Introduzione al trattamento delle immagini digitali

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Introduzione al trattamento delle immagini digitali
Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche
Tecnologia e Processi Operativi
Introduzione al trattamento
delle immagini digitali
a cura di Marco Franceschini
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
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Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche
Le immagini digitali
Nozioni generali
Introduzione
Considerata l’importanza assunta dall’immagine nella comunicazione, il presente lavoro si propone di fornire i concetti di base relativi
al trattamento delle immagini digitali. Oltre a descrivere le principali
caratteristiche delle immagini destinate alla stampa, si intendono
illustrare alcune nozioni chiave per chi si appresta ad operare nella
multimedialità (ci si riferisce all’ottimizzazione delle immagini destinate al Web, a presentazioni video, cd interattivi,...). Parte del merito
della diffusione del World Wide Web è attribuibile alla presenza di
effetti fotografici; immaginiamoci un sito Web di solo testo...
Classificazione degli originali
Per ottenere una riproduzione digitale di qualità, è importante disporre di un originale che presenti determinate caratteristiche. Tra di
esse essenziali sono il contrasto, il bilanciamento corretto dei colori
e le dimensioni dell’originale rispetto al formato di stampa. Le tecnologie attuali offrono software che permettono di apportare miglioramenti alle immagini, anche di notevole entità; in ogni modo,
un buon originale evita problemi di rielaborazione e conseguenti
perdite di tempo.
Adottando vari criteri, gli originali si classificano in:
• originali trasparenti, ossia diapositive o dianegativi, che trasmettono la luce;
• originali opachi, come le fotografie, i disegni o le stampe, che
riflettono la luce.
• originali “al tratto”, che presentano solo zone bianche o nere;
• originali “a tono continuo”, nei quali appaiono gradazioni di
grigio o di colori
• originali “retinati”, in bianco e nero o a colori, che presentano il
tipico retino utilizzato nella stampa tradizionale.
Gli originali trasparenti sono in grado di dare i risultati migliori; essi
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consentono, utilizzando uno scanner ad alte prestazioni, di acquisire i dettagli dell’immagine molto in profondità, avendo la pellicola
una superficie assai meno ruvida di quella della carta, fotografica e
non. Inoltre, si tenga presente che una diapositiva, rispetto ad una
fotografia, non ha subìto la perdita di qualità nella fase di stampa
dal negativo.
Per quanto riguarda la cromia, è importante sottolineare come ci
siano differenze, anche marcate, tra il comportamento di una pellicola di una determinata marca e quello di una marca diversa. Le pellicole Kodak, ad esempio, presentano generalmente colori più caldi
rispetto alle pellicole Fuji o Agfa (anch’esse comunque differenti tra
di loro). La conoscenza di queste diversità consente di impostare il
software di acquisizione in modo tale da controbilanciare le dominanti non volute sin dalla fase di scansione.
Gli originali per riflessione a tono continuo, invece, non presentano
nessuna difficoltà specifica, mentre quelli stampati con il sistema
tradizionale (offset) devono essere deretinati attraverso una sfocatura, al fine di evitare l’effetto moiré. L’impostazione della sfocatura
deve essere precisa, limitata il più possibile, ma allo stesso tempo
sufficiente ad eliminare il retino. Scarsi risultati si ottengono tentando di deretinare l’immagine in una fase successiva, facendo uso di
filtri che inevitabilmente causano perdite di dettaglio.
Più semplici le operazioni sugli originali al tratto, siano essi opachi o
trasparenti, per i quali basta stabilire a priori la risoluzione desiderata
e il livello di soglia (considerato come il punto oltre il quale i pixel
da bianchi diventano neri). Gli originali al tratto sono costituiti per
lo più da scritte, loghi e disegni che comunque non contengono
gradazioni di grigio.
Le immagini digitali
Le Le immagini digitali si possono classificare principalmente in due
categorie: immagini vettoriali e immagini bitmap. Comprendere la differenza tra questi due tipi di immagini risulta particolarmente importante, per creare immagini digitali e modificarle nel migliore
dei modi.
Immagini vettoriali
I software di grafica vettoriale, quali Adobe Illustrator, Macromedia
Freehand, Corel Draw, consentono di creare immagini utilizzando,
per la loro rappresentazione, istruzioni matematiche di tipo
vettoriale.
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I principali vantaggi rispetto al sistema bitmap, sono un notevole
risparmio di memoria e una maggiore velocità in lettura e scrittura; inoltre, le immagini vettoriali sono indipendenti dalla risoluzione, ovvero, scalate a qualsiasi dimensione e stampate su una
qualsiasi periferica di output a diversa risoluzione, esse non perdono precisione e chiarezza. Ne risulta che le immagini vettoriali
sono la scelta migliore per la realizzazione di illustrazioni tecniche
o grafiche e per immagini come marchi e logo, che richiedono
linee nitide rappresentabili in scale di diverse dimensioni.
Per fare un esempio, nella rappresentazione raster di un cerchio
colorato, si deve tener conto di ogni singolo pixel dell’immagine,
mentre in quella vettoriale è sufficiente memorizzare poche informazioni, come le coordinate del centro, il raggio ed il colore. Supponendo di dover realizzare un ingrandimento, nel primo caso si
dovranno ricalcolare le coordinate e il colore di ogni pixel, mentre
nel secondo caso sarà sufficiente modificare il solo parametro che
indica il raggio.
È evidente, inoltre, che realizzare un’immagine ricca di particolari e
sfumature, come la fotografia di un paesaggio, con il sistema vettoriale, comporterebbe una notevole perdita di precisione cromatica e
pesantezza nella rappresentazione, dato il gran numero di elementi
geometrici che comporrebbero la figura.
Tuttavia, poiché i monitor dei computer rappresentano le immagini
visualizzandole su una griglia, anche quelle vettoriali vengono rappresentate a video come pixel.
Immagini bitmap
Le immagini a mappa di bit utilizzano una griglia di piccoli quadrati, detti pixel, per la rappresentazione (pixel è l’acronimo di Picture
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Illustazione vettoriale.
Ingrandendo un particolare non vi è
perdita di qualità
Element e rappresenta la più piccola area che può essere analizzata
da un calcolatore); a ciascun pixel vengono assegnati una posizione
specifica e un valore cromatico. Sono chiamate anche immagini raster in quanto il computer analizza la griglia di pixel, dall’alto verso il
basso, in un processo chiamato “scansione raster”.
La qualità delle immagini bitmap dipende dalla loro risoluzione, ossia dal numero di pixel contenuti in esse; pertanto, se ingrandiamo
eccessivamente sullo schermo o se stampiamo con una scarsa risoluzione un’immagine bitmap, si incorre inevitabilmente in una per-
Immagine bitmap e particolare ingrandito
che mostra “l’effetto dentellato” dovuto,
dovuto ad un’insufficiente risoluzione.
dita di dettaglio con effetto “dentellato”. Le immagini bitmap sono
quelle che meglio riproducono sfumature sottili di ombre e colori
(immagini a tono continuo), ad esempio su fotografie o dipinti.
Per il trattamento di tali immagini (inteso come insieme di operazioni atte a migliorare la riproduzione, tra le quali la correzione cromatica, il fotomontaggio, l’ottimizzazione per il Web,…), dobbiamo
utilizzare un software di fotoritocco. La concorrenza sul mercato
dei prodotti informatici è forte, ed offre una vasta gamma di software: Adobe Photoshop, il “grande progenitore”, è molto diffuso
soprattutto nelle aziende di grafica tradizionale, in quanto molto
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affidabile e in grado di supportare funzioni altamente professionali. Adobe ImageReady e Macromedia Fireworks, permettono
di ottimizzare rapidamente le immagini destinate ad Internet ed
implementano funzioni tipiche per il Web, come effetti di rollover
(ovvero ciò che succede quando il mouse passa sopra un determinato oggetto) o effetti di bevel (in gergo la smussatura) predefiniti
per creare pulsanti.
Si stanno diffondendo molti altri software (come Jasc Paint Shop
Pro, Corel PhotoPaint, Microsoft PhotoDraw, Micrograf Picture Publisher,…) che vantano un prezzo più accessibile, semplicità d’utilizzo grazie anche alla presenza di creazioni guidate (wizard), innumerevoli funzioni per il fotoritocco, ma non sempre sono affidabili per
un utilizzo professionale.
Dimensione e risoluzione delle immagini bitmap
La dimensione di un’immagine indica il numero di pixel lungo la
larghezza e l’altezza della stessa (essa può essere misurata anche in
cm, pollici, ...). Se, invece, si considera la dimensione digitale del file,
essa è misurata in kilobyte (KB), megabyte (MB), gigabyte (GB), ed
è proporzionale al numero totale di pixel contenuti nell’immagine.
Strettamente collegata alla dimensione è la risoluzione, che indica il
numero di pixel visualizzato per unità di lunghezza in un’immagine;
solitamente essa è misurata in pixel per inch (ppi) o dot per inch
(dpi). (Si consideri, comunque, che nella teoria quando si parla di
pixel ci si riferisce ai “punti” di un monitor, mentre i “dot” indicano
i punti che definiscono un’immagine o la risoluzione di una periferica).
Un’immagine ad alta risoluzione contiene più pixel, che sono di
conseguenza più piccoli, rispetto ad un’immagine delle stesse
dimensioni di stampa con una risoluzione inferiore. Ad esempio,
un’immagine di 1 pollice per 1 pollice con una risoluzione di 72 dpi
contiene complessivamente 5184 pixel (72 pixel di larghezza x 72
pixel di altezza). La stessa immagine di 1 pollice per 1 pollice a 300
dpi contiene 90.000 pixel.
Poiché le immagini a risoluzione elevata usano un numero maggiore
di pixel per unità di superficie, in stampa esse possono riprodurre
particolari e transizioni di colore più dettagliati rispetto alle immagini
a risoluzione più bassa; di conseguenza creano file più voluminosi.
Risoluzione standard per la comunicazione multimediale
Se si deve creare un’immagine da visualizzare on-line, è sufficiente
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che la sua risoluzione corrisponda a quella tipica del monitor (solitamente dai 72 ai 90 ppi). Se si impiega una risoluzione troppo bassa
per visualizzare l’immagine, questa presenterà un effetto “dentellato”, la presenza cioè di pixel grandi e grossolani; l’uso di una
risoluzione troppo elevata, invece, aumenta la dimensione del file
e, di conseguenza, ne rallenta il trasferimento. Nel caso di una presentazione video, le dimensioni per un’immagine a tutto schermo
devono essere 640x480 pixel, al fine di rendere possibile la corretta
visualizzazione su tutte le periferiche di output.
Immagini bitmap con diverse risoluzioni
a confronto: 304 dpi, 150 dpi e 72 dpi.
Risoluzioni tipiche per la stampa
Se il lavoro è destinato al settore grafico tradizionale, occorre calcolare la risoluzione dell’immagine in base alla risoluzione di stampa.
La risoluzione di una macchina da stampa si misura in linee per
pollice (lpi), che indicano la retinatura o frequenza di retino; la risoluzione della scansione (misurata in dpi) è direttamente collegata
alla frequenza di retino.
Il calcolo della risoluzione corretta per la scansione si riduce spesso
al semplice raddoppio della frequenza di retino: ad esempio, se la
stampante utilizzata richiede 150 lpi, la scansione delle immagini
potrà avvenire a 300 dpi.
Per migliorare la qualità ed ottimizzare le lavorazioni, quando si
progetta un lavoro destinato alla stampa, è importante conoscere
il processo di stampa (offset, serigrafia, flessografia, rotocalco,…)
e il tipo di carta che saranno utilizzati. In genere i giornali vengono
stampati a 70/85 lpi; la maggior parte delle riviste vengono stam-
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pate in offset a 133/150 lpi; alcuni libri d’arte vengono stampati su
carta patinata a 175/200 lpi.
Se si sta effettuando una scansione di immagini al “tratto”, per
ottenere buoni risultati la risoluzione deve essere impostata a un
valore superiore rispetto a quando si lavora con il “tono continuo”;
in tali immagini, infatti, le gradazioni dei colori e dei grigi possono
nascondere i contorni e far sì che un’immagine sfumi nello sfondo.
Nelle immagini al tratto, invece, il forte contrasto tra il bianco e il
nero attira l’attenzione sui contorni; si suggerisce perciò di effettuare la scansione a una risoluzione pari a quella del dispositivo di
output (es: per la stampa attraverso una fotounità si richiedono
circa 1200 dpi).
La profondità di bit (o profondità del colore)
Come già detto, le immagini a mappa di bit vengono descritte pixel
per pixel; il colore di ogni pixel viene registrato nella memoria del
computer usando uno o più bit dello stesso. Il numero di bit usati
per memorizzare le informazioni per un solo pixel viene definito
“profondità di bit del file”. Aumentando il numero di bit usati,
cresce il numero di colori diversi che può avere un pixel.
Un bit di informazioni può descrivere uno solo tra due valori, 0 per
off e 1 per on. Quindi in un’immagine ad 1 bit, ciascun pixel è off o
on e non esistono livelli intermedi; con questa profondità si rappresentano le immagini “al tratto”. Aumentando la profondità a 2 bit,
il numero di valori validi per ciascun pixel raddoppia, per cui si è in
grado di ottenere fino a quattro livelli; si possono quindi aggiungere
due tonalità di grigio al nero e al bianco.
La maggior parte degli scanner DeskTop a colori usa una profondità
di 24 bit, ovvero 8 bit per ognuno dei tre canali Rosso, Verde e Blu.
In questo modo, ogni colore primario può essere una delle 256 (28)
combinazioni possibili, e ciò fornisce uno spazio cromatico RGB contenente circa 16,8 milioni di colori.
Tanto maggiore è la profondità dei bit, tanto più realistica risulterà
l’immagine; a 24 bit per pixel, i file digitali sono in grado di rappresentare le immagini in modo fotograficamente realistico. I file
dei colori separati in CMYK distinti usano 32 bit (8 bit per ciascun
canale Cyan, Magenta, Giallo e Nero).
Alcuni scanner e software per l’elaborazione dell’immagine, supportano colori a 48 e 64 bit, consentendo una straordinaria fedeltà
del colore, ma creano anche file estremamente pesanti con grandi
difficoltà nella loro gestione.
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La profondità del colore in funzione del
numero di bit
Opzioni di ricampionamento
È importante stabilire in fase di progettazione la dimensione, la
risoluzione e la profondità dei bit della nostra immagine. Si ipotizzi di digitalizzare un’immagine per pubblicarla nel Web: essa
risponderà a requisiti qualitativi nettamente inferiori rispetto a quelli
della stampa offset, e avrà l’esigenza di essere ridotta al minimo in
dimensione, al fine di velocizzarne, come già detto, il trasferimento
sulla rete. Ora, se la stessa immagine deve apparire su uno stampato commerciale, saranno necessarie molte più informazioni. Se non
si dispone dell’originale, si è costretti a ricampionare (o rimappare)
l’immagine digitale, aggiungendo i pixel mancanti attraverso il processo d’interpolazione. Durante questo calcolo, il software utilizzato
cerca di ridurre la differenza tra i pixel di partenza e quelli che aggiunge, dando comunque, come risultato, un’immagine sfocata che
necessita dell’applicazione di filtri correttivi.
I software di elaborazione delle
immagini bitmap per metono di
modificare la dimensione e la risoluzione
dell’immagine con diverse interpolazioni.
La retinatura
L’esigenza di tradurre grafismi a tono continuo di diversa opacità in
grafismi a tono discontinuo di uguale opacità, è emersa puntualmente in quasi tutti i processi di stampa finora utilizzati. Sin dalle
prime xilografie, per proseguire con le calcografie e le litografie,
l’uso di tratteggi variamente inclinati e di diverso spessore, di puntini generati con matite grasse o supporti con particolari superfici, è
servito per riprodurre immagini con diversi valori tonali.
L’invenzione della retinatura segna una tappa fondamentale nei
criteri di traduzione degli originali a tono continuo; questa tecnica
prevede lo spezzettamento dell’immagine in piccoli punti per mezzo
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di un processo fotografico o digitale. La luce che è indirizzata, per
riflessione o trasparenza, dall’originale opaco o trasparente verso il
materiale fotosensibile, deve prima passare attraverso una griglia,
tecnicamente chiamata retino. Il retino scompone la luce, trasformando sulla pellicola l’originale a tono continuo di diversa opacità
in un’immagine al tratto della medesima opacità. La riproduzione in
stampa offset di un’immagine a tono continuo si basa sulla retinatura dell’originale fotografico.
I diversi toni di grigio che l’occhio umano percepisce, sono in realtà
dovuti alla diversa dimensione dei punti di retino che costituiscono
l’immagine e che si possono notare ingrandendo la stessa; in realtà,
è sufficiente disporre di un lentino per riconoscere gli stessi punti
nell’immagine normale. Nel caso di un’immagine policroma, oltre
alla separazione nei colori necessari per la stampa (quadricromia),
occorre variare l’inclinazione dei retini al fine di creare la rosetta ed
evitare il moiré (vedi - Inclinazione del punto di retino).
Generazione elettronica del punto di retino
Sulla pellicola della fotounità il singolo pixel memorizzato viene
trasformato in una griglia che, in base alla lineatura del retino e alla
risoluzione della stampante, permette di ottenere un certo numero
di livelli di grigio. Ad esempio, con una fotounità a 2400 punti per
pollice e con una lineatura di retino di 150 lpi è possibile generare 256 livelli di grigio per punto di retino, sufficienti per ottenere
un’immagine simile a quella percepibile dal nostro occhio.
I punti possono poi essere disposti diversamente all’interno della cella di retino, determinando la geometria del punto: potremo creare
l’effetto ottico relativo al punto tondo, ellittico o quadrato, a seconda dell’utilizzo prefissato.
Quindi il tono continuo digitale non è altro che un effetto ottico,
dato dal susseguirsi, secondo una lineatura legata al supporto di
stampa finale, di mappe di punti disposti, come numero, posizione e
grandezza, relativamente al numero di tonalità di grigio impostato,
al tipo di punto scelto, alla risoluzione della stampante.
Inclinazione del punto di retino
Dall’esperienza del passato emerge che, per quanto riguarda la
stampa offset, la generazione della classica rosetta è il modo migliore per ottenere una quadricromia senza difetti in fase di stampa.
Il moiré o marezzatura può essere considerato come la ripetizione
di un certo disegno geometrico, percepibile anche ad occhio nudo,
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Il punto di retino in un’immagine in scala
di grigio.
Pixel e retino di stampa tradizionale a
confronto.
con sensazione di disturbo.
Per ottenere la rosetta è necessario orientare i retini con diverse
inclinazioni; la norma UNI 6240-68 propone le seguenti: Cyan 15°,
Magenta 75°, Giallo 0°, Nero 45°.
Retino tradizionale a modulazione
d’ampiezza e retino “stocastico” a
modulazione di frequenza.
Retino a modulazione di frequenza
La retinatura a modulazione di frequenza nasce da un primo studio
del Vignold Group (Germania), che ha fissato come riferimento la
riproduzione delle immagini con risoluzione fotografica, utilizzando
il sistema di stampa offset. Questo è possibile grazie ad un sistema
di riproduzione dei mezzitoni delle immagini che utilizza punti della
stessa dimensione o anche di dimensione variabile, ma distribuiti
in maniera più o meno fitta, a seconda della variazione tonale da
riprodurre.
Osservando un’immagine stampata con questo sistema, si ha l’impressione di vedere una fotografia a tono continuo e, con una lente
d’ingrandimento, sembra di scorgere la grana fotografica. È detta
anche “retinatura stocastica”; essa offre il grande vantaggio di eliminare il moiré permettendo più delle quattro inclinazioni di retino
della retinatura tradizionale (a modulazione d’ampiezza); per questo
motivo si è resa indispensabile per la stampa che utilizza la separazione in esacromia.
Digitalizzazione delle immagini
La trasformazione dell’originale fotografico in un file digitale è avvenuto per parecchi anni quasi esclusivamente attraverso l’uso dello
scanner, dispositivo hardware in grado di convertire un segnale
analogico in un segnale elettronico-digitale. È opportuno analizzare
brevemente le principali tipologie di scanner, valutando la loro differente applicazione, per poi introdurre la tecnologia che oggi è in
forte diffusione, l’uso cioè della fotocamera digitale, che permette
di ottenere un flusso di lavoro totalmente digitale.
Nel caso di originali con qualità scadente
(come le stampe retinate), gli scanner
di fascia bassa possono dare dei
risultati poco accettabili: per migliorare
la riproduzione, è possibile eseguire
la digitalizzazione ad una risoluzione
superiore, e poi ricampionare verso
il basso applicando un filtro che ne
aumenti il dettaglio.
Scanner piani
Sono i dispositivi più comuni per l’acquisizione delle immagini per il
DTP (DeskTop Publishing) e la prestampa professionale. Sono basati
sulla tecnologia CCD (Charge Coupled Device) ed in genere possono funzionare utilizzando programmi standard per la riproduzione
delle immagini. Essi consentono, con un minimo addestramento, di
ottenere dei buoni risultati, in quanto il bilanciamento dei colori e
l’intervallo della densità, possono essere regolati automaticamen-
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te. È importante sottolineare che la mano, o meglio l’occhio di un
esperto può portare notevoli miglioramenti alla scansione.
Esiste una vasta gamma di scanner, da quelli economici di piccolo
formato, a quelli professionali ad alta qualità, che danno ottimi risultati sia con originali opachi che trasparenti; gli scanner piani permettono l’acquisizione di immagini su supporto rigido di qualsiasi
spessore, come libri o layout su cartoncino.
Scanner per originali trasparenti
Questi dispositivi, basati sempre su CCD, sono dedicati alla scansione ad alta risoluzione delle pellicole; vengono comunemente usati
da service, fotolito ed editori, ma stanno avendo un buon impiego
anche nell’uso non professionale. In genere, è compresa una serie
di portapellicole standard per i casi in cui il formato della pellicola
non è limitato a 35 mm. Alcuni modelli supportano il caricamento
automatico e la scansione batch o in serie di diapositive intelaiate.
È possibile automatizzare anche la messa a fuoco, il controllo del
colore e la calibrazione della densità dell’immagine.
Scanner a tamburo
I fotomoltiplicatori (PMT) usati negli scanner a tamburo per leggere
i valori RGB del colore sono in grado di produrre risultati di grande
qualità. I primi scanner a tamburo erano dispositivi complessi, che
per raggiungere il pieno potenziale avevano bisogno di operatori
esperti; sono tuttora i dispositivi per l’acquisizione delle immagini
più costosi presenti sul mercato, anche se i prezzi sono profondamente diminuiti con l’avvento del DTP. Gli originali vengono montati
su un cilindro acrilico trasparente, pertanto devono essere flessibili e
causano un certo impiego di tempo. Vengono utilizzati per riproduzioni di alta qualità da aziende specializzate.
Utilizzo di immagini Photo CD
Il processo Photo CD di Eastman Kodak, trasforma un rullino di pellicola in un CD-ROM contenente immagini digitalizzate. Ogni CD memorizzato nel formato Master standard Kodak può contenere fino a
100 immagini da 35 mm, in cinque dimensioni diverse (da128x192
pixel a 2048x3072 pixel). La qualità delle immagini Photo CD può
risultare molto diversa a seconda del centro servizi che le produce.
Archivi di immagini
Se non si hanno esigenze specifiche e non si ha la necessità di acqui-
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sire o fotografare direttamente immagini, sono disponibili numerosi
archivi di immagini digitali su CD-ROM. Molte collezioni permettono un uso illimitato, alcune contengono immagini che sono state
acquisite con scanner a tamburo di alta qualità con colori a 24 bit.
Prima di acquistare foto d’archivio, è bene controllare che dimensione e risoluzione delle immagini corrispondano alle nostre esigenze.
Inoltre, conviene verificare se sono state compresse e, in questo caso,
se è stato utilizzato un metodo di compressione distruttiva oppure
no (vedi p. 13 - La compressione); una compressione senza perdita di
dati non pregiudica in nessun modo la qualità dell’immagine.
Molti produttori di foto d’archivio digitali offrono un’anteprima delle
immagini nei propri siti Web, come ad esempio: www.imageclub.com
www.photodisc.com
www.digitalstock.com
oppure è possibile prelevare immagini direttamente tramite modem: il costo addebitato dipende dal tempo di collegamento e dal
fornitore delle immagini.
Macchine fotografiche digitali
Alcune fotocamere digitali CCD vengono progettate esclusivamente
per registrare dati digitali e non hanno la possibilità di caricare pellicole tradizionali; altre vengono adattate da macchine fotografiche
standard aggiungendo un dorso digitale. Queste ultime tendono
a leggere immagini con risoluzione più alta e trasferiscono i dati
su dischi rigidi veloci via cavo, anziché ricorrere a registrazione su
dischetti estraibili o flash-card.
Un’applicazione adatta è il giornalismo, dove le immagini digitali
vengono immediatamente ritrasmesse via modem o satellite per la
pubblicazione sui giornali, evitando due fasi produttive, sviluppostampa del rullino e successiva scansione.
Il forte sviluppo tecnologico che in questi ultimi anni ha interessato il
settore della fografia digitale ha portato a notevoli miglioramenti qualitativi con costi sempre più contenuti, permettendo a molti fotografi
professionisti e non, di utilizzare un flusso di lavoro interamente digitale (realizzazione di foto aziendali, still-life, servizi di matrimonio,...)
L’avvento del “Digital Imaging”
Il termine imaging è stato “inventato” qualche anno fa negli Stati
Uniti, per definire al meglio l’evoluzione dei processi di produzione
e riproduzione dell’immagine.
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Oggi in molti parlano di “imaging” pensando che, con questo
termine, si identifichi inequivocabilmente un processo in qualche
modo legato alla tecnologia digitale; nella realtà, l’imaging è svincolato dalla tecnologia specifica, ed identifica l’integrazione tra tutti
gli elementi, prodotti, tecnologie e servizi che portano alla realizzazione di una comunicazione visiva. Il termine “imaging”, in definitiva, nasce per sopperire ai limiti che avevano ed hanno i termini
settoriali legati all’immagine: “fotografia”, “informatica”, “grafica”,
“sviluppo”, “stampa”, ...
La sezione della grande sfera dell’imaging che utilizza tecnologie
digitali viene definita “digital imaging” ed è anche quell’area che
sta subendo la maggiore evoluzione. Ormai ogni settore della produzione dell’immagine offre interpretazioni digitali: la fotografia, la
grafica, il cinema, il fotolaboratorio, la stampa ad inchiostro, anche
se non sempre il processo è tutto digitale.
Perchè il Digital Imaging è così importante?
La comunicazione visiva, di cui la fotografia fa ovviamente parte,
diventa ogni giorno più digitale. Pur non sostituendosi completamente alle altre forme di comunicazione più “fisiche”, il digitale
viene sempre più preferito perché offre l’eccezionale vantaggio di
un costo molto basso di distribuzione, una flessibilità elevatissima
nell’aggiornamento, un azzeramento delle distanze, la possibilità
dell’ottimizzazione (trasmettere all’utente solo le informazioni che
desidera ricevere), il quasi annullamento dell’inerzia tra quando l’informazione (o la comunicazione in senso più allargato) viene creata
e quando viene fruita.
L’informazione, nella sua globalità, è uno dei prodotti più facilmente
digitalizzabili: una fotografia, un testo dattiloscritto, un video, un
disegno possono anche nascere “fuori” da un computer, ma con
poca “fatica” è possibile trasformali in dati digitali; al tempo stesso
- e questo è il fattore ancora più importante - sempre più sono alla
portata di tutti strumenti per la produzione diretta in digitale: tutti
ormai producono testi con un computer, e quindi questi dati sono
già in formato “digitale”; fotocamere e videocamere digitali sono
sempre più alla portata delle tasche di tutti ed anche per il disegno
è possibile usare con profitto opportuni software che generano illustrazioni paragonabili a quelle che potremmo realizzare su una tela,
direttamente all’interno di un computer.
A fronte di questo scenario, fusione della facilità della digitalizzazione delle informazioni e dell’immagine e la comparsa di strumenti
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per la creazione diretta di immagini in digitale, si può dire che il
processo della digitalizzazione sia riscontrabile molto più nel campo della comunicazione visiva che non in altri ambiti, e che quindi
i mercati che si alimentano di tale settore (l’editoria, la pubblicità,
la televisione, il cinema, i giochi) hanno fatto negli ultimi due anni
dei passi molto più consistenti verso l’uso di comunicazione digitale,
preferendola agli strumenti più tradizionali. Tutti coloro che operano, in qualità di fotografi o di specialisti dell’immagine, debbono
rispondere a queste esigenze del mercato fornendo alla clientela le
strade più dirette verso il digitale, perché sempre più la competizione tra i media sarà relativa alla velocità nel fornire le informazioni,
all’ottimizzazione dei costi, alla creazione di automatismi (data base
dinamici, motori di ricerca, personalizzazione dell’informazione) che
non possono essere rallentati da flussi di informazioni che giungono
in formati non digitali.
Digital Imaging in molte attività professionali
Molte persone che lavorano, anche con successo, nel mondo della
fotografia, spesso reputano che il digitale possa non essere determinante nell’area di propria appartenenza. Tutti, o quasi, sono ormai
concordi sul fatto che l’immagine digitale sia molto utile laddove i
minuti “pesano” di più (fotogiornalismo, fotografia sportiva, elevata
produzione di immagini per cataloghi), ma che l’efficacia del digitale
sia molto più ridotta e che quindi non sia conveniente un maggiore
coinvolgimento o investimento.
In queste brevi note, viene segnalato quanto invece il digitale sia
ormai entrato nel lavoro quotidiano di qualsiasi attività collegata
alla fotografia. Non si tratta di un tentativo goffo di dichiarare “indispensabile” la tecnologia digitale in tutti i settori, ma la presa di
coscienza di un’evoluzione che non è più circoscritta ad alcune aree
di sperimentazione, ma che ormai è diluita ovunque.
1. Fotografia di architettura: l’uso di tecnologie digitali
consente l’integrazione diretta con software specifici per la correzione di prospettive (talvolta non correggibili nemmeno con i movimenti di macchina), per la misurazione di aree, di distanze, di perimetri,
per la fusione di elementi fotografici a disegni tecnici, per inviare
immediatamente le immagini via Internet o altre reti telematiche
per ricevere in tempo reale approvazioni, commenti, valutazioni. Nel
settore dell’arredamento, sempre più potenti sono le integrazioni tra
la fotografia digitale ed i programmi di rimappatura 3D che consentono di mostrare versioni non ancora prodotte di mobili, di divani, di
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poltrone, fondendo insieme le “forme” fotografate e il materiale di
copertura (tessuto od altro).
2. Fotografia pubblicitaria: lavorare in pubblicità significa fornire immagini sempre più accattivanti dei prodotti che sono
oggetto della pubblicità. Per ottenere questo risultato, il digitale è
sempre più usato, per correggere, integrare, impreziosire, affascinare. Questa è una realtà da diversi anni, ma quella che oggi si vive,
sempre più fortemente, è una riduzione dei tempi tra l’ideazione e
la commercializzazione del prodotto, e gli orizzonti del commercio
elettronico renderanno sempre più breve questo tempo.
Inoltre, l’utilizzo di media sempre più digitali richiederà anche nella
pubblicità un numero sempre crescente di immagini digitali.
3. Riproduzioni per musei, istituti, enti: tutte queste
strutture stanno iniziando a richiedere riproduzionidigitali per poter
creare archivi che possano al tempo stesso durare nel tempo e consentire unaconsultazione anche via Internet, o anche per creare prodotti multimediali per allargare la visibilità deibeni che conservano.
4. Fotografia scientifica: le applicazioni di telemedicina
e di telepatologia sempre più fanno uso di strumentie soluzioni
digitali, che stanno fornendo risultati spesso entusiasmanti dal
punto di vista dellacollaborazione tra strutture dislocate geograficamente in luoghi distanti, della ricerca, del rendere disponibili
esperti e strutture specializzate anche laddove non esistano “fisicamente”.
5. Fotografia per privati: la cattura istantanea dell’immagine è un bene che viene percepito immediatamente da chiunque, e
che diventa un punto di forza anche nei confronti del pubblico privato. Dalla fototessera, al ritratto, alla fotografia di matrimonio: tutti
i settori sopra citati possono trarre il vantaggio dell’immediatezza,
della possibilità di correzione, dei “giochi creativi” che si possono
realizzare grazie al digitale. La fotografia, visibile appena scattata,
avvicina e rende complice il soggetto della fotografia con colui che
l’ha scattata, rendendo coinvolgente e diretta questa esperienza. La
disponibilità di attrezzature in grado di realizzare fotografie digitali
di elevatissima qualità in digitale consentono già oggi di fruire e di
far fruire tutti questi vantaggi senza limiti.
6. Fotografia documentale: tutte le situazioni che prevedono l’uso di un’immagine per documentare un evento, per comprovare un fatto, per mostrare a distanza un determinato effetto,
traggono vantaggio dal digitale. Pratiche assicurative (verifiche di
danni, preventivi, perizie), riprese per location, casting, già oggi uti-
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
17
lizzano la ripresa digitale con profitto, e in prospettiva tali utilizzi si
allargheranno ulteriormente.
7. Fotografia di cronaca: questa è l’area che maggiormente ha tratto vantaggio del digitale. Riprese di eventi di interesse giornalistico, documentazione sportiva, sfilate di moda, reportage da
luoghi distanti dai grandi centri. Ormai è consueta, in tutte queste
aree, la ripresa diretta in digitale e la trasmissione via reti
telematiche (connessione a cellulari, modem, satellite, onde radio).
8. varie ed eventuali: è praticamente impossibile pensare
ad un’applicazione fotografica che non tragga vantaggi considerevoli dal digitale. Ciò non significa che tutte le attività professionali
in breve faranno uso esclusivo di ripresa digitale, ma bensì che non
vi siano più settorialità nel suo uso; si tratta solo di una scelta, di
una valutazione dei vantaggi e dei limiti, di opportunità. Ma che
l’interesse e l’approfondimento verso la fotografia digitale dovrà
coinvolgere tutti, è dato anch’esso per scontato.
18
Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche
Le immagini digitali
Formati e compressione dei dati
Introduzione
Nell’attuale panorama informatico, a cui il DeskTop Publishing è
inscindibilmente legato, non esiste uno standard universale per il
salvataggio di file grafici. Rispetto a qualche anno fa la situazione
è notevolmente migliorata; infatti, la maggior parte dei software
grafici, usavano dei formati proprietari, costringendo l’utente a laboriose e costose conversioni di immagini. Negli ultimi anni sono
stati fatti numerosi tentativi di standardizzazione dei formati grafici:
l’ANSI, per esempio, nel 1993 definì il NAPLPS (North American Presentation Layer Protocol Syntax), che codificava le immagini attraverso semplici forme geometriche. Era uno standard sufficiente solo
per illustrazioni e non supportava il colore; ebbe pertanto scarso
successo.
Anche il fattore economico gioca un ruolo determinante: dietro ai
formati più diffusi e conosciuti come, ad esempio, GIF e TIFF, esistono degli interessi che, di fatto, impediscono il prevalere dell’uno
sull’altro. L’unica soluzione diventa, quindi, la conoscenza delle caratteristiche principali di tutti i formati più diffusi, tenendo presente
anche gli eventuali algoritmi di compressione. In questo modo si è in
grado di scegliere per ogni situazione il formato ottimale; nel caso si
collabori con service esterni, prima di iniziare il lavoro è opportuno
verificare le esigenze specifiche e i formati ottimali richiesti.
I formati grafici: concetti informatici di base
Codifica binaria e codifica ASCII
Dal punto di vista informatico, un file è definito come un insieme
omogeneo e ordinato di informazioni, codificate secondo un preciso schema. La codifica può avvenire in formato binario o in formato
ASCII. Nel primo caso ogni informazione viene codificata utilizzando
la notazione binaria (1 e 0) con una notevole ottimizzazione della
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
19
memoria. Nel secondo, invece, le informazioni sono codificate in
forma alfabetica secondo il codice standard ASCII, la cui tabella di
riferimento è presente su ogni computer. Il vantaggio della codifica
ASCII risiede nella possibilità di gestire e manipolare le informazioni
attraverso un normale editor di testo e dalla facilità di trasporto verso altri sistemi e/o piattaforme.
Prima di proseguire nella trattazione dei formati grafici, è bene ricordare che, in genere, tutte le immagini fotografiche digitalizzate,
sono di tipo bitmap e non vettoriale.
La struttura di un generico file grafico
La struttura di un file bitmap, di qualsiasi formato esso sia, è quasi
sempre la stessa. Una prima parte, denominata Header, contiene
l’identificatore del formato, che il più delle volte è un insieme di
caratteri che ne indicano il nome, seguito dalle caratteristiche principali dell’immagine (dimensione, profondità dei bit, ...), e dalle
informazioni che indicano la collocazione del file. Può succedere,
però, che a causa di cattive o incomplete implementazioni, alcuni
software incontrino difficoltà nel leggere determinati formati, pur
supportandoli. È il caso di molti programmi che girano in ambiente
Windows e che prima di procedere all’interpretazione dell’Header,
portano a termine un test sull’estensione del file (per estensione si
intendono le tre lettere del nome del file che seguono il punto), la
quale va modificata se non è corrispondente a quanto espresso dal
formato.
Il corpo del file, invece, è una sequenza ordinata di dati e determina
la dimensione vera e propria del file; risoluzione e numero di colori
sono i parametri fondamentali che, se sottovalutati, determinano lo
spiacevole inconveniente di dover manipolare, trasportare e gestire file di grossissime dimensioni, spesso senza averne un evidente
vantaggio dal punto di vista visivo. Si può affermare che, digitalizzando un’immagine in RGB a 24 bit di profondità, il risultato sarà
difficilmente distinguibile dall’originale. Per tutti quegli usi in cui non
è richiesta una qualità cromatica elevata, è consigliabile utilizzare
una “palette” di colori inferiore ed una risoluzione che garantisca
un compromesso accettabile tra impiego di memoria e qualità dell’immagine.
La compressione
Come si è accennato, un grosso problema per chi si occupa di grafica digitale, è l’elevato spazio richiesto per la memorizzazione delle
20
Istituto Pavoniano Artigianelli per le Arti Grafiche
immagini, rendendo in alcuni casi difficile la loro gestione. Se poi
si prendono in considerazione le animazioni o il video digitale, si
scopre che proprio le dimensioni eccessive dei file impediscono la
riproduzione fluida delle immagini.
In un certo senso la compressione digitale delle immagini è simile
alla compressione dei file di dati: entrambe consentono di risparmiare spazio e all’occorrenza, effettuando la decompressione, di
riutilizzare senza, o con minime perdite, le informazioni salvate.
Focalizzando la nostra attenzione sugli algoritmi di compressione
utilizzati per le immagini, è bene fare una precisazione.
Esistono degli algoritmi non distruttivi, “lossless”, grazie ai quali le
informazioni non vengono in alcun modo perse o alterate, e algoritmi distruttivi, “lossy”, i quali, operando a vantaggio di una maggiore
compressione, comportano piccole o grandi perdite ed alterazioni
delle informazioni originali.
Alla prima categoria appartengono i metodi più datati che basano
il loro funzionamento su un principio abbastanza semplice: è inutile
memorizzare molte volte la stessa informazione, è più conveniente
memorizzare la stessa e il numero di volte che questa si ripete. Questi metodi sono definiti sequenziali (i più noti ed usati sono LZW e
RLE), e garantiscono un rapporto di compressione non molto alto ed
inversamente proporzionale alla complessità dell’immagine.
Ai “lossy” appartengono quasi tutti quei metodi sviluppati da un
apposito gruppo, il Joint Photographics Experts Group, che si è
occupato di definire due standard di compressione, con perdita di
informazioni sia per le immagini fisse (JPEG), sia per le immagini in
movimento (MPEG).
Il grado di compressione raggiungibile può essere estremamente elevato ed utilizza come tecnica uno schema che può essere
sintetizzato in tre successivi passaggi. Nella prima fase vengono
eliminati i pixel il cui colore differisce di poco rispetto ad un valore medio predefinito. Successivamente, vengono eliminate le
informazioni meno importanti relative alla percezione visiva delle
immagini, come, ad esempio, zone simili che differiscono solo per
il contrasto e la luminosità. Infine, si ricorre ancora ai metodi sequenziali per un’ulteriore compressione dell’immagine.
Principali formati di compressione
RLE (Run Length Encoding)
Compressione senza perdita supportata da alcuni formati di file
Windows.
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
21
LZW (Lemple-Zif-Welch)
Compressione senza perdita supportata dai formati TIFF, PDF, GIF
e dal linguaggio PostScript; particolarmente utile per le immagini
con ampie aree di un solo colore.
JPEG (Joint Photographic Experts Group)
Compressione con perdita supportata dai formati JPEG, TIFF, PDF e
dal linguaggio PostScript; consigliata per le immagini a tono continuo come le fotografie.
CCITT
Famiglia di tecniche di compressione senza perdita per immagini in
bianco e nero (ad 1 bit), supportata dai formati PDF e PostScript.
(CCITT deriva dal francese e sta per “comitato consultivo internazionale per la telefonia e la telegrafia”.)
ZIP
Compressione senza perdita supportata dai formati PDF e TIFF.
Come per LZW, anche la compressione ZIP è particolarmente efficace per immagini contenenti ampie aree di un unico colore.
Principali formati della fotografia digitale
PSD (Photoshop)
È il formato di file predefinito per le immagini create in Adobe Photoshop, ed è l’unico che supporta tutte le funzionalità di Photoshop,
tra cui i metodi di immagine disponibili (Bitmap, Scala di grigio, Due
tonalità, Scala di colore, RGB, CMYK, Lab e Multicanale), le guide, i
canali alfa, i canali di tinte piatte e i livelli (compresi i livelli regolazione, i livelli testo e gli effetti di livello), le informazioni vettoriali,...
Si consiglia di mantenere sempre una copia del file in formato PSD
in modo da permettere facilmente eventuali modifiche; successivamente procedere al salvataggio utilizzando dei formati standard
(descritti in seguito) compatibili con i programmi di impaginazione
comuni. Alcune nuove versioni di prodotti Adobe, ad esempio InDesign e GoLive, permettono l’importazione direttamente dei file PSD
con una notevole ottimizzazione del flusso di lavoro.
TIFF (Tagged Image File Format)
Sviluppato da Aldus Corporation, il formato TIFF è nato per le applicazioni di DeskTop Publishing e per l’acquisizione tramite scanner. È
22
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un formato di immagine bitmap flessibile supportato da quasi tutte
le applicazioni di tipo paint, di ritocco immagine e di impaginazione.
È possibile codificare immagini con una risoluzione cromatica da un
minimo di 1 bit ad un massimo di 32 bit, con valori cromatici memorizzati secondo gli standard RGB e CMYK. Le immagini in Scala
di grigio e quelle al Tratto, ossia ad un solo bit, se salvate in formato TIFF possono essere modificate, per quanto riguarda il colore,
anche fuori dai programmi di fotoritocco; in Freehand, ad esempio,
selezionando un’immagine al Tratto si può attivare la trasparenza
(palette Ispezione Oggetto) e modificare il colore (palette Ispezione
Riempimento).
Compressione
Specifica un metodo per la compressione dei dati immagine compositi (LZW, ZIP e JPEG).
Ordine byte
Photoshop e le applicazioni più recenti sono in grado di leggere i
file usando un ordine di byte. Tuttavia, se non si sa in quale programma verrà poi aperto il file, selezionare la piattaforma a cui è
destinato.
Salva piramide immagine
Mantiene le informazioni sulla risoluzione multipla. Photoshop non
offre opzioni per l’apertura di file a risoluzione multipla e l’immagine
viene aperta alla risoluzione più alta usata nel file. L’apertura di file a
risoluzione multipla è invece supportata da Adobe InDesign e alcuni
server di immagini.
Salva trasparenza
Mantiene la trasparenza come canale alfa aggiuntivo quando il file
viene aperto in un’altra applicazione.
Compressione livelli
Specifica un metodo di compressione per i dati dei pixel nei livelli.
Molte applicazioni non possono leggere i dati dei livelli di un file
TIFF, come fa invece Photoshop. È consigliabile salvare il lavoro
come un solo file TIFF con dati di livello (sebbene il file risulti di
dimensioni maggiori), anziché salvare e gestire un file PSD a parte
che li contenga. Per unire i livelli, scegliere Elimina livelli e salvare
una copia.
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
23
Le opzioni del formato TIF
La Soluzione Professionale per il Fotoritocco,
il Disegno Vettoriale e l’Impaginazione
per la Stampa e per il Web.
Pubblicate direttamente sul Web disegni,
animazioni e collegamenti ipertestuali
grazie alla funzione di esportazione in
formato Macromedia Flash SWF oppure
importate i file in Flash per aggiungere
ancora più interattività e suoni. Disegnate
utilizzando griglie di prospettiva
tridimensionale, trasparenze vettoriali e
layout su più pagine.
Pubblicate direttamente sul Web disegni,
animazioni e collegamenti ipertestuali
grazie alla funzione di esportazione in
formato Macromedia Flash SWF oppure
importate i file in Flash per aggiungere
ancora più interattività e suoni. Disegnate
utilizzando griglie di prospettiva
tridimensionale, trasparenze vettoriali e
layout su più pagine.
File contenente informazioni bitmap
e vettoriali. Il formato EPS permette
di codificare entrambe le tipologie di
informazioni
EPS (Encapsulated PostScript)
Tra i formati vettoriali, l’unico che si configura a carattere di standardizzazione, è il formato EPS. Sviluppato da Adobe, unisce in un
unico file, sia le informazioni PostScript di descrizione della pagina,
sia una rappresentazione raster dell’immagine. Viene usato come
interscambio di dati tra applicativi raster e vettoriali e per garantire
un’ottima qualità di stampa su dispositivi PostScript. Tale conversione è obbligatoria se il lavoro comprende, ad esempio, immagini
raster, testo impaginato ed elementi grafici vettoriali.
Tra le opzioni del formato EPS, si può scegliere tra la codifica binaria, come metodo più rapido e ottimale in ambiente Mac OS,
oppure quella più generica ASCII; la codifica JPEG comprime il file
eliminando alcuni dati di immagine, riducendo quindi la qualità di
stampa; per ottenere i migliori risultati in stampa, utilizzare una
compressione con massima qualità, tenendo presente che in fase di
separazione in CMYK non tutti i RIP interpretano correttamente la
codifica JPEG. In un file EPS, inoltre, viene generato un “preview”
raster a bassa risoluzione, per un’immediata verifica del file in un
programma di impaginazione.
Anteprima
Crea un’immagine a bassa risoluzione da visualizzare nell’applicazione di destinazione. Scegliere TIFF per file EPS da usare su sistemi sia
Windows che Mac OS. Un’anteprima a 8 bit ha una qualità superiore ma genera un file di dimensione maggiore rispetto all’anteprima
a 1 bit.
Le opzioni del formato EPS
Codifica
Determina il modo in cui l’immagine viene trasmessa a una periferica di output PostScript:
- Scegliere ASCII preferibilmente se si stampa da un sistema Windows e nel caso la codifica binaria provochi errori.
- Binaria produce un file di dimensione ridotta e lascia intatti i dati
originali. Scegliete la codifica Binaria per stampare da Mac OS. Tuttavia, alcune applicazioni di impaginazione, di spool di stampa e per
la stampa in rete potrebbero non supportare i file binari in formato
Photoshop EPS.
- JPEG comprime il file eliminando alcuni dati immagine. I file con
codifica JPEG possono essere stampati solo su stampanti PostScript
Level 2 (o successivo) e potrebbero non venire stampati correttamente in selezione colore.
24
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Bianchi trasparenti
Visualizza le area bianche come trasparenti. Questa opzione è disponibile solo per immagini in metodo Bitmap.
Includi dati vettoriali
Mantiene nel file eventuali elementi di grafica vettoriale, quali forme
o testo. Tuttavia, i dati vettoriali dei file EPS e DCS sono disponibili
solo per altre applicazioni: se si riapre il file in Photoshop vengono
rasterizzati.
DCS (Desktop Color Separation)
Sviluppato da Quark, è una versione del formato standard EPS. La
versione DCS 1.0 supporta file CMYK senza canali alfa; la versione
DCS 2.0 supporta file multicanale e CMYK con un unico canale alfa
e più canali di tinte piatte. Entrambi supportano i tracciati di ritaglio.
L’uso di questo formato è strettamente legato al flusso di lavoro
presente nel settore della stampa tradizionale
BMP (Windows Bitmap)
Rappresenta uno standard per l’ambiente Windows. Nato per assicurarare l’interscambio dei file fotografici tra le applicazioni che
utilizzano tale ambiente operativo, è in grado di memorizzare le
immagini con una risoluzione cromatica fino a 24 bit. A volte, a
causa della sua non perfetta efficienza, possono verificarsi problemi di alterazione del file, che compromettono il successivo utilizzo
dell’immagine.
PICT (Solo Macintosh)
Uno dei formati comuni disponibili in ambiente Macintosh è il formato PICT. Supporta file RGB con un solo canale alfa e immagini in
scala di colore, in scala di grigio e bitmap senza canali alfa. Quando
si salva un’immagine RGB in formato PICT, è possibile scegliere una
risoluzione cromatica di 16 o 32 bit per pixel.
PDF (Portable Document Format)
Creato da Adobe Systems, è ormai diventato uno standard nella
comunicazione on-line in quanto è in grado di supportare sia informazioni vettoriali che bitmap, include funzionalità ipertestuali per la
navigazione, comprime i file e soprattutto è indipendente dall’applicazione che lo ha generato e dalla piattaforma sulla quale è stato
creato. L’ultima versione del formato PDF, la 1.4, ha numerose carat-
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
25
Immagine bitmap salvata il formato TIF,
GIF e JPEG.
teristiche che lo rendono particolarmente adatto per i moderni flussi
di lavoro di prestampa e stampa. Adobe Acrobat è un pacchetto di
software per la creazione, modifica, visualizzazione e stampa dei
file PDF. Altri software di terze parti, ad esempio Enfocus PitStop,
permettono modifiche “complesse” direttamente sul file PDF (come
la sovrastampa, il trapping, il colore,...).
Salva trasparenza
Mantiene la trasparenza quando il file viene aperto in un’altra applicazione. Questa opzione non è disponibile se il file contiene un
canale di tinte piatte.
Protezione PDF
Specifica le opzioni di protezione, quali password e accesso limitato,
per il contenuto dei file. Scegliete la crittografia RC4 a 40 o 128 bit
per un livello di protezione inferiore o maggiore. Per ulteriori informazioni sulla protezione PDF, consultate l’Aiuto di Acrobat.
Le opzioni del formato PDF
Includi dati vettoriali
Mantiene eventuali elementi di grafica vettoriale, quali forme o
testo, come oggetti indipendenti da risoluzione, per un output migliore. Se questa opzione è attivata, potete selezionare le seguenti
opzioni:
- Incorpora font, affinché tutti i font usati nel file vengano visualizzati o stampati anche su computer in cui non sono installati. Non
è possibile incorporare i font Bitmap, i font che non consentono
l’incorporamento in PDF, i font di sostituzione, il testo in grassetto
simulato e il testo alterato. L’incorporazione dei font aumenta le
dimensioni del file.
- Usa contorni per testo, per salvare il testo come tracciati. Selezionare questa opzione se l’incorporazione dei font genera un file troppo
grande, se si intende aprire il file in un’applicazione che non legge i
file PDF con font incorporati o in caso di problemi di visualizzazione
o stampa dei font. Il testo salvato come contorni non viene rilevato
nelle ricerche testuali né può essere selezionato in un visualizzatore
di PDF. Alla riapertura del file PDF in Photoshop il testo può comunque essere modificato.
GIF (Graphic Interchange Format)
Il formato GIF (si pronuncia “gif” ma anche “ghif”) è stato sviluppato nel 1987 dalla Compuserve, per risolvere i problemi di trasmis-
26
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sione delle immagini su reti telematiche. È in grado di memorizzare
immagini RGB con un massimo di 64.000 pixel e 256 colori prelevati
da una palette di 16,7 milioni; tali caratteristiche lo rendono inutilizzabile dove sono necessarie molte transizioni di colore; ottimi
risultati si ottengono invece salvando in GIF immagini al tratto, sia in
bianco e nero che a colori, come fumetti o logo. Il GIF permette la
compressione con un algoritmo di tipo LZW (Lempel-Ziv-Welch).
- GIF interlacciato: significa che l’immagine sarà visualizzata gradualmente mano a mano che viene scaricata da un browser web,
usando una serie di scansioni che mostrano versioni sempre più
dettagliate finché non sono stati scaricati tutti i dati.
- GIF animato: è una sequenza di diverse immagini fisse GIF, contenute in un unico file, che visualizzate in successione creano un
effetto animato.
- GIF trasparente: quando si desidera che alcuni pixel dell’immagine
non vengano visualizzati ma lascino posto allo sfondo, o all’oggetto
in secondo piano, è sufficiente assegnare ad un determinato colore
(diverso da ogni altro colore dell’immagine) la trasparenza.
Esistono due tipi di formato GIF con caratteristiche differenti:
GIF87a supporta l’interlacciamento e l’animazione.
GIF89a supporta l’interlacciamento, l’animazione e la trasparenza.
PNG (Portable Network Graphics)
La parola “ping”, musicale dizione dell’acronimo PNG, rappresenta un
nuovo standard grafico ideato come sintesi delle migliori peculiarità dei
formati JPEG e GIF. PNG è il formato nativo di Macromedia FireWorks,
supporta milioni di colori, è fortemente compresso, ma nello stesso
tempo è veloce nelle fasi di codifica e decodifica e non ammette alcun
degrado dell’immagine. Grazie alla massima profondità di 48 bit per
pixel che esso raggiunge, supporta anche i canali alfa, può cioè mantenere, oltre alle informazioni sul colore, anche quelle relative al grado di
trasparenza nei confronti delle immagini sottostanti. Tali caratteristiche
rendono questo formato particolarmente adatto alla comunicazione
attraverso Internet; si tenga presente che non essendo tutti i browser
Web in grado di visualizzare file PNG, rimane spesso preferibile utilizzare i formati di esportazione tradizionali come GIF e JPEG.
Le tavole di riduzione del colore nei formati GIF e PNG-8:
- Percettiva
Crea una tavola colore personalizzata dando priorità ai colori ai quali l’occhio umano è più sensibile.
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
27
Metodi disponibili per creare la tavola di
colore ad 8 bit necessaria nei file GIF e
PNG-8.
Selettiva
Crea una tavola colore simile a quella creata dall’opzione Percettiva,
ma favorisce aree di colore più estese e conserva i colori per Web.
Questa tavola colore produce in genere immagini con maggiore integrità di colore. Selettiva è l’opzione predefinita.
Adattata
Crea una tavola colore personalizzata tramite il campionamento dei
colori dello spettro più frequente nell’immagine. Ad esempio, un’immagine con i soli colori blu e verde produce una tavola colore formata
principalmente da toni di blu e verde. La maggior parte delle immagini contengono colori concentrati in particolari aree dello spettro.
Web
Utilizza la tavola standard di 216 colori comune alle tavole Windows
e Mac OS a 8 bit (256 colori). Questa opzione garantisce l’assenza
di dithering dovuta all’uso di un browser quando l’immagine è visualizzata a colori a 8 bit (questa tavola è detta anche sicura per il
Web). Se l’immagine presenta meno colori rispetto al numero totale
specificato nella palette Colori, i colori non usati vengono rimossi.
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Personale
Mantiene la tavola colore corrente come tavola fissa, senza aggiornarla con le modifiche apportate all’immagine.
Mac OS
Usa la tavola colore a 8 bit (256 colori) predefinita del sistema
Mac OS, basata su una campionatura uniforme dei colori RGB. Se
l’immagine contiene un numero di colori minore del numero totale
specificato nella palette, i colori non usati vengono rimossi.
Windows
Usa la tavola colore a 8 bit (256 colori) predefinita del sistema
Windows, basata su una campionatura uniforme dei colori RGB. Se
l’immagine contiene un numero di colori minore del numero totale
specificato nella palette, i colori non usati vengono rimossi.
JPEG (Joint Photographics Experts Group)
JPEG è un formato standard di compressione dei file grafici bitmap. Il
comitato che scrisse questo standard, il Joint Photographics Experts
Group, si era posto l’obbiettivo di ottenere una forte riduzione della
quantità di dati, e questo è possibile solo avvalendosi di tecniche di
compressione “lossy”, che degradano la qualità dell’immagine in
proporzione al valore di compressione assegnato.
È un formato comunemente usato per l’output sul Web e per le
presentazioni video, soprattutto quando le immagini contengono
molte transizioni di colore. L’algoritmo di compressione si basa su
dei principi che cercano di mantenere inalterate le componenti
della luminosità piuttosto che quelle del colore, essendo l’occhio
umano estremamente più sensibile alle prime. La decompressione
avviene automaticamente all’apertura del file, ma bisogna tenere
presente che ogni volta che si ricomprime lo stesso file, utilizzando
un software diverso o modificando i valori di compressione, la qualità dell’immagine sarà sempre peggiore. Oltre che come formato
indipendente, viene integrato anche in altri formati grafici, come per
esempio nell’EPS, nel TIFF (TIFF6), nel PICT (quest’ultimo generato da
QuickTime e non direttamente compatibile con alcune applicazioni).
Opzioni immagine
Per specificare la qualità dell’immagine, scegliere un’opzione dal
menu Qualità, trascinare il cursore a comparsa o immettete un valore da 0 a 12 nella casella Qualità.
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
29
Le opzioni del formato JPEG.
Opzioni formato
Selezionare Linea di base (Standard) per usare un formato supportato dalla maggior parte dei browser Web; Linea di base ottimizzata,
per ottenere colori ottimizzati e un file di dimensione inferiore; Progressione ottimizzata, per visualizzare immagini sempre più dettagliate (specificandone il numero) durante il caricamento dell’immagine. Le opzioni Linea di base ottimizzata e Progressione ottimizzata
non sono supportate da tutti i browser Web.
Molti software permettono di esportare
facilmente ed in modo “guidato” le
immagini destinate ad Internet.
Si possono impostare tutte le opzioni
dei vari formati disponibili, confrontare
il risultato tra diverse compressioni,
valutare i tempi di scaricamento,
suddividere in più sezioni l’immagine,
modificare la dimensione in pixel,...
RAW
È un formato di file flessibile per il trasferimento di immagini tra
varie applicazioni e piattaforme. Supporta le immagini CMYK, RGB
e in scala di grigio con canali alfa. L’immagine può essere salvata
in formato interlacciato o non interlacciato. Il formato Raw sta
diventando sempre più uno standard per la gestione dei dati in
input ed output per quanto riguarda la fotografia digitale.
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Le immagini digitali
Nozioni di colorimetria
Introduzione
Il trattamento del colore, soprattutto con l’avvento del DeskTop
Publishing, ha attirato le attenzioni di studiosi ed esperti del settore, portando nella realtà aziendale continue innovazioni tecnologiche. A cosa si deve tutto ciò?
Si immagini di scattare una bella fotografia in un giorno di sole;
una volta stampata dal fotografo, si noterà come l’aspetto del
colore sia, più o meno, mutato rispetto alla realtà. Ora, se si acquisisce tramite scanner la stessa fotografia per elaborarla, la si
visualizza su un monitor e poi la si stampa, il risultato sarà ancora
differente.
Entrano difatti in gioco una serie di variabili, che influenzano nell’intero trattamento la gestione delle immagini; una di tali variabili, ad esempio, è il fatto che il monitor visualizza un’immagine
attraverso il metodo RGB, mentre la stampante utilizza inchiostri
CMYK. Si consideri inoltre che due monitor, anche del medesimo
modello, difficilmente visualizzano i colori allo stesso modo.
Per evitare questo, tante aziende specializzate nel trattamento
del colore, utilizzano attrezzature specifiche (e costose…) che
permettono di “linearizzare e calibrare” il sistema; possono cioè
verificare, durante tutto il ciclo di lavoro, la qualità delle immagini, mantenendo sotto controllo il colore. Ma anche le aziende
meno specializzate hanno il desiderio di ottenere buoni risultati
nel trattamento delle immagini, dall’acquisizione alla stampa delle stesse.
Ecco perché, prima di dedicarsi al fotoritocco delle immagini a
colori, è opportuno affrontare, in maniera molto semplice, alcuni
argomenti inerenti il colore. In questo modo, diventerà più facile
comprendere le varie funzioni dei software che ci si appresta ad
utilizzare, con i relativi accorgimenti per ottimizzarne l’uso ed
ottenere dei buoni risultati.
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
31
Che cos’è il colore?
I fattori che determinano la percezione del colore sono essenzialmente tre: una fonte luminosa, la materia e un apparato
sensore.
Raggi X
Ultravioletti
380 nm
Lo spettro delle onde elettromagnetiche
Spettro
visibile
Infrarossi
Radar
Radio
770 nm
Con fonte luminosa si intende una qualsiasi sorgente che dà origine ad un fenomeno di visione. Nel 1700 Isaac Newton dimostrò, per
mezzo di un prisma, che la luce neutra del sole è composta da diverse luci colorate, i 7colori dell’iride. Oggi siamo a conoscenza che
la luce è un’onda elettromagnetica caratterizzata da una frequenza
e da una lunghezza d’onda.
L’occhio umano è sensibile solo ad un piccolo intervallo di lunghezze
d’onda, compreso approssimativamente tra i 380 ed i 770 nanometri (1 nanometro è un milionesimo di millimetro). Tra tutte le luci
dello spettro visibile distinguiamo tre luci primarie: rosso (R), verde
(G) e blu (B). Sovrapponendo le luci primarie si ottengono le luci
secondarie secondo le seguenti regole:
R + G = Y (Giallo), B + R = M (Magenta), B + G = C (Cyan).
La materia interagisce, attraverso i pigmenti in essa contenuti, con
l’energia radiante della fonte luminosa, modulandola in base alle
proprie caratteristiche. Quando la luce colpisce un qualsiasi materiale, l’interazione avviene tramite due fondamentali processi: trasmissione e riflessione.
Con apparato sensore si intende il sistema visivo umano, in grado
di reagire all’eccitazione prodotta dall’energia emessa e modulata
dalla materia. In termini generali, il processo della visione inizia nell’occhio, la cui struttura fisica influenza enormemente il processo
visivo: l’occhio opera sostanzialmente come una macchina fotografica, che convoglia la luce tramite un percorso ottico (cornea,
cristallino) su uno strato sensore (retina), sul quale viene formata
l’immagine. La retina è costituita da un sottile strato di cellule fotoricettrici, i coni e i bastoncelli, che traducono l’impulso luminoso
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convogliato, in un segnale elettrochimico che viene inviato, tramite
il nervo ottico, al cervello. In condizioni di buio relativo, entrano in
funzione i bastoncelli, che, essendo di un solo tipo, danno luogo
alla percezione monocromatica; i coni iniziano invece ad operare
“di giorno”, e sono di tre tipi, con sensibilità rispettivamente alle luci
primarie rosse, verdi e blu.
Modelli per la rappresentazione del colore
Il modello di colore CIE
Attualmente nel mondo della riproduzione a colori digitale si tende
sempre più a trasferire file di immagini tra sistemi e dispositivi diversi. Per assicurare l’integrità dei dati cromatici di un’immagine attraverso l’intero processo di riproduzione, l’industria ha cercato una
scala cromatica di riferimento “assoluta”, standard, in altre parole
una scala che sia indipendente dai limiti di un dato dispositivo.
Lo spazio cromatico CIE, studiato dalla “Commision Internationale
de l’Eclairage”, soddisfa questa esigenza. Si tratta di un modello matematico della risposta dell’occhio umano al colore ed è per definizione più grande dello spazio cromatico di un qualunque dispositivo
meccanico.
I dati cromatici di ogni file in entrata possono essere tradotti in valori
nello spazio cromatico CIE; al momento dell’emissione, essi possono
essere riconvertiti in valori adeguati allo spazio cromatico dell’unità
di output.
Il modello colore CIE originale, presentato nel 1931, definiva i colori
sulla base del loro contenuto fisico dei tre colori primari additivi: rosso, verde e blu, rispettivamente chiamati X, Y e Z. Tuttavia, poichè
il modello CIE XYZ non era sufficiente per una semplice valutazione
ed una sistematica descrizione delle differenze di colore, nel 1976 è
stata adottata come standard una variante chiamata modello colore
CIE L*a*b*. Le sue tre dimensioni, L*, a* e b* sono state calcolate
dai valori X, Y e Z.
Il modello di colore CIE L*a*b*
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
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In questo modello:
L*
definisce la luminosità o brillanza;
a*
indica il valore compreso tra magenta e verde:
- valori a positivi appariranno rossastri;
- valori a negativi verdastri.
b*
indica il valore compreso tra giallo e blu:
- valori b positivi appariranno giallastri;
- valori b negativi bluastri.
Tutti i colori della stessa luminosità, si trovano su un piano, e la
luminosità varia verticalmente. È un sistema adatto soprattutto per
la raffigurazione geometrica di differenze di colore; infatti, distanze
geometriche uguali in questo sistema significano anche distanze
sensoriali pressoché corrispondenti.
Una volta espressi in coordinate L*a*b*, i valori vengono facilmente
tradotti in un altro set di coordinate che ci consente di posizionare
ogni colore sulle tre scale di percezione intuitiva, definito modello
colore CIE L*C*H°.
Il modello di colore HSB
(L) Lightness (luminosità)
(C) Chroma (saturazione)
(H°) Hue (tinta)
Lightness (caratteristica di riflessione del colore) indica quanto un
colore si avvicini al bianco o al nero e varia lungo l’asse verticale
del diagramma dello spazio cromatico CIE. Se sul diagramma, in
corrispondenza di un qualsiasi valore di luminosità, prendiamo
una “fetta” orizzontale e la incliniamo verticalmente, otteniamo
la figura riportata in basso. Definendo le coordinate a* e b* (o
valori C e H) possiamo collocare ogni colore all’interno di quel
livello di luminosità.
Per Chroma (caratteristica quantitativa del colore) si intende la
saturazione del colore, quanto esso sia distante da un grigio neutro della stessa luminosità. I colori che si trovano sul perimetro
della ruota hanno una saturazione massima, mentre quelli che si
trovano al centro hanno una saturazione minima, sono cioè grigio
neutri.
La Hue (caratteristica qualitativa del colore) si riferisce alla posizione
dei colori sullo spettro visibile, ed è espressa nel modello CIE Lab
come un angolo, che parte da O gradi in corrispondenza del rosso
e che si muove in senso antiorario lungo la ruota del colore.
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I termini usati più di frequente per indicare questi tre fattori sono,
oltre ad LCH, anche HSV (hue, saturation, value), HSL (hue, saturation, lightness), HVC (Hue, value, chroma) e HSB (hue, saturation, brightness).
Il modello di colore RGB
Il sistema per creare i colori sul monitor di un computer si basa sulle
stesse proprietà fondamentali delle luci che si osservano in natura:
è possibile creare i colori partendo dal rosso, dal verde e dal blu.
Questa è la base del modello di colore RGB, definita sintesi additiva. Il monitor crea i colori emettendo tre fasci di luce con intensità
diverse, illuminando le sostanze fluorescenti rosse, verdi e blu, che
ricoprono l’interno dello schermo. Quando un rosso appare sul
monitor, quest’ultimo ha acceso il proprio raggio rosso, che eccita
i fosfori rossi, illuminando un pixel rosso dello schermo. Utilizzando il modello di colori RGB in un software per l’elaborazione delle
immagini è possibile cambiare i colori dei pixel combinando i vari
valori di rosso, verde e blu. Ognuno di essi ha una gamma di valori
compresi tra 0 e 255: se si combinano i 256 valori possibili di rosso,
i 256 valori di verde e i 256 valori di blu, il numero complessivo
delle combinazioni possibili è all’incirca 16,8 milioni.
Si potrebbe pensare che questi colori sono moltissimi, ma è bene
ricordare che sono solo una parte dei colori visibili in natura. Tuttavia, 16,8 milioni di colori sono sufficienti per riprodurre in modo
nitido immagini digitalizzate su un monitor collegato ad un computer dotato di scheda grafica a 24 bit.
Il modello di colore RGB
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
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Il modello di colore CMYK
Il modello di colore CMYK non si basa sull’aggiunta di luce, ma
sulla sua sottrazione. Ecco perché viene anche definito sintesi sottrattiva.
Una pagina stampata non emette luce, ma la assorbe e la riflette; quindi, quando si vogliono trasferire i colori del monitor sulla
carta, è necessario per forza utilizzare il modello CMYK, che è la
base della stampa in quadricromia ed è utilizzato principalmente
per stampare immagini a tono continuo (come le fotografie digitalizzate) su una macchina da stampa.
Nella riproduzione in quadricromia i colori vengono riprodotti
su una macchina da stampa utilizzando quattro diverse lastre di
stampa: C (cyan), M (magenta), Y (giallo, dall’inglese yellow) e K
(nero; il nero è indicato dalla lettera K, in inglese black, in quanto
la lettera B potrebbe creare confusione con il blu). Dal momento
che la pagina stampata non può emettere luce, una macchina da
stampa non può utilizzare i colori RGB per stampare e quindi impiega inchiostri che sono in grado di assorbire specifiche lunghezze d’onda della luce e di rifletterne altre.
Combinando gli inchiostri cyan, magenta e giallo, si può riprodurre gran parte dello spettro visibile dei colori. In teoria, combinando 100% di cyan, 100% di magenta e 100% di giallo, si
dovrebbe produrre il nero; tuttavia, a causa dell’impurità degli
inchiostri, si ottiene un marrone scuro e non il nero. Si aggiunge
un inchiostro nero per produrre le parti più scure e le parti grigie
dell’immagine.
Il modello di colore CMYK
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Lo spazio colore
Lo spazio colore rappresenta la gamma di colori che può essere
riprodotta da una data unità di riproduzione, quale uno scanner, un
monitor, una stampante desktop, una macchina da stampa, ...
Poiché tali dispositivi presentano componenti fisici ed elettronici
diversi, non ce ne sono due in grado di riprodurre i colori in modo
perfettamente identico. Ad esempio, le proprietà chimiche degli
inchiostri da stampa e quelle fisiche dei colori sottrattivi limitano lo
spazio colore riproducibile in quadricromia. I colori delle stampanti
desktop a sublimazione o a trasferimento termico possiedono caratteristiche diverse; gli inchiostri personalizzati come quelli forniti
da Toyo o Pantone (colori spot) altre ancora. Le nuove tecniche di
separazione in esacromia, che utilizzano sei colori (come il cyan, magenta, giallo, verde, arancio e nero) permettono di ottenere migliori
risultati riproducendo più colori.
Lo spazio colore di un monitor, che usa la sintesi additiva, anche
se molto ampio non è mai uguale all’intero spazio cromatico che
percepisce l’occhio umano. Considerando tali caratteristiche diventa
fondamentale stabilire fin dall’inizio del lavoro quale sarà l’output
finale, in modo da rendere ottimale il risultato.
Introduzione al trattamento delle immagini digitali
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Lo spazio colore varia in base
all’apparecchiatura utilizzata per
riprodurlo.
Sommario
Le immagini digitali: nozioni generali
Introduzione
Classificazione degli originali
Le immagini digitali
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3
4
Immagini vettoriali
Immagini bitmap
Dimensione e risoluzione delle immagini bitmap
Risoluzione standard per la comunicazione multimediale
Risoluzioni tipiche per la stampa La profondità di bit (o profondità del colore)
Opzioni di ricampionamento
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5
7
7
8
9
10
La retinatura
10
Generazione elettronica del punto di retino
Inclinazione del punto di retino
Retino a modulazione di frequenza
11
11
12
Digitalizzazione delle immagini
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Scanner piani
Scanner per originali trasparenti
Scanner a tamburo
Utilizzo di immagini Photo CD
Archivi di immagini
Macchine fotografiche digitali
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13
13
13
13
14
L’avvento del “Digital Imaging”
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Perchè il Digital Imaging è così importante?
Digital Imaging in molte attività professionali
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16
Formati e compressione dei dati
Introduzione
I formati grafici: concetti informatici di base
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19
Codifica binaria e codifica ASCII
La struttura di un generico file grafico
La compressione
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20
Principali formati di compressione
Principali formati della fotografia digitale
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22
Nozioni di colorimetria
Introduzione
Che cos’è il colore?
Modelli per la rappresentazione del colore
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Il modello di colore CIE
Il modello di colore RGB
Il modello di colore CMYK
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Lo spazio colore
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