 miliardi di mc), Australia (2100 miliardi di mc), Malesia
(1600 miliardi di mc); il peso percentuale di queste riserve sul totale mondiale è
peraltro inferiore a quello dei consumi, segnalando, specie in prospettiva ,uno spazio di
mercato per importazioni da altre aree.
Il più importante paese produttore è, con oltre 40 miliardi di mc/anno, l'Indonesia, che
esporta più del 50% della propria produzione in Giappone.
Il Giappone si conferma come il più grande paese importatore e consumatore
dell’area, con circa 60 miliardi di mc/anno, quasi totalmente importati sotto forma di
GNL. In questo paese gli impieghi termoelettrici, anche sotto la spinta delle
preoccupazioni di ordine ambientale ,superano i 35 miliardi di mc
In questo paese l'industria del gas ha caratteristiche assimilabili a quelle dell'Europa
continentale, in quanto un ristretto numero di operatori assicura l'approvvigionamento
dall'estero a mezzo di navi metaniere, sulla base di contratti a lungo termine, a loro
volta poggiati su progetti industriali relativi all'intero ciclo del gas (produzione,
liquefazione, trasporto, rigassificazione, distribuzione,utilizzo finale).
Anche negli altri paesi asiatici interessati da una forte espansione economica si verifica
una eccezionale crescita degli usi termoelettrici, seguiti da quelli civili e, infine, da
quelli industriali.
51
Nel 1995. le riserve del Medio Oriente , ancora scarsamente sfruttate, pongono la
regione al secondo posto nel mondo: quasi 44000 miliardi di mc. Principale detentore è
l'Iran con 21000 miliardi di mc, seguito da Abu-Dhabi, Arabia Saudita e Qatar, con
oltre 5000 miliardi di mc ciascuno.Il principale paese consumatore è l'Arabia Saudita
con oltre 30 miliardi di mc, seguita dall'Iran con 25. Il ruolo del gas naturale nel
soddisfacimento del fabbisogno totale di energia dell'area è il più alto al mondo: 37%.
Il patrimonio di riserve del Medio Oriente è tale da farne nel lungo termine un
interlocutore privilegiato dell’Europa oltre che dei mercati asiatici.
In America Latina, con riserve di 7600 mc, la domanda raggiunge, alla metà degli anni
’90, i 110 miliardi di mc, con un ruolo del gas naturale sul fabbisogno totale di energia
inferiore al 20 %.
In Africa l'utilizzo del gas ,circa 40 miliardi di mc , rimane limitato a pochi paesi
produttori , come Algeria, Egitto, Libia e Nigeria. Anche qui gli usi civili risultano in
forte crescita, seguiti dagli usi termoelettrici e da quelli industriali, che comunque
mantengono un peso dominante .Le riserve, pari a 7.600 miliardi di mc, consentono di
alimentare un flusso di esportazioni verso l’Europa, la cui consistenza raggiunge a metà
degli anni ’90 i circa 40 miliardi di mc.
3.3 I combustibili solidi
Gli anni immediatamente successivi alla prima crisi energetica del 1973 coincidono con
un punto di minimo della quota del carbone nel soddisfacimento dei fabbisogni
energetici mondiali. Dopo il 1975 la quota di questa fonte tende, gradualmente, a
riportarsi al di sopra del 30% per poi perdere di nuovo terreno.
Gli anni '60, caratterizzati da prezzi del petrolio particolarmente bassi e in diminuzione,
in termini reali, avevano visto la sempre maggiore affermazione del petrolio come
fonte leader ; nello stesso periodo anche gli usi tecnologici del carbone subivano un
certo ridimensionamento per la sensibile riduzione dei consumi specifici di coke per
tonnellata di ghisa prodotta.
Il forte rialzo dei prezzi del petrolio e, soprattutto, di quelli dei prezzi dell'olio
combustibile, la fonte energetica in diretta concorrenza con il carbone da vapore,
insieme all'adozione di stringenti obiettivi di diversificazione, portano, a partire dalla
seconda metà degli anni '70, ad una rivalutazione del ruolo del carbone.
I governi di molti paesi dell'area OCSE e, in primo luogo, quello degli USA intendono,
infatti, in tempi brevi, ridurre il peso delle importazioni di greggio OPEC a favore di
fonti come il carbone, il gas naturale e l'energia nucleare, considerate più sicure e meno
soggette a repentini aumenti di prezzi.
Per effetto di queste politiche ,che vengono perseguite con impegno almeno nella prima
parte degli anni '80, il peso del carbone nel bilancio energetico degli USA si porterà dal
18,3% del 1975 al 26% del 1985 per stabilizzarsi successivamente intorno al 25 %. In
Europa le politiche a favore del carbone avranno l'effetto di contenere il processo di
perdita di quota di questa fonte legato, tra l'altro, al concomitante sviluppo dell'energia
nucleare.
Le crisi petrolifere hanno un effetto positivo anche sulle prospettive di impiego del
carbone nei paesi in via di sviluppo privi di risorse di petrolio, le cui bilanci dei
pagamenti risentono, pesantemente, dei nuovi livelli di prezzo del greggio di
importazione.
In Cina l'erosione della quota del carbone, rispetto agli anni '60, si arresta a partire dai
primi anni '80 su valori superiori al 75% dato che in quel contesto economico il petrolio
rimane utilizzato prevalentemente per usi di trasporto e usi chimici e la disponibilità di
altre fonti rimane limitata rispetto all'entità dei fabbisogni complessivi di energia in
forte aumento.
La stabilizzazione e il recupero di quota del carbone sul totale dei consumi energetici
mondiali non trovano peraltro riscontro in tutte le aree: nell'ex-Unione Sovietica
52
l'ulteriore declino del peso di questa fonte (34,1% nel 1975 , 24,6% nel 1988 e meno del
20 % dopo il crollo del sistema di economia pianificata), si ricollega dapprima
all'aumento della disponibilità di gas naturale e, successivamente, alle crescenti
difficoltà produttive del settore nel nuovo contesto economico.
Nel corso degli anni '80 anche la struttura del mercato internazionale del carbone
subisce importanti modifiche con il continuo aumento del commercio internazionale
modificando, sia pure limitatamente, la caratteristica di risorsa sfruttata quasi
esclusivamente su base locale; in altri termini, i criteri di economicità si affermano
rispetto alle impostazioni protezionistiche o di sostegno dell'occupazione, che avevano
caratterizzato l'industria carbonifera dei paesi europei nel corso degli anni '50 e '60.Ciò
porta ad un allargamento del mercato internazionale su cui fanno affidamento crescente
i paesi importatori dell’Europae dell’Asia a partire dal Giappone
I nuovi livelli di prezzo del greggio e dell'olio combustibile che caratterizzano i mercati
sino al crollo del 1986, garantiscono al carbone - nonostante la lievitazione dei costi e
quindi dei prezzi - dei margini di competitività tali da avviare ampi programmi di
riconversione degli impianti di utilizzo (soprattutto centrali termoelettriche) e la
realizzazione di nuovi centri di produzione,a partire dal Sud-Africa e dall ‘Australia, e
di nuove infrastrutture di trasporto (ferrovie, porti, naviglio specializzato).
Le migliori prospettive di mercato portano alla nascita di nuove iniziative minerarie nei
paesi dotati di risorse sfruttabili con bassi costi di produzione: è il caso di alcuni paesi
dell'America Latina come la Colombia e il Venezuela.
La produzione mondiale di carbone passa ,infatti ,da 1,6 miliardi di t,pari a circa 2,2
miliardi di t di prodotto,del 1975 a 1,8 miliardi di tep nel 1980 e a 2,2 miliardi di tep nel
1990 per poi mostrare una tendenza alla stabilizzazione . Nello stesso periodo la Cina
diviene il principale produttore mondiale con oltre 650 milioni di tep nel 1995 a
fronte di oltre 550 milioni di tep degli USA e di circa 200milioni di t dell'ex-Unione
Sovietica. Tra i grandi produttori figurano inoltre l'India con circa 130 milioni di tep,
l'Australia con oltre 120 milioni di tep e il Sud Africa con oltre 100 milioni di tep.
Con il passaggio all'economia di mercato la produzione dei paesi dell'Est europeo ed in
particolare quella dell'ex-Unione Sovietica registra una forte flessione sia per il
ridimensionamento della domanda sia per la scarsa competitività.
Continua,anche , il declino produttivo delle aree carbonifere dell'Europa (Regno Unito,
Germania) e del Giappone dove i costi di estrazione non sono non competitivi e dove i
governi riducono drasticamente i sussidi ancora esistenti .
Sul piano della domanda il processo di espansione degli impieghi di carbone, specie
nell'area OCSE, subisce una battuta di arresto agli inizi degli anni '90 sotto la spinta di
fattori economici (la perdita di competitività rispetto alle fonti concorrenti, in
particolare, olio combustibile e gas naturale) e di fattori ecologici che restringono l’uso
del carbone. L'impiego di questa fonte appare sempre più subordinato all'utilizzo di
tecnologie per l'abbattimento delle emissioni di sostanze inquinanti. Anche l'emergere
del problema dell'effetto serra gioca in senso sfavorevole al carbone che per la sua
composizione chimica produce, rispetto agli idrocarburi, maggiori emissioni di anidride
carbonica.
La situazione delle risorse e delle riserve rimane comunque molto favorevole per il
potenziale consumatore industriale e termoelettrico sia dal punto di vista della
consistenza delle riserve sia da quello della distribuzione geografica delle stesse che
risulta notevolmente diversa da quella del greggio e degli idrocarburi in genere.
Le stime della BP che poco si discostano da quelle pubblicate dalla "World Energy
Conference" in occasione degli ultimi congressi mondiali dell'energia, tenutisi a
Madrid nel 1992 ed a Tokio nel 1995, cifrano in oltre 1000 miliardi di t (circa 6
miliardi di tep) le riserve mondiali provate e recuperabili di combustibili solidi, una
frazione peraltro limitata delle risorse complessive esistenti .21
21World Energy Conference, Survey of energy resources, Londra, 1992
53
Tali riserve comprendono circa 520 miliardi di t di carbone bituminoso inclusa
l'antracite, 512 miliardi di t di carbone sub-bituminoso e lignite.
Le maggiori riserve di carbone bituminoso sono detenute dagli Stati Uniti (106 miliardi
di t),seguiti dall'ex-Unione Sovietica (104 miliardi di t), dalla Cina e dall'India (oltre 60
miliardi di t per ciascun paese ), dal Sud Africa (55 miliardi di t) e dall'Australia (45
miliardi di t).
Il rapporto tra le riserve mondiali di combustibili solidi e la produzione è pari ad oltre 220
anni, un valore notevolmente superiore agli analoghi rapporti calcolati per il petrolio ed il
gas naturale. Ciò conferma che ricondurre i problemi energetici alla scarsità delle risorse
appare una forzatura di una situazione ben più complessa ed articolata
54
CAP. IV
GLI OPERATORI DELL'INDUSTRIA ENERGETICA
4.1 I diversi profili
I continui sviluppi della tecnologia di utilizzo delle fonti di energia implicano anche dei
paralleli mutamenti nell'assetto dell'industria energetica.
L'industria del carbone, in relazione alle difficoltà di trasporto e distribuzione, era nata e
si era sviluppata, in un primo tempo, per lo sfruttutamento di risorse locali: i giacimenti
dell'Inghilterra della prima rivoluzione industriale, della Francia, della Germania,
dell'Europa Orientale e degli Stati Uniti.
Questa connotazione si è andata modificando quando lo sfruttamento del carbone si è
fatto più intenso e sono stati scoperti e valorizzati nuovi bacini.
Lo sviluppo delle esportazioni e del trasporto con navi a vapore porta alla realizzazione
di reti di distribuzione a scala mondiale , specie da parte dell'industria carbonifera
inglese. Nonostante questa apertura l'industria del carbone conserverà una struttura
prevalentemente a base nazionale.
La nascita dell'industria elettrica è legata ad una serie di singole iniziative
imprenditoriali per lo sviluppo delle prime reti di illuminazione, ma, ben presto,
l'esigenza di standardizzazione tecnica e la necessità di ingenti capitali per la
realizzazione degli impianti di produzione e delle reti di distribuzione favoriscono
importanti fenomeni di concentrazione sia negli Stati Uniti sia nei paesi europei, che
peraltro non si tradurranno nella costituzione di imprese a vocazione internazionale.
4.2 Le compagnie petrolifere
Ben diverso appare il profilo dell'industria petrolifera: dopo la fase pionieristica,
caratterizzata da iniziative individuali, si delinea una chiara tendenza alla
concentrazione. A partire dal 1890 la Standard Oil ha già una posizione dominante sul
mercato americano e su quello internazionale.
Le prime riserve di petrolio ad essere valorizzate sono quelle degli Stati Uniti, dove si
concentrano anche i maggiori consumi dei primi derivati messi in produzione (petrolio
illuminante, petrolio per riscaldamento, lubrificanti, bitumi, etc.)22; l'altro polo
produttivo di grande rilievo è rappresentato dai giacimenti della Russia asiatica,in
particolare dell'area caspica, dove alcuni concessionari sviluppano una serie di iniziative
capaci di alimentare un importante flusso di esportazioni verso l'Europa.
Con lo sviluppo del motore a scoppio, la domanda di prodotti petroliferi si allargherà dal
punto di vista qualitativo e comincerà a crescere a tassi molto sostenuti dapprima negli
Stati Uniti e poi anche in Europa. L'attività di approvvigionamento del vecchio
continente, con la crisi dell'industria russa, sarà assicurata da filiali di compagnie
americane che sviluppano strategie a scala mondiale.
All'industria americana si contrappongono, con un peso significativo, solo due gruppi
industriali europei: l'inglese British Petroleum (dapprima Anglo-Persian e poi AngloIranian, con diretta partecipazione al capitale del governo inglese a partire dal 1913, con
l'obiettivo di garantire l'approvvigionamento della flotta convertita all'uso dell'olio
combustibile) e l'anglo-olandese Royal Dutch-Shell (nata per lo sfruttamento dei
giacimenti delle Indie olandesi).
Nonostante l'origine europea, il comportamento di queste compagnie si discosta di poco
da quello della compagnie petrolifere americane a vocazione internazionale come la
Standard Oil.
22D. Yergin, Il Premio, Sperling e Kupfer Editori, Milano, 1991
55
La decisa affermazione dei prodotti petroliferi nel campo del trasporto marittimo e
terrestre richiede, infatti, agli operatori di dotarsi di reti di trasporto e di distribuzione
diffuse su spazi sempre più ampi.
Lo scoppio della prima guerra mondiale rende esplicito il ruolo strategico degli
approvvigionamenti petroliferi e pone il problema della valorizzazione di nuove risorse.
Il Medio Oriente si prospetta ben presto come una zona molto promettente: questa area,
che rientra nella sfera di influenza dei due gruppi petroliferi europei - a cui si aggiunge,
per effetto della vittoria nella prima guerra mondiale, il gruppo francese Compagnie
Francaise des Petroles, che subentra agli interessi tedeschi - si aprirà, con una serie di
accordi, seguiti a polemiche e a lunghi negoziati, anche alle più importanti compagnie
petrolifere americane che porranno cosi le basi per la loro ulteriore espansione nel
mondo.
Le medesime compagnie petrolifere del Nord-America sviluppano progressivamente la
loro presenza anche nel resto del continente americano, dove vengono scoperte
importanti riserve a partire dal Venezuela e dal Messico. Secondo la terminologia
dell'industria petrolifera l’intero continente americano diventerà l'emisfero occidentale.
Il Messico avvierà peraltro la nazionalizzazione della propria industria petrolifera sin
dal 1917, concludendola nel 1938 e anticipando, cosi, forme di drastico intervento dello
Stato nel settore petrolifero, che in altri paesi si verificheranno dopo circa un
cinquantennio.
Anche l'Estremo Oriente, in particolare l'area dell'Indonesia, vede una crescente attività
sia delle compagnie petrolifere americane sia delle multinazionali europee.
Questi avvenimenti hanno importanti conseguenze sull'assetto dell'industria energetica:
il settore del carbone perde la posizione di centralità nel processo di sviluppo
economico, mentre i ruoli dell'energia elettrica e del petrolio divengono sempre più
strategici.
La non sostituibilità dei prodotti petroliferi nel campo del trasporto terrestre e navale
consentono l'ulteriore rafforzamento dell'industria petrolifera, nonostante una situazione
di relativa sovrabbondanza dell'offerta di greggio manifestatasi negli anni successivi alla
prima guerra mondiale.
Lo stretto controllo dei mercati di utilizzo consente al gruppo dei maggiori operatori di
evitare forti ribassi di prezzo.Nel 1928 i gruppi petroliferi dominanti (Royal Dutch,
Standard, Anglo-Persian), riuniti nel castello scozzese di Achnacarry, perfezionano un
accordo per la spartizione di mercati mondiali e per la stabilizzazione dei prezzi dei
prodotti23.
Gli accordi - rinnovati ed estesi agli altri quattro grandi del settore - non impediranno
tentativi di concorrenza da parte di operatori indipendenti, ma assicureranno comunque
la sostanziale stabilizzazione del mercato, anche nei momenti più critici della grande
depressione economica degli anni '30 e negli anni successivi fino alla prima metà degli
anni '50.
Le vicende della seconda guerra mondiale confermano il ruolo strategico del controllo
delle risorse petrolifere, che risulta determinante per la vittoria dei paesi alleati. La
conversione del carbone in distillati petroliferi - sia pure realizzata con successo - non
riesce a fornire quantitativi proporzionati all'entità dei fabbisogni dei paesi avversari che
dispongono di limitate quantità di greggio e che non hanno accesso al mercato
internazionale.
Nel corso degli anni '50 e '60 l'assetto dell'industria petrolifera subisce un importante
mutamento: il mercato del Nord America viene servito da compagnie indipendenti e
dalle imprese multinazionali; i mercati dell'Europa occidentale, del Giappone e degli
altri paesi ad economia di mercato vengono soddisfatti dalle compagnie multinazionali
e, in misura molto ridotta, dalle compagnie nazionali di alcuni paesi consumatori, come
l'ENI per l'Italia e l'ELF per la Francia.
23A. Roncaglia, L'Economia del Petrolio, Laterza, Bari, 1983
56
In questa situazione la preponderanza delle compagnie multinazionali rimaneva molto
forte sino a svolgere, più o meno esplicitamente, un ruolo di "programmazione" globale
del settore petrolifero in tutte le sue fasi ben al di là dei confini dei singoli stati
produttori e consumatori.
I fatti traumatici del 1973 hanno dato una forte scossa al sistema allora vigente in tutte
le sue diverse componenti, dando inizio ad un processo di reazioni a catena che ancora
oggi non si può definire esaurito. Certamente gli elementi di maggiore spicco sono
rappresentati dall'acquisizione da parte dei paesi produttori della sovranità sulle lore
risorse minerarie e dall'affermazione della loro volontà di decidere autonomamente i
livelli produttivi e il livello dei prezzi del greggio (questa intenzione è stata peraltro
smentita dagli avvenimenti più recenti che hanno confermato il ruolo non eludibile del
mercato).
L'acquisizione del controllo delle riserve di greggio è stato per lo più ottenuto con lo
strumento della nazionalizzazione che, nel volgere di pochi anni e con le modalità
tipiche di ciascun sistema politico, ha visto l'affermazione sulla scena petrolifera
internazionale di un nuovo tipo di operatore: la compagnia di Stato del paese
produttore24.
Dal punto di vista della disponibilità del greggio il fenomeno può apparire - almeno in
una prima fase - meno vistoso di quanto atteso perchè, salvo alcune eccezioni, le
compagnie multinazionali presenti in molti paesi produttori mantenevano con vari
mezzi e formule (buy-back, greggio di partecipazione, accordi di lungo termine, etc.) la
possibilità di disporre di quantità di greggio quanto meno proporzionate alla dimensione
dei propri principali mercati di consumo.
Questa circostanza, che salvaguardava l'economicità del ciclo petrolifero delle grandi
imprese multinazionali, aveva però un enorme impatto sul modo di "pensare" e di
programmare di queste aziende, specialmente in termini di sviluppo di nuove risorse25.
Nasce infatti in quegli anni un graduale e progressivo distacco dai paesi più facili , da un
punto di vista geologico, che avevano assicurato la base produttiva per l'affermazione
del ruolo mondiale del greggio e delle imprese multinazionali. Queste ultime
cominciano a orientare la politica degli investimenti verso aree certamente più difficili
ma più sicure da un punto di vista politico e del ritorno sull'investimento. Nasce e si
sviluppa anche l'interesse verso fonti diverse dal petrolio come il carbone, il nucleare, le
nuove tecnologie energetiche, fino ad allora considerate di interesse limitato o
"regionale".
Queste scelte si basavano sulla convinzione- tra l'altro non smentita dai fatti almeno
sino ai primi anni '80- che il prezzo internazionale del petrolio potesse continuare il suo
trend ascensionale ben al di sopra dell'inflazione mondiale.
I governi dei paesi consumatori che ,fino al 1973, avevano assecondato,salvo alcuni
interventi volti alla protezione di industrie energetiche nazionali (carbone) o allo
sviluppo tecnologico, più o meno legato alla difesa come nel caso dell'industria
nucleare, la crescita del ruolo del petrolio, in primo luogo tramite l'attività delle majors,
operano un drastico mutamento di rotta.
La creazione dell'AIE(cfr cap. III), al di là degli aspetti propagandistici di
contrapposizione nei confronti dei paesi produttori, agisce in notevole misura nello
spingere i governi a cambiare il quadro di opportunità offerte all'industria petrolifera ed
energetica.
La complessa discussione intorno al livello del "floor price" - il prezzo minimo del
petrolio importato -al di sotto del quale sarebbero scattate delle misure protettive della
24Al-Chalabi F.J., OPEC and the International Oil Industry: A changing Structure, Oxford
University Press, Oxford, 1980
25Robert M. Grant, The Oil Companiers in Transition 1970-1987, Franco Angeli-Isvet, Milano,
1991
57
produzione interna dei paesi aderenti all'AIE , è un chiaro segno di una politica che
tende ad indirizzare, in modo diverso, gli investimenti di sviluppo di nuove fonti
energetiche attraverso incentivi ed assunzioni di quote di rischio da parte dei governi.
Ma è soprattutto la decisione degli Stati Uniti, pur maturata faticosamente attraverso una
serie di dibattiti e discussioni molto accese nelle varie istanze politiche, di liberalizzare i
prezzi del greggio domestico, nel momento in cui il prezzo internazionale sta
raggiungendo i massimi storici, che provoca un nuovo scossone nell'assetto
dell'industria petrolifera internazionale.
La cessazione del complicatissimo sistema di compensazioni e di vincoli apre un nuovo
ciclo di interesse per l'area nordamericana che torna ad essere il centro dell'attività
petrolifera.
Le dimensioni di quel mercato e le certezze di tipo politico agiscono da potente fattore
d'attrazione sia per le multinazionali, che tornano in un certo senso sui loro passi, sia
per gli indipendenti, sia, infine, per altri operatori europei -e non- che scoprono il
mercato USA.
Questo processo è al suo apice quando, in concomitanza con la recessione economica e
il conseguente crollo dei consumi petroliferi, viene a vacillare il presupposto che lo
alimenta: la crescita del prezzo del petrolio. Sotto la spinta
del continuo
ridimensionamento della domanda di petrolio, che risente delle politiche di
conservazione, dei ridotti livelli di attività economica e dell'arrivo sul mercato
energetico di ingenti quantitativi di fonti non petrolifere (carbone, nucleare, gas) il
fronte dei paesi Opec vacilla e le quotazioni del greggio crollano .
Ancora una volta, il quadro delle opportunità per l'industria energetica subisce un
sostanziale cambiamento.
Negli Stati Uniti il principio della "deregulation" si afferma definitivamente attraverso
due principali linee di intervento :-da un lato, la liberalizzazione dei l mercati del
petrolio e del gas, a conclusione di un lungo periodo stringenti controlli, e dall’altro, il
drastico ridimensionamento degli interventi, a carico del bilancio federale, per
promuovere lo sviluppo di fonti alternative al petrolio di importazione (liquefazione del
carbone, utilizzo delle sabbie bituminose,sviluppo di carburanti alternativi). La
liberalizzazione dei mercati energetici diviene il principale motivo ispiratore della
politica energetica americana e un punto di riferimento essenziale anche per gli altri
paesi industrializzati oltre che per i paesi in via di sviluppo che stanno progressivamente
aprendosi alle regole del mercato globale.
La flessione del prezzo del petrolio oltre ad un mutamento di atteggiamento dei governi
- che a partire dal 1973 avevano mostrato una crescente attenzione ai problemi
dell'energia e del petrolio - provoca anche una revisione delle filosofie di investimento
delle compagnie petrolifere, delle strategie dell'OPEC ed, infine, un profondo
cambiamento della struttura del mercato petrolifero internazionale.
Relativamente alla politica di investimento, dopo il picco registrato nell'attività di
esplorazione e di acquisizione di nuove aree nel continente nordamericano, si manifesta
il nuovo fenomeno delle fusioni.
Nel nuovo contesto di flessione dei prezzi internazionali del greggio, l'acquisizione di
riserve attraverso l'acquisto in borsa di azioni di altre aziende petrolifere diviene
abbastanza frequente. Attraverso gigantesche operazioni finanziarie molte compagnie,
che avevano visto ridursi il proprio patrimonio di riserve di greggio e di gas per effetto
delle nazionalizzazioni e dei risultati (non sempre incoraggianti) dell'attività di ricerca
in zone di frontiera, riescono a riportarlo a livelli di sicurezza26.
Sul finire degli anni '80 questo processo acquisisce una fisionomia più chiara con il
delinearsi di una strategia che torna a fare del petrolio il "core business" dell'industria.
L'integrazione verticale viene sempre più perseguita anche in un contesto di grande
26Robert M. Grant, Restructuring and Strategic Change in the Oil Industry, Franco Angeli-Isvet,
Milano, 1993
58
attenzione alle opportunità offerte dal mercato: il trading di greggio e di prodotti diviene
un elemento essenziale per garantire la massima flessibilità operativa.
Un altro fattore di grande rilievo per il settore petrolifero è costituito dal crollo dei
sistemi ad economia pianificata .Anche se questo evento ,di enorme rilievo politico non
si traduce immediatamente in una apertura dei mercati di questi paesi alle regole di
mercato,le compagnie petrolifere si trovano di fronte alla possibilità di definire le loro
strategie in modo radicalmente diverso da quello del pur recente passato.
La trasformazione dell’ex-URSS in in una Comunità di stati indipendenti offre la
possibilità alle repubbliche dell’area del Caspio di avviare una politica autonoma per lo
sviluppo delle loro consistenti risorse di petrolio e di gas naturale in concorrenza con la
Federazione russa che aveva privilegiato lo sviluppo delle risorse siberiane.
L’opportunità viene colta da molte imprese petrolifere, che avviano progetti per lo
sviluppo di consistenti giacimenti in Arzebajan e nel Kazakhstan e per il loro trasporto
verso occidente a mezzo di oleodotti. Nonostante le numerose difficoltà questi progetti,
anche se in una prospettiva di medio lungo termine hanno una elevata probabilità di
successo e certamente contribuiranno alla nascita di una nuova fisionomia della
industria del petrolio .
D’alta parte importanti modifiche intervengono anche dal lato del comportamento dei
paesi produttori e, soprattutto, delle compagnie petrolifere di questi paesi che si vanno
progressivamente allontanando da una logica di tipo politico .
Dopo i primi apparenti successi e l'eccezionale sviluppo delle entrate, i paesi produttori
avvertono i limiti delle decisioni unilaterali. Attraverso un processo non sempre facile,
le compagnie petrolifere dei medesimi paesi maturano un atteggiamento nuovo con la
scelta di entrare nelle fasi a valle del ciclo petrolifero in una logica di integrazione con
le economie dei paesi consumatori e non già di contrapposizione.
L'allargamento della presenza di operatori dei paesi produttori sui mercati dei paesi
consumatori, tra cui quelli europei, diventa una occasione per procedere alla
modernizzazione ed al riassetto dell'industria petrolifera, con la prospettiva di offrire ai
paesi più dipendenti dalle importazioni di petrolio la garanzia di un rapporto stabile e
maggiore sicurezza nell'approvvigionamento petrolifero.
Si tratta, d'altra parte, di una strada obbligata per non trasformare in permanente
l'andamento di tipo "stop and go", che costituisce l'assetto certamente meno vantaggioso
per i consumatori e per una industria che ha bisogno di programmare su lunghi archi
temporali e di assicurare un ritorno adeguato agli ingenti investimenti,che
contraddistinguono il settore degli idrocarburi.
Agli inizi degli anni 1990 il processo di riorganizzazione dell'industria petrolifera a
livello mondiale è in pieno sviluppo. I rapporti tra compagnie, paesi consumatori e paesi
produttori segnano un salto di qualità rispetto alle posizioni di contrapposizione che
avevano contraddistinto i decenni precedenti. I temi di maggior rilievo diventano quelli
dell'ampliamento della capacità produttiva per far fronte alla crescente domanda,
evitando l'insorgere di forti tensioni sul mercato, e quelli della maggiore integrazione tra
i vari operatori. La linea della cooperazione e del coinvolgimento diretto delle
compagnie petrolifere dei paesi produttori sta guadagnando sempre maggior peso fino
a quando, con l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, questo disegno subisce una
grave minaccia .
Gli sviluppi della crisi del Golfo dimostreranno però che la scelta verso l'integrazione a
valle - la raffinazione e la distribuzione dei prodotti - di molti paesi produttori
dell'OPEC, come l'Arabia Saudita, il Kuwait, il Venezuela, il Messico ma anche di paesi
come la Libia, è ormai fondata su solide basi e che i loro comportamenti non sono più
ispirati al semplice sul controllo delle risorse minerarie ma ad una strategia più
complessa.
L'invasione del Kuwait non sarà ricordata come l'evento che ha dato inizio alla terza
crisi energetica, ma solo come il tentativo di paese, l’Iraq, sia pure di grande rilievo
nell'approvvigionamento petrolifero mondiale, di conquistare con la forza una posizione
59
di leadership nei confronti del mondo arabo e dei paesi arabi del Golfo dopo
l'insuccesso della guerra contro l'Iran.
Il mutato clima dei rapporti tra i più influenti paesi dell'OPEC, a partire dall'Arabia
Saudita, e i paesi consumatori - impegnati questa volta in un embargo verso un paese
produttore - è dimostrato dal modo con cui è stata affrontata una situazione piena di
incognite per la sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi e per la stabilità del
sistema politico ed economico mondiale.
Il processo di globalizzazione e di apertura alle regole di mercato dell’industria
petrolifera potrà però dirsi compiuto solo quando sarà esteso a tutti i paesi produttori del
Medio Oriente ed alle repubbliche della ex-Unione Sovietica; l'industria petrolifera
potrà così contribuire efficacemente allo sviluppo ed all’integrazione tra aree .
4.3 Le imprese pubbliche energetiche
La presenza di imprese pubbliche europee nel settore energetico e, in particolare, in
quello petrolifero risale agli inizi del secolo e si ricollega alla esigenza di assicurare
l'accesso a risorse di carattere strategico localizzate all'esterno di un paese consumatore,
o di controllare risorse nazionali in condizione di monopolio naturale. Motivazioni ben
diverse, quindi, da quelle che hanno portato alla acquisizione, da parte di molti stati, di
imprese colpite dalla crisi degli anni '30 (sostegno alla produzione e riduzione della
disoccupazione).
L'ingresso del petrolio sulla scena energetica, agli inizi del secolo, ha suscitato, infatti,
una particolare attenzione nei riguardi di questo settore da parte dei governi di molti
paesi ,che ne intuirono l'importanza strategica per lo sviluppo economico ed industriale.
In Francia lo sviluppo della Compagnie Francaise des Petroles (CFP), che si ricollega
alla valorizzazione delle risorse petrolifere del Medio Oriente e, in particolare, di quelle
dell'Iraq, è avvenuto sotto il controllo dello Stato attraverso una consistente quota
azionaria (40%).
L'intervento statale è stato decisivo anche nella costituzione del secondo gruppo
petrolifero francese ELF-AQUITAINE ,che nasce in una prima fase con i tentativi di
sviluppare risorse petrolifere sul territorio nazionale, conclusisi con la scoperta dei
giacimenti di gas di Lacq nel 1951 e, successivamente, con le iniziative di
valorizzazione delle riserve di idrocarburi dell'Algeria.
Il controllo pubblico sulla compagnia "British Petroleum" ,nata per la valorizzazione
delle risorse petrolifere dell'Iran e poi divenuta una delle maggiori compagnie
petrolifere mondiali, è durato per oltre settanta anni.
I modelli francesi ed inglesi, sia pure con modalità specifiche ed in epoche diverse,
hanno trovato riscontro in molti paesi europei come l'Italia, la Spagna e la Norvegia, con
la costituzione di società di diritto privato controllate direttamente dallo Stato attraverso
il possesso di un pacchetto di azioni, maggioritarie o di controllo, o, indirettamente,
mediante enti pubblici detentori, a loro volta, del pacchetto azionario di società di diritto
privato.
La presenza pubblica - nella maggior parte dei casi attraverso società per azioni
controllate o possedute interamente dallo stato - è stata determinante anche per il
decollo del mercato europeo del gas naturale, dapprima attraverso la valorizzazione
delle risorse interne e, successivamente, mediante la stipula dei grandi contratti di
importazione dall’Olanda, dall'Unione Sovietica e dall'Algeria,contratti che ,rispetto a
quelli stipulati in campo petrolifero, sono stati sempre caratterizzati dalla lunga
estensione temporale e dal ricorso a clausole di take or pay.
Obiettivi di politica industriale e di controllo di situazioni di monopolio di fatto hanno
portato all'affermazione, in alcuni paesi europei, di enti a capitale pubblico per la
produzione e la distribuzione di energia elettrica (Gran Bretagna, Francia, Italia).
Motivazioni, infine, di natura protezionistica e di salvaguardia di livelli occupazionali
hanno invece motivato la presenza di capitali pubblici nell'industria carbonifera di Gran
60
Bretagna e Francia. La Germania, restia ad interventi pubblici nei settori energetici, ha
fatto e fa ampiamente ricorso a sovvenzioni per sostenere la produzione di carbone.
Esigenze di sicurezza, di strategia industriale e di sviluppo tecnologico hanno
determinato, sin dagli inizi, una forte presenza di enti e società controllate dallo Stato
nel settore dell'energia nucleare.
La centralità dell'impresa pubblica nel settore energetico è stata riconosciuta o accettata
senza particolari obiezioni, nè sul piano teorico nè su quello operativo, sino alla seconda
crisi petrolifera, che addirittura ha segnato il punto di massima richiesta di intervento
pubblico per assicurare più sicure condizioni di approvvigionamento energetico.
Le nuove teorie sul ruolo dell'intervento dello Stato in economia.
Alla metà degli anni '80 il dibattito teorico sul ruolo dell'intervento pubblico in
economia vede l'affermazione delle impostazioni più liberiste (scuola di Chicago in
particolare).
Così, nel contesto di una riaffermata fiducia nelle regole del mercato, non solo vengono
- opportunamente -contestate tutte le forme di intervento dello Stato che si traducono in
limitazioni della concorrenza, in sussidi o in interventi di protezione di cui hanno
peraltro usufruito ampiamente anche le imprese private, ma si rimette in anche la figura
dell'"impresa" a partecipazione pubblica, a prescindere dalla sua efficienza, dalla sua
capacità di operare su mercati concorrenziali e dal suo contributo al raggiungimento di
obiettivi di interesse generale.
Alcuni economisti sostengono, invece, che, mentre l'impresa privata ottiene migliori
livelli di produttività dal fattore lavoro, l'impresa pubblica opera invece con un più
ampio orizzonte temporale di carattere strategico ( K. Arrow).
Il Regno Unito si pone all'avanguardia nel mettere in pratica l'impostazione neoliberista
realizzando, nell'arco di un decennio, una massiccia privatizzazione delle imprese
pubbliche.
Gli altri paesi, pure impegnati nell'apertura dei mercati e nell'affermazione delle regole
di concorrenza, non ritengono però opportuno procedere con la stessa velocità alla
completa privatizzazione delle imprese pubbliche .
In molti casi si inizia con l' apertura al capitale privato di società controllate del settore
pubblico ovvero con la trasformazione di enti pubblici in strutture di tipo privatistico per
migliorarne l'efficienza operativa e misurarne la competitività sul mercato.
I riflessi sul settore energetico.
La tendenza alla liberalizzazione dei mercati e alla modifica delle forme della presenza
pubblica trova puntuale riscontro nel settore energetico, anche sotto la spinta delle
mutate condizioni del mercato internazionale del petrolio.
Tra l'altro nel nuovo contesto di offerta abbondante e di condizioni favorevoli al
compratore, il business energetico si appalesa, dopo molti anni, come meno rischioso e
più remunerativo per gli operatori privati.
I criteri seguiti nei vari paesi sono comunque tutt'altro che omogenei, anche se è
generalizzata la tendenza a caratterizzare in senso imprenditoriale le imprese operanti
nel settore, quale che sia l'assetto della proprietà.
Con particolare riferimento alla privatizzazione delle imprese, il Regno Unito svolge un
ruolo di avanguardia non solo nella privatizzazione delle imprese pubbliche ma anche
nella liberalizzazione dei mercati, già a partire dagli inizi degli anni '80.
Il settore petrolifero è il primo ad essere interessato a questo processo, ad iniziare dalla
"British Petroleum". Nel 1984 vengono completamente privatizzate due compagnie
petrolifere: la Wytch Farm Oil e la Enterprise Oil. Nel 1985 anche la Britoil,
responsabile operativo per l'esplorazione e lo sviluppo della British National Oil Corp
(BNOC) (la compagnia pubblica creata in relazione allo sviluppo delle riserve
61
petrolifere del Mare del Nord), viene venduta ad investitori privati.
Il controllo pubblico nel settore viene quindi sostanzialmente eliminato con l'eccezione
delle "golden shares" che assicurano poteri di controllo,peraltro ben circoscritti, su
alcune delle società privatizzate.
Nel 1986 anche il settore del gas naturale subisce un profondo cambiamento, da un lato,
con la privatizzazione della British Gas, e dall'altro, con la liberalizzazione del mercato,
che viene soggetto al controllo di un regolatore indipendente (The Office of Gas Supply:
OfGas).A seguito di questa riforma la British Gas continua a svolgere la sua missione di
impresa integrata impegnata nella valorizzazione di riserve di idrocarburi e nella
collocazione delle stesse sul mercato ma non più in condizione di monopolio ma in
regime di concorrenza con gli altri operatori del settore che possono stipulare
liberamente contratti di fornitura con le industrie e con i produttori di elettricità ed
anche utilizzare le infrastrutture di trasporto esistenti.
Nel 1989 vengono anche avviate la liberalizzazione del mercato elettrico e la
privatizzazione dell'industria. Il processo implica anche la rimozione dell'integrazione
verticale tra produttori e distributori, mentre il rispetto delle regole della concorrenza
viene affidato ad un regolatore indipendente l'Office of Electricity Regulation (OFFER).
Viene anche avviata la privatizzazione dell'industria del carbone e messa allo studio
quella dell'industria nucleare.
Negli altri paesi dell'Europa Occidentale la privatizzazione si sviluppa in maniera
graduale: la prima tappa è spesso rappresentata dall'apertura al capitale privato di
società controllate dal settore pubblico o dalla trasformazione di enti pubblici in
strutture di tipo privatistico di cui viene successivamente avviata la privatizzazione.
Nella R. F. Tedesca, dove la presenza pubblica costituisce sin dalla costituzione della
Repubblica una realtà limitata, il Governo decide nel 1984 la completa privatizzazione
della VEBA della quale deteneva una partecipazione del 30% (Società con interessi
nella esplorazione e produzione del petrolio e del gas naturale, nella raffinazione del
petrolio, nel carbone, nella chimica, nella elettricità e nei trasporti), disponendo forme di
sostegno all'azionariato popolare e la collocazione dei suoi interessi presso un sindacato
di Banche Nazionali ed Estere.
In Francia il processo di privatizzazione ha interessato tutti i settori di attività, ma in
campo energetico ha interessato soprattutto il settore petrolifero con la collocazione sul
mercato del capitale di società come la Total e la Elf. I settori del gas e dell'elettricità
sono invece rimasti sotto controllo pubblico .
A partire dal 1984 l'industria petrolifera di Stato della Spagna viene riorganizzata ed il
controllo della Campsa, alla quale era affidato il monopolio della distribuzione
petrolifera spagnola, viene trasferito all INH (Istituto Nacional de Hydrocarburos), la
Holding per gli interessi statali negli idrocarbruri. Nel 1987 viene creata una nuova
società, la Repsol, che incorpora la maggior parte delle divisioni della INH (le società di
prospezione petrolifera Hispaniol e Eniepsa, la raffineria Empetrol e la società Butano).
Nel 1988 la Repsol, dopo aver ottenuto il controllo della Petronor, si aggiudica il
controllo della Campsa.
Nel 1989 inizia il processo di privatizzazione vero e proprio con la collocazione sul
mercato delle azioni di questa ultima società.
Anche in Portogallo, a partire dal 1992, si procede alla graduale privatizzazione
dell'Industria Energetica a partire da quella petrolifera: le azioni della società Petrogal,
che per dimensioni è la maggiore società del paese che gestisce tre raffinerie e controlla
una parte sostanziale della distribuzione, vengono così progressivamente collocate sul
mercato.
In Italia il processo di riassetto del settore energetico pubblico si è svolto in due tempi:
dapprima sono stati trasformati in società per azioni l ‘ENEL e l’ENI, successivamente
con la legge n. 474 del 30 Luglio 1994 sono state fissate le regole per la privatizzazione
delle imprese di proprietà pubblica, ivi comprese quelle operanti nel settore dell’energia
.
62
In tal modo già a partire dal novembre 1995 è stata collocata sul mercato una prima
tranche di azioni dell’ENI. pari a circa il 15% del capitale della società.
Con la netta tendenza ad affermare le regole del mercato concorrenziale e del libero
scambio come premessa per una efficiente allocazione delle risorse e per assicurare
migliori condizioni di produttività, lo spazio detenuto dall'impresa pubblica europea si è
andato drasticamente restringendo,modificando un assetto che per molti anni aveva
contraddistinto l'economia europea rispetto a quella statunitense.
L'esperienza del sistema misto in cui si sono confrontate imprese pubbliche e imprese
private ha presentato peraltro aspetti positivi e negativi: nel corso degli ultimi 40 anni
non sono mancati esempi di imprese pubbliche con una forte carica innovativa, anche
se è innegabile che negli ultimi anni molte di queste imprese erano andate perdendo lo
slancio imprenditivo della fase iniziale .
63
CAP. V
LE NUOVE PROSPETTIVE DELLA POLITICA ENERGETICA EUROPEA
5.1 L'esperienza di liberalizzazione dei mercati energetici della Unione europea
La fase iniziale
La liberalizzazione dei mercati energetici europei ,che a metà degli anni ’90 sembra
ormai vicina alla piena realizzazione, anche per effetto di una serie di iniziative in corso
per superare gli ostacoli ancora esistenti, è il risultato di un processo che si è sviluppato
molto lentamente e fra non poche difficoltà.
Nella percezione dei paesi che avrebbero fondato la CEE il settore dell'energia era
considerato come un'area di grande rilevanza politica e strategica ; di conseguenza gli
interessi e le specificità delle problematiche nazionali avevano determinato l'affermarsi
di sistemi istituzionali e di regole che risultavano spesso in contrasto con i principi
della libera concorrenza e dell'apertura dei mercati.
In particolare i settori dell'elettricità e del gas, che erano stati assimilati a monopoli
naturali, erano stati assoggettati a regime di monopolio legale ed alle regole del servizio
pubblico, a partire da paesi come il Regno Unito e la Francia, costituendo un esempio
ed un punto di riferimento anche per altri paesi.
Anche il settore petrolifero, quello relativamente più aperto, risultava regolamentato e
soggetto a controllo pubblico direttamente o attraverso l'attività di imprese di proprietà
statale che godevano di diritti esclusivi o di statuti particolari.
Ma è soprattutto nei meccanismi di determinazione dei prezzi alle utenze di quasi tutti i
prodotti energetici, che si registravano, nella gran parte dei paesi europei, interventi
pubblici attraverso meccanismi di controllo dei prezzi e delle tariffe che lasciavano
spazi piuttosto ristretti alla concorrenza.
Nonostante questa situazione, prima ancora di sottoscrivere i trattati di Roma, che
avrebbero stabilito le basi del nuovo mercato comune europeo, i sei paesi fondatori
avevano avviato, con la creazione della CECA, una prima apertura dei mercati nazionali
del carbone, che all'epoca era la fonte energetica più importante, abolendo le barriere
che ne ostacolavano il commercio.
Il processo verso la creazione di un mercato comune in Europa subisce una svolta con
la firma del trattato di Roma (25 Marzo 1957), che poneva le fondamenta del mercato
unico. Contemporaneamente veniva firmato anche il trattato istitutivo dell'EURATOM
che doveva assicurare lo sviluppo dell'industria nucleare europea,considerata all'epoca
come la fonte energetica del futuro .
Il periodo iniziale di costruzione del mercato comune non fu peraltro caratterizzato
dalla fissazione di obiettivi particolari per il settore energetico, sia perchè il mercato
petrolifero poteva contare su prezzi particolarmente bassi, sia per la mancanza di una
volontà politica di intervenire su materie considerate di stretta pertinenza nazionale.
L'attenzione degli organismi comunitari fu così assorbita dalla costruzione della unione
doganale tra i paesi membri ,che fu realizzata il primo luglio 1968 in anticipo sui
dodici anni previsti, ed i temi energetici furono prevalentemente quelli coperti da Ceca
ed Euratom.
Le crisi energetiche.
Con le crisi energetiche del 1973 e del 1979 i problemi dell'energia balzarono in primo
piano ,dapprima per il pesante effetto inflazionistico determinato dal repentino aumento
dei prezzi internazionali del petrolio, e ,successivamente, per i fenomeni recessivi
indotti dalla misure restrittive adottate dai governi.
In quel periodo la principale preoccupazione della Commissione e dei governi
64
nazionali divenne quella di mettere a punto strategie capaci di ridurre la dipendenza dal
petrolio, attraverso la fissazione di obiettivi quantitativi e l'adozione di piani energetici,
mentre i temi della liberalizzazione dei mercati e della riduzione dell'area dell'intervento
pubblico passavano in secondo piano.
Più precisamente ,nel settembre 1974, il Consiglio adottava una risoluzione riguardante
una nuova strategia di politica energetica per far fronte alla crisi energetica (OJ C 153
9.7.75).
La Commissione partecipava attivamente anche alla attività della Agenzia
Internazionale per l'Energia , che aveva tra i suoi obiettivi quello dello sviluppo di fonti
alternative al petrolio anche attraverso forme di finanziamento statale e altre forme di
sussidio e protezione degli investimenti .
In coerenza con questo indirizzo,nel 1983, il Consiglio ribadiva la necessità per la
Comunità di definire comuni obiettivi in campo energetico ,di migliorare il
coordinamento delle iniziative, di rafforzare le attività nazionali e di avviare iniziative
comuni.
Successivamente, nel 1986, il Consiglio adottava una strategia per il 1995
comprendente azioni a livello nazionale ed a livello comunitario.
Questo piano di interventi, peraltro, si è realizzato solo in parte in quanto molte delle
sue premesse si sono andate rapidamente modificando sotto la spinta di nuovi eventi sia
sul piano internazionale sia sul piano più strettamente comunitario.
Il crollo dei prezzi del petrolio sul finire del 1986, lo sviluppo delle tecnologie di
estrazione e l'abbassamento dei costi di produzione portano a rimettere in discussione la
necessità dell'intervento pubblico nel settore energetico, che era stata una delle
caratteristiche del sistema europeo.
Nello stesso periodo si verificano anche importanti cambiamenti nel clima politico
europeo con una netta ripresa di interesse e di iniziative per la realizzazione di un
mercato unico ed il conseguimento di una maggiore integrazione economica tra i paesi
membri.
In particolare gli anni 1985 e 1986 si rivelano decisisivi: da un lato, a seguito della
pubblicazione ( 14 Giugno 1985) di un apposito Libro Bianco, viene fissata la data del
dicembre 1992 per il completamento del mercato unico e dall'altro inizia un processo
che porterà alla modifica del trattato istitutivo della CEE.
Nel Febbraio 1986 viene infatti siglato l'"Atto Unico Europeo" con il quale la Comunità
riusciva ad accelerare, tramite l'adozione del principio della maggioranza qualificata,
l'iter attuativo del mercato unico.
Gli effetti dell'Atto Unico si estendono progressivamente sino a porre le basi per la
costruzione di una vera e propria Unione Economica e Monetaria che sarà sancita dal
vertice di Maastricht del 9-10 Dicembre 1991 e, quindi, dalla firma del Trattato
sull'Unione Europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992.
L'avvio del mercato unico.
Il testo del nuovo trattato, pur non contenendo espliciti riferimenti all'energia, rende
molto più difficile che in passato l'ipotesi di un settore energetico che per la sua
specificità possa sottrarsi ai principi ed alle regole di mercato.
Particolarmente significativo appare il nuovo testo dell'art. 3 che prevede al punto C "un
mercato interno caratterizzato dalla eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli
alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali",da
realizzare anche con il "riavvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura
necessaria al funzionamento del mercato comune" (principio di sussidiarietà) (punto H).
La realizzazione del mercato unico entro il 31 dicembre 1992, previsto dall’articolo 7a
del trattato e l'attuazione dell'articolo 129b, che impone alla Comunità di contribuire
allo sviluppo di reti energetiche, divengono temi di particolare attenzione per la
Commissione che si trova di fronte a realtà nazionali ancora profondamente
65
frammentate .
Anche per questo motivo le linee di intervento attraverso le quali si tende a realizzare
un graduale riavvicinamento delle diverse realtà sono molto differenziate per tenere
conto delle specificità nazionali..
L'armonizzazione della fiscalità sui prodotti energetici, a partire da quelli petroliferi,
rappresenta una esperienza molto significativa, anche se ancora non del tutto compiuta .
Il meccanismo previsto dall’articolo 10 della direttiva 92/82/EEC fornisce la possibilità
di un aggiustamento periodico del livello minimo delle accise per migliorare il
funzionamento del mercato unico anche nel quadro di obiettivi più ampi .
Per effetto di tutti questi interventi sul mercato petrolifero l'obiettivo del mercato unico
è quasi raggiunto .
Un'altra importante linea di intervento è rappresentata dalla standardizzazione delle
normative tecniche che regolano le caratteristiche dei prodotti,degli impianti e delle
attrezzature. In campo energetico questa normativa ha trovato applicazione nel settore
elettrico, nel settore del petrolio, nel settore del gas, nel settore delle fonti rinnovabili e
in quello della efficienza energetica,con un significativo contributo alla realizzazione
del mercato unico.
La Commissione è anche impegnata per una sempre maggiore trasparenza dei prezzi
dell'energia .Questo obiettivo è stato realizzato solo parzialmente e, comunque, in
modo differenziato per le varie fonti energetiche, con un massimo di informazione per i
prodotti petroliferi mentre più complessa è la situazione per gas ed elettricità. All’inizio
degli anni ’90 il Consiglio ha adottato una direttiva sulla trasparenza dei prezzi del gas e
dell’elettricità per i consumatori (90/377/EEC).
Analogamente esiste una esperienza piuttosto consolidata in materia di trasparenza sugli
investimenti di interesse comunitario .
Nel settore del carbone oggetto del trattato CECA sono state adottate varie iniziative
per renderlo coerente con le regole di mercato,abolendo dazi all’importazione ed
all’esportazione e limitando progressivamente i sussidi alla produzione .
Anche i compiti dell 'Euratom sono stati armonizzati con la dimensione assunta dal
settore e con la necessità i assicurare condizioni di sicurezza in tutto lo spazio europeo.
La Commissione si è impegnata anche per armonizzare i mercati dell'elettricità e del
gas,ma le profonde differenze sul piano istituzionale e su quello industriale hanno reso
molto difficile il cammino dell'armonizzazione stessa
In questo contesto, dopo l'adozione delle direttive sul transito del gas e dell’elettricità
(91/926/EEC e 90/547/EEC),la Commissione ha adottato ulteriori iniziative e proposte
di direttive,che però hanno incontrato numerosi ostacoli.
Le prime proposte di libelaizzazione dei mercati del gas e dell’energia elettrica ,pur
contenendo una serie di clausole tendenti a rispettare il principio di sussidiarietà,hanno
incontrato una serie di ostacoli sia da parte di alcuni governi sia da parte dei
rappresentanti degli interressi coinvolti
Con particolare riferimento al gas naturale,le differenze tra i vari mercati nazionali
hanno reso difficile anche la formulazione dei modelli di riferimento da adottare.
Le scoperte del Mare del Nord e la messa in produzione di una serie di giacimenti non
lontani dalle coste del Regno Unito, oltre a risolvere il problema della dipendenza
energetica di quel paese, hanno creato, infatti, le condizioni migliori per lo sviluppo di
una competizione tra gli operatori “upstram” per la conquista dei mercati a valle della
produzione termoelettrica, liberalizzata anch'essa, dell'industria e degli usi civili .
I paesi meno dotati di riserve e fortemente dipendenti dall'estero hanno sviluppato
strategie di risposta notevolmente differenziate, che vanno da esperienze di apertura al
mercato al mantenimento per l'industria del carattere di servizio di interesse pubblico.
Di fronte ad un quadro cosi complesso la politica comunitaria si era orientata in un
primo tempo verso l'abolizione, ovunque possibile, delle situazioni di monopolio legale
e di diritti speciali esistenti nelle varie fasi del ciclo del gas, da un lato, e verso
l'introduzione dell'accesso dei terzi alle reti di trasporto (il cosiddetto TPA, Third Party
66
Access 27) come strumento principe per consentire l'apertura del mercato a nuovi
operatori, dall'altro. Sul TPA, le opposizioni sono risultate assai diffuse sia a livello dei
governi che tra gli operatori economici interessati, con l'eccezione delle imprese
industriali forti consumatrici di gas.
È stato infatti osservato che l'introduzione di un regime di TPA sulle condotte di
importazione è un provvedimento che può essere utile quando le prospettive siano di
mercato stazionario o comunque con basso tasso di crescita: in tal caso, infatti ,è
difficile l'ingresso di nuovi soggetti integrati, perche non vi è la necessità di nuove
grandi infrastrutture di trasporto; una maggiore articolazione del mercato può essere
ottenuta perciò solo consentendo a nuovi entranti di accedere alle condotte esistenti.
Se invece le prospettive del mercato sono di crescita sostenuta, tale da richiedere la
realizzazione di ingenti investimenti in grandi condotte ad alta pressione per importare
gas, negoziato tra l’altro con clausole di take or pay, l'introduzione del TPA è stata
indicata come poco efficace in quanto in un mercato in crescita le infrastrutture di
trasporto assai difficilmente possono trovarsi nella condizione di basso utilizzo. Ben
diversa sono state infatti le condizioni che hanno portato alla liberalizzazione del
mercato del gas degli Stati Uniti dove, nel corso degli anni ‘80 si era determinata una
vera e propria “bubble gas” rispetto ad una domanda in netta flessione.
Nei mercati in crescita una maggiore apertura del mercato appare quindi meglio
garantita da soluzioni più flessibili, come ad esempio l'accesso negoziato,”negotiated
access”, che tende ad assicurare ugualmente la possibilità di accesso di terzi alle reti, sia
produttori sia grandi utenti. Con questa opzione i maggiori utenti e le aziende di
distribuzione locale hanno la facoltà di contattare più di un fornitore, anche al di fuori
dei limiti nazionali, nell'ipotesi che esistano margini di capacità di trasporto inutilizzati
nelle grandi reti.
Questo impostazione sembra anche essere stata accettata dalla Commissione Europea
nelle successive proposte di direttiva per la liberalizzazione del mercati del gas naturale
e dell’energia elettrica. D’altra parte occorre anche tenere presente, nell’ipotesi di
conflitti tra nuovi entranti e soggetti dominanti, sui poteri di intervento delle autorità
garanti della concorrenza.
La realizzazione del mercato unico non è peraltro l’unico punto di attenzione del
dibattito energetico in Europa.
La graduale ripresa della domanda ha riacceso la discussione sul futuro approvvigionamento europeo dato che gli ulteriori attesi miglioramenti di efficienza non
potranno comunque far fronte ai fabbisogni energetici addizionali previsti dopo il 2000
quando la produzione domestica tenderà al declino. La Commissione, in particolare , in
vista del possibile inserimento di uno specifico riferimento all'energia in occasione della
revisione del trattato di Maastricht, dopo aver approntato una serie di documenti che
hanno esplorato gli scenari che si prospettano per l’Unione Europea, ha anche
pubblicato dei documenti di taglio più politico: un Libro Verde e, quindi, un Libro
Bianco.I punti centrali sui quali viene focalizzata l'attenzione dei governi e degli
operatori sono il rafforzamento della competitività dei paesi membri, la sicurezza
dell'approvvigionamento energetico e la protezione ambientale; su questo sfondo
vengono esaminate le possibilità di una armonizzazione delle politiche dei vari paesi
.Anche il tema dei rapporti con i paesi produttori è stato oggetto di iniziative :in
particolare, dopo una fase caratterizzata da intese bilaterali tra singoli governi e singole
iniziative delle imprese, è prevalsa la consapevolezza della necessità di una strategia di
cooperazione in tutto il bacino del Mediterraneo centrata sulla energia ed in particolare
sulla creazione di un sistema energetico integrato fra sponda nord e sponda sud, la più
ricca di risorse energetiche ma finora valorizzate al di fuori di un disegno di
interconnessione e di sviluppo integrato.
27 Jonathan P. STERN, Third party access in European Gas Industries - Regulation-driven or
Market-led?, The Royal Institute of International Affairs, Londra, 1992
67
5.2 L'ambiente
La nascita della questione ambientale è strettamente legata allo sviluppo economico ma
soprattutto all'instaurarsi di sistemi di produzione di massa caratterizzati dal rilascio
nell' ecosistema di sostanze potenzialmente nocive per l'ambiente e per la la salute
dell'uomo e degli altri esseri viventi , ovvero dalla creazione di rifiuti non degradabili o
riciclabili in tempi brevi . I prodotti della combustione delle fonti fossili e dei loro
derivati ,così come i prodotti della fissione nucleare, sono un aspetto non secondario
del problema ambientale insieme a quelli derivanti dal trasporto.
Il forte sviluppo dei consumi di energia ,ma anche il succedersi di alcuni grandi
incidenti ed il manifestarsi di situazioni di emergenza hanno portato ad una sempre
maggiore sensibilizzazione della opinione pubblica di fronte ai problemi ambientali .Ai
governi ed alla comunità internazionale è spettato il difficile compito di mediare tra le
posizioni più radicali e gli interessi generali con l'emanazione di una complessa
normativa in continua evoluzione .
Il ruolo della Comunità Europea in questo settore si è rilevato immediatamente molto
importante, considerata la inadeguatezza della dimensione strettamente nazionale . Le
posizioni della Comunità Europea si sono andate via via adeguando agli sviluppi del
dibattito internazionale e al crescente consenso sulla centralità dei temi ambientali ai
fini dello sviluppo sostenibile.
La tradizionale separazione, spesso vera e propria opposizione, tra valori economici e
ambientali si è andata progressivamente trasformando nella direzione di una maggiore
integrazione. In particolare è andata crescendo l'attenzione per l'applicazione degli
strumenti economici a politiche di tutela ambientale più ambiziose a costi moderati,
rendendole compatibili con altri obiettivi delle politiche economiche, come lo sviluppo
della produzione e dell'occupazione, la stabilità dei prezzi e i problemi della
distribuzione dei redditi. Storicamente e metodologicamente opposti fino ad oggi,
l'approccio ambientale e quello economico ai problemi ecologici tendono sempre più a
integrarsi in un nuovo approccio in cui l'ambiente non viene più percepito come un
limite esterno naturale all'attività umana (come nell'approccio puramente ambientale),
né soltanto come una risorsa scarsa e limitata.
L'ambiente tende a diventare parte del prodotto generale del sistema economico; gli
obiettivi delle politiche ambientali più ambiziose vengono tradotti in termini di obiettivi
degli investimenti e dell'innovazione tecnologica.
L'ambiente sembra essere un terreno sempre più decisivo per la concorrenza tra
industrie e paesi, sia che venga considerato un limite, una risorsa o un prodotto, e quindi
appare destinato a rientrare tra i valori e le variabili delle politiche macroeconomiche.
Contrariamente a quanto portano a credere alcuni pregiudizi , le evidenze empiriche
mostrano che il progresso della tutela ambientale è più facile da realizzare nelle
economie in espansione e nei casi in cui funzionano i segnali dei meccanismi di
mercato.
Negli ultimi anni sono emerse prove molto tangibili di come sia stato più semplice
realizzare politiche più ambiziose di tutela ambientale nelle economie di mercato
rispetto ai paesi dell'Europa centrale e orientale, in cui veniva sperimentata la
pianificazione centrale e dove si sono avuti i risultati ecologici più disastrosi. Nei
sistemi economici in cui il prodotto interno lordo e la produttività sono aumentati, sono
risultati facilitati gli investimenti per la riconversione dei processi produttivi in
direzione di standard più ambiziosi di tutela ambientale.
Quando le misure di tutela ambientale sono state applicate in modo efficiente e gli
aumenti della produttività hanno consentito di sostenerne i costi, senza limitare
eccessivamente lo spazio per l'aumento del reddito disponibile, i rischi di un possibile
conflitto tra politiche ambientali e distribuzione del reddito tra i fattori della produzione
si sono ridotti al minimo.
68
Far sì che i prezzi di mercato riflettano gli effetti ambientali dell'uso delle risorse e della
produzione di beni e servizi si prospetta comunque come una non facile operazione .
L'introduzione di nuove imposte è uno degli strumenti economici pratici. Si potrà fare
ricorso a una distribuzione più equilibrata dell'attuale onere fiscale, eliminando i sussidi
distorcenti e tentando di far rientrare nei prezzi l'uso delle risorse ambientali. Sebbene
le esternalità ambientali siano piuttosto incerte e quindi difficili da quantificare con
precisione, la direzione del cambiamento è il fattore importante, ancora più dei risultati
quantitativi (S. Schmidheiny, Business Council for Sustainable Development, MIT,
1992). Gli effetti generali di queste imposte dovrebbero essere comunque valutati
accuratamente, prima che uno stato intraprenda azioni unilaterali che potrebbero
modificare eccessivamente la concorrenza tra industrie o paesi.
Un modo per incoraggiare l'inserimento delle politiche e dei costi energetici nelle
politiche macroeconomiche potrebbe essere il miglioramento della contabilità
nazionale, tenendo conto dei danni ambientali che possono essere stimati in termini
monetari e delle variazioni nette delle scorte di risorse naturali, come per esempio le
foreste.
Anche se molti economisti mettono in dubbio la fattibilità e l'efficacia di questi calcoli,
potrebbe essere utile perfezionare indicatori economici che completino quelli
tradizionali, come hanno cominciato a fare la Norvegia, la Francia e il Giappone, oltre
che diverse organizzazioni internazionali. Il problema è quello di trovare indicatori
efficaci per la valutazione delle prestazioni economiche dei vari paesi, anche alla luce
del progresso verso uno sviluppo sostenibile. Nella maggior parte dei paesi oggi sono
disponibili pochi dati statistici sull'uso delle risorse naturali, inoltre i danni ambientali e
il costo per sanarli (per esempio sversamenti di petrolio in mare a seguito di naufragi di
petroliere) vengono registrati solo come contributo alla crescita del reddito.
La natura degli squilibri ambientali che si intravedono all'orizzonte è tale da limitare
l'efficacia di passi unilaterali da parte di singole nazioni, poiché gli squilibri stessi
stanno assumendo sempre più un'importanza planetaria, che impone una limitazione
delle sovranità nazionali e il superamento di soluzioni geografiche troppo restrittive.
Un elemento chiave riguarda il cambiamento dell'importanza relativa della domanda
energetica delle aree principali.. Nel 2020 la quota OCSE dovrebbe scendere a un
livello tra il 28 e il 35%, a seconda degli scenari di riferimento, mentre la quota di
energia consumata nei paesi in via sviluppo salirebbe a oltre il 50%(v.capVI).
Con il crescere del ruolo della Comunità Europea, gli strumenti di comando e controllo
tendono ad accompagnarsi a strumenti che seguono la logica del mercato, e per questo
le politiche ambientali sono destinate a integrarsi sempre più con quelle
macroeconomiche, influenzandosi a vicenda.
La proposta della Commissione CEE di imporre un'imposta mista sulla CO2 e
sull'energia per stabilizzare le emissioni ai livelli del 1990 entro il 2000 ne è uno degli
esempi principali.
Per ragioni di concorrenza sul mercato internazionale l'adozione e l'applicazione della
direttiva sono rimaste subordinate all'adozione di politiche simili per combattere
l'effetto serra da parte di tutti i paesi OCSE, USA e Giappone in particolare; il processo
di traduzione della proposta in direttiva ha anche risentito di un certo rallentamento di
attenzione, che si è manifestato dopo la conferenza di Rio de Janeiro sull'ambiente
(1992).
Indubbiamente, nonostante le numerose incertezze scientifiche che ancora limitano le
conoscenze dei meccanismi complessi e dei rischi reali relativi al riscaldamento globale
e nonostante il blocco temporaneo della proposta CEE, il problema rimane d'attualità,
sia a livello nazionale che internazionale.
In conclusione la proposta CEE rimane un punto di riferimento importante, anche se,
sotto il profilo della tassazione ottimale dei sistemi competitivi tendenti all'efficienza
economica e degli aspetti correlati dell'equità distributiva e del benessere sociale, il
meccanismo proposto appare ancora controverso.
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Vi sono due aspetti della proposta, in particolare, che sembrano comprometterne
l'efficienza. Il primo, fondamentale, riguarda la natura ibrida di un'imposta combinata
sul carbonio e sull'energia. Il secondo, non meno importante, riguarda l'evidente
asimmetria tra i diversi paesi della Comunità in materia di efficienza energetica e di
intensità delle emissioni di anidride carbonica e quindi l'estrema variabilità delle
diverse funzioni di abbattimento dei costi e dei danni causati dalla stessa
Una imposta rivolta alla CO2 risulta economicamente efficiente se rende uguali in tutti i
paesi i costi marginali dell'abbattimento delle emissioni . La realizzazione di condizioni
di efficienza di costi e di allocazione delle risorse in un contesto competitivo e
cooperativo quale la CEE non è, tuttavia, indipendente dal livello dell'imposta stessa,
soprattutto in presenza di mercati asimmetrici.
In questo contesto, i paesi più efficienti dal punto di vista energetico con costi marginali
elevati per l'abbattimento della CO2 di fatto finanzierebbero (in parte) quelli meno
efficienti e con costi marginali più bassi (quindi con costi di abbattimento totali
superiori a quelli ottimali). Nel caso specifico l'Italia sarebbe certamente molto
penalizzata dal momento che all'interno della Comunità è (con la Danimarca) il paese
più efficiente sia dal punto di vista dell'intensità energetica che da quello dell'intensità
di carbonio (rispetto al PIL).Sebbene si dia per scontato il principio della neutralità
fiscale, con rientri sotto forma di mutui e incentivi al miglioramento ambientale,
l'impatto di una simile imposta sui prezzi finali dei prodotti energetici sarebbe elevato
sui prodotti energetici utilizzati per uso industriale e per produzione termoelettrica,
mentre avrebbe modesti effetti sui prezzi dei prodotti usati nei trasporti e nelle attività
non industriali (già pesantemente tassati).
Il sistema proposto, rispetto ad altri strumenti economici, risulta in definitiva costoso e
non efficace rispetto all'obiettivo di una riduzione delle emissioni di CO2, nè la
Commissione può garantire che la proposta di ridistribuzione delle entrate derivanti
dalla tassazione sia effettivamente adottata dagli Stati membri.
In definitiva, nuove tassazioni sul settore energetico dovrebbero essere viste solamente
nell'ambito di un progetto più ampio di riorganizzazione della fiscalità dell'energia,
basato sull'armonizzazione tra paesi e tra settori di utilizzo; sull'efficienza energetica;
sulla incentivazione ai prodotti puliti; sulla standardizzazione dei prodotti;
sull'incentivazione finalizzata alla innovazione delle strutture produttive dell'industria
di trasformazione in funzione delle esigenze ambientali. In questa prospettiva, capace di
costituire un vero salto di qualità rispetto al semplice reperimento di entrate, l'obiettivo
della riduzione delle emissioni di CO2 dovrebbe essere integrato anche a quello della
riduzione degli altri agenti inquinanti.
5.3 La prospettiva dell’integrazione tra Europa dell’Ovest ed Europa dell'Est
I grandi avvenimenti che hanno cambiato la fisionomia dei paesi dell'Est sul finire degli
anni '80 hanno posto in una nuova dimensione le prospettive energetiche mondiali e ,in
particolare, quelle europee.
Per apprezzare l'entità dei cambiamenti intervenuti e di quelli che si vanno delineando
si deve partire da un esame delle strutture dei due sistemi energetici, quello dell'Europa
occidentale e quello dell'Europa orientale che, per oltre 70 anni nell'ex Unione Sovietica
e per 45 anni negli altri Paesi dell'Est, si erano sviluppati sulla base di regole
istituzionali antitetiche.
La vecchia configurazione dei rapporti tra i due sistemi si basava sull'esportazione di
fonti energetiche (prevalente- mente gas, petrolio e carbone) dall'Est, con la assoluta
prevalenza dell'ex-Unione Sovietica, verso l'Ovest, mentre risultavano pressocchè
inesistenti le iniziative comuni per lo sfruttamento e la valorizzazione di risorse
energetiche.
Nel 1988, anno che rappresenta ancora gli antichi equilibri, i consumi energetici
70
dell'Europa occidentale ammontavano a 1.330 milioni di tep, con riferimento ad una
popolazione di 411 milioni di abitanti; i consumi dell'Europa dell'Est, ivi compresa
l'Unione Sovietica, erano pari a 1.850 milioni di tep, con riferimento ad una
popolazione di 423 milioni di abitanti.
Già a questo livello di aggregazione risultava una notevole disparità tra le due aree, sia
in termini assoluti sia in termini di consumo pro-capite: 3,6 tep nell'Europa occidentale,
4,6 tep nell'Europa orientale.
In realtà anche la struttura dei consumi di energia in fonti primarie era segnata da
profonde differenze.
Il peso dei combustibili solidi nei Paesi dell'Est era ancora superiore al 30% contro il
22% dell'Europa occidentale, quello del petrolio era a meno del 30% contro il 43%,
quello dell'energia nucleare al 3,3% contro il 12%;di grande rilievo, invece, il ruolo del
gas naturale, con una quota pari al 33% contro il 15% nell'Europa dell'Ovest.
Il grado di efficienza dell'utilizzo dell'energia, espresso come rapporto tra consumo
energetico e Prodotto Interno Lordo, in altri termini l'intensità energetica, mostrava un
enorme divario a sfavore dell'Europa dell'Est, con un valore dell'intensità energetica
superiore di circa tre volte a quello medio dell'Europa occidentale.
Tra l'altro, negli anni successivi alle crisi del 1973 e del 1979, l'intensità energetica dei
paesi occidentali e, in particolare, di quelli europei, era andata nettamente diminuendo,
mentre nei Paesi dell'Est si erano registrati aumenti o stabilità (cfr.cap. II).
Il rilievo pratico di questo tema è dimostrato dal fatto che una riduzione dell'intensità
energetica del 20% nei Paesi dell'Est può significare un minore fabbisogno interno di
circa 400 milioni di tep, che potrebbero essere collocate sul mercato internazionale
costituendo una fonte di finanziamento per le nuove iniziative da realizzare.
Questo grande serbatoio di risparmio energetico non è però uniformemente distribuito
tra tutti i settori di utilizzo finale.
Sempre nel 1988 i consumi energetici del settore industriale erano pari a 730 milioni di
tep nell'Europa dell'Est contro 322 all'Ovest; nella siderurgia i consumi erano di 160
milioni di tep contro circa 60; nella chimica i consumi erano di 150 milioni di tep
contro 100.
La causa di queste differenze va ricercata nel ruolo delle industrie pesanti e dei grandi
complessi energetici e industriali tipici delle economie pianificate, senza trascurare la
vecchia logica dei target quantitativi da raggiungere a prescindere da controlli di
efficienza e la mancanza di un sistema di prezzi dell'energia collegato a quello
internazionale.
I consumi degli usi civili dell'Europa dell'Est, sempre nel 1988, ammontavano a 380
milioni di tep, superando di circa 30 milioni di tep quelli dell'Europa occidentale, con
una forte presenza dei combustili solidi.
Pur tenendo conto delle condizioni climatiche particolarmente severe che possono
giustificare in parte i maggiori consumi, la mancanza di una contabilizzazione
(contatori) dei consumi individuali e di un sistema di prezzi sovvenzionati aveva
costituito un incentivo a situazioni di spreco anche in presenza di impianti di
cogenerazione in grado di assicurare, almeno in teoria, una elevata efficienza
energetica.
Parzialmente a sfavore dell'Europa Occidentale le differenze nei trasporti: 250 milioni
di tep contro 180 nell'Europa dell'Est, con una struttura per fonte caratterizzata dalla
prevalenza del petrolio in ambedue le aree, ma con notevoli differenze nella qualità dei
prodotti impiegati.
In questo caso, però, ipotizzare una contrazione della domanda ad Est non appare
realistico dato che il passaggio ad una economia di mercato e il conseguente sviluppo
della motorizzazione privata tenderanno a tradursi in un netto aumento dei consumi
energetici, anche se all'aumento quantitativo dovrà corrispondere anche un netto
miglioramento della qualità dei prodotti con il graduale allineamento agli standards già
in vigore nell’Europa Occidentale.
71
Il divario tra Est ed Ovest era molto rilevante anche nel settore della produzione di
energia elettrica e di calore, che nei Paesi dell'Est assorbiva oltre 740 milioni di tep in
termini di energia primaria, determinando livelli di emissione di agenti inquinanti
notevolmente superiori a quelli dell'Europa occidentale, sia per il mancato ricorso a
tecnologie di abbattimento, sia per le caratteristiche dei combustibili utilizzati (ligniti e
carboni ad alto tenore di zolfo ,olio combustibile ad alto tenore di zolfo).
Dopo una fase di ottimismo il processo di integrazione tra i due sistemi è apparso più
difficile di quanto previsto con il manifestarsi di ostacoli prima ancora che su quello
energetico su quello politico ed economico.
Nei paesi dell’Europa orientale (esclusa l’ex-URSS)la transizione è stata accompagnata
da fenomeni recessivi molto accentuati ed anche il ruolo della collaborazione
internazionale è stato relativamente limitato, sia per motivi interni, sia per motivi
internazionali come la crisi del Golfo che ha posto in secondo piano, specie nei
momenti di maggiore tensione, l 'interesse per questa area.
L'adeguamento dei prezzi delle fonti energetiche ai livelli vigenti sul mercato
internazionale e la standardizzazione delle tecnologie e delle strutture produttive si sono
rivelati molto difficili .
I cali produttivi riflettono la progressiva liberalizzazione del mercato in questi paesi. La
rimozione dei sussidi statali e dei controlli sui prezzi ha imposto, all'interno del settore
energetico, profonde ristrutturazioni degli assetti aziendali e la uscita di scena delle
attività marginali.
D’altra parte il recupero di efficienza economica delle imprese energetiche richiede
tempi certamente non brevi, tenuto conto anche delle significative risorse finanziarie
necessarie ad ammodernare il settore . La crisi economica e finanziaria ha influito anche
sul livello delle importazioni di energia di questi paesi , per lo più gas e petrolio;con la
dissoluzione del Comecon (inizio 1991) e la denominazione in valuta convertibile delle
esportazioni delle repubbliche ex- sovietiche, i Paesi dell'Europa orientale hanno visto
più che raddoppiare i costi delle proprie importazioni energetiche, a fronte di una decisa
contrazione dei tradizionali mercati di sbocco per le proprie esportazioni. La rottura dei
tradizionali rapporti commerciali ha dunque amplificato le già profonde difficoltà
connesse con il processo di ristrutturazione produttiva ed economica.
A partire dal 1993 nonostante il permanere di condizioni difficili non sono mancati
segnali di miglioramento rispetto agli anni precedenti. Polonia, Ungheria e
Cecoslovacchia hanno conseguito significativi successi in materia di privatizzazione e
di stabilizzazione economica. Sono inoltre sensibilmente aumentate le esportazioni di
questi paesi sui mercati occidentali. Per contro, in Bulgaria e in Romania il cammino
delle riforme ha subito notevoli ritardi e la fase di caduta del prodotto non sembra
ancora aver raggiunto il punto di svolta.
Relativamente all’offerta di energia sembra delinearsi una relativa stabilizzazione dei
livelli produttivi, mentre dal lato della domanda si profila un recupero della domanda di
prodotti petroliferi e di gas naturale soprattutto nei paesi più avanti nel processo di
ristrutturazione.
Nell'ex-Unione Sovietica la crisi è stata ancor più profonda; la nascita di nuove entità
nazionali (la Russia, le repubbliche baltiche, le repubbliche asiatiche), che non hanno
ancora raggiunto un equilibrio stabile ,ha reso ancora più complesso lo scenario della
nascita di un nuovo sistema .
In questo contesto la crisi del sistema economico, l'arretratezza tecnologica e la
mancanza dei capitali necessari allo sviluppo della produzione hanno pesato
profondamente sia sulla domanda sia sull'offerta di energia, mentre scarsi progressi si
sono avuti nel campo della razionalizzazione degli impieghi.
Tra il 1988 e il 1992 la produzione complessiva di energia dell'ex-Unione Sovietica è
diminuita di oltre 200 milioni di tep per attestarsi su circa 1.430 milioni di tep.
Contrazioni nei livelli produttivi hanno interessato quasi tutte le fonti primarie. La
produzione di carbone si è attestata sui 260 milioni di tep con una flessione di circa 50
72
milioni di tep; la caduta della produzione di petrolio, da oltre 600 a circa 450 milioni
di tep, è stata ancora più accentuata .La crisi del settore nucleare ha raggiunto livelli
drammatici con l'incidente di Chernobyl, che ha messo in risalto ,drammaticamente,
l'insufficiente livello di sicurezza di molti impianti dell 'Europa dell'Est .
La produzione di gas naturale, che in un primo momento non sembrava dover risentire
della crisi, ha registrato un arretramento dopo il 1990, anche se il fattore domanda
sembra prevalere su quelli relativi all'offerta.
La maggiore "criticità" del settore petrolifero e la maggiore tenuta di quello gassifero
sono il riflesso di diversità strutturali e organizzative dei due comparti. L'industria
petrolifera dell'ex-URSS ha subito una profonda trasformazione con la costituzione, in
ognuna delle nuove repubbliche, di società petrolifere più o meno aperte al capitale
privato .
Il settore del gas ha conservato, invece, una struttura unitaria .Il Gasprom, già dotato
di ampia autonomia, si è trasformato in società per azioni a partecipazione della
federazione russa,della Bielorussia e dell'Ucraina. Questa società ha continuato a
gestire unitariamente tutto il ciclo del gas, dalla produzione alla distribuzione, al
trasporto e alle esportazioni. Il maggiore coordinamento nella gestione del settore ha
permesso di evitare, pur nel contesto di una difficile congiuntura, drammatiche
riduzioni dei livelli produttivi o interruzioni nei flussi di esportazione .
Ad alimentare le difficoltà presenti nei vari settori energetici ha contribuito in misura
significativa la mancanza di un sistema di prezzi in grado di riflettere i reali e crescenti
costi di produzione .
Ad esempio ,nel gennaio 1992 la Federazione russa ha avviato la liberalizzazione dei
prezzi di tutti i beni, ad eccezione di un paniere di beni di prima necessità e delle fonti
di energia, seguendo un approccio gradualistico, per non incidere sulla già precaria
situazione del sistema industriale ed evitare il rischio di contraccolpi sulle attività
produttive indotte da crescite significative dei prezzi energetici.
La riforma dei prezzi dell'energia si è così concretizzata più in misure di aggiustamento
che in una vera e propria liberalizzazione. Nonostante i significativi aumenti, il prezzo
riconosciuto ai produttori ha continuato a mantenersi di molto al di sotto del livello
vigente sui mercati internazionali e assolutamente insufficiente a garantire un adeguato
margine di profitto alle imprese di produzione, che non possono finanziare nemmeno
gli investimenti necessari a stabilizzare la produzione.
La crisi produttiva si è riflessa sulla domanda di energia che si è ridotta in quattro
anni di quasi 300 milioni di tep, una flessione comunque meno accentuata di quella
del prodotto interno lordo. Tutto ciò ha determinato un aumento dell’intensità
energetica in netto contrasto con l’esigenza di razionalizzazione del sistema.
L'assoluta necessità di non ridurre le entrate in valuta estera ha comunque costituito un
forte incentivo a non ridurre in modo sostanziale il flusso delle esportazioni di
energia,in particolare petrolio e gas, anche se non sono mancati momenti di difficoltà
per problemi tecnici (manutenzione degli impianti) e politici (crisi e conflitti locali) che
si sono immediatamente riflessi sui mercati internazionali .
Nel caso dei prodotti petroliferi, il forte divario esistente tra livello dei prezzi interni e
quello vigente sui mercati internazionali ha comunque costituito una notevole spinta
verso i nuovi produttori indipendenti a privilegiare i mercati esteri rispetto a quelli
interni .A fronte di una riduzione della produzione di petrolio di circa 180 milioni di t,
le esportazioni sono diminuite di circa 40 milioni di t in un quadriennio.
Nel caso del gas le esportazioni nette sono rimaste stazionarie, ma con un diverso
assetto dei flussi verso i paesi dell'Europa orientale .
Alla fine del 1995, che segna, rispetto al 1992, ulteriori pesanti flessioni produttive e di
domanda,è comunque possibile intravedere alcuni sintomi di recupero nel settore della
produzione di idrocarburi sia della repubblica russa sia di altre repubbliche .
D’altra parte l’affermazione di nuove iniziative, in particolare "joint-ventures", richiede,
stabilità, regole comuni e garanzie per gli investitori, anche in relazione alla dimensione
73
dei progetti energetici ed ai lunghi tempi di realizzazione.
La Commissione europea ha prestato particolare attenzione al problema
dell'integrazione dell'intera area europea sostenendo l'iniziativa del Primo Ministro
olandese Lubbers per arrivare alla firma di una "Carta europea dell'energia" .Il primo
documento di intenti, firmato all'Aja nel dicembre 1991, ha affermato l'esigenza di
estendere il concetto e il processo di integrazione del sistema energetico, non solo
all'interno della Comunità, ma anche all'intero continente europeo, compresa la ex
Unione Sovietica. L'obiettivo è la creazione di una "Comunità dell'energia", all'interno
della quale, mediante lo sviluppo della complementarietà tra i paesi possessori di risorse
energetiche e i paesi detentori delle tecnologie; promuovere maggiore sicurezza di
fornitura per i paesi importatori; aumentare al massimo l'efficienza della produzione,
del trasporto, della trasformazione, della distribuzione e dell'uso dell'energia; garantire
maggiore protezione dell'ambiente e sicurezza in campo nucleare; creare un mercato
libero dell'energia per garantire l'accesso alle risorse energetiche e ai mercati
internazionali; eliminare le barriere esistenti allo scambio di prodotti, tecnologie e
servizi energetici; promuovere lo sviluppo e la tutela a livello internazionale degli
investimenti energetici e la preparazione a livello delle singole nazioni di un quadro
normativo stabile e trasparente per gli investimenti stranieri.
Per l’Unione Europea la attuazione pratica dei principi della Carta può rafforzare la
stabilità dell'intero sistema energetico. Per l'Europa orientale la Carta assume un
significato economico e politico ancor più rilevante: in questa area, infatti, l'energia
svolge un ruolo altamente strategico e, in una fase di transizione, può essere uno degli
elementi chiave del rilancio .
I paesi dell'Europa centro-orientale, che dispongono di risorse scarse e che hanno
maturato una pesante dipendenza dall'ex URSS, dovrebbero ricevere l'aiuto necessario,
oltre che per il riassetto delle loro forniture energetiche, anche e soprattutto per
attrezzarsi con gli strumenti necessari a un uso più razionale dell'energia. L'ex Unione
Sovietica, mediante l'espansione del commercio e della cooperazione con l'Europa
occidentale, potrebbe rendere redditizie le sue enormi risorse energetiche. Essa infatti
svolge un ruolo di primo piano nel mercato energetico mondiale con circa il 20% del
petrolio e il 40% del gas prodotti nel mondo. In particolare, la Carta europea
dell'energia, con l'adozione di norme e principi comuni relativi alla tutela e alla
salvaguardia degli investimenti ,che nel settore energetico sono soggetti ad un elevato
livello di rischio a causa della dimensione degli investimenti stessi e del differimento
del rendimento, dovrebbe facilitare il flusso di capitali occidentali necessari a
rivitalizzare il settore energetico dell'Europa dell'Est e della CSI.
I negoziati avviati dopo la firma della Carta per tradurne gli obiettivi politici in
documenti vincolanti sono stati molto complessi ; il primo documento che definisce le
norme principali in tema di cooperazione e di mercato ha richiesto lunghe e complesse
trattative ed è stato firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994. Questa firma rappresenta
certamente solo una tappa di un cammino complesso .
Nonostante gli ostacoli , l'integrazione delle economie dell'Est e dell'Ovest europeo
appare, comunque, un processo ineluttabile, anche se più complesso e difficile del
previsto: si tratta ,infatti, di una delle sfide più importanti e più promettenti per lo
sviluppo del settore energetico in Europa e nel mondo.
74
CAP. VI
LE PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA
DI ENERGIA 28.
6.1 Evoluzione della struttura economica: verso la società della conoscenza.
I possibili scenari evolutivi della domanda e della offerta di energia si inseriscono in un
contesto in cui i cambiamenti degli scenari geopolitici, economico-finanziari,
tecnologici e demografici, hanno assunto una accelerazione senza precedenti.
Tra le novità più significative che stanno ridisegnando l'economia mondiale, vi è la
rapida crescita delle economie in via di sviluppo, che non appare limitata al gruppo dei
cosiddetti paesi di nuova industrializzazione (NIC), ma coinvolge anche grandi paesi
come la Cina, l'India, il Brasile e l'Indonesia 29. La crescente offerta proveniente da
aree a bassi salari avrà l'effetto di calmierare i prezzi dei manufatti e stimolare un uso
più efficiente delle risorse nelle economie più ricche, aumentando la produttività; si
intensificherà il fenomeno della globalizzazione dei mercati, con un aumento della
concorrenza a livello mondiale e con la creazione di un mercato potenzialmente unico
per beni, servizi, capitali ed altri fattori della produzione.
Le economie di molti paesi emergenti stanno guadagnando posizione e potrebbero entro
il 2020 entrare nel gruppo delle economie più' ricche ed avanzate in termini di ricchezza
pro-capite, così come il Regno Unito sopravanzò l'Olanda alla fine del XVIII secolo e
l'America divenne più' ricca del Regno Unito alla fine del XIX secolo.
Nel periodo del dopoguerra, fino agli anni '70, la crescita della produttività totale dei
fattori di produzione, per l'Europa ed il Giappone, è stata un elemento importante del
processo di "catching up" nella tecnologia e nel reddito pro-capite. La teoria economica
neoclassica implica una convergenza tra paesi nei tassi di sviluppo e nei livelli di
reddito, facilitata dai trasferimenti di tecnologie attraverso il commercio internazionale,
gli investimenti esteri diretti, i brevetti e così via. I nuovi produttori possono
appropriarsi delle nuove tecnologie a costi relativamente bassi, avendo cosi accesso,
almeno da un punto di vista teorico, ad una funzione di produzione identica a livello
internazionale.
Nell’ultimo decennio è emerso con chiarezza che si va delineando un legame inedito,
per ampiezza e significato, tra il processo di innovazione tecnologica e l'organizzazione
economica e sociale, compresi i metodi ed i rapporti di lavoro e gli obiettivi della
formazione e dell'istruzione. Al tradizionale modello lineare dell'innovazione, in cui
l'atto innovatore era isolato, vanno sempre più sostituendosi meccanismi complessi in
cui i processi di innovazione sono altamente interattivi e tali da generare un traboccamento delle informazioni (information spillover) ed un circolo virtuoso in grado di
ridisegnare la geografia economica del mondo.
L'aspetto fondamentale che caratterizza l'economia basata sulla conoscenza è la
capacità di "codificare" le informazioni rendendole, attraverso le tecnologie
informatiche e della telecomunicazione, trasferibili e disponibili a livello mondiale. La
codificazione della conoscenza e delle informazioni ridurrà quindi enormemente i costi
della diffusione e dell'assorbimento delle tecnologie.
Nel nuovo modello di economia, gli elementi determinanti della competitività riguarderanno sempre di più la qualità dell'insegnamento e della formazione, l'efficienza
dell'organizzazione, l'intensità della ricerca e dello sviluppo e la loro diffusione, la
disponibilità di infrastrutture competitive anche per i servizi, la disponibilità di
28 Vedi V, D’Ermo, F. Ferrari, C. Forli, C. Frattale, S. La Bella, G. Marcello, E. Petrone, G.
Tribuzi, I cambiamenti strutturali e la domanda mondiale di energia, Energia, 1/96.
29 WORLD BANK, "Global Economic Prospects and the Developing Countries", 1994.
75
lavoratori ad alta professionalità (high skilled) o pluriprofessionalità (multiskilled) 30
31 32 33.
Con combinazioni appropriate di dati, informazione e conoscenza, sarà possibile creare
maggiore reddito, riducendo tutti gli altri inputs di fattori produttivi, cioè lavoro, scorte,
energia, materie prime, capitale.
Nei primi stadi dello sviluppo economico, nei paesi dove il reddito pro-capite è ancora
basso, i fabbisogni di materiali di base per la produzione industriale sono limitati, dato
il peso predominante delle attività agricole; l'industrializzazione e lo sviluppo
economico inducono un forte aumento degli impieghi di prodotti di base e della loro
intensità' di uso. Nelle fasi successive dello sviluppo la struttura del PIL si modifica a
favore del settore dei servizi, che richiede, per unità di prodotto, minori quantità' di
prodotti di base. Le innovazioni tecnologiche ed i fenomeni di sostituzione da un
materiale all'altro riducono ulteriormente intensità di uso dei materiali di base.
Con il crollo dei sistemi economici a pianificazione centralizzata dell'Europa orientale e
dell'URSS e con la trasformazione graduale ma rapida della Cina in un paese ad economia di mercato, è finito il mito che un'economia potesse trovare una sua strada di
sviluppo restando isolata dall'economia mondiale. Apertura verso l'esterno significa
apertura all'acquisizione delle tecniche migliori a disposizione dei concorrenti esteri.
Tutto ciò è rafforzato dalle politiche di privatizzazione, che ormai sono sempre più
diffuse e sulle quali il consenso tende ad essere abbastanza generalizzato nelle varie
aree economiche mondiali. Le imprese prima protette da sovvenzioni statali sono obbligate a ricercare la redditività degli investimenti in un contesto aperto alla
concorrenza, perciò adottano le tecniche più appropriate disponibili in campo internazionale.
In passato, per ragioni sociali e per agevolare l'industria nazionale, i prezzi dei prodotti
energetici sono stati tenuti sganciati dai prezzi internazionali e al di sotto dei costi di
produzione. In realtà si è appurato che spesso i maggiori beneficiari delle sovvenzioni
erano le classi medie e medio-alte e che l'economia del paese non era affatto agevolata
dall'energia a buon mercato. Con la eliminazione progressiva delle sovvenzioni, il
consumo dei prodotti energetici dovrà essere razionalizzato, perciò troveranno sempre
più spazio in questi paesi elettrodomestici e macchinari più efficienti nell'uso
dell'energia.
Da queste modifiche strutturali, scaturirà, a livello di domanda finale, un notevole
ridimensionamento del ruolo dei combustibili solidi, il riposizionamento dei prodotti
petroliferi in determinati segmenti di mercato, in particolare quello dei trasporti, un
consolidamento del ruolo del gas naturale ed una notevole espansione dell'energia
elettrica. Inoltre, il settore dei servizi, inclusi gli usi residenziali, diventerà il principale
mercato di assorbimento, seguito da quello dei trasporti e, infine, da quello industriale
che, nel 1991, aveva ancora un ruolo dominante.
30 DOSI G., FREEMAN C., FABIANI S. (1994), "The process of economic development:
introducing some stylized facts and theories on technologies, firms and institutions", Oxford
University Press.
31 GOLDIN I., KNUDSEN O., VAN DER MENSBRUGGHE D., "Trade Liberalization: Global
Economic Implications", OECD, WORLD BANK, 1993.
32 MATHEWS J., "Organizational Foundations of the Learning Economy", Conference on
Employment and Growth in the Knowledged-Based Economy (OECD and the Danish
Government), 1994.
33 COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, "Growth, Competitiveness and
Employment - The challenges and ways forward into the 21st century", White Paper, 1993.
76
MONDO
DOMANDA FINALE DI ENERGIA PER SETTORE E PER FONTE
Miliardi di tep
Quote percentuali
1980 1990 1992 2000 2010
1980 1990 2000 2010
Per settore
Industria
1.8
1.9
1.7
1.8
2.2
39
36
30
30
Trasporti
1.1
1.4
1.5
1.8
2.3
24
26
30
31
Resid.-servizi-agr.
1.4
1.6
1.8
1.9
2.3
30
30
32
32
Usi non energetici
0.3
0.4
0.4
0.4
0.5
7
8
8
7
Totale
4.7
5.4
5.5
6.0
7.3
100
100
100
100
Per fonte
Combustibili
4.1
4.6
4.6
4.9
5.8
87
85
82
80
Carbone
0.7
0.8
0.8
0.7
0.8
16
15
11
11
Petrolio
2.3
2.5
2.6
2.8
3.4
50
47
49
47
Gas
0.9
1.0
1.0
1.3
1.5
19
19
19
21
Calore
0.1
0.2
0.2
0.2
0.2
3
3
2
2
Elettricità
0.6
0.8
0.9
1.1
1.5
13
15
18
20
Totale
4.7
5.4
5.5
6.0
7.3
100
100
100
100
(1) Calcolate su dati non arrotondati.
Fonte: Dati consuntivi da ENERDATA, "World Energy Data Base", Grenoble-Gières, France,
1994.
Il fabbisogno per uso termoelettrico 34 dovrebbe evolvere gradualmente verso un
assetto dove i combustibili solidi ed il gas naturale dovrebbero compensare la
progressiva perdita di peso dell'energia nucleare, non più sostenuta dai massicci
programmi di investimento degli anni '70 e '80.
I rapporti di competività tra fonti indicano, infatti, ampi spazi per l'utilizzo, soprattutto
con tecnologie innovative, del gas naturale e dei combustibili solidi in molte aree sviluppate e in via di sviluppo.
Considerando anche i fabbisogni energetici degli altri settori trasformatori, in
particolare la raffinazione, si può ipotizzare un fabbisogno energetico mondiale al
2010 pari ai 10,4 miliardi di tep, soddisfatto dal petrolio con 4,0 miliardi di tep, dai
combustibili solidi con 2,8 miliardi di tep, dal gas naturale con 2,4 miliardi di tep, dal
nucleare con 0,7 miliardi di tep ed infine dalla idroelettricità e dalle fonti rinnovabili
con 0,5 miliardi di tep. Gli idrocarburi avrebbero un peso dominante nel
soddisfacimento della domanda dell'area Ocse, mentre nell'area asiatica sarebbero i
combustibili solidi ad avere un ruolo di primo piano.
Carbone
Petrolio
Gas
Elettricità
Totale
MONDO
DOMANDA MONDIALE DI ENERGIA IN FONTI PRIMARIE
Miliardi di tep
Quote percentuali
1980 1990 1992 2000 2010
1980 1990 2000 2010
1.8
2.2
2.1
2.1
2.8
28
28
25
27
3.0
3.1
3.1
3.3
4.0
47
40
41
38
1.2
1.7
1.7
2.0
2.5
20
22
22
24
0.3
0.7
0.8
0.9
1.2
5
10
11
12
6.3
7.7
7.7
8.4
10.5
100
100
100
100
Fonte: Dati consuntivi da ENERDATA, "World Energy Data Base", Grenoble-Gières, France,
1994.
34 IEA, "Electricity Supply", OECD, 1992.
77
Questi valori si collocano in una posizione intermedia tra quelle di maggiore consenso
35 36 e lo scenario "ecologically driven" della World Energy Conference 37 38. Ciò
può essere motivato dalla valutazione separata dei guadagni di efficienza nella fase di
utilizzo 39, dei guadagni conseguibili nei processi di trasformazione, nonché dall'ipotesi
di trasferimento delle tecnologie più efficienti dai paesi a più bassa intensità energetica
a quelli a più alta intensità per effetto dell'apertura dei mercati.
6.2 Le prospettive dell'offerta
La crescita della domanda di energia non sembra poter essere ostacolata da problemi di
disponibilità fisica di risorse .
Relativamente al petrolio, le riserve mondiali appaiono sufficienti a soddisfare la
domanda prevista; alla fine del 1995, le riserve certe erano stimate dell’ordine di 1000
miliardi di barili, con un rapporto riserve/produzione pari ad oltre 40 anni (v. cap. III
par. 4.1.7).
Uno studio dell’Institut Français du Pètrole sul potenziale petrolifero dei bacini
sedimentari di tutte le aree del mondo, indica che con le tecnologie di esplorazione e
produzione attualmente disponibili è possibile recuperare ulteriori 500-600 miliardi di
barili di greggio. Di questi, 350-400 Gbl sono costituiti da nuove riserve e 150-200
miliardi di barili da miglioramenti del recupero e da progetti di “Enhanced Oil
Recovery” (EOR) su giacimenti già in produzione.
Inoltre, secondo lo stesso studio, con l’introduzione e la diffusione di nuove tecnologie,
in parte già sperimentate e utilizzate in alcuni settori dell’attività petrolifera, le quantità
di riserve scopribili possono subire un notevole incremento. I livelli totali addizionali
recuperabili sono stimati in 1350-1650 miliardi di barili; di questi, 600-750 sono
costituiti da nuove riserve e 750-900 da miglioramenti del recupero e da progetti di
EOR. La maggior parte di queste riserve scopribili (55-65%) è localizzata in aree fuori
dal Medio Oriente ed è costituita, in misura preponderante, da riserve addizionali in
giacimenti già in produzione.
Anche il quadro relativo all' offerta del gas naturale non pone problemi, in termini di
entità delle risorse, rispetto ai livelli di domanda previsti. Le riserve certe di gas
naturale nel mondo assommano, a fine 1995, a circa 140.000 miliardi di mc (v. cap. III,
par. 4.2.2). La stima delle riserve è in continuo aumento. Negli ultimi dieci anni queste
sono state rivalutate di oltre il 50%. Il forte aumento è da attribuirsi principalmente alle
nuove tecnologie tese a ridurre il rischio economico nella esplorazione, diminuendo nel
contempo i costi di produzione. Si può ipotizzare che tale tendenza si manterrà nel
prossimo futuro, così che il volume delle riserve certe continuerà ad aumentare.
Il quadro delle riserve di carbone (v. cap. IV, par. 4.3), certamente la fonte energetica
distribuita in maniera più uniforme e cospicua, è particolarmente favorevole: ai ritmi di
produzione attuali, la durata delle riserve mondiali, valutate in oltre 1000 miliardi di
tonnellate, si aggira intorno ai 230 anni. Ulteriore impulso all'utilizzo di questa fonte
energetica potrebbe venire dall'utilizzo di tecnologie innovative, quali i cicli combinati
alimentati con carbone gassificato (IGCC), il letto fluido, le miscele acqua-carbone che
potrebbero migliorare l'accettazione da parte dell'opinione pubblica dell'utilizzo di
questa fonte.
35 INTERNATIONAL ENERGY AGENCY, "World Energy Outlook", Paris, 1994.
36 DRI/McGraw-Hill, "World Energy Forecast Report", Lexington, MA, USA, 1993.
37 WEC COMMISSION, "Energy for tomorrow's world", Londra, 1993.
38 GOLDEMBERG J., JOHNSON T.B., REDDY A.K.N., WILLIAMS R.H., "Energy for a
sustainable world", 1993.
39 SCHIPPER L., MEYERS S., HOWARTH R.B., STEINER R., "Energy efficiency and human
activity: Past trends, future prospects", 1992.
78
Ampia appare la disponibilità delle fonti rinnovabili che però ,a causa della limitata
competitività, si prospettano soprattutto come fonti "integrative" di quelle tradizionali .
L'utilizzo delle biomasse (legno, residui dell'agricoltura e dell'allevamento animale)
grazie all'apporto della tecnologia può estendersi ben al di là degli usi tradizionali .Già
nel 1989 la capacità produttiva di etanolo da biomasse era di circa 18 milioni di mc
all'anno, di cui circa 12 milioni di mc/anno nel solo Brasile, corrispondenti a circa
180.000 barili/giorno equivalenti di benzina. Programmi di produzione di etanolo su
larga scala sono già attivi in Brasile e negli Stati Uniti, mentre molti altri paesi hanno
programmi analoghi. L’impiego di bio-combustibili, anche per la produzione di
elettricità, potrebbe costituire un volano di sviluppo per aree con particolari vocazioni
agricole, con vantaggi per l'ambiente in relazione alla stabilità delle emissioni di CO2
attraverso il ciclo dei raccolti.
La conversione dell'energia solare in energia elettrica, attualmente 40 MW nel mondo,
può contare su elevate possibilità di sviluppo tecnologico, anche se essa appare ancora
penalizzata da costi elevati e da una eccessiva occupazione del territorio.
6.3 Le problematiche ambientali
L'impatto ambientale è uno dei punti critici di qualsiasi scenario, anche se le emissioni
di inquinanti quali polveri, ossidi di zolfo, di azoto e di carbonio potranno essere
contrastate dall'adozione di correttivi tecnologici atti a limitarne la produzione nel
punto di emissione (abbattitori elettrostatici, desolforatori, denitrificatori, dispositivi
catalitici, ecc.) anche nel quadro di accordi che impegnano i singoli paesi al rispetto di
livelli definiti di emissioni.
P ro to c o lli e d a c c o rd i
p e r le e m issio n i d i:
A n n o d i e n tra ta in v ig o re
S ta b ilisc e c h e le P a rti si
im p e g n a n o a rid u rre le e m issio n i
S O 2 e n tro il 2 0 1 0 d e l 6 0 %
SO2
p ro to c o llo d i H e lsin k i (1 9 8 5 )
risp e tto a i liv e lli d e l 1 9 8 0 .
(D o p o a v e r g ià ra g g iu n to la
rid u zio n e d e l 3 0 % se m p re
risp e tto a l 1 9 8 0 , e n tro il 1 9 9 3 ).
1994
(p re c e d e n te 1 9 8 5 )
S ta b ilisc e c h e le P a rti si
NOx
p ro to c o llo e d ic h ia ra zio n e
d i S o fia (1 9 8 8 )
im p e g n a n o a rid u rre le e m issio n i
N O x e n tro il 1 9 9 8 d e l 6 0 %
risp e tto a i liv e lli d e l 1 9 8 0 .
1988
Im p e g n o in se d e U E p e r la
CO2
sta b ilizza zio n e d e lle e m issio n i
d i a n id rid e c a rb o n ic a e n tro
il 2 0 0 0 a i liv e lli d e l 1 9 9 0 .
1990
Relativamente alle emissioni di CO2, per le quali è in corso un dibattito relativo alla
possibile correlazione con l'effetto serra, dopo una fase di aumento contenuto nel
periodo 1990-2000, essenzialmente dovuta alla profonda ristrutturazione del settore
energetico negli ex paesi ad economia pianificata, si prospetta una crescita a tassi
superiori a quelli fatti registrare negli anni '70 e '80.
79
MONDO
EMISSIONI DI CO2
Miliardi di tonnellate
Quote percentuali
1980 1990 2000 2010
38
41
38
39
47
41
43
41
15
18
19
20
100 100 100
100
1980 1990 1992 2000 2010
7.0 8.7 8.5 8.3 11.1
8.7 8.7 8.8 9.4 11.3
2.8 3.7 3.7 4.1
5.5
18.4 21.2 21.0 21.8 27.8
Carbone
Petrolio
Gas
Totale
6.4 I possibili interventi per limitare le emissioni di CO2
Per ottenere una stabilizzazione delle emissioni, certamente non facile in mancanza di
correttivi tecnologici, dovrebbero intervenire profondi cambiamenti nella scelta delle
fonti e delle tecnologie di trasformazione e di utilizzo.
L'attuazione di qualunque strategia dovrebbe comunque tener conto delle diversità
regionali sia in termini di emissioni di CO2 pro-capite che in termini di reddito procapite : in particolare gli interventi specifici dovrebbero prefigurare impegni maggiori a
carico delle aree che presentano valori più elevati di emissioni e di reddito pro-capite.
EMISSIONI DI CO2 E REDDITO PRO-CAPITE NEL 1991
C02 PRO-CAPITE
(t/abitante)
PIL PRO-CAPITE
($ '91/abitante)
PAESI
INDUSTRIALIZZATI
11,8
19843
EST EUROPA
5368
10,6
1,6
3,9
RESTO del MONDO
MONDO
840
4265
La Conferenza di Rio del 1992, con la firma della Convenzione sul Clima e con la
costituzione del fondo per l'ambiente globale (Global Environment Facility), è andata in
questa direzione. Questo fondo verrà gestito dalla Banca Mondiale, che, dal canto suo,
si è impegnata a dare priorità ai progetti a più elevata compatibilità ambientale,
risultanti da approfondite analisi costi-benefici.
L'obiettivo di stabilizzare le emissioni di CO può essere raggiunto solo con una
2
politica capace di orientare, con il consenso degli operatori e degli individui, le scelte
80
collettive ed individuali al controllo delle emissioni di gas serra.
La realizzazione di uno scenario alternativo richiede il superamento di una serie di
barriere e la presa di coscienza delle difficoltà da superare, a partire dalle diffidenze
politiche od economiche tra stati ed aree geografiche, che possono ostacolare i flussi di
conoscenze tecnologiche richiesti dall'esigenza di un approccio globale e, quindi, di
politiche sovranazionali.
La costruzione di un criterio utile alla ripartizione dei costi (spese in R&D,
investimenti, servizi di assistenza e consulenza, concessione di incentivi finanziari) ed
alla individuazione dei vantaggi costituiscono un prerequisito per attivare il processo
decisionale.
Relativamente agli interventi sul mix delle fonti, un accentuato ricorso al gas naturale
appare utile non solo per la minore produzione di anidride carbonica rispetto a petrolio
e carbone, ma anche per i più contenuti rilasci di altri agenti inquinanti, in attesa
dell'adozione su larga scala ed a costi accettabili di tecnologie ed attrezzature di
abbattimento degli stessi.
Nel settore termoelettrico, le qualità del gas naturale sono state fortemente valorizzate
con lo sviluppo della tecnologia delle turbine a gas e dei cicli combinati, che risulta
ottimale sia per motivi economici (minori costi di impianto, minori tempi di
realizzazione) che per motivi energetici ed ecologici. I traguardi già raggiunti nello
sviluppo di questa tecnologia consentono di prevedere nei prossimi decenni il
raggiungimento di rendimenti superiori al 60% (contro un attuale rendimento medio del
39% delle centrali termoelettriche convenzionali).
Nel settore della generazione di elettricità 40, miglioramenti di efficienza possono
derivare non solo da un più ampio ricorso ai cicli combinati, anche in associazione alla
gassificazione di combustibili solidi e liquidi, ma anche dal miglioramento delle
prestazioni delle tecnologie già consolidate.
La gassificazione del carbone e di altri combustibili "poveri" (TAR, orimulsion, etc.),
oltre a produrre gli accennati benefici in termini di efficienza di trasformazione (in
quanto i consumi per la gassificazione sono più che controbilanciati dai guadagni di
rendimento ottenibili con l'utilizzo di cicli combinati di nuova generazione), potrebbe
anche rappresentare la chiave del rilancio dell'"opzione carbone", grazie al ridotto
impatto ambientale derivante dall'utilizzo di questa tecnologia.
Quanto al ruolo futuro dell’energia nucleare, esso appare profondamente incerto,
nonostante che questa fonte non produca CO2.
L'intensa attività costruttiva, che ha caratterizzato la fine degli anni '60 e tutti gli anni
'70, ha avuto un notevole rallentamento all'inizio degli anni '80, per poi ridursi
drasticamente nella seconda metà degli anni '80 e nei primi anni '90. Ciò è dovuto, oltre
che al condizionamento generato dallo scarso consenso dell'opinione pubblica, anche a
importanti ragioni economiche quali gli elevati investimenti necessari per la
realizzazione di impianti termonucleari ed il perdurare di un regime di prezzi bassi dei
prodotti petroliferi seguito al crollo del prezzo del petrolio alla metà degli anni '80
(contro-shock petrolifero). Programmi importanti, ma in molti casi ridimensionati
rispetto alle intenzioni originarie, proseguono in Giappone, in Francia e in alcuni paesi
in via di sviluppo tra cui l'India, la Corea del Sud, la Cina.
Tuttavia, altri interrogativi e problemi oggi sul tappeto potrebbero nel medio-lungo
termine rilanciare l’opzione nucleare a livello mondiale. In particolare,
l'approfondimento e la migliore definizione delle relazioni che legano le emissioni
antropiche di CO2 all'effetto serra, ed al conseguente riscaldamento del pianeta,
potranno giocare un ruolo fondamentale quali parametri di valutazione e giudizio per un
futuro rilancio, a livello mondiale, dell'utilizzo di una fonte energetica "CO2-free" quale
40 EURELECTRIC, "The role of electricity in achieving decline in CO2 emissions - A scenario
approach of EC-12 -", 1992.
81
il nucleare.
Notevoli miglioramenti possono essere anche ottenuti dal lato degli utilizzatori:
miglioramenti si potranno verificare sia a seguito del proseguimento nello sviluppo di
tecnologie convenzionali, quali ad esempio i motori a combustione interna delle
autovetture o le comuni applicazioni elettrodomestiche (che negli ultimi venti anni
hanno fatto registrare aumenti di rendimento che vanno dal 30% al 50% ed oltre), sia,
soprattutto, grazie allo sviluppo di tecnologie innovative elettriche e basate su altri
vettori energetici.
In conclusione, la possibilità di realizzare uno scenario alternativo in una ottica di
contenimento delle emissioni di CO2 non appare irrealizzabile; tuttavia, la diffusione di
nuove tecnologie, la sostituzione dei sistemi meno efficienti ed il trasferimento di
tecnologie e conoscenze non potranno prescindere dall'esistenza di vincoli economici e
tecnici. Tutto ciò tende a spostare oltre il 2010 l'orizzonte temporale in cui potrebbero
attendersi significative modifiche rispetto alle tendenze dello scenario qui prospettato
82
CAP. VII
IL SISTEMA ENERGETICO ITALIANO
7.1.
L'affermazione degli idrocarburi
L'apertura ai mercati internazionali ,che rappresenta uno dei principali indirizzi della
politica economica degli anni '50, trova un parziale riscontro in campo energetico, dove
alla liberalizzazione delle importazioni di greggio si accompagna il mantenimento di
uno stretto controllo amministrativo sul mercato interno.
Il cambiamento, anche se di entità limitata,produce effetti molto rilevanti : il livello
assoluto della domanda complessiva di energia,la struttura per fonti ,il grado di
autonomia energetica subiscono una serie di importanti cambiamenti: nel 1950 - al
termine del processo di ricostruzione del sistema produttivo - i consumi energetici del
paese (23 milioni di tonnellate di petrolio equivalente) hanno già superato il livello
massimo raggiunto nell'anteguerra (21,5 milioni di tep).
La quota del petrolio,che comincia a trovare nuovi spazi di mercato in aggiunta al
settore dei trasporti, è in netto aumento, sino a circa 1/4 del fabbisogno complessivo .Il
contributo percentuale dei combustibili solidi, via via meno competitivi, è in rapida
diminuzione ;la quota del gas è ancora molto limitata, ma in espansione; la quota
dell'energia elettrica primaria risulta stazionaria intorno a circa 1/3 del totale .
La produzione nazionale soddisfa ancora metà del fabbisogno, ma le tradizionali
risorse energetiche interne, come l'energia idroelettrica, i combustibili vegetali, il
carbone del bacino sardo del Sulcis, valorizzato in periodo autarchico, si rivelano
sempre più inadeguate alla sia pur parziale copertura della crescente domanda.
Gli idrocarburi si presentano come le fonti più promettenti per lo sviluppo del Paese ed
alcuni ritrovamenti nella Valle Padana fanno addirittura intravedere la possibilità di
ulteriori rilevanti scoperte anche in Italia .
Le aspettative sono cosi ottimistiche che la legge che istituisce, nel 1956, l'ENI affida a
questo Ente la valorizzazione delle risorse di idrocarburi della Valle Padana , fermo
rimanendo il principio della presenza di altri operatori nelle altre aree del Paese.
La nascita dell'ENI, avvenuta nel momento del decollo del petrolio come fonte "leader",
ha però una valenza più ampia: essa è un indice, in quel momento storico ,della volontà
dello Stato italiano non solo di avere un ruolo attivo nella valorizzazione del
patrimonio di idrocarburi nazionali, ma anche di partecipare ,con una azienda di Stato,
alla fase di espansione dell'industria petrolifera nel mondo, instaurando rapporti di
collaborazione di tipo innovativo con i paesi produttori, in attuazione di un disegno
strategico che Enrico Mattei aveva prima intuito e poi proposto al Paese 41.
Gli effettivi ritrovamenti di idrocarburi in Italia ridimensionano rapidamente le attese
più ottimistiche di cui si trova ampia traccia nella pubblicistica dell'epoca ;con
particolare riferimento all'area padana, l'azione dell'ENI , mentre comporta la scoperta
di alcuni giacimenti di olio di importanza marginale, porta alla individuazione di un
ingente patrimonio di gas ,naturalmente rapportato ai fabbisogni energetici dell'area
stessa.
L'ENI punta,così, in via prioritaria, al soddisfacimento della domanda dell'industria
attraverso la realizzazione di una rete di metanodotti che passa tra il 1950 ed il 1960
da 1.463 km a 4.640 km.
Questa scelta comporta numerosi vantaggi per gli utenti industriali, che colgono fino in
fondo le opportunità offerte dalla disponibilità di una fonte energetica dalle elevate
qualità e a prezzi competitivi nei confronti dei prodotti petroliferi e dei combustibili
solidi di importazione.
Il modello di sviluppo del sistema petrolifero italiano ha caratteristiche diverse rispetto
41 M. Colitti, Energia e Sviluppo in Italia, De Donato, Bari, 1979.
83
a quello del gas naturale ;esso si ricollega ad un fattore esterno che si presenta come una
grande opportunità:la scoperta e la valorizzazione delle enormi risorse petrolifere del
Medio Oriente. In relazione a queste scoperte, l'assetto del mercato internazionale sta
subendo cambiamenti radicali e i prezzi del petrolio e dei prodotti petroliferi stanno
iniziando un ciclo di sostanziali e continui ribassi che, al netto di alcuni momenti (crisi
di Suez), continueranno sino al 1973, determinando un forte aumento di domanda nel
Nord-Europa e nel Mediterraneo.
In questo nuovo contesto, la posizione dell'Italia diviene particolarmente interessante
per la localizzazione di raffinerie costiere, con la funzione del soddisfacimento del
mercato interno e di quelli internazionali del Nord-Europa e del Nord-America.
L'opportunità viene colta tempestivamente sia dalle compagnie multinazionali, sia
dall'Eni ,sia da operatori italiani non integrati a monte ovvero non detentori di proprie
riserve di greggio.
Il sistema di raffinazione nazionale, concentrato nell'Italia settentrionale, secondo
l'impostazione tecnico-economica che privilegiava la costruzione di impianti vicino ai
punti di maggiore consumo (la Valle Padana), assume un nuovo assetto con la
localizzazione delle nuove raffinerie in siti posizionati lungo le rotte del petrolio che
arriva dal Medio-Oriente.
La quota dell'Italia meridionale e delle isole sul totale della capacità di raffinazione
nazionale (circa 28 milioni di t/anno) - pari al 20 % - sale cosi, nel 1960, a poco meno
del 30 % rispetto ad un totale di 40 milioni di t/anno 42.
Nel corso degli anni '60 la posizione degli idrocarburi si rafforza ulteriormente.
L' espansione del gas naturale continua ad essere basata sulla produzione nazionale che
aumenta progressivamente anche con il contributo dell'Italia meridionale,
raggiungendo , verso la metà degli anni '60, livelli pari ad oltre 1/3 del totale nazionale.
Il settore petrolifero, in un contesto caratterizzato da abbondanza di offerta sul mercato
internazionale e da prezzi calanti, sviluppa sempre più la sua caratteristica di
importatore e di trasformatore di materia prima, intensificando gli investimenti nel
settore della raffinazione; quest'ultima passa dai 40 milioni di t/anno nel 1960 a 113
milioni di t nel 1965 ed a 200 milioni di t nel 1973.
La disponibilità di petrolio e, in particolare, di olio combustibile ha notevoli
implicazioni anche sul settore elettrico, che, dopo aver basato il proprio sviluppo sulla
progressiva valorizzazione del patrimonio idroelettrico, deve affrontare un importante
cambiamento strutturale per far fronte alla crescente domanda .
Nel 1960 la produzione idroelettrica è infatti ancora prevalente (circa 3/4 del totale); la
quota dei prodotti petroliferi è del 15 % e quella del gas naturale del 3 % , mentre i
combustibili solidi, sia di produzione nazionale sia di importazione, hanno un peso del
7 %; una struttura chiaramente destinata a cambiare rapidamente.
Il cambiamento che si profila è di tale rilievo che ,nell'ambito di un disegno
complessivo di politica energetica tendente a garantire il controllo pubblico sulle fonti
di energia, si procede alla riorganizzazione del settore con la sua nazionalizzazione
(1962).
In realtà la nazionalizzazione, che si realizza dopo un lungo dibattito, ha anche un
obiettivo di politica economica: quello di collegare lo sviluppo del settore elettrico a
quello dell'industria italiana e ,in particolare, di quella elettromeccanica, attraverso un
flusso programmato di ordini di centrali di tipo tradizionale e di tipo nucleare, con
positivi effetti di qualificazione dell'intero sistema.
Il nuovo ente pubblico creato nel 1962 (ENEL),dopo aver unificato in un unico
organismo le imprese elettroproduttrici e distributrici ,avvia un ingente programma di
investimenti per la costruzione sia di centrali nucleari sia di centrali termoelettiche .
Nella seconda metà degli anni '60, il disegno di andare avanti nella realizzazione di
una strategia diversificata, che aveva avuto inizio con la realizzazione delle centrali
42 L. Bruni e M. Colitti, La politica petrolifera italiana, SVIMEZ, Giuffre', 1967.
84
nucleari di Trino Vercellese, del Garigliano e di Latina,trova crescenti ostacoli .
Problemi di ordine tecnico, come quello della scelta del tipo di reattore, e di ordine
finanziario portano infatti alla sospensione di fatto del programma di costruzione di
nuove centrali nucleari, con la sola eccezione dell'ordine della centrale di Caorso in
provincia di Piacenza.
La produzione termoelettrica di tipo tradizionale, sul finire degli anni '60,raggiungerà
così la quota del 60,0 % circa sul totale dell'energia prodotta , diventando il perno di
tutto il sistema elettrico; parallelamente, il peso del petrolio sul totale delle fonti
utilizzate per produzione termoelettrica aumenta sino all'80 %.
L'intensa fase di sviluppo economico e l'ampia offerta di idrocarburi liquidi e gassosi
comportano una netta accelerazione dei ritmi di crescita della domanda da parte di tutti
i settori di utilizzo .
La domanda di energia dell'industria passa dai 16 milioni di tep del 1960 ai circa 40
milioni di tep del 1973, in relazione alla qualità del ciclo di sviluppo che interessa in
modo sostanziale anche le attività energy-intensive.
La domanda di prodotti petroliferi aumenta da 7 a 22 milioni di tep, il gas naturale da 3
a 7 milioni di tep, l'energia elettrica da 3 a 7 milioni di tep, i combustibili solidi da
oltre 3 a 4,4 milioni di tep; la quota del petrolio arriva cosi sino al 53 % circa,
mentre quella del carbone scende dal 22 all'11 % circa, dato che gli sviluppi degli usi
tecnologici, collegati alla crescita della siderurgia a ciclo integrale, non compensano il
declino degli usi termici.
La forte crescita dei consumi privati e delle attività terziarie favorisce l'espansione dei
consumi energetici domestici e terziari (per lo più riscaldamento), che, tra il 1960 e il
1973, passano da 9 a quasi 30 milioni di tep.
Le differenti dinamiche di prezzo e la maggiore praticità di uso favoriscono, altresì,
una modifica della struttura per fonti a favore degli idrocarburi: il ruolo del gas passa
da 6 al 16 % circa e quello dei prodotti petroliferi aumenta dal 37 al 67 % circa,
mentre la quota dei solidi scende al 5% rispetto al 47 % degli inizi degli anni '60.
In forte espansione anche la domanda di energia elettrica per usi obbligati
(illuminazione, apparati elettronici, forza motrice, elettrodomestici) e per usi non
obbligati (riscaldamento ambienti e produzione di acqua calda).
Il "boom" della motorizzazione privata e il parallelo sviluppo del trasporto merci interessato da una profonda e progressiva modifica strutturale a favore dei mezzi
gommati - portano ad una eccezionale crescita dei consumi energetici per trasporto:
dai 6,6 milioni di tep del 1960 ai quasi 20 milioni di tep del 1974. Si tratta
dell'incremento settoriale più vistoso, che si collega direttamente al progressivo calo di
investimenti nei mezzi di trasporto più efficienti dal punto di vista energetico, quali i
treni, le navi e le metropolitane 43 44.
7.2.1
Le ripercussioni sugli indirizzi di politica energetica e sulla fisionomia degli
operatori
Gli eventi del 1973 modificano i tradizionali punti di riferimento del sistema energetico
italiano: l'abbondanza e il basso costo delle importazioni di fonti energetiche.
Nasce cosi l'esigenza di individuare nuove linee di politica energetica, in armonia con le
decisioni assunte in sede comunitaria e nell'ambito della Agenzia Internazionale per
l'Energia (AIE), a cui l'Italia aderisce sin dalla costituzione (novembre 1974) 45 46.
43 ENI, Energia ed Idrocarburi: l'industria energetica petrolifera e petrolchimica nel periodo
1955-1965, Roma, 1968.
44 ENI, Energia ed Idrocarburi, Roma, annate varie.
45 U. Colombo, O. Bernardini, R. Galli, W. Mebane, Il rapporto Waes-Italia: le alternative
strategiche per una politica energetica, Franco Angeli, Milano, 1978.
85
Di fronte alla complessità dei problemi e alla necessità di trovare soluzioni di ampio
respiro, in quegli anni viene effettuata una scelta a favore di un metodo di
programmazione inteso come predisposizione di piani di orientamento delle attività
degli operatori pubblici e privati, che si aggiunge al già esistente potere di indirizzo
degli Enti energetici del Paese (il Ministero dell'Industria per l'ENEL e il Ministero
delle Partecipazioni Statali per l'ENI).
Questa scelta si rivelerà, peraltro, scarsamente efficace, in quanto i tempi di
preparazione dei documenti e la discussione in Parlamento saranno, sistematicamente,
molto lunghi e, al momento della conclusiva approvazione da parte del CIPE, molti
elementi qualificanti dei Piani risulteranno superati dagli eventi.
Inoltre, nel sistema istituzionale italiano gli indirizzi di programmazione rappresentano
solo la fase iniziale della complessa procedura da esperire prima della realizzazione
degli interventi operativi. Procedura che assegna un ruolo rilevante alle autorità
locali le quali arrivano ad esercitare in alcuni casi un vero e proprio potere di veto.
Un altro elemento di debolezza della politica energetica italiana è rappresentato dallo
scarso coordinamento tra attività di programmazione, politica dei prezzi e politica
fiscale.
Le metodologie di fissazione dei prezzi energetici, che rimangono caratterizzate da una
serie di controlli, subiscono una evoluzione, nel cui ambito gli obiettivi di lotta
all'inflazione e di conseguimento di elevati livelli di entrate fiscali generano una
struttura di prezzi relativi delle varie fonti insufficienti ad orientare la domanda verso il
risparmio energetico, la salvaguardia dell'ambiente, nonchè l'efficienza nella
produzione e nell'utilizzo dell'energia.
L'esame dei Piani Energetici Nazionali consente comunque di verificare l'evoluzione
della strategia energetica del Paese, da una impostazione basata sostanzialmente sugli
interventi sull'offerta ad approcci via via più complessi.
I Piani Energetici del 1975 47 e del 1977 48 puntano, ad esempio, soprattutto allo
sviluppo di un consistente parco di centrali nucleari, oltre a richiedere lo sviluppo delle
risorse nazionali di fonti di energia, a riconoscere l'importanza del ricorso a
maggiori importazioni di gas, a sollecitare la razionalizzazione del sistema petrolifero,
ad auspicare interventi nel campo della conservazione.
Nel 1979 la rivoluzione iraniana e la guerra Iran-Iraq, con la nuova spirale di aumenti
dei prezzi del petrolio, si ripercuotono sui prezzi dei prodotti, mentre il sistema
fiscale continua a non essere sintonizzato con gli obiettivi di politica energetica. A
questo punto il dibattito si fa sempre più acceso,ma ciò, più che abbreviare, allunga i
tempi di approvazione dei piani che cercano di dare delle risposte alle nuove sfide.
I piani del 1981 49 e del 1986 50 modificano, comunque solo parzialmente, gli
orientamenti dei documenti precedenti: all'impegno per il nucleare si accompagna una
maggiore attenzione per il carbone. Il potenziamento della presenza del gas naturale
attraverso nuovi contratti di importazione; lo sviluppo della produzione nazionale; la
razionalizzazione del sistema petrolifero; il rafforzamento della politica di uso
razionale dell'energia rimangono, invece, pienamente confermati.
Anche per effetto delle incertezze sul piano politico si determinano significative
modifiche relativamente alla tipologia degli operatori presenti sul mercato.
46 Rapporto IEFE, Energia: una transizione difficile, Franco Angeli, Milano, 1983.
47 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Programma Energetico Nazionale, Roma,
1975.
48 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Programma Energetico Nazionale, Roma,
1977.
49 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Piano Energetico Nazionale, Roma, 1981.
50 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Aggiornamento 1985-1987 del Piano
Energetico Nazionale, Roma, 1986.
86
L'approvvigionamento della fonte petrolifera - il cui peso era andato progressivamente
aumentando sino al raggiungimento dei 3/4 del totale - si era andato sviluppando
secondo un modello che vedeva, dal punto di vista quantitativo, la assoluta preminenza
del greggio e, dal punto di vista industriale, la presenza di società integrate
multinazionali, in posizione maggioritaria, dell'impresa di Stato (in circa 1/4 del
mercato) e di alcuni operatori "indipendenti", prevalentemente raffinatori.
La non "coerenza" tra sistema dei prezzi interni (praticamente amministrati) e prezzi
vigenti sul mercato internazionale in un contesto di ridimensionamento ovvero di
riqualificazione dell'assetto delle compagnie multinazionali - che perdono il controllo
di parte della produzione -portano ad una prima modifica dell'assetto del sistema di
approvvigionamento, che vede l' abbandono del mercato italiano da parte di due grandi
gruppi multinazionali in concomitanza con la prima grande crisi .
Parallelamente, in un clima di viva preoccupazione per la disponibilità di greggio,
l'ENI vede assegnarsi il compito -in un certo senso "surrogatorio" - di colmare il
vuoto lasciato dalle multinazionali.
La quota ENI sul mercato petrolifero passa da valori del 15% circa a valori superiori al
30%, con tutti i problemi economici, organizzativi e finanziari di una crescita così
repentina.
Il processo sembra stabilizzarsi dopo il 1975 , ma la crisi del 1979-1980 porta un
nuovo scossone con una ulteriore contrazione della quota di mercato delle società
integrate multinazionali, che scende verso il 35%, mentre l'aumento della quota ENI
sale a poco meno del 40%.
Questo processo assume contorni ancora più netti negli anni successivi che vedono una
ulteriore riduzione della quota delle multinazionali, dell'attestamento di quella ENI sul
38% e l'allargamento della quota coperta da un insieme di operatori di tipo nuovo.
Nello stesso periodo si registra anche un drastico cambiamento nella struttura delle
importazioni petrolifere; per effetto di questo processo, il greggio trattato nelle
raffinerie italiane subisce un netto ridimensionamento, passando da 110 (1979) a 83
(1983) milioni di t, mentre, nello stesso periodo, le importazioni di prodotti balzano da
meno di 7 milioni di t a quasi 16 milioni di t; le esportazioni, per contro, crollano da
quasi 23 milioni di t a meno di 13 milioni di t.
Tutto ciò implica notevoli cambiamenti anche della fisionomia degli operatori: mentre
acquisiscono ulteriore rilievo le figure degli importatori indipendenti e dei
consumatori che importano direttamente prodotti (in primo luogo l'ENEL) , nasce la
figura della compagnia dei paesi produttori che si integra a valle nel paese
consumatore, dove acquisirà una quota di mercato importante.
7.2.2
Le ripercussioni sull'offerta
Gli idrocarburi
Il rilancio degli investimenti nelle aree on-shore e off-shore del Paese si traduce in un
sensibile recupero della produzione di petrolio :i risultati sul piano della riduzione
della dipendenza dall'estero di questa fonte rimangono peraltro marginali .
Per la capacità di raffinazione che ha raggiunto quasi 200 milioni di t/anno, mentre le
lavorazioni complessive di greggio e semilavorati si vanno stabilizzando su valori
inferiori ai 120 milioni di t, si rende necessario un difficile processo di ristrutturazione
sul piano industriale e su quello dell'assetto del settore, dopo l'abbandono del mercato
italiano di alcuni gruppi multinazionali, a partire dalla BP e dalla Royal-Dutch-Shell.
L'industria del gas, che sul piano interno non può che contare sul consolidamento dei
livelli produttivi raggiunti, avvia un importante programma di importazioni dall'Olanda
e dall'URSS, con il quale inizia una fase nuova nel campo dell'approvvigionamento di
tale fonte.
Questo processo si rafforza nel corso degli anni '80 con la stipula, al termine di una
87
complessa trattativa, di un nuovo contratto per l'importazione di 12 miliardi di mc di
gas dall'Algeria.
Con la realizzazione del gasdotto transmediterraneo la scelta a favore del gas naturale
diviene la più importante e, praticamente, l'unica linea sostanziale di diversificazione
del bilancio energetico.
I quantitativi di gas resi disponibili consentono di realizzare una rete integrata (21.722
km di reti principali di trasporto a fine 1985), in grado di alimentare, su tutto il
territorio nazionale, una pluralità di utenti industriali, civili, chimici e termoelettrici.
L'integrazione tra produzione nazionale, importazioni e sistema di stoccaggio
assicurerà una elevata affidabilità al sistema , che è anche in grado di far fronte ad
eventuali interruzioni dei flussi di importazione 51.
Il settore elettrico
Allo scoppiare della prima crisi energetica, il settore elettrico ha ormai sviluppato una
forte dipendenza dai prodotti petroliferi, che viene rimessa in discussione sotto
l'incalzare degli eventi e del timore di pericoli per la continuità degli
approvvigionamenti di olio combustibile, che determinano l'adozione di misure per il
contenimento dei consumi di elettricità.
Esaurita la fase di emergenza viene avviato un riesame critico del sistema di produzione
di energia elettrica
I documenti programmatici elaborati dall'ENEL e i piani energetici si propongono, in
tempi brevi, una maggiore presenza di centrali nucleari e impianti a carbone, ma le
preoccupazioni per l'ambiente, la contestazione delle ipotesi di crescita della domanda
di energia elettrica, la richiesta di soluzioni impiantistiche diverse da quelle
raccomandate, le opposizioni a livello locale diventano ostacoli sempre maggiori alla
realizzazione degli impianti programmati.
In questo contesto, poichè il rischio di deficit di potenza appare più grave di quello
relativo a ritardi nella politica di diversificazione, gli impianti ad olio combustibile, che
dovevano essere progressivamente eliminati dal sistema, continueranno a rimanerne il
perno.
Nel periodo 1974-1980 i consumi delle centrali termoelettriche italiane passano da
15,7 a 29,1 milioni di tep, costituiti essenzialmente da prodotti petroliferi, ma anche nel
periodo successivo sino al 1985 il fabbisogno degli impianti termoelettrici sale sino a
33,3 milioni di tep, di cui 19,3 milioni di tep rappresentati ancora da prodotti
petroliferi.
La costruzione di nuovi impianti alternativi al petrolio si concretizza nell'entrata in
esercizio dell'impianto nucleare di Caorso e nella riconversione a carbone di alcune
centrali.
7.2.3 Le ripercussioni sulla domanda
Non diversamente dalle tendenze che si vanno manifestando in tutti i paesi
industrializzati, anche in Italia il 1974 segna l'inizio di un intenso processo di
modifica dei legami tra energia e attività economica, sia pure con delle notevoli
differenziazioni tra settori 52.
Il tema della conservazione e dell'utilizzo ottimale delle fonti di energia, che nasce nel
1973 - per poi raggiungere un livello più consapevole ed organico negli anni successivi
- porta, infatti, ad un approccio nuovo ai problemi energetici.
51 S. Ascari, Il Metano in Italia, Franco Angeli, Milano, 1985.
52 V. D'Ermo, A. Barsotti, G. Carta, I. Cipolletta, P. Valant, Le modifiche strutturali del sistema
energetico italiano attraverso gli usi finali dell'energia: 1970-1988, in "Energia", n. 4/1989.
88
La cultura allora prevalente era di tipo settoriale e le scelte a favore di una determinata
fonte (petrolio, gas, carbone) risultavano poi difficilmente modificabili.
Questo approccio viene messo in discussione dal nuovo contesto di prezzi dell'energia
,che rimette in discussione i sistemi di trasformazione e utilizzo delle fonti che si
erano andati consolidando nell'epoca del petrolio a basso prezzo.
Lo studio degli usi finali dell'energia, che parte non già dalla disponibilità delle
fonti, ma dalla attenta verifica delle esigenze dei consumatori, è una tipica
espressione del nuovo clima 53 54 55.
Si evidenzia pertanto la relativa indifferenza del ricorso a determinate fonti per
rispondere a certi fabbisogni (calore a bassa, media, alta temperatura), così come per
altri si sottolinea la scarsa sostituibilità (carburanti, usi specifici dell'energia elettrica);
ma anche il ruolo della tecnologia di utilizzo viene enormemente rivalutato con
l'attenzione crescente all'efficienza dei processi, all'utilizzo dei cicli combinati.
Soprattutto due punti dello schema tradizionale di utilizzo dell'energia vengono posti in
discussione: il primo è quello del ruolo della produzione combinata di energia elettrica
e calore, con la proposta di estensione al settore degli usi civili; il secondo - che
peraltro si estende anche al caso precedente - è quello dell'impiego di una pluralità di
fonti, ovvero di un mix di fonti e di tecnologie, per soddisfare le esigenze dell'utenza
(ad esempio riscaldamento). Questo modo nuovo di considerare l'energia va
immediatamente ad urtare con il sistema istituzionale vigente: l'approccio "decentrato"
porta ed apre nuovi e importanti spazi di intervento agli enti locali ed ai privati, una
volta praticamente esclusi da una impostazione della politica energetica,
prevalentemente orientata ai temi dell'approvvigionamento di fonti primarie.
Gli operatori locali sono messi nella condizione di poter gestire una serie di iniziative
che, anche se di portata limitata, possono, sommandosi, avere un impatto non
secondario sul sistema energetico.
Il modello di sviluppo industriale del Paese, che poggiava sulla parallela espansione di
settori di base - ad alta intensità energetica - e di attività manifatturiere - a bassa
intensità energetica - comincia a subire vistose modifiche a favore di queste ultime,
soprattutto a partire dal 1979; d'altra parte, anche il ricorso a nuove tecnologie e a
nuovi processi contribuisce a ridimensionare l'assorbimento energetico per unità di
valore aggiunto.
Anche la composizione delle materie prime è cambiata, lasciando spazio
all'importazione di prodotti semilavorati ed evitando cosi processi di lavorazione,
precedentemente svolti in Italia, che comportavano alti costi, sia energetici che di
produzione. Le industrie maggiormente interessate da questo tipo di modifiche
strutturali sono quelle della chimica primaria e dell'acciaio. Allo stesso tempo, industrie
come quella meccanica e quella della chimica fine, che producono merci ad alto valore
aggiunto, iniziano a registrare le maggiori espansioni.
I processi di ristrutturazione portano altresì l'introduzione di innovazioni tecnologiche,
una maggiore quota di "servizi" all'interno dei vari settori industriali (terziarizzazione),
un maggiore impeto allo sviluppo delle industrie più innovative e, infine, tagli radicali
alla forza lavoro, con conseguenti aumenti di produttività.
In termini di fabbisogno energetico, i processi di ristrutturazione si traducono, in linea
generale, in un minore consumo di combustibili, in un maggiore uso di elettricità per
l'automazione e la razionalizzazione.
53 ENI, Gli usi finali dell'energia in Italia. Metodologie e risultati settoriali, Documento interno,
Roma, 1978.
54 A. Lovins, Soft energy paths: toward a durable peace, Friends of the Earth International, New
York, 1977.
55 ENI, Gli usi finali dell'energia in Italia e le aree di sostituzione e di risparmio, a cura di V.
D'Ermo, A. Barsotti, G. Agrati, Documento interno, Roma, 1981.
89
Alcune conseguenze si sono rivelate più complesse: il trasferimento di alcune attività,
una volta svolte in proprio dall'industria ,al settore dei servizi ha influenzato
positivamente la domanda di energia nei settori terziario e domestico; inoltre, mentre la
centralizzazione produttiva di prodotti semilavorati in impianti ad alta efficienza ha
portato ad una diminuzione del consumo energetico, dall'altro ha comportato un
contemporaneo aumento di quello legato al trasporto dei semilavorati.
Industria
Nel periodo 1974-1985 i consumi di energia dell'industria si sono, nel complesso,
ridotti da 41,6 Mtep a 31,4 Mtep, ma con andamenti diversificati tra le varie fonti. I
consumi di elettricità sono aumentati da 6,9 a 8,0 Mtep, quelli di gas naturale sono
rimasti intorno ad 8 Mtep, quelli di carbone sono aumentati da 4,8 a 6,1 Mtep,
l'utilizzo dei prodotti petroliferi si è invece drasticamente ridotto portando la propria
incidenza da oltre il 50% al 25%.
L'analisi per finalità d'uso indica una forte contrazione degli usi termici ad alta
temperatura, la cui incidenza sul totale è passata dal 60% circa del 1974 a poco più del
50% del 1985.
Al processo di riduzione del fabbisogno energetico,sia in termini assoluti sia in termini
di consumo per unità di prodotto , ha contribuito inizialmente una serie di interventi per
la eliminazione degli sprechi, effettuati sotto la spinta dei rincari dei prezzi dell'energia.
In un secondo tempo, a partire dal 1983-1984, hanno cominciato ad avere qualche
effetto gli incentivi governativi specificatamente indirizzati al risparmio energetico.
La legge n. 308 del 1982, che può considerarsi come la più importante iniziativa
governativa in materia di quel periodo, malgrado abbia incontrato ritardi e difficoltà
nell'applicazione, ha trovato un proficuo campo di applicazione soprattutto nel settore
produttivo, dove ha facilitato ed accelerato numerosi interventi di razionalizzazione.
Le due più importanti tipologie di intervento sono state quelle finalizzate al recupero di
calore e a modifiche di processo, che hanno interessato i principali settori industriali: il
chimico, il petrolchimico, la siderurgia, il vetrario, la ceramica ed i laterizi, il cartario. I
settori per i quali si sono avuti i maggiori risultati sono il chimico, il petrolchimico e
la siderurgia, con tempi di ritorno degli investimenti in conservazione particolarmente
favorevoli .
È stato valutato che il complesso degli interventi incentivati, nell'ipotesi di un pieno
rispetto dei parametri di efficienza previsti in sede di progetto, abbia comportato un
risparmio complessivo annuale dell'ordine di 4-5 Mtep.
Pur nella diversità degli andamenti tra i vari comparti si rileva una tendenza
generalizzata alla diminuzione degli impieghi di combustibili, mentre diverso appare il
profilo della domanda di energia elettrica,le cui tariffe hanno presentato aumenti molto
più contenuti dei prezzi dei combustibili; i consumi elettrici hanno presentato
dinamiche inferiori a quelle della produzione industriale in due soli settori: il settore
chimico (all'interno del quale si è verificata una drastica modifica di struttura a favore
dei settori a più alto valore aggiunto e meno energy intensive) e il settore cartario (che
è ricorso in misura sempre maggiore a importazioni di carta e pasta di carta). Nei
rimanenti settori la dinamica dei consumi elettrici è stata costantemente superiore a
quella dell'indice della produzione industriale, per esigenze di produttività, di
miglioramento della qualità dei prodotti ed, infine, di alimentazione degli impianti di
depurazione delle acque e degli effluenti gassosi .
L'andamento dei consumi energetici dell'industria italiana e le modifiche del mix delle
fonti utilizzate riflettono molto da vicino il profondo processo di ristrutturazione esterna
ed interna che ha portato ad una capacità produttiva notevolmente modificata e
razionalizzata: mentre, all'inizio degli anni '70, gli investimenti in ampliamento
rappresentavano oltre il 60% del totale, nel corso della prima metà degli anni '80 essi si
sono ridotti a meno del 30%. Come conseguenza, la crescita della capacità produttiva,
90
che era del 4,6% all'anno nella prima metà degli anni '70, si è portata al 2,2% nella
seconda metà ed all'1,5% nella prima metà degli anni '80 . I settori che hanno registrato
maggiori espansioni sono stati l'alimentare, le industrie di trasformazione e le
meccaniche, mentre, proprio nei settori a più alta intensità energetica, si sono verificate
le più consistenti contrazioni (metallurgia, derivati del petrolio e della chimica). Quale
risultato delle ristrutturazioni è notevolmente risalito il grado di utilizzazione degli
impianti industriali, dopo aver toccato un minimo del 71% nel 1983.
Il settore residenziale e terziario
I consumi energetici degli usi civili,che comprendono il settore residenziale e quello
terziario, hanno registrato,sempre tra il 1974 ed il 1985, un aumento complessivo di
circa 4 milioni di tep, determinato, da un lato, da una contenuta dinamica degli
impieghi energetici del settore residenziale e, dall'altro, da una più sostenuta crescita
della domanda da parte del settore terziario. L’intensità energetica del settore, partire
dal 1973, risulta in diminuzione relativamente agli impieghi di combustibili mentre
quella relativa all’elettricità è in aumento sino agli inizi degli anni ’90.
Il settore residenziale
Nonostante l'aumento delle abitazioni riscaldate (circa quattro milioni a partire dal
1974) e i profondi mutamenti nelle strutture abitative e nelle apparecchiature di
utilizzo, che avrebbero potuto comportare un sensibile aumento dei consumi energetici,
questi ultimi sono aumentati di poco più di 1 Mtep, passando da 14 a 17,5 Mtep.
Nel nuovo contesto di prezzi e di fronte alla necessità di ricorrere a soluzioni più
economiche e flessibili, la quota delle abitazioni dotate di impianti autonomi registra un
grande sviluppo, passando dall'11% al 40% del parco abitativo, con un importante
contributo alla razionalizzazione del sistema, mentre la quota delle abitazioni dotate di
impianti centralizzati, dopo aver raggiunto la massima penetrazione a metà degli anni
'70, tende a stabilizzarsi.
Per contro, la percentuale delle abitazioni riscaldate con mezzi precari che, agli inizi
degli anni '70, superava ancora il 70%, è andata scendendo a poco più del 30%.
La contenuta dinamica dei consumi energetici per riscaldamento domestico, che
costituiscono l'uso energetico preponderante del settore residenziale con oltre i 2/3 del
fabbisogno complessivo, si spiega con il fatto che essi possono reagire in misura più
marcata di altri impieghi alle variazioni del prezzo dell'energia, hanno cioè una più
elevata elasticità di prezzo rispetto ad altri impieghi .
Nel breve termine, gli utenti si sono adattati ad un uso più oculato e attento, anche a
scapito del comfort, di fronte alla crescita dei prezzi e della fattura del riscaldamento.
Tale fenomeno è stato inoltre assecondato dalle normative che hanno disciplinato
questo uso, con la riduzione dei periodi di accensione degli impianti di riscaldamento e
la fissazione dei limiti di temperatura degli ambienti. Successivamente hanno
cominciato ad avere effetto gli interventi di coibentazione delle case e il miglioramento
dell'efficienza degli impianti, sostenuti anche dalla concessione di incentivi.
Nell'ambito dei combustibili si è verificato, inoltre, un notevole processo di sostituzione
dei prodotti petroliferi a favore del gas naturale: l'utilizzo, su scala sempre più ampia,
di questa fonte in impianti individuali per il riscaldamento e nella produzione di acqua
calda per usi sanitari ha costituito un importante strumento per la razionalizzazione
degli impieghi. La diffusione degli impianti mono familiari ha stimolato l'economia di
esercizio, incentivando un più adeguato uso del riscaldamento alle effettive necessità.
La forte diffusione e la crescente intensità di impiego degli elettrodomestici hanno
determinato una crescita della domanda di elettricità ad essi associata da 27 miliardi
di kWh nel 1974 a 43 miliardi di kWh nel 1985.
I consumi per applicazione sono aumentati - in presenza di un incremento degli utenti
91
pari al 36% - di oltre il 200% per le lavastoviglie, del 160% per gli scaldacqua, del
120% per le lavabiancheria e del 135% per l'illuminazione ed altri usi; inoltre, hanno
raggiunto livelli di consumo di tutto rilievo applicazioni che nel 1970 non erano affatto
presenti sul mercato, quali la televisione a colori, i congelatori, gli asciuga biancheria,
etc.
Sempre relativamente al settore residenziale , a fronte di un incremento degli usi
elettrici obbligati di circa il 170% (da 0,9 a 2,4 Mtep), si è registrato anche un aumento
del 140% degli usi non obbligati; questi ultimi sono essenzialmente costituiti dalla
produzione di acqua calda per usi sanitari, la quale, peraltro, ha mostrato una
progressiva perdita di velocità, secondo una linea di razionalizzazione molto
promettente.
Gli usi di climatizzazione sono stati invece caratterizzati da una dinamica molto
contenuta, con una crescita complessiva di appena il 20% dall'inizio degli anni '70, in
quanto questa applicazione ha continuato a fare perno su apparecchi individuali
utilizzati solo per periodi molto limitati, mentre la climatizzazione di interi edifici ad
uso esclusivamente residenziale è rimasta circoscritta.
Gli usi di cucina, infine, sono rimasti praticamente stazionari per la decelerazione della
crescita della popolazione e i mutamenti nelle abitudini alimentari.
Il settore terziario
La rilevante crescita degli occupati e l'altrettanto forte aumento delle superfici dedicate
alle attività terziarie hanno guidato il netto aumento degli impieghi energetici di questo
settore , dove si è anche verificato un notevole processo di sostituzione dei prodotti
petroliferi da parte del gas naturale .
La dinamica dei consumi per riscaldamento ambienti, pari ad oltre due terzi del
consumo complessivo, ha presentato fino al 1980 un profilo nettamente in crescita,
solo parzialmente moderato dalla riduzione, tra l'altro non generalizzata , dei consumi
unitari.
L'effetto prezzo ha certamente giocato un ruolo meno accentuato di quello registrato nel
settore domestico; la possibilità di ripercuotere gli aumenti dei costi dell'energia sui
prezzi dei servizi venduti ha reso meno pressanti ,almeno in una prima fase , le
esigenze di razionalizzazione energetica. A partire dal 1980 , tuttavia, con il prevalere
degli interventi strutturali rispetto a quelli comportamentali, si è registrata una tendenza
al contenimento della crescita dei consumi energetici.
La ininterrotta crescita della domanda di energia elettrica per usi elettrici obbligati e,
per alcune applicazioni, di quella per usi non obbligati (usi termici a bassa temperatura)
è stata la seconda nota caratteristica dello sviluppo degli impieghi energetici del
terziario.
La riqualificazione del settore, l'introduzione di nuove apparecchiature elettriche,
l'affermazione dell'informatica e dei sistemi di comunicazione sono stati all'origine di
questo processo.
La crescita dei consumi di energia elettrica per condizionamento ambienti,che
costituiscono una frazione molto piccola (5% circa) dei consumi del settore, è stata
anch'essa molto sensibile, anche se, parallelamente, si è andata delineando una
trasformazione strutturale a favore degli impianti di climatizzazione.
In sensibile crescita anche gli impieghi energetici per usi di cottura di ristoranti,mense,
impianti di ristorazione che, in relazione ai mutamenti dello stile di vita , sono andati
assumendo un sempre maggior ruolo .
Il settore trasporti
Nel periodo 1974-1985, la mobilità di persone e di merci, in termini, rispettivamente,
92
di passeggeri-kilometro e di tonnellate-kilometro, è continuata ad aumentare a tassi
sostenuti, con l'eccezione del 1974, per effetto di interventi limitativi della circolazione
delle auto, e del 1975, per la sensibile riduzione del trasporto merci indotta dalla
recessione di quell'anno.
La quota di mobilità assicurata dalle autovetture è risultata in continuo aumento
.Nell’ambito della quota di mobilità fornita dai mezzi di trasporto collettivo,
complessivamente in diminuzione, il peso degli aerei e degli autobus extraurbani è in
sensibile aumento a scapito di ferrovie e autobus urbani.
Nello stesso tempo anche la quota di mobilità delle merci assicurata dai mezzi su
strada, che sono anche quelli a maggior consumo energetico, è andata aumentando
continuamente, a fronte di una riduzione di quella fornita dalle ferrovie e dalle navi
(diminuite tra il 1974 e il 1985, rispettivamente, dal 17% al 9% e dal 23% al 15% ),che
non riescono a mantenere il passo con le nuove esigenze del traporto sia in termini di
costi che di flessibilità.
In questo contesto la domanda di energia del settore - costituita quasi totalmente da
carburanti (98,4% del totale )e da una quota assai limitata di usi elettrici (1,6%), risente in misura molto ridotta delle due crisi energetiche; superati i momenti più acuti
delle stesse , in concomitanza dei quali si sono registrati dei periodi di stasi dei
consumi (1973-1976 e 1979-1981), la domanda di energia del settore ha continuato a
manifestare una chiara tendenza alla crescita.
I guadagni di efficienza, conseguiti con l'introduzione di nuovi modelli di autovetture
"energy-saving", che nascono sotto la spinta dell'aumento dei prezzi dei prodotti per
trazione, compensano solo in minima parte l'effetto della modifica della struttura del
sistema di trasporto a favore delle auto, con un consumo di energia per passeggero
trasportato comunque più elevato di quello relativo agli altri mezzi .
Dal punto di vista dei carburanti, l'enorme differenza tra gli oneri fiscali che gravano sul
prezzo al consumo della benzina e su quello del gasolio - anche tenendo conto della
sovrattassa che grava solo sulle auto diesel - opera una rilevante distorsione a favore
di questo ultimo prodotto, caratterizzato da una dinamica di prezzi all'utente finale di
gran lunga inferiore a quella della benzina.
I vantaggi energetici del motore diesel vengono così bilanciati dallo sviluppo del parco
e dalla elevata percorrenza delle vetture alimentate a gasolio che, sia pure in
riduzione,si mantiene su livelli compresi tra i 35.000 ed i 25.00 km/anno.
Analogamente, nel caso delle auto a benzina, l'effetto della riduzione della percorrenza
dai 12.000 km/anno a valori compresi tra i 9-10.000 km/anno viene ampiamente
compensato dallo sviluppo del parco .
7.3. Il periodo 1986-1995
7.3.1 Verso nuovi indirizzi di politica energetica
Nell'anno (1986), in cui le quotazioni internazionali del petrolio subiscono un tracollo e
scendono al di sotto della soglia dei 14 $/barile, l'Italia è impegnata nell'approvazione di
un piano energetico che ipotizza ancora uno scenario di scarsità e di difficoltà di
approvvigionamento .
Questi indirizzi, approvati dal CIPE il 20 marzo 1986, sono rimessi in discussione
anche a seguito del drammatico incidente nella centrale di Chernobyl in Ucraina
dell'aprile 1986, che suscita enorme apprensione in tutta Europa.
Il dibattito, che culminerà nella Conferenza Nazionale per l'Energia del febbraio 1987,
si allarga dai temi della economicità delle scelte delle filiere energetiche, alla
problematica ambientale, notevolmente trascurata nei decenni precedenti quando
minore era l'allarme sociale per i problemi dell'inquinamento delle acque, dei suoli e
dell'aria.
La Conferenza dovrebbe fare chiarezza sulle implicazioni, dal punto di vista
93
economico, tecnico, istituzionale e ambientale, delle linee di politica energetica
perseguibili dal Paese.
Per realizzare questo obiettivo viene inviato un questionario agli operatori energetici,
pubblici e privati, alle principali istituzioni scientifiche e alle rappresentanze delle forze
economiche e sociali.
Il non facile compito di analisi delle risposte viene affidato alle tre Commissioni (una
per gli aspetti tecnico-economici, una per quelli ambientali ed una per quelli
istituzionali) incaricate di predisporre le tre relazioni di base sulle quali si svilupperà la
Conferenza.
Quest'ultima , attraverso l'ampia partecipazione di esperti nazionali e internazionali,
fornisce,secondo le aspettative, un panorama molto ampio e aggiornato di tutte le
implicazioni economiche e ambientali dell'utilizzo delle fonti di energia 56.
Il problema di fondo delle scelte da effettuare rimane, però, aperto, anche perchè le
relazioni conclusive della Conferenza non danno - nè potevano dare - risposte univoche
sulla migliore combinazione di economicità, ridotto impatto ambientale, sicurezza.
La impossibilità di trovare un punto di incontro tra le forze politiche della maggioranza
porteranno, insieme ad altri fattori, alla caduta (aprile 1987) del Governo che aveva
convocato la Conferenza e alle elezioni anticipate.
Il nuovo Governo, prima di prendere decisioni, accelera i tempi per lo svolgimento
(novembre 1987) dei referendum abrogativi della normativa che doveva facilitare la
localizzazione degli impianti nucleari e di quelli del carbone.
Il risultato dei referendum è decisamente a favore dell'abrogazione e, anche alla luce
del dibattito che ha preceduto la consultazione, viene interpretato come una netta e
definitiva presa di posizione non solo contro la realizzazione di nuovi impianti nucleari
in Italia, ma anche contro l'utilizzo degli impianti esistenti.
Il Governo affida, a questo punto, il compito della preparazione di un nuovo Piano
Energetico al ricostituito Comitato Tecnico per l'Energia.
Nel mese di agosto del 1988 il Consiglio dei Ministri approva il nuovo Piano
Energetico Nazionale (PEN), al quale hanno lavorato il Comitato Tecnico per l'Energia
ed esperti ministeriali e degli Enti energetici per circa 8 mesi 57.
Il Piano presenta alcune caratteristiche innovative soprattutto relativmente all’ambiente
"Lo sviluppo dell'energia e la tutela dell'ambiente vanno considerati simultaneamente
sia per quanto riguarda la definizione degli obiettivi specifici sia relativamente alla
individuazione delle linee di intervento cercando cosi di evitare o ridurre il danno
prima che si manifesti, con risparmio di costi ambientali e monetari, oltre che a
risanare l'esistente" 58.
Un altro importante elemento di novità è costituito dall'attenzione alla parte attuativa,
molto trascurata dai piani precedenti.
Per superare le negative esperienze del passato caratterizzate dall'emanazione di
provvedimenti legislativi e amministrativi non organicamente raccordati ai documenti
di programmazione, vengono elaborati dei disegni di legge che riguardano gli aspetti
istituzionali, l'industria degli idrocarburi, l'industria elettrica con particolare riferimento
all'autoproduzione.
L'obiettivo è quello di modificare la normativa che regola il funzionamento dei grandi
comparti di attività sulla base di criteri di maggiore efficienza e di adeguamento alla
normativa europea.
Mentre l’iter di approvazione della nuova legislazione procede con difficoltà,
l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq fa temere l'insorgere di una terza crisi
56 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Conferenza Nazionale sull'Energia, voll.
1-5, Roma, 1988.
57 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Piano Energetico Nazionale, Roma, 1988.
58 Paragrafo 35 del Piano.
94
energetica,ma in questa occasione la posizione dei paesi consumatori,tra cui l'Italia, è
garantita da ingenti stoccaggi di greggio e prodotti , da meccanismi di emergenza pronti
ad entrare in vigore e da un atteggiamento dei paesi produttori attenti a garantire il
soddisfacimento della domanda e non già a cogliere vantaggi di breve periodo
(v.capIII).
Questo contesto, comunque di emergenza, facilita la definitiva approvazione della
normativa di attuazione del Pen del 1988.
La pubblicazione delle leggi 9 gennaio 1991, n.9 e 10 gennaio 1991, n.10 rappresenta
così un notevole passo avanti dopo una lunga fase di incertezza per la pubblica
amministrazione e per gli operatori .
La legge n.9 riguarda prevalentemente l’offerta mentre la legge n.10 dispone in materia
di: uso razionale dell'energia, risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili.
Un aspetto innovativo delle leggi 9 e 10 è anche costituito dalla assegnazione di una
serie di compiti alle regioni che vanno dalla emanazione di norme attuative, alla
attività di programmazione, alla concessione ed erogazione di contributi, alla
informazione - formazione, alla diagnosi energetica, agli interventi diretti con la
partecipazione a consorzi e società per realizzare interventi o impianti .
Relativamente al rilancio dell'autoproduzione di energia elettrica, dopo l'emanazione
della Delibera del Cipe del 26 novembre 1991 sul coordinamento degli strumenti
pubblici in materia di risparmio energetico e utilizzo delle fonti rinnovabili e di altri atti
amministrativi, viene anche messo a punto un provvedimento del Cip del 29 aprile 1992
che fissa i prezzi di cessione dell'energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili o
assimilabili.
Si tratta di un importante passo avanti in vista della piena operatività, che richiede
ancora la definizione della convenzione tipo con l'Enel (art.22) e l'emanazione delle
direttive di cui all'art. 22.
Anche la pubblicazione della legge n.10 è seguita da una serie complessa di
adempimenti attuativi tra cui quelli relativi alla ripartizione dei fondi destinati agli
incentivi. Il progressivo accentuarsi della politica di contenimento della spesa pubblica
ha però rinviato nel tempo la effettiva erogazione dei fondi previsti, circa 1850 miliardi.
Contestualmente alla approvazione delle leggi 9 e 10, è continuata la fase di transizione
dal vecchio assetto dirigistico che permeava tutti gli aspetti del settore energetico verso
un nuovo sistema più aperto alle regole di mercato, con particolare riferimento alla
creazione di un mercato dell'energia con caratteristiche simili a quelle vigenti negli
altri paesi europei ,pur tenendo conto delle specificità della realtà italiana .
Il dibattito e le iniziative per la creazione di un nuovo sistema aperto alle regole di
mercato ed alla partecipazione del capitale privato nelle imprese energetiche pubbliche
sono stati numerosi ed hanno riguardato sia il settore degli idrocarburi sia quello
elettrico.
Con particolare riferimento agli idrocarburi, oltre alla abolizione del regime di esclusiva
di cui l'Eni godeva nella Valle Padana, nel novembre 1995 una prima parte del capitale
dell'ENI (circa 15%) è stata collocata sul mercato.
Per il settore elettrico le proposte di privatizzazione sono state numerose e differenziate
sino alla ipotesi di una completa disarticolazione del sistema esistente, con la
liberalizzazione della produzione e della distribuzione secondo il modello adottato nel
Regno Unito.
A tutto il 1995 non è ancora emerso un orientamento definitivo anche in relazione alla
complessità del problema ed alla necessità di salvaguardare una serie di interessi
strategici .È però stata approvata, quale premessa al riassetto del settore, la Autorità per
l'energia elettrica ed il gas, con la missione, tra l'altro, di riorganizzare il sistema
tariffario anche in vista dell'apertura del mercato .
A fianco del tema della liberalizzazione del mercato energetico, quello dell'ambiente è
stato uno degli elementi di maggior rilievo della politica energetica degli anni '90, sino
a condizionare gran parte delle scelte di investimento.
95
In questo scenario i compiti dell'amministrazione centrale e degli enti locali si vanno
rapidamente modificando .
Per la prima, si vanno accentuando le funzioni di indirizzo generale, di collegamento
con gli organismi internazionali e sovranazionali, di promozione della ricerca
scientifica e di promozione della innovazione; per i secondi, il ruolo di organo delegato
alla attuazione di indirizzi decisi centralmente e di distributore di incentivi per
iniziative a livello locale sta evolvendo a favore di una funzione più articolata di
individuazione e di promozione delle sinergie tra settore energetico, sviluppo,
salvaguardia dell'ambiente e del territorio, superando le troppo frequenti
contrapposizioni.
In questo schema, le esigenze della utenza finale con tutte le sue caratteristiche
qualitative diventeranno il punto di riferimento per le scelte energetiche che non
potranno non vedere più attivamente e responsabilmente coinvolte le popolazioni e
gli operatori economici locali, anche in un ottica di allargamento dei servizi offerti
dagli operatori energetici .
7.3.2 Gli sviluppi della domanda e dell'offerta
L'evoluzione del sistema energetico italiano dopo il 1986 si sviluppa,come già
richiamato, in un contesto profondamente diverso da quello degli anni delle crisi :da un
lato i prezzi dell'energia importata iniziano una fase di forti diminuzioni ,con la breve
parentesi della crisi del Golfo , dall'altro la tematica ambientale tende ad acquisire un
ruolo sempre più importante nelle scelte energetiche .
La domanda aggregata di energia è passata tra il 1986 ed il 1995 da 147,3 a 172,2
milioni di tep, con un aumento m.a. dell' 1,7% a fronte di un aumento del Pil ad un
tasso dell'1,9%.
Nello stesso periodo l'intensità energetica,calcolata con riferimento al PIL espresso il
lire costanti 1990, è scesa da 0,127 a 0,124 tep per milione di Pil, con una riduzione
molto meno accentuata di quella che aveva contraddistinto il periodo precedente .
Il contributo della produzione nazionale al soddisfacimento della domanda globale di
energia è rimasto stazionario intorno ad 1/5 ;in tal modo il valore della dipendenza
dall'estero, circa 4/5, è rimasto tra i più elevati tra i paesi industrializzati.
Il riferimento alla forte dipendenza dall'esterno non deve però essere disgiunto da una
valutazione comparata dell'efficienza del sistema, a partire dagli indicatori più aggregati
e da un esame delle alternative effettivamente disponibili sul piano tecnico ed
economico, per gestire in modo attivo una dipendenza che è comunque destinata a
rimanere elevata. Ad un forte grado di dipendenza, poco modificabile, corrispondono
comunque diversi livelli di vulnerabilità del sistema in funzione di scelte (flessibilità del
sistema, stoccaggi, caratteristiche degli operatori e loro dimensione, etc.) che devono
essere altresì considerate .
Ad esempio, la riduzione dell'intensità energetica ed il favorevole andamento delle
quotazioni delle fonti importate hanno consentito di riportare a dimensioni più
compatibili con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti il valore del rapporto tra
fattura energetica e prodotto interno lordo .
Negli ultimi anni la velocità di questo processo si è però andata riducendo, come risulta
dagli andamenti settoriali, e ciò potrebbe costituire un elemento di debolezza del
sistema in prospettiva.
I consumi energetici dell'industria sono stati caratterizzati da un aumento, anche se
contenuto, per la tenuta di alcune produzioni energy-intensive, dopo la pesante
ristrutturazione del periodo precedente, e, molto probabilmente, per la difficoltà a
realizzare ancor più decisivi interventi per l’uso razionale dell'energia in un contesto di
prezzi che, in termini reali sono rimasti notevolmente al di sotto dei livelli massimi del
1982.
Relativamente alle fonti utilizzate, il gas naturale ha continuato a rafforzare la sua
96
presenza attraverso la sostituzione dell'olio combustibile, sotto la spinta della normativa
di tutela dell'ambiente, sino a diventare la fonte più utilizzata dall'apparato industriale
relativamente ai combustibili.
I consumi energetici del settore trasporti, favoriti dalla crescita dei consumi privati e
delle attività produttive, hanno registrato un nuovo sensibile incremento. D'altra parte,
nessun fatto significativo è intervenuto per modificare l'ulteriore consolidamento di
un sistema che rimane saldamente imperniato sui vettori a maggiore consumo
energetico (vetture private ed autocarri); la crescita dell'offerta da parte delle ferrovie,
delle metropolitane e dei mezzi pubblici ha continuato ad essere ostacolata da mancanza
di investimenti e da difficili situazioni gestionali delle società e degli enti concessionari
ed anche dalla scarsa consapevolezza del peso del settore trasporti nella determinazione
della domanda di energia.
In aumento ,anche se moderato , sono risultati gli impieghi energetici degli usi civili,
sostenuti in particolare dalla domanda di elettricità che ha continuato ad essere
particolarmente sostenuta nel settore terziario.
In relazione al rafforzamento del processo di conversione a gas degli impianti alimentati
con gasolio o altri combustibili e di acquisizione di nuove utenze, la quota del gas
naturale sul totale delle fonti utilizzate si è portata a quasi il 50%, mentre è in netta
riduzione quella dei prodotti petroliferi.
Bilancio dell'energia in Italia
(milioni di tep)
1986
Disponibilità e
Impieghi
Solidi
Produzione
Gas
1995
Petrolio
Energia
Elettrica
Totale Solidi
Fonti
Petrolio Rinno
vabili
Gas
0,4
Energia
Elettr.
Totale
9,5
33,0
1,3
12,9
2,6
12,0
28,8
1,4
16,5
5,2
Importazioni )
14,2
16,6
99,9
5,2
135,9
13,3
28,6
106,6
8,1
156,7
Esportazioni (
0,1
0,1
16,8
0,4
17,4
0,1
0,0
16,8
0,3
17,2
Var. Scorte )
0,1
0,5
-0,7
-
-0,1
0,8
0,2
-0,6
-
0,4
15,3
28,9
86,4
16,7
147,3
13,8
44,8
95,7
17,4
172,2
Trasformazione in
en. elettrica
7,1
5,5
16,6
29,2
6,4
9,4
25,4
Consumi e perdite
del settore energetico
1,9
0,2
6,6
30,5
39,2
1,2
0,5
6,4
0,1
38,1
46,3
6,3
23,2
63,2
15,4
108,1
6,2
35,0
63,9
0,3
20,5
125,9
0,1
10,3
36,9
0,5
38,7
9,3
36,6
3,3
TOTALE disponibilità
per il consumo
interno
Totale impieghi
finali
di cui:
- Industria
5,1
- Trasporti
- Usi civili
0,9
9,0
9,7
8,2
32,0
5,0
14,9
6,7
0,2
28,5
0,4
29,1
-
0,2
37,9
12,0
13,6
6,5
33,0
1,1
18,8
7,3
0,4
41,2
0,2
- Agricoltura e
Pesca
- Usi non energ.
- Bunkeraggi
-
..
2,2
0,3
2,5
-
0,1
2,8
0,4
0,3
2,0
5,5
-
7,8
0,2
1,0
6,8
-
7,9
..
-
3,7
-
3,7
-
-
2,4
-
2,4
Fonte: Elaborazioni su Bilancio Energetico Nazionale del Ministero dell'Industria.
97
Relativamente all'offerta, gli elementi di maggior rilievo sono stati la ulteriore
espansione del sistema gas, la ristrutturazione del settore petrolifero,con particolare
riferimento alla raffinazione, e,infine, il ridimensionamento del settore del carbone in
contrasto con le aspettative e le indicazioni del Pen .
Sul piano interno la già modesta produzione di combustibili solidi è rimasta stazionaria
anche per la minore disponibilità di lignite, i cui giacimenti sono in via di esaurimento;
l'avvio della produzione del carbone del Sulcis - programmata nel periodo di più forti
aumenti dei prezzi del greggio - ha trovato ostacoli crescenti nella mancanza di
competitività rispetto al carbone di importazione ed ai combustibili alternativi.
Quanto al carbone di importazione, le fortissime opposizioni locali hanno ostacolato
sia il suo impiego negli impianti già attrezzati, sia la costruzione di nuovi impianti
“dedicati” e quindi dotati di tutti i dispositivi atti a minimizzarne l'impatto ambientale .
La produzione di greggio si è avvicinata ai 5 milioni di tep, pur in presenza di una
serie di problemi tecnici che hanno limitato l'apporto del giacimento Vega localizzato
nell'off-shore della Sicilia .
La parte preponderante dell'approvvigionamento di greggio ha continuato a provenire
dalle aree tradizionali : il Golfo Persico, con circa 1/3 del totale, l'Africa, con circa 1/2
e, con quote minori,il Mare del Nord e il Mar Nero, dove viene imbarcato il greggio
prodotto in Russia .
La produzione di gas naturale, la più consistente risorsa energetica nazionale, ha
continuato a svolgere un ruolo di primo piano superando i 16 milioni di tep,che
costituiscono il massimo storico di questa fonte.
L'approvvigionamento dall'estero è rimasto imperniato su tre grandi poli: l'Algeria
che ha raggiunto i 14 miliardi di mc, la ex-URSS che ha aumentato il suo apporto sino
a 14 miliardi di mc e, infine, l'Olanda con 5 miliardi di mc.
L'apporto dell'energia idrogeoelettrica è rimasto sostanzialmente stabile, mentre alcune
troppo ottimistiche aspettative di un rapido sviluppo delle fonti rinnovabili, anche nel
settore della produzione elettrica, sono rimaste deluse per problemi tecnici ed
economici che hanno suggerito di consolidare le tecnologie attraverso la realizzazione
di una serie di impianti pilota .
Il settore termoelettrico, anche in questo periodo, ha potuto attuare solo parzialmente gli
ambiziosi programmi di diversificazione : le forti opposizioni all'uso del carbone
hanno, come sopra richiamato, fortemente limitato il ricorso a questa fonte; l'unica via
praticabile si è rivelata quella del gas naturale, con il vantaggio di poter fare un
crescente affidamento sugli impianti a ciclo combinato ad alta efficienza energetica. In
questa situazione di scelte limitate, il ruolo dei prodotti petroliferi è rimasto di grande
rilievo e anche quello delle importazioni di elettricità si è addirittura consolidato.
Confrontando l'insieme degli sviluppi relativi alla domanda ed all'offerta negli ultimi
anni con il percorso che era stato ipotizzato dal Piano del 1988, emerge ancora una
volta la difficoltà di indirizzare entro limiti precisi un sistema estremamente complesso
come quello energetico, dove tra l'altro la componente internazionale è assolutamente
prevalente, mentre sembra confermata la necessità di disporre di strumenti flessibili, sia
sul piano amministrativo sia su quello aziendale, capaci di un costante adeguamento
alla realtà di mercato, sia pure nell'ambito del perseguimento di alcuni indirizzi di fondo
quali la sicurezza, l'economicità e il rispetto dell'ambiente.
7.4 I prezzi dell'energia: dal controllo al mercato
All'apertura verso i mercati internazionali nel campo degli approvvigionamenti di
materie prime energetiche , avviata sin dagli anni '50 ,ha corrisposto un atteggiamento
di tipo nettamente dirigistico in materia di formazione dei prezzi interni .
La transizione del regime dei prezzi dei prodotti petroliferi, del gas naturale e
dell'elettricità, soggetti al controllo pubblico dalla metà degli anni '40 (D.L. Lgt, 19
ottobre 1944 e successive disposizioni legislative riguardante l'istituzione del Comitato
98
Interministeriale Prezzi) verso un assetto più aperto al mercato, è stata molto lunga .
Oltre che dal regime amministrato, il sistema è stato anche caratterizzato da una forte
fiscalità che ha reso i prezzi italiani dell'energia all'utente finale mediamente più elevati
di quelli riscontrabili negli altri paesi, sia pure con delle forti differenziazioni per
prodotto e settore .
7.4.1 I prezzi dei prodotti petroliferi
Dopo il 1973, il sistema di fissazione dei prezzi (al netto della fiscalità) dei prodotti
petroliferi sul mercato interno, da parte del Comitato Interministeriale Prezzi, che si
basava sul riconoscimento dei costi sopportati dall'industria nella fasi di
approvvigionamento e distribuzione, entra in crisi .
Il sistema chiuso e sostanzialmente protezionistico, in vigore da oltre venti anni, si
rivela ,infatti, inadeguato a riflettere i cambiamenti intervenuti sul mercato
internazionale, dove si registra una fortissima variabilità dei prezzi delle materie prime;
esso, secondo i documenti di politica economica ed energetica dell'epoca, dovrebbe
gradualmente evolvere verso una maggiore liberalizzazione (Delibera del CIPE del 26
aprile 1974 per la riorganizzazione del settore petrolifero e del 23 dicembre 1975 per
l'approvazione del Piano Energetico Nazionale), ma il passaggio ad un sistema libero
trova una serie di ostacoli e resistenze che vanno dalle difficoltà da parte della pubblica
amministrazione a procedere alla liberalizzazione delle attività collegate direttamente e
indirettamente alla vendita dei prodotti petroliferi (sistema di distribuzione, licenze per
la vendita di altre merci, orari di vendita, impianti "self-service"), alle incertezze degli
operatori a passare ad un regime di aperta concorrenza. In realtà, il regime amministrato
non esclude la possibilità di praticare prezzi inferiori a quelli massimi ufficiali anche
per i prodotti venduti in rete. Gli operatori, di fronte ad un prezzo che infatti costituisce
un riferimento consolidato ed "accettato" dal consumatore sono restii ad intraprendere
azioni concorrenziali e di incerta efficacia sulle quote di mercato.
D'altra parte, il controllo pubblico dei prezzi delle fonti energetiche viene considerato
un utile strumento per il controllo dell'inflazione che subisce una forte impennata a
seguito della prima crisi energetica.
Una parziale modifica del metodo viene così avviata solo nel 1977 con l'adozione della
Delibera CIPE del 3 agosto 1977 per il passaggio a prezzi sorvegliati di alcuni prodotti
e della Delibera CIP del 28 ottobre 1977 per il regime di controllo dei prezzi dei
prodotti petroliferi. La nuova normativa comporta l'applicazione di un regime di
sorveglianza (obbligo del deposito e della pubblicità dei listini presso la Segreteria del
CIP) per alcuni prodotti minori (benzina avio, carboturbo, virgin nafta),
successivamente esteso all'olio combustibile (Delibera CIP del 16 aprile 1978).
Per i prezzi dei prodotti petroliferi non assoggettati al regime di sorveglianza, in
particolare benzina, gasolio autotrazione e gasolio riscaldamento, il nuovo metodo
tende, nelle intenzioni dell'Amministrazione, a facilitare, attraverso una serie di
meccanismi, per la rilevazione dei costi di approvvigionamento e delle altre voci di
costo, un più tempestivo adeguamento dei prezzi interni a quelli vigenti in Europa.
Questo metodo, pur rappresentando un passo avanti, rivela ben presto una serie di limiti
rispetto alla evoluzione dei mercati internazionali, ormai ben lontani dalla stabilità degli
anni '60 ed alle forti oscillazioni dei cambi.
Già a partire dal 1979 il CIPE emana una Delibera che invita il CIP a rivedere il metodo
di determinazione dei prezzi petroliferi sulla base dei costi di importazione e dei ricavi
riscontrati in Europa. Questi principi vengono attuati con Delibera CIP del 19 marzo
1980. Anche questo nuovo metodo si rivela però inadeguato rispetto al rapido sviluppo
degli eventi successivi alla guerra tra Iraq ed Iran.
Vari gruppi di lavoro "ad hoc", istituiti dal Ministero dell'Industria, ed il Piano
Energetico adottato nel 1981 auspicano una modifica del sistema in vigore (Risoluzione
Commissione Industria del Senato e della Camera sul Piano Energetico Nazionale del
99
22 ottobre 1981; Delibera CIPE per l'approvazione del Piano Energetico Nazionale del
4 dicembre 1981; Conclusioni del Gruppo di lavoro sui problemi del settore petrolifero
istituito dal Ministero dell'Industria).
Nel 1982 una delibera del CIP del 6 luglio 1982, in attuazione di una analoga delibera
del CIPE (del 24 giugno), stabilisce un nuovo sistema definito di sorveglianza, sia pure
su base sperimentale. In particolare, i prezzi massimi del gasolio riscaldamento e del
gasolio autotrazione e dell'olio combustibile saranno fissati dalle compagnie petrolifere,
con il vincolo di non superare la media dei prezzi rilevati nei cinque paesi di riferimento
(Belgio, Olanda, Francia, Germania e Regno Unito), rilevati nella settimana precedente
e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.
Rimangono invece in regime di prezzi amministrati - soggetti quindi all'emanazione di
specifici provvedimenti CIP - la benzina e il GPL anche se il loro livello viene
definitivamente ancorato alla media europea.
Nel 1985, una delibera del CIP del 10 luglio, sempre in via sperimentale e provvisoria,
stabilisce che i prezzi degli oli combustibili vengono assoggettati al solo obbligo per le
imprese petrolifere di comunicare mensilmente al CIP i prezzi praticati ed i ricavi,
nonchè i corrispondenti volumi di vendita.
Per i prodotti soggetti al regime di sorveglianza, che è divenuto definitivo con la
Delibera CIP del 6 aprile 1984, vengono adottati tra l'ottobre e il novembre del 1985
una serie di provvedimenti che tendono a rendere sempre più tempestivo l'adeguamento
dei prezzi interni a quelli europei.
Nel 1986, con Delibera del CIP del 3 giugno, il meccanismo di stretta correlazione dei
prezzi massimi al prezzo medio europeo viene reso ancor più tempestivo (due giorni dal
ricevimento dei dati CEE).
Il regime di sorveglianza, attraverso la pubblicazione dei prezzi massimi sulla Gazzetta
Ufficiale, mantiene, chiaramente, molti elementi tipici di un sistema amministrato che
pur recepisce le indicazioni del mercato internazionale.
Nel 1987, con Delibera CIP del 9 ottobre, il regime dei prezzi della benzina subirà una
ulteriore modifica con l'adozione di una maggiorazione pari allo scarto quadratico
medio prezzi rilevati in Belgio, Olanda, Francia, Germania e Regno Unito; un esempio
della difficoltà di fare un esplicito riferimento alla realtà di mercato.
Negli altri paesi europei i cambiamenti sono molto più rapidi: l'esperienza di paesi
come la Repubblica Federale di Germania e l'Olanda, dai consolidati regimi di prezzi
liberi, il Regno Unito e la Danimarca e, per ultima, la Francia (1987) dimostra che
l'esperienza della liberalizzazione non si traduce in svantaggi per i consumatori e
costituisce una spinta all'adeguamento dell'industria petrolifera alla nuova realtà del
mercato, che vede la domanda incentrarsi sempre più sulle frazioni leggere e medie
(benzine e gasoli).
Il passaggio ad un sistema libero da parte della Francia, che era stata l'antesignana di
una politica dirigista in campo petrolifero, avviene senza arrecare conseguenze negative
per l'industria, pur nel contesto di un processo di significativa ristrutturazione del
sistema di raffinazione e distribuzione, e per i consumatori.
In Italia bisogna attendere il 1991 perchè il controllo sui prezzi di benzina, gasolio e
GPL non venga più effettuato "a priori" con l'indicazione dei prezzi massimi, ma "a
posteriori", attraverso l'esame dei listini di vendita dei diversi operatori. Con questo
nuovo sistema, il ruolo del CIP diviene quello di controllare la coerenza dei prezzi
interni rispetto a quelli internazionali e non più quello di partecipare direttamente alla
fissazione dei prezzi.
Nell'ottobre 1993 il sistema viene ulteriormente liberalizzato con il venir meno delle
residue attribuzioni del CIP in materia di prezzi petroliferi.
Questi ultimi vengono ad essere determinati liberamente dagli operatori, con il solo
obbligo delle comunicazioni dei listini (sino al 30 aprile 1994) al Ministero
dell'Industria.
100
7.4.2 Le tariffe del gas naturale
Non diversamente dai prezzi dei prodotti petroliferi, anche le tariffe del gas naturale
,che rientrano nelle attribuzioni del Comitato Interministeriale Prezzi sin dalla sua
costituzione, risentono dei mutamenti indotti dalla prima crisi energetica Nel 1974 due
delibere del CIPE (26 giugno 1974 e 20 settembre 1974) determinano nuovi criteri per
la fissazione dei prezzi del gas naturale.
Il sistema, attraverso una lunga serie di aggiornamenti e modifiche, prevede che - sotto
la sorvegliana del CIP - SNAM, Confindustria e Confapi provvedano alla
determinazione delle tariffe industriali; la determinazione delle tariffe per gli usi civili
vede, invece, coinvolti SNAM, e aziende distributrici, sempre sotto la sorveglianza del
CIP per la determinazione del prezzo di cessione del gas alle aziende distributrici e
Comitati Provinciali Prezzi ed Aziende Distributrici per la fissazione delle tariffe per
l'utenza finale.
Obiettivo di questa procedura - che mantiene le caratteristiche di un sistema di prezzi
amministrati - è di assicurare uno stretto collegamento tra il livello e l'andamento dei
prezzi dei prodotti petroliferi concorrenti (gasolio e olio combustibile) e prezzi del gas
naturale.
Questi principi vengono applicati con modalità collegate al tipo di prelievo ed alle
caratteristiche dell'utenza.
Nel settore degli usi civili, il prezzo di fornitura del metano alle aziende distributrici è
articolato secondo una formula di tipo binomio, con un termine "fisso" ed un termine
"proporzionale".
Il termine "fisso" è legato alla portata oraria resa disponibile a ciascuna azienda. Il
termine "proporzionale" tiene conto delle variazioni del prezzo del consumo del gasolio
per riscaldamento.
Le tariffe praticate dalle aziende distributrici ai consumatori finali sono determinate, a
loro volta, sulla base di una procedura che, sulla base dei parametri caratteristici di
ciascun esercizio (numero di utenti serviti, consumo specifico medio degli utenti,
organizzazione dell'azienda), stabilisce il costo di distribuzione del gas. Tale costo,
insieme a quello di acquisto del metano, determina le tariffe di vendita 59.
Nel settore industriale le differenziazioni di prezzo tra i singoli utilizzatori derivano dal
livello e dalle modalità di prelievo che danno luogo a due tipi di contratto: "continuo" e
"interrompibile" 60.
Le forniture di tipo "continuo", in relazione alla specifica garanzia offerta
dall'utilizzatore, sono in generale adottate per gli impieghi nei quali il gas è
difficilmente intercambiabile con altri combustibili, sia per motivi di ordine tecnico che
economico.
Per questo tipo di fornitura il prezzo è articolato su una struttura di tipo binomio, con un
termine "fisso" legato al quantitativo giornaliero reso disponibile all'utilizzatore e
corrisposto indipendentemente dai prelievo effettuati, ed un termine "proporzionale",
pagato in ragione dei volumi effettivamente prelevati.
Le forniture "interrompibili" sono applicate nei confronti di consumatori dotati di
impianti che possono essere alimentati anche con olio combustibile denso, tali da
assicurare elevati prelievi su base giornaliera e su base annua.
La fornitura può essere limitata o interrotta in qualsiasi momento e per un periodo più o
meno lungo, con un preavviso minimo di 48 ore. In tal caso, il funzionamento degli
impianti viene assicurato dall'alimentazione alternativa con olio combustibile.
59 Si vedano anche: CNR, ENEA, ENEL, ENI, Rapporto sull'Energia, Roma, annate varie dal
1982 al 1992.
60 Vedi nota precedente.
101
La formula di prezzo è di tipo monomio ed è dimensionata in modo da aderire alle
effettive condizioni cui è soggetto ciascun utilizzatore nell'approvvigionamento del
combustibile alternativo al metano.
Questa procedura è rimasta in vigore sino all'inizio degli anni '90, salvo una progressiva
accelerazione delle scadenze di revisione delle tariffe: nel caso delle tariffe industriali,
ogni mese, per la revisione del termine proporzionale collegato al prezzo libero dell'olio
combustibile e ogni sei mesi per il termine fisso; nel caso delle tariffe per usi civili ogni
due mesi per il termine proporzionale, quello collegato al prezzo del gasolio - a sua
volta collegato, dapprima alla media CEE e poi al mercato - e ogni anno per il termine
fisso.
Ancor più recentemente la tendenza alla liberalizzazione ha determinato un chiaro
orientamento alla eliminazione del vecchio sistema di prezzi amministrati a favore di
un sistema nuovo la cui realizzazione è stata avviata con la emanazione della legge 14
novembre 1995, n. 481: ”Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di
pubblica utilità Istituzione della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”.
La legge, che contiene norme specifiche per l’energia elettrica ed il gas (art.3),
introduce, per la determinazione della tariffa, il metodo del price cap “inteso come
limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennale”
calcolato, a sua volta, sulla base dell’evoluzione di una serie di parametri tra cui il tasso
di inflazione e un tasso obiettivo di variazione della produttività del settore. Con questo
sistema si vuole offrire all’impresa fornitrice di servizi un incentivo a realizzare
incrementi di produttività superiori a quelli fissati come obiettivo .
7.4.3 Le tariffe elettriche
Nel settore elettrico il controllo delle tariffe, avviato sulla base degli stessi
provvedimenti che avevano istituito il controllo amministrativo sui prezzi degli
idrocarburi, era stato ulteriormente qualificato con la legge di nazionalizzazione del
1962, che aveva tra i suoi obiettivi quello di assicurare tariffe omogenee su tutto il
territorio nazionale e facilitare la politica di sviluppo industriale.
Cosi, il forte aumento dei prezzi dell'olio combustibile che si registra dopo il 1973 non
porta ad una modifica delle tariffe, che si realizzerà circa 10 anni dopo, ma alla
istituzione di un sovrapprezzo termico per compensare i maggiori oneri della
produzione termoelettrica.
Il riconoscimento delle entità del sovrapprezzo viene soggetto però a meccanismi di
tipo amministrativo.
Le critiche a questo istituto sono numerose e basate sulla preoccupazione che il sistema
non sia incentivante per il ricorso a fonti come il carbone e fonti rinnovabili.
L'evoluzione dei meccanismi è comunque molto lenta e solo nel 1984 si registrano dei
mutamenti sostanziali delle tariffe per uso industriale, caratterizzate da numerose
agevolazioni che appaiono non più giustificabili sulla base dei costi di produzione.
Ulteriori modifiche si susseguono negli anni successivi, tra cui l'introduzione delle
tariffe multiorarie, che implicano un migliore utilizzo della potenza esistente
Agli inizi degli anni '90 il sistema è comunque ancora caratterizzato da uno stretto
controllo, solo in parte temperato dal riconoscimento da parte governativa della
necessità di definire livelli tariffari tali da assicurare un adeguato autofinanziamento
dell'Ente Elettrico (Contratto di Programma - Ministero Industria - ENEL dell'aprile
1991 in attuazione della legge 9 del 9 gennaio 1991).
Un ulteriore segnale sulla via di una attenuazione dei vincoli che gravano sul sistema è
costituito dalla incentivazione della produzione di energia elettrica, ad opera di soggetti
diversi dall'Enel, da fonti rinnovabili e assimilate, anche se ottenuta con la fissazione da
parte del CIP dei prezzi e dei parametri per la cessione di energia elettrica alla rete
pubblica, per il vettoriamento, lo scambio e la produzione per conto.
Con la istituzione della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità il tema
102
delle tariffe elettriche sarà comunque rivisto in modo sostanziale tenendo anche conto
del nuovo assetto del settore e della normativa europea sulla liberalizzazione del
mercato elettrico (v.cap.V).
7.4.4 La fiscalità sui prodotti energetici
Già dagli anni '50 la presenza pubblica nel settore energetico si manifesta ,oltre che
nella determinazione dei prezzi industriali , con una forte fiscalità su gran parte dei
prodotti energetici.
Nel 1995 le entrate fiscali derivanti dalla imposizione sui prodotti energetici hanno
superato ampiamente i 51000 miliardi di lire mentre nello stesso anno il valore delle
importazioni nette di energia è stato di circa 26500 miliardi; nel 1980 le entrate fiscali
erano state pari a oltre 7000 miliardi rispetto ad un valore della fattura energetica di
circa 20000 miliardi..
Il fenomeno, che ha dimensioni che non trovano riscontro negli altri paesi europei, è
profondamente radicato nel sistema fiscale italiano. Esso si collega più che a finalità di
orientamento degli investimenti energetici e di controllo della crescita della domanda,
alle facilità di riscossione ed alla rigidità della domanda dei prodotti energetici .
Imposte di fabbricazione sui prodotti energetici
(Miliardi di lire)
Totale
Oli minerali
Gpl
Metano
1980
7.151
6.601
175
283
Energia
Elettrica
92
1985
14.193
13.610
126
332
125
1990
33.185
30.740
534
1.341
570
1991
40.751
35.790
655
3.772
535
1992
42755
36.855
683
4737
480
1993
44.030
37960
737
4859
474
1994
46.419
39612
798
5027
982
1995
51.866
43751
1022
5743
1350
Fonte:Ministero delle Finanze,Tributi ed Entrate Tributarie erariali
Nel caso di prodotti come la benzina, la componente fiscale, anche dopo le crisi
energetiche che portano ad un eccezionale aumento dei costi della materia prima,
continua ad essere l’elemento più importante nell'evoluzione del prezzo all'utente
finale.
Alla fortissima fiscalità su questo prodotto non fa però riscontro una analoga politica
per altri distillati destinati al settore trasporti come, ad esempio, il gasolio autotrazione
che viene a godere di un trattamento privilegiato che porterà,nel corso degli anni ’80 ad
un forte sviluppo del parco diesel al di fuori di un organico disegno di riorganizzazione
della fiscalità gravante sul settore. La mancanza di una chiara differenziazione,ad
esempio con l’ausilio di coloranti,tra gasolio autotrazione e gasolio riscaldamento dà
luogo ad ulteriori distorsioni in quanto la più bassa fiscalità sul gasolio riscaldamento
spinge molti utenti ad usare questo prodotto per uso autotrazione. Il fenomeno ,che si
sviluppa nel corso degli anni ’80,viene successivamente ridimensionato con il
sostanziale allineamento delle aliquote fiscali, ma, chiaramente, a scapito delle utenze
domestiche.
L’esistenza di aliquote differenziate non riguarda peraltro solo il gasolio ma anche altri
prodotti come la benzina, il gpl; tutto ciò non contribuisce nè alla efficienza nell’uso
delle fonti di energia nè all’efficienza del sistema di trasformazione e distribuzione che
deve sopportare dei costi aggiuntivi rispetto agli altri paesi europei.
103
D’altra parte, anche i piani energetici esitano a prendere in considerazione come
elemento prioritario quello della fiscalità sull’energia che tra l’altro non rientra nelle
competenze degli organi preposti alla elaborazione ed alla attuazione della politica
energetica.
Ne risulta, per circa tre decenni, un quadro estremamente confuso dove le pur
elevatissime entrate collegate all'utilizzo delle fonti di energia stentano ad essere
distribuite in misura razionale tra i vari settori di impiego.
Sul finire degli anni '80, con l'accrescersi delle preoccupazioni per l'ambiente, la
fiscalità sull'energia viene chiamata a svolgere un ruolo di primo piano per fornire agli
utilizzatori finali dei segnali a favore dei prodotti più inquinanti; ma ancora una volta
ad un approccio organico vengono preferiti degli interventi significativi, ma parziali,
come l'aumento della fiscalità sull'olio combustibile ad alto tenore di zolfo e la
riduzione della accisa sulla benzina senza piombo per favorire l'affermazione delle auto
catalizzate che poi diventeranno obbligatorie .
Anche il processo di unificazione europea sembra poter contribuire ad una profonda
riorganizzazione della fiscalità sull'energia.
Il primo progetto di armonizzazione delle aliquote tra tutti i paesi incontra, però,
ostacoli insormontabili, non solo in Italia,dove il timore di una riduzione di entrate fà
perdere di vista qualsiasi altra considerazione, ma anche negli altri paesi della comunità
europea,restii a cambiamenti in una materia considerata di competenza nazionale. Il
sistema, meno ambizioso, che invece viene attuato a partire dal 1993 prevede, invece,
solo l'adozione di soglie minime di fiscalità sui vari prodotti energetici, con l'effetto di
non alterare sostanzialmente la situazione italiana dove le aliquote sono già al di sopra
dei livelli prefissati e di lasciare quindi aperto il problema di una rioganizzazione della
fiscalità sulla base di criteri di efficienza e di rispetto dell' ambiente .
7.5 Le prospettive
In un contesto di sempre maggiore apertura al mercato, le prospettive energetiche
italiane saranno sempre meno dipendenti dagli interventi di politica energetica mentre
acquisteranno sempre maggior peso le scelte degli operatori del settore e quelle degli
utenti finali .In questo quadro i futuri fabbisogni energetici del paese possono essere
esplorati solo in termini di scenario ovvero di possibili sentieri evolutivi dei fattori che
determinano qualità e quantità dell’energia domandata. .
In particolare, con riferimento alle ipotesi che trovano maggiore consenso tra i vari
centri di previsione, quali sostanziale stazionarietà della popolazione, crescita del PIL
al di sotto del 2%, ulteriore riduzione dell'intensità energetica, facilitata dal
miglioramento dell'efficienza nella trasformazione, distribuzione e consumo
dell'energia, permanere di una sensibile fiscalità sui prezzi dei prodotti energetici, si
prospetta un fabbisogno di energia per usi finali al 2000 ed al 2010 pari rispettivamente
a circa 135 ed a meno di 150 milioni di tep. Dal punto di vista qualitativo, la domanda
di calore degli utenti civili e industriali tenderà ad una crescita molto contenuta, in
conseguenza di interventi di razionalizzazione e del progresso tecnologico;
continueranno, invece, ad espandersi, anche se a tassi più contenuti di quelli del recente
passato, la domanda di energia per trasporti e quella di elettricità per usi obbligati. Gli
impieghi dell'energia elettrica tenderanno ,in particolare, ad aumentare a tassi superiori
a quello del PIL,trainati dalla domanda del settore terziario ,che si prospetta come la più
dinamica, seguita da quella degli usi civili ed industriali.
Dal punto di vista settoriale, la domanda di energia del settore usi civili dovrebbe
passare da 36 Mtep nel 1995 a 44,4 Mtep nel 2010, sotto la spinta del settore terziario e
con un ulteriore rafforzamento del ruolo del gas naturale e dell’energia elettrica. La
domanda del settore trasporti, che diventerà il primo settore di utilizzo finale,
continuerà ad espandersi, ma risentirà della progressiva saturazione del traffico nelle
aree urbane,che tenderà a limitare la percorrenza delle auto, e dei miglioramenti dei
104
rendimenti dei motori. Al 2010 è prevedibile un consumo complessivo di circa 45
milioni di tep rispetto ai 39 del 1995.
La domanda del settore industriale dovrebbe attestarsi a poco meno di 45 milioni di
tep, rispetto ai 37 del 1995, per effetto dei miglioramenti tecnologici nell'utilizzo delle
fonti di energia e dell’ulteriore aumento del ruolo delle attività a bassa intensità
energetica. Gli altri settori, come gli usi non energetici, l’agricoltura e la pesca, i
bunkeraggi, difficilmente potranno esprimere livelli di domanda sostanzialmente più
elevati di quelli attuali: complessivamente circa 15 milioni di tep. Tenendo anche conto
dei fabbisogni dei settori trasformatori, si può quindi ipotizzare un fabbisogno di fonti
primarie così articolato: (v. tab. Scenario di evoluzione della domanda di energia in Italia).
Gli operatori del settore energetico non dovrebbero incontrare problemi insormontabili
nel soddisfare i livelli di domanda ipotizzati, specie in un sistema concorrenziale che
dovrebbe assicurare un adeguato ritorno agli investimenti.
Nel caso del greggio, la produzione nazionale dovrebbe consolidare il suo apporto in
una fascia compresa tra i 5 ed i 10 milioni di t, mentre la parte preponderante
dell'approvvigionamento petrolifero dovrebbe continuare a provenire dalle aree
tradizionali: il Golfo Persico, l'Africa, il Mare del Nord, la Russia e, nel medio-lungo
termine, le repubbliche dell’area Caspica
.
Scenario di evoluzione della domanda di energia in Italia
milioni di tep
1973
1980
1986
1995
2000
2010
10,2
14,3
105,3
12,5
22,8
98,8
15,3
28,9
86,3
13,8
44,8
95,7
14,5
60,5
91,0
15,0
70,0
95,0
..
9,8
0,2
11,5
1,3
0,3
12,1
4,6
0,4
9,6
7,8
0,6
11,3
6,3
1,7
14,0
5,0
TOTALE
139,8
146,9
147,5
172,2
184,2
200,7
PIL in lire 1990(migliaia di
miliardi)
825,1
1051,0
1164,5
1385,6
1520,0
1825,0
Intensità energetica: tep per
milione di pil
Prezzo del greggio importato in
Italia $correnti/b (Cif)
0,169
0,140
0,127
0,124
0,121
0,110
11,4
32,3
14,3
16,8
20,0
25,0
Combustibili solidi
Gas naturale
Petrolio
Fonti Rinnovabili
Elettricità primaria
Importazioni di elettricità
L’industria petrolifera dovrà anche continuare ad affrontare il problema del costante
adeguamento della qualità dei prodotti agli standard che saranno fissati in sede
comunitaria .
L'offerta di gas,la fonte con le più consistenti prospettive di crescita, dovrebbe essere
garantita, nel breve e medio termine, dalla produzione nazionale che ,anche sulla base
delle riserve già scoperte ,dovrebbe mantenere i livelli attuali,e dalle disponibilità
assicurate dai contratti di importazione già in vigore e dalle loro estensioni stipulate
negli ultimi anni(Algeria,Russia), per un totale di oltre 50 miliardi di mc. Per la
copertura dei fabbisogni di lungo termine, non ancora coperti da contratti, la soluzione
dei problemi di assetto del mercato e dell’adozione di regole, che tengano conto della
specificità dell’industria del gas nel contesto europeo, appare più importante di quella
dei problemi relativi alla disponibilità di risorse. Nell'Africa del Nord (Libia, Egitto),
105
nell'Africa Occidentale (Nigeria),nel
Nord Europa(Norvegia),nelle repubbliche
asiatiche dell'ex-URSS, nel Medio Oriente (Qatar), risultano infatti localizzate riserve
in grado di assicurare la copertura dei fabbisogni ,sia dell’Italia che degli altri paesi
europei ,sempre a condizione che esistano i presupposti istituzionali per la
realizzazione dei relativi ingenti investimenti .
Tra i settori trasformatori, quello elettrico sarà certamente interessato da un notevole
dinamismo in relazione alla riorganizzazione,già avviata, del suo assetto, all’affermarsi
di nuove figure imprenditoriali ed alla necessità di una ristrutturazione dell’ apparato
produttivo, con un ruolo sempre maggiore degli impianti termoelettrici a ciclo
combinato, ad elevata efficienza energetica, alimentati a gas naturale .
Relativamente ai combustibili solidi, i quantitativi assicurabili dagli operatori del
settore appaiono ben più ampi della domanda oggi prevedibile, ma lo spazio per il
ricorso a nuovi impianti capaci di utilizzare questi combustibili, pur nel rispetto delle
normative ambientali, appare molto limitato per le forti opposizioni locali,in qualche
caso anche poco motivate, all'uso di questa fonte, come dimostra l’esperienza di questi
anni .
Il problema maggiore per i fornitori di fonti rinnovabili (energia eolica, biomasse e
fotovoltaico) non è certo quello degli spazi di mercato, che sono senz’altro piuttosto
ampi, a partire dal settore degli usi civili e della produzione di elettricità, ma quello
della competitività, che sembra assicurata solo in una serie di nicchie di mercato, salvo
interventi di incentivazione più decisi di quelli oggi disponibili.
In conclusione, sembra molto difficile ipotizzare scenari di drastica modifica dei
connotati di fondo del sistema energetico italiano in termini di dipendenza dall’esterno
e di ruolo delle varie fonti primarie ,specie in un contesto che tende a fare soprattutto
affidamento sulle regole di mercato.
In tale quadro, è opportuno che ai consumatori arrivino sempre i segnali più appropriati
per effettuare scelte capaci di garantire al sistema un’elevata efficienza, che costituisce
un elemento fondamentale per il controllo del vincolo energetico; sul piano
internazionale, dove vengono prese le decisioni di fondo per il settore dell’energia,
occorre poi un costante impegno, nel quadro comunitario, per la instaurazione di un
clima di cooperazione con i paesi detentori delle riserve di energia, entro il quale gli
operatori possano operare efficacemente. Sono questi gli unici mezzi disponibili per
ridurre la vulnerabilità del sistema, in aggiunta ai meccanismi di risposta ad eventuali
crisi, sviluppati d’intesa con gli altri paesi industrializzati, e far si che il settore
dell’energia non sia un vincolo ma un fattore di sviluppo.