Untitled - Associazione Italiana Economisti dell`Energia
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Vittorio D’Ermo LE FONTI DI ENERGIA TRA CRISI E SVILUPPO MERCATI E OPERATORI 2 Alberto Di Pierro ha contribuito alla trattazione della parte relativa all’assetto del mercato petrolifero, con particolare riferimento ai modelli interpretativi delle strategie dell’OPEC. 3 SOMMARIO Cap. I - Lo sviluppo 2.1 I primi utilizzi delle fonti di energia 2.2 L'epoca del carbone 2.3 La comparsa del petrolio e dell'energia elettrica 2.4 Gli inizi del 1900 2.5 Dagli anni '20 alla seconda guerra mondiale 2.6 Energia e sviluppo economico negli anni '50 e '60 Cap. II - Le crisi e i loro effetti 3.1 Gli avvenimenti 3.2 Il cambiamento del legame tra energia e sviluppo 3.3 I cambiamenti della struttura industriale 3.4 I fabbisogni di energia ed il ruolo delle diverse fonti primarie Le aree di produzione Cap. III - Verso nuovi assetti di mercato 4.1 Il petrolio 4.1.1 Le crisi e il bilancio petrolifero mondiale 4.1.2 La produzione 4.1.3 I prezzi del greggio, le strategie OPEC e i modelli interpretativi 4.1.4 La crisi del Golfo e l’affermazione delle regole di mercato 4.1.5 I prezzi dei prodotti 4.1.6 La raffinazione 4.1.7 Le riserve 4.2 Il gas naturale 4.2.1 Gli anni '70 4.2.2 Gli anni '80 e la prima metà degli anni ‘90 4.3 I combustibili solidi Cap. IV - Gli operatori dell'industria energetica 5.1 I diversi profili 5.2 Le compagnie petrolifere 5.3 Le imprese pubbliche energetiche Cap. V - Le nuove prospettive della politica energetica europea Cap. VI - Le prospettive di evoluzione della domanda e l’offerta di energia 6.1 L'esperienza di liberalizzazione dei mercati energetici dell’Unione Europea 6.2 L'ambiente 6.3 La prospettiva dell'integrazione dell'Europa dell'Ovest e dell’Europa dell’Est Cap. VII - Il sistema energetico italiano 7.1 L'affermazione degli idrocarburi 7.2 Le crisi energetiche 4 7.2.1 Le ripercussioni sugli indirizzi di politica energetica e sulla fisionomia degli operatori 7.2.2 Le ripercussioni sull'offerta 7.2.3 Le ripercussioni sulla domanda 7.3 Il periodo 1986-1995 7.3.1 Verso nuovi indirizzi di politica energetica 7.3.2 Gli sviluppi della domanda e dell'offerta 7.4 I prezzi dell'energia: dal controllo al mercato 7.4.1 I prezzi dei prodotti petroliferi 7.4.2 Le tariffe del gas naturale 7.4.3 Le tariffe elettriche 7.4.4 La fiscalità sui prodotti energetici 7.5 Le prospettive 5 Registrazione SIAE, 8 novembre 1996 6 CAP. I LO SVILUPPO 1.1 I primi utilizzi delle fonti di energia Il rapporto tra le attività umane e l'energia risale direttamente alla prima presenza dell'uomo sulla terra. Prima ancora che il pensiero scientifico con la sua progressiva evoluzione cominciasse a definire il concetto di energia, l'uomo aveva già iniziato ad utilizzare le fonti energetiche per soddisfare alcuni dei suoi fabbisogni primari. L'energia termica e l'energia luminosa del fuoco sono state impiegate già nei primi insediamenti della preistoria. L'energia meccanica, necessaria per la fabbricazione dei primi utensili e per l'attività agricola, è stata fornita dall'uomo stesso che ha successivamente scoperto che essa poteva essere ottenuta dagli animali, dal vento, dall'acqua dei fiumi direttamente o tramite apposite canalizzazioni. Questo schema di utilizzo dell'energia si è protratto per tutta la durata delle civiltà primitive e, con una serie di perfezionamenti, si è esteso anche alle civilizzazioni di epoca storica. Facendo riferimento all'antichità classica, troviamo ancora una netta distinzione tra energia termica, fornita per lo più dalla legna, ed energia meccanica fornita dall'uomo, in particolare dagli schiavi, dagli animali e, tramite semplici apparati trasformatori, dall'energia eolica e dall'energia idraulica, ovvero da combinazioni tra energia fornita dall'uomo e energia eolica (si pensi alle navi che utilizzavano remi e vele). Rispetto ai primordi, vengono sviluppati una serie di congegni (macchine), spiegati in termini razionali con la nascita della fisica moderna, che portano ad un miglioramento del rapporto tra energia spesa e risultato ottenuto, nel campo dell'utilizzo sia dell'energia termica sia di quella meccanica. Si pensi alla creazione di forni via via più perfezionati, che portano alla nascita e allo sviluppo della metallurgia; si pensi alla scoperta della leva, della carrucola, del piano inclinato e della ruota, che consente di ottenere un dato spostamento con un minor impiego di energia meccanica, ed ancora all'utilizzo del trasporto su acqua, che consente anch'esso un notevole risparmio di energia per la minore resistenza allo spostamento che incontra un mezzo immerso in un liquido, secondo un principio che viene formulato già da Archimede; si pensi, infine, all'invenzione del remo, all'impiego di sistemi di vele più complessi ed efficaci. Nell'ambito di questo schema di utilizzo dell'energia, la possibilità di aumentare la produzione materiale veniva comunque a dipendere dalla disponibilità di forza muscolare umana e animale, con l'apporto dell' energia eolica nel campo dei trasporti e di quella idraulica nei primi mulini. Sotto questo profilo, le differenze nei sistemi produttivi dell'antichità sono state relativamente limitate, nè la disponibilità di particolari tecnologie di utilizzo dell'energia - forse con l'eccezione delle tecniche metallurgiche - ha costituito un fattore di per sè decisivo all'affermarsi di una civiltà sulle altre. Questo quadro relativamente statico si prolungherà anche nei secoli successivi alla caduta dell'impero romano, durante i quali si affermano sistemi di vita chiusi, con forme di utilizzo dell'energia legate ancor di più allo sfruttamento delle risorse locali, date le difficoltà di trasporto via terra e via acqua. Le innovazioni tecnologiche del Medioevo, quelle del Rinascimento, le scoperte geografiche, la formazione dei grandi stati nazionali, segnando delle tappe decisive nella storia dell'umanità, portano ad una prima svolta nel legame tra energia ed attività umane. L'aumento dei traffici, consentendo la specializzazione delle produzioni e il superamento del sistema chiuso tipico del Medioevo, determina un miglioramento delle condizioni economiche generali. Il livello produttivo dipende però, ancora, dalle forze dell'uomo e degli animali 7 utilizzate in modo via via più razionale, con lo sviluppo di macchine semplici, e dall'impiego, più esteso ed efficiente, dell'energia eolica e di quella idraulica che giocano un ruolo crescente nella fase di preindustrializzazione. L'impiego dei mulini ad acqua da parte dell'industria siderurgica e di quella tessile, oltre che per la macinatura dei cereali, diventa l'elemento determinante per lo sviluppo di molte aree del continente europeo. In questo contesto, il pensiero economico mercantilista considera principali elementi dello sviluppo gli scambi, mentre la scuola fisiocratica tende ad individuare nelle attività agricole le sole capaci di produrre un sovrappiù. D'altro canto, fino a buona parte del 1700, l'attività industriale è ancora caratterizzata dalla semplice trasformazione, più che dal costante aumento della produttività, e dalla capacità di innovazione . Il modello di utilizzo delle fonti energetiche subisce un drastico cambiamento, con enormi conseguenze anche sul piano economico e sociale, con la invenzione della macchina a vapore. Questo dispositivo mette in pratica, ancora prima della sua concettualizzazione rigorosa, uno dei principi fondamentali della fisica: la trasformazione dell'energia termica (fornita dalla combustione di legna o carbone) in energia meccanica. Le esperienze di J.P. Joule (1818-1898) chiarirono poi la relazione che intercorre tra calore e lavoro, stabilendo la "equivalenza" tra le due grandezze fisiche; ad essa si ricollega direttamente il primo principio delle termodinamica, secondo il quale la quantità di calore Q assorbita da un sistema termodinamico non isolato, quando subisce una trasformazione, è sempre uguale alla somma del lavoro "L" fatto dal sistema sull'ambiente esterno e della variazione della sua energia interna (U2 U1): Equivalenza tra calore e lavoro Q = (U2 - U1) + L dove Q = calorie fornite dalla fonte di energia ad un sistema termodinamico L = calorie trasformate in lavoro utile (U2 - U1) = calorie non trasformate in lavoro utile Anche se l'efficienza energetica (rapporto tra lavoro e calore assorbito) della prima macchina a vapore era certamente molto limitata (il secondo principio della termodinamica afferma che è impossibile realizzare una trasformazione il cui unico risultato sia quello di assorbire una quantità di calore Q da una unica sorgente di calore e trasformarla completamente in energia meccanica W, affidando quindi alla evoluzione della tecnologia il compito di contenere la produzione di calore a tutto vantaggio della conversione in energia meccanica), il suo impatto sul sistema economico è dirompente. La storica strozzatura costituita dalla limitata disponibilità di energia meccanica viene finalmente superata: si aprono, pertanto, nuovi orizzonti nel campo della produzione industriale e, successivamente, dei trasporti. La scoperta della macchina a vapore segna l'inizio di una epoca che sarà definita della rivoluzione industriale e che sarà caratterizzata anche da profondi cambiamenti nei rapporti sociali;la sua introduzione porta ad una diversa organizzazione della produzione che tende a concentrarsi nella fabbrica con un crescente fabbisogno di manodopera non specializzata, soggetta a regole precise. La rivoluzione industriale segna la nascita di un nuovo sistema con l'affermarsi di nuove classi sociali, quella della borghesia imprenditoriale e quella degli operai, rispetto ai proprietari terrieri, ai commercianti, agli artigiani e ai contadini delle epoche precedenti. 8 1.2 L'epoca del carbone Lo sviluppo sempre più rapido della macchina a vapore pone il problema della sua alimentazione. In una fase caratterizzata da notevoli limitazioni nei sistemi di trasporto terrestri, la localizzazione delle prime fabbriche tende a concentrarsi dove c'è ampia disponibilità di legname o vicino ai punti di attracco di battelli attrezzati per il suo trasporto. Di fronte al repentino aumento del fabbisogno di energia termica, emerge ben presto la necessità di integrare la disponibilità dei combustibili vegetali con quelli fossili e, in particolare, con il carbone, in grado di fornire - a parità di peso - energia termica e quindi energia meccanica in misura circa tre volte superiore a quella ottenibile dalla legna. Tenendo conto del minor volume, il vantaggio per il carbone aumenta ancora. I fabbisogni energetici mondiali tra il 1800 ed il 1900 (miliardi di tep) 1800 1850 1875 1900 Comb.li solidi(1) 13 65 169 455 Petrolio(2) Gas(3) .. .. 1 21 .. .. .. 10 Energia idroelettrica(4) .. .. .. 2 Totale 13 65 171 489 N.B.1 tep equivale a 10.000.000 di kcal (1)6400 kcal/kg ;(2)10000kcal/kg ;(3)8250 kcal/mc (4)i kWh sono valutati ad input termoelettrico ovvero circa 2400kcal /kWh Fonte: Elaborazioni su: Carlo Paoloni, Storia del Metano, Milano, 1988; Bureau of Census, Historical Statistics of the United States (1789-1945), Washington, 1949; J. Darmstadter, Energy in the World Economy, A Statistical Review of Trends in Output Trade and Consumption since 1925; J. Hopkins Press, Baltimore, 1971; D.S. Landes, Prometeo Liberato, Trasformazioni Tecnologiche e Sviluppo Industriale nell'Europa Occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino, 1978. Nasce cosi una nuova geografia della produzione industriale;l'energia meccanica fornita dai mulini alimentati dai corsi d'acqua non può reggere la concorrenza di quella fornita dal vapore, sia in termini di quantità sia in termini di costo per l'utente. Nella definizione di questo nuovo assetto dei sistemi produttivi, in cui l'energia diviene uno dei fattori decisivi dell'accumulazione di capitale e, quindi, dello sviluppo economico, l'Inghilterra si trova in una posizione privilegiata per la disponibilità della tecnologia della macchina a vapore, della fonte di energia - il carbone - capace di alimentarla nelle migliori condizioni, e, infine, delle tecnologie per la produzione dei materiali necessari alla costruzione delle macchine che generano vapore e di quelle che utilizzano la sua energia (telai, torni, etc.) , che sostituiscono rapidamente quelle usate prima della rivoluzione industriale. Gli enormi cambiamenti indotti dalla nuova macchina e dal rapido allargarsi dei suoi campi di applicazione, dall'industria tessile alla meccanica, alla estrattiva, e, in particolare, alle miniere di carbone alle quali spetta il compito di alimentare il nuovo sistema produttivo, superano, dopo un certo numero di anni, i confini inglesi per estendersi a tutto il continente europeo, all'America e alle altre aree del mondo. L'uso del carbone diviene una delle caratteristiche di fondo del secolo diciannovesimo: questo combustibile fossile viene infatti usato per uso termico (riscaldamento) , dove sostituisce sempre più i combustibili vegetali , per uso termico industriale (calore di processo), per usi tecnologici (siderurgia), per la produzione di gas illuminante, di gas di officina e, infine, per fornire l'energia meccanica necessaria alle attività industriali. Nella prima metà del secolo il settore dei trasporti è ancora caratterizzato dall'utilizzo 9 dell'energia eolica e dalla forza degli animali; ma questa situazione ha ormai carattere transitorio in quanto, attraverso una serie di innovazioni, si riesce ad utilizzare l'energia meccanica prodotta dalla macchina a vapore per muovere anche le navi e un mezzo del tutto nuovo che rivoluziona il trasporto terrestre: la locomotiva. Questo veicolo, muovendosi su rotaia, si caratterizza per un buon rendimento della trasformazione dell'energia meccanica, prodotta dalla caldaia a vapore, in energia cinetica. Nella seconda metà del secolo diciannovesimo si arriva alla definitiva affermazione di un sistema in cui la parte preponderante degli usi finali dell'energia (calore ed energia meccanica) viene soddisfatta da una sola fonte: il carbone. La produzione mondiale di combustibili solidi si adegua alla crescente domanda con l'apertura di nuovi impianti produttivi in Europa e nel Nord-America ed anche attraverso una serie di innovazioni nei metodi di estrazione. I quantitativi resi disponibili per il consumo passano dai 20 milioni di tonnellate del 1800 ai 100 milioni di tonnellate del 1850 ed ai 700 milioni di tonnellate sul finire del secolo. La quota dei combustibili solidi sul totale del fabbisogno energetico aumenta continuamente sino ad oltre il 90%, livello corrispondente alla massima espansione degli impieghi di questa fonte, che sul finire del secolo comincerà a subire la concorrenza di altre fonti energetiche, secondo lo schema classico del ciclo di vita del prodotto che, pur essendo stato formulato per i beni finali, sembra potersi applicare, sia pure su ben più lunghi orizzonti temporali, anche alle fonti di energia. 1.3 La comparsa del petrolio e dell'energia elettrica L'accelerazione del processo di innovazione tecnologica indotta dalla rivoluzione industriale porta, nel settore dell'energia, anche alla realizzazione di nuovi dispositivi per la trasformazione dell'energia termica in energia meccanica. Tra questi una posizione di primo piano spetta al motore a scoppio, con una flessibilità di impiego e un rendimento energetico superiore a quello della macchina a vapore. Il rapido sviluppo del motore a combustione interna consentirà di avviare la parziale sostituzione del carbone con i prodotti petroliferi nel settore dei trasporti già nel primo decennio del ventesimo secolo. L' affermazione del petrolio sulla scena energetica mondiale è infatti strettamente legata alla invenzione di questo tipo di macchina. Prima di questa scoperta l'uso del petrolio peraltro conosciuto sin dall'antichità - era rimasto limitato per una serie di ostacoli tecnici ed economici. Il primo era costituito dalla pratica impossibilità di utilizzarlo come combustibile in quanto tale: a differenza del carbone, il petrolio doveva - e deve ancora oggi - essere trasformato in prodotti attraverso il processo di raffinazione, che rappresenta una fase produttiva ben distinta da quella dell'estrazione; inoltre, fino alla nascita del motore a scoppio, gli unici prodotti con sufficiente spazio di mercato erano stati il petrolio per illuminazione e riscaldamento ed alcuni derivati per uso non energetico (bitumi, grassi, lubrificanti, etc.); la benzina era invece considerata un sottoprodotto indesiderabile e pericoloso. L'altra grande innovazione del secolo diciannovesimo è l'inizio della produzione su scala industriale dell'energia elettrica: certamente la fonte energetica più duttile nel senso che, oltre ad alimentare gli apparati elettronici, è la più facilmente trasformabile in energia luminosa, in energia meccanica ed in energia termica. La caratteristica di fonte derivata dalla trasformazione di una fonte primaria (energia idroelettrica) ovvero di una fonte secondaria (energia termoelettrica da carbone, da gas, da prodotti petroliferi), implica però che l'uso termico dell'energia elettrica - al di là di una serie di usi tecnologici - si presenti poco conveniente dal punto di vista del rendimento energetico e quindi, nella maggioranza dei casi, anche dal punto di vista economico. In effetti, i primi utilizzi dell'energia elettrica sono l'illuminazione, con 10 vantaggi enormi rispetto ai metodi tradizionali (lumi a petrolio o a gas derivati dal carbone nel caso dell'illuminazione pubblica, etc.), e la fornitura di energia meccanica. L'impiego crescente dell'energia elettrica ,per usi diversi da quelli termici, segnerà un punto di svolta nella organizzazione della produzione: nella fabbrica della prima rivoluzione industriale l'energia meccanica prodotta dalla macchina a vapore veniva trasmessa con sistemi di cinghie alle varie posizioni di lavoro; nei nuovi stabilimenti l'energia elettrica potrà, invece, alimentare tanti motori quante sono le necessità produttive, con un enorme vantaggio in termini di flessibilità operativa. L'energia elettrica consente anche di ampliare la gamma delle fonti di energia complessivamente utilizzate: essa infatti può essere prodotta sia sfruttando le risorse idriche su scala ben più ampia di quella dell'epoca dei mulini, sia ricorrendo a macchine alimentate da carbone e prodotti petroliferi. 1.4 Gli inizi del 1900 I fabbisogni energetici mondiali - sul finire del diciannovesimo secolo - continuano ad essere soddisfatti dal carbon fossile, che rimane ancora la fonte dominante, ma la presenza dei prodotti petroliferi, dell' energia elettrica e del gas naturale comincia, specie in alcune aree e paesi , a raggiungere livelli significativi. Dal punto di vista degli usi finali, il carbone è ancora usato su ampia scala per fornire calore all'industria e agli usi domestici , per essere trasformato in gas d'officina, per la trazione ferroviaria e la propulsione navale; i prodotti petroliferi sono per lo più impiegati per l'illuminazione nelle aree non servite da reti di distribuzione di elettricità o di gas, per la propulsione di alcune navi a vapore in sostituzione del carbone e per l'alimentazione delle prime auto; l'energia elettrica è utilizzata per l ' illuminazione e per fornire forza motrice. I fabbisogni energetici mondiali tra il 1900 e il 1925 (milioni di tep) Comb.li solidi 1900 455 1913 813 1925 800 Fonte: v. tavola pag. Petrolio Gas Energia idroelettrica Totale 21 49 140 10 15 41 2 4 20 489 881 1.001 Questo schema subisce importanti mutamenti ad un ritmo sempre più accelerato: mentre i fabbisogni termici dell'industria continuano ad essere soddisfatti prevalentemente dal carbone e dai suoi derivati, si prospettano nuovi utilizzi dell'energia elettrica nella metallurgia e nella chimica, ed anche nel settore degli usi domestici e commerciali si amplia il ricorso ai prodotti petroliferi e all'energia elettrica, in concorrenza non solo con i combustibili solidi ma anche con il gas di officina, certamente la forma di utilizzo del carbone più flessibile e più facile per l'utente finale . Nel campo dell'energia per trasporto, l'affermazione del motore a scoppio ed il suo impiego, oltre che per trazione terrestre anche per quella navale, segnano l'avvio di una svolta nella struttura del bilancio energetico mondiale. Il carbone, per contro, vede ridursi la propria quota di mercato molto rapidamente: esso sarà infatti impiegato solo nella trazione ferroviaria in concorrenza con l'energia elettrica, in rapido sviluppo per le sue eccellenti caratteristiche, e nell'alimentazione del naviglio di tipo più antiquato in via di progressiva sostituzione con le nuove unità spinte da propulsori che utilizzano derivati petroliferi. L'energia elettrica guadagna spazi di mercato sempre piùsignificativi nel campo della 11 illuminazione delle abitazioni, degli uffici e degli spazi collettivi . 1.5 Dagli anni '20 alla seconda guerra mondiale Dopo la conclusione della prima guerra mondiale, che ha dato una spinta notevole all'innovazione tecnologica anche in campo energetico,il modello di sviluppo economico basato sull'impiego di quantitativi crescenti di fonti di energia fossili si rafforza sempre più. Si valuta che nel 1925 il fabbisogno energetico mondiale abbia raggiunto il livello di 1 miliardo di tonnellate di petrolio equivalenti, di cui 800 rappresentate da combustibili solidi per lo piùdi origine fossile, 140 da petrolio, 40 da gas naturale e 20 da energia idroelettrica. Nell'ambito del nuovo modello di utilizzo delle fonti energetiche, solo l'energia idroelettrica - tra le fonti rinnovabili - riesce ad avere un ruolo significativo, mentre il resto del fabbisogno energetico sarà soddisfatto con lo sfruttamento sempre più intenso delle riserve di fonti non rinnovabili . Il Nord-America e, in particolare, gli Stati Uniti sono all'avanguardia nella creazione di un sistema di produzione e di consumo, che comporta una forte crescita dei fabbisogni energetici, ma anche una piùrapida diversificazione del bilancio energetico . In questa area la disponibilità di energia termica per usi industriali e civili viene presto integrata dal gas naturale, una fonte energetica con un potenziale simile a quello del petrolio ed il cui utilizzo, sempre più esteso, viene reso possibile dalla costruzione di una grande rete di metanodotti per il trasporto dalle aree di produzione a quelle di consumo. L'eccezionale sviluppo dei trasporti comporta altresì la rapida crescita del ruolo del petrolio .I consumi energetici,pari nel 1925 a 507 milioni di tep, con una presenza già molto significativa di petrolio (99 milioni di tep) e di gas naturale (23 milioni di tep), raggiungono al momento della grande crisi 576 milioni di tep, con una quota degli idrocarburi pari ad oltre il 30% ed una presenza dell'energia elettrica superiore al 10%. I fabbisogni energetici tra il 1925 e il 1938 (milioni di tep) Comb.li solidi Petrolio 1925 1929 1938 800 905 825 140 192 259 1925 1929 1938 380 395 250 1925 1929 1938 30 50 80 Gas Energia Idroelettrica Totale MONDO 1925 1929 1938 Fonte: 330 385 380 v. tavola pag. 41 56 83 NORD AMERICA 99 23 135 36 149 55 EUROPA ORIENTALE 8 2 13 3 32 9 EUROPA OCCIDENTALE 12 1 18 1 34 1 20 33 50 1.001 1.185 1.217 5 9 17 507 472576 .. .. 3 39 66 124 7 9 14 350 413 429 Sia pure con un certo ritardo, anche l'Europa Occidentale si adegua ai modelli produttivi e di consumo che si affermano negli Stati Uniti: lo sviluppo delle motorizzazione privata è infatti molto più lento e ciò rende meno rapida la penetrazione del petrolio nel bilancio energetico dei paesi europei. 12 Nel 1925 i consumi energetici dell'area sono pari a 350 milioni di tep, di cui 330 rappresentati dai combustibili solidi ,12 dal petrolio e 7 dall'energia idroelettrica . Negli anni successivi la crescita del petrolio e dell'energia idroelettrica sarà più rapida di quella dei combustibili solidi, la cui quota comincia a declinare, sia pure lentamente. Questo periodo si caratterizza anche per l'ulteriore affermazione dell'energia elettrica per la produzione di energia meccanica, per l'illuminazione, per il trasporto e, infine, per l'alimentazione dei primi elettrodomestici e dei primi apparecchi elettronici che si sviluppano molto rapidamente; il complesso di queste applicazioni comporterà la nascita e lo sviluppo di utilizzi elettrici obbligati, con notevoli implicazioni sulla struttura dei sistemi energetici. Il ruolo del carbone subisce una importante modifica dal punto di vista degli usi finali con la perdita graduale, ma inarrestabile, del mercato della produzione di energia meccanica:la macchina a vapore viene infatti rapidamente sostituita dai motori elettrici e dai motori a combustione interna. In compenso esso viene sempre più impiegato nella produzione termoelettrica ad integrazione dell'energia idroelettrica,che sia pure in forte sviluppo non riesce a soddisfare la domanda e mantiene le posizioni nel campo della chimica. Per contro, i prodotti petroliferi assumono un rilievo sempre più strategico nel funzionamento del sistema economico mondiale che, dopo quella industriale, è ora interessato ad una nuova rivoluzione nel settore dei trasporti. La mobilità delle persone e delle merci può infatti contare ,in aggiunta ai mezzi collettivi, sulla produzione in serie di auto ed autocarri. Questa innovazione, ricchissima di conseguenze per il settore energetico, modificherà profondamente il modello di sviluppo, dapprima del Nord-America e poi dell'Europa e del resto del mondo .Benzina, gasolio, olio combustibile diventano le fonti di alimentazione - praticamente insostituibili - della stragrande maggioranza dei mezzi di trasporto terrestri,marittimi ed aerei . A questi mercati specializzati ed altamente remunerativi si aggiunge anche quello molto interessante, specie in prospettiva, della petrolchimica. Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale - e soprattutto negli Stati Uniti, all'avanguardia nella utilizzazione del petrolio - vengono messi a punto i primi processi per la produzione della gomma sintetica, di prodotti tessili (nylon) e di una serie di prodotti chimici che ben presto passeranno alla fase industriale, sino alla definitiva affermazione (negli anni '50) sui derivati della chimica del carbone. L'Unione Sovietica, seppure caratterizzata da un sistema economico e politico profondamente diverso, negli obiettivi e nei metodi di funzionamento, da quelli degli Stati Uniti e dei paesi europei, investe anch'essa notevoli risorse nello sviluppo del settore energetico. L'energia idroelettrica, in particolare, considerata fattore chiave del processo di industrializzazione, si affianca rapidamente all'industria del carbone e del petrolio, che vanta una struttura già ben consolidata e che viene anch'essa potenziata. Tra il 1925 ed il 1938 i consumi energetici mondiali passano da 1,5 a 1,8 miliardi di tonnellate di petrolio equivalenti,nonostante gli effetti della crisi economica del 1929 che porta ad un drastico ridimensionamento dei consumi del Nord-America. Il fenomeno dell'espansione dei consumi energetici tende ormai ad assumere un rilievo mondiale anche se la quota dei paesi al di fuori del Nord-America e dell'Europa occidentale ed orientale, compresa l'Unione Sovietica,nel 1938, è di poco superiore al 10%. 1.6 Energia e sviluppo economico negli anni '50 e '60 Nel 1950, conclusa la fase della ricostruzione post-bellica, i consumi energetici mondiali raggiungono i 2,6 miliardi di tep con un incremento di circa 0,8 miliardi di 13 tep rispetto al livello di anteguerra. Anche la struttura dei consumi energetici presenta dei cambiamenti molto significativi:la quota dei combustibili solidi, pari nel 1938 al 68% circa, scende al 57% circa, mentre quella del petrolio raggiunge il 28 % e quella del gas naturale il 10%. In ulteriore consolidamento la quota dell'energia idroelettrica che sfiora il 5 %. I fabbisogni energetici tra il 1950 ed il 1970 (milioni di tep) Comb.li solidi Petrolio 1950 1965 1970 1.010 1.440 1.518 498 1.490 2.201 1950 1965 1970 354 310 345 1950 1965 1970 325 336 288 1950 175 1965 305 1970 498 Fonte: v. tavola pag. Gas Energia Idroelettrica MONDO 180 87 553 226 841 268 NORD AMERICA 320 146 35 594 391 72 755 539 91 EUROPA OCCIDENTALE 55 1 25 368 16 65 591 63 69 EUROPA ORIENTALE 45 17 6 210 120 30 315 189 39 Nucleo elettrica Totale .. 7 18 1.775 3.716 4.845 .. 2 5 855 1.369 1.735 .. 5 10 406 790 1021 .. .. 1 43 665 1.052 La scoperta e la valorizzazione delle enormi riserve di greggio del Medio Oriente, con costi di estrazione decisamente inferiori a quelli degli Stati Uniti, rendono possibile , anche attraverso la rottura degli accordi oligopolistici fino ad allora dominanti, l'estensione dell' utilizzo dei prodotti petroliferi anche nei settori dove la fonte carbonifera occupa ancora un ruolo di rilievo (calore per usi industriali e civili e produzione termoelettrica). La crescente competitività dei prodotti petroliferi viene assicurata dal progressivo abbandono del sistema di controllo dei mercati e delle aree di influenza instaurato nel 1928 con gli accordi di Achnacarry, che avevano istituito un patto di cartello tra la Shell, la Anglo Persian e la Standard N.J.i, esteso a tutte le aree del mondo al di fuori degli Stati Uniti e dell'Urss. Dopo la conclusione della seconda guerra mondiale, l'affacciarsi sul mercato internazionale di nuovi operatori indipendenti che puntano ad una politica di ampliamento delle proprie quote di mercato modifica profondamente gli equilibri preesistenti ed i tradizionali meccanismi di fissazione dei prezzi del greggio e dei prodotti . In particolare si rivela non più praticabile il riferimento, in tutto il mondo, ai prezzi vigenti negli Stati Uniti, cui erano collegati prezzi del greggio e dei prodotti con il sistema dell"import parity".Questo sistema comportava che i prezzi sui vari mercati mondiali fossero fissati aggiungendo il costo di trasporto ai prezzi praticati nell'area del Golfo del Messico, da cui tradizionalmente venivano esportati i prodotti delle raffinerie americane . In particolare, nel corso degli anni '50, con l'eccezione del periodo della crisi di Suez(1956)che si era ripercossa anche sulle quotazioni dei prodotti petroliferi, i prezzi del greggio effettivamente praticati iniziano una fase discendente. La nascita dell'Opec nel 1960, su iniziativa del Venezuela, si collega con l'obiettivo dei 14 paesi membri di salvaguardare i propri interessi e le proprie entrate in una fase di prezzi calanti percepita come una forte minaccia per le loro prospettive di sviluppo. Per contro, specie nel caso dei Paesi Ocse, la possibilità di acquisire una fonte di energia ad un prezzo, per unità calorica, notevolmente ridotto rispetto a quello della fonte allora prevalente - cioè il carbone - ha due ordini di conseguenza: i paesi già industrializzati, ovvero quelli dotati di riserve di carbone, riducono progressivamente l'impiego di tale fonte a favore del più economico petrolio che diventa un fattore di ulteriore crescita; paesi come il Giappone e l'Italia -scarsamente dotati di fonti di energia - si trovano in condizioni comparabili,in termini di costi energetici, a quelle delle altre economie e possono iniziare un nuovo ciclo di sviluppo, ben più intenso di quello realizzato prima della seconda guerra mondiale, che li porta a livelli di reddito prossimi a quelli dei paesi economicamente più avanzati. La disponibilità di greggio e quindi di prodotti derivati a prezzi stabili e/o decrescenti in termini reali ha come ulteriore conseguenza il continuo allargamento dei mercati di utilizzo: rispetto al tradizionale settore dei trasporti, i prodotti petroliferi vengono impiegati in misura crescente: • come combustibile per l'industria; • come materia prima per l'industria petrolchimica, con le punte di massimo sviluppo negli anni '60; • come combustibile per il riscaldamento nel settore domestico, commerciale e dei servizi; • come combustibile nelle centrali termoelettriche per la trasformazione in energia elettrica. L'affermazione del petrolio non impedisce, però, che in alcune aree geografiche si manifesti un notevole sviluppo degli impieghi di gas naturale; all'inizio degli anni cinquanta questa fonte rappresenta il 10 per cento del fabbisogno energetico mondiale: i principali mercati di utilizzo sono costituiti dagli usi termici industriali e dagli usi civili; gli impieghi termoelettrici rivestono un ruolo ancora secondario.Dopo un decennio, l'importanza relativa nei vari mercati di utilizzo si va progressivamente modificando a favore degli usi civili e di quelli termoelettrici, che appaiono caratterizzati da una dinamica più accentuata degli usi industriali che pure avevano assicurato la base dello sviluppo di questa fonte di energia. In Unione Sovietica, gli investimenti per la ripresa economica del dopoguerra considerano come prioritario quello dell'energia: come conseguenza vengono valorizzate ingenti riserve di gas che, nel 1970, vengono stimate pari a oltre 12.000 miliardi di mc, ovvero il 30% di quelle mondiali, mentre i consumi arrivano a circa 200 miliardi di mc/anno. Viene anche realizzata una grande rete di trasporto che potrà, successivamente, sostenere sempre maggiori esportazioni verso ovest . In Europa occidentale grazie ai ritrovamenti della Valle del Po in Italia, di Lacq in Francia nel 1951, e di Slochteren, nei pressi di Groningen, nei Paesi Bassi nel 1959, il mercato del gas naturale comincia a crescere. Successivamente, altre risorse importanti vengono individuate e sfruttate. Al primo posto si colloca lo sfruttamento del giacimento di Groningen, che consente ai Paesi Bassi di divenire nel 1970 il più importante paese consumatore e produttore della regione, con una produzione di oltre 30 miliardi di mc/anno e con 2.000 miliardi di mc di riserve recuperabili. Tali riserve consentono anche di alimentare un flusso di esportazione verso Belgio, Germania Federale e Francia già a partire dal 1966. Le risorse del Medio Oriente, in conseguenza dell'intensa attività petrolifera in questa area, sono stimate, nel 1970, pari ad oltre 6.600 miliardi di mc. L'Iran, che ne detiene oltre 3.000, è anche l'unico grande consumatore della regione, con una produzione nel 1970 di 12 miliardi di mc/anno, di cui circa 1 esportato in Unione Sovietica. Anche in Giappone nasce un mercato del gas naturale, basato dapprima sulla modesta produzione domestica, ma sviluppatosi in seguito con massicce importazioni di GNL. Nel 1970 il consumo risulta pari a 4 miliardi di mc, di cui 1 circa coperto dal GNL 15 dell'Alaska, sulla base di un contratto d'importazione diventato operativo nel 1969. In Africa, con oltre 3.800 miliardi di mc di riserve, l'Algeria è l'unico paese a sfruttare le sue ingenti risorse, valutate in quasi 3.000 miliardi di mc, per soddisfare parte dei propri fabbisogni di energia e per alimentare le prime esportazioni sotto forma di GNL. A partire dal 1970 si cominciano ad individuare nuove aree di consumo e nuove potenzialità di produzione. La domanda supera i 1.000 miliardi di mc, che rappresentano più del 18% del fabbisogno di energia nel mondo; il 63% dei consumi è localizzato nel Nord America, dove il gas naturale ha un ruolo energetico del 32%; il 23% nell'Europa dell'Est, con un ruolo del 18%; l'8% in Europa occidentale, con un ruolo del 7% solamente. Anche se con quantitativi minori, il gas naturale ha invece un ruolo considerevole in aree geografiche come l'America Latina (22%) e il Medio Oriente (26%). Le riserve sono valutate in 40.000 miliardi di mc , di cui 32% nell'Europa dell'Est, 24% nel Nord America, 17% nel Medio Oriente, 10% in Africa, 9% in Europa occidentale e il restante 8% ripartito tra America Latina e Asia-Oceania. L'affermazione degli idrocarburi sulla scena energetica mondiale comporta un forte ridimensionamento della quota dei combustibili solidi, il cui utilizzo si va concentrando negli usi siderurgici e nella produzione termoelettrica .La perdita di quota non significa però diminuzione generalizzata nei livelli assoluti: tra il 1950 ed il 1970 , a fronte di una riduzione dei livelli di consumo in Europa occidentale e negli Stati Uniti, si registrano sensibili incrementi nell'Europa orientale, che costituisce ormai un blocco economico non guidato dalle convenienze di mercato ma da obiettivi di produzione fissati centralmente, e nei paesi in via di sviluppo, tra cui la Cina e l'India, sia pure con diverse strutture economiche. Notevole interesse suscita la realizzazione delle prime centrali nucleari, destinate, secondo i piani di investimento di molte imprese elettriche pubbliche e private, ad una rapidissima crescita .Le aspettative si realizzeranno però solo in parte per il progressivo manifestarsi di una serie di ostacoli tecnici ed economici di portata ben superiore al previsto . Il contributo di questa fonte primaria al soddisfacimento del fabbisogno mondiale raggiunge nel 1970 il valore dello 0,4%, ovvero circa 18 milioni di tep, di cui circa 10 prodotte nell'Europa occidentale e nel Nord-America. In conclusione, negli anni '50 e '60 la disponibilità di energia non costituisce mai un vincolo alla crescita economica; al contrario, le condizioni di mercato assecondano il costante aumento della produzione e la nascita di un sempre più ampio mercato di inputs di base,di beni strumentali e di beni di consumo il cui utilizzo richiede, a sua volta, un crescente ricorso alle fonti di energia. Il consumo energetico mondiale raggiunge nel 1973 i 6 miliardi di tep , di cui 3 soddisfatti dal solo petrolio. Inoltre la progettazione di gran parte dei beni e degli apparecchi utilizzatori di energia parte dal presupposto che quest'ultima sia sempre disponibile a prezzi tali da non richiedere particolari accorgimenti in materia di efficienza. Questo fenomeno - che avrà pesanti ripercussioni nel periodo successivo quando si rivelerà la difficoltà di conversione dei sistemi energetici - trova riscontro in tutti i settori, da quello industriale, a quello del riscaldamento, a quello dei trasporti e a quello degli apparecchi elettrodomestici, con punte più o meno accentuate a seconda delle caratteristiche e del livello di reddito dei vari paesi. 16 CAP. II LE CRISI E I LORO EFFETTI 2.1 Gli avvenimenti Il modello di sviluppo basato su impieghi crescenti di energia viene messo in crisi dalle crisi energetiche del 1973 e del 1979. La prima crisi è innescata dal conflitto tra Israele ed Egitto , cui fa seguito l'embargo dei paesi Arabi produttori ed esportatori di greggio nei confronti dei paesi alleati di Israele. La seconda è provocata dalla rivoluzione iraniana, cui fa seguito la lunga guerra tra Iran ed Iraq, conclusasi nell'agosto 1988. La crisi di Suez (1956) e la guerra arabo-israeliana del 1967 avevano già portato a gravi difficoltà nel sistema di approvvigionamento petrolifero dei paesi occidentali e a repentini aumenti di prezzo, ma l'impatto era stato riassorbito abbastanza rapidamente. I repentini aumenti dei prezzi internazionali del greggio, innescati da questi eventi, derivano, in realtà, più che dall'esaurimento delle risorse mondiali di petrolio, dal verificarsi di situazioni di quasi pieno utilizzo della capacità produttiva. Queste occasioni vengono colte pienamente dai paesi OPEC (Organizzazione dei Paesi Produttori ed Esportatori di Petrolio) che divengono protagonisti della politica petrolifera mondiale. Si tratta di un obiettivo perseguito dal lontano 1960 in una situazione di mercato ben diversa, ovvero quando il prezzo del greggio sembrava destinato a subire ulteriori erosioni, compromettendo definitivamente le prospettive di sviluppo economico dei paesi fondatori dell'organizzazione stessa, riuniti per iniziativa del Venezuela. Oltre che affermare il ruolo dell'OPEC, le due crisi petrolifere mettono in discussione l'intero sistema energetico mondiale, sia dal punto di vista dell'offerta sia da quello della domanda. Relativamente all'offerta, i paesi industrializzati, singolarmente e su base collettiva , attraverso l'AIE (Agenzia Internazionale per l'Energia) e la CEE, fissano ambiziosi traguardi di riduzione del grado di dipendenza dal petrolio di importazione e di diversificazione del bilancio in fonti primarie. Strumenti di questa politica sono lo sviluppo di nuove risorse di idrocarburi al di fuori dell'area OPEC (Mare del Nord, Messico), la rivalutazione del carbone, un forte impulso all'energia nucleare negli USA, in Europa ed in Giappone. Il ricorso alla fonte nucleare - in contrasto con le ottimistiche aspettative - incontra però una serie di limiti e una opposizione che si fa via via più decisa dopo l'incidente di Harrisburg (USA, 1980) e il ben più grave episodio della fusione del nocciolo della centrale sovietica di Chernobyl. In Europa solo la Francia realizza pienamente il suo programma di installazione di centrali nucleari. 2.2 Il cambiamento del legame tra energia e sviluppo Un altro fondamentale effetto delle due crisi energetiche è quello relativo alla razionalizzazione della domanda. Presupposto di questo approccio è una crescente attenzione al problema dell'efficienza e del miglioramento del rapporto tra energia utile (quella che interessa effettivamente all'utente) ed energia primaria (quella che l'industria energetica deve approvvigionare). Nell'epoca dell'energia a basso costo, questi due aspetti erano stati trascurati dando luogo a sistemi energetici poco diversificati e poco efficienti. Una serie di autorevoli studi dimostrano invece la perfetta conciliabilità tra efficienza 17 energetica ed elevato standard di benessere1 2 3 4. L'uso razionale dell'energia, la realizzazione di nuovi tipi di caldaie e di motori, la produzione combinata di energia elettrica e di calore si rivelano come le aree di intervento prioritario; poco praticate sono ,invece, le modifiche strutturali dei sistemi di trasporto, che tendono ancora a privilegiare il ricorso ad auto ed autocarri, a scapito dei vettori energeticamente più efficienti (treni e navi). D'altra parte, la razionalizzazione dei cicli di produzione e di utilizzo dell'energia comincia ad imporsi anche come fondamentale contributo al contenimento dell'impatto ambientale connesso all'impiego delle fonti di energia. La dinamica dei consumi energetici comincia così a risentire, oltre che dell'impatto negativo sul ciclo economico degli aumenti dei prezzi del greggio, di una profonda modifica delle strutture produttive, che tendono a ridurre il peso delle attività a maggiore assorbimento energetico, nonchè di una serie di cambiamenti tecnologici che riducono il consumo di energia a parità di servizio reso (risparmio e conservazione dell'energia). In altri termini il processo di riduzione dell’ intensità energetica (il consumo di energia per unità di prodotto, espresso in moneta costante )subisce una forte accelerazione anche se con delle notevoli differenziazioni a livello di area . Nell’area Ocse ,dove già prima delle crisi alcuni comparti industriali avevano raggiunto la fase della maturità,l’intensità energetica subisce ,tra il 1970 ed il 1980 una riduzione del 14% ,seguita da una ulteriore flessione del 18% nel decennio successivo . Il fenomeno subisce peraltro una pausa nella prima metà degli anni ’90 in relazione alla minore tensione sui prezzi dell’energia ed al rallentamento nell’introduzione sul mercato di tecnologie ancora più efficienti . Nei paesi in via di sviluppo (PVS) la dinamica dell’intensità energetica sembra muoversi in controtendenza: nel periodo 1970-1990 si registra un aumento del , 30% .In realtà per molti di questi paesi, a partire da quelli produttori di petrolio, questo periodo corrisponde anche ad una fase di sviluppo intenso, spesso basato su attività ad alto assorbimento energetico,ma già a partire dal 1990 l’intensità energetica non appare più in crescita . Nei paesi dell'Europa orientale (PEO), l'intensità energetica raggiunge nel 1980 il massimo livello mondiale per poi ridursi nel decennio successivo pur mantenendosi ben al di sopra della media mondiale. Un modello di sviluppo basato sulla industrializzazione, in mancanza di segnali di scarsità relativamente all’uso delle fonti energetiche,è all’origine di questa situazione che stenta a a modificarsi anche dopo il crollo dei sistemi ad economia pianificata. Dopo il 1990 ,infatti, a seguito di flessioni del prodotto interno lordo ancora più accentate di quelle della domanda di energia risulta ancora in aumento ,sottolineando lo spessore della crisi di questi paesi (v.cap.v). 1 Rapporto Saint-Geours, Pour une croissance econome en energie, Commission des Communautes Europeennes, Bruxelles, 1979 2 Alternative Energy Demand Futures to 2010, National Accademy of Sciences, Washington, D.C., 1979 3 An efficient Energy Future: Prospects for Europe and North-America, United Nations Economic Commission for Europe, ButterWorths, London 1983 4 L. Schipper, S. Meyers, Energy efficiency and human activity: past trends, future prospects, Cambridge University Press, Cambridge, 1992 18 2.3 I cambiamenti della struttura industriale La continua espansione dei consumi energetici è stata una caratteristica costante del modello di industrializzazione seguito negli ultimi due secoli che, anche se in quadri istituzionali diversi, si è diffuso prima nell'Europa occidentale e poi nell'America del nord e nell'Europa orientale. Durante l'ultima fase di espansione degli anni '50 e '60 e anteriormente alla prima crisi energetica, l'incidenza dei consumi di energia per usi industriali sulla domanda energetica complessiva, era, comunque, in fase riflessiva a cominciare dai sistemi più maturi, quali quello nordamericano. Le due crisi energetiche hanno accelerato tale processo e, negli anni '80, hanno comportato una diminuzione dei consumi energetici industriali dovuta agli sforzi di razionalizzazione dell'uso dell'energia e all'introduzione di nuove tecnologie di produzione e di nuovi materiali. L'entità di questo fenomeno, chiamato da alcuni dematerializzazione, è difficile da misurare, perchè tra l'altro il processo di industrializzazione si è esteso ad altre zone geografiche, con caratteristiche non sempre facilmente identificabili 1. Per interpretare il fenomeno ,che riveste grande importanza per la valutazione dei futuri fabbisogni di energia, si sono analizzati i seguenti fenomeni: l'andamento dei consumi industriali e delle relative intensità energetiche, l'andamento della produzione e della localizzazione di alcuni settori ad alta intensità di energia, l'andamento del consumo per unità di prodotto di alcuni materiali di base. Con riferimento al primo fenomeno, dal 1970 al 1990 i consumi energetici industriali a livello mondiale sono cresciuti ad un ritmo più lento di quello relativo ai consumi energetici complessivi : dal 1970 al 1980, di circa 440 milioni di tep e, nel decennio successivo, di 220 Mtep. Nei paesi membri dell'OCSE, dal 1970 al 1990, i consumi energetici industriali si sono comportati in modo diverso nel primo e nel secondo decennio. Fra il 1970 ed il 1980, essi sono cresciuti ancora di circa 50 Mtep, mentre sono scesi di 40 Mtep nel periodo successivo,per poi registrare , negli ultimi anni, nuove tendenze al rialzo. Il ruolo dell'intensità energetica è stato determinante :negli anni '70, essa ha contenuto la tendenza al rialzo dei consumi energetici in valore assoluto; negli anni successivi essa ha contribuito alla loro diminuzione .Il fenomeno ,aiutato dai programmi e dalle politiche di conservazione, è stato molto accentuato nelle industrie ad alta intensità di energia . I consumi energetici dell'industria dei paesi dell'Europa orientale, compresa l'ex-URSS, sono saliti nettamente fino agli inizi degli anni '80, anche a causa del peso delle industrie di base. Negli anni '80, con l'emergere di difficoltà economico-politiche, la domanda energetica dell'industria si è dapprima contratta e poi è scesa alla fine del decennio, in concomitanza con la crisi dei modelli politico-economici dominanti da sessant'anni. In questa regione, l'intensità energetica nel 1970 ha superato quella della regione OCSE del 70% (e l'intensità dell'industria dell'84%), amplificando l'effetto dell'incremento del PIL. Questa tendenza si è invertita nel decennio successivo, quando la variazione del PIL si è accompagnata ad una lieve caduta dell'intensità energetica e ad una minore incidenza del PIL dei PEO sul totale mondiale. Nonostante questa evoluzione, agli inizi degli anni '90, la regione est-europea ha ancora la più alta intensità energetica, pari a tre volte quella della regione OCSE. Ciò conferma l'enorme potenzialità di risparmio energetico e di dematerializzazione di un sistema che si è sviluppato al di fuori delle regole del mercato e quindi senza direttive per una distribuzione efficiente delle fonti energetiche e delle materie prime. 1 V. D'Ermo, S. La Bella, N. Passarini, G. Vergerio, Industrialized Economies and base material industries - Dematerialization and relocation: myths and realities, WEC, Madrid, 1992. 19 Il comportamento dei PVS è stato diverso, con una tendenza al rialzo dei consumi energetici industriali, sostenuti da un aumento dell'intensità . In Medio Oriente sono state costruite molte grandi raffinerie dopo la decisione dei paesi produttori di greggio di gestire autonomamente le proprie risorse; ciò ha fatto salire i consumi del comparto industriale da 14 a 22 Mtep dal 1970 al 1980 e a 49 Mtep alla fine degli anni '80. Anche i consumi dell'Africa sono aumentati notevolmente; in questo caso la crescita è stata anche strettamente legata alla localizzazione di impianti per la trasformazione di materiali energetici di base. In entrambe le aree, l'incremento della domanda energetica si è accompagnato ad un considerevole aumento dell'intensità energetica. I paesi dell'area del Pacifico, con un repentino e intenso processo di industrializzazione, hanno visto crescere i loro consumi energetici, nonostante la diminuzione dell'intensità energetica. Anche nell'America Latina l'industrializzazione ha comportato un aumento dei consumi energetici, passati da 43 Mtep a 83 Mtep negli anni '70 e poi a circa 110 Mtep verso la fine del decennio successivo, con un conseguente aumento dell'intensità energetica. Nel complesso, i consumi energetici industriali dei PVS sono passati da 260 Mtep nel 1970 a 470 Mtep nel 1980 e a 695 Mtep nel 1990. Il PIL corrispondente, anche se con notevoli differenze, è salito del 72 % nel periodo 1970-80 e del 33 per cento nel decennio successivo;questi andamenti , insieme all' aumento dell'intensità energetica, rendono debole l'ipotesi di una sostanziale dematerializzazione del sistema economico mondiale. Parte dei risparmi energetici dell'area OCSE sono stati quindi controbilanciati dall'aumento dei consumi industriali nei PVS, dove un ulteriore ampliamento della base economico-produttiva richiederà, in ogni caso, la razionalizzazione degli usi energetici e tecnologie più avanzate. In conclusione, anche se in tutto il mondo i consumi energetici dell'industria stanno perdendo il loro ruolo trainante a beneficio degli altri settori (terziario, trasporti e domestico), essi mantengono un peso rilevante, che sembra difficilmente comprimibile. L'indubbio declino dell'intensità energetica dell'industria registrato soprattutto dai paesi OCSE, alimentato dagli interventi di risparmio, dalle nuove tecnologie e da una minore intensità d'uso di materiali di base, è stato compensato da fattori quali la delocalizzazione di molti impianti di produzione ad alta intensità di energia e l'avvio di processi di industrializzazione in nuove aree con tecnologie non sempre finalizzate al risparmio energetico, soddisfacendo sia la domanda locale che le esportazioni. La prospettiva di una contrazione dei consumi energetici dell'industria appare, quindi, subordinata al verificarsi di una serie di interventi di politica industriale e energetica. Anzitutto, gli interventi di risparmio energetico avviati nella regione OCSE dovrebbero essere mantenuti ed intensificati. In secondo luogo, tutti gli ostacoli ad una più ampia diffusione delle tecnologie a bassa intensità energetica dovrebbero essere rimossi. In terzo luogo, dovrebbe verificarsi un passaggio più rapido ai materiali di nuova generazione, su scala mondiale. 2.4 I fabbisogni di energia ed il ruolo delle diverse fonti primarie La domanda mondiale di energia , che tra il 1970 ed il 1973 era aumentata da 5,0 a 5,7 miliardi di tep, subisce una battuta di arresto per effetto della forte recessione economica innescata dalla già richiamata crisi del Kippur del 1973 e dall'avvio dei processi di modifica dei legami tra energia e sviluppo . Dopo il recupero del periodo 1976-1979, i consumi mondiali di energia, che si erano portati sino 6,7 miliardi di tep nel 1979, subiscono un nuovo ridimensionamento, come conseguenza della fase recessiva provocata dal nuovo forte rialzo dei prezzi del greggio, determinato, a sua volta, dalla guerra tra Iran e Iraq. Questa fase particolare, dominata dalle crisi, si interrompe dopo il 1982 con l'inizio di una nuova fase di espansione, che porterà la domanda mondiale di energia a raggiungere gli 8,4 miliardi di tep nel 1995. 20 In questo arco temporale notevoli sono anche le modifiche della struttura della domanda di fonti primarie. Nel 1973 i combustibili solidi soddisfano circa il 31 % del totale; il gas il 18,4%; il petrolio il 45,0 %; l'energia idrogeoelettrica il 5,2 %; l'energia nucleare meno dell'1 %. Nel 1980 appaiono alcuni significativi spostamenti a favore dell'energia nucleare che si porta al 2,3%, del gas naturale che si porta al 19,7 %, dell'energia idrogeoelettrica che si porta al 5,7 %, mentre il petrolio, che sembrava avviato a superare il 50%, scende al 44,9 %. Nel 1985, alla vigilia del crollo dei prezzi del greggio del 1986, la struttura è ancora in fase di modifica, con i combustibili solidi che si sono portati a poco meno del 30 %; il gas al 20,8 %; l'energia nucleare al 4,5, mentre il petrolio scende al 39,1 % e l'energia idrogeoelettrica si colloca intorno al 6,0% . Domanda mondiale di energia in fonti primarie (milioni di tep) 1970 OCSE Combustibili solidi gas naturale petrolio energia idroelettrica energia nucleare totale 1973 1975 1980 1985 1990 1995 774 683 1643 188 16 3304 722 756 1977 203 41 3697 694 722 1822 221 71 3530 807 802 1883 234 133 3859 905 770 1662 262 265 3864 946 862 1836 263 354 4261 907 1012 1922 284 421 4547 332 168 247 28 1 776 355 210 306 28 3 902 368 243 352 29 6 998 337 334 421 40 16 1149 323 490 417 47 37 1313 308 597 420 51 46 1422 192 470 215 55 38 969 Combustibili solidi gas naturale petrolio energia idroelettrica energia nucleare totale 304 42 308 39 0 693 350 55 399 49 1 854 389 66 427 60 1 944 486 106 574 92 4 1261 673 164 639 126 14 1616 825 244 795 161 24 2049 983 343 1020 207 32 2586 Mondo Combustibili solidi gas naturale petrolio energia idroelettrica energia nucleare totale 1555 924 2253 261 17 5010 1581 1058 2752 287 44 5723 1616 1075 2681 318 79 5769 1820 1303 2974 378 155 6630 2100 1491 2802 446 323 7162 2245 1768 3138 484 437 8070 2211 1883 3227 558 505 8383 ex-URSS Combustibili solidi gas naturale petrolio energia idroelettrica energia nucleare totale Paesi in via di sviluppo * Poteri calorici adottati per la conversione delle unità fisiche in calorie e,quindi,in tonnellate equivalenti di petrolio (tep) :combustibili solidi :6600kcal/kg ;gas naturale :9000 kcal/mc ;petrolio e prodotti petroliferi :10000kcal/kg ;energia idroelettrica e nucleare : 2200 kcal/kWh Fonte : Elaborazioni su BP, Statistical Review of World Energy, annate varie; IEA, World Energy à Statistics and Balances, OECD, Paris, annate varie; IEA,Energy Balances of OECD Countries, OECD, Paris,annate varie; questa serie, che si basa prevalentemente sui dati BP, presenta alcune differenze rispetto a quella riportata nel capitolo I prevalentemente per i diversi coefficienti di conversione in calorie del gas naturale e dei combustibili solidi . Negli anni successivi il processo di modifica delle quote relative delle varie fonti 21 primarie cambia direzione, con una nuova perdita di peso dei combustibili solidi che scendono di nuovo al di sotto del 30 %, la stabilizzazione della quota del petrolio intorno al 39 %,la perdita di velocità dell'aumento della quota dell'energia nucleare che raggiunge 1l 6% solo nel 1995 ed il rafforzamento della quota del gas naturale che sempre nel 1995 supera la soglia del 20%.. Rispetto ai trend rilevabili a livello mondiale, la dinamica dei consumi di energia presenta,nelle principali aree economiche, delle importanti differenze. Nell’ambito dei paesi OCSE, dove si concentra circa la metà dei consumi mondiali di energia., gli eventi del 1973 si traducono, in una flessione dei consumi complessivi di energia che nel 1975 scendono a 3,5 miliardi di tep dopo aver toccato nel 1973 il massimo storico di 3,7 miliardi di tep; la successiva crisi energetica comporta riduzioni pronunciate e prolungate: da 3,9 miliardi di tep nel 1979, nuovo massimo, a 3,6 miliardi di tep nel 1983. Nello stesso periodo anche la struttura dei consumi energetici della stessa area subisce una trasformazione. Tra il 1973 e il 1980 il ruolo del petrolio diminuisce dal 53,5 al 48,8 %; quello dell'energia nucleare aumenta dall’1,1 al 3,4%; quello del gas passa dal 20,4 al 20,8; quello dei combustibili solidi passa dal 19.5 al 20,9; l'energia idrogeoelettrica si porta al 6,1%. Nel 1985 le posizioni dei combustibili solidi e dell'energia nucleare appaiono ulteriormente migliorate con quote rispettivamente del 23,4% e dell'6,9%; il petrolio segna un ulteriore arretramento sino al 43,0%; il gas rimane intorno al 18%. Nel 1990, a seguito della flessione dei prezzi internazionali del greggio,si cominciano a notare evidenti sintomi di rallentamento del processo di diversificazione verso i combustibili solidi che scendono al 22,2%,mentre l’energia nucleare sale all’8,3%e la quota del gas si attesta intorno al 20%. Nello stesso periodo il processo di riduzione della quota del petrolio tende ad attestarsi su livelli superiori al 40% del totale. Ben diverso appare il profilo della domanda di energia dei paesi dell'Europa orientale e dell'ex-Urss caratterizzati, fino al 1988, da un assetto pianificato dell’economia ivi compreso il settore energetico . Questa area è così influenzata solo in misura limitata dalle vicende che interessano le economie di mercato e soprattutto dagli aumenti dei prezzi del greggio e del gas naturale che si verificano sui mercati internazionali; questi aumenti addirittura beneficiano la bilancia commerciale dell'area dell’ex-URSS in relazione alle sue caratteristiche di esportatrice netta di energia . Per contro, i prezzi interni ,che continuano ad essere particolarmente bassi rispetto a quelli internazionali , favoriscono la crescita dei consumi ma anche di notevoli sprechi ', almeno sino al 1988, quando il sistema politico ed economico del COMECON entra definitivamente in crisi. Tra il 1973 ed il 1980 i consumi energetici complessivi dell'Europa dell'Est e dell 'exUrss passano da 1,2 miliardi di tep a 1,5 miliardi di tep, per raggiungere poi, nel 1988, 1,9 miliardi di tep. D'altra parte, in questi paesi, anche per la mancanza di una efficace politica di conservazione, l'intensità energetica tende a rimanere costante e ciò fa si che ogni aumento di Prodotto Interno Lordo si traduca in un corrispondente aumento di fabbisogno energetico. Con particolare riferimento ai paesi dell’Europa orientale, tra il 1973 e il 1990 la struttura della domanda in fonti primarie subisce, dei significativi mutamenti a favore del gas naturale, che passa dal 13,9% al 19,3% mentre nello stesso periodo il peso dei combustibili solidi si riduce dal 57,2% al 48,9% e quello del petrolio si mantiene intorno al 25% Nella ex-URSS le modifiche sono ancor più rilevanti, con la quota del gas naturale che supera la soglia del 40 % mentre i combustibili solidi scendono al 22% circa ed il petrolio scende al di sotto del 30%. Il crollo del sistema pianificato e l'inizio di una difficile transizione al mercato comportano una netta flessione dei consumi di energia, che dopo aver toccato il massimo storico nel 1990 si riducono progressivamente sino a 1,5 miliardi di tepnel 22 1995.Il processo di modifica strutturale della domanda di fonti primarie viene al contrario accelerato anche in relazione all’emergere di una nuova sensibilità ai problemi ambientali. Il peso dei combustibili solidi tende così a ridursi ulteriormente a favore di una sempre maggiore presenza del gas naturale. Caratteristiche particolari sono riscontrabili infine nell’evoluzione della domanda energetica dei paesi in via di sviluppo, che ,a partire dal 1973, registra una costante tendenza all'aumento, sia per i bassi livelli di partenza , specie tenendo conto del peso demografico di questa area, sia per il processo di rapida industrializzazione di molti paesi aderenti all'OPEC, che investono i profitti derivanti dagli aumenti dei prezzi del greggio in attività ad alto assorbimento energetico a partire dai settori della raffinazione e della petrolchimica. L'intensità energetica di questa area, come in precedenza evidenziato , in netta crescita, contribuisce ad amplificare l'entità dei fabbisogni energetici attraverso aumenti più che proporzionali rispetto a quello del reddito prodotto. Per questi motivi i consumi energetici del 1973, pari a 0,9 miliardi di tep, raggiungono nel 1980 un livello pari a 1,3 miliardi di tep, con un aumento di poco meno del 60 che non trova riscontro in nessuna altra area economica. L ' aumento è sensibile anche tra il 1980 e il 1985 e negli anni successivi, anche se a sostenerlo non saranno più i soli paesi OPEC, in crescente difficoltà dopo il crollo dei prezzi del greggio, ma i paesi in via di rapida industrializzazione che si affacciano sulla scena economica internazionale, a partire da quelli del "Pacific Rim" (Cina, paesi del Sud-Est Asiatico, Taiwan, Corea). Alla fine del 1990, con 2,0 miliardi di tep la quota dei paesi in via di sviluppo, sul totale dei consumi energetici mondiali, è pari al 25% contro il 15 % del 1973. Nel 1995 questa quota raggiunge il 31%, un traguardo particolarmente significativo, specialmente in prospettiva . 2.5 Le aree di produzione Le crisi energetiche del 1973 e del 1979 provocano dei notevoli cambiamenti anche nella struttura produttiva delle fonti primarie e nella sua distribuzione geografica. I "trends" che avevano caratterizzato gli anni '50 e '60 si interrompono bruscamente. Si tratta di sviluppi di grande rilievo che derivano da un intenso processo di riorientamento degli investimenti energetici, anche a seguito del crollo del sistema economico dei paesi dell’Est. L'area OCSE, la più dipendente dall'esterno per il proprio approvvigionamento energetico, compie, per effetto di misure di politica energetica e dei nuovi prezzi dell'energia, un notevole sforzo per il potenziamento della produzione interna . I risultati conseguiti sono notevoli :la produzione di combustibili solidi in precedenza caratterizzata da una fase di declino, registra tra il 1973-1985 un netto aumento sostenuto in particolare da paesi come gli Stati Uniti e l’Australia, che diviene uno dei grandi paesi esportatori di questa fonte energetica. Nell’Europa occidentale ed in Giappone è soprattutto l’energia nucleare ad evidenziare una crescita accelerata sostenuta anche dall’impegno diretto di gran parte dei governi.La produzione nucleare per l’intera area Ocse passa dai 41 milioni di tep del 1973 ai 265 del 1985 e sino 421 del 1995, un ammontare equivalente a quello dell‘Arabia Saudita.Anche se la costruzione di nuovi impianti subisce un progressivo rallentamento, dopo il 1980, è innegabile che lo sviluppo di questa fonte, che sostituisce notevoli quantitativi di olio combustibile, abbia contribuito al crollo dei prezzi del greggio del 1986 . Forte è anche il rilancio della produzione di petrolio che sembrava destinata ad un rapido declino, ma che, grazie soprattutto al Mare del Nord, è in grado di aumentare il suo apporto sino a poco meno di un miliardo di t nel 1995. Più contrastato appare il progresso della produzione del gas naturale che per la prima 23 parte degli anni ’80 risente della politica di prezzi controllati praticata dagli Stati Uniti ma che successivamente, anche in relazione allo sviluppo dei giacimenti del Mare del Nord, supererà ampiamente i livelli del 1973. L’impegno per la riduzione della dipendenza energetica si manifesta anche attraverso rilevanti investimenti per lo sviluppo delle fonti rinnovabili che vengono considerate anche come un valido strumento per contrastare gli effetti negativi sull’ambiente determinati dall’uso comunque crescente delle fonti tradizionali. I risultati in termini di bilancio energetico sono peraltro molto limitati e le statistiche energetiche internazionali non riescono ancora a quantificare esattamente il contributo di queste fonti. Uno studio della World Energy Conference ha peraltro stimato, relativamente al 1990, un contributo delle fonti rinnovabili di tipo nuovo, escludendo quindi l’energia idroelettrica e le biomasse ricavate con metodi tipo tradizionale, in molti casi con danno per l’ambiente (deforestazione) ,in circa 160 milioni di tep a livello mondiale . In termini di sviluppo delle tecnologie i traguardi conseguiti appaiono invece significativi in quanto per molte delle fonti rinnovabili si passa dalla fase dei prototipi ad applicazioni di taglia quasi industriale con costi che si vanno avvicinando,in alcuni casi, a quelli delle fonti tradizionali. Tra queste un posto di primo piano spetta all’energia fotovoltaica con 45000 kWp raggiunti nel 1990 rispetto ai 3300 del 1980; anche l’espansione dell’energia eolica è sensibile con oltre 2400 MW installati agli inizi degli anni ’90 nell’area OCSE . Notevoli anche i progressi nel campo delle biomasse utilizzabili sia per la produzione di calore ed energia elettrica sia per la produzione di biocombustibili. Non direttamente collegato alle crisi energetiche è lo sviluppo produttivo che si registra nell'ambito dei paesi ad economia pianificata dell’Europa orientale. Tra il 1973 e il 1990 la produzione di questa area passa da 1,2 a 1,9 miliardi di tep: l'energia nucleare registra il massimo incremento,da 3 a 59 milioni di tep, seguita dal gas naturale (con un incremento del 217,6%), dall'energia idroelettrica (+74,0%) e, infine, dal petrolio (+30,5%). Con la crisi del sistema Comecon, la produzione energetica di questa area, che veniva determinata sulla base di piani di sviluppo,considerati di importanza strategica, subisce una netta riduzione,da 1,9 a 1,4 miliardi di tep nel 1995, in attesa della completa riorganizzazione del sistema sulla base di regole di mercato. La crisi colpisce tutte le fonti, ma in particolare i combustibili solidi ,il petrolio e l’energia nucleare . La produzione dei paesi in via di sviluppo, a livello aggregato, tra il 1973 e il 1985, risulta in diminuzione; in realtà questo andamento riflette la decisione dei paesi OPEC di ridurre i livelli produttivi del greggio (da 1,5 miliardi di t nel 1973 a 0,8 miliardi nel 1985) per sostenere il livello dei prezzi, a seguito della forte flessione della domanda sul mercato internazionale verificatasi dopo il 1980.La produzione di gas naturale registra invece un significativo incremento (+210%), cosi come quella dei combustibili solidi (+104%), dell'energia idroelettrica e dell'energia nucleare .A partire dal 1986 questa tendenza si inverte, con il graduale recupero della produzione dell'OPEC e lo sviluppo della produzione dei paesi non OPEC, dove viene avviato un intenso ciclo di sviluppo di nuove risorse petrolifere. In ulteriore notevole espansione risulta anche la produzione di gas e di altre fonti energetiche, necessarie non solo per alimentare le esportazioni verso i paesi più sviluppati, ma anche per sostenere la domanda interna in quei paesi dove il processo di sviluppo e di industrializzazione è più rapido e intenso. Complessivamente la produzione energetica dei paesi in via di sviluppo si porta nel 1995 a 5,9 miliardi di tep, pari al 62 % del totale mondiale, con un contributo del petrolio prodotto dai paesi OPEC pari al 14%. 24 Produzione mondiale di fonti primarie milioni di tep 1970 1973 1975 1980 1985 1990 1995 Combustibili solidi 760 740 790 832 880 948 878 gas naturale 677 765 722 769 700 761 868 petrolio 658 681 642 814 952 889 972 energia idroelettrica 188 203 221 234 262 263 284 OCSE energia nucleare totale 16 41 71 133 265 354 421 2299 2431 2446 2782 3059 3216 3423 341 355 375 378 345 332 204 ex-URSS Combustibili solidi gas naturale 166 198 243 365 540 685 594 petrolio 353 429 491 603 597 571 355 energia idroelettrica 28 28 29 40 47 51 55 energia nucleare 1 3 6 16 37 46 38 889 1013 1144 1403 1565 1684 1246 Paesi in via di sviluppo Combustibili solidi 310 332 381 486 678 824 999 gas naturale 47 70 86 136 219 312 421 petrolio 2002 2434 2239 2481 2194 2608 2897 (di cui OPEC) 1172 1537 1352 1350 817 1212 1331 energia idroelettrica 39 49 60 92 126 161 207 energia nucleare 0 1 1 4 14 24 32 totale 3571 4423 4119 4547 4048 5141 5887 Mondo Combustibili solidi 1540 1562 1686 1856 2087 2252 2210 gas naturale 912 1058 1078 1302 1490 1781 1898 petrolio 3027 3559 3386 3910 3753 4076 4231 energia idroelettrica 261 287 318 378 446 484 558 energia nucleare 17 44 79 155 323 437 505 5757 6510 6548 7601 8099 9030 9402 totale totale Fonte : Elaborazioni su IEA,World Energy Statistics and Balances,OECD,Paris,annate varie; IEA,Energy Balances of OECD Countries, OECD, Paris,annate varie; 25 CAP. III VERSO NUOVI ASSETTI DI MERCATO 3.1 Il petrolio 3.1.1 Le crisi e il bilancio petrolifero mondiale Gli anni settanta e gli anni ottanta sono stati caratterizzati da profondi cambiamenti del mercato petrolifero mondiale relativamente a domanda, offerta, prezzi, operatori. Le tappe salienti di questo processo sono di particolare interesse per apprezzare quali modifiche possano essere considerate compiute e quali siano, invece, le vie da percorrere e le sfide che attendono gli operatori di questa industria, dove il modello dell'impresa innovatrice, di tipo schumpeteriano, dovrà ulteriormente affermarsi rispetto agli schemi concentrati sullo sfruttamento di rendite di posizione. La crescita dei consumi mondiali di petrolio, che era stata una delle caratteristiche degli anni sessanta, subisce una netta battuta di arresto per effetto della complessa serie di avvenimenti, già richiamati, che hanno luogo a partire dalla fine del 1973. Il petrolio, pur rimanendo la fonte energetica più importante, perderà progressivamente il ruolo di fonte egemone in tutti i settori di impiego, a favore di una presenza che si concentrerà nei settori dove i prodotti petroliferi sono più difficilmente sostituibili ,come i trasporti e la petrolchimica. La domanda mondiale, dopo aver raggiunto, proprio nel 1973, un punto di massimo con 2,8 miliardi di t, subisce una flessione sino a 2,7 miliardi di t nel 1975, per effetto degli aumenti dei prezzi del greggio e dei prodotti, nonchè della recessione economica. La successiva fase di recupero viene interrotta bruscamente sul finire del 1979 dalla seconda crisi energetica, che avrà conseguenze ancora più profonde sul livello dei prezzi del greggio e sulla struttura dei consumi energetici mondiali. . Solo negli ultimi anni, a seguito del favorevole andamento dell'economia mondiale e del netto ridimensionamento delle quotazioni del greggio, i consumi di prodotti petroliferi sono di nuovo in espansione sino ad oltre 3,1 miliardi di t. Lo spessore del cambiamento è dimostrato dalla notevole variabilità della dinamica dei consumi petroliferi nelle varie aree economiche. Bilancio petrolifero mondiale Milioni di barili/giorno Domanda 1966 1973 1979 1980 1986 1990 1991 1992 1995 OCSE Nord America Europa occidentale Pacifico NON OCSE Paesi in via di sviluppo ex- USSR Cina Europa Orientale Domanda Totale 24,2 13,1 8,6 2,5 40,8 19,7 14,9 6,1 42,1 20,9 14,8 6,3 38,9 19,6 13,3 6,0 35,7 18,1 12,4 5,2 37,9 18,9 13,0 6,0 38,3 18,6 13,4 6,2 38,8 18,9 13,6 6,3 40,4 19,9 13,9 6,6 9,3 4,4 3,9 0,3 0,7 16,6 7,9 6,3 1,0 1,4 23,3 10,8 8,7 1,8 2,0 23,7 11,1 8,9 1,8 1,9 26,1 13,3 9,0 2,0 1,8 28,4 16,0 8,4 2,4 1,6 28,5 16,3 8,3 2,5 1,4 28,4 17,5 6,9 2,7 1,3 28,8 19,7 4,4 3,3 1,4 33,5 57,4 65,4 62,6 61,8 66,3 66,8 67,2 69,2 26 Offerta 1966 1973 1979 1980 1986 1990 1991 1992 1995 OCSE Canada Stati Uniti Europa occidentale di cui: Mare del Nord 10,6 1,2 9,6 0,4 ... 14,0 1,7 10,1 0,4 14,9 1,8 10,1 2,4 2,0 14,8 1,7 10,2 2,6 2,2 16,8 1,8 10,3 4,1 3,6 15,9 2,0 9,0 4,2 3,8 16,3 2,0 9,2 4,5 3,9 16,6 2,1 9,0 4,8 4,2 17,9 2,3 8,5 6,4 5,8 NON OCSE Paesi in via di sviluppo ex- USSR Cina Europa Orientale OPEC - greggio - NGL's 8,2 2,2 5,4 0,3 0,3 15,5 15,3 0,2 13,3 3,2 8,6 1,1 0,4 31,2 30,8 0,4 19,5 5,3 11,7 2,1 0,4 31,5 30,6 0,9 20,7 5,9 12,2 2,1 0,5 27,6 26,6 1,0 24,1 8,7 12,4 2,6 0,4 20,0 18,3 1,7 24,5 10,0 11,5 2,8 0,3 25,1 23,1 2,0 23,8 10,3 10,4 2,8 0,3 25,4 23,3 2,1 22,6 10,5 9,0 2,8 0,3 26,5 24,4 2,1 22,7 12,5 7,0 3,0 0,3 27,5 25,1 2,4 TOTALE PROCESSING GAINS 34,3 0,2 58,5 0,4 65,9 0,7 63,1 0,8 60,9 1,1 65,5 1,4 65,5 1,4 65,7 1,5 68,1 1,5 TOTALE OFFERTA 34,5 58,9 66,6 63,9 62,0 66,9 66,9 67,2 69,6 1,0 1,5 1,2 1,3 0,2 0,7 0,1 0,0 0,4 ... Offerta-Domanda Fonte :IEA,Oil Market Report,OECD,Parigi;BP,Statistical Reviewof World Energy,Londra Dopo una lunga fase di crescita regolare, i consumi di petrolio dei paesi OCSE flettono nettamente nel 1975, per poi recuperare e raggiungere il punto di massimo nel 1980 con oltre 1,8 miliardi di t ; inizia a questo punto un periodo di riduzioni sino a 1,6 miliardi di t nel 1985, seguito da una nuova fase di recupero. Il peso di questa fonte, sul totale dei consumi energetici dell'area, dopo aver superato ampiamente la soglia del 50 per cento, nel 1973 è sceso sino al 43 per cento, livello intorno al quale tende a stabilizzarsi. I consumi di petrolio dei paesi in via di sviluppo, che comprendono anche quelli dei paesi produttori di petrolio associati nell'OPEC, subiscono, nel corso degli anni settanta e ottanta, una fortissima accelerazione per l'avvio dei programmi di industrializzazione e lo sviluppo della motorizzazione privata, soprattutto nell'ambito dei paesi OPEC, che possono contare su un aumento sostanziale delle entrate connesse alle esportazioni di greggio. Gli impieghi di petrolio dei paesi dell'Europa dell'Est ,sino alla crisi interna della fine degli anni '80, risultano in aumento per far fronte alla crescente domanda di energia dell'industria e dei trasporti, ma anche in presenza di diffuse inefficienze nell'utilizzo,come evidenziato dall'andamento dell'intensità petrolifera che tende alla stabilità. L'aumento più sensibile dei consumi petroliferi di questi paesi si registra comunque nel corso degli anni settanta, mentre nel decennio successivo la crescita sarà più limitata, soprattutto per la concorrenza del gas naturale. La riduzione e, quindi, la stabilizzazione della quota del petrolio nel soddisfacimento della domanda energetica mondiale non possono comunque essere interpretate come la conclusione del ciclo espansivo iniziato dopo la prima guerra mondiale, ma, piuttosto, come un riposizionamento strategico sui mercati dove i prodotti petroliferi sono molto poco sostituibili. 27 Dopo i rallentamenti conseguenti alla prima ed alla seconda crisi energetica, i prodotti come la benzina, il gasolio autotrazione, il kerosene aviazione hanno conosciuto una sensibile espansione. In aumento, al netto delle fluttuazioni congiunturali, anche le materie prime per la petrolchimica ed i prodotti speciali, come i lubrificanti. Tutto ciò ha significato, a livello mondiale, un progressivo alleggerimento del barile e la marginalizzazione delle frazioni pesanti utilizzate in ambiti di mercato sempre più limitati. L'industria petrolifera ha così dovuto affrontare una sfida non più basata sulla quantità e sulla presenza su tutto il mercato energetico, ma su spazi più selezionati, dove la richiesta di qualità si fa sempre più pressante sino a costituire una precondizione per competere. L'andamento della produzione mondiale riflette puntualmente i sostanziali mutamenti delle politiche petrolifere dei paesi produttori e dei paesi consumatori,intervenuti a partire dal 1973. Nell'area OCSE la produzione petrolifera ,in forte declino negli anni precedenti la prima crisi energetica, subisce un netto cambiamento di tendenza nell'arco del decennio 19731983, caratterizzato dall'ascesa delle quotazioni del greggio; non appena queste ultime subiscono il tracollo del 1986, i livelli produttivi dell'area tendono a stabilizzarsi per il venir meno dell'interesse economico verso l'attività di ricerca e sviluppo, specialmente nell'area nord-americana particolarmente sensibile al clima del mercato. Parallelamente , il grado di dipendenza dal petrolio di importazione, sempre dell'area OCSE, pari a circa il 66 per cento nel 1975 ed al 62 per cento nel 1980, subisce una sensibile riduzione negli anni successivi, per poi stabilizzarsi intorno al 54 per cento. La produzione di greggio dei paesi OPEC, in netta espansione negli anni settanta, subisce un forte ridimensionamento nel periodo 1981-1985, quando essi e, in particolare, l'Arabia Saudita, si trovano costretti a ridurre i livelli produttivi per sostenere livelli di prezzo a cui non corrisponde più una adeguata domanda. Il trend si inverte a partire dal 1986 con il drastico cambiamento di strategia da parte dell'Arabia Saudita che punta non più al mantenimento dei livelli di prezzo, ma all'aumento della propria quota di mercato. In questo nuovo contesto, la produzione OPEC ricomincia a crescere per portarsi a livelli di poco inferiori a quelli degli anni della prima crisi energetica. L'andamento produttivo dell'ex-Unione Sovietica, dopo una netta ascesa nella seconda metà degli anni settanta, perde velocità nel corso del decennio successivo, nonostante l'entità delle risorse da valorizzare, per una serie di problemi tecnici e le difficoltà di finanziamento dei progetti di sviluppo in aree difficili e remote, in un contesto politico e sociale caratterizzato dapprima dalla crisi e poi dal crollo del sistema comunista. 3.1.2 I prezzi del greggio , le strategie OPEC e i modelli interpretativi (*) L'andamento del prezzo del greggio è un ottimo indicatore dell'intensità e del segno delle trasformazioni del settore petrolifero e dell'atteggiamento dei principali attori. Il prezzo medio del greggio importato nei paesi OCSE, che risulta da una media molto differenziata in relazione alla qualità dei singoli greggi e alle formule contrattuali tra paesi produttori e compagnie, è passato da un valore di 1,7 $/b nel 1970 a 11,6 $/b nel 1974. Dopo una fase di relativa stazionarietà, questo prezzo ha raggiunto i 20,0 $/b nel 1979, i 32,9 $/b nel 1980 e 36,2 $/b nel 1981, valore che rappresenta il massimo storico, sempre su base annua. Le quotazioni mensili e giornaliere sono state ben più elevate ,sino a oltre 40 $/b. (*) Da :Vittorio D’ERMO e Alberto DI PIERRO, Nuove configurazioni del mercato del petrolio Note di ricerca ENI, n. 15, novembre 1994. 28 PREZZI INTERNAZIONALI DEL GREGGIO Anni Greggio importato nei paesi Aie cif Arabian light fob Brent Dubai fob fob $/Bbl $/Bbl $/Bbl $/Bbl 1970 1,7 1,8 n.d. n.d. 1973 3,5 2,8 n.d. n.d. 1974 11,6 10,8 n.d. n.d. 1975 11,4 10,5 n.d. n.d. 1980 32,9 36,2 27,0 35,7 1981 36,2 34,3 32,0 34,0 1982 33,8 31,9 34,0 31,2 1985 27,5 27,5 27,5 26,5 1986 15,0 - 14,4 13,0 1987 17,9 - 18,4 16,9 1990 22,2 20,7 23,8 20,5 1991 19,5 17,5 20,0 16,6 1992 18,4 17,9 19,4 17,2 1993 16,5 15,8 17,1 14,9 1994 15,5 15,3 16,0 14,8 1995 17,1 16,7 17,2 16,1 Fonte: Platt's Oilgram;Petroleum Intelligence Weekly Gli schemi interpretativi delle crisi energetiche sono numerosi : la quadruplicazione del prezzo del greggio, avvenuta tra il 1973 e il 1974, è un evento di enorme rilievo ed impatto. Al momento del suo verificarsi, alcuni economisti ed osservatori giudicano l'azione dell'OPEC come un errore, se non una follia, e prevedono un collasso del prezzo del greggio in tempi brevi. La più importante personalità che difese tale opinione fu Milton Friedman5, secondo il quale l'OPEC era un cartello instabile e destinato a disgregarsi. Secondo una prima interpretazione, l'OPEC è riuscita effettivamente a "cartellizzare" il mercato petrolifero mondiale, sfruttando il suo potere per spingere i prezzi oltre il livello di concorrenza (o determinato dal libero gioco della domanda e dell'offerta), restringendo a questo scopo i livelli di produzione. Un importante sostenitore di questa tesi è Robert Pindyck6 che ha testato empiricamente un modello in cui l'OPEC è vista come un'organizzazione fortemente coesa, un monopolista che tende a massimizzare il valore presente capitalizzato della sua rendita mineraria, tenendo un alto grado di controllo sul prezzo. Nel 1982, Pindyck ha poi rigettato questa sua formulazione estrema, pur mantenendo l'ipotesi dell'OPEC come cartello. Comunque, il modello empirico di Robert Pindyck resta importante perchè dimostra come inizialmente il prezzo in un mercato del monopolista è 5Newsweek, 4 marzo 1974 6Gains to producers from the cartelization of exhaustible resources , Review of Economics and Statistics, n. 2, May, 1978 29 sensibilmente più alto del prezzo concorrenziale, in linea con l'ipotesi teorica di Hotelling del 1931. Una seconda interpretazione sostiene che l'incremento del prezzo del greggio rifletteva semplicemente il mutamento delle condizioni di fondo del mercato, che si era andato verificando negli anni '60: la domanda mondiale di petrolio era andata crescendo rapidamente, la produzione non-OPEC era stagnante e i costi di estrazione stavano salendo. Come afferma Paul McAvoy,7"non c'era possibilità di evitare l'aumento di prezzo, necessario "to clear the market" dai continui incrementi di domanda di greggio". Questa tesi ha almeno due varianti. Ali Johany8 affermò che gli aumenti di prezzo erano il naturale risultato del trasferimento dei diritti di proprietà delle riserve di greggio dalle compagnie internazionali ai paesi arabi o meglio OPEC, verificatosi nei tardi anni '60 e all'inizio degli anni '70. Poichè i paesi produttori scontavano il futuro con una "discount rate" più bassa (cioè avevano un orizzonte temporale per lo sfruttamento delle risorse più lungo) che non le compagnie internazionali, sempre agenti sotto il timore dell'espropriazione, essi tentarono di effettuare una politica di "conservation" delle risorse, rifiutandosi di aumentare continuamente la loro produzione. Gli incrementi del prezzo del greggio sarebbero stati, quindi, la naturale conseguenza di questa mutata situazione. La seconda variante, dovuta a Ali Ezzani9, Cremer e Ishafani10 ed a David Teece11, non è basata sull'ipotesi di un comportamento deliberatamente collusivo dei paesi produttori, ma sull'assunto che sono i bisogni di investimento interno che determinano un livello desiderato di ricavi petroliferi. I bisogni di fondi da investire trovano un limite nella "absorption capacity" dei paesi produttori: quando i ricavi petroliferi soddisfano il livello di ricavi-obiettivo (target revenue), i paesi produttori non hanno più incentivo ad espandere la produzione ed i prezzi tendono a salire. I forti aumenti del prezzo del greggio, innescati dalla crisi iraniana del 1979, riaccendono il dibattito e di nuovo ci si trova di fronte a due spiegazioni alternative, una che privilegia la collusione tra paesi OPEC e l'altra che enfatizza il ruolo delle forze di mercato. Per alcuni, l'OPEC sfruttò la crisi iraniana per imporre prezzi più alti. Va ricordato che nel pieno della crisi, all'inizio del 1979, l'Arabia Saudita ridusse il suo livello di produzione. Questo comportamento è coerente con il concetto di un cartello OPEC in cui l'Arabia Saudita è il produttore che determina il prezzo, permettendo agli altri membri OPEC di produrre quanto desiderano a quel prezzo, agendo come "swing producer"12 che varia il suo output assorbendo fluttuazioni di domanda e offerta per 7Crude Oil Prices as Determined by OPEC and Market Fundamentals, Cambridge: Ballinger, 1982 8OPEC is not a Cartel, Doctoral Dissertation, University of California-Santa Barbara, 1978 9European Economic Review, Agust 1976 10Caress Working Paper No. 80-4, University of Pennsylvania, 1980 11OPEC Behavior: an Alternative View, in J.M. Griffin and David J. Teece eds., OPEC Behavior and World Oil Prices, London 1982 12Dermot Gately, A ten year Retrospective: OPEC and the World Oil Market, Journal of Economic Literature, September, 1984 30 sostenere il prezzo da esso deciso. Negli anni '70 era stato previsto13 che la produzione OPEC,nel decennio successivo, sarebbe dovuta salire a 45 milioni di b/g. Vedendo nel 1979 questo livello produttivo nè probabile nè desiderabile, l'OPEC accelerò la spinta all'aumento dei prezzi, approfittando della crisi iraniana e della bassa elasticità della domanda nel breve termine, date le aspettative che stavano spingendo ad uno stoccaggio precauzionale. La spiegazione alternativa è di nuovo basata sul cosiddetto libero gioco della domanda e dell'offerta: dopo la crisi iraniana, i prezzi spot continuarono a salire, inducendo vari membri OPEC a spuntare prezzi più alti. Ad aggravare la relativa tensione del mercato in quella fase ci fu un aggressivo processo di accumulazione di scorte da parte dei paesi consumatori. Questo fenomeno favorì, secondo i sostenitori della seconda tesi, un incremento del prezzo maggiore di quello che ci sarebbe stato altrimenti. Come nel periodo 1973-1979, nel periodo 1980-1983 l'economia mondiale entrò in una fase recessiva, in parte attribuibile all'incremento dei prezzi del petrolio. La domanda mondiale di petrolio greggio cadde di circa il 20 per cento, molto più che non la caduta del 6 per cento nel periodo 1973-1975. Ciò derivò dagli effetti combinati della recessione e del risparmio energetico, il primo quale risposta di breve termine agli aumenti dei prezzi del greggio del 1979-80, il secondo come effetto di lungo termine, indotto dalla quadruplicazione del prezzo del 1973-74. La domanda per il petrolio OPEC cadde ancor più pesantemente: nel 1973-1975 era scesa del 15 per cento ; nel 1980-1983 la diminuzione fu di tre volte tanto: parte della differenza fra il 1973-1975 e il 1980-1983 è spiegata dalla espansione della produzione non OPEC, pari a 15 milioni di barili/g nel 1983. All'inizio del 1983, la produzione OPEC risultò essere pari al 55 per cento del livello del 1973. I prezzi spot erano almeno il 20 per cento sotto il prezzo ufficiale di 34 dollari ed era iniziata una "guerra" di prezzo all'interno dell' OPEC con riduzioni unilaterali. L'OPEC affrontò infine la realtà di un mercato debole effettuando la sua prima riduzione del prezzo nominale del greggio, portandolo a 29 dollari, e tentò di imporre, ciò che prima non aveva fatto, un accordo sulle quote produttive fra i paesi membri. James Griffin14 offre una soluzione al problema di scelta tra i vari schemi interpretativi dell'andamento del prezzo del greggio e del mercato internazionale del petrolio nel periodo 1973-1983, sottoponendo a verifica empirica i vari modelli indicati (cartello, modello concorrenziale puro, modello di ricavi-obiettivo, modello dei diritti di proprietà). I risultati migliori vengono dati da un modello di cartello a "partial market sharing", cioè con imperfetto accordo sulle quote produttive. Degli 11 membri OPEC, il Kuwait, il Qatar, la Libia e il Venezuela manifestano una tendenza ad accettare quote di mercato più basse in un regime di prezzi elevati. Dei paesi OPEC che tendono a incrementare la quota produttiva quando il prezzo sale, si ha un raggruppamento che va dall'Arabia Saudita all'Indonesia. L'Arabia Saudita sembra usare gli incrementi di produzione per moderare gli aumenti di prezzo, mentre le stime per Indonesia e Nigeria riflettono una tendenza a incrementare la produzione di fronte a prezzi più alti, come ci si dovrebbe aspettare da piccoli produttori con comportamenti concorrenziali, cioè poco legati alla logica di cartello. Alla luce dei risultati di James Griffin, si propone una rilettura degli andamenti del mercato. All'inizio della cosiddetta "oil crisis", l'OPEC si considerò in modo miope come un monopolista (ovvero come un cartello operante come monopolio) nel mercato 13Workshop on Alternative Energy Strategies (WAES), 1977 14American Economic Review, vol. 75 n. 5, December 1985 31 energetico. Questa posizione si manifestò in una politica di prezzo che si può generalmente definire con la tradizionale espressione: "carica il prezzo più alto che il compratore può accettare" (charge what the traffic could bear). Questo comportamento è tecnicamente erroneo perchè non assicura la massimizzazione del profitto di lungo periodo. Tuttavia, date le condizioni di costo alle quali l'OPEC operava, la politica di cui sopra poteva trovare una spiegazione. Si deve tuttavia sottolineare di nuovo che essa fu applicata in modo assai miope. Infatti, tale impostazione indusse il cartello OPEC a trascurare l'elasticità di lungo termine della domanda di petrolio ed a decidere sulla base di una curva di domanda di breve termine, per definizione assai meno elastica e che si presumeva dovesse rimanere immutata nel tempo. Questa visione fu anche favorita dalla corsa al petrolio, immediatamente successiva allo shock del 1973 e determinata dalla aspettativa destabilizzatrice di un incombente "oil shortage", che prevalse allora nei paesi industrializzati. Ne nacque una situazione in cui, con prezzi del greggio già elevati, il compratore inseguiva il venditore, proponendo fra l'altro contratti di fornitura a lungo termine. In queste condizioni, in sintesi, l'OPEC seguì una politica di prezzo basata sul cosiddetto "crude" o "not adjusted" ricavo marginale e non sul ricavo marginale corretto o aggiustato, cioè senza prendere in considerazione gli effetti della politica di prezzo applicata al tempo zero sui livelli futuri sostenibili di domanda di greggio e di prezzo. Lo schema di ragionamento è basato sostanzialmente sull'ipotesi che il livello di prezzo che il monopolista applica in un dato periodo si riflette sul livello e sull'elasticità della domanda di lungo periodo e, quindi, sulla configurazione dei ricavi nel lungo termine. I fattori che determinano livello ed elasticità della curva di domanda(elasticità rispetto al prezzo e al reddito con la quale il monopolista o gli oligopolisti si confrontano) sono: disponibilità e livello di prezzo dei prodotti o beni sostitutivi; livello del reddito dei consumatori e coefficiente di intensità di uso (intensità petrolifera) rispetto a detto reddito (in questo caso, il GNP dei paesi importatori di greggio). Va subito aggiunto che il prezzo che il monopolista carica inizialmente ha effetto anche su livello e elasticità della curva di offerta. Caricando un prezzo del greggio molto elevato nel periodo iniziale, e cioè dal 1973, i produttori OPEC hanno determinato una situazione in cui : 1) il prezzo relativo delle fonti alternative e del risparmio energetico è divenuto più competitivo; 2) è divenuto conveniente lo sviluppo dell'esplorazione e della ricerca di greggio in aree extra-OPEC, con successiva entrata sul mercato di nuovi produttori e di nuova capacità di produzione da parte di paesi non-OPEC; 3) è stata indotta, almeno in parte, una stagnazione nei paesi industrializzati con conseguente effetto di reddito negativo sulla loro domanda di energia. In effetti, a partire dal 1982, l'assetto del mercato petrolifero internazionale è interessato da una fase del tutto nuova, caratterizzata da ribassi dei prezzi internazionali del greggio via via più accentuati. La politica dell'OPEC di "price defence" viene praticata con crescenti difficoltà fino al 1985 quando l'Arabia Saudita abbandona il ruolo di swing-producer per assumere quello di impresa dominante (dominant firm), che decide liberamente il suo livello di produzione. Con prezzi elevati, produzione elevata e quindi elevatissime entrate dall'export petrolifero (280 miliardi di dollari per l'intero gruppo di paesi dell'OPEC nel 1980), non sussistevano particolari problemi di coesione, ovvero di accordo sulle rispettive quote di export e di mercato. Tale politica non era però senza effetti sulla domanda mondiale di greggio e, in particolare ,su quello richiesto all' OPEC. Quest'ultimo era divenuto "swing oil"; i paesi consumatori si approvvigionavano in primo luogo con greggio non di provenienza OPEC, la cui produzione, esclusi i paesi ad economia pianificata, cresceva di più di 7,6 mb/g durante il periodo 1973-1985 a 32 causa dei rilevanti investimenti in esplorazione e sviluppo stimolati dai prezzi elevati degli anni '70 e iniziali anni '80 . In realtà, già nel 1981 ,su iniziativa dell'ENI, si era tenuta a Roma una importante conferenza tra i paesi produttori dell'OAPEC e i rappresentanti di paesi consumatori europei , durante la quale era stato proposto un approccio di collaborazione in materia di produzione e di prezzi al fine di promuovere lo sviluppo economico delle due aree15. Purtroppo l'iniziativa era rimasta senza conseguenze pratiche sino al momento del cambio di strategia da parte saudita . Come risultato della politica di price defence, la quota OPEC sul totale mondiale, esclusi i paesi ad economia pianificata , della produzione di greggio diminuiva da circa 2/3 a meno del 40 per cento, e l'output dell'OPEC cadeva a circa 15,7 mb/d nel 1985 contro i 31 mb/d nel 1979. La coesione tra paesi OPEC non era peraltro monolitica : non tutti i paesi membri commercializzavano il loro greggio a prezzi ufficiali. Il "fixed price" o l’"official selling price" erano applicati soltanto alle vendite dirette ufficiali di un paese o governo, le quali in realtà riguardavano soltanto una parte del totale delle esportazioni OPEC. Il rimanente era trasferito a prezzi orientati dal mercato, tramite meccanismi quali vendite di prodotti petroliferi raffinati, greggio equity prelevato da compagnie exconcessionarie, scambi di merci e "counter-trade". In pratica, solo una quota ridotta, il 30 per cento circa, funzionava come "frontal oil", a sostegno della struttura di "fixed price" interna all'OPEC. Ciò significa che paesi OPEC con più elevate quote di greggio venduto a prezzi ufficiali, come l' Arabia Saudita, dovevano sopportare un onere o perdite più onerose di altri membri dell'OPEC, quando i prezzi di mercato scendevano al di sotto dell' "official selling price". Il dilemma "price defence" -" market share "si manifesta con evidenza nel 1985, quando il ministro del petrolio saudita dell'epoca - lo sceicco Z. Yamani - decide per la seconda opzione, ovvero di non accettare ulteriormente il ruolo di swing-producer come sostegno ad una politica di alti prezzi. In tale anno il livello globale dell'export petrolifero OPEC si situa intorno ai 13,8 milioni di barili al giorno, con le esportazioni dell'Arabia Saudita più penalizzate che non quelle degli altri paesi membri. In questa specifica congiuntura nasce la "market share strategy", con l'export saudita che risaliva nel 1986 a 4,7 milioni di barili al giorno, anche grazie all'introduzione su scala sempre più ampia dei contratti a net-back, con i quali il paese produttore accetta un corrispettivo per il proprio greggio pari al valore dei ricavi derivanti dalla vendita sul mercato dei prodotti finiti ottenuti dal processo di raffinazione. In misura molto limitata risaliva anche l'export di greggio della maggioranza dei paesi OPEC. L'export totale passava da 13,8 a 16,2 milioni di barili/giorno16. In corrispondenza di questa espansione quantitativa dell'export, considerata come manifestazione di una "market share policy", si verificava una netta diminuzione dei ricavi dall'export petrolifero dell'OPEC da 133 a 75 miliardi di dollari USA. Nel 1987 la situazione era stata apparentemente "normalizzata" con la defenestrazione da Ministro del petrolio saudita dello sceicco Z.Yamani, al quale subentra il Ministro della programmazione Y. Nazer, e con il raggiungimento - in sede di riunione ministeriale OPEC - di un accordo su un prezzo base del greggio di 18 dollari il barile e su un rinnovato impegno al rispetto delle quote di produzione concordate. In questo 15Development Through Cooperation, Seminar between OAPEC, Italy and South European Countries, Rome, April 7th - 9th, 1981, in "Energia", Numero Speciale, Luglio 1981 16R. Mabro Ed., The 1986 Oil Price Crisis, Oxford University Press, Oxford Insitute for Energy Studies, 1988 33 nuovo contesto, i ricavi risalivano a 97 miliardi di dollari, i prezzi si situavano, in media di anno, intorno a 18$/ barile; il totale delle esportazioni ridiscendeva,però, dai 16,2 milioni di barili al giorno del 1986 ai 15,7 milioni barili del 1987, con la riduzione praticamente a carico dell'Arabia Saudita : dai 4,7 milioni di barili al giorno del 1986 ai 4,0 del 1987 , riproponendo per questo paese il dilemma "price defence "-" market share", che sarà sciolto a favore della seconda strategia ,anche se a costo dell'apertura di un contrasto all'interno dell'OPEC. I paesi esportatori con limitate risorse di greggio e con elevata densità di popolazione e/o ambiziosi piani di sviluppo economico industriale e quindi con esigenze finanziarie urgenti (tipico è il caso dell'Algeria ) hanno infatti da sempre sostenuto la politica della "price defence". Anche se tale politica è frutto di una strategia di massimizzazione dei ricavi petroliferi, essa ha però un orizzonte temporale ristretto. L'obiettivo è di massimizzare il flusso scontato delle entrate petrolifere nel breve termine, contando su una relativa anelasticità della domanda mondiale di greggio e su una relativa anelasticità dell'offerta non-OPEC di greggio. Tale politica è però razionale solo dal punto di vista del singolo paese esportatore con le caratteristiche descritte sopra: esso è infatti orientato, nelle sue decisioni fra produrre "oggi" e produrre "domani", da un elevato tasso soggettivo di preferenza temporale o tasso soggettivo di sconto, da cui deriva una definita preferenza per un profilo della produzione, esportazione, prezzo del greggio e cash flow, con punte iniziali elevate e rapido crollo o addirittura azzeramento, se il paese giunge all'esaurimento delle riserve. Da questo ragionamento emerge un paradosso: un paese esportatore del tipo descritto, mentre da un lato punterà ad alti prezzi iniziali del greggio, non avrà dall'altro lato alcun potere di fare il prezzo, di essere un price maker, nè da solo nè insieme agli altri paesi della sua tipologia, essendo implicitamente la sua offerta di greggio anelastica, cioè pressocché sempre vicina alla capacità produttiva. Con offerta anelastica il prezzo dipende dal livello e dall'elasticità della domanda; facendo l'ipotesi che questi paesi si trovino di fronte ad una scheda di domanda al netto della quota dell'Arabia Saudita, graficamente si può definire l'asserto ora esposto d1,d2 = livelli alternativi di domanda del petrolio q = offerta dei paesi che producono a piena capacità In tale grafico, la curva di offerta di greggio è verticale: cioè, a qualunque livello di prezzo, la quantità offerta è sempre presunta di piena capacità; a domanda di greggio elevata corrisponde il prezzo del petrolio p1 ,a domanda più bassa corrisponde il prezzo del petrolio p2; in altri termini, il livello del prezzo dipende dal livello della 34 domanda. Ci si può e ci si deve allora porre un quesito: come si verifica che i paesi come quelli descritti (es. Algeria, Indonesia, Venezuela e Libia) possano puntare ad una strategia di "price defence" quando non hanno una "price making capacity"? La spiegazione del paradosso va ritrovata nel fatto che l'OPEC, come cartello coeso e con precisa allocazione di quote produttive, non è in effetti esistito. Infatti tali paesi, dato il loro elevato tasso di sconto soggettivo, mal si adegueranno, e infatti solo in rari casi si sono avvicinati ad accettare un accordo intra-OPEC sulle quote produttive . Ne segue che l'ipotesi sottostante alla strategia della "price defence", sostenuta da questi paesi, riposa sull'assunto che i paesi membri OPEC con maggiori risorse e maggiore capacità produttiva svolgano un ruolo di "swing producer", comprimendo la loro produzione quanto necessita per sostenere il prezzo. E giungiamo quindi al concetto di "frontal oil" di Chalabi (OPEC Review dell'agosto 1988), essendo questo "frontal oil", su cui pesa tutta la struttura dei prezzi petroliferi, il greggio dell'Arabia Saudita venduto all' " official selling price". Questa logica può essere descritta e condotta ad una ratio esplicativa, grazie ad un altro grafico. Ponendo di nuovo il prezzo del greggio sull'asse delle ordinate e la quantità prodotta dall'Arabia Saudita su quella delle ascisse e assumendo che l'Arabia Saudita sia in grado di scegliere fra alternativi livelli di produzione, siano essi per semplicità q1, q2, q3, ove q3> q2> q1, si ha che p1 corrispondente a q1 è maggiore di p2 corrispondente a q2, a sua volta maggiore di p3 corrispondente a q3 (vedi grafico 2). d = curva di domanda aggregata di petrolio q1, q2, q3 = possibili livelli alternativi di offerta del paese leader (Arabia Saudita) Ne segue che in effetti l'Arabia Saudita mantiene un elevato potere di fare il prezzo, per il semplice fatto che la sua produzione ha un rilevante peso sulla produzione OPEC ed è, soprattutto, elastica, cioè espandibile e comprimibile sia per l'ampia capacità produttiva disponibile sia per il basso Rs o tasso di sconto soggettivo. Essendo quindi l'Arabia Saudita l'effettivo "price maker" nell'ambito dell'OPEC e, in sostanza , sul mercato internazionale del greggio, si possono ricongiungere i due grafici e vedere meglio la logica dei paesi che sostengono la strategia di "price defence". Il grafico 3 evidenzia infatti come questi paesi godano di maggiori entrate (l'area del 35 rettangolo p1xq è > dell'area p2xq > di p3xq) quanto più l'Arabia Saudita si assume il ruolo di swing producer . d = curva di domanda di petrolio per l'Arabia Saudita a fronte di livelli alternativi di produzione di tale paese (q1, q2, q3) q = offerta dei paesi che producono a piena capacità Per contro, i paesi OPEC, con ampie riserve di greggio ed elevata capacità produttiva, con bassa densità di popolazione e/o con piani di sviluppo economico-industriali commisurati alla loro dimensione, vorranno evitare il ripetersi del ciclo storico 19821986 che ha visto la caduta sia del prezzo del greggio sia delle esportazioni. Per le caratteristiche ora descritte, essi saranno orientati, nelle loro decisioni di prezzo e di produzione, da un basso o relativamente basso tasso soggettivo di sconto; essi punteranno alla massimizzazione del flusso scontato dei loro "cash flows" su un orizzonte di tempo assai più lungo di quello considerato dagli strateghi della "price defence". Paesi come l'Arabia Saudita sono i naturali sostenitori di una strategia "market share" o quota di mercato, non solo nel senso di voler preservare un'elevata quota del mercato per l'OPEC, ma per il greggio in generale rispetto ad altre fonti energetiche . La loro preoccupazione principale è di non abbassare l'elasticità e il livello della domanda di greggio OPEC, evitando di stimolare con elevati prezzi la ricerca e l' esplorazione di nuove riserve di greggio non-OPEC e la sostituzione del greggio con altre fonti energetiche, incluso il risparmio energetico nei paesi consumatori. Ciò effettivamente può garantire la massimizzazione del valore attuale dei flussi di revenues petroliferi, dato che, come si è detto, sono orientati da relativamente bassi tassi soggettivi di sconto. Questa strategia ha cominciato ad essere attuata nella seconda metà degli anni '80 con la politica di recupero di ruolo del petrolio OPEC sul mercato dell'energia, guidata dall'Arabia Saudita Tra il 1986 ed 1i 1989, le quotazioni del greggio si sono mosse in una fascia compresa tra i 14 ed i 18 $/b, con riferimento alla quotazione media annua del Brent, rispetto ad 36 una media dei primi anni ‘80di circa 30 $/b. 3.1.3 La crisi del Golfo e l’affermazione delle regole di mercato Il ritorno alla logica di mercato e la creazione di un nuovo clima , anche a seguito degli avvenimenti che hanno portato al crollo del sistemi di economia pianificata ,sono stati messi alla prova dalle vicende drammatiche della crisi del Golfo, iniziata nell'agosto del 1990 con l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq . Il possibile avvio di una spirale di aumenti dei prezzi del petrolio, simile a quella che aveva caratterizzato il periodo della rivoluzione iraniana e poi le prime fasi del conflitto tra Iraq-ed Iran, è stato contrastato efficacemente. Dal lato dell'offerta, il forte aumento della produzione dell'Arabia Saudita ha ampiamente compensato il deficit di Iraq e Kuwait ed ha dimostrato l'attenzione della maggioranza dei paesi produttori al tema della continuità delle forniture, in attuazione di una politica di "market share" che riconosce sempre di più il ruolo delle forze di mercato. Nel corso del 1990, la produzione di greggio saudita è passata dai 5,6 milioni di b/g del mese di agosto ai 7,5 milioni di b/g di settembre e, infine, agli 8,4 milioni di b/g del mese di dicembre. Produzione di Arabia S.,Iraq,Kuwait 16000 14000 migiaia di b/g 12000 Saudi Arabia 10000 Kuwait 8000 Iraq 6000 4000 2000 19 94 19 92 19 90 19 88 19 86 19 84 19 82 19 80 0 Gli incrementi produttivi degli altri paesi sono stati molto più contenuti e nella maggior parte dei casi non hanno superato livelli di 0,3-0,5 milioni di b/g. Anche l'andamento della domanda ha avuto un ruolo positivo: il progressivo esaurirsi del ciclo espansivo dell'economia americana e il rallentamento dell'attività anche in Europa hanno determinato, infatti, una netta inversione della tendenza all'aumento dei consumi di prodotti petroliferi nell'area dell'OCSE . I consumi del complesso dei paesi OCSE sono stati , nel quarto trimestre 1990, in flessione del 4,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. I governi dei paesi consumatori ,dal canto loro,di fronte ai gravi rischi che la nuova crisi del Golfo poteva comportare sugli approvvigionamenti di greggio, avevano ,sin dal mese di agosto, manifestato l'intenzione di attivare tutti i meccanismi disponibili e pianificati da tempo per far fronte ad eventuali emergenze, specie attraverso l'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE). Inoltre, per dimostrare questa determinazione, il Governo americano sul finire del 37 settembre '90 aveva annunciato una prima vendita di greggio proveniente dalla riserva strategica per calmierare i prezzi del greggio, che dai circa 20 dollari al barile all'inizio di agosto erano saliti sino ad oltre 40 dollari al barile. In effetti, a partire dal mese di ottobre '90, le quotazioni del greggio iniziavano un processo di ridimensionamento, sia pure in un contesto di elevata volatilità, verso i 28 dollari al barile sul finire dell'anno. Dopo la prima azione di guerra nella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, mentre i governi dei paesi AIE ribadivano di essere pronti ad adottare tutte le opportune misure di emergenza, con particolare riferimento all'immissione sul mercato di greggio da prelevare dagli stoccaggi strategici e all'adozione di misure di controllo della domanda, le prospettive di un pesante coinvolgimento dei centri di produzione e di esportazione di greggio dall'area del Golfo apparivano sempre più remote .In presenza di un atteggiamento Opec di massima apertura, le quotazioni del greggio Brent scendevano , dopo fasi alterne, sino a circa 18 dollari al barile. Anche nelle settimane successive del mese di gennaio, i prezzi del Brent rimanevano intorno ai 20 dollari al barile, in quanto i pur drammatici sviluppi del conflitto e le gravi distruzioni del potenziale produttivo del Kuwait non arrivavano a comportare sostanziali limitazioni al traffico delle petroliere dai centri di esportazione dell'Arabia Saudita e dell'Iran , ma solo temporanei ritardi e aumenti nei noli e nelle assicurazioni. Cosi, nella seconda parte del mese di febbraio, nonostante l'approssimarsi dell'offensiva terrestre per la liberazione del Kuwait, i prezzi del Brent scendevano a circa 17 dollari al barile. Con l'inizio dell'attacco terrestre, le quotazioni si sono poi andate riportando verso i 20 dollari al barile, dove si sono attestate al momento della cessazione delle ostilità: 28 febbraio 1991. La forte variabilità dei prezzi durante la crisi del Golfo conferma da un lato la forte influenza sul mercato delle transazioni effettive di greggio e di prodotti dei mercati, dove si contrattano i cosiddetti "paper barrel" (barili di carta) e dove i fattori contingenti e le aspettative hanno spesso il sopravvento su quelli di fondo (i "fundamentals") e ,dall'altro, la minore influenza delle impostazioni di tipo ideologico, che avevano caratterizzato l'atteggiamento dei paesi produttori in occasione delle precedenti crisi 17. Nei mesi successivi del 1991, le spinte al rialzo, determinate sia da fattori tecnici relativi a difficoltà produttive sia da fattori politici ,come il tentativo di colpo di stato nella ex-Unione sovietica , non hanno alterato la tendenza di fondo al mantenimento dei prezzi del greggio nella fascia dei 18-20 dollari /barile . A partire dal 1992 e sino a tutto il 1995 i prezzi del greggio sono stati caratterizzati da una forte variabilità all’interno di una fascia di oscillazione (trading range), compresa tra i 14 ed i 20 $/b ,su base trimestrale,per il Brent. Nel 1992 la quotazione spot FOB del Brent, in media annua, è stata di 19,4 $/b, contro i 20,0 del 1991, con una diminuzione del 3,1 per cento; il corrispondente valore per il Dubai è stato di 17,2 $/b, contro i 16,6 del 1991 .Il differenziale tra questi due greggi, collegato all'andamento dei prezzi dei prodotti,è diminuito dai 3,5 $/b ai 2,2 $/b . Nel primo trimestre il prezzo medio del Brent è stato di 18,0 $/b, per poi passare nel secondo trimestre in una fase di tensione a 20,0 $/b. Le quotazioni hanno risentito da un lato del buon andamento della domanda e ,dall’altro, della diminuita offerta dalla exURSS, delle manovre speculative innescate dall’embargo decretato dall'ONU contro la Libia e della perdurante carenza della produzione irakena Nel terzo trimestre, la quotazione spot FOB media del Brent è stata di 20,1 $/b in presenza di una rilevante diminuzione del differenziale di qualità rispetto al Dubai, a motivo della debolezza dei prezzi della benzina e del rafforzamento delle quotazioni dell'olio combustibile ATZ. 17W.G. Prost, H.L. Lax, Oil-Futures Markets, Lexington Books, Lexington, Massachussets, 1983 38 Nel quarto trimestre il prezzo del Brent è sceso a 19,2 $/b, in una fase di domanda invernale debole e di scarsa disciplina all’interno dell’OPEC. Nel 1993 il mercato petrolifero ha risentito di una domanda debole, mentre dal lato dell’offerta si è registrata una sensibile crescita della produzione del Mare del Nord a fronte di una offerta OPEC, che più volte si è rivelata in eccesso rispetto ai fabbisogni effettivi del mercato e dell’aspettativa di un rientro della produzione dell’IRAQ. In questo anno, il prezzo medio del Brent su base annua (17,1 $/b) ha quindi registrato una nuova riduzione rispetto all’anno precedente, mentre la quotazione del Dubai ha subito una flessione analoga, lasciando invariato il differenziale tra i due greggi . Nel corso dell’anno le quotazioni del Brent, che nei primi due trimestri si erano mantenute su un valore medio di 18,2-18,3 $/bl, dopo aver perso terreno nel terzo trimestre sino a 16,6 $/bl, sono cedute ulteriormente sino ai 15,0 $/bl di fine anno; la riunione OPEC, svoltasi a novembre per fronteggiare la situazione, non è infatti riuscita,secondo uno schema ormai consolidato, a raggiungere un accordo sui livelli produttivi, limitandosi a lanciare un appello, senza risposta, ai produttori non OPEC a ridurre la propria produzione. Nel 1994 il prezzo medio annuo del Brent ha toccato i 16 $/b ,uno dei valori più bassi registrati dopo il 1986, mentre il differenziale Brent-Dubai si è ulteriormente ridotto a 1,2 $/b. Sul fenomeno, tra l’altro inatteso,hanno inciso diversi fattori, tra cui la minore disponibilità sul mercato europeo di greggi pesanti e ad alto contenuto di zolfo, il contemporaneo sensibile aumento dell’offerta di greggi del Mare del Nord leggeri e a basso contenuto di zolfo e, infine, una domanda particolarmente debole di prodotti medi e leggeri, evidenziata dall’ andamento dei prezzi relativi di questi prodotti rispetto al greggio. La variabilità,su base trimestrale, del prezzo del Brent rispetto al valore medio annuo è stata notevole. Nella prima parte dell’anno, la possibilità del ritorno sul mercato del greggio dell'Iraq ha spinto al ribasso i prezzi del Brent, sino a 13,90 $/barile ; successivamente, acquisti speculativi di "paper barrels”, rallentamenti produttivi nel Mare del Nord, ripetuti blocchi della produzione Nigeriana, guerra civile nello Yemen hanno spinto al rialzo i prezzi, sino a superare nella prima decade di agosto i 19 $/bl .Il venir meno di questi elementi congiunturali ha successivamente determinato una spinta al ribasso dei prezzi,sempre del Brent, verso i 16 $/b. Nel 1995 la quotazione media annua del Brent è risalita a 17,2 $/b in un contesto caratterizzato da oscillazione meno pronunciate rispetto a quelle dell’anno precedente ; il differenziale Brent -Dubai ha registrato ,dal canto suo, il valore medio minimo dell’ultimo decennio (1,1 $/bl), a causa dell'ampia offerta di greggi leggeri e sweet e della carenza dell'offerta dei greggi pesanti e ad alto contenuto di zolfo, amplificata dalle continue interruzioni delle esportazioni del greggio pesante Ural proveniente dal Mar Nero. Su base trimestrale il prezzo del Brent è passato da un valore medio di 17,1 $/b del primo trimestre a 18,1 $/b del secondo trimestre; questo rialzo è stato alimentato, come già accaduto nel 1994, da fattori prevalentemente congiunturali, come le forti tensioni tra gli Stati Uniti e l’ Iran e la Libia , lo sciopero dell'industria petrolifera brasiliana per l'intero mese di maggio e ,dal lato della domanda, la ripresa dei consumi di benzine negli Stati Uniti. Con il terzo trimestre, il mercato petrolifero internazionale è tornato a riflettere un'offerta più che sufficiente a soddisfare la domanda; i prezzi dei greggi di conseguenza sono tornati sui valori di inizio d'anno con il Brent a 16,2 $/bl, per poi risalire nell'ultimo trimestre dell'anno a 17,0 $/bl. In conclusione, la prima metà degli anni 90’ si caratterizza per un netto prevalere dei fattori economici rispetto a quelli politici che avevano contraddistinto,invece, i due decenni precedenti. 39 Di fronte ad una produzione extra-OPEC che si fa sempre più consistente, l'Arabia Saudita e gli altri paesi OPEC non si impegnano nè in una guerra di prezzi attraverso un aumento sostanziale dei volumi produttivi, nè in una politica di rigido controllo dell'offerta. Con questo atteggiamento, l'OPEC tende a collocare sul mercato la sua produzione accettando che il prezzo venga determinato dal gioco della domanda e dall'offerta. Il sistema delle quote di produzione, pur se mantenuto in vigore, non costituisce una strozzatura all'offerta, anche perchè i tetti produttivi continuamente rivisti vengono praticamente a coincidere con i quantitativi richiesti dal mercato. Ne emerge che il termine di cartello diviene del tutto riappropriato per descrivere il comportamento dell'OPEC, mentre si può parlare con più realismo di un mercato petrolifero fortemente concorrenziale. D'altra parte, l'unico paese in grado di esercitare una politica di controllo dell'offerta, l'Arabia Saudita, non ritiene opportuno attuare questa opzione per la possibilità di minori entrate nel breve termine e il pericolo di perdita di quota di mercato nel lungo termine. Conseguenza diretta di questo assetto del mercato è la crescente volatilità delle quotazioni ;d’altra parte, in un sistema dove i margini di risposta a fatti non previsti si vanno facendo sempre più esigui ,anche per la politica di costante riduzione degli stoccaggi attuata dagli operatori per contenerne i relativi costi, anche fattori, certamente non drammatici, come le punte stagionali di domanda o problemi dal lato offerta, possono diventare capaci di innescare forti rialzi dei prezzi, sia pure su base temporanea. 3.1.4 I prezzi dei prodotti Dopo la stabilità degli anni '60, le crisi petrolifere determinano forti oscillazioni anche sui mercati internazionali dei prodotti petroliferi, a prescindere dall'impatto della fiscalità dei singoli paesi consumatori . Gli andamenti dei prezzi dei prodotti sono notevolmente differenziati rispetto a quelli del greggio in relazione alle caratteristiche dei mercati di utilizzo, alla maggiore o minore sostituibilità con altri prodotti energetici e, in ultima analisi, al profilo della domanda . Sul mercato di Rotterdam ,il più rappresentativo della realtà europea, il prezzo della benzina, il prodotto meno sostituibile e, quindi, anche il più sensibile ai segnali del mercato, è passato dai 33 $/t (media annua) dei primi anni settanta ai 129 $/t del 1975, ai 371 $/t del 1981 in corrispondenza della massima quotazione del prezzo del petrolio. Negli anni successivi, i prezzi di questo prodotto sono andati diminuendo, ma non alla stessa velocità di quelli del greggio, mantenendosi ben al di sopra dei 250 $/t. Le quotazioni sono crollate solo nel 1986 (162 $/t su base annua) in coincidenza con la nuova politica di offerta perseguita dall'Arabia Saudita e con l'accettazione del principio del "net-back pricing " . Nel 1987 il prezzo della benzina ha recuperato però oltre 16 $/t, per poi perdere 10 $/t nel 1988, ma riguadagnare di nuovo sino a 208 $/t nel 1989. La variabilità del prezzo della benzina è anche ben indicata dall'andamento del valore del rapporto tra il prezzo spot della benzina sulla piazza di Rotterdam e il prezzo del greggio: quest'ultimo valore, dopo aver superato il livello di 450 negli anni della prima crisi petrolifera, supera ampiamente il livello di 290 in occasione della seconda crisi, per poi scendere a meno di 130 negli anni successivi, in corrispondenza del lungo periodo di flessione della domanda petrolifera . Con la nuova fase espansiva dei consumi avviata dopo il 1986, il valore del rapporto benzina /greggio, sempre su base trimestrale, appare in recupero verso il livello di 150. Il prezzo internazionale del gasolio, utilizzato per trazione e riscaldamento, dove è in concorrenza con il gas naturale, registra forti incrementi, anche se meno accentuati di 40 quelli della benzina: da una quotazione di 25-30 $/t degli inizi degli anni settanta si passa nel 1975 a 100 $/t , in media annua , sulla piazza di Rotterdam; nel 1979 si arriva poi ad una quotazione, sempre in media annua, di 307 $/t .Nel periodo 19801985, le quotazioni registrano un netto arretramento, anche se si mantengono al di sopra dei 230 $/t soprattutto per la tenuta della domanda del settore dei trasporti . Il 1986 segna una brusca diminuzione sino a 142 $/t, che si accentua ancora nel 1988 con 135 $/t, prima del recupero del 1989 con 161 $/t . Particolarmente significativo l'andamento del prezzo relativo del gasolio rispetto al greggio che, dopo aver superato il valore di 390 e 263 in occasione, rispettivamente, della prima e della seconda crisi, scende verso valori di circa 110 negli anni successivi, caratterizzati da forti flessioni di domanda in Europa e Nord America. Con la ripresa dei consumi, a partire dalla seconda metà degli anni '80, particolarmente vivace nel Nord America e nel Pacifico, il prezzo relativo del gasolio, rispetto al greggio, mostra segni di recupero La dinamica del prezzo dell'olio combustibile, che ha risentito in maniera crescente della concorrenza del carbone e del gas naturale, negli usi termici industriali e nella produzione termoelettrica, e dell'energia nucleare nella generazione elettrica, è caratterizzata da aumenti inferiori a quelli degli altri prodotti meno sostituibili: da una quotazione ,sul mercato di Rotterdam, di circa 13-18 $/t prima del 1973 si passa ad una quotazione di 67 $/t nel 1975 e a 183 $/t nel 1981. Nel periodo successivo i prezzi tendono al ribasso, ma nel 1984, in concomitanza con lo sciopero dei minatori inglesi che blocca la produzione di carbone di quel paese, le quotazioni dell'olio combustibile, l'unica fonte in grado di sostituire il carbone negli impianti termoelettrici alimentabili a doppio combustibile, risalgono per effetto della forte domanda sino ad oltre 180 $/t. Nel 1986, però, la nuova politica saudita di offerta di greggio comporta un tracollo dei prezzi dei prodotti e ,in particolare , di quelli dell'olio combustibile, che scendono a 73 $/t, appena 12 $/t al di sopra delle quotazioni del 1975, un livello che dovrebbe renderlo di nuovo competitivo nei confronti del carbone e del gas naturale. Dopo un recupero nel 1987, seguito da una nuova flessione al di sotto dei 70 $/t, il prezzo dell'olio combustibile riesce a riportarsi a 87 $/t nel 1989 in relazione al miglior clima di mercato. Si verifica inoltre un graduale aumento del differenziale di prezzo tra olio combustibile a basso tenore di zolfo ,il cui utilizzo in alcuni casi diviene praticamente obbligato per rispettare gli standard di qualità dell'aria , e olio combustibile ad alto tenore di zolfo. L'andamento del prezzo relativo dell'olio combustibile rispetto al greggio dimostra, ancor più del livello assoluto dei prezzi, la difficoltà ,in questo periodo, di seguire la dinamica del greggio. Il suo spazio di mercato ,specie per la qualità ad alto tenore di zolfo, si va infatti sempre più restringendo a causa delle normative sulla qualità dell'aria che si fanno sempre più severe. Il valore del rapporto olio combustibile ad alto tenore di zolfo/greggio, dopo aver superato, su base annuale, il valore di 100 nei momenti di crisi o in occasione di eventi eccezionali, come il già richiamato sciopero dei minatori inglesi, mostra una chiara tendenza al ridimensionamento intorno ad un livello di 60-65. La crisi del Golfo porta ad un fortissimo aumento delle quotazioni dei prodotti che raggiungono, a partire dal secondo trimestre del 1990, livelli analoghi a quelli raggiunti in occasione della seconda crisi energetica . Il prezzo medio della benzina nel quarto trimestre, sempre 1990, si posiziona sui 325/t rispetto ai 216 $/t del primo trimestre (+50%), mentre quello del gasolio raggiungeno i 296 $/t rispetto ai 175 $/t del primo(+69%). Molto accentuato anche l’aumento dei prezzi del kerosene-jet dai 197$/t ai 366 $/t, sempre tra il primo ed il terzo trimestre 1990. L’aumento dei prezzi dei prodotti leggeri e medi interessa anche gli oli combustibili, con variazioni del 51% per l’olio combustibile ATZ e del 30% per quello BTZ. 41 Con la fine della Guerra del Golfo, anche i prezzi internazionali dei prodotti petroliferi sono caratterizzati da sensibili riduzioni, sia pure in un contesto di volatilità che si andrà accentuando negli anni successivi, con sviluppi inattesi relativamente ai rapporti tra i prezzi dei diversi prodotti . Nel 1992 la quotazione media della benzina super, per valori spot FOB Rotterdam, è stata di 211 $/t, con una riduzione del 10,6 per cento rispetto al 1991;il prezzo della virgin naphtha, che si era indebolita meno degli altri prodotti nel 1991, è diminuito dell'11,3 per cento, scendendo a 185 $/t.Anche i distillati medi hanno registrato notevoli flessioni: meno 11,8 per cento il gasolio, e meno 12,0 per cento il jet kerosene, con valori, rispettivamente, di 177 e 196 $/t. I prezzi degli oli combustibili, nonostante la diminuzione del prezzo del greggio, sono risultati stabili o in aumento. Per l'olio combustibile BTZ la quotazione media annua è stata di 92 $/t, come nel 1991, mentre per l'olio combustibile ATZ si è avuto un rafforzamento delle quotazioni, con 82 $/t (5,2 per cento in più rispetto all'anno precedente).D’altra parte la crisi del Golfo aveva avuto conseguenze soprattutto sui prodotti leggeri e medi anche in relazione agli eccezionali spostamenti di mezzi navali ,aerei e terrestri verso il medio Oriente. In termini di scala valori si è avuta una sensibile riduzione dei valori relativi a benzina(144) e gasolio(121), mentre quelli relativi agli oli combustibili si sono rafforzati . I margini di raffinazione ,molto sensibili alle quotazioni della benzina e del gasolio rispetto al greggio, hanno cosi registrato una netta riduzione rispetto all’anno precedente(-43%). Il 1993 è stato caratterizzato da ulteriori riduzioni dei prezzi dei prodotti in valori assoluti ;in termini di scala valori si è peraltro avuto un apprezzamento dei prodotti medi come il kerosene, il gasolio e dell'OC BTZ, mentre si sono indebolite le quotazioni della virgin naphta, che ha risentito di un basso profilo della domanda dell' industria petrolchimica, e dell’olio combustibile ATZ. In questo contesto i margini di raffinazione sono migliorati nella misura del 17%. Il 1994 è stato dominato da andamenti non coerenti con le aspettative deli operatori :si è infatti verificata una nuova forte riduzione dei prezzi dei prodotti leggeri e medi a fronte di un un rafforzamento delle quotazioni dell’olio combustibile ,in particolare di quello ad alto tenore di zolfo che sembrava destinato a scomparire rapidamente dal mercato. In particolare, la flessione dei prezzi delle benzine ha risentito del sensibile calo delle importazioni USA dall'Europa18 a causa del cambiamento delle specifiche qualitative richieste,del manifestarsi di un surplus di capacità di conversione sul mercato europeo; quella dei gasoli è stata invece determinata da fattori più congiunturali, quali le condizioni climatiche invernali particolarmente miti degli ultimi due mesi del 1994 sia in Europa che negli USA e nell'area del Pacifico. Per contro i forti aumenti dei prezzi degli oli combustibili sono stati determinati dalla forte richiesta da parte dei mercati del sud est asiatico, in un contesto di minore disponibilità di questo prodotto, a sua volta influenzata dalle frequenti interruzioni delle esportazioni di greggi pesanti dal Mar Nero e dalla maggiore produzione OPEC di greggi leggeri al posto di quelli pesanti e ,infine, dalla strutturale riduzione delle rese di olio combustibile conseguente alla maggiore sofisticazione delle raffinerie. La scala valori evidenzia l'entità del cambiamento con un deterioramento dei valori relativi a benzine(140) e gasoli(121), a fronte di un apprezzamento di quelli relativi agli oli combustibili (75 per la qualità BTZ). Una combinazione di fatti congiunturali e di fatti strutturali ha così portato ad una situazione particolarmente negativa per l’industria della raffinazione europea e 18L'Europa è strutturale esportatore di benzine verso gli USA per volumi variabili tra 3 e 5 milioni di tonn. anno. 42 ,paradossalmente,proprio per gli impianti più sofisticati, quelli capaci di produrre elevati quantitativi di prodotti leggeri e medi a scapito di quelli pesanti. I margini di raffinazione sono infatti diminuiti del 25 % rispetto all’anno precedente. Nel 1995 le quotazioni dei prodotti ,in un contesto di elevata volatilità,hanno registrato in media annua un diffuso recupero,inferiore però per molti prodotti all’aumento del greggio . In termini di rapporti, rispetto a questo ultimo si è avuto, infatti, un netto peggioramento della situazione relativamente ai prodotti leggeri e medi . Il mercato delle benzine ha continuato a risentire della persistente sovracapacità di impianti di raffinazione orientati a benzina , di ostacoli all’esportazione verso gli USA e di una domanda poco vivace anche per la maggiore competitività delle auto diesel rispetto a quelle diesel in vari paesi europei; i prezzi del gasolio dal canto loro hanno risentito di condizioni climatiche abbastanza favorevoli. L’ulteriore rafforzamento dei prezzi degli oli combustibili rispetto al greggio è stato determinato, non diversamente dal 1994, da una forte domanda, da parte dei mercati del sud est asiatico e dalla persistente scarsa disponibilità del prodotto . La scala valori ha cosi visto il prezzo della benzina scendere a 137, quello del gasolio a 118, mentre quello dell’olio combustibile BTZ saliva a 79 . In questo quadro i margini di raffinazione hanno subito una ulteriore diminuzione con delle punte particolarmente basse nella prima parte dell’anno, mentre successivamente si è manifestato un certo recupero . 3.1.5 La raffinazione Mentre la domanda di prodotti petroliferi risente immediatamente degli aumenti dei prezzi del greggio che si manifestano a partire dal 1973, la fase di intenso sviluppo della capacità di raffinazione in tutte le aree del mondo non sembra subire interruzioni, dato che molti operatori ritengono, a torto, che i cali di domanda possano essere presto riassorbiti. La capacità mondiale di raffinazione passa, infatti, dai 3,2 miliardi di t/anno del 1973 ai 3,6 miliardi di t del 1975, ai 4,2 miliardi di t nel 1980; ma nelle principali aree economiche i segni di cambiamento sono sempre più evidenti con il progressivo concentrarsi delle nuove realizzazioni nei paesi produttori. Inoltre, dopo il 1980 , con la forte diminuzione dei consumi di prodotti petroliferi e, in particolare, di olio combustibile sostituito in modo sempre più massiccio da altre fonti, l'industria della raffinazione non può più rinviare un radicale processo di ristrutturazione, per tener conto della nuova composizione del barile di domanda che si va sempre più modificando ed alleggerendo a favore di prodotti quali le benzine, i gasoli, il kerosene per aerei e i prodotti speciali. Tra il 1980 e il 1985, la capacità mondiale di raffinazione scende da circa 4,2 miliardi di t a 3,7 miliardi di t, con forti tagli negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale che perdono quota a favore delle nuove raffinerie localizzate nel Medio Oriente, secondo un modello che aveva caratterizzato le prime fasi di sviluppo dell ' industria petrolifera mondiale . A partire dal 1986, il processo di riorganizzazione della industria petrolifera assume un nuovo profilo connotato da profonde differenze tra l’area OCSE ed i paesi in rapido sviluppo dell’Asia. Gli elementi più significativi di questo processo sono: ulteriore modifica del barile di domanda in presenza di una domanda complessiva non particolarmente brillante nell'area OCSE; eccezionale sviluppo della domanda petrolifera sui mercati dell'Asia, con una struttura del barile orientata in prevalenza verso i prodotti medi. Negli Stati Uniti, con gli emendamenti approvati nel Clean Air Act del 1990, è entrata in vigore una legislazione che ha determinato nuove specifiche tecniche delle benzine (contenuto massimo di benzene, il peso minimo di ossigeno e di MTBE o di altri 43 ossigenati etc.).Tale legislazione ha avuto un peso decisivo con progressiva estensione del suo campo di applicazione ai vari stati, a partire da quelli più soggetti a problemi ambientali . La riduzione degli aromatici ha richiesto un potenziamento della capacità di isomerizzazione e di alchilazione e la costruzione di nuovi impianti per la produzione di MTBE ottenuto da metanolo da gas naturale e da isobutilene di raffineria. Dall'ottobre 1993,inoltre, il contenuto massimo di zolfo nel gasolio per autotrazione è passato dallo 0,3 per cento, in peso, allo 0,05 in gran parte del territorio degli Stati Uniti. Parallelamente all’adeguamento qualitativo di molti impianti ,negli Stati Uniti sono state chiuse molte raffinerie di piccole dimensioni: tra il 1985 ed il 1995 la capacità di raffinazione è passata da 15,5 a 15,2 milioni di b/g, mentre il coefficiente di utilizzo degli impianti è passato dal 78 al 92%. Nonostante l’aumento del tasso di utilizzo delle raffinerie , si è venuto a manifestare a metà degli anni 90’un deficit crescente di prodotti leggeri (25 milioni di t), prodotti medi (22 milioni di t), prodotti pesanti (18 milioni di t). Anche in Europa la legislazione di tipo ambientale ha avuto un notevole impatto sulla industria della raffinazione in aggiunta a quanto richiesto dalla evoluzione della domanda di prodotti, con un peso crescente dei prodotti leggeri e medi . L'adeguamento della capacità a standard di qualità sempre più stringenti comporta e comporterà la necessità di ingenti investimenti,con particolare riferimento agli impianti di conversione in grado di aumentare le rese di distillati medi, alla desolforazione dei prodotti ed alla eliminazione dei residui pesanti. Per effetto del processo di ristrutturazione, sempre nel periodo 1986-1995, la capacità di raffinazione dell'Europa Occidentale è scesa da 17.4 a 16.6 milioni di b/g, mentre il coefficiente di utilizzo degli impianti è passato dal 65 all'87%. Nonostante la riduzione di capacità primaria a livello globale, in Europa si è andato manifestando negli ultimi anni un notevole deficit non solo di olio combustibile, ma anche, ed in misura crescente, di distillati medi, mentre la capacità orientata a benzine si è rivelata superiore alla domanda, in quanto, specie agli inizi degli anni novanta, la costruzione di nuova capacità secondaria è stata prevalentemente orientata alle benzine, nell’aspettativa di una forte crescita della domanda di questo prodotto . In Giappone la capacità di raffinazione è passata da 5 (1985) a 4,9 milioni di b/g (1995) ed il coefficiente di utilizzo è passato dal 63 all’85% Nonostante il surplus di capacità primaria, questo paese si caratterizza quale importatore netto di prodotti leggeri come il GPL (15 milioni di t) e di virgin naphta (20 milioni di t), con scarse prospettive di modifica di questa situazione che, al contrario, è destinata ad accentuarsi con un notevole impatto sui mercati internazionali. In passato il Giappone aveva tradizionalmente puntato alla sicurezza attraverso la programmazione degli approvvigionamenti e la stipula di accordi di lungo termine con i paesi produttori, ma, con la liberalizzazione di quel mercato, lo scenario è drasticamente cambiato. Mentre nell’area Ocse il settore della raffinazione è dominato dai processi di riorganizzazione, l’elemento dominante su quelli asiatici è quello dello sviluppo; la capacità di raffinazione di questa area,sempre tra il 1985 e il 1995, è passata da 6,9 a 10,8 milioni di b/g, mentre il coefficiente di utilizzo degli impianti è passato dal 79 all'88%. Nonostante l’aumento della capacità, si sono andati manifestando squilibri in tutti i prodotti progressivamente più accentuati nel caso dei distillati medi e dell'olio combustibile per un totale di circa 70 milioni di t. In conclusione, a metà degli anni ’90, nonostante un gigantesco processo di riorganizzazione nel sistema di raffinazione mondiale, permangono forti squilibri esaltati dalla specificità delle realtà regionali e dalla frammentazione dei mercati in relazione alle diverse specifiche dei prodotti che rendono più difficile il riassorbimento degli sbilanci tra domanda e offerta. Negli Stati Uniti la prospettiva della costruzione di nuovi impianti è poco probabile per motivi ambientali ed economici con un possibile aumento del deficit di benzine; di 44 conseguenza, il mercato del Nord America tenderà ad integrarsi ancor più strettamente con i centri di esportazione del Centro e Sud America. In Europa la sovrabbondanza di capacità pro-benzina potrebbe accentuare il fenomeno della chiusura di intere raffinerie, aumentando, in questo caso, il deficit di prodotti medi approvvigionabili, ma con difficoltà, dalle raffinerie dell’europa dell’est. D'altra parte, la ripresa delle esportazioni di benzina verso il Nord America appare una prospettiva non facile per le specifiche adottate in quella regione, che rendono il mercato europeo e quello nord-americano non perfettamente comunicanti. Per far fronte alla crescita della domanda dei prossimi anni, l'Asia sta sviluppando ampi programmi di espansione della capacità di raffinazione, ma non è ancora chiaro se la nuova capacità sarà in grado di colmare il deficit che già si profila .Ciò implicherà lo sviluppo di una relazione privilegiata con il Medio Oriente (Arabia Saudita, Kuwait, Iran ed altri produttori del Golfo) che è destinato a divenire lo "swing-producer" di greggio e di prodotti raffinati, più nei confronti dell'Asia che verso i tradizionali mercati dell'Europa Occidentale e del Nord America. In questo nuovo quadro, caratterizzato da una forte spinta alla regionalizzazione dei mercati, l'impatto sui mercati del greggio e dei prodotti di qualsiasi evento imprevisto, sia dal lato della domanda sia dal lato dell'offerta, può essere molto rilevante, anche per la capacità di amplificazione derivante dalla ridotta disponibilità di scorte e dai fattori speculativi. 3.1.6 Le riserve Nonostante i molti messaggi allarmistici che si sono susseguiti nel tempo, le riserve mondiali di petrolio, agli inizi degli anni novanta, appaiono più consistenti di quelle censite all'inizio della prima crisi energetica; le riserve provate, sfruttabili con le attuali tecnologie, ammontano, secondo le valutazioni della BP ,che non si discostano di molto da quelle della World Energy Conference , a138,3 miliardi di t contro 90,5 miliardi di t nel 1975. Questo significa che nell'arco di circa un ventennio, sia attraverso nuove scoperte, sia attraverso la rivalutazione del potenziale produttivo di giacimenti noti con metodi più avanzati, il patrimonio petrolifero mondiale non solo è stato reintegrato ma addirittura accresciuto. I progressi tecnologici e gli aumenti del prezzo del greggio,registrati agli inizi degli anni '80 , sono stati gli elementi propulsori dell'attività di ricerca e sviluppo, che si è estesa dalle aree tradizionali in terraferma alle zone più difficili: aree onshore e offshore a grande profondità, mari artici, con risultati promettenti per il futuro. Dal punto di vista geografico, le nuove scoperte e le rivalutazioni hanno comportato alcune modifiche della situazione esistente all'inizio degli anni settanta, ma non hanno modificato il ruolo di assoluta preminenza del Medio Oriente dove si concentrano oltre i 2/3 delle riserve mondiali . Questa area detiene le maggiori riserve con circa 90 miliardi di t, seguito dall'America Latina,compreso il Messico, con 19 miliardi di t, dall'Africa con 10 miliardi di t, dai paesi dell 'Europa orientale e dall'ex-Urss con 8,2 miliardi di t, dall'Asia e Australasia con 6,1 miliardi di t, dall'America del Nord con 4,6 miliardi di t, dall'Europa occidentale con 1,9 miliardi di t. Nel 1975 le riserve del Medio Oriente erano pari a 50,4 miliardi di t, seguite da quelle dei paesi dell'Europa orientale e dell'ex -Urss con 11 miliardi di t, dell'Africa con 9,0 miliardi di t, dell'America del Nord con 6,4 miliardi di t, dell'America Latina con 4,8 miliardi di t, dell'Europa occidentale con 2,3 miliardi di t. Il paese dotato delle maggiori riserve è l'Arabia Saudita con 35,7miliardi di t , pari al 26% del totale mondiale , seguita dall'Iraq con 13,4 miliardi di t, dagli Emirati Arabi Uniti con 12,7 miliardi di t, dall'Iran con 12,0 miliardi di t, dal Kuwait con 13,3 miliardi di t, dal Venezuela con 9,3 miliardi di t , dall'ex URSS con 7,8 miliardi di t . 45 Le riserve dei paesi dove si concentrano i maggiori consumi petroliferi sono relativamente meno consistenti: nel Nord America, che pure detiene le maggiori riserve dei paesi industrializzati (4,6 miliardi di t), il rapporto riserve/produzione è, infatti, pari a circa 10 anni; analogamente, in Europa occidentale, dove le riserve sono pari a 2,3 miliardi di t, il rapporto è di poco inferiore ai 7 anni. Tutto ciò evidenzia l'enorme importanza dei temi della cooperazione e della integrazione tra paesi consumatori e paesi produttori di greggio, in una prospettiva che punti al pieno utilizzo di questa fonte. Il mancato raggiungimento di questo obiettivo può significare la rinuncia alla valorizzazione delle risorse petrolifere più abbondanti e con i costi di produzione più bassi a livello mondiale. Riserve mondiali provate di petrolio alla fine del 1995 A fine 1975 A fine 1985 A fine 1994 A fine 1995 A fine 1995 miliardi di barili Miliardi di barili miliardi di barili miliardi di barili miliardi di tonnellate Stati Uniti Messico Totale Nord America 39,3 9,5 57,0 35,9 49,3 92,6 30,1 50,8 88,2 29,6 49,8 86,6 3,7 7,1 11,7 Venezuela Totale Sud e C. America 17,7 25,9 25,6 34,9 64,5 78,3 64,5 78,9 9,3 11,4 Norvegia Totale Europa 7,0 28,6 10,9 28,4 9,4 18,8 8,4 17,7 1,1 2,3 Totale ex Urss 80,4 61,0 57,0 57,0 7,8 64,5 34,3 71,2 151,8 32,2 368,3 47,9 44,1 92,5 171,5 33,0 398,0 89,3 100,0 96,5 261,2 98,1 660,3 88,2 100,0 96,5 261,2 98,1 659,5 12,0 13,4 13,3 35,7 12,7 89,2 Algeria Libia Nigeria Totale Africa 7,4 26,1 20,2 65,1 8,8 21,3 16,6 56,7 9,2 22,8 17,9 62,2 9,2 29,5 20,8 73,1 1,2 3,9 2,8 9,8 Cina Totale Asia & Australasia 20,0 41,4 18,4 37,3 24,0 44,5 24,0 44,1 3,3 6,1 666,7 708,9 1009,2 1016,9 138,3 Iran Iraq Kuwait Arabia Saudita Emirati Arabi Uniti Totale Medio Oriente TOTALE MONDO Fonte: BP, Statistical Review of World Energy, Londra. 46 3.2 3.2.1. Il gas naturale 19 Gli anni '70 Tra il 1970 ed il 1980 il gas naturale risente positivamente del nuovo quadro generale del mercato internazionale dell'energia,caratterizzato dalla volontà di molti paesi di diversificare i propri sistemi energetici,anche se con modalità profondamente differenziate nelle varie aree geografiche ed economiche.Nello stesso periodo la domanda mondiale di gas aumenta di quasi il 50%, per arrivare sino a 1450 miliardi di mc, pari al 19% del fabbisogno totale di energia ; a livello mondiale, le riserve, nonostante un calo negli Stati Uniti, quasi si raddoppiano raggiungendo i 77.000 miliardi di mc. Il 40% di esse sono localizzate nell'ex-Unione Sovietica, il 25% circa nel Medio Oriente, solo il 10% nel Nord America. La ulteriore affermazione del gas naturale in quasi tutte le aree è sostenuta dagli usi civili e dagli usi termoelettrici; il ridimensionamento di molte attività energy intensive negli Stati Uniti e in Europa occidentale e la razionalizzazione degli impieghi di energia, sotto la spinta di forti aumenti dei prezzi dei prodotti petroliferi, determinano una forte riduzione dei consumi di combustibili per usi industriali : su questo mercato, che si va riducendo, il gas comunque aumenta sensibilmente la propria quota. Rispetto ad un quadro mondiale di crescita, solo i trend che caratterizzano gli Stati Uniti appaiono in netta controtendenza ; in questo paese, il mercato del gas naturale è già in una fase matura, con gradi di copertura dei fabbisogni energetici settoriali molto elevati ; la vita residua delle riserve è di poco più di 10 anni ,anche se in questo indicatore,anche negli anni precedenti , non ha mai raggiunto livelli molto elevati. Le vicende istituzionali continuano a giocare un ruolo di grande rilievo nella dinamica dell'offerta e della domanda. L'industria del gas degli Stati Uniti è nata e si è sviluppata in un contesto caratterizzato dall'assenza di grandi operatori integrati con una netta separazione tra produttori - in questo caso in analogia con il settore petrolifero -, trasportatori, distributori ed utilizzatori industriali. Diversamente dal petrolio, il gas non ha bisogno di trasformazioni; l'elemento di rigidità e di potenziale controllo di mercato è costituito dal trasporto (tra Stati e all'interno degli Stati). In questo settore, il ruolo delle autorità di controllo, rappresentate dalla "Interstate Commerce Commission" e dalla "Federal Regulatory Commission", è molto rilevante; queste ultime, per effetto di una complessa disciplina normativa, sottopongono a disciplina sia il vettoriamento del gas nelle reti di trasporto sia il regime dei prezzi di trasferimento dal produttore (il prezzo "well-head ") al trasportatore. Lo scoppio della crisi del 1973 e l'aumento dei prezzi del petrolio di importazione inducono il governo americano ad una politica di stretto controllo dei prezzi del gas naturale, che avrà come conseguenza il graduale restringimento delle disponibilità di questa fonte rispetto alla domanda potenziale 20. Il consumo di gas naturale passa cosi dagli oltre 600 miliardi di mc del 1970 ai 560 del 1980. Le riserve si riducono nello stesso periodo da 7800 a 5500 miliardi di mc. Il ruolo del gas naturale, nel quadro del fabbisogno totale di energia di questo paese, scende dal 33% al 27%. Nel resto del mondo la domanda di gas naturale è in piena espansione, con un conseguente aumento del ruolo di questa fonte nella copertura del fabbisogno di energia . 19 Vedi V. D’Ermo e C.Forli, Il ruolo del gas naturale nel quadro energetico mondiale degli ultimi 60 anni, CH4 Energia e Metano, n. 3-1991. 20 F.E. Banks, The Political Economy of Natural Gas, Goom Helm, London, 1987 47 Diversamente dagli Stati Uniti, dove l'offerta viene assicurata da una pluralità di giacimenti, anche di piccole dimensioni, e la cui proprietà è ripartita tra numerosi operatori minerari, in Europa lo sviluppo dell'industria gassifera poggia su un ristretto numero di operatori, spesso integrati verticalmente. Questi ultimi, in una prima fase, assicurano lo sviluppo delle risorse nazionali, per lo più concentrate dal punto di vista geografico (Mare del Nord olandese, norvegese e inglese, Val Padana in Italia ed Aquitania in Francia); gli stessi operatori, successivamente, avviano una politica di approvvigionamento delle aree più prossime all'Europa sulla base di grandi progetti, via tubo o via navi metaniere, che sono resi possibili dalla rilevante capacità finanziaria, dalla possibilità di programmare lo sviluppo degli impieghi ed anche dal rilevante potere negoziale nei confronti dei produttori. L' espansione della produzione di gas dell'Europa occidentale degli anni '70 si basa , in particolare, sullo sviluppo dei grandi giacimenti dell'off-shore dei Paesi Bassi, che sono in grado di alimentare, oltre che il mercato interno, un consistente flusso di esportazioni verso Belgio, Francia e Germania Federale e, quindi, nel 1974, Italia e Svizzera. Negli anni successivi , con il progressivo sfruttamento delle risorse del Mare del Nord, la produzione nell'off-shore norvegese viene esportata verso il Regno Unito ed il Continente, con circa 26 miliardi di mc/anno verso la fine del decennio. La produzione dell'Europa occidentale passa dagli 80 miliardi di mc del 1970 ai quasi 200 del 1980. Anche lo sviluppo delle importazioni dall'Unione Sovietica,via condotta, e dall'Algeria, con navi metaniere, è molto significativo . L'ampiezza del mercato gassifero dell’Europa occidentale sale cosi dagli 80 miliardi di mc agli oltre 200, con una copertura del fabbisogno totale di energia del 15%. I principali paesi consumatori nel 1980 risultano nell'ordine : Germania Federale, con circa 60 miliardi di mc, Regno Unito con quasi 50, Paesi Bassi con circa 35 , Francia e Italia con circa 25 , Belgio con oltre10 . Sia pure in un contesto istituzionale molto diverso, i consumi di gas naturale dell'Europa dell'Est si collocano nel 1980 intorno ai 450 miliardi di mc circa, di cui oltre 370 nell'ex Unione Sovietica. Questo paese, grazie all’eccezionale sviluppo della produzione e del sistema di trasporto che collega i bacini di produzione del nord e del sud ai centri di consumo, si trova nella condizione non solo di soddisfare i propri fabbisogni interni ma anche di esportare crescenti quantitativi verso i paesi dell'Europa orientale e verso i paesi dell'Europa occidentale, come Germania Federale (dal 1973), Italia e Francia, mediante la stipula di contratti di lungo termine caratterizzati dalla clausola di take or pay. In America Latina il volume di gas domandato nel 1980(circa 60 miliardi di mc) rappresenta circa il doppio di quello consumato nel 1970 ; in particolare emergono come grandi consumatori Messico (25 miliardi di mc nel 1980), Venezuela (15) ed Argentina (12). In questa area gli usi industriali svolgono un ruolo trainante, seguiti dagli impieghi termoelettrici e da quelli civili. In Africa, Algeria e Libia, paesi detentori di importanti riserve di gas (3200 miliardi di mc il primo paese e 700 il secondo), diventano importanti fornitori dell'Europa Occidentale con la realizzazione di una serie di impianti per la liquefazione del gas e ,quindi,per la sua esportazione a mezzo di apposite navi metaniere. L'Algeria, che aveva iniziato le esportazioni di GNL (gas naturale liquefatto) già a metà degli anni '60, si propone come il più grande esportatore di GNL nel mondo, stipulando nuovi contratti con paesi europei e con società statunitensi. Al primo impianto di liquefazione di Arzew si aggiunge l'impianto di Skikda. Nel 1980 l'Algeria produce 18 miliardi di mc esportandone 7. Anche la Libia stipula contratti con Italia e Spagna per l'esportazione a partire dal 1972 di 4 miliardi di mc/anno di GNL dal terminale di Marsa el Brega. Nel Medio Oriente l'Iran, con oltre 10000 miliardi di mc di riserve, produce oltre 20 miliardi di mc a metà anni '70, esportandone circa la metà verso l'Unione Sovietica. La 48 rivoluzione del 1979 provoca, però, una forte riduzione della produzione che nel 1980 è di solo 8 miliardi di mc. In complesso, nelle aree del Medio Oriente ed in Africa, dove agli inizi del decennio dominavano gli impieghi industriali, si verifica una crescita molto sensibile degli impieghi termoelettrici sino a circa un terzo dei consumi complessivi. In Asia il più importante mercato è rappresentato dal Giappone, con un consumo che, nel 1980 ,raggiunge i 26 miliardi di mc quasi interamente coperti da importazione di GNL dall'Alaska, dal Brunei (a partire dal 1972), e da Abu Dhabi e Indonesia (dal 1977).In questo paese la forte espansione della domanda di gas viene sostenuta, in primo luogo, dal settore termolettrico, che punta decisamente verso questa fonte, con assorbimenti che passano da 1,4 a 18,6 miliardi di mc e, quindi, dagli usi civili che raggiungono 8,3 miliardi di mc rispetto ai 4,4 del 1970; i consumi industriali non superano invece i 3,3 miliardi di mc, differenziando quindi notevolmente la struttura degli impieghi di questo paese da quella dei paesi europei e degli Stati Uniti. Nei rimanenti paesi dell'Asia la struttura degli impieghi di gas rimane concentrata sugli usi industriali, mentre il settore termoelettrico gioca un ruolo minore e gli usi civili occupano uno spazio molto ridotto. 3.2.2. Gli anni '80 e la prima metà degli anni ‘90 Dopo il forte sviluppo del decennio precedente, nei primi anni '80 la crescita del gas naturale subisce un temporaneo rallentamento. La crisi del 1979, con il nuovo forte rialzo dei prezzi internazionali del petrolio ,porta ad una nuova e più pesante diminuzione dei consumi di energia nei paesi industrializzati, in un contesto di stagnazione economica. Al difficile scenario di questi anni si aggiunge la presa di posizione di alcuni paesi produttori di gas dell'area OPEC, come Algeria e Libia, che mettono in discussione i criteri di formulazione dei prezzi di esportazione accettati fino a quel momento e che tenevano conto dei maggiori costi di trasporto del gas rispetto al greggio.Dopo la crisi del 1973, i prezzi internazionali del gas, stabiliti nell'ambito di contratti a lungo termine, erano già stati modificati consensualmente per tener conto ,in qualche misura, dei mutamenti intervenuti sui mercati del greggio e dei prodotti petroliferi .Queste modifiche non avevano però alterato il principio del riconoscimento da parte del produttore dei maggiori oneri di trasporto rispetto al greggio e del tipo di mercati serviti. L'emergere di un atteggiamento rigido, che arriva a sostenere il principio della equiparazione dei prezzi del gas a quelli del greggio a parità calorica su base fob, frena lo sviluppo del mercato del GNL sia verso l'Europa che verso il Nord America. Anche il completamento dei lavori del gasdotto dall'Algeria all'Italia, che realizzerà per la prima volta un collegamento fisico tra l' Africa e l' Europa per un quantitativo annuo di 12 miliardi di mc/anno, e l'avvio delle importazioni subiscono dei ritardi .Dopo una lunga e complessa trattativa, la Snam,titolare del contratto, non accetta di modificare i prezzi già convenuti La controversia viene risolta portando la trattativa a livello governativo e raggiungendo in quella sede un compromesso di tipo politico che riconosce alla parte algerina un sovrapprezzo ,non giustificabile in termini rigorosamente economici ,che graverà sul bilancio dello Stato italiano . Con il contro-shock petrolifero del 1986, l’avvio di un ciclo economico espansivo e la sempre maggiore sensibilità per i problemi ambientali, si determinano le condizioni per un rilancio del gas naturale che è in grado di offrire valide risposte sul piano della diversificazione e della qualità. Anche le impostazioni più estreme in materia di prezzi all’esportazione vengono abbandonate, con il progressivo affermarsi delle regole del mercato . Sul piano della contrattualistica si affermano comunque regole e formule strutturate in modo da attenuare l’impatto, sui prezzi all’esportazione del gas, della estrema variabilità delle quotazioni dei prodotti petroliferi a cui i prezzi del gas 49 naturale sono collegati . Si consolidano così tendenze già emerse alla fine degli anni Settanta, con particolare riferimento allo sviluppo degli scambi internazionali che raggiungono alla fine del decennio il considerevole volume di oltre 300 miliardi di mc/anno, per poi espandersi ulteriormente, sino a raggiungere i 400 miliardi di mc, di cui 300 esportati a mezzo gasdotto e circa 100 a mezzo navi metaniere. Nel corso degli anni ’80, gli usi civili diventano il principale mercato di assorbimento, mentre gli usi industriali, specie nelle economie più mature, continuano a risentire del ridimensionamento di alcune attività e della riduzione dei consumi specifici di combustibili per unità di prodotto ; sviluppi consistenti si registrano comunque nei paesi più in ritardo nel processo di industrializzazione. Anche gli usi termoelettrici continuano la loro ascesa in numerosi paesi, sotto la spinta di interventi di politica energetica, che riconoscono l'importanza di questo combustibile per motivi ecologici e di efficienza di utilizzo. In Europa occidentale, i consumi di gas arrivano nel 1990 a circa 300 miliardi di mc/anno, di cui 50 importati dalla exURSS e 35 dal Nord Africa. L'incremento rispetto al 1980 risulta superiore al 20 %. La Germania è sempre il principale paese consumatore dell'area, con un volume di circa 60-80 miliardi di mc/anno. Seguono il Regno Unito con oltre 50 miliardi di mc, l'Italia, caratterizzata da uno sviluppo molto accentuato specie nella seconda metà degli anni '80, con oltre 40 miliardi, i Paesi Bassi con oltre 35 miliardi, la Francia con circa 30 miliardi Il ruolo del gas naturale, sul totale fabbisogno di energia dell'Europa occidentale, è in aumento sino al 19 %. Le consistenza delle riserve aumenta considerevolmente nel corso del decennio, grazie ai ritrovamenti nella zona norvegese del Mare del Nord; alla fine del 1990 esse sono valutate in circa 6300 miliardi di mc, di cui 2700 appartenenti alla Norvegia; la loro consistenza è tale da aprire nuove prospettive all’approvvigionamento gassifero europeo . Nel quinquennio successivo, in tutta l’Europa occidentale la fase espansiva della domanda di gas naturale prosegue e si rafforza, sostenuta in particolare dal settore della produzione di elettricità il cui assetto subisce un profondo riassetto in senso privatistico in molti paesi . D’altra parte, la sempre maggiore attenzione ai temi ambientali e l’alta efficienza di trasformazione ottenibile dagli impianti a gas rendono la scelta a favore del gas sempre più frequente . Il mercato del gas naturale del Nord-America ,superata la fase recessiva della prima metà degli anni '80, mostra chiari segni di recupero . Il livello di domanda raggiunto nel 1990, pari ad oltre 600 miliardi di mc, risulta di nuovo allineato a quello del 1980, con un contributo di circa un quarto al soddisfacimento del fabbisogno di energia dell'area. Le riserve, che ammontano a circa 7300 miliardi di mc, di cui circa 5000 negli Stati Uniti, rappresentano solo il 5% del totale mondiale, con un rapporto riserve/ consumi relativamente basso, ma tendenzialmente stabile, il che significa che ogni anno vengono scoperte riserve pari ai consumi dell’anno. Le decisioni del governo americano continuano ad avere un impatto notevole sullo sviluppo di questo mercato : dopo la fine del controllo dei prezzi praticati agli utenti ad opera del "Final Use Act" del 1987 e la fine dei controlli sui prezzi alla produzione ("well-head" ), con un provvedimento legislativo del 1989, il gas naturale viene messo in condizioni di competitività piena con le altre fonti e quindi nella possibilità di recuperare il terreno perduto. Altro elemento di novità è la possibilità di accesso degli utenti alle reti di trasporto ("open access"), che consente maggiore libertà di azione sul mercato a distributori locali e utilizzatori industriali, sino alla nascita di un mercato spot e di un mercato a termine del gas naturale, che susciterà grande interesse anche in paesi come il Regno 50 Unito dove la scoperta di numerosi giacimenti di gas nelle aree off-shore del mare del Nord consente la nascita di un mercato con una pluralità di produttori e di utilizzatori (v. cap. V, par. 6.1). Nel nuovo contesto, il mercato del Nord-America continua a svilupparsi anche nella prima metà degli anni ’90, raggiungendo la prima posizione nel mondo con oltre 600 miliardi di mc . Agli inizi degli anni ’80, nei paesi dell’Europa dell’Est, il settore del gas naturale continua il suo sviluppo senza alcun rallentamento, fino al momento del crollo della struttura unitaria del sistema economico di questi paesi; a metà degli anni '80, la produzione degli Stati Uniti è superata da quella dell’ex-URSS che diventa il più importante produttore del mondo; sul finire del decennio la produzione si porta sugli 800 miliardi di mc, di cui circa 100 esportati ,il quantitativo più rilevante a livello mondiale.Le riserve di questo paese , poco prima della creazione della Comunità di stati indipendenti, assommano ad oltre 50000 miliardi mc, pari al 40% del totale mondiale . La domanda di gas dell'intera Europa dell'Est raggiunge alla fine degli anni ’90 circa 800 miliardi di mc e il ruolo di questa fonte sul totale fabbisogno di energia dell'area è pari al 35% circa. La difficile fase di transizione all'economia di mercato e la grave crisi economica che investono la federazione russa e le nuove repubbliche della CSI si riflettono anche sul settore del gas naturale, che comunque reagisce meglio degli altri settori energetici, anche in relazione al peso economico ,politico e finanziario della struttura che gestisce questo settore: la società Gasprom; la riduzione dei livelli produttivi dell'ex-Urss , di circa 100 miliardi di mc, che si registra tra il 1990 ed il 1995 , si ricollega più che ad un collasso delle strutture produttive alla crisi della domanda interna ed a quella dei paesi dell'Europa orientale .Questi ultimi non possono più importare gas naturale secondo il sistema di prezzi politici che vigevano all'interno dell'area Comecon e, allo stesso tempo, devono affrontare una grave crisi economica .La solidità del sistema produttivo trova anche conferma dal mantenimento e dall’ulteriore sviluppo della capacità di esportazione verso i paesi dell’Europa occidentale. Nell' Asia-Oceania, quarta area consumatrice nella graduatoria mondiale,la domanda di gas arriva nel 1995 a 215 miliardi di mc/anno rispetto ai 70 miliardi del 1980 ; negli ultimi anni si registra una netta accelerazione del ritmo di crescita, anche perchè il ruolo del gas naturale nella regione è il più basso del mondo, con un modesto 7%, ed i fabbisogni energetici dell’area si vanno espandendo rapidamente . Le riserve di questa area assommano ad oltre 9500 miliardi di mc: i principali paesi detentori sono Indonesia (2600 miliardi di mc), Australia (2100 miliardi di mc), Malesia (1600 miliardi di mc); il peso percentuale di queste riserve sul totale mondiale è peraltro inferiore a quello dei consumi, segnalando, specie in prospettiva ,uno spazio di mercato per importazioni da altre aree. Il più importante paese produttore è, con oltre 40 miliardi di mc/anno, l'Indonesia, che esporta più del 50% della propria produzione in Giappone. Il Giappone si conferma come il più grande paese importatore e consumatore dell’area, con circa 60 miliardi di mc/anno, quasi totalmente importati sotto forma di GNL. In questo paese gli impieghi termoelettrici, anche sotto la spinta delle preoccupazioni di ordine ambientale ,superano i 35 miliardi di mc In questo paese l'industria del gas ha caratteristiche assimilabili a quelle dell'Europa continentale, in quanto un ristretto numero di operatori assicura l'approvvigionamento dall'estero a mezzo di navi metaniere, sulla base di contratti a lungo termine, a loro volta poggiati su progetti industriali relativi all'intero ciclo del gas (produzione, liquefazione, trasporto, rigassificazione, distribuzione,utilizzo finale). Anche negli altri paesi asiatici interessati da una forte espansione economica si verifica una eccezionale crescita degli usi termoelettrici, seguiti da quelli civili e, infine, da quelli industriali. 51 Nel 1995. le riserve del Medio Oriente , ancora scarsamente sfruttate, pongono la regione al secondo posto nel mondo: quasi 44000 miliardi di mc. Principale detentore è l'Iran con 21000 miliardi di mc, seguito da Abu-Dhabi, Arabia Saudita e Qatar, con oltre 5000 miliardi di mc ciascuno.Il principale paese consumatore è l'Arabia Saudita con oltre 30 miliardi di mc, seguita dall'Iran con 25. Il ruolo del gas naturale nel soddisfacimento del fabbisogno totale di energia dell'area è il più alto al mondo: 37%. Il patrimonio di riserve del Medio Oriente è tale da farne nel lungo termine un interlocutore privilegiato dell’Europa oltre che dei mercati asiatici. In America Latina, con riserve di 7600 mc, la domanda raggiunge, alla metà degli anni ’90, i 110 miliardi di mc, con un ruolo del gas naturale sul fabbisogno totale di energia inferiore al 20 %. In Africa l'utilizzo del gas ,circa 40 miliardi di mc , rimane limitato a pochi paesi produttori , come Algeria, Egitto, Libia e Nigeria. Anche qui gli usi civili risultano in forte crescita, seguiti dagli usi termoelettrici e da quelli industriali, che comunque mantengono un peso dominante .Le riserve, pari a 7.600 miliardi di mc, consentono di alimentare un flusso di esportazioni verso l’Europa, la cui consistenza raggiunge a metà degli anni ’90 i circa 40 miliardi di mc. 3.3 I combustibili solidi Gli anni immediatamente successivi alla prima crisi energetica del 1973 coincidono con un punto di minimo della quota del carbone nel soddisfacimento dei fabbisogni energetici mondiali. Dopo il 1975 la quota di questa fonte tende, gradualmente, a riportarsi al di sopra del 30% per poi perdere di nuovo terreno. Gli anni '60, caratterizzati da prezzi del petrolio particolarmente bassi e in diminuzione, in termini reali, avevano visto la sempre maggiore affermazione del petrolio come fonte leader ; nello stesso periodo anche gli usi tecnologici del carbone subivano un certo ridimensionamento per la sensibile riduzione dei consumi specifici di coke per tonnellata di ghisa prodotta. Il forte rialzo dei prezzi del petrolio e, soprattutto, di quelli dei prezzi dell'olio combustibile, la fonte energetica in diretta concorrenza con il carbone da vapore, insieme all'adozione di stringenti obiettivi di diversificazione, portano, a partire dalla seconda metà degli anni '70, ad una rivalutazione del ruolo del carbone. I governi di molti paesi dell'area OCSE e, in primo luogo, quello degli USA intendono, infatti, in tempi brevi, ridurre il peso delle importazioni di greggio OPEC a favore di fonti come il carbone, il gas naturale e l'energia nucleare, considerate più sicure e meno soggette a repentini aumenti di prezzi. Per effetto di queste politiche ,che vengono perseguite con impegno almeno nella prima parte degli anni '80, il peso del carbone nel bilancio energetico degli USA si porterà dal 18,3% del 1975 al 26% del 1985 per stabilizzarsi successivamente intorno al 25 %. In Europa le politiche a favore del carbone avranno l'effetto di contenere il processo di perdita di quota di questa fonte legato, tra l'altro, al concomitante sviluppo dell'energia nucleare. Le crisi petrolifere hanno un effetto positivo anche sulle prospettive di impiego del carbone nei paesi in via di sviluppo privi di risorse di petrolio, le cui bilanci dei pagamenti risentono, pesantemente, dei nuovi livelli di prezzo del greggio di importazione. In Cina l'erosione della quota del carbone, rispetto agli anni '60, si arresta a partire dai primi anni '80 su valori superiori al 75% dato che in quel contesto economico il petrolio rimane utilizzato prevalentemente per usi di trasporto e usi chimici e la disponibilità di altre fonti rimane limitata rispetto all'entità dei fabbisogni complessivi di energia in forte aumento. La stabilizzazione e il recupero di quota del carbone sul totale dei consumi energetici mondiali non trovano peraltro riscontro in tutte le aree: nell'ex-Unione Sovietica 52 l'ulteriore declino del peso di questa fonte (34,1% nel 1975 , 24,6% nel 1988 e meno del 20 % dopo il crollo del sistema di economia pianificata), si ricollega dapprima all'aumento della disponibilità di gas naturale e, successivamente, alle crescenti difficoltà produttive del settore nel nuovo contesto economico. Nel corso degli anni '80 anche la struttura del mercato internazionale del carbone subisce importanti modifiche con il continuo aumento del commercio internazionale modificando, sia pure limitatamente, la caratteristica di risorsa sfruttata quasi esclusivamente su base locale; in altri termini, i criteri di economicità si affermano rispetto alle impostazioni protezionistiche o di sostegno dell'occupazione, che avevano caratterizzato l'industria carbonifera dei paesi europei nel corso degli anni '50 e '60.Ciò porta ad un allargamento del mercato internazionale su cui fanno affidamento crescente i paesi importatori dell’Europae dell’Asia a partire dal Giappone I nuovi livelli di prezzo del greggio e dell'olio combustibile che caratterizzano i mercati sino al crollo del 1986, garantiscono al carbone - nonostante la lievitazione dei costi e quindi dei prezzi - dei margini di competitività tali da avviare ampi programmi di riconversione degli impianti di utilizzo (soprattutto centrali termoelettriche) e la realizzazione di nuovi centri di produzione,a partire dal Sud-Africa e dall ‘Australia, e di nuove infrastrutture di trasporto (ferrovie, porti, naviglio specializzato). Le migliori prospettive di mercato portano alla nascita di nuove iniziative minerarie nei paesi dotati di risorse sfruttabili con bassi costi di produzione: è il caso di alcuni paesi dell'America Latina come la Colombia e il Venezuela. La produzione mondiale di carbone passa ,infatti ,da 1,6 miliardi di t,pari a circa 2,2 miliardi di t di prodotto,del 1975 a 1,8 miliardi di tep nel 1980 e a 2,2 miliardi di tep nel 1990 per poi mostrare una tendenza alla stabilizzazione . Nello stesso periodo la Cina diviene il principale produttore mondiale con oltre 650 milioni di tep nel 1995 a fronte di oltre 550 milioni di tep degli USA e di circa 200milioni di t dell'ex-Unione Sovietica. Tra i grandi produttori figurano inoltre l'India con circa 130 milioni di tep, l'Australia con oltre 120 milioni di tep e il Sud Africa con oltre 100 milioni di tep. Con il passaggio all'economia di mercato la produzione dei paesi dell'Est europeo ed in particolare quella dell'ex-Unione Sovietica registra una forte flessione sia per il ridimensionamento della domanda sia per la scarsa competitività. Continua,anche , il declino produttivo delle aree carbonifere dell'Europa (Regno Unito, Germania) e del Giappone dove i costi di estrazione non sono non competitivi e dove i governi riducono drasticamente i sussidi ancora esistenti . Sul piano della domanda il processo di espansione degli impieghi di carbone, specie nell'area OCSE, subisce una battuta di arresto agli inizi degli anni '90 sotto la spinta di fattori economici (la perdita di competitività rispetto alle fonti concorrenti, in particolare, olio combustibile e gas naturale) e di fattori ecologici che restringono l’uso del carbone. L'impiego di questa fonte appare sempre più subordinato all'utilizzo di tecnologie per l'abbattimento delle emissioni di sostanze inquinanti. Anche l'emergere del problema dell'effetto serra gioca in senso sfavorevole al carbone che per la sua composizione chimica produce, rispetto agli idrocarburi, maggiori emissioni di anidride carbonica. La situazione delle risorse e delle riserve rimane comunque molto favorevole per il potenziale consumatore industriale e termoelettrico sia dal punto di vista della consistenza delle riserve sia da quello della distribuzione geografica delle stesse che risulta notevolmente diversa da quella del greggio e degli idrocarburi in genere. Le stime della BP che poco si discostano da quelle pubblicate dalla "World Energy Conference" in occasione degli ultimi congressi mondiali dell'energia, tenutisi a Madrid nel 1992 ed a Tokio nel 1995, cifrano in oltre 1000 miliardi di t (circa 6 miliardi di tep) le riserve mondiali provate e recuperabili di combustibili solidi, una frazione peraltro limitata delle risorse complessive esistenti .21 21World Energy Conference, Survey of energy resources, Londra, 1992 53 Tali riserve comprendono circa 520 miliardi di t di carbone bituminoso inclusa l'antracite, 512 miliardi di t di carbone sub-bituminoso e lignite. Le maggiori riserve di carbone bituminoso sono detenute dagli Stati Uniti (106 miliardi di t),seguiti dall'ex-Unione Sovietica (104 miliardi di t), dalla Cina e dall'India (oltre 60 miliardi di t per ciascun paese ), dal Sud Africa (55 miliardi di t) e dall'Australia (45 miliardi di t). Il rapporto tra le riserve mondiali di combustibili solidi e la produzione è pari ad oltre 220 anni, un valore notevolmente superiore agli analoghi rapporti calcolati per il petrolio ed il gas naturale. Ciò conferma che ricondurre i problemi energetici alla scarsità delle risorse appare una forzatura di una situazione ben più complessa ed articolata 54 CAP. IV GLI OPERATORI DELL'INDUSTRIA ENERGETICA 4.1 I diversi profili I continui sviluppi della tecnologia di utilizzo delle fonti di energia implicano anche dei paralleli mutamenti nell'assetto dell'industria energetica. L'industria del carbone, in relazione alle difficoltà di trasporto e distribuzione, era nata e si era sviluppata, in un primo tempo, per lo sfruttutamento di risorse locali: i giacimenti dell'Inghilterra della prima rivoluzione industriale, della Francia, della Germania, dell'Europa Orientale e degli Stati Uniti. Questa connotazione si è andata modificando quando lo sfruttamento del carbone si è fatto più intenso e sono stati scoperti e valorizzati nuovi bacini. Lo sviluppo delle esportazioni e del trasporto con navi a vapore porta alla realizzazione di reti di distribuzione a scala mondiale , specie da parte dell'industria carbonifera inglese. Nonostante questa apertura l'industria del carbone conserverà una struttura prevalentemente a base nazionale. La nascita dell'industria elettrica è legata ad una serie di singole iniziative imprenditoriali per lo sviluppo delle prime reti di illuminazione, ma, ben presto, l'esigenza di standardizzazione tecnica e la necessità di ingenti capitali per la realizzazione degli impianti di produzione e delle reti di distribuzione favoriscono importanti fenomeni di concentrazione sia negli Stati Uniti sia nei paesi europei, che peraltro non si tradurranno nella costituzione di imprese a vocazione internazionale. 4.2 Le compagnie petrolifere Ben diverso appare il profilo dell'industria petrolifera: dopo la fase pionieristica, caratterizzata da iniziative individuali, si delinea una chiara tendenza alla concentrazione. A partire dal 1890 la Standard Oil ha già una posizione dominante sul mercato americano e su quello internazionale. Le prime riserve di petrolio ad essere valorizzate sono quelle degli Stati Uniti, dove si concentrano anche i maggiori consumi dei primi derivati messi in produzione (petrolio illuminante, petrolio per riscaldamento, lubrificanti, bitumi, etc.)22; l'altro polo produttivo di grande rilievo è rappresentato dai giacimenti della Russia asiatica,in particolare dell'area caspica, dove alcuni concessionari sviluppano una serie di iniziative capaci di alimentare un importante flusso di esportazioni verso l'Europa. Con lo sviluppo del motore a scoppio, la domanda di prodotti petroliferi si allargherà dal punto di vista qualitativo e comincerà a crescere a tassi molto sostenuti dapprima negli Stati Uniti e poi anche in Europa. L'attività di approvvigionamento del vecchio continente, con la crisi dell'industria russa, sarà assicurata da filiali di compagnie americane che sviluppano strategie a scala mondiale. All'industria americana si contrappongono, con un peso significativo, solo due gruppi industriali europei: l'inglese British Petroleum (dapprima Anglo-Persian e poi AngloIranian, con diretta partecipazione al capitale del governo inglese a partire dal 1913, con l'obiettivo di garantire l'approvvigionamento della flotta convertita all'uso dell'olio combustibile) e l'anglo-olandese Royal Dutch-Shell (nata per lo sfruttamento dei giacimenti delle Indie olandesi). Nonostante l'origine europea, il comportamento di queste compagnie si discosta di poco da quello della compagnie petrolifere americane a vocazione internazionale come la Standard Oil. 22D. Yergin, Il Premio, Sperling e Kupfer Editori, Milano, 1991 55 La decisa affermazione dei prodotti petroliferi nel campo del trasporto marittimo e terrestre richiede, infatti, agli operatori di dotarsi di reti di trasporto e di distribuzione diffuse su spazi sempre più ampi. Lo scoppio della prima guerra mondiale rende esplicito il ruolo strategico degli approvvigionamenti petroliferi e pone il problema della valorizzazione di nuove risorse. Il Medio Oriente si prospetta ben presto come una zona molto promettente: questa area, che rientra nella sfera di influenza dei due gruppi petroliferi europei - a cui si aggiunge, per effetto della vittoria nella prima guerra mondiale, il gruppo francese Compagnie Francaise des Petroles, che subentra agli interessi tedeschi - si aprirà, con una serie di accordi, seguiti a polemiche e a lunghi negoziati, anche alle più importanti compagnie petrolifere americane che porranno cosi le basi per la loro ulteriore espansione nel mondo. Le medesime compagnie petrolifere del Nord-America sviluppano progressivamente la loro presenza anche nel resto del continente americano, dove vengono scoperte importanti riserve a partire dal Venezuela e dal Messico. Secondo la terminologia dell'industria petrolifera l’intero continente americano diventerà l'emisfero occidentale. Il Messico avvierà peraltro la nazionalizzazione della propria industria petrolifera sin dal 1917, concludendola nel 1938 e anticipando, cosi, forme di drastico intervento dello Stato nel settore petrolifero, che in altri paesi si verificheranno dopo circa un cinquantennio. Anche l'Estremo Oriente, in particolare l'area dell'Indonesia, vede una crescente attività sia delle compagnie petrolifere americane sia delle multinazionali europee. Questi avvenimenti hanno importanti conseguenze sull'assetto dell'industria energetica: il settore del carbone perde la posizione di centralità nel processo di sviluppo economico, mentre i ruoli dell'energia elettrica e del petrolio divengono sempre più strategici. La non sostituibilità dei prodotti petroliferi nel campo del trasporto terrestre e navale consentono l'ulteriore rafforzamento dell'industria petrolifera, nonostante una situazione di relativa sovrabbondanza dell'offerta di greggio manifestatasi negli anni successivi alla prima guerra mondiale. Lo stretto controllo dei mercati di utilizzo consente al gruppo dei maggiori operatori di evitare forti ribassi di prezzo.Nel 1928 i gruppi petroliferi dominanti (Royal Dutch, Standard, Anglo-Persian), riuniti nel castello scozzese di Achnacarry, perfezionano un accordo per la spartizione di mercati mondiali e per la stabilizzazione dei prezzi dei prodotti23. Gli accordi - rinnovati ed estesi agli altri quattro grandi del settore - non impediranno tentativi di concorrenza da parte di operatori indipendenti, ma assicureranno comunque la sostanziale stabilizzazione del mercato, anche nei momenti più critici della grande depressione economica degli anni '30 e negli anni successivi fino alla prima metà degli anni '50. Le vicende della seconda guerra mondiale confermano il ruolo strategico del controllo delle risorse petrolifere, che risulta determinante per la vittoria dei paesi alleati. La conversione del carbone in distillati petroliferi - sia pure realizzata con successo - non riesce a fornire quantitativi proporzionati all'entità dei fabbisogni dei paesi avversari che dispongono di limitate quantità di greggio e che non hanno accesso al mercato internazionale. Nel corso degli anni '50 e '60 l'assetto dell'industria petrolifera subisce un importante mutamento: il mercato del Nord America viene servito da compagnie indipendenti e dalle imprese multinazionali; i mercati dell'Europa occidentale, del Giappone e degli altri paesi ad economia di mercato vengono soddisfatti dalle compagnie multinazionali e, in misura molto ridotta, dalle compagnie nazionali di alcuni paesi consumatori, come l'ENI per l'Italia e l'ELF per la Francia. 23A. Roncaglia, L'Economia del Petrolio, Laterza, Bari, 1983 56 In questa situazione la preponderanza delle compagnie multinazionali rimaneva molto forte sino a svolgere, più o meno esplicitamente, un ruolo di "programmazione" globale del settore petrolifero in tutte le sue fasi ben al di là dei confini dei singoli stati produttori e consumatori. I fatti traumatici del 1973 hanno dato una forte scossa al sistema allora vigente in tutte le sue diverse componenti, dando inizio ad un processo di reazioni a catena che ancora oggi non si può definire esaurito. Certamente gli elementi di maggiore spicco sono rappresentati dall'acquisizione da parte dei paesi produttori della sovranità sulle lore risorse minerarie e dall'affermazione della loro volontà di decidere autonomamente i livelli produttivi e il livello dei prezzi del greggio (questa intenzione è stata peraltro smentita dagli avvenimenti più recenti che hanno confermato il ruolo non eludibile del mercato). L'acquisizione del controllo delle riserve di greggio è stato per lo più ottenuto con lo strumento della nazionalizzazione che, nel volgere di pochi anni e con le modalità tipiche di ciascun sistema politico, ha visto l'affermazione sulla scena petrolifera internazionale di un nuovo tipo di operatore: la compagnia di Stato del paese produttore24. Dal punto di vista della disponibilità del greggio il fenomeno può apparire - almeno in una prima fase - meno vistoso di quanto atteso perchè, salvo alcune eccezioni, le compagnie multinazionali presenti in molti paesi produttori mantenevano con vari mezzi e formule (buy-back, greggio di partecipazione, accordi di lungo termine, etc.) la possibilità di disporre di quantità di greggio quanto meno proporzionate alla dimensione dei propri principali mercati di consumo. Questa circostanza, che salvaguardava l'economicità del ciclo petrolifero delle grandi imprese multinazionali, aveva però un enorme impatto sul modo di "pensare" e di programmare di queste aziende, specialmente in termini di sviluppo di nuove risorse25. Nasce infatti in quegli anni un graduale e progressivo distacco dai paesi più facili , da un punto di vista geologico, che avevano assicurato la base produttiva per l'affermazione del ruolo mondiale del greggio e delle imprese multinazionali. Queste ultime cominciano a orientare la politica degli investimenti verso aree certamente più difficili ma più sicure da un punto di vista politico e del ritorno sull'investimento. Nasce e si sviluppa anche l'interesse verso fonti diverse dal petrolio come il carbone, il nucleare, le nuove tecnologie energetiche, fino ad allora considerate di interesse limitato o "regionale". Queste scelte si basavano sulla convinzione- tra l'altro non smentita dai fatti almeno sino ai primi anni '80- che il prezzo internazionale del petrolio potesse continuare il suo trend ascensionale ben al di sopra dell'inflazione mondiale. I governi dei paesi consumatori che ,fino al 1973, avevano assecondato,salvo alcuni interventi volti alla protezione di industrie energetiche nazionali (carbone) o allo sviluppo tecnologico, più o meno legato alla difesa come nel caso dell'industria nucleare, la crescita del ruolo del petrolio, in primo luogo tramite l'attività delle majors, operano un drastico mutamento di rotta. La creazione dell'AIE(cfr cap. III), al di là degli aspetti propagandistici di contrapposizione nei confronti dei paesi produttori, agisce in notevole misura nello spingere i governi a cambiare il quadro di opportunità offerte all'industria petrolifera ed energetica. La complessa discussione intorno al livello del "floor price" - il prezzo minimo del petrolio importato -al di sotto del quale sarebbero scattate delle misure protettive della 24Al-Chalabi F.J., OPEC and the International Oil Industry: A changing Structure, Oxford University Press, Oxford, 1980 25Robert M. Grant, The Oil Companiers in Transition 1970-1987, Franco Angeli-Isvet, Milano, 1991 57 produzione interna dei paesi aderenti all'AIE , è un chiaro segno di una politica che tende ad indirizzare, in modo diverso, gli investimenti di sviluppo di nuove fonti energetiche attraverso incentivi ed assunzioni di quote di rischio da parte dei governi. Ma è soprattutto la decisione degli Stati Uniti, pur maturata faticosamente attraverso una serie di dibattiti e discussioni molto accese nelle varie istanze politiche, di liberalizzare i prezzi del greggio domestico, nel momento in cui il prezzo internazionale sta raggiungendo i massimi storici, che provoca un nuovo scossone nell'assetto dell'industria petrolifera internazionale. La cessazione del complicatissimo sistema di compensazioni e di vincoli apre un nuovo ciclo di interesse per l'area nordamericana che torna ad essere il centro dell'attività petrolifera. Le dimensioni di quel mercato e le certezze di tipo politico agiscono da potente fattore d'attrazione sia per le multinazionali, che tornano in un certo senso sui loro passi, sia per gli indipendenti, sia, infine, per altri operatori europei -e non- che scoprono il mercato USA. Questo processo è al suo apice quando, in concomitanza con la recessione economica e il conseguente crollo dei consumi petroliferi, viene a vacillare il presupposto che lo alimenta: la crescita del prezzo del petrolio. Sotto la spinta del continuo ridimensionamento della domanda di petrolio, che risente delle politiche di conservazione, dei ridotti livelli di attività economica e dell'arrivo sul mercato energetico di ingenti quantitativi di fonti non petrolifere (carbone, nucleare, gas) il fronte dei paesi Opec vacilla e le quotazioni del greggio crollano . Ancora una volta, il quadro delle opportunità per l'industria energetica subisce un sostanziale cambiamento. Negli Stati Uniti il principio della "deregulation" si afferma definitivamente attraverso due principali linee di intervento :-da un lato, la liberalizzazione dei l mercati del petrolio e del gas, a conclusione di un lungo periodo stringenti controlli, e dall’altro, il drastico ridimensionamento degli interventi, a carico del bilancio federale, per promuovere lo sviluppo di fonti alternative al petrolio di importazione (liquefazione del carbone, utilizzo delle sabbie bituminose,sviluppo di carburanti alternativi). La liberalizzazione dei mercati energetici diviene il principale motivo ispiratore della politica energetica americana e un punto di riferimento essenziale anche per gli altri paesi industrializzati oltre che per i paesi in via di sviluppo che stanno progressivamente aprendosi alle regole del mercato globale. La flessione del prezzo del petrolio oltre ad un mutamento di atteggiamento dei governi - che a partire dal 1973 avevano mostrato una crescente attenzione ai problemi dell'energia e del petrolio - provoca anche una revisione delle filosofie di investimento delle compagnie petrolifere, delle strategie dell'OPEC ed, infine, un profondo cambiamento della struttura del mercato petrolifero internazionale. Relativamente alla politica di investimento, dopo il picco registrato nell'attività di esplorazione e di acquisizione di nuove aree nel continente nordamericano, si manifesta il nuovo fenomeno delle fusioni. Nel nuovo contesto di flessione dei prezzi internazionali del greggio, l'acquisizione di riserve attraverso l'acquisto in borsa di azioni di altre aziende petrolifere diviene abbastanza frequente. Attraverso gigantesche operazioni finanziarie molte compagnie, che avevano visto ridursi il proprio patrimonio di riserve di greggio e di gas per effetto delle nazionalizzazioni e dei risultati (non sempre incoraggianti) dell'attività di ricerca in zone di frontiera, riescono a riportarlo a livelli di sicurezza26. Sul finire degli anni '80 questo processo acquisisce una fisionomia più chiara con il delinearsi di una strategia che torna a fare del petrolio il "core business" dell'industria. L'integrazione verticale viene sempre più perseguita anche in un contesto di grande 26Robert M. Grant, Restructuring and Strategic Change in the Oil Industry, Franco Angeli-Isvet, Milano, 1993 58 attenzione alle opportunità offerte dal mercato: il trading di greggio e di prodotti diviene un elemento essenziale per garantire la massima flessibilità operativa. Un altro fattore di grande rilievo per il settore petrolifero è costituito dal crollo dei sistemi ad economia pianificata .Anche se questo evento ,di enorme rilievo politico non si traduce immediatamente in una apertura dei mercati di questi paesi alle regole di mercato,le compagnie petrolifere si trovano di fronte alla possibilità di definire le loro strategie in modo radicalmente diverso da quello del pur recente passato. La trasformazione dell’ex-URSS in in una Comunità di stati indipendenti offre la possibilità alle repubbliche dell’area del Caspio di avviare una politica autonoma per lo sviluppo delle loro consistenti risorse di petrolio e di gas naturale in concorrenza con la Federazione russa che aveva privilegiato lo sviluppo delle risorse siberiane. L’opportunità viene colta da molte imprese petrolifere, che avviano progetti per lo sviluppo di consistenti giacimenti in Arzebajan e nel Kazakhstan e per il loro trasporto verso occidente a mezzo di oleodotti. Nonostante le numerose difficoltà questi progetti, anche se in una prospettiva di medio lungo termine hanno una elevata probabilità di successo e certamente contribuiranno alla nascita di una nuova fisionomia della industria del petrolio . D’alta parte importanti modifiche intervengono anche dal lato del comportamento dei paesi produttori e, soprattutto, delle compagnie petrolifere di questi paesi che si vanno progressivamente allontanando da una logica di tipo politico . Dopo i primi apparenti successi e l'eccezionale sviluppo delle entrate, i paesi produttori avvertono i limiti delle decisioni unilaterali. Attraverso un processo non sempre facile, le compagnie petrolifere dei medesimi paesi maturano un atteggiamento nuovo con la scelta di entrare nelle fasi a valle del ciclo petrolifero in una logica di integrazione con le economie dei paesi consumatori e non già di contrapposizione. L'allargamento della presenza di operatori dei paesi produttori sui mercati dei paesi consumatori, tra cui quelli europei, diventa una occasione per procedere alla modernizzazione ed al riassetto dell'industria petrolifera, con la prospettiva di offrire ai paesi più dipendenti dalle importazioni di petrolio la garanzia di un rapporto stabile e maggiore sicurezza nell'approvvigionamento petrolifero. Si tratta, d'altra parte, di una strada obbligata per non trasformare in permanente l'andamento di tipo "stop and go", che costituisce l'assetto certamente meno vantaggioso per i consumatori e per una industria che ha bisogno di programmare su lunghi archi temporali e di assicurare un ritorno adeguato agli ingenti investimenti,che contraddistinguono il settore degli idrocarburi. Agli inizi degli anni 1990 il processo di riorganizzazione dell'industria petrolifera a livello mondiale è in pieno sviluppo. I rapporti tra compagnie, paesi consumatori e paesi produttori segnano un salto di qualità rispetto alle posizioni di contrapposizione che avevano contraddistinto i decenni precedenti. I temi di maggior rilievo diventano quelli dell'ampliamento della capacità produttiva per far fronte alla crescente domanda, evitando l'insorgere di forti tensioni sul mercato, e quelli della maggiore integrazione tra i vari operatori. La linea della cooperazione e del coinvolgimento diretto delle compagnie petrolifere dei paesi produttori sta guadagnando sempre maggior peso fino a quando, con l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq, questo disegno subisce una grave minaccia . Gli sviluppi della crisi del Golfo dimostreranno però che la scelta verso l'integrazione a valle - la raffinazione e la distribuzione dei prodotti - di molti paesi produttori dell'OPEC, come l'Arabia Saudita, il Kuwait, il Venezuela, il Messico ma anche di paesi come la Libia, è ormai fondata su solide basi e che i loro comportamenti non sono più ispirati al semplice sul controllo delle risorse minerarie ma ad una strategia più complessa. L'invasione del Kuwait non sarà ricordata come l'evento che ha dato inizio alla terza crisi energetica, ma solo come il tentativo di paese, l’Iraq, sia pure di grande rilievo nell'approvvigionamento petrolifero mondiale, di conquistare con la forza una posizione 59 di leadership nei confronti del mondo arabo e dei paesi arabi del Golfo dopo l'insuccesso della guerra contro l'Iran. Il mutato clima dei rapporti tra i più influenti paesi dell'OPEC, a partire dall'Arabia Saudita, e i paesi consumatori - impegnati questa volta in un embargo verso un paese produttore - è dimostrato dal modo con cui è stata affrontata una situazione piena di incognite per la sicurezza degli approvvigionamenti petroliferi e per la stabilità del sistema politico ed economico mondiale. Il processo di globalizzazione e di apertura alle regole di mercato dell’industria petrolifera potrà però dirsi compiuto solo quando sarà esteso a tutti i paesi produttori del Medio Oriente ed alle repubbliche della ex-Unione Sovietica; l'industria petrolifera potrà così contribuire efficacemente allo sviluppo ed all’integrazione tra aree . 4.3 Le imprese pubbliche energetiche La presenza di imprese pubbliche europee nel settore energetico e, in particolare, in quello petrolifero risale agli inizi del secolo e si ricollega alla esigenza di assicurare l'accesso a risorse di carattere strategico localizzate all'esterno di un paese consumatore, o di controllare risorse nazionali in condizione di monopolio naturale. Motivazioni ben diverse, quindi, da quelle che hanno portato alla acquisizione, da parte di molti stati, di imprese colpite dalla crisi degli anni '30 (sostegno alla produzione e riduzione della disoccupazione). L'ingresso del petrolio sulla scena energetica, agli inizi del secolo, ha suscitato, infatti, una particolare attenzione nei riguardi di questo settore da parte dei governi di molti paesi ,che ne intuirono l'importanza strategica per lo sviluppo economico ed industriale. In Francia lo sviluppo della Compagnie Francaise des Petroles (CFP), che si ricollega alla valorizzazione delle risorse petrolifere del Medio Oriente e, in particolare, di quelle dell'Iraq, è avvenuto sotto il controllo dello Stato attraverso una consistente quota azionaria (40%). L'intervento statale è stato decisivo anche nella costituzione del secondo gruppo petrolifero francese ELF-AQUITAINE ,che nasce in una prima fase con i tentativi di sviluppare risorse petrolifere sul territorio nazionale, conclusisi con la scoperta dei giacimenti di gas di Lacq nel 1951 e, successivamente, con le iniziative di valorizzazione delle riserve di idrocarburi dell'Algeria. Il controllo pubblico sulla compagnia "British Petroleum" ,nata per la valorizzazione delle risorse petrolifere dell'Iran e poi divenuta una delle maggiori compagnie petrolifere mondiali, è durato per oltre settanta anni. I modelli francesi ed inglesi, sia pure con modalità specifiche ed in epoche diverse, hanno trovato riscontro in molti paesi europei come l'Italia, la Spagna e la Norvegia, con la costituzione di società di diritto privato controllate direttamente dallo Stato attraverso il possesso di un pacchetto di azioni, maggioritarie o di controllo, o, indirettamente, mediante enti pubblici detentori, a loro volta, del pacchetto azionario di società di diritto privato. La presenza pubblica - nella maggior parte dei casi attraverso società per azioni controllate o possedute interamente dallo stato - è stata determinante anche per il decollo del mercato europeo del gas naturale, dapprima attraverso la valorizzazione delle risorse interne e, successivamente, mediante la stipula dei grandi contratti di importazione dall’Olanda, dall'Unione Sovietica e dall'Algeria,contratti che ,rispetto a quelli stipulati in campo petrolifero, sono stati sempre caratterizzati dalla lunga estensione temporale e dal ricorso a clausole di take or pay. Obiettivi di politica industriale e di controllo di situazioni di monopolio di fatto hanno portato all'affermazione, in alcuni paesi europei, di enti a capitale pubblico per la produzione e la distribuzione di energia elettrica (Gran Bretagna, Francia, Italia). Motivazioni, infine, di natura protezionistica e di salvaguardia di livelli occupazionali hanno invece motivato la presenza di capitali pubblici nell'industria carbonifera di Gran 60 Bretagna e Francia. La Germania, restia ad interventi pubblici nei settori energetici, ha fatto e fa ampiamente ricorso a sovvenzioni per sostenere la produzione di carbone. Esigenze di sicurezza, di strategia industriale e di sviluppo tecnologico hanno determinato, sin dagli inizi, una forte presenza di enti e società controllate dallo Stato nel settore dell'energia nucleare. La centralità dell'impresa pubblica nel settore energetico è stata riconosciuta o accettata senza particolari obiezioni, nè sul piano teorico nè su quello operativo, sino alla seconda crisi petrolifera, che addirittura ha segnato il punto di massima richiesta di intervento pubblico per assicurare più sicure condizioni di approvvigionamento energetico. Le nuove teorie sul ruolo dell'intervento dello Stato in economia. Alla metà degli anni '80 il dibattito teorico sul ruolo dell'intervento pubblico in economia vede l'affermazione delle impostazioni più liberiste (scuola di Chicago in particolare). Così, nel contesto di una riaffermata fiducia nelle regole del mercato, non solo vengono - opportunamente -contestate tutte le forme di intervento dello Stato che si traducono in limitazioni della concorrenza, in sussidi o in interventi di protezione di cui hanno peraltro usufruito ampiamente anche le imprese private, ma si rimette in anche la figura dell'"impresa" a partecipazione pubblica, a prescindere dalla sua efficienza, dalla sua capacità di operare su mercati concorrenziali e dal suo contributo al raggiungimento di obiettivi di interesse generale. Alcuni economisti sostengono, invece, che, mentre l'impresa privata ottiene migliori livelli di produttività dal fattore lavoro, l'impresa pubblica opera invece con un più ampio orizzonte temporale di carattere strategico ( K. Arrow). Il Regno Unito si pone all'avanguardia nel mettere in pratica l'impostazione neoliberista realizzando, nell'arco di un decennio, una massiccia privatizzazione delle imprese pubbliche. Gli altri paesi, pure impegnati nell'apertura dei mercati e nell'affermazione delle regole di concorrenza, non ritengono però opportuno procedere con la stessa velocità alla completa privatizzazione delle imprese pubbliche . In molti casi si inizia con l' apertura al capitale privato di società controllate del settore pubblico ovvero con la trasformazione di enti pubblici in strutture di tipo privatistico per migliorarne l'efficienza operativa e misurarne la competitività sul mercato. I riflessi sul settore energetico. La tendenza alla liberalizzazione dei mercati e alla modifica delle forme della presenza pubblica trova puntuale riscontro nel settore energetico, anche sotto la spinta delle mutate condizioni del mercato internazionale del petrolio. Tra l'altro nel nuovo contesto di offerta abbondante e di condizioni favorevoli al compratore, il business energetico si appalesa, dopo molti anni, come meno rischioso e più remunerativo per gli operatori privati. I criteri seguiti nei vari paesi sono comunque tutt'altro che omogenei, anche se è generalizzata la tendenza a caratterizzare in senso imprenditoriale le imprese operanti nel settore, quale che sia l'assetto della proprietà. Con particolare riferimento alla privatizzazione delle imprese, il Regno Unito svolge un ruolo di avanguardia non solo nella privatizzazione delle imprese pubbliche ma anche nella liberalizzazione dei mercati, già a partire dagli inizi degli anni '80. Il settore petrolifero è il primo ad essere interessato a questo processo, ad iniziare dalla "British Petroleum". Nel 1984 vengono completamente privatizzate due compagnie petrolifere: la Wytch Farm Oil e la Enterprise Oil. Nel 1985 anche la Britoil, responsabile operativo per l'esplorazione e lo sviluppo della British National Oil Corp (BNOC) (la compagnia pubblica creata in relazione allo sviluppo delle riserve 61 petrolifere del Mare del Nord), viene venduta ad investitori privati. Il controllo pubblico nel settore viene quindi sostanzialmente eliminato con l'eccezione delle "golden shares" che assicurano poteri di controllo,peraltro ben circoscritti, su alcune delle società privatizzate. Nel 1986 anche il settore del gas naturale subisce un profondo cambiamento, da un lato, con la privatizzazione della British Gas, e dall'altro, con la liberalizzazione del mercato, che viene soggetto al controllo di un regolatore indipendente (The Office of Gas Supply: OfGas).A seguito di questa riforma la British Gas continua a svolgere la sua missione di impresa integrata impegnata nella valorizzazione di riserve di idrocarburi e nella collocazione delle stesse sul mercato ma non più in condizione di monopolio ma in regime di concorrenza con gli altri operatori del settore che possono stipulare liberamente contratti di fornitura con le industrie e con i produttori di elettricità ed anche utilizzare le infrastrutture di trasporto esistenti. Nel 1989 vengono anche avviate la liberalizzazione del mercato elettrico e la privatizzazione dell'industria. Il processo implica anche la rimozione dell'integrazione verticale tra produttori e distributori, mentre il rispetto delle regole della concorrenza viene affidato ad un regolatore indipendente l'Office of Electricity Regulation (OFFER). Viene anche avviata la privatizzazione dell'industria del carbone e messa allo studio quella dell'industria nucleare. Negli altri paesi dell'Europa Occidentale la privatizzazione si sviluppa in maniera graduale: la prima tappa è spesso rappresentata dall'apertura al capitale privato di società controllate dal settore pubblico o dalla trasformazione di enti pubblici in strutture di tipo privatistico di cui viene successivamente avviata la privatizzazione. Nella R. F. Tedesca, dove la presenza pubblica costituisce sin dalla costituzione della Repubblica una realtà limitata, il Governo decide nel 1984 la completa privatizzazione della VEBA della quale deteneva una partecipazione del 30% (Società con interessi nella esplorazione e produzione del petrolio e del gas naturale, nella raffinazione del petrolio, nel carbone, nella chimica, nella elettricità e nei trasporti), disponendo forme di sostegno all'azionariato popolare e la collocazione dei suoi interessi presso un sindacato di Banche Nazionali ed Estere. In Francia il processo di privatizzazione ha interessato tutti i settori di attività, ma in campo energetico ha interessato soprattutto il settore petrolifero con la collocazione sul mercato del capitale di società come la Total e la Elf. I settori del gas e dell'elettricità sono invece rimasti sotto controllo pubblico . A partire dal 1984 l'industria petrolifera di Stato della Spagna viene riorganizzata ed il controllo della Campsa, alla quale era affidato il monopolio della distribuzione petrolifera spagnola, viene trasferito all INH (Istituto Nacional de Hydrocarburos), la Holding per gli interessi statali negli idrocarbruri. Nel 1987 viene creata una nuova società, la Repsol, che incorpora la maggior parte delle divisioni della INH (le società di prospezione petrolifera Hispaniol e Eniepsa, la raffineria Empetrol e la società Butano). Nel 1988 la Repsol, dopo aver ottenuto il controllo della Petronor, si aggiudica il controllo della Campsa. Nel 1989 inizia il processo di privatizzazione vero e proprio con la collocazione sul mercato delle azioni di questa ultima società. Anche in Portogallo, a partire dal 1992, si procede alla graduale privatizzazione dell'Industria Energetica a partire da quella petrolifera: le azioni della società Petrogal, che per dimensioni è la maggiore società del paese che gestisce tre raffinerie e controlla una parte sostanziale della distribuzione, vengono così progressivamente collocate sul mercato. In Italia il processo di riassetto del settore energetico pubblico si è svolto in due tempi: dapprima sono stati trasformati in società per azioni l ‘ENEL e l’ENI, successivamente con la legge n. 474 del 30 Luglio 1994 sono state fissate le regole per la privatizzazione delle imprese di proprietà pubblica, ivi comprese quelle operanti nel settore dell’energia . 62 In tal modo già a partire dal novembre 1995 è stata collocata sul mercato una prima tranche di azioni dell’ENI. pari a circa il 15% del capitale della società. Con la netta tendenza ad affermare le regole del mercato concorrenziale e del libero scambio come premessa per una efficiente allocazione delle risorse e per assicurare migliori condizioni di produttività, lo spazio detenuto dall'impresa pubblica europea si è andato drasticamente restringendo,modificando un assetto che per molti anni aveva contraddistinto l'economia europea rispetto a quella statunitense. L'esperienza del sistema misto in cui si sono confrontate imprese pubbliche e imprese private ha presentato peraltro aspetti positivi e negativi: nel corso degli ultimi 40 anni non sono mancati esempi di imprese pubbliche con una forte carica innovativa, anche se è innegabile che negli ultimi anni molte di queste imprese erano andate perdendo lo slancio imprenditivo della fase iniziale . 63 CAP. V LE NUOVE PROSPETTIVE DELLA POLITICA ENERGETICA EUROPEA 5.1 L'esperienza di liberalizzazione dei mercati energetici della Unione europea La fase iniziale La liberalizzazione dei mercati energetici europei ,che a metà degli anni ’90 sembra ormai vicina alla piena realizzazione, anche per effetto di una serie di iniziative in corso per superare gli ostacoli ancora esistenti, è il risultato di un processo che si è sviluppato molto lentamente e fra non poche difficoltà. Nella percezione dei paesi che avrebbero fondato la CEE il settore dell'energia era considerato come un'area di grande rilevanza politica e strategica ; di conseguenza gli interessi e le specificità delle problematiche nazionali avevano determinato l'affermarsi di sistemi istituzionali e di regole che risultavano spesso in contrasto con i principi della libera concorrenza e dell'apertura dei mercati. In particolare i settori dell'elettricità e del gas, che erano stati assimilati a monopoli naturali, erano stati assoggettati a regime di monopolio legale ed alle regole del servizio pubblico, a partire da paesi come il Regno Unito e la Francia, costituendo un esempio ed un punto di riferimento anche per altri paesi. Anche il settore petrolifero, quello relativamente più aperto, risultava regolamentato e soggetto a controllo pubblico direttamente o attraverso l'attività di imprese di proprietà statale che godevano di diritti esclusivi o di statuti particolari. Ma è soprattutto nei meccanismi di determinazione dei prezzi alle utenze di quasi tutti i prodotti energetici, che si registravano, nella gran parte dei paesi europei, interventi pubblici attraverso meccanismi di controllo dei prezzi e delle tariffe che lasciavano spazi piuttosto ristretti alla concorrenza. Nonostante questa situazione, prima ancora di sottoscrivere i trattati di Roma, che avrebbero stabilito le basi del nuovo mercato comune europeo, i sei paesi fondatori avevano avviato, con la creazione della CECA, una prima apertura dei mercati nazionali del carbone, che all'epoca era la fonte energetica più importante, abolendo le barriere che ne ostacolavano il commercio. Il processo verso la creazione di un mercato comune in Europa subisce una svolta con la firma del trattato di Roma (25 Marzo 1957), che poneva le fondamenta del mercato unico. Contemporaneamente veniva firmato anche il trattato istitutivo dell'EURATOM che doveva assicurare lo sviluppo dell'industria nucleare europea,considerata all'epoca come la fonte energetica del futuro . Il periodo iniziale di costruzione del mercato comune non fu peraltro caratterizzato dalla fissazione di obiettivi particolari per il settore energetico, sia perchè il mercato petrolifero poteva contare su prezzi particolarmente bassi, sia per la mancanza di una volontà politica di intervenire su materie considerate di stretta pertinenza nazionale. L'attenzione degli organismi comunitari fu così assorbita dalla costruzione della unione doganale tra i paesi membri ,che fu realizzata il primo luglio 1968 in anticipo sui dodici anni previsti, ed i temi energetici furono prevalentemente quelli coperti da Ceca ed Euratom. Le crisi energetiche. Con le crisi energetiche del 1973 e del 1979 i problemi dell'energia balzarono in primo piano ,dapprima per il pesante effetto inflazionistico determinato dal repentino aumento dei prezzi internazionali del petrolio, e ,successivamente, per i fenomeni recessivi indotti dalla misure restrittive adottate dai governi. In quel periodo la principale preoccupazione della Commissione e dei governi 64 nazionali divenne quella di mettere a punto strategie capaci di ridurre la dipendenza dal petrolio, attraverso la fissazione di obiettivi quantitativi e l'adozione di piani energetici, mentre i temi della liberalizzazione dei mercati e della riduzione dell'area dell'intervento pubblico passavano in secondo piano. Più precisamente ,nel settembre 1974, il Consiglio adottava una risoluzione riguardante una nuova strategia di politica energetica per far fronte alla crisi energetica (OJ C 153 9.7.75). La Commissione partecipava attivamente anche alla attività della Agenzia Internazionale per l'Energia , che aveva tra i suoi obiettivi quello dello sviluppo di fonti alternative al petrolio anche attraverso forme di finanziamento statale e altre forme di sussidio e protezione degli investimenti . In coerenza con questo indirizzo,nel 1983, il Consiglio ribadiva la necessità per la Comunità di definire comuni obiettivi in campo energetico ,di migliorare il coordinamento delle iniziative, di rafforzare le attività nazionali e di avviare iniziative comuni. Successivamente, nel 1986, il Consiglio adottava una strategia per il 1995 comprendente azioni a livello nazionale ed a livello comunitario. Questo piano di interventi, peraltro, si è realizzato solo in parte in quanto molte delle sue premesse si sono andate rapidamente modificando sotto la spinta di nuovi eventi sia sul piano internazionale sia sul piano più strettamente comunitario. Il crollo dei prezzi del petrolio sul finire del 1986, lo sviluppo delle tecnologie di estrazione e l'abbassamento dei costi di produzione portano a rimettere in discussione la necessità dell'intervento pubblico nel settore energetico, che era stata una delle caratteristiche del sistema europeo. Nello stesso periodo si verificano anche importanti cambiamenti nel clima politico europeo con una netta ripresa di interesse e di iniziative per la realizzazione di un mercato unico ed il conseguimento di una maggiore integrazione economica tra i paesi membri. In particolare gli anni 1985 e 1986 si rivelano decisisivi: da un lato, a seguito della pubblicazione ( 14 Giugno 1985) di un apposito Libro Bianco, viene fissata la data del dicembre 1992 per il completamento del mercato unico e dall'altro inizia un processo che porterà alla modifica del trattato istitutivo della CEE. Nel Febbraio 1986 viene infatti siglato l'"Atto Unico Europeo" con il quale la Comunità riusciva ad accelerare, tramite l'adozione del principio della maggioranza qualificata, l'iter attuativo del mercato unico. Gli effetti dell'Atto Unico si estendono progressivamente sino a porre le basi per la costruzione di una vera e propria Unione Economica e Monetaria che sarà sancita dal vertice di Maastricht del 9-10 Dicembre 1991 e, quindi, dalla firma del Trattato sull'Unione Europea firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992. L'avvio del mercato unico. Il testo del nuovo trattato, pur non contenendo espliciti riferimenti all'energia, rende molto più difficile che in passato l'ipotesi di un settore energetico che per la sua specificità possa sottrarsi ai principi ed alle regole di mercato. Particolarmente significativo appare il nuovo testo dell'art. 3 che prevede al punto C "un mercato interno caratterizzato dalla eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali",da realizzare anche con il "riavvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune" (principio di sussidiarietà) (punto H). La realizzazione del mercato unico entro il 31 dicembre 1992, previsto dall’articolo 7a del trattato e l'attuazione dell'articolo 129b, che impone alla Comunità di contribuire allo sviluppo di reti energetiche, divengono temi di particolare attenzione per la Commissione che si trova di fronte a realtà nazionali ancora profondamente 65 frammentate . Anche per questo motivo le linee di intervento attraverso le quali si tende a realizzare un graduale riavvicinamento delle diverse realtà sono molto differenziate per tenere conto delle specificità nazionali.. L'armonizzazione della fiscalità sui prodotti energetici, a partire da quelli petroliferi, rappresenta una esperienza molto significativa, anche se ancora non del tutto compiuta . Il meccanismo previsto dall’articolo 10 della direttiva 92/82/EEC fornisce la possibilità di un aggiustamento periodico del livello minimo delle accise per migliorare il funzionamento del mercato unico anche nel quadro di obiettivi più ampi . Per effetto di tutti questi interventi sul mercato petrolifero l'obiettivo del mercato unico è quasi raggiunto . Un'altra importante linea di intervento è rappresentata dalla standardizzazione delle normative tecniche che regolano le caratteristiche dei prodotti,degli impianti e delle attrezzature. In campo energetico questa normativa ha trovato applicazione nel settore elettrico, nel settore del petrolio, nel settore del gas, nel settore delle fonti rinnovabili e in quello della efficienza energetica,con un significativo contributo alla realizzazione del mercato unico. La Commissione è anche impegnata per una sempre maggiore trasparenza dei prezzi dell'energia .Questo obiettivo è stato realizzato solo parzialmente e, comunque, in modo differenziato per le varie fonti energetiche, con un massimo di informazione per i prodotti petroliferi mentre più complessa è la situazione per gas ed elettricità. All’inizio degli anni ’90 il Consiglio ha adottato una direttiva sulla trasparenza dei prezzi del gas e dell’elettricità per i consumatori (90/377/EEC). Analogamente esiste una esperienza piuttosto consolidata in materia di trasparenza sugli investimenti di interesse comunitario . Nel settore del carbone oggetto del trattato CECA sono state adottate varie iniziative per renderlo coerente con le regole di mercato,abolendo dazi all’importazione ed all’esportazione e limitando progressivamente i sussidi alla produzione . Anche i compiti dell 'Euratom sono stati armonizzati con la dimensione assunta dal settore e con la necessità i assicurare condizioni di sicurezza in tutto lo spazio europeo. La Commissione si è impegnata anche per armonizzare i mercati dell'elettricità e del gas,ma le profonde differenze sul piano istituzionale e su quello industriale hanno reso molto difficile il cammino dell'armonizzazione stessa In questo contesto, dopo l'adozione delle direttive sul transito del gas e dell’elettricità (91/926/EEC e 90/547/EEC),la Commissione ha adottato ulteriori iniziative e proposte di direttive,che però hanno incontrato numerosi ostacoli. Le prime proposte di libelaizzazione dei mercati del gas e dell’energia elettrica ,pur contenendo una serie di clausole tendenti a rispettare il principio di sussidiarietà,hanno incontrato una serie di ostacoli sia da parte di alcuni governi sia da parte dei rappresentanti degli interressi coinvolti Con particolare riferimento al gas naturale,le differenze tra i vari mercati nazionali hanno reso difficile anche la formulazione dei modelli di riferimento da adottare. Le scoperte del Mare del Nord e la messa in produzione di una serie di giacimenti non lontani dalle coste del Regno Unito, oltre a risolvere il problema della dipendenza energetica di quel paese, hanno creato, infatti, le condizioni migliori per lo sviluppo di una competizione tra gli operatori “upstram” per la conquista dei mercati a valle della produzione termoelettrica, liberalizzata anch'essa, dell'industria e degli usi civili . I paesi meno dotati di riserve e fortemente dipendenti dall'estero hanno sviluppato strategie di risposta notevolmente differenziate, che vanno da esperienze di apertura al mercato al mantenimento per l'industria del carattere di servizio di interesse pubblico. Di fronte ad un quadro cosi complesso la politica comunitaria si era orientata in un primo tempo verso l'abolizione, ovunque possibile, delle situazioni di monopolio legale e di diritti speciali esistenti nelle varie fasi del ciclo del gas, da un lato, e verso l'introduzione dell'accesso dei terzi alle reti di trasporto (il cosiddetto TPA, Third Party 66 Access 27) come strumento principe per consentire l'apertura del mercato a nuovi operatori, dall'altro. Sul TPA, le opposizioni sono risultate assai diffuse sia a livello dei governi che tra gli operatori economici interessati, con l'eccezione delle imprese industriali forti consumatrici di gas. È stato infatti osservato che l'introduzione di un regime di TPA sulle condotte di importazione è un provvedimento che può essere utile quando le prospettive siano di mercato stazionario o comunque con basso tasso di crescita: in tal caso, infatti ,è difficile l'ingresso di nuovi soggetti integrati, perche non vi è la necessità di nuove grandi infrastrutture di trasporto; una maggiore articolazione del mercato può essere ottenuta perciò solo consentendo a nuovi entranti di accedere alle condotte esistenti. Se invece le prospettive del mercato sono di crescita sostenuta, tale da richiedere la realizzazione di ingenti investimenti in grandi condotte ad alta pressione per importare gas, negoziato tra l’altro con clausole di take or pay, l'introduzione del TPA è stata indicata come poco efficace in quanto in un mercato in crescita le infrastrutture di trasporto assai difficilmente possono trovarsi nella condizione di basso utilizzo. Ben diversa sono state infatti le condizioni che hanno portato alla liberalizzazione del mercato del gas degli Stati Uniti dove, nel corso degli anni ‘80 si era determinata una vera e propria “bubble gas” rispetto ad una domanda in netta flessione. Nei mercati in crescita una maggiore apertura del mercato appare quindi meglio garantita da soluzioni più flessibili, come ad esempio l'accesso negoziato,”negotiated access”, che tende ad assicurare ugualmente la possibilità di accesso di terzi alle reti, sia produttori sia grandi utenti. Con questa opzione i maggiori utenti e le aziende di distribuzione locale hanno la facoltà di contattare più di un fornitore, anche al di fuori dei limiti nazionali, nell'ipotesi che esistano margini di capacità di trasporto inutilizzati nelle grandi reti. Questo impostazione sembra anche essere stata accettata dalla Commissione Europea nelle successive proposte di direttiva per la liberalizzazione del mercati del gas naturale e dell’energia elettrica. D’altra parte occorre anche tenere presente, nell’ipotesi di conflitti tra nuovi entranti e soggetti dominanti, sui poteri di intervento delle autorità garanti della concorrenza. La realizzazione del mercato unico non è peraltro l’unico punto di attenzione del dibattito energetico in Europa. La graduale ripresa della domanda ha riacceso la discussione sul futuro approvvigionamento europeo dato che gli ulteriori attesi miglioramenti di efficienza non potranno comunque far fronte ai fabbisogni energetici addizionali previsti dopo il 2000 quando la produzione domestica tenderà al declino. La Commissione, in particolare , in vista del possibile inserimento di uno specifico riferimento all'energia in occasione della revisione del trattato di Maastricht, dopo aver approntato una serie di documenti che hanno esplorato gli scenari che si prospettano per l’Unione Europea, ha anche pubblicato dei documenti di taglio più politico: un Libro Verde e, quindi, un Libro Bianco.I punti centrali sui quali viene focalizzata l'attenzione dei governi e degli operatori sono il rafforzamento della competitività dei paesi membri, la sicurezza dell'approvvigionamento energetico e la protezione ambientale; su questo sfondo vengono esaminate le possibilità di una armonizzazione delle politiche dei vari paesi .Anche il tema dei rapporti con i paesi produttori è stato oggetto di iniziative :in particolare, dopo una fase caratterizzata da intese bilaterali tra singoli governi e singole iniziative delle imprese, è prevalsa la consapevolezza della necessità di una strategia di cooperazione in tutto il bacino del Mediterraneo centrata sulla energia ed in particolare sulla creazione di un sistema energetico integrato fra sponda nord e sponda sud, la più ricca di risorse energetiche ma finora valorizzate al di fuori di un disegno di interconnessione e di sviluppo integrato. 27 Jonathan P. STERN, Third party access in European Gas Industries - Regulation-driven or Market-led?, The Royal Institute of International Affairs, Londra, 1992 67 5.2 L'ambiente La nascita della questione ambientale è strettamente legata allo sviluppo economico ma soprattutto all'instaurarsi di sistemi di produzione di massa caratterizzati dal rilascio nell' ecosistema di sostanze potenzialmente nocive per l'ambiente e per la la salute dell'uomo e degli altri esseri viventi , ovvero dalla creazione di rifiuti non degradabili o riciclabili in tempi brevi . I prodotti della combustione delle fonti fossili e dei loro derivati ,così come i prodotti della fissione nucleare, sono un aspetto non secondario del problema ambientale insieme a quelli derivanti dal trasporto. Il forte sviluppo dei consumi di energia ,ma anche il succedersi di alcuni grandi incidenti ed il manifestarsi di situazioni di emergenza hanno portato ad una sempre maggiore sensibilizzazione della opinione pubblica di fronte ai problemi ambientali .Ai governi ed alla comunità internazionale è spettato il difficile compito di mediare tra le posizioni più radicali e gli interessi generali con l'emanazione di una complessa normativa in continua evoluzione . Il ruolo della Comunità Europea in questo settore si è rilevato immediatamente molto importante, considerata la inadeguatezza della dimensione strettamente nazionale . Le posizioni della Comunità Europea si sono andate via via adeguando agli sviluppi del dibattito internazionale e al crescente consenso sulla centralità dei temi ambientali ai fini dello sviluppo sostenibile. La tradizionale separazione, spesso vera e propria opposizione, tra valori economici e ambientali si è andata progressivamente trasformando nella direzione di una maggiore integrazione. In particolare è andata crescendo l'attenzione per l'applicazione degli strumenti economici a politiche di tutela ambientale più ambiziose a costi moderati, rendendole compatibili con altri obiettivi delle politiche economiche, come lo sviluppo della produzione e dell'occupazione, la stabilità dei prezzi e i problemi della distribuzione dei redditi. Storicamente e metodologicamente opposti fino ad oggi, l'approccio ambientale e quello economico ai problemi ecologici tendono sempre più a integrarsi in un nuovo approccio in cui l'ambiente non viene più percepito come un limite esterno naturale all'attività umana (come nell'approccio puramente ambientale), né soltanto come una risorsa scarsa e limitata. L'ambiente tende a diventare parte del prodotto generale del sistema economico; gli obiettivi delle politiche ambientali più ambiziose vengono tradotti in termini di obiettivi degli investimenti e dell'innovazione tecnologica. L'ambiente sembra essere un terreno sempre più decisivo per la concorrenza tra industrie e paesi, sia che venga considerato un limite, una risorsa o un prodotto, e quindi appare destinato a rientrare tra i valori e le variabili delle politiche macroeconomiche. Contrariamente a quanto portano a credere alcuni pregiudizi , le evidenze empiriche mostrano che il progresso della tutela ambientale è più facile da realizzare nelle economie in espansione e nei casi in cui funzionano i segnali dei meccanismi di mercato. Negli ultimi anni sono emerse prove molto tangibili di come sia stato più semplice realizzare politiche più ambiziose di tutela ambientale nelle economie di mercato rispetto ai paesi dell'Europa centrale e orientale, in cui veniva sperimentata la pianificazione centrale e dove si sono avuti i risultati ecologici più disastrosi. Nei sistemi economici in cui il prodotto interno lordo e la produttività sono aumentati, sono risultati facilitati gli investimenti per la riconversione dei processi produttivi in direzione di standard più ambiziosi di tutela ambientale. Quando le misure di tutela ambientale sono state applicate in modo efficiente e gli aumenti della produttività hanno consentito di sostenerne i costi, senza limitare eccessivamente lo spazio per l'aumento del reddito disponibile, i rischi di un possibile conflitto tra politiche ambientali e distribuzione del reddito tra i fattori della produzione si sono ridotti al minimo. 68 Far sì che i prezzi di mercato riflettano gli effetti ambientali dell'uso delle risorse e della produzione di beni e servizi si prospetta comunque come una non facile operazione . L'introduzione di nuove imposte è uno degli strumenti economici pratici. Si potrà fare ricorso a una distribuzione più equilibrata dell'attuale onere fiscale, eliminando i sussidi distorcenti e tentando di far rientrare nei prezzi l'uso delle risorse ambientali. Sebbene le esternalità ambientali siano piuttosto incerte e quindi difficili da quantificare con precisione, la direzione del cambiamento è il fattore importante, ancora più dei risultati quantitativi (S. Schmidheiny, Business Council for Sustainable Development, MIT, 1992). Gli effetti generali di queste imposte dovrebbero essere comunque valutati accuratamente, prima che uno stato intraprenda azioni unilaterali che potrebbero modificare eccessivamente la concorrenza tra industrie o paesi. Un modo per incoraggiare l'inserimento delle politiche e dei costi energetici nelle politiche macroeconomiche potrebbe essere il miglioramento della contabilità nazionale, tenendo conto dei danni ambientali che possono essere stimati in termini monetari e delle variazioni nette delle scorte di risorse naturali, come per esempio le foreste. Anche se molti economisti mettono in dubbio la fattibilità e l'efficacia di questi calcoli, potrebbe essere utile perfezionare indicatori economici che completino quelli tradizionali, come hanno cominciato a fare la Norvegia, la Francia e il Giappone, oltre che diverse organizzazioni internazionali. Il problema è quello di trovare indicatori efficaci per la valutazione delle prestazioni economiche dei vari paesi, anche alla luce del progresso verso uno sviluppo sostenibile. Nella maggior parte dei paesi oggi sono disponibili pochi dati statistici sull'uso delle risorse naturali, inoltre i danni ambientali e il costo per sanarli (per esempio sversamenti di petrolio in mare a seguito di naufragi di petroliere) vengono registrati solo come contributo alla crescita del reddito. La natura degli squilibri ambientali che si intravedono all'orizzonte è tale da limitare l'efficacia di passi unilaterali da parte di singole nazioni, poiché gli squilibri stessi stanno assumendo sempre più un'importanza planetaria, che impone una limitazione delle sovranità nazionali e il superamento di soluzioni geografiche troppo restrittive. Un elemento chiave riguarda il cambiamento dell'importanza relativa della domanda energetica delle aree principali.. Nel 2020 la quota OCSE dovrebbe scendere a un livello tra il 28 e il 35%, a seconda degli scenari di riferimento, mentre la quota di energia consumata nei paesi in via sviluppo salirebbe a oltre il 50%(v.capVI). Con il crescere del ruolo della Comunità Europea, gli strumenti di comando e controllo tendono ad accompagnarsi a strumenti che seguono la logica del mercato, e per questo le politiche ambientali sono destinate a integrarsi sempre più con quelle macroeconomiche, influenzandosi a vicenda. La proposta della Commissione CEE di imporre un'imposta mista sulla CO2 e sull'energia per stabilizzare le emissioni ai livelli del 1990 entro il 2000 ne è uno degli esempi principali. Per ragioni di concorrenza sul mercato internazionale l'adozione e l'applicazione della direttiva sono rimaste subordinate all'adozione di politiche simili per combattere l'effetto serra da parte di tutti i paesi OCSE, USA e Giappone in particolare; il processo di traduzione della proposta in direttiva ha anche risentito di un certo rallentamento di attenzione, che si è manifestato dopo la conferenza di Rio de Janeiro sull'ambiente (1992). Indubbiamente, nonostante le numerose incertezze scientifiche che ancora limitano le conoscenze dei meccanismi complessi e dei rischi reali relativi al riscaldamento globale e nonostante il blocco temporaneo della proposta CEE, il problema rimane d'attualità, sia a livello nazionale che internazionale. In conclusione la proposta CEE rimane un punto di riferimento importante, anche se, sotto il profilo della tassazione ottimale dei sistemi competitivi tendenti all'efficienza economica e degli aspetti correlati dell'equità distributiva e del benessere sociale, il meccanismo proposto appare ancora controverso. 69 Vi sono due aspetti della proposta, in particolare, che sembrano comprometterne l'efficienza. Il primo, fondamentale, riguarda la natura ibrida di un'imposta combinata sul carbonio e sull'energia. Il secondo, non meno importante, riguarda l'evidente asimmetria tra i diversi paesi della Comunità in materia di efficienza energetica e di intensità delle emissioni di anidride carbonica e quindi l'estrema variabilità delle diverse funzioni di abbattimento dei costi e dei danni causati dalla stessa Una imposta rivolta alla CO2 risulta economicamente efficiente se rende uguali in tutti i paesi i costi marginali dell'abbattimento delle emissioni . La realizzazione di condizioni di efficienza di costi e di allocazione delle risorse in un contesto competitivo e cooperativo quale la CEE non è, tuttavia, indipendente dal livello dell'imposta stessa, soprattutto in presenza di mercati asimmetrici. In questo contesto, i paesi più efficienti dal punto di vista energetico con costi marginali elevati per l'abbattimento della CO2 di fatto finanzierebbero (in parte) quelli meno efficienti e con costi marginali più bassi (quindi con costi di abbattimento totali superiori a quelli ottimali). Nel caso specifico l'Italia sarebbe certamente molto penalizzata dal momento che all'interno della Comunità è (con la Danimarca) il paese più efficiente sia dal punto di vista dell'intensità energetica che da quello dell'intensità di carbonio (rispetto al PIL).Sebbene si dia per scontato il principio della neutralità fiscale, con rientri sotto forma di mutui e incentivi al miglioramento ambientale, l'impatto di una simile imposta sui prezzi finali dei prodotti energetici sarebbe elevato sui prodotti energetici utilizzati per uso industriale e per produzione termoelettrica, mentre avrebbe modesti effetti sui prezzi dei prodotti usati nei trasporti e nelle attività non industriali (già pesantemente tassati). Il sistema proposto, rispetto ad altri strumenti economici, risulta in definitiva costoso e non efficace rispetto all'obiettivo di una riduzione delle emissioni di CO2, nè la Commissione può garantire che la proposta di ridistribuzione delle entrate derivanti dalla tassazione sia effettivamente adottata dagli Stati membri. In definitiva, nuove tassazioni sul settore energetico dovrebbero essere viste solamente nell'ambito di un progetto più ampio di riorganizzazione della fiscalità dell'energia, basato sull'armonizzazione tra paesi e tra settori di utilizzo; sull'efficienza energetica; sulla incentivazione ai prodotti puliti; sulla standardizzazione dei prodotti; sull'incentivazione finalizzata alla innovazione delle strutture produttive dell'industria di trasformazione in funzione delle esigenze ambientali. In questa prospettiva, capace di costituire un vero salto di qualità rispetto al semplice reperimento di entrate, l'obiettivo della riduzione delle emissioni di CO2 dovrebbe essere integrato anche a quello della riduzione degli altri agenti inquinanti. 5.3 La prospettiva dell’integrazione tra Europa dell’Ovest ed Europa dell'Est I grandi avvenimenti che hanno cambiato la fisionomia dei paesi dell'Est sul finire degli anni '80 hanno posto in una nuova dimensione le prospettive energetiche mondiali e ,in particolare, quelle europee. Per apprezzare l'entità dei cambiamenti intervenuti e di quelli che si vanno delineando si deve partire da un esame delle strutture dei due sistemi energetici, quello dell'Europa occidentale e quello dell'Europa orientale che, per oltre 70 anni nell'ex Unione Sovietica e per 45 anni negli altri Paesi dell'Est, si erano sviluppati sulla base di regole istituzionali antitetiche. La vecchia configurazione dei rapporti tra i due sistemi si basava sull'esportazione di fonti energetiche (prevalente- mente gas, petrolio e carbone) dall'Est, con la assoluta prevalenza dell'ex-Unione Sovietica, verso l'Ovest, mentre risultavano pressocchè inesistenti le iniziative comuni per lo sfruttamento e la valorizzazione di risorse energetiche. Nel 1988, anno che rappresenta ancora gli antichi equilibri, i consumi energetici 70 dell'Europa occidentale ammontavano a 1.330 milioni di tep, con riferimento ad una popolazione di 411 milioni di abitanti; i consumi dell'Europa dell'Est, ivi compresa l'Unione Sovietica, erano pari a 1.850 milioni di tep, con riferimento ad una popolazione di 423 milioni di abitanti. Già a questo livello di aggregazione risultava una notevole disparità tra le due aree, sia in termini assoluti sia in termini di consumo pro-capite: 3,6 tep nell'Europa occidentale, 4,6 tep nell'Europa orientale. In realtà anche la struttura dei consumi di energia in fonti primarie era segnata da profonde differenze. Il peso dei combustibili solidi nei Paesi dell'Est era ancora superiore al 30% contro il 22% dell'Europa occidentale, quello del petrolio era a meno del 30% contro il 43%, quello dell'energia nucleare al 3,3% contro il 12%;di grande rilievo, invece, il ruolo del gas naturale, con una quota pari al 33% contro il 15% nell'Europa dell'Ovest. Il grado di efficienza dell'utilizzo dell'energia, espresso come rapporto tra consumo energetico e Prodotto Interno Lordo, in altri termini l'intensità energetica, mostrava un enorme divario a sfavore dell'Europa dell'Est, con un valore dell'intensità energetica superiore di circa tre volte a quello medio dell'Europa occidentale. Tra l'altro, negli anni successivi alle crisi del 1973 e del 1979, l'intensità energetica dei paesi occidentali e, in particolare, di quelli europei, era andata nettamente diminuendo, mentre nei Paesi dell'Est si erano registrati aumenti o stabilità (cfr.cap. II). Il rilievo pratico di questo tema è dimostrato dal fatto che una riduzione dell'intensità energetica del 20% nei Paesi dell'Est può significare un minore fabbisogno interno di circa 400 milioni di tep, che potrebbero essere collocate sul mercato internazionale costituendo una fonte di finanziamento per le nuove iniziative da realizzare. Questo grande serbatoio di risparmio energetico non è però uniformemente distribuito tra tutti i settori di utilizzo finale. Sempre nel 1988 i consumi energetici del settore industriale erano pari a 730 milioni di tep nell'Europa dell'Est contro 322 all'Ovest; nella siderurgia i consumi erano di 160 milioni di tep contro circa 60; nella chimica i consumi erano di 150 milioni di tep contro 100. La causa di queste differenze va ricercata nel ruolo delle industrie pesanti e dei grandi complessi energetici e industriali tipici delle economie pianificate, senza trascurare la vecchia logica dei target quantitativi da raggiungere a prescindere da controlli di efficienza e la mancanza di un sistema di prezzi dell'energia collegato a quello internazionale. I consumi degli usi civili dell'Europa dell'Est, sempre nel 1988, ammontavano a 380 milioni di tep, superando di circa 30 milioni di tep quelli dell'Europa occidentale, con una forte presenza dei combustili solidi. Pur tenendo conto delle condizioni climatiche particolarmente severe che possono giustificare in parte i maggiori consumi, la mancanza di una contabilizzazione (contatori) dei consumi individuali e di un sistema di prezzi sovvenzionati aveva costituito un incentivo a situazioni di spreco anche in presenza di impianti di cogenerazione in grado di assicurare, almeno in teoria, una elevata efficienza energetica. Parzialmente a sfavore dell'Europa Occidentale le differenze nei trasporti: 250 milioni di tep contro 180 nell'Europa dell'Est, con una struttura per fonte caratterizzata dalla prevalenza del petrolio in ambedue le aree, ma con notevoli differenze nella qualità dei prodotti impiegati. In questo caso, però, ipotizzare una contrazione della domanda ad Est non appare realistico dato che il passaggio ad una economia di mercato e il conseguente sviluppo della motorizzazione privata tenderanno a tradursi in un netto aumento dei consumi energetici, anche se all'aumento quantitativo dovrà corrispondere anche un netto miglioramento della qualità dei prodotti con il graduale allineamento agli standards già in vigore nell’Europa Occidentale. 71 Il divario tra Est ed Ovest era molto rilevante anche nel settore della produzione di energia elettrica e di calore, che nei Paesi dell'Est assorbiva oltre 740 milioni di tep in termini di energia primaria, determinando livelli di emissione di agenti inquinanti notevolmente superiori a quelli dell'Europa occidentale, sia per il mancato ricorso a tecnologie di abbattimento, sia per le caratteristiche dei combustibili utilizzati (ligniti e carboni ad alto tenore di zolfo ,olio combustibile ad alto tenore di zolfo). Dopo una fase di ottimismo il processo di integrazione tra i due sistemi è apparso più difficile di quanto previsto con il manifestarsi di ostacoli prima ancora che su quello energetico su quello politico ed economico. Nei paesi dell’Europa orientale (esclusa l’ex-URSS)la transizione è stata accompagnata da fenomeni recessivi molto accentuati ed anche il ruolo della collaborazione internazionale è stato relativamente limitato, sia per motivi interni, sia per motivi internazionali come la crisi del Golfo che ha posto in secondo piano, specie nei momenti di maggiore tensione, l 'interesse per questa area. L'adeguamento dei prezzi delle fonti energetiche ai livelli vigenti sul mercato internazionale e la standardizzazione delle tecnologie e delle strutture produttive si sono rivelati molto difficili . I cali produttivi riflettono la progressiva liberalizzazione del mercato in questi paesi. La rimozione dei sussidi statali e dei controlli sui prezzi ha imposto, all'interno del settore energetico, profonde ristrutturazioni degli assetti aziendali e la uscita di scena delle attività marginali. D’altra parte il recupero di efficienza economica delle imprese energetiche richiede tempi certamente non brevi, tenuto conto anche delle significative risorse finanziarie necessarie ad ammodernare il settore . La crisi economica e finanziaria ha influito anche sul livello delle importazioni di energia di questi paesi , per lo più gas e petrolio;con la dissoluzione del Comecon (inizio 1991) e la denominazione in valuta convertibile delle esportazioni delle repubbliche ex- sovietiche, i Paesi dell'Europa orientale hanno visto più che raddoppiare i costi delle proprie importazioni energetiche, a fronte di una decisa contrazione dei tradizionali mercati di sbocco per le proprie esportazioni. La rottura dei tradizionali rapporti commerciali ha dunque amplificato le già profonde difficoltà connesse con il processo di ristrutturazione produttiva ed economica. A partire dal 1993 nonostante il permanere di condizioni difficili non sono mancati segnali di miglioramento rispetto agli anni precedenti. Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia hanno conseguito significativi successi in materia di privatizzazione e di stabilizzazione economica. Sono inoltre sensibilmente aumentate le esportazioni di questi paesi sui mercati occidentali. Per contro, in Bulgaria e in Romania il cammino delle riforme ha subito notevoli ritardi e la fase di caduta del prodotto non sembra ancora aver raggiunto il punto di svolta. Relativamente all’offerta di energia sembra delinearsi una relativa stabilizzazione dei livelli produttivi, mentre dal lato della domanda si profila un recupero della domanda di prodotti petroliferi e di gas naturale soprattutto nei paesi più avanti nel processo di ristrutturazione. Nell'ex-Unione Sovietica la crisi è stata ancor più profonda; la nascita di nuove entità nazionali (la Russia, le repubbliche baltiche, le repubbliche asiatiche), che non hanno ancora raggiunto un equilibrio stabile ,ha reso ancora più complesso lo scenario della nascita di un nuovo sistema . In questo contesto la crisi del sistema economico, l'arretratezza tecnologica e la mancanza dei capitali necessari allo sviluppo della produzione hanno pesato profondamente sia sulla domanda sia sull'offerta di energia, mentre scarsi progressi si sono avuti nel campo della razionalizzazione degli impieghi. Tra il 1988 e il 1992 la produzione complessiva di energia dell'ex-Unione Sovietica è diminuita di oltre 200 milioni di tep per attestarsi su circa 1.430 milioni di tep. Contrazioni nei livelli produttivi hanno interessato quasi tutte le fonti primarie. La produzione di carbone si è attestata sui 260 milioni di tep con una flessione di circa 50 72 milioni di tep; la caduta della produzione di petrolio, da oltre 600 a circa 450 milioni di tep, è stata ancora più accentuata .La crisi del settore nucleare ha raggiunto livelli drammatici con l'incidente di Chernobyl, che ha messo in risalto ,drammaticamente, l'insufficiente livello di sicurezza di molti impianti dell 'Europa dell'Est . La produzione di gas naturale, che in un primo momento non sembrava dover risentire della crisi, ha registrato un arretramento dopo il 1990, anche se il fattore domanda sembra prevalere su quelli relativi all'offerta. La maggiore "criticità" del settore petrolifero e la maggiore tenuta di quello gassifero sono il riflesso di diversità strutturali e organizzative dei due comparti. L'industria petrolifera dell'ex-URSS ha subito una profonda trasformazione con la costituzione, in ognuna delle nuove repubbliche, di società petrolifere più o meno aperte al capitale privato . Il settore del gas ha conservato, invece, una struttura unitaria .Il Gasprom, già dotato di ampia autonomia, si è trasformato in società per azioni a partecipazione della federazione russa,della Bielorussia e dell'Ucraina. Questa società ha continuato a gestire unitariamente tutto il ciclo del gas, dalla produzione alla distribuzione, al trasporto e alle esportazioni. Il maggiore coordinamento nella gestione del settore ha permesso di evitare, pur nel contesto di una difficile congiuntura, drammatiche riduzioni dei livelli produttivi o interruzioni nei flussi di esportazione . Ad alimentare le difficoltà presenti nei vari settori energetici ha contribuito in misura significativa la mancanza di un sistema di prezzi in grado di riflettere i reali e crescenti costi di produzione . Ad esempio ,nel gennaio 1992 la Federazione russa ha avviato la liberalizzazione dei prezzi di tutti i beni, ad eccezione di un paniere di beni di prima necessità e delle fonti di energia, seguendo un approccio gradualistico, per non incidere sulla già precaria situazione del sistema industriale ed evitare il rischio di contraccolpi sulle attività produttive indotte da crescite significative dei prezzi energetici. La riforma dei prezzi dell'energia si è così concretizzata più in misure di aggiustamento che in una vera e propria liberalizzazione. Nonostante i significativi aumenti, il prezzo riconosciuto ai produttori ha continuato a mantenersi di molto al di sotto del livello vigente sui mercati internazionali e assolutamente insufficiente a garantire un adeguato margine di profitto alle imprese di produzione, che non possono finanziare nemmeno gli investimenti necessari a stabilizzare la produzione. La crisi produttiva si è riflessa sulla domanda di energia che si è ridotta in quattro anni di quasi 300 milioni di tep, una flessione comunque meno accentuata di quella del prodotto interno lordo. Tutto ciò ha determinato un aumento dell’intensità energetica in netto contrasto con l’esigenza di razionalizzazione del sistema. L'assoluta necessità di non ridurre le entrate in valuta estera ha comunque costituito un forte incentivo a non ridurre in modo sostanziale il flusso delle esportazioni di energia,in particolare petrolio e gas, anche se non sono mancati momenti di difficoltà per problemi tecnici (manutenzione degli impianti) e politici (crisi e conflitti locali) che si sono immediatamente riflessi sui mercati internazionali . Nel caso dei prodotti petroliferi, il forte divario esistente tra livello dei prezzi interni e quello vigente sui mercati internazionali ha comunque costituito una notevole spinta verso i nuovi produttori indipendenti a privilegiare i mercati esteri rispetto a quelli interni .A fronte di una riduzione della produzione di petrolio di circa 180 milioni di t, le esportazioni sono diminuite di circa 40 milioni di t in un quadriennio. Nel caso del gas le esportazioni nette sono rimaste stazionarie, ma con un diverso assetto dei flussi verso i paesi dell'Europa orientale . Alla fine del 1995, che segna, rispetto al 1992, ulteriori pesanti flessioni produttive e di domanda,è comunque possibile intravedere alcuni sintomi di recupero nel settore della produzione di idrocarburi sia della repubblica russa sia di altre repubbliche . D’altra parte l’affermazione di nuove iniziative, in particolare "joint-ventures", richiede, stabilità, regole comuni e garanzie per gli investitori, anche in relazione alla dimensione 73 dei progetti energetici ed ai lunghi tempi di realizzazione. La Commissione europea ha prestato particolare attenzione al problema dell'integrazione dell'intera area europea sostenendo l'iniziativa del Primo Ministro olandese Lubbers per arrivare alla firma di una "Carta europea dell'energia" .Il primo documento di intenti, firmato all'Aja nel dicembre 1991, ha affermato l'esigenza di estendere il concetto e il processo di integrazione del sistema energetico, non solo all'interno della Comunità, ma anche all'intero continente europeo, compresa la ex Unione Sovietica. L'obiettivo è la creazione di una "Comunità dell'energia", all'interno della quale, mediante lo sviluppo della complementarietà tra i paesi possessori di risorse energetiche e i paesi detentori delle tecnologie; promuovere maggiore sicurezza di fornitura per i paesi importatori; aumentare al massimo l'efficienza della produzione, del trasporto, della trasformazione, della distribuzione e dell'uso dell'energia; garantire maggiore protezione dell'ambiente e sicurezza in campo nucleare; creare un mercato libero dell'energia per garantire l'accesso alle risorse energetiche e ai mercati internazionali; eliminare le barriere esistenti allo scambio di prodotti, tecnologie e servizi energetici; promuovere lo sviluppo e la tutela a livello internazionale degli investimenti energetici e la preparazione a livello delle singole nazioni di un quadro normativo stabile e trasparente per gli investimenti stranieri. Per l’Unione Europea la attuazione pratica dei principi della Carta può rafforzare la stabilità dell'intero sistema energetico. Per l'Europa orientale la Carta assume un significato economico e politico ancor più rilevante: in questa area, infatti, l'energia svolge un ruolo altamente strategico e, in una fase di transizione, può essere uno degli elementi chiave del rilancio . I paesi dell'Europa centro-orientale, che dispongono di risorse scarse e che hanno maturato una pesante dipendenza dall'ex URSS, dovrebbero ricevere l'aiuto necessario, oltre che per il riassetto delle loro forniture energetiche, anche e soprattutto per attrezzarsi con gli strumenti necessari a un uso più razionale dell'energia. L'ex Unione Sovietica, mediante l'espansione del commercio e della cooperazione con l'Europa occidentale, potrebbe rendere redditizie le sue enormi risorse energetiche. Essa infatti svolge un ruolo di primo piano nel mercato energetico mondiale con circa il 20% del petrolio e il 40% del gas prodotti nel mondo. In particolare, la Carta europea dell'energia, con l'adozione di norme e principi comuni relativi alla tutela e alla salvaguardia degli investimenti ,che nel settore energetico sono soggetti ad un elevato livello di rischio a causa della dimensione degli investimenti stessi e del differimento del rendimento, dovrebbe facilitare il flusso di capitali occidentali necessari a rivitalizzare il settore energetico dell'Europa dell'Est e della CSI. I negoziati avviati dopo la firma della Carta per tradurne gli obiettivi politici in documenti vincolanti sono stati molto complessi ; il primo documento che definisce le norme principali in tema di cooperazione e di mercato ha richiesto lunghe e complesse trattative ed è stato firmato a Lisbona il 17 dicembre 1994. Questa firma rappresenta certamente solo una tappa di un cammino complesso . Nonostante gli ostacoli , l'integrazione delle economie dell'Est e dell'Ovest europeo appare, comunque, un processo ineluttabile, anche se più complesso e difficile del previsto: si tratta ,infatti, di una delle sfide più importanti e più promettenti per lo sviluppo del settore energetico in Europa e nel mondo. 74 CAP. VI LE PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE DELLA DOMANDA E DELL’OFFERTA DI ENERGIA 28. 6.1 Evoluzione della struttura economica: verso la società della conoscenza. I possibili scenari evolutivi della domanda e della offerta di energia si inseriscono in un contesto in cui i cambiamenti degli scenari geopolitici, economico-finanziari, tecnologici e demografici, hanno assunto una accelerazione senza precedenti. Tra le novità più significative che stanno ridisegnando l'economia mondiale, vi è la rapida crescita delle economie in via di sviluppo, che non appare limitata al gruppo dei cosiddetti paesi di nuova industrializzazione (NIC), ma coinvolge anche grandi paesi come la Cina, l'India, il Brasile e l'Indonesia 29. La crescente offerta proveniente da aree a bassi salari avrà l'effetto di calmierare i prezzi dei manufatti e stimolare un uso più efficiente delle risorse nelle economie più ricche, aumentando la produttività; si intensificherà il fenomeno della globalizzazione dei mercati, con un aumento della concorrenza a livello mondiale e con la creazione di un mercato potenzialmente unico per beni, servizi, capitali ed altri fattori della produzione. Le economie di molti paesi emergenti stanno guadagnando posizione e potrebbero entro il 2020 entrare nel gruppo delle economie più' ricche ed avanzate in termini di ricchezza pro-capite, così come il Regno Unito sopravanzò l'Olanda alla fine del XVIII secolo e l'America divenne più' ricca del Regno Unito alla fine del XIX secolo. Nel periodo del dopoguerra, fino agli anni '70, la crescita della produttività totale dei fattori di produzione, per l'Europa ed il Giappone, è stata un elemento importante del processo di "catching up" nella tecnologia e nel reddito pro-capite. La teoria economica neoclassica implica una convergenza tra paesi nei tassi di sviluppo e nei livelli di reddito, facilitata dai trasferimenti di tecnologie attraverso il commercio internazionale, gli investimenti esteri diretti, i brevetti e così via. I nuovi produttori possono appropriarsi delle nuove tecnologie a costi relativamente bassi, avendo cosi accesso, almeno da un punto di vista teorico, ad una funzione di produzione identica a livello internazionale. Nell’ultimo decennio è emerso con chiarezza che si va delineando un legame inedito, per ampiezza e significato, tra il processo di innovazione tecnologica e l'organizzazione economica e sociale, compresi i metodi ed i rapporti di lavoro e gli obiettivi della formazione e dell'istruzione. Al tradizionale modello lineare dell'innovazione, in cui l'atto innovatore era isolato, vanno sempre più sostituendosi meccanismi complessi in cui i processi di innovazione sono altamente interattivi e tali da generare un traboccamento delle informazioni (information spillover) ed un circolo virtuoso in grado di ridisegnare la geografia economica del mondo. L'aspetto fondamentale che caratterizza l'economia basata sulla conoscenza è la capacità di "codificare" le informazioni rendendole, attraverso le tecnologie informatiche e della telecomunicazione, trasferibili e disponibili a livello mondiale. La codificazione della conoscenza e delle informazioni ridurrà quindi enormemente i costi della diffusione e dell'assorbimento delle tecnologie. Nel nuovo modello di economia, gli elementi determinanti della competitività riguarderanno sempre di più la qualità dell'insegnamento e della formazione, l'efficienza dell'organizzazione, l'intensità della ricerca e dello sviluppo e la loro diffusione, la disponibilità di infrastrutture competitive anche per i servizi, la disponibilità di 28 Vedi V, D’Ermo, F. Ferrari, C. Forli, C. Frattale, S. La Bella, G. Marcello, E. Petrone, G. Tribuzi, I cambiamenti strutturali e la domanda mondiale di energia, Energia, 1/96. 29 WORLD BANK, "Global Economic Prospects and the Developing Countries", 1994. 75 lavoratori ad alta professionalità (high skilled) o pluriprofessionalità (multiskilled) 30 31 32 33. Con combinazioni appropriate di dati, informazione e conoscenza, sarà possibile creare maggiore reddito, riducendo tutti gli altri inputs di fattori produttivi, cioè lavoro, scorte, energia, materie prime, capitale. Nei primi stadi dello sviluppo economico, nei paesi dove il reddito pro-capite è ancora basso, i fabbisogni di materiali di base per la produzione industriale sono limitati, dato il peso predominante delle attività agricole; l'industrializzazione e lo sviluppo economico inducono un forte aumento degli impieghi di prodotti di base e della loro intensità' di uso. Nelle fasi successive dello sviluppo la struttura del PIL si modifica a favore del settore dei servizi, che richiede, per unità di prodotto, minori quantità' di prodotti di base. Le innovazioni tecnologiche ed i fenomeni di sostituzione da un materiale all'altro riducono ulteriormente intensità di uso dei materiali di base. Con il crollo dei sistemi economici a pianificazione centralizzata dell'Europa orientale e dell'URSS e con la trasformazione graduale ma rapida della Cina in un paese ad economia di mercato, è finito il mito che un'economia potesse trovare una sua strada di sviluppo restando isolata dall'economia mondiale. Apertura verso l'esterno significa apertura all'acquisizione delle tecniche migliori a disposizione dei concorrenti esteri. Tutto ciò è rafforzato dalle politiche di privatizzazione, che ormai sono sempre più diffuse e sulle quali il consenso tende ad essere abbastanza generalizzato nelle varie aree economiche mondiali. Le imprese prima protette da sovvenzioni statali sono obbligate a ricercare la redditività degli investimenti in un contesto aperto alla concorrenza, perciò adottano le tecniche più appropriate disponibili in campo internazionale. In passato, per ragioni sociali e per agevolare l'industria nazionale, i prezzi dei prodotti energetici sono stati tenuti sganciati dai prezzi internazionali e al di sotto dei costi di produzione. In realtà si è appurato che spesso i maggiori beneficiari delle sovvenzioni erano le classi medie e medio-alte e che l'economia del paese non era affatto agevolata dall'energia a buon mercato. Con la eliminazione progressiva delle sovvenzioni, il consumo dei prodotti energetici dovrà essere razionalizzato, perciò troveranno sempre più spazio in questi paesi elettrodomestici e macchinari più efficienti nell'uso dell'energia. Da queste modifiche strutturali, scaturirà, a livello di domanda finale, un notevole ridimensionamento del ruolo dei combustibili solidi, il riposizionamento dei prodotti petroliferi in determinati segmenti di mercato, in particolare quello dei trasporti, un consolidamento del ruolo del gas naturale ed una notevole espansione dell'energia elettrica. Inoltre, il settore dei servizi, inclusi gli usi residenziali, diventerà il principale mercato di assorbimento, seguito da quello dei trasporti e, infine, da quello industriale che, nel 1991, aveva ancora un ruolo dominante. 30 DOSI G., FREEMAN C., FABIANI S. (1994), "The process of economic development: introducing some stylized facts and theories on technologies, firms and institutions", Oxford University Press. 31 GOLDIN I., KNUDSEN O., VAN DER MENSBRUGGHE D., "Trade Liberalization: Global Economic Implications", OECD, WORLD BANK, 1993. 32 MATHEWS J., "Organizational Foundations of the Learning Economy", Conference on Employment and Growth in the Knowledged-Based Economy (OECD and the Danish Government), 1994. 33 COMMISSION OF THE EUROPEAN COMMUNITIES, "Growth, Competitiveness and Employment - The challenges and ways forward into the 21st century", White Paper, 1993. 76 MONDO DOMANDA FINALE DI ENERGIA PER SETTORE E PER FONTE Miliardi di tep Quote percentuali 1980 1990 1992 2000 2010 1980 1990 2000 2010 Per settore Industria 1.8 1.9 1.7 1.8 2.2 39 36 30 30 Trasporti 1.1 1.4 1.5 1.8 2.3 24 26 30 31 Resid.-servizi-agr. 1.4 1.6 1.8 1.9 2.3 30 30 32 32 Usi non energetici 0.3 0.4 0.4 0.4 0.5 7 8 8 7 Totale 4.7 5.4 5.5 6.0 7.3 100 100 100 100 Per fonte Combustibili 4.1 4.6 4.6 4.9 5.8 87 85 82 80 Carbone 0.7 0.8 0.8 0.7 0.8 16 15 11 11 Petrolio 2.3 2.5 2.6 2.8 3.4 50 47 49 47 Gas 0.9 1.0 1.0 1.3 1.5 19 19 19 21 Calore 0.1 0.2 0.2 0.2 0.2 3 3 2 2 Elettricità 0.6 0.8 0.9 1.1 1.5 13 15 18 20 Totale 4.7 5.4 5.5 6.0 7.3 100 100 100 100 (1) Calcolate su dati non arrotondati. Fonte: Dati consuntivi da ENERDATA, "World Energy Data Base", Grenoble-Gières, France, 1994. Il fabbisogno per uso termoelettrico 34 dovrebbe evolvere gradualmente verso un assetto dove i combustibili solidi ed il gas naturale dovrebbero compensare la progressiva perdita di peso dell'energia nucleare, non più sostenuta dai massicci programmi di investimento degli anni '70 e '80. I rapporti di competività tra fonti indicano, infatti, ampi spazi per l'utilizzo, soprattutto con tecnologie innovative, del gas naturale e dei combustibili solidi in molte aree sviluppate e in via di sviluppo. Considerando anche i fabbisogni energetici degli altri settori trasformatori, in particolare la raffinazione, si può ipotizzare un fabbisogno energetico mondiale al 2010 pari ai 10,4 miliardi di tep, soddisfatto dal petrolio con 4,0 miliardi di tep, dai combustibili solidi con 2,8 miliardi di tep, dal gas naturale con 2,4 miliardi di tep, dal nucleare con 0,7 miliardi di tep ed infine dalla idroelettricità e dalle fonti rinnovabili con 0,5 miliardi di tep. Gli idrocarburi avrebbero un peso dominante nel soddisfacimento della domanda dell'area Ocse, mentre nell'area asiatica sarebbero i combustibili solidi ad avere un ruolo di primo piano. Carbone Petrolio Gas Elettricità Totale MONDO DOMANDA MONDIALE DI ENERGIA IN FONTI PRIMARIE Miliardi di tep Quote percentuali 1980 1990 1992 2000 2010 1980 1990 2000 2010 1.8 2.2 2.1 2.1 2.8 28 28 25 27 3.0 3.1 3.1 3.3 4.0 47 40 41 38 1.2 1.7 1.7 2.0 2.5 20 22 22 24 0.3 0.7 0.8 0.9 1.2 5 10 11 12 6.3 7.7 7.7 8.4 10.5 100 100 100 100 Fonte: Dati consuntivi da ENERDATA, "World Energy Data Base", Grenoble-Gières, France, 1994. 34 IEA, "Electricity Supply", OECD, 1992. 77 Questi valori si collocano in una posizione intermedia tra quelle di maggiore consenso 35 36 e lo scenario "ecologically driven" della World Energy Conference 37 38. Ciò può essere motivato dalla valutazione separata dei guadagni di efficienza nella fase di utilizzo 39, dei guadagni conseguibili nei processi di trasformazione, nonché dall'ipotesi di trasferimento delle tecnologie più efficienti dai paesi a più bassa intensità energetica a quelli a più alta intensità per effetto dell'apertura dei mercati. 6.2 Le prospettive dell'offerta La crescita della domanda di energia non sembra poter essere ostacolata da problemi di disponibilità fisica di risorse . Relativamente al petrolio, le riserve mondiali appaiono sufficienti a soddisfare la domanda prevista; alla fine del 1995, le riserve certe erano stimate dell’ordine di 1000 miliardi di barili, con un rapporto riserve/produzione pari ad oltre 40 anni (v. cap. III par. 4.1.7). Uno studio dell’Institut Français du Pètrole sul potenziale petrolifero dei bacini sedimentari di tutte le aree del mondo, indica che con le tecnologie di esplorazione e produzione attualmente disponibili è possibile recuperare ulteriori 500-600 miliardi di barili di greggio. Di questi, 350-400 Gbl sono costituiti da nuove riserve e 150-200 miliardi di barili da miglioramenti del recupero e da progetti di “Enhanced Oil Recovery” (EOR) su giacimenti già in produzione. Inoltre, secondo lo stesso studio, con l’introduzione e la diffusione di nuove tecnologie, in parte già sperimentate e utilizzate in alcuni settori dell’attività petrolifera, le quantità di riserve scopribili possono subire un notevole incremento. I livelli totali addizionali recuperabili sono stimati in 1350-1650 miliardi di barili; di questi, 600-750 sono costituiti da nuove riserve e 750-900 da miglioramenti del recupero e da progetti di EOR. La maggior parte di queste riserve scopribili (55-65%) è localizzata in aree fuori dal Medio Oriente ed è costituita, in misura preponderante, da riserve addizionali in giacimenti già in produzione. Anche il quadro relativo all' offerta del gas naturale non pone problemi, in termini di entità delle risorse, rispetto ai livelli di domanda previsti. Le riserve certe di gas naturale nel mondo assommano, a fine 1995, a circa 140.000 miliardi di mc (v. cap. III, par. 4.2.2). La stima delle riserve è in continuo aumento. Negli ultimi dieci anni queste sono state rivalutate di oltre il 50%. Il forte aumento è da attribuirsi principalmente alle nuove tecnologie tese a ridurre il rischio economico nella esplorazione, diminuendo nel contempo i costi di produzione. Si può ipotizzare che tale tendenza si manterrà nel prossimo futuro, così che il volume delle riserve certe continuerà ad aumentare. Il quadro delle riserve di carbone (v. cap. IV, par. 4.3), certamente la fonte energetica distribuita in maniera più uniforme e cospicua, è particolarmente favorevole: ai ritmi di produzione attuali, la durata delle riserve mondiali, valutate in oltre 1000 miliardi di tonnellate, si aggira intorno ai 230 anni. Ulteriore impulso all'utilizzo di questa fonte energetica potrebbe venire dall'utilizzo di tecnologie innovative, quali i cicli combinati alimentati con carbone gassificato (IGCC), il letto fluido, le miscele acqua-carbone che potrebbero migliorare l'accettazione da parte dell'opinione pubblica dell'utilizzo di questa fonte. 35 INTERNATIONAL ENERGY AGENCY, "World Energy Outlook", Paris, 1994. 36 DRI/McGraw-Hill, "World Energy Forecast Report", Lexington, MA, USA, 1993. 37 WEC COMMISSION, "Energy for tomorrow's world", Londra, 1993. 38 GOLDEMBERG J., JOHNSON T.B., REDDY A.K.N., WILLIAMS R.H., "Energy for a sustainable world", 1993. 39 SCHIPPER L., MEYERS S., HOWARTH R.B., STEINER R., "Energy efficiency and human activity: Past trends, future prospects", 1992. 78 Ampia appare la disponibilità delle fonti rinnovabili che però ,a causa della limitata competitività, si prospettano soprattutto come fonti "integrative" di quelle tradizionali . L'utilizzo delle biomasse (legno, residui dell'agricoltura e dell'allevamento animale) grazie all'apporto della tecnologia può estendersi ben al di là degli usi tradizionali .Già nel 1989 la capacità produttiva di etanolo da biomasse era di circa 18 milioni di mc all'anno, di cui circa 12 milioni di mc/anno nel solo Brasile, corrispondenti a circa 180.000 barili/giorno equivalenti di benzina. Programmi di produzione di etanolo su larga scala sono già attivi in Brasile e negli Stati Uniti, mentre molti altri paesi hanno programmi analoghi. L’impiego di bio-combustibili, anche per la produzione di elettricità, potrebbe costituire un volano di sviluppo per aree con particolari vocazioni agricole, con vantaggi per l'ambiente in relazione alla stabilità delle emissioni di CO2 attraverso il ciclo dei raccolti. La conversione dell'energia solare in energia elettrica, attualmente 40 MW nel mondo, può contare su elevate possibilità di sviluppo tecnologico, anche se essa appare ancora penalizzata da costi elevati e da una eccessiva occupazione del territorio. 6.3 Le problematiche ambientali L'impatto ambientale è uno dei punti critici di qualsiasi scenario, anche se le emissioni di inquinanti quali polveri, ossidi di zolfo, di azoto e di carbonio potranno essere contrastate dall'adozione di correttivi tecnologici atti a limitarne la produzione nel punto di emissione (abbattitori elettrostatici, desolforatori, denitrificatori, dispositivi catalitici, ecc.) anche nel quadro di accordi che impegnano i singoli paesi al rispetto di livelli definiti di emissioni. P ro to c o lli e d a c c o rd i p e r le e m issio n i d i: A n n o d i e n tra ta in v ig o re S ta b ilisc e c h e le P a rti si im p e g n a n o a rid u rre le e m issio n i S O 2 e n tro il 2 0 1 0 d e l 6 0 % SO2 p ro to c o llo d i H e lsin k i (1 9 8 5 ) risp e tto a i liv e lli d e l 1 9 8 0 . (D o p o a v e r g ià ra g g iu n to la rid u zio n e d e l 3 0 % se m p re risp e tto a l 1 9 8 0 , e n tro il 1 9 9 3 ). 1994 (p re c e d e n te 1 9 8 5 ) S ta b ilisc e c h e le P a rti si NOx p ro to c o llo e d ic h ia ra zio n e d i S o fia (1 9 8 8 ) im p e g n a n o a rid u rre le e m issio n i N O x e n tro il 1 9 9 8 d e l 6 0 % risp e tto a i liv e lli d e l 1 9 8 0 . 1988 Im p e g n o in se d e U E p e r la CO2 sta b ilizza zio n e d e lle e m issio n i d i a n id rid e c a rb o n ic a e n tro il 2 0 0 0 a i liv e lli d e l 1 9 9 0 . 1990 Relativamente alle emissioni di CO2, per le quali è in corso un dibattito relativo alla possibile correlazione con l'effetto serra, dopo una fase di aumento contenuto nel periodo 1990-2000, essenzialmente dovuta alla profonda ristrutturazione del settore energetico negli ex paesi ad economia pianificata, si prospetta una crescita a tassi superiori a quelli fatti registrare negli anni '70 e '80. 79 MONDO EMISSIONI DI CO2 Miliardi di tonnellate Quote percentuali 1980 1990 2000 2010 38 41 38 39 47 41 43 41 15 18 19 20 100 100 100 100 1980 1990 1992 2000 2010 7.0 8.7 8.5 8.3 11.1 8.7 8.7 8.8 9.4 11.3 2.8 3.7 3.7 4.1 5.5 18.4 21.2 21.0 21.8 27.8 Carbone Petrolio Gas Totale 6.4 I possibili interventi per limitare le emissioni di CO2 Per ottenere una stabilizzazione delle emissioni, certamente non facile in mancanza di correttivi tecnologici, dovrebbero intervenire profondi cambiamenti nella scelta delle fonti e delle tecnologie di trasformazione e di utilizzo. L'attuazione di qualunque strategia dovrebbe comunque tener conto delle diversità regionali sia in termini di emissioni di CO2 pro-capite che in termini di reddito procapite : in particolare gli interventi specifici dovrebbero prefigurare impegni maggiori a carico delle aree che presentano valori più elevati di emissioni e di reddito pro-capite. EMISSIONI DI CO2 E REDDITO PRO-CAPITE NEL 1991 C02 PRO-CAPITE (t/abitante) PIL PRO-CAPITE ($ '91/abitante) PAESI INDUSTRIALIZZATI 11,8 19843 EST EUROPA 5368 10,6 1,6 3,9 RESTO del MONDO MONDO 840 4265 La Conferenza di Rio del 1992, con la firma della Convenzione sul Clima e con la costituzione del fondo per l'ambiente globale (Global Environment Facility), è andata in questa direzione. Questo fondo verrà gestito dalla Banca Mondiale, che, dal canto suo, si è impegnata a dare priorità ai progetti a più elevata compatibilità ambientale, risultanti da approfondite analisi costi-benefici. L'obiettivo di stabilizzare le emissioni di CO può essere raggiunto solo con una 2 politica capace di orientare, con il consenso degli operatori e degli individui, le scelte 80 collettive ed individuali al controllo delle emissioni di gas serra. La realizzazione di uno scenario alternativo richiede il superamento di una serie di barriere e la presa di coscienza delle difficoltà da superare, a partire dalle diffidenze politiche od economiche tra stati ed aree geografiche, che possono ostacolare i flussi di conoscenze tecnologiche richiesti dall'esigenza di un approccio globale e, quindi, di politiche sovranazionali. La costruzione di un criterio utile alla ripartizione dei costi (spese in R&D, investimenti, servizi di assistenza e consulenza, concessione di incentivi finanziari) ed alla individuazione dei vantaggi costituiscono un prerequisito per attivare il processo decisionale. Relativamente agli interventi sul mix delle fonti, un accentuato ricorso al gas naturale appare utile non solo per la minore produzione di anidride carbonica rispetto a petrolio e carbone, ma anche per i più contenuti rilasci di altri agenti inquinanti, in attesa dell'adozione su larga scala ed a costi accettabili di tecnologie ed attrezzature di abbattimento degli stessi. Nel settore termoelettrico, le qualità del gas naturale sono state fortemente valorizzate con lo sviluppo della tecnologia delle turbine a gas e dei cicli combinati, che risulta ottimale sia per motivi economici (minori costi di impianto, minori tempi di realizzazione) che per motivi energetici ed ecologici. I traguardi già raggiunti nello sviluppo di questa tecnologia consentono di prevedere nei prossimi decenni il raggiungimento di rendimenti superiori al 60% (contro un attuale rendimento medio del 39% delle centrali termoelettriche convenzionali). Nel settore della generazione di elettricità 40, miglioramenti di efficienza possono derivare non solo da un più ampio ricorso ai cicli combinati, anche in associazione alla gassificazione di combustibili solidi e liquidi, ma anche dal miglioramento delle prestazioni delle tecnologie già consolidate. La gassificazione del carbone e di altri combustibili "poveri" (TAR, orimulsion, etc.), oltre a produrre gli accennati benefici in termini di efficienza di trasformazione (in quanto i consumi per la gassificazione sono più che controbilanciati dai guadagni di rendimento ottenibili con l'utilizzo di cicli combinati di nuova generazione), potrebbe anche rappresentare la chiave del rilancio dell'"opzione carbone", grazie al ridotto impatto ambientale derivante dall'utilizzo di questa tecnologia. Quanto al ruolo futuro dell’energia nucleare, esso appare profondamente incerto, nonostante che questa fonte non produca CO2. L'intensa attività costruttiva, che ha caratterizzato la fine degli anni '60 e tutti gli anni '70, ha avuto un notevole rallentamento all'inizio degli anni '80, per poi ridursi drasticamente nella seconda metà degli anni '80 e nei primi anni '90. Ciò è dovuto, oltre che al condizionamento generato dallo scarso consenso dell'opinione pubblica, anche a importanti ragioni economiche quali gli elevati investimenti necessari per la realizzazione di impianti termonucleari ed il perdurare di un regime di prezzi bassi dei prodotti petroliferi seguito al crollo del prezzo del petrolio alla metà degli anni '80 (contro-shock petrolifero). Programmi importanti, ma in molti casi ridimensionati rispetto alle intenzioni originarie, proseguono in Giappone, in Francia e in alcuni paesi in via di sviluppo tra cui l'India, la Corea del Sud, la Cina. Tuttavia, altri interrogativi e problemi oggi sul tappeto potrebbero nel medio-lungo termine rilanciare l’opzione nucleare a livello mondiale. In particolare, l'approfondimento e la migliore definizione delle relazioni che legano le emissioni antropiche di CO2 all'effetto serra, ed al conseguente riscaldamento del pianeta, potranno giocare un ruolo fondamentale quali parametri di valutazione e giudizio per un futuro rilancio, a livello mondiale, dell'utilizzo di una fonte energetica "CO2-free" quale 40 EURELECTRIC, "The role of electricity in achieving decline in CO2 emissions - A scenario approach of EC-12 -", 1992. 81 il nucleare. Notevoli miglioramenti possono essere anche ottenuti dal lato degli utilizzatori: miglioramenti si potranno verificare sia a seguito del proseguimento nello sviluppo di tecnologie convenzionali, quali ad esempio i motori a combustione interna delle autovetture o le comuni applicazioni elettrodomestiche (che negli ultimi venti anni hanno fatto registrare aumenti di rendimento che vanno dal 30% al 50% ed oltre), sia, soprattutto, grazie allo sviluppo di tecnologie innovative elettriche e basate su altri vettori energetici. In conclusione, la possibilità di realizzare uno scenario alternativo in una ottica di contenimento delle emissioni di CO2 non appare irrealizzabile; tuttavia, la diffusione di nuove tecnologie, la sostituzione dei sistemi meno efficienti ed il trasferimento di tecnologie e conoscenze non potranno prescindere dall'esistenza di vincoli economici e tecnici. Tutto ciò tende a spostare oltre il 2010 l'orizzonte temporale in cui potrebbero attendersi significative modifiche rispetto alle tendenze dello scenario qui prospettato 82 CAP. VII IL SISTEMA ENERGETICO ITALIANO 7.1. L'affermazione degli idrocarburi L'apertura ai mercati internazionali ,che rappresenta uno dei principali indirizzi della politica economica degli anni '50, trova un parziale riscontro in campo energetico, dove alla liberalizzazione delle importazioni di greggio si accompagna il mantenimento di uno stretto controllo amministrativo sul mercato interno. Il cambiamento, anche se di entità limitata,produce effetti molto rilevanti : il livello assoluto della domanda complessiva di energia,la struttura per fonti ,il grado di autonomia energetica subiscono una serie di importanti cambiamenti: nel 1950 - al termine del processo di ricostruzione del sistema produttivo - i consumi energetici del paese (23 milioni di tonnellate di petrolio equivalente) hanno già superato il livello massimo raggiunto nell'anteguerra (21,5 milioni di tep). La quota del petrolio,che comincia a trovare nuovi spazi di mercato in aggiunta al settore dei trasporti, è in netto aumento, sino a circa 1/4 del fabbisogno complessivo .Il contributo percentuale dei combustibili solidi, via via meno competitivi, è in rapida diminuzione ;la quota del gas è ancora molto limitata, ma in espansione; la quota dell'energia elettrica primaria risulta stazionaria intorno a circa 1/3 del totale . La produzione nazionale soddisfa ancora metà del fabbisogno, ma le tradizionali risorse energetiche interne, come l'energia idroelettrica, i combustibili vegetali, il carbone del bacino sardo del Sulcis, valorizzato in periodo autarchico, si rivelano sempre più inadeguate alla sia pur parziale copertura della crescente domanda. Gli idrocarburi si presentano come le fonti più promettenti per lo sviluppo del Paese ed alcuni ritrovamenti nella Valle Padana fanno addirittura intravedere la possibilità di ulteriori rilevanti scoperte anche in Italia . Le aspettative sono cosi ottimistiche che la legge che istituisce, nel 1956, l'ENI affida a questo Ente la valorizzazione delle risorse di idrocarburi della Valle Padana , fermo rimanendo il principio della presenza di altri operatori nelle altre aree del Paese. La nascita dell'ENI, avvenuta nel momento del decollo del petrolio come fonte "leader", ha però una valenza più ampia: essa è un indice, in quel momento storico ,della volontà dello Stato italiano non solo di avere un ruolo attivo nella valorizzazione del patrimonio di idrocarburi nazionali, ma anche di partecipare ,con una azienda di Stato, alla fase di espansione dell'industria petrolifera nel mondo, instaurando rapporti di collaborazione di tipo innovativo con i paesi produttori, in attuazione di un disegno strategico che Enrico Mattei aveva prima intuito e poi proposto al Paese 41. Gli effettivi ritrovamenti di idrocarburi in Italia ridimensionano rapidamente le attese più ottimistiche di cui si trova ampia traccia nella pubblicistica dell'epoca ;con particolare riferimento all'area padana, l'azione dell'ENI , mentre comporta la scoperta di alcuni giacimenti di olio di importanza marginale, porta alla individuazione di un ingente patrimonio di gas ,naturalmente rapportato ai fabbisogni energetici dell'area stessa. L'ENI punta,così, in via prioritaria, al soddisfacimento della domanda dell'industria attraverso la realizzazione di una rete di metanodotti che passa tra il 1950 ed il 1960 da 1.463 km a 4.640 km. Questa scelta comporta numerosi vantaggi per gli utenti industriali, che colgono fino in fondo le opportunità offerte dalla disponibilità di una fonte energetica dalle elevate qualità e a prezzi competitivi nei confronti dei prodotti petroliferi e dei combustibili solidi di importazione. Il modello di sviluppo del sistema petrolifero italiano ha caratteristiche diverse rispetto 41 M. Colitti, Energia e Sviluppo in Italia, De Donato, Bari, 1979. 83 a quello del gas naturale ;esso si ricollega ad un fattore esterno che si presenta come una grande opportunità:la scoperta e la valorizzazione delle enormi risorse petrolifere del Medio Oriente. In relazione a queste scoperte, l'assetto del mercato internazionale sta subendo cambiamenti radicali e i prezzi del petrolio e dei prodotti petroliferi stanno iniziando un ciclo di sostanziali e continui ribassi che, al netto di alcuni momenti (crisi di Suez), continueranno sino al 1973, determinando un forte aumento di domanda nel Nord-Europa e nel Mediterraneo. In questo nuovo contesto, la posizione dell'Italia diviene particolarmente interessante per la localizzazione di raffinerie costiere, con la funzione del soddisfacimento del mercato interno e di quelli internazionali del Nord-Europa e del Nord-America. L'opportunità viene colta tempestivamente sia dalle compagnie multinazionali, sia dall'Eni ,sia da operatori italiani non integrati a monte ovvero non detentori di proprie riserve di greggio. Il sistema di raffinazione nazionale, concentrato nell'Italia settentrionale, secondo l'impostazione tecnico-economica che privilegiava la costruzione di impianti vicino ai punti di maggiore consumo (la Valle Padana), assume un nuovo assetto con la localizzazione delle nuove raffinerie in siti posizionati lungo le rotte del petrolio che arriva dal Medio-Oriente. La quota dell'Italia meridionale e delle isole sul totale della capacità di raffinazione nazionale (circa 28 milioni di t/anno) - pari al 20 % - sale cosi, nel 1960, a poco meno del 30 % rispetto ad un totale di 40 milioni di t/anno 42. Nel corso degli anni '60 la posizione degli idrocarburi si rafforza ulteriormente. L' espansione del gas naturale continua ad essere basata sulla produzione nazionale che aumenta progressivamente anche con il contributo dell'Italia meridionale, raggiungendo , verso la metà degli anni '60, livelli pari ad oltre 1/3 del totale nazionale. Il settore petrolifero, in un contesto caratterizzato da abbondanza di offerta sul mercato internazionale e da prezzi calanti, sviluppa sempre più la sua caratteristica di importatore e di trasformatore di materia prima, intensificando gli investimenti nel settore della raffinazione; quest'ultima passa dai 40 milioni di t/anno nel 1960 a 113 milioni di t nel 1965 ed a 200 milioni di t nel 1973. La disponibilità di petrolio e, in particolare, di olio combustibile ha notevoli implicazioni anche sul settore elettrico, che, dopo aver basato il proprio sviluppo sulla progressiva valorizzazione del patrimonio idroelettrico, deve affrontare un importante cambiamento strutturale per far fronte alla crescente domanda . Nel 1960 la produzione idroelettrica è infatti ancora prevalente (circa 3/4 del totale); la quota dei prodotti petroliferi è del 15 % e quella del gas naturale del 3 % , mentre i combustibili solidi, sia di produzione nazionale sia di importazione, hanno un peso del 7 %; una struttura chiaramente destinata a cambiare rapidamente. Il cambiamento che si profila è di tale rilievo che ,nell'ambito di un disegno complessivo di politica energetica tendente a garantire il controllo pubblico sulle fonti di energia, si procede alla riorganizzazione del settore con la sua nazionalizzazione (1962). In realtà la nazionalizzazione, che si realizza dopo un lungo dibattito, ha anche un obiettivo di politica economica: quello di collegare lo sviluppo del settore elettrico a quello dell'industria italiana e ,in particolare, di quella elettromeccanica, attraverso un flusso programmato di ordini di centrali di tipo tradizionale e di tipo nucleare, con positivi effetti di qualificazione dell'intero sistema. Il nuovo ente pubblico creato nel 1962 (ENEL),dopo aver unificato in un unico organismo le imprese elettroproduttrici e distributrici ,avvia un ingente programma di investimenti per la costruzione sia di centrali nucleari sia di centrali termoelettiche . Nella seconda metà degli anni '60, il disegno di andare avanti nella realizzazione di una strategia diversificata, che aveva avuto inizio con la realizzazione delle centrali 42 L. Bruni e M. Colitti, La politica petrolifera italiana, SVIMEZ, Giuffre', 1967. 84 nucleari di Trino Vercellese, del Garigliano e di Latina,trova crescenti ostacoli . Problemi di ordine tecnico, come quello della scelta del tipo di reattore, e di ordine finanziario portano infatti alla sospensione di fatto del programma di costruzione di nuove centrali nucleari, con la sola eccezione dell'ordine della centrale di Caorso in provincia di Piacenza. La produzione termoelettrica di tipo tradizionale, sul finire degli anni '60,raggiungerà così la quota del 60,0 % circa sul totale dell'energia prodotta , diventando il perno di tutto il sistema elettrico; parallelamente, il peso del petrolio sul totale delle fonti utilizzate per produzione termoelettrica aumenta sino all'80 %. L'intensa fase di sviluppo economico e l'ampia offerta di idrocarburi liquidi e gassosi comportano una netta accelerazione dei ritmi di crescita della domanda da parte di tutti i settori di utilizzo . La domanda di energia dell'industria passa dai 16 milioni di tep del 1960 ai circa 40 milioni di tep del 1973, in relazione alla qualità del ciclo di sviluppo che interessa in modo sostanziale anche le attività energy-intensive. La domanda di prodotti petroliferi aumenta da 7 a 22 milioni di tep, il gas naturale da 3 a 7 milioni di tep, l'energia elettrica da 3 a 7 milioni di tep, i combustibili solidi da oltre 3 a 4,4 milioni di tep; la quota del petrolio arriva cosi sino al 53 % circa, mentre quella del carbone scende dal 22 all'11 % circa, dato che gli sviluppi degli usi tecnologici, collegati alla crescita della siderurgia a ciclo integrale, non compensano il declino degli usi termici. La forte crescita dei consumi privati e delle attività terziarie favorisce l'espansione dei consumi energetici domestici e terziari (per lo più riscaldamento), che, tra il 1960 e il 1973, passano da 9 a quasi 30 milioni di tep. Le differenti dinamiche di prezzo e la maggiore praticità di uso favoriscono, altresì, una modifica della struttura per fonti a favore degli idrocarburi: il ruolo del gas passa da 6 al 16 % circa e quello dei prodotti petroliferi aumenta dal 37 al 67 % circa, mentre la quota dei solidi scende al 5% rispetto al 47 % degli inizi degli anni '60. In forte espansione anche la domanda di energia elettrica per usi obbligati (illuminazione, apparati elettronici, forza motrice, elettrodomestici) e per usi non obbligati (riscaldamento ambienti e produzione di acqua calda). Il "boom" della motorizzazione privata e il parallelo sviluppo del trasporto merci interessato da una profonda e progressiva modifica strutturale a favore dei mezzi gommati - portano ad una eccezionale crescita dei consumi energetici per trasporto: dai 6,6 milioni di tep del 1960 ai quasi 20 milioni di tep del 1974. Si tratta dell'incremento settoriale più vistoso, che si collega direttamente al progressivo calo di investimenti nei mezzi di trasporto più efficienti dal punto di vista energetico, quali i treni, le navi e le metropolitane 43 44. 7.2.1 Le ripercussioni sugli indirizzi di politica energetica e sulla fisionomia degli operatori Gli eventi del 1973 modificano i tradizionali punti di riferimento del sistema energetico italiano: l'abbondanza e il basso costo delle importazioni di fonti energetiche. Nasce cosi l'esigenza di individuare nuove linee di politica energetica, in armonia con le decisioni assunte in sede comunitaria e nell'ambito della Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE), a cui l'Italia aderisce sin dalla costituzione (novembre 1974) 45 46. 43 ENI, Energia ed Idrocarburi: l'industria energetica petrolifera e petrolchimica nel periodo 1955-1965, Roma, 1968. 44 ENI, Energia ed Idrocarburi, Roma, annate varie. 45 U. Colombo, O. Bernardini, R. Galli, W. Mebane, Il rapporto Waes-Italia: le alternative strategiche per una politica energetica, Franco Angeli, Milano, 1978. 85 Di fronte alla complessità dei problemi e alla necessità di trovare soluzioni di ampio respiro, in quegli anni viene effettuata una scelta a favore di un metodo di programmazione inteso come predisposizione di piani di orientamento delle attività degli operatori pubblici e privati, che si aggiunge al già esistente potere di indirizzo degli Enti energetici del Paese (il Ministero dell'Industria per l'ENEL e il Ministero delle Partecipazioni Statali per l'ENI). Questa scelta si rivelerà, peraltro, scarsamente efficace, in quanto i tempi di preparazione dei documenti e la discussione in Parlamento saranno, sistematicamente, molto lunghi e, al momento della conclusiva approvazione da parte del CIPE, molti elementi qualificanti dei Piani risulteranno superati dagli eventi. Inoltre, nel sistema istituzionale italiano gli indirizzi di programmazione rappresentano solo la fase iniziale della complessa procedura da esperire prima della realizzazione degli interventi operativi. Procedura che assegna un ruolo rilevante alle autorità locali le quali arrivano ad esercitare in alcuni casi un vero e proprio potere di veto. Un altro elemento di debolezza della politica energetica italiana è rappresentato dallo scarso coordinamento tra attività di programmazione, politica dei prezzi e politica fiscale. Le metodologie di fissazione dei prezzi energetici, che rimangono caratterizzate da una serie di controlli, subiscono una evoluzione, nel cui ambito gli obiettivi di lotta all'inflazione e di conseguimento di elevati livelli di entrate fiscali generano una struttura di prezzi relativi delle varie fonti insufficienti ad orientare la domanda verso il risparmio energetico, la salvaguardia dell'ambiente, nonchè l'efficienza nella produzione e nell'utilizzo dell'energia. L'esame dei Piani Energetici Nazionali consente comunque di verificare l'evoluzione della strategia energetica del Paese, da una impostazione basata sostanzialmente sugli interventi sull'offerta ad approcci via via più complessi. I Piani Energetici del 1975 47 e del 1977 48 puntano, ad esempio, soprattutto allo sviluppo di un consistente parco di centrali nucleari, oltre a richiedere lo sviluppo delle risorse nazionali di fonti di energia, a riconoscere l'importanza del ricorso a maggiori importazioni di gas, a sollecitare la razionalizzazione del sistema petrolifero, ad auspicare interventi nel campo della conservazione. Nel 1979 la rivoluzione iraniana e la guerra Iran-Iraq, con la nuova spirale di aumenti dei prezzi del petrolio, si ripercuotono sui prezzi dei prodotti, mentre il sistema fiscale continua a non essere sintonizzato con gli obiettivi di politica energetica. A questo punto il dibattito si fa sempre più acceso,ma ciò, più che abbreviare, allunga i tempi di approvazione dei piani che cercano di dare delle risposte alle nuove sfide. I piani del 1981 49 e del 1986 50 modificano, comunque solo parzialmente, gli orientamenti dei documenti precedenti: all'impegno per il nucleare si accompagna una maggiore attenzione per il carbone. Il potenziamento della presenza del gas naturale attraverso nuovi contratti di importazione; lo sviluppo della produzione nazionale; la razionalizzazione del sistema petrolifero; il rafforzamento della politica di uso razionale dell'energia rimangono, invece, pienamente confermati. Anche per effetto delle incertezze sul piano politico si determinano significative modifiche relativamente alla tipologia degli operatori presenti sul mercato. 46 Rapporto IEFE, Energia: una transizione difficile, Franco Angeli, Milano, 1983. 47 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Programma Energetico Nazionale, Roma, 1975. 48 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Programma Energetico Nazionale, Roma, 1977. 49 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Piano Energetico Nazionale, Roma, 1981. 50 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Aggiornamento 1985-1987 del Piano Energetico Nazionale, Roma, 1986. 86 L'approvvigionamento della fonte petrolifera - il cui peso era andato progressivamente aumentando sino al raggiungimento dei 3/4 del totale - si era andato sviluppando secondo un modello che vedeva, dal punto di vista quantitativo, la assoluta preminenza del greggio e, dal punto di vista industriale, la presenza di società integrate multinazionali, in posizione maggioritaria, dell'impresa di Stato (in circa 1/4 del mercato) e di alcuni operatori "indipendenti", prevalentemente raffinatori. La non "coerenza" tra sistema dei prezzi interni (praticamente amministrati) e prezzi vigenti sul mercato internazionale in un contesto di ridimensionamento ovvero di riqualificazione dell'assetto delle compagnie multinazionali - che perdono il controllo di parte della produzione -portano ad una prima modifica dell'assetto del sistema di approvvigionamento, che vede l' abbandono del mercato italiano da parte di due grandi gruppi multinazionali in concomitanza con la prima grande crisi . Parallelamente, in un clima di viva preoccupazione per la disponibilità di greggio, l'ENI vede assegnarsi il compito -in un certo senso "surrogatorio" - di colmare il vuoto lasciato dalle multinazionali. La quota ENI sul mercato petrolifero passa da valori del 15% circa a valori superiori al 30%, con tutti i problemi economici, organizzativi e finanziari di una crescita così repentina. Il processo sembra stabilizzarsi dopo il 1975 , ma la crisi del 1979-1980 porta un nuovo scossone con una ulteriore contrazione della quota di mercato delle società integrate multinazionali, che scende verso il 35%, mentre l'aumento della quota ENI sale a poco meno del 40%. Questo processo assume contorni ancora più netti negli anni successivi che vedono una ulteriore riduzione della quota delle multinazionali, dell'attestamento di quella ENI sul 38% e l'allargamento della quota coperta da un insieme di operatori di tipo nuovo. Nello stesso periodo si registra anche un drastico cambiamento nella struttura delle importazioni petrolifere; per effetto di questo processo, il greggio trattato nelle raffinerie italiane subisce un netto ridimensionamento, passando da 110 (1979) a 83 (1983) milioni di t, mentre, nello stesso periodo, le importazioni di prodotti balzano da meno di 7 milioni di t a quasi 16 milioni di t; le esportazioni, per contro, crollano da quasi 23 milioni di t a meno di 13 milioni di t. Tutto ciò implica notevoli cambiamenti anche della fisionomia degli operatori: mentre acquisiscono ulteriore rilievo le figure degli importatori indipendenti e dei consumatori che importano direttamente prodotti (in primo luogo l'ENEL) , nasce la figura della compagnia dei paesi produttori che si integra a valle nel paese consumatore, dove acquisirà una quota di mercato importante. 7.2.2 Le ripercussioni sull'offerta Gli idrocarburi Il rilancio degli investimenti nelle aree on-shore e off-shore del Paese si traduce in un sensibile recupero della produzione di petrolio :i risultati sul piano della riduzione della dipendenza dall'estero di questa fonte rimangono peraltro marginali . Per la capacità di raffinazione che ha raggiunto quasi 200 milioni di t/anno, mentre le lavorazioni complessive di greggio e semilavorati si vanno stabilizzando su valori inferiori ai 120 milioni di t, si rende necessario un difficile processo di ristrutturazione sul piano industriale e su quello dell'assetto del settore, dopo l'abbandono del mercato italiano di alcuni gruppi multinazionali, a partire dalla BP e dalla Royal-Dutch-Shell. L'industria del gas, che sul piano interno non può che contare sul consolidamento dei livelli produttivi raggiunti, avvia un importante programma di importazioni dall'Olanda e dall'URSS, con il quale inizia una fase nuova nel campo dell'approvvigionamento di tale fonte. Questo processo si rafforza nel corso degli anni '80 con la stipula, al termine di una 87 complessa trattativa, di un nuovo contratto per l'importazione di 12 miliardi di mc di gas dall'Algeria. Con la realizzazione del gasdotto transmediterraneo la scelta a favore del gas naturale diviene la più importante e, praticamente, l'unica linea sostanziale di diversificazione del bilancio energetico. I quantitativi di gas resi disponibili consentono di realizzare una rete integrata (21.722 km di reti principali di trasporto a fine 1985), in grado di alimentare, su tutto il territorio nazionale, una pluralità di utenti industriali, civili, chimici e termoelettrici. L'integrazione tra produzione nazionale, importazioni e sistema di stoccaggio assicurerà una elevata affidabilità al sistema , che è anche in grado di far fronte ad eventuali interruzioni dei flussi di importazione 51. Il settore elettrico Allo scoppiare della prima crisi energetica, il settore elettrico ha ormai sviluppato una forte dipendenza dai prodotti petroliferi, che viene rimessa in discussione sotto l'incalzare degli eventi e del timore di pericoli per la continuità degli approvvigionamenti di olio combustibile, che determinano l'adozione di misure per il contenimento dei consumi di elettricità. Esaurita la fase di emergenza viene avviato un riesame critico del sistema di produzione di energia elettrica I documenti programmatici elaborati dall'ENEL e i piani energetici si propongono, in tempi brevi, una maggiore presenza di centrali nucleari e impianti a carbone, ma le preoccupazioni per l'ambiente, la contestazione delle ipotesi di crescita della domanda di energia elettrica, la richiesta di soluzioni impiantistiche diverse da quelle raccomandate, le opposizioni a livello locale diventano ostacoli sempre maggiori alla realizzazione degli impianti programmati. In questo contesto, poichè il rischio di deficit di potenza appare più grave di quello relativo a ritardi nella politica di diversificazione, gli impianti ad olio combustibile, che dovevano essere progressivamente eliminati dal sistema, continueranno a rimanerne il perno. Nel periodo 1974-1980 i consumi delle centrali termoelettriche italiane passano da 15,7 a 29,1 milioni di tep, costituiti essenzialmente da prodotti petroliferi, ma anche nel periodo successivo sino al 1985 il fabbisogno degli impianti termoelettrici sale sino a 33,3 milioni di tep, di cui 19,3 milioni di tep rappresentati ancora da prodotti petroliferi. La costruzione di nuovi impianti alternativi al petrolio si concretizza nell'entrata in esercizio dell'impianto nucleare di Caorso e nella riconversione a carbone di alcune centrali. 7.2.3 Le ripercussioni sulla domanda Non diversamente dalle tendenze che si vanno manifestando in tutti i paesi industrializzati, anche in Italia il 1974 segna l'inizio di un intenso processo di modifica dei legami tra energia e attività economica, sia pure con delle notevoli differenziazioni tra settori 52. Il tema della conservazione e dell'utilizzo ottimale delle fonti di energia, che nasce nel 1973 - per poi raggiungere un livello più consapevole ed organico negli anni successivi - porta, infatti, ad un approccio nuovo ai problemi energetici. 51 S. Ascari, Il Metano in Italia, Franco Angeli, Milano, 1985. 52 V. D'Ermo, A. Barsotti, G. Carta, I. Cipolletta, P. Valant, Le modifiche strutturali del sistema energetico italiano attraverso gli usi finali dell'energia: 1970-1988, in "Energia", n. 4/1989. 88 La cultura allora prevalente era di tipo settoriale e le scelte a favore di una determinata fonte (petrolio, gas, carbone) risultavano poi difficilmente modificabili. Questo approccio viene messo in discussione dal nuovo contesto di prezzi dell'energia ,che rimette in discussione i sistemi di trasformazione e utilizzo delle fonti che si erano andati consolidando nell'epoca del petrolio a basso prezzo. Lo studio degli usi finali dell'energia, che parte non già dalla disponibilità delle fonti, ma dalla attenta verifica delle esigenze dei consumatori, è una tipica espressione del nuovo clima 53 54 55. Si evidenzia pertanto la relativa indifferenza del ricorso a determinate fonti per rispondere a certi fabbisogni (calore a bassa, media, alta temperatura), così come per altri si sottolinea la scarsa sostituibilità (carburanti, usi specifici dell'energia elettrica); ma anche il ruolo della tecnologia di utilizzo viene enormemente rivalutato con l'attenzione crescente all'efficienza dei processi, all'utilizzo dei cicli combinati. Soprattutto due punti dello schema tradizionale di utilizzo dell'energia vengono posti in discussione: il primo è quello del ruolo della produzione combinata di energia elettrica e calore, con la proposta di estensione al settore degli usi civili; il secondo - che peraltro si estende anche al caso precedente - è quello dell'impiego di una pluralità di fonti, ovvero di un mix di fonti e di tecnologie, per soddisfare le esigenze dell'utenza (ad esempio riscaldamento). Questo modo nuovo di considerare l'energia va immediatamente ad urtare con il sistema istituzionale vigente: l'approccio "decentrato" porta ed apre nuovi e importanti spazi di intervento agli enti locali ed ai privati, una volta praticamente esclusi da una impostazione della politica energetica, prevalentemente orientata ai temi dell'approvvigionamento di fonti primarie. Gli operatori locali sono messi nella condizione di poter gestire una serie di iniziative che, anche se di portata limitata, possono, sommandosi, avere un impatto non secondario sul sistema energetico. Il modello di sviluppo industriale del Paese, che poggiava sulla parallela espansione di settori di base - ad alta intensità energetica - e di attività manifatturiere - a bassa intensità energetica - comincia a subire vistose modifiche a favore di queste ultime, soprattutto a partire dal 1979; d'altra parte, anche il ricorso a nuove tecnologie e a nuovi processi contribuisce a ridimensionare l'assorbimento energetico per unità di valore aggiunto. Anche la composizione delle materie prime è cambiata, lasciando spazio all'importazione di prodotti semilavorati ed evitando cosi processi di lavorazione, precedentemente svolti in Italia, che comportavano alti costi, sia energetici che di produzione. Le industrie maggiormente interessate da questo tipo di modifiche strutturali sono quelle della chimica primaria e dell'acciaio. Allo stesso tempo, industrie come quella meccanica e quella della chimica fine, che producono merci ad alto valore aggiunto, iniziano a registrare le maggiori espansioni. I processi di ristrutturazione portano altresì l'introduzione di innovazioni tecnologiche, una maggiore quota di "servizi" all'interno dei vari settori industriali (terziarizzazione), un maggiore impeto allo sviluppo delle industrie più innovative e, infine, tagli radicali alla forza lavoro, con conseguenti aumenti di produttività. In termini di fabbisogno energetico, i processi di ristrutturazione si traducono, in linea generale, in un minore consumo di combustibili, in un maggiore uso di elettricità per l'automazione e la razionalizzazione. 53 ENI, Gli usi finali dell'energia in Italia. Metodologie e risultati settoriali, Documento interno, Roma, 1978. 54 A. Lovins, Soft energy paths: toward a durable peace, Friends of the Earth International, New York, 1977. 55 ENI, Gli usi finali dell'energia in Italia e le aree di sostituzione e di risparmio, a cura di V. D'Ermo, A. Barsotti, G. Agrati, Documento interno, Roma, 1981. 89 Alcune conseguenze si sono rivelate più complesse: il trasferimento di alcune attività, una volta svolte in proprio dall'industria ,al settore dei servizi ha influenzato positivamente la domanda di energia nei settori terziario e domestico; inoltre, mentre la centralizzazione produttiva di prodotti semilavorati in impianti ad alta efficienza ha portato ad una diminuzione del consumo energetico, dall'altro ha comportato un contemporaneo aumento di quello legato al trasporto dei semilavorati. Industria Nel periodo 1974-1985 i consumi di energia dell'industria si sono, nel complesso, ridotti da 41,6 Mtep a 31,4 Mtep, ma con andamenti diversificati tra le varie fonti. I consumi di elettricità sono aumentati da 6,9 a 8,0 Mtep, quelli di gas naturale sono rimasti intorno ad 8 Mtep, quelli di carbone sono aumentati da 4,8 a 6,1 Mtep, l'utilizzo dei prodotti petroliferi si è invece drasticamente ridotto portando la propria incidenza da oltre il 50% al 25%. L'analisi per finalità d'uso indica una forte contrazione degli usi termici ad alta temperatura, la cui incidenza sul totale è passata dal 60% circa del 1974 a poco più del 50% del 1985. Al processo di riduzione del fabbisogno energetico,sia in termini assoluti sia in termini di consumo per unità di prodotto , ha contribuito inizialmente una serie di interventi per la eliminazione degli sprechi, effettuati sotto la spinta dei rincari dei prezzi dell'energia. In un secondo tempo, a partire dal 1983-1984, hanno cominciato ad avere qualche effetto gli incentivi governativi specificatamente indirizzati al risparmio energetico. La legge n. 308 del 1982, che può considerarsi come la più importante iniziativa governativa in materia di quel periodo, malgrado abbia incontrato ritardi e difficoltà nell'applicazione, ha trovato un proficuo campo di applicazione soprattutto nel settore produttivo, dove ha facilitato ed accelerato numerosi interventi di razionalizzazione. Le due più importanti tipologie di intervento sono state quelle finalizzate al recupero di calore e a modifiche di processo, che hanno interessato i principali settori industriali: il chimico, il petrolchimico, la siderurgia, il vetrario, la ceramica ed i laterizi, il cartario. I settori per i quali si sono avuti i maggiori risultati sono il chimico, il petrolchimico e la siderurgia, con tempi di ritorno degli investimenti in conservazione particolarmente favorevoli . È stato valutato che il complesso degli interventi incentivati, nell'ipotesi di un pieno rispetto dei parametri di efficienza previsti in sede di progetto, abbia comportato un risparmio complessivo annuale dell'ordine di 4-5 Mtep. Pur nella diversità degli andamenti tra i vari comparti si rileva una tendenza generalizzata alla diminuzione degli impieghi di combustibili, mentre diverso appare il profilo della domanda di energia elettrica,le cui tariffe hanno presentato aumenti molto più contenuti dei prezzi dei combustibili; i consumi elettrici hanno presentato dinamiche inferiori a quelle della produzione industriale in due soli settori: il settore chimico (all'interno del quale si è verificata una drastica modifica di struttura a favore dei settori a più alto valore aggiunto e meno energy intensive) e il settore cartario (che è ricorso in misura sempre maggiore a importazioni di carta e pasta di carta). Nei rimanenti settori la dinamica dei consumi elettrici è stata costantemente superiore a quella dell'indice della produzione industriale, per esigenze di produttività, di miglioramento della qualità dei prodotti ed, infine, di alimentazione degli impianti di depurazione delle acque e degli effluenti gassosi . L'andamento dei consumi energetici dell'industria italiana e le modifiche del mix delle fonti utilizzate riflettono molto da vicino il profondo processo di ristrutturazione esterna ed interna che ha portato ad una capacità produttiva notevolmente modificata e razionalizzata: mentre, all'inizio degli anni '70, gli investimenti in ampliamento rappresentavano oltre il 60% del totale, nel corso della prima metà degli anni '80 essi si sono ridotti a meno del 30%. Come conseguenza, la crescita della capacità produttiva, 90 che era del 4,6% all'anno nella prima metà degli anni '70, si è portata al 2,2% nella seconda metà ed all'1,5% nella prima metà degli anni '80 . I settori che hanno registrato maggiori espansioni sono stati l'alimentare, le industrie di trasformazione e le meccaniche, mentre, proprio nei settori a più alta intensità energetica, si sono verificate le più consistenti contrazioni (metallurgia, derivati del petrolio e della chimica). Quale risultato delle ristrutturazioni è notevolmente risalito il grado di utilizzazione degli impianti industriali, dopo aver toccato un minimo del 71% nel 1983. Il settore residenziale e terziario I consumi energetici degli usi civili,che comprendono il settore residenziale e quello terziario, hanno registrato,sempre tra il 1974 ed il 1985, un aumento complessivo di circa 4 milioni di tep, determinato, da un lato, da una contenuta dinamica degli impieghi energetici del settore residenziale e, dall'altro, da una più sostenuta crescita della domanda da parte del settore terziario. L’intensità energetica del settore, partire dal 1973, risulta in diminuzione relativamente agli impieghi di combustibili mentre quella relativa all’elettricità è in aumento sino agli inizi degli anni ’90. Il settore residenziale Nonostante l'aumento delle abitazioni riscaldate (circa quattro milioni a partire dal 1974) e i profondi mutamenti nelle strutture abitative e nelle apparecchiature di utilizzo, che avrebbero potuto comportare un sensibile aumento dei consumi energetici, questi ultimi sono aumentati di poco più di 1 Mtep, passando da 14 a 17,5 Mtep. Nel nuovo contesto di prezzi e di fronte alla necessità di ricorrere a soluzioni più economiche e flessibili, la quota delle abitazioni dotate di impianti autonomi registra un grande sviluppo, passando dall'11% al 40% del parco abitativo, con un importante contributo alla razionalizzazione del sistema, mentre la quota delle abitazioni dotate di impianti centralizzati, dopo aver raggiunto la massima penetrazione a metà degli anni '70, tende a stabilizzarsi. Per contro, la percentuale delle abitazioni riscaldate con mezzi precari che, agli inizi degli anni '70, superava ancora il 70%, è andata scendendo a poco più del 30%. La contenuta dinamica dei consumi energetici per riscaldamento domestico, che costituiscono l'uso energetico preponderante del settore residenziale con oltre i 2/3 del fabbisogno complessivo, si spiega con il fatto che essi possono reagire in misura più marcata di altri impieghi alle variazioni del prezzo dell'energia, hanno cioè una più elevata elasticità di prezzo rispetto ad altri impieghi . Nel breve termine, gli utenti si sono adattati ad un uso più oculato e attento, anche a scapito del comfort, di fronte alla crescita dei prezzi e della fattura del riscaldamento. Tale fenomeno è stato inoltre assecondato dalle normative che hanno disciplinato questo uso, con la riduzione dei periodi di accensione degli impianti di riscaldamento e la fissazione dei limiti di temperatura degli ambienti. Successivamente hanno cominciato ad avere effetto gli interventi di coibentazione delle case e il miglioramento dell'efficienza degli impianti, sostenuti anche dalla concessione di incentivi. Nell'ambito dei combustibili si è verificato, inoltre, un notevole processo di sostituzione dei prodotti petroliferi a favore del gas naturale: l'utilizzo, su scala sempre più ampia, di questa fonte in impianti individuali per il riscaldamento e nella produzione di acqua calda per usi sanitari ha costituito un importante strumento per la razionalizzazione degli impieghi. La diffusione degli impianti mono familiari ha stimolato l'economia di esercizio, incentivando un più adeguato uso del riscaldamento alle effettive necessità. La forte diffusione e la crescente intensità di impiego degli elettrodomestici hanno determinato una crescita della domanda di elettricità ad essi associata da 27 miliardi di kWh nel 1974 a 43 miliardi di kWh nel 1985. I consumi per applicazione sono aumentati - in presenza di un incremento degli utenti 91 pari al 36% - di oltre il 200% per le lavastoviglie, del 160% per gli scaldacqua, del 120% per le lavabiancheria e del 135% per l'illuminazione ed altri usi; inoltre, hanno raggiunto livelli di consumo di tutto rilievo applicazioni che nel 1970 non erano affatto presenti sul mercato, quali la televisione a colori, i congelatori, gli asciuga biancheria, etc. Sempre relativamente al settore residenziale , a fronte di un incremento degli usi elettrici obbligati di circa il 170% (da 0,9 a 2,4 Mtep), si è registrato anche un aumento del 140% degli usi non obbligati; questi ultimi sono essenzialmente costituiti dalla produzione di acqua calda per usi sanitari, la quale, peraltro, ha mostrato una progressiva perdita di velocità, secondo una linea di razionalizzazione molto promettente. Gli usi di climatizzazione sono stati invece caratterizzati da una dinamica molto contenuta, con una crescita complessiva di appena il 20% dall'inizio degli anni '70, in quanto questa applicazione ha continuato a fare perno su apparecchi individuali utilizzati solo per periodi molto limitati, mentre la climatizzazione di interi edifici ad uso esclusivamente residenziale è rimasta circoscritta. Gli usi di cucina, infine, sono rimasti praticamente stazionari per la decelerazione della crescita della popolazione e i mutamenti nelle abitudini alimentari. Il settore terziario La rilevante crescita degli occupati e l'altrettanto forte aumento delle superfici dedicate alle attività terziarie hanno guidato il netto aumento degli impieghi energetici di questo settore , dove si è anche verificato un notevole processo di sostituzione dei prodotti petroliferi da parte del gas naturale . La dinamica dei consumi per riscaldamento ambienti, pari ad oltre due terzi del consumo complessivo, ha presentato fino al 1980 un profilo nettamente in crescita, solo parzialmente moderato dalla riduzione, tra l'altro non generalizzata , dei consumi unitari. L'effetto prezzo ha certamente giocato un ruolo meno accentuato di quello registrato nel settore domestico; la possibilità di ripercuotere gli aumenti dei costi dell'energia sui prezzi dei servizi venduti ha reso meno pressanti ,almeno in una prima fase , le esigenze di razionalizzazione energetica. A partire dal 1980 , tuttavia, con il prevalere degli interventi strutturali rispetto a quelli comportamentali, si è registrata una tendenza al contenimento della crescita dei consumi energetici. La ininterrotta crescita della domanda di energia elettrica per usi elettrici obbligati e, per alcune applicazioni, di quella per usi non obbligati (usi termici a bassa temperatura) è stata la seconda nota caratteristica dello sviluppo degli impieghi energetici del terziario. La riqualificazione del settore, l'introduzione di nuove apparecchiature elettriche, l'affermazione dell'informatica e dei sistemi di comunicazione sono stati all'origine di questo processo. La crescita dei consumi di energia elettrica per condizionamento ambienti,che costituiscono una frazione molto piccola (5% circa) dei consumi del settore, è stata anch'essa molto sensibile, anche se, parallelamente, si è andata delineando una trasformazione strutturale a favore degli impianti di climatizzazione. In sensibile crescita anche gli impieghi energetici per usi di cottura di ristoranti,mense, impianti di ristorazione che, in relazione ai mutamenti dello stile di vita , sono andati assumendo un sempre maggior ruolo . Il settore trasporti Nel periodo 1974-1985, la mobilità di persone e di merci, in termini, rispettivamente, 92 di passeggeri-kilometro e di tonnellate-kilometro, è continuata ad aumentare a tassi sostenuti, con l'eccezione del 1974, per effetto di interventi limitativi della circolazione delle auto, e del 1975, per la sensibile riduzione del trasporto merci indotta dalla recessione di quell'anno. La quota di mobilità assicurata dalle autovetture è risultata in continuo aumento .Nell’ambito della quota di mobilità fornita dai mezzi di trasporto collettivo, complessivamente in diminuzione, il peso degli aerei e degli autobus extraurbani è in sensibile aumento a scapito di ferrovie e autobus urbani. Nello stesso tempo anche la quota di mobilità delle merci assicurata dai mezzi su strada, che sono anche quelli a maggior consumo energetico, è andata aumentando continuamente, a fronte di una riduzione di quella fornita dalle ferrovie e dalle navi (diminuite tra il 1974 e il 1985, rispettivamente, dal 17% al 9% e dal 23% al 15% ),che non riescono a mantenere il passo con le nuove esigenze del traporto sia in termini di costi che di flessibilità. In questo contesto la domanda di energia del settore - costituita quasi totalmente da carburanti (98,4% del totale )e da una quota assai limitata di usi elettrici (1,6%), risente in misura molto ridotta delle due crisi energetiche; superati i momenti più acuti delle stesse , in concomitanza dei quali si sono registrati dei periodi di stasi dei consumi (1973-1976 e 1979-1981), la domanda di energia del settore ha continuato a manifestare una chiara tendenza alla crescita. I guadagni di efficienza, conseguiti con l'introduzione di nuovi modelli di autovetture "energy-saving", che nascono sotto la spinta dell'aumento dei prezzi dei prodotti per trazione, compensano solo in minima parte l'effetto della modifica della struttura del sistema di trasporto a favore delle auto, con un consumo di energia per passeggero trasportato comunque più elevato di quello relativo agli altri mezzi . Dal punto di vista dei carburanti, l'enorme differenza tra gli oneri fiscali che gravano sul prezzo al consumo della benzina e su quello del gasolio - anche tenendo conto della sovrattassa che grava solo sulle auto diesel - opera una rilevante distorsione a favore di questo ultimo prodotto, caratterizzato da una dinamica di prezzi all'utente finale di gran lunga inferiore a quella della benzina. I vantaggi energetici del motore diesel vengono così bilanciati dallo sviluppo del parco e dalla elevata percorrenza delle vetture alimentate a gasolio che, sia pure in riduzione,si mantiene su livelli compresi tra i 35.000 ed i 25.00 km/anno. Analogamente, nel caso delle auto a benzina, l'effetto della riduzione della percorrenza dai 12.000 km/anno a valori compresi tra i 9-10.000 km/anno viene ampiamente compensato dallo sviluppo del parco . 7.3. Il periodo 1986-1995 7.3.1 Verso nuovi indirizzi di politica energetica Nell'anno (1986), in cui le quotazioni internazionali del petrolio subiscono un tracollo e scendono al di sotto della soglia dei 14 $/barile, l'Italia è impegnata nell'approvazione di un piano energetico che ipotizza ancora uno scenario di scarsità e di difficoltà di approvvigionamento . Questi indirizzi, approvati dal CIPE il 20 marzo 1986, sono rimessi in discussione anche a seguito del drammatico incidente nella centrale di Chernobyl in Ucraina dell'aprile 1986, che suscita enorme apprensione in tutta Europa. Il dibattito, che culminerà nella Conferenza Nazionale per l'Energia del febbraio 1987, si allarga dai temi della economicità delle scelte delle filiere energetiche, alla problematica ambientale, notevolmente trascurata nei decenni precedenti quando minore era l'allarme sociale per i problemi dell'inquinamento delle acque, dei suoli e dell'aria. La Conferenza dovrebbe fare chiarezza sulle implicazioni, dal punto di vista 93 economico, tecnico, istituzionale e ambientale, delle linee di politica energetica perseguibili dal Paese. Per realizzare questo obiettivo viene inviato un questionario agli operatori energetici, pubblici e privati, alle principali istituzioni scientifiche e alle rappresentanze delle forze economiche e sociali. Il non facile compito di analisi delle risposte viene affidato alle tre Commissioni (una per gli aspetti tecnico-economici, una per quelli ambientali ed una per quelli istituzionali) incaricate di predisporre le tre relazioni di base sulle quali si svilupperà la Conferenza. Quest'ultima , attraverso l'ampia partecipazione di esperti nazionali e internazionali, fornisce,secondo le aspettative, un panorama molto ampio e aggiornato di tutte le implicazioni economiche e ambientali dell'utilizzo delle fonti di energia 56. Il problema di fondo delle scelte da effettuare rimane, però, aperto, anche perchè le relazioni conclusive della Conferenza non danno - nè potevano dare - risposte univoche sulla migliore combinazione di economicità, ridotto impatto ambientale, sicurezza. La impossibilità di trovare un punto di incontro tra le forze politiche della maggioranza porteranno, insieme ad altri fattori, alla caduta (aprile 1987) del Governo che aveva convocato la Conferenza e alle elezioni anticipate. Il nuovo Governo, prima di prendere decisioni, accelera i tempi per lo svolgimento (novembre 1987) dei referendum abrogativi della normativa che doveva facilitare la localizzazione degli impianti nucleari e di quelli del carbone. Il risultato dei referendum è decisamente a favore dell'abrogazione e, anche alla luce del dibattito che ha preceduto la consultazione, viene interpretato come una netta e definitiva presa di posizione non solo contro la realizzazione di nuovi impianti nucleari in Italia, ma anche contro l'utilizzo degli impianti esistenti. Il Governo affida, a questo punto, il compito della preparazione di un nuovo Piano Energetico al ricostituito Comitato Tecnico per l'Energia. Nel mese di agosto del 1988 il Consiglio dei Ministri approva il nuovo Piano Energetico Nazionale (PEN), al quale hanno lavorato il Comitato Tecnico per l'Energia ed esperti ministeriali e degli Enti energetici per circa 8 mesi 57. Il Piano presenta alcune caratteristiche innovative soprattutto relativmente all’ambiente "Lo sviluppo dell'energia e la tutela dell'ambiente vanno considerati simultaneamente sia per quanto riguarda la definizione degli obiettivi specifici sia relativamente alla individuazione delle linee di intervento cercando cosi di evitare o ridurre il danno prima che si manifesti, con risparmio di costi ambientali e monetari, oltre che a risanare l'esistente" 58. Un altro importante elemento di novità è costituito dall'attenzione alla parte attuativa, molto trascurata dai piani precedenti. Per superare le negative esperienze del passato caratterizzate dall'emanazione di provvedimenti legislativi e amministrativi non organicamente raccordati ai documenti di programmazione, vengono elaborati dei disegni di legge che riguardano gli aspetti istituzionali, l'industria degli idrocarburi, l'industria elettrica con particolare riferimento all'autoproduzione. L'obiettivo è quello di modificare la normativa che regola il funzionamento dei grandi comparti di attività sulla base di criteri di maggiore efficienza e di adeguamento alla normativa europea. Mentre l’iter di approvazione della nuova legislazione procede con difficoltà, l'invasione del Kuwait da parte dell'Iraq fa temere l'insorgere di una terza crisi 56 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Conferenza Nazionale sull'Energia, voll. 1-5, Roma, 1988. 57 Ministero dell'Industria, Commercio e Artigianato, Piano Energetico Nazionale, Roma, 1988. 58 Paragrafo 35 del Piano. 94 energetica,ma in questa occasione la posizione dei paesi consumatori,tra cui l'Italia, è garantita da ingenti stoccaggi di greggio e prodotti , da meccanismi di emergenza pronti ad entrare in vigore e da un atteggiamento dei paesi produttori attenti a garantire il soddisfacimento della domanda e non già a cogliere vantaggi di breve periodo (v.capIII). Questo contesto, comunque di emergenza, facilita la definitiva approvazione della normativa di attuazione del Pen del 1988. La pubblicazione delle leggi 9 gennaio 1991, n.9 e 10 gennaio 1991, n.10 rappresenta così un notevole passo avanti dopo una lunga fase di incertezza per la pubblica amministrazione e per gli operatori . La legge n.9 riguarda prevalentemente l’offerta mentre la legge n.10 dispone in materia di: uso razionale dell'energia, risparmio energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili. Un aspetto innovativo delle leggi 9 e 10 è anche costituito dalla assegnazione di una serie di compiti alle regioni che vanno dalla emanazione di norme attuative, alla attività di programmazione, alla concessione ed erogazione di contributi, alla informazione - formazione, alla diagnosi energetica, agli interventi diretti con la partecipazione a consorzi e società per realizzare interventi o impianti . Relativamente al rilancio dell'autoproduzione di energia elettrica, dopo l'emanazione della Delibera del Cipe del 26 novembre 1991 sul coordinamento degli strumenti pubblici in materia di risparmio energetico e utilizzo delle fonti rinnovabili e di altri atti amministrativi, viene anche messo a punto un provvedimento del Cip del 29 aprile 1992 che fissa i prezzi di cessione dell'energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili o assimilabili. Si tratta di un importante passo avanti in vista della piena operatività, che richiede ancora la definizione della convenzione tipo con l'Enel (art.22) e l'emanazione delle direttive di cui all'art. 22. Anche la pubblicazione della legge n.10 è seguita da una serie complessa di adempimenti attuativi tra cui quelli relativi alla ripartizione dei fondi destinati agli incentivi. Il progressivo accentuarsi della politica di contenimento della spesa pubblica ha però rinviato nel tempo la effettiva erogazione dei fondi previsti, circa 1850 miliardi. Contestualmente alla approvazione delle leggi 9 e 10, è continuata la fase di transizione dal vecchio assetto dirigistico che permeava tutti gli aspetti del settore energetico verso un nuovo sistema più aperto alle regole di mercato, con particolare riferimento alla creazione di un mercato dell'energia con caratteristiche simili a quelle vigenti negli altri paesi europei ,pur tenendo conto delle specificità della realtà italiana . Il dibattito e le iniziative per la creazione di un nuovo sistema aperto alle regole di mercato ed alla partecipazione del capitale privato nelle imprese energetiche pubbliche sono stati numerosi ed hanno riguardato sia il settore degli idrocarburi sia quello elettrico. Con particolare riferimento agli idrocarburi, oltre alla abolizione del regime di esclusiva di cui l'Eni godeva nella Valle Padana, nel novembre 1995 una prima parte del capitale dell'ENI (circa 15%) è stata collocata sul mercato. Per il settore elettrico le proposte di privatizzazione sono state numerose e differenziate sino alla ipotesi di una completa disarticolazione del sistema esistente, con la liberalizzazione della produzione e della distribuzione secondo il modello adottato nel Regno Unito. A tutto il 1995 non è ancora emerso un orientamento definitivo anche in relazione alla complessità del problema ed alla necessità di salvaguardare una serie di interessi strategici .È però stata approvata, quale premessa al riassetto del settore, la Autorità per l'energia elettrica ed il gas, con la missione, tra l'altro, di riorganizzare il sistema tariffario anche in vista dell'apertura del mercato . A fianco del tema della liberalizzazione del mercato energetico, quello dell'ambiente è stato uno degli elementi di maggior rilievo della politica energetica degli anni '90, sino a condizionare gran parte delle scelte di investimento. 95 In questo scenario i compiti dell'amministrazione centrale e degli enti locali si vanno rapidamente modificando . Per la prima, si vanno accentuando le funzioni di indirizzo generale, di collegamento con gli organismi internazionali e sovranazionali, di promozione della ricerca scientifica e di promozione della innovazione; per i secondi, il ruolo di organo delegato alla attuazione di indirizzi decisi centralmente e di distributore di incentivi per iniziative a livello locale sta evolvendo a favore di una funzione più articolata di individuazione e di promozione delle sinergie tra settore energetico, sviluppo, salvaguardia dell'ambiente e del territorio, superando le troppo frequenti contrapposizioni. In questo schema, le esigenze della utenza finale con tutte le sue caratteristiche qualitative diventeranno il punto di riferimento per le scelte energetiche che non potranno non vedere più attivamente e responsabilmente coinvolte le popolazioni e gli operatori economici locali, anche in un ottica di allargamento dei servizi offerti dagli operatori energetici . 7.3.2 Gli sviluppi della domanda e dell'offerta L'evoluzione del sistema energetico italiano dopo il 1986 si sviluppa,come già richiamato, in un contesto profondamente diverso da quello degli anni delle crisi :da un lato i prezzi dell'energia importata iniziano una fase di forti diminuzioni ,con la breve parentesi della crisi del Golfo , dall'altro la tematica ambientale tende ad acquisire un ruolo sempre più importante nelle scelte energetiche . La domanda aggregata di energia è passata tra il 1986 ed il 1995 da 147,3 a 172,2 milioni di tep, con un aumento m.a. dell' 1,7% a fronte di un aumento del Pil ad un tasso dell'1,9%. Nello stesso periodo l'intensità energetica,calcolata con riferimento al PIL espresso il lire costanti 1990, è scesa da 0,127 a 0,124 tep per milione di Pil, con una riduzione molto meno accentuata di quella che aveva contraddistinto il periodo precedente . Il contributo della produzione nazionale al soddisfacimento della domanda globale di energia è rimasto stazionario intorno ad 1/5 ;in tal modo il valore della dipendenza dall'estero, circa 4/5, è rimasto tra i più elevati tra i paesi industrializzati. Il riferimento alla forte dipendenza dall'esterno non deve però essere disgiunto da una valutazione comparata dell'efficienza del sistema, a partire dagli indicatori più aggregati e da un esame delle alternative effettivamente disponibili sul piano tecnico ed economico, per gestire in modo attivo una dipendenza che è comunque destinata a rimanere elevata. Ad un forte grado di dipendenza, poco modificabile, corrispondono comunque diversi livelli di vulnerabilità del sistema in funzione di scelte (flessibilità del sistema, stoccaggi, caratteristiche degli operatori e loro dimensione, etc.) che devono essere altresì considerate . Ad esempio, la riduzione dell'intensità energetica ed il favorevole andamento delle quotazioni delle fonti importate hanno consentito di riportare a dimensioni più compatibili con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti il valore del rapporto tra fattura energetica e prodotto interno lordo . Negli ultimi anni la velocità di questo processo si è però andata riducendo, come risulta dagli andamenti settoriali, e ciò potrebbe costituire un elemento di debolezza del sistema in prospettiva. I consumi energetici dell'industria sono stati caratterizzati da un aumento, anche se contenuto, per la tenuta di alcune produzioni energy-intensive, dopo la pesante ristrutturazione del periodo precedente, e, molto probabilmente, per la difficoltà a realizzare ancor più decisivi interventi per l’uso razionale dell'energia in un contesto di prezzi che, in termini reali sono rimasti notevolmente al di sotto dei livelli massimi del 1982. Relativamente alle fonti utilizzate, il gas naturale ha continuato a rafforzare la sua 96 presenza attraverso la sostituzione dell'olio combustibile, sotto la spinta della normativa di tutela dell'ambiente, sino a diventare la fonte più utilizzata dall'apparato industriale relativamente ai combustibili. I consumi energetici del settore trasporti, favoriti dalla crescita dei consumi privati e delle attività produttive, hanno registrato un nuovo sensibile incremento. D'altra parte, nessun fatto significativo è intervenuto per modificare l'ulteriore consolidamento di un sistema che rimane saldamente imperniato sui vettori a maggiore consumo energetico (vetture private ed autocarri); la crescita dell'offerta da parte delle ferrovie, delle metropolitane e dei mezzi pubblici ha continuato ad essere ostacolata da mancanza di investimenti e da difficili situazioni gestionali delle società e degli enti concessionari ed anche dalla scarsa consapevolezza del peso del settore trasporti nella determinazione della domanda di energia. In aumento ,anche se moderato , sono risultati gli impieghi energetici degli usi civili, sostenuti in particolare dalla domanda di elettricità che ha continuato ad essere particolarmente sostenuta nel settore terziario. In relazione al rafforzamento del processo di conversione a gas degli impianti alimentati con gasolio o altri combustibili e di acquisizione di nuove utenze, la quota del gas naturale sul totale delle fonti utilizzate si è portata a quasi il 50%, mentre è in netta riduzione quella dei prodotti petroliferi. Bilancio dell'energia in Italia (milioni di tep) 1986 Disponibilità e Impieghi Solidi Produzione Gas 1995 Petrolio Energia Elettrica Totale Solidi Fonti Petrolio Rinno vabili Gas 0,4 Energia Elettr. Totale 9,5 33,0 1,3 12,9 2,6 12,0 28,8 1,4 16,5 5,2 Importazioni ) 14,2 16,6 99,9 5,2 135,9 13,3 28,6 106,6 8,1 156,7 Esportazioni ( 0,1 0,1 16,8 0,4 17,4 0,1 0,0 16,8 0,3 17,2 Var. Scorte ) 0,1 0,5 -0,7 - -0,1 0,8 0,2 -0,6 - 0,4 15,3 28,9 86,4 16,7 147,3 13,8 44,8 95,7 17,4 172,2 Trasformazione in en. elettrica 7,1 5,5 16,6 29,2 6,4 9,4 25,4 Consumi e perdite del settore energetico 1,9 0,2 6,6 30,5 39,2 1,2 0,5 6,4 0,1 38,1 46,3 6,3 23,2 63,2 15,4 108,1 6,2 35,0 63,9 0,3 20,5 125,9 0,1 10,3 36,9 0,5 38,7 9,3 36,6 3,3 TOTALE disponibilità per il consumo interno Totale impieghi finali di cui: - Industria 5,1 - Trasporti - Usi civili 0,9 9,0 9,7 8,2 32,0 5,0 14,9 6,7 0,2 28,5 0,4 29,1 - 0,2 37,9 12,0 13,6 6,5 33,0 1,1 18,8 7,3 0,4 41,2 0,2 - Agricoltura e Pesca - Usi non energ. - Bunkeraggi - .. 2,2 0,3 2,5 - 0,1 2,8 0,4 0,3 2,0 5,5 - 7,8 0,2 1,0 6,8 - 7,9 .. - 3,7 - 3,7 - - 2,4 - 2,4 Fonte: Elaborazioni su Bilancio Energetico Nazionale del Ministero dell'Industria. 97 Relativamente all'offerta, gli elementi di maggior rilievo sono stati la ulteriore espansione del sistema gas, la ristrutturazione del settore petrolifero,con particolare riferimento alla raffinazione, e,infine, il ridimensionamento del settore del carbone in contrasto con le aspettative e le indicazioni del Pen . Sul piano interno la già modesta produzione di combustibili solidi è rimasta stazionaria anche per la minore disponibilità di lignite, i cui giacimenti sono in via di esaurimento; l'avvio della produzione del carbone del Sulcis - programmata nel periodo di più forti aumenti dei prezzi del greggio - ha trovato ostacoli crescenti nella mancanza di competitività rispetto al carbone di importazione ed ai combustibili alternativi. Quanto al carbone di importazione, le fortissime opposizioni locali hanno ostacolato sia il suo impiego negli impianti già attrezzati, sia la costruzione di nuovi impianti “dedicati” e quindi dotati di tutti i dispositivi atti a minimizzarne l'impatto ambientale . La produzione di greggio si è avvicinata ai 5 milioni di tep, pur in presenza di una serie di problemi tecnici che hanno limitato l'apporto del giacimento Vega localizzato nell'off-shore della Sicilia . La parte preponderante dell'approvvigionamento di greggio ha continuato a provenire dalle aree tradizionali : il Golfo Persico, con circa 1/3 del totale, l'Africa, con circa 1/2 e, con quote minori,il Mare del Nord e il Mar Nero, dove viene imbarcato il greggio prodotto in Russia . La produzione di gas naturale, la più consistente risorsa energetica nazionale, ha continuato a svolgere un ruolo di primo piano superando i 16 milioni di tep,che costituiscono il massimo storico di questa fonte. L'approvvigionamento dall'estero è rimasto imperniato su tre grandi poli: l'Algeria che ha raggiunto i 14 miliardi di mc, la ex-URSS che ha aumentato il suo apporto sino a 14 miliardi di mc e, infine, l'Olanda con 5 miliardi di mc. L'apporto dell'energia idrogeoelettrica è rimasto sostanzialmente stabile, mentre alcune troppo ottimistiche aspettative di un rapido sviluppo delle fonti rinnovabili, anche nel settore della produzione elettrica, sono rimaste deluse per problemi tecnici ed economici che hanno suggerito di consolidare le tecnologie attraverso la realizzazione di una serie di impianti pilota . Il settore termoelettrico, anche in questo periodo, ha potuto attuare solo parzialmente gli ambiziosi programmi di diversificazione : le forti opposizioni all'uso del carbone hanno, come sopra richiamato, fortemente limitato il ricorso a questa fonte; l'unica via praticabile si è rivelata quella del gas naturale, con il vantaggio di poter fare un crescente affidamento sugli impianti a ciclo combinato ad alta efficienza energetica. In questa situazione di scelte limitate, il ruolo dei prodotti petroliferi è rimasto di grande rilievo e anche quello delle importazioni di elettricità si è addirittura consolidato. Confrontando l'insieme degli sviluppi relativi alla domanda ed all'offerta negli ultimi anni con il percorso che era stato ipotizzato dal Piano del 1988, emerge ancora una volta la difficoltà di indirizzare entro limiti precisi un sistema estremamente complesso come quello energetico, dove tra l'altro la componente internazionale è assolutamente prevalente, mentre sembra confermata la necessità di disporre di strumenti flessibili, sia sul piano amministrativo sia su quello aziendale, capaci di un costante adeguamento alla realtà di mercato, sia pure nell'ambito del perseguimento di alcuni indirizzi di fondo quali la sicurezza, l'economicità e il rispetto dell'ambiente. 7.4 I prezzi dell'energia: dal controllo al mercato All'apertura verso i mercati internazionali nel campo degli approvvigionamenti di materie prime energetiche , avviata sin dagli anni '50 ,ha corrisposto un atteggiamento di tipo nettamente dirigistico in materia di formazione dei prezzi interni . La transizione del regime dei prezzi dei prodotti petroliferi, del gas naturale e dell'elettricità, soggetti al controllo pubblico dalla metà degli anni '40 (D.L. Lgt, 19 ottobre 1944 e successive disposizioni legislative riguardante l'istituzione del Comitato 98 Interministeriale Prezzi) verso un assetto più aperto al mercato, è stata molto lunga . Oltre che dal regime amministrato, il sistema è stato anche caratterizzato da una forte fiscalità che ha reso i prezzi italiani dell'energia all'utente finale mediamente più elevati di quelli riscontrabili negli altri paesi, sia pure con delle forti differenziazioni per prodotto e settore . 7.4.1 I prezzi dei prodotti petroliferi Dopo il 1973, il sistema di fissazione dei prezzi (al netto della fiscalità) dei prodotti petroliferi sul mercato interno, da parte del Comitato Interministeriale Prezzi, che si basava sul riconoscimento dei costi sopportati dall'industria nella fasi di approvvigionamento e distribuzione, entra in crisi . Il sistema chiuso e sostanzialmente protezionistico, in vigore da oltre venti anni, si rivela ,infatti, inadeguato a riflettere i cambiamenti intervenuti sul mercato internazionale, dove si registra una fortissima variabilità dei prezzi delle materie prime; esso, secondo i documenti di politica economica ed energetica dell'epoca, dovrebbe gradualmente evolvere verso una maggiore liberalizzazione (Delibera del CIPE del 26 aprile 1974 per la riorganizzazione del settore petrolifero e del 23 dicembre 1975 per l'approvazione del Piano Energetico Nazionale), ma il passaggio ad un sistema libero trova una serie di ostacoli e resistenze che vanno dalle difficoltà da parte della pubblica amministrazione a procedere alla liberalizzazione delle attività collegate direttamente e indirettamente alla vendita dei prodotti petroliferi (sistema di distribuzione, licenze per la vendita di altre merci, orari di vendita, impianti "self-service"), alle incertezze degli operatori a passare ad un regime di aperta concorrenza. In realtà, il regime amministrato non esclude la possibilità di praticare prezzi inferiori a quelli massimi ufficiali anche per i prodotti venduti in rete. Gli operatori, di fronte ad un prezzo che infatti costituisce un riferimento consolidato ed "accettato" dal consumatore sono restii ad intraprendere azioni concorrenziali e di incerta efficacia sulle quote di mercato. D'altra parte, il controllo pubblico dei prezzi delle fonti energetiche viene considerato un utile strumento per il controllo dell'inflazione che subisce una forte impennata a seguito della prima crisi energetica. Una parziale modifica del metodo viene così avviata solo nel 1977 con l'adozione della Delibera CIPE del 3 agosto 1977 per il passaggio a prezzi sorvegliati di alcuni prodotti e della Delibera CIP del 28 ottobre 1977 per il regime di controllo dei prezzi dei prodotti petroliferi. La nuova normativa comporta l'applicazione di un regime di sorveglianza (obbligo del deposito e della pubblicità dei listini presso la Segreteria del CIP) per alcuni prodotti minori (benzina avio, carboturbo, virgin nafta), successivamente esteso all'olio combustibile (Delibera CIP del 16 aprile 1978). Per i prezzi dei prodotti petroliferi non assoggettati al regime di sorveglianza, in particolare benzina, gasolio autotrazione e gasolio riscaldamento, il nuovo metodo tende, nelle intenzioni dell'Amministrazione, a facilitare, attraverso una serie di meccanismi, per la rilevazione dei costi di approvvigionamento e delle altre voci di costo, un più tempestivo adeguamento dei prezzi interni a quelli vigenti in Europa. Questo metodo, pur rappresentando un passo avanti, rivela ben presto una serie di limiti rispetto alla evoluzione dei mercati internazionali, ormai ben lontani dalla stabilità degli anni '60 ed alle forti oscillazioni dei cambi. Già a partire dal 1979 il CIPE emana una Delibera che invita il CIP a rivedere il metodo di determinazione dei prezzi petroliferi sulla base dei costi di importazione e dei ricavi riscontrati in Europa. Questi principi vengono attuati con Delibera CIP del 19 marzo 1980. Anche questo nuovo metodo si rivela però inadeguato rispetto al rapido sviluppo degli eventi successivi alla guerra tra Iraq ed Iran. Vari gruppi di lavoro "ad hoc", istituiti dal Ministero dell'Industria, ed il Piano Energetico adottato nel 1981 auspicano una modifica del sistema in vigore (Risoluzione Commissione Industria del Senato e della Camera sul Piano Energetico Nazionale del 99 22 ottobre 1981; Delibera CIPE per l'approvazione del Piano Energetico Nazionale del 4 dicembre 1981; Conclusioni del Gruppo di lavoro sui problemi del settore petrolifero istituito dal Ministero dell'Industria). Nel 1982 una delibera del CIP del 6 luglio 1982, in attuazione di una analoga delibera del CIPE (del 24 giugno), stabilisce un nuovo sistema definito di sorveglianza, sia pure su base sperimentale. In particolare, i prezzi massimi del gasolio riscaldamento e del gasolio autotrazione e dell'olio combustibile saranno fissati dalle compagnie petrolifere, con il vincolo di non superare la media dei prezzi rilevati nei cinque paesi di riferimento (Belgio, Olanda, Francia, Germania e Regno Unito), rilevati nella settimana precedente e pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale. Rimangono invece in regime di prezzi amministrati - soggetti quindi all'emanazione di specifici provvedimenti CIP - la benzina e il GPL anche se il loro livello viene definitivamente ancorato alla media europea. Nel 1985, una delibera del CIP del 10 luglio, sempre in via sperimentale e provvisoria, stabilisce che i prezzi degli oli combustibili vengono assoggettati al solo obbligo per le imprese petrolifere di comunicare mensilmente al CIP i prezzi praticati ed i ricavi, nonchè i corrispondenti volumi di vendita. Per i prodotti soggetti al regime di sorveglianza, che è divenuto definitivo con la Delibera CIP del 6 aprile 1984, vengono adottati tra l'ottobre e il novembre del 1985 una serie di provvedimenti che tendono a rendere sempre più tempestivo l'adeguamento dei prezzi interni a quelli europei. Nel 1986, con Delibera del CIP del 3 giugno, il meccanismo di stretta correlazione dei prezzi massimi al prezzo medio europeo viene reso ancor più tempestivo (due giorni dal ricevimento dei dati CEE). Il regime di sorveglianza, attraverso la pubblicazione dei prezzi massimi sulla Gazzetta Ufficiale, mantiene, chiaramente, molti elementi tipici di un sistema amministrato che pur recepisce le indicazioni del mercato internazionale. Nel 1987, con Delibera CIP del 9 ottobre, il regime dei prezzi della benzina subirà una ulteriore modifica con l'adozione di una maggiorazione pari allo scarto quadratico medio prezzi rilevati in Belgio, Olanda, Francia, Germania e Regno Unito; un esempio della difficoltà di fare un esplicito riferimento alla realtà di mercato. Negli altri paesi europei i cambiamenti sono molto più rapidi: l'esperienza di paesi come la Repubblica Federale di Germania e l'Olanda, dai consolidati regimi di prezzi liberi, il Regno Unito e la Danimarca e, per ultima, la Francia (1987) dimostra che l'esperienza della liberalizzazione non si traduce in svantaggi per i consumatori e costituisce una spinta all'adeguamento dell'industria petrolifera alla nuova realtà del mercato, che vede la domanda incentrarsi sempre più sulle frazioni leggere e medie (benzine e gasoli). Il passaggio ad un sistema libero da parte della Francia, che era stata l'antesignana di una politica dirigista in campo petrolifero, avviene senza arrecare conseguenze negative per l'industria, pur nel contesto di un processo di significativa ristrutturazione del sistema di raffinazione e distribuzione, e per i consumatori. In Italia bisogna attendere il 1991 perchè il controllo sui prezzi di benzina, gasolio e GPL non venga più effettuato "a priori" con l'indicazione dei prezzi massimi, ma "a posteriori", attraverso l'esame dei listini di vendita dei diversi operatori. Con questo nuovo sistema, il ruolo del CIP diviene quello di controllare la coerenza dei prezzi interni rispetto a quelli internazionali e non più quello di partecipare direttamente alla fissazione dei prezzi. Nell'ottobre 1993 il sistema viene ulteriormente liberalizzato con il venir meno delle residue attribuzioni del CIP in materia di prezzi petroliferi. Questi ultimi vengono ad essere determinati liberamente dagli operatori, con il solo obbligo delle comunicazioni dei listini (sino al 30 aprile 1994) al Ministero dell'Industria. 100 7.4.2 Le tariffe del gas naturale Non diversamente dai prezzi dei prodotti petroliferi, anche le tariffe del gas naturale ,che rientrano nelle attribuzioni del Comitato Interministeriale Prezzi sin dalla sua costituzione, risentono dei mutamenti indotti dalla prima crisi energetica Nel 1974 due delibere del CIPE (26 giugno 1974 e 20 settembre 1974) determinano nuovi criteri per la fissazione dei prezzi del gas naturale. Il sistema, attraverso una lunga serie di aggiornamenti e modifiche, prevede che - sotto la sorvegliana del CIP - SNAM, Confindustria e Confapi provvedano alla determinazione delle tariffe industriali; la determinazione delle tariffe per gli usi civili vede, invece, coinvolti SNAM, e aziende distributrici, sempre sotto la sorveglianza del CIP per la determinazione del prezzo di cessione del gas alle aziende distributrici e Comitati Provinciali Prezzi ed Aziende Distributrici per la fissazione delle tariffe per l'utenza finale. Obiettivo di questa procedura - che mantiene le caratteristiche di un sistema di prezzi amministrati - è di assicurare uno stretto collegamento tra il livello e l'andamento dei prezzi dei prodotti petroliferi concorrenti (gasolio e olio combustibile) e prezzi del gas naturale. Questi principi vengono applicati con modalità collegate al tipo di prelievo ed alle caratteristiche dell'utenza. Nel settore degli usi civili, il prezzo di fornitura del metano alle aziende distributrici è articolato secondo una formula di tipo binomio, con un termine "fisso" ed un termine "proporzionale". Il termine "fisso" è legato alla portata oraria resa disponibile a ciascuna azienda. Il termine "proporzionale" tiene conto delle variazioni del prezzo del consumo del gasolio per riscaldamento. Le tariffe praticate dalle aziende distributrici ai consumatori finali sono determinate, a loro volta, sulla base di una procedura che, sulla base dei parametri caratteristici di ciascun esercizio (numero di utenti serviti, consumo specifico medio degli utenti, organizzazione dell'azienda), stabilisce il costo di distribuzione del gas. Tale costo, insieme a quello di acquisto del metano, determina le tariffe di vendita 59. Nel settore industriale le differenziazioni di prezzo tra i singoli utilizzatori derivano dal livello e dalle modalità di prelievo che danno luogo a due tipi di contratto: "continuo" e "interrompibile" 60. Le forniture di tipo "continuo", in relazione alla specifica garanzia offerta dall'utilizzatore, sono in generale adottate per gli impieghi nei quali il gas è difficilmente intercambiabile con altri combustibili, sia per motivi di ordine tecnico che economico. Per questo tipo di fornitura il prezzo è articolato su una struttura di tipo binomio, con un termine "fisso" legato al quantitativo giornaliero reso disponibile all'utilizzatore e corrisposto indipendentemente dai prelievo effettuati, ed un termine "proporzionale", pagato in ragione dei volumi effettivamente prelevati. Le forniture "interrompibili" sono applicate nei confronti di consumatori dotati di impianti che possono essere alimentati anche con olio combustibile denso, tali da assicurare elevati prelievi su base giornaliera e su base annua. La fornitura può essere limitata o interrotta in qualsiasi momento e per un periodo più o meno lungo, con un preavviso minimo di 48 ore. In tal caso, il funzionamento degli impianti viene assicurato dall'alimentazione alternativa con olio combustibile. 59 Si vedano anche: CNR, ENEA, ENEL, ENI, Rapporto sull'Energia, Roma, annate varie dal 1982 al 1992. 60 Vedi nota precedente. 101 La formula di prezzo è di tipo monomio ed è dimensionata in modo da aderire alle effettive condizioni cui è soggetto ciascun utilizzatore nell'approvvigionamento del combustibile alternativo al metano. Questa procedura è rimasta in vigore sino all'inizio degli anni '90, salvo una progressiva accelerazione delle scadenze di revisione delle tariffe: nel caso delle tariffe industriali, ogni mese, per la revisione del termine proporzionale collegato al prezzo libero dell'olio combustibile e ogni sei mesi per il termine fisso; nel caso delle tariffe per usi civili ogni due mesi per il termine proporzionale, quello collegato al prezzo del gasolio - a sua volta collegato, dapprima alla media CEE e poi al mercato - e ogni anno per il termine fisso. Ancor più recentemente la tendenza alla liberalizzazione ha determinato un chiaro orientamento alla eliminazione del vecchio sistema di prezzi amministrati a favore di un sistema nuovo la cui realizzazione è stata avviata con la emanazione della legge 14 novembre 1995, n. 481: ”Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità Istituzione della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità”. La legge, che contiene norme specifiche per l’energia elettrica ed il gas (art.3), introduce, per la determinazione della tariffa, il metodo del price cap “inteso come limite massimo della variazione di prezzo vincolata per un periodo pluriennale” calcolato, a sua volta, sulla base dell’evoluzione di una serie di parametri tra cui il tasso di inflazione e un tasso obiettivo di variazione della produttività del settore. Con questo sistema si vuole offrire all’impresa fornitrice di servizi un incentivo a realizzare incrementi di produttività superiori a quelli fissati come obiettivo . 7.4.3 Le tariffe elettriche Nel settore elettrico il controllo delle tariffe, avviato sulla base degli stessi provvedimenti che avevano istituito il controllo amministrativo sui prezzi degli idrocarburi, era stato ulteriormente qualificato con la legge di nazionalizzazione del 1962, che aveva tra i suoi obiettivi quello di assicurare tariffe omogenee su tutto il territorio nazionale e facilitare la politica di sviluppo industriale. Cosi, il forte aumento dei prezzi dell'olio combustibile che si registra dopo il 1973 non porta ad una modifica delle tariffe, che si realizzerà circa 10 anni dopo, ma alla istituzione di un sovrapprezzo termico per compensare i maggiori oneri della produzione termoelettrica. Il riconoscimento delle entità del sovrapprezzo viene soggetto però a meccanismi di tipo amministrativo. Le critiche a questo istituto sono numerose e basate sulla preoccupazione che il sistema non sia incentivante per il ricorso a fonti come il carbone e fonti rinnovabili. L'evoluzione dei meccanismi è comunque molto lenta e solo nel 1984 si registrano dei mutamenti sostanziali delle tariffe per uso industriale, caratterizzate da numerose agevolazioni che appaiono non più giustificabili sulla base dei costi di produzione. Ulteriori modifiche si susseguono negli anni successivi, tra cui l'introduzione delle tariffe multiorarie, che implicano un migliore utilizzo della potenza esistente Agli inizi degli anni '90 il sistema è comunque ancora caratterizzato da uno stretto controllo, solo in parte temperato dal riconoscimento da parte governativa della necessità di definire livelli tariffari tali da assicurare un adeguato autofinanziamento dell'Ente Elettrico (Contratto di Programma - Ministero Industria - ENEL dell'aprile 1991 in attuazione della legge 9 del 9 gennaio 1991). Un ulteriore segnale sulla via di una attenuazione dei vincoli che gravano sul sistema è costituito dalla incentivazione della produzione di energia elettrica, ad opera di soggetti diversi dall'Enel, da fonti rinnovabili e assimilate, anche se ottenuta con la fissazione da parte del CIP dei prezzi e dei parametri per la cessione di energia elettrica alla rete pubblica, per il vettoriamento, lo scambio e la produzione per conto. Con la istituzione della Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità il tema 102 delle tariffe elettriche sarà comunque rivisto in modo sostanziale tenendo anche conto del nuovo assetto del settore e della normativa europea sulla liberalizzazione del mercato elettrico (v.cap.V). 7.4.4 La fiscalità sui prodotti energetici Già dagli anni '50 la presenza pubblica nel settore energetico si manifesta ,oltre che nella determinazione dei prezzi industriali , con una forte fiscalità su gran parte dei prodotti energetici. Nel 1995 le entrate fiscali derivanti dalla imposizione sui prodotti energetici hanno superato ampiamente i 51000 miliardi di lire mentre nello stesso anno il valore delle importazioni nette di energia è stato di circa 26500 miliardi; nel 1980 le entrate fiscali erano state pari a oltre 7000 miliardi rispetto ad un valore della fattura energetica di circa 20000 miliardi.. Il fenomeno, che ha dimensioni che non trovano riscontro negli altri paesi europei, è profondamente radicato nel sistema fiscale italiano. Esso si collega più che a finalità di orientamento degli investimenti energetici e di controllo della crescita della domanda, alle facilità di riscossione ed alla rigidità della domanda dei prodotti energetici . Imposte di fabbricazione sui prodotti energetici (Miliardi di lire) Totale Oli minerali Gpl Metano 1980 7.151 6.601 175 283 Energia Elettrica 92 1985 14.193 13.610 126 332 125 1990 33.185 30.740 534 1.341 570 1991 40.751 35.790 655 3.772 535 1992 42755 36.855 683 4737 480 1993 44.030 37960 737 4859 474 1994 46.419 39612 798 5027 982 1995 51.866 43751 1022 5743 1350 Fonte:Ministero delle Finanze,Tributi ed Entrate Tributarie erariali Nel caso di prodotti come la benzina, la componente fiscale, anche dopo le crisi energetiche che portano ad un eccezionale aumento dei costi della materia prima, continua ad essere l’elemento più importante nell'evoluzione del prezzo all'utente finale. Alla fortissima fiscalità su questo prodotto non fa però riscontro una analoga politica per altri distillati destinati al settore trasporti come, ad esempio, il gasolio autotrazione che viene a godere di un trattamento privilegiato che porterà,nel corso degli anni ’80 ad un forte sviluppo del parco diesel al di fuori di un organico disegno di riorganizzazione della fiscalità gravante sul settore. La mancanza di una chiara differenziazione,ad esempio con l’ausilio di coloranti,tra gasolio autotrazione e gasolio riscaldamento dà luogo ad ulteriori distorsioni in quanto la più bassa fiscalità sul gasolio riscaldamento spinge molti utenti ad usare questo prodotto per uso autotrazione. Il fenomeno ,che si sviluppa nel corso degli anni ’80,viene successivamente ridimensionato con il sostanziale allineamento delle aliquote fiscali, ma, chiaramente, a scapito delle utenze domestiche. L’esistenza di aliquote differenziate non riguarda peraltro solo il gasolio ma anche altri prodotti come la benzina, il gpl; tutto ciò non contribuisce nè alla efficienza nell’uso delle fonti di energia nè all’efficienza del sistema di trasformazione e distribuzione che deve sopportare dei costi aggiuntivi rispetto agli altri paesi europei. 103 D’altra parte, anche i piani energetici esitano a prendere in considerazione come elemento prioritario quello della fiscalità sull’energia che tra l’altro non rientra nelle competenze degli organi preposti alla elaborazione ed alla attuazione della politica energetica. Ne risulta, per circa tre decenni, un quadro estremamente confuso dove le pur elevatissime entrate collegate all'utilizzo delle fonti di energia stentano ad essere distribuite in misura razionale tra i vari settori di impiego. Sul finire degli anni '80, con l'accrescersi delle preoccupazioni per l'ambiente, la fiscalità sull'energia viene chiamata a svolgere un ruolo di primo piano per fornire agli utilizzatori finali dei segnali a favore dei prodotti più inquinanti; ma ancora una volta ad un approccio organico vengono preferiti degli interventi significativi, ma parziali, come l'aumento della fiscalità sull'olio combustibile ad alto tenore di zolfo e la riduzione della accisa sulla benzina senza piombo per favorire l'affermazione delle auto catalizzate che poi diventeranno obbligatorie . Anche il processo di unificazione europea sembra poter contribuire ad una profonda riorganizzazione della fiscalità sull'energia. Il primo progetto di armonizzazione delle aliquote tra tutti i paesi incontra, però, ostacoli insormontabili, non solo in Italia,dove il timore di una riduzione di entrate fà perdere di vista qualsiasi altra considerazione, ma anche negli altri paesi della comunità europea,restii a cambiamenti in una materia considerata di competenza nazionale. Il sistema, meno ambizioso, che invece viene attuato a partire dal 1993 prevede, invece, solo l'adozione di soglie minime di fiscalità sui vari prodotti energetici, con l'effetto di non alterare sostanzialmente la situazione italiana dove le aliquote sono già al di sopra dei livelli prefissati e di lasciare quindi aperto il problema di una rioganizzazione della fiscalità sulla base di criteri di efficienza e di rispetto dell' ambiente . 7.5 Le prospettive In un contesto di sempre maggiore apertura al mercato, le prospettive energetiche italiane saranno sempre meno dipendenti dagli interventi di politica energetica mentre acquisteranno sempre maggior peso le scelte degli operatori del settore e quelle degli utenti finali .In questo quadro i futuri fabbisogni energetici del paese possono essere esplorati solo in termini di scenario ovvero di possibili sentieri evolutivi dei fattori che determinano qualità e quantità dell’energia domandata. . In particolare, con riferimento alle ipotesi che trovano maggiore consenso tra i vari centri di previsione, quali sostanziale stazionarietà della popolazione, crescita del PIL al di sotto del 2%, ulteriore riduzione dell'intensità energetica, facilitata dal miglioramento dell'efficienza nella trasformazione, distribuzione e consumo dell'energia, permanere di una sensibile fiscalità sui prezzi dei prodotti energetici, si prospetta un fabbisogno di energia per usi finali al 2000 ed al 2010 pari rispettivamente a circa 135 ed a meno di 150 milioni di tep. Dal punto di vista qualitativo, la domanda di calore degli utenti civili e industriali tenderà ad una crescita molto contenuta, in conseguenza di interventi di razionalizzazione e del progresso tecnologico; continueranno, invece, ad espandersi, anche se a tassi più contenuti di quelli del recente passato, la domanda di energia per trasporti e quella di elettricità per usi obbligati. Gli impieghi dell'energia elettrica tenderanno ,in particolare, ad aumentare a tassi superiori a quello del PIL,trainati dalla domanda del settore terziario ,che si prospetta come la più dinamica, seguita da quella degli usi civili ed industriali. Dal punto di vista settoriale, la domanda di energia del settore usi civili dovrebbe passare da 36 Mtep nel 1995 a 44,4 Mtep nel 2010, sotto la spinta del settore terziario e con un ulteriore rafforzamento del ruolo del gas naturale e dell’energia elettrica. La domanda del settore trasporti, che diventerà il primo settore di utilizzo finale, continuerà ad espandersi, ma risentirà della progressiva saturazione del traffico nelle aree urbane,che tenderà a limitare la percorrenza delle auto, e dei miglioramenti dei 104 rendimenti dei motori. Al 2010 è prevedibile un consumo complessivo di circa 45 milioni di tep rispetto ai 39 del 1995. La domanda del settore industriale dovrebbe attestarsi a poco meno di 45 milioni di tep, rispetto ai 37 del 1995, per effetto dei miglioramenti tecnologici nell'utilizzo delle fonti di energia e dell’ulteriore aumento del ruolo delle attività a bassa intensità energetica. Gli altri settori, come gli usi non energetici, l’agricoltura e la pesca, i bunkeraggi, difficilmente potranno esprimere livelli di domanda sostanzialmente più elevati di quelli attuali: complessivamente circa 15 milioni di tep. Tenendo anche conto dei fabbisogni dei settori trasformatori, si può quindi ipotizzare un fabbisogno di fonti primarie così articolato: (v. tab. Scenario di evoluzione della domanda di energia in Italia). Gli operatori del settore energetico non dovrebbero incontrare problemi insormontabili nel soddisfare i livelli di domanda ipotizzati, specie in un sistema concorrenziale che dovrebbe assicurare un adeguato ritorno agli investimenti. Nel caso del greggio, la produzione nazionale dovrebbe consolidare il suo apporto in una fascia compresa tra i 5 ed i 10 milioni di t, mentre la parte preponderante dell'approvvigionamento petrolifero dovrebbe continuare a provenire dalle aree tradizionali: il Golfo Persico, l'Africa, il Mare del Nord, la Russia e, nel medio-lungo termine, le repubbliche dell’area Caspica . Scenario di evoluzione della domanda di energia in Italia milioni di tep 1973 1980 1986 1995 2000 2010 10,2 14,3 105,3 12,5 22,8 98,8 15,3 28,9 86,3 13,8 44,8 95,7 14,5 60,5 91,0 15,0 70,0 95,0 .. 9,8 0,2 11,5 1,3 0,3 12,1 4,6 0,4 9,6 7,8 0,6 11,3 6,3 1,7 14,0 5,0 TOTALE 139,8 146,9 147,5 172,2 184,2 200,7 PIL in lire 1990(migliaia di miliardi) 825,1 1051,0 1164,5 1385,6 1520,0 1825,0 Intensità energetica: tep per milione di pil Prezzo del greggio importato in Italia $correnti/b (Cif) 0,169 0,140 0,127 0,124 0,121 0,110 11,4 32,3 14,3 16,8 20,0 25,0 Combustibili solidi Gas naturale Petrolio Fonti Rinnovabili Elettricità primaria Importazioni di elettricità L’industria petrolifera dovrà anche continuare ad affrontare il problema del costante adeguamento della qualità dei prodotti agli standard che saranno fissati in sede comunitaria . L'offerta di gas,la fonte con le più consistenti prospettive di crescita, dovrebbe essere garantita, nel breve e medio termine, dalla produzione nazionale che ,anche sulla base delle riserve già scoperte ,dovrebbe mantenere i livelli attuali,e dalle disponibilità assicurate dai contratti di importazione già in vigore e dalle loro estensioni stipulate negli ultimi anni(Algeria,Russia), per un totale di oltre 50 miliardi di mc. Per la copertura dei fabbisogni di lungo termine, non ancora coperti da contratti, la soluzione dei problemi di assetto del mercato e dell’adozione di regole, che tengano conto della specificità dell’industria del gas nel contesto europeo, appare più importante di quella dei problemi relativi alla disponibilità di risorse. Nell'Africa del Nord (Libia, Egitto), 105 nell'Africa Occidentale (Nigeria),nel Nord Europa(Norvegia),nelle repubbliche asiatiche dell'ex-URSS, nel Medio Oriente (Qatar), risultano infatti localizzate riserve in grado di assicurare la copertura dei fabbisogni ,sia dell’Italia che degli altri paesi europei ,sempre a condizione che esistano i presupposti istituzionali per la realizzazione dei relativi ingenti investimenti . Tra i settori trasformatori, quello elettrico sarà certamente interessato da un notevole dinamismo in relazione alla riorganizzazione,già avviata, del suo assetto, all’affermarsi di nuove figure imprenditoriali ed alla necessità di una ristrutturazione dell’ apparato produttivo, con un ruolo sempre maggiore degli impianti termoelettrici a ciclo combinato, ad elevata efficienza energetica, alimentati a gas naturale . Relativamente ai combustibili solidi, i quantitativi assicurabili dagli operatori del settore appaiono ben più ampi della domanda oggi prevedibile, ma lo spazio per il ricorso a nuovi impianti capaci di utilizzare questi combustibili, pur nel rispetto delle normative ambientali, appare molto limitato per le forti opposizioni locali,in qualche caso anche poco motivate, all'uso di questa fonte, come dimostra l’esperienza di questi anni . Il problema maggiore per i fornitori di fonti rinnovabili (energia eolica, biomasse e fotovoltaico) non è certo quello degli spazi di mercato, che sono senz’altro piuttosto ampi, a partire dal settore degli usi civili e della produzione di elettricità, ma quello della competitività, che sembra assicurata solo in una serie di nicchie di mercato, salvo interventi di incentivazione più decisi di quelli oggi disponibili. In conclusione, sembra molto difficile ipotizzare scenari di drastica modifica dei connotati di fondo del sistema energetico italiano in termini di dipendenza dall’esterno e di ruolo delle varie fonti primarie ,specie in un contesto che tende a fare soprattutto affidamento sulle regole di mercato. In tale quadro, è opportuno che ai consumatori arrivino sempre i segnali più appropriati per effettuare scelte capaci di garantire al sistema un’elevata efficienza, che costituisce un elemento fondamentale per il controllo del vincolo energetico; sul piano internazionale, dove vengono prese le decisioni di fondo per il settore dell’energia, occorre poi un costante impegno, nel quadro comunitario, per la instaurazione di un clima di cooperazione con i paesi detentori delle riserve di energia, entro il quale gli operatori possano operare efficacemente. Sono questi gli unici mezzi disponibili per ridurre la vulnerabilità del sistema, in aggiunta ai meccanismi di risposta ad eventuali crisi, sviluppati d’intesa con gli altri paesi industrializzati, e far si che il settore dell’energia non sia un vincolo ma un fattore di sviluppo.