B - LA NASCITA DELLA FILOSOFIA. DAL DISCORSO

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B - LA NASCITA DELLA FILOSOFIA. DAL DISCORSO
B - LA NASCITA DELLA FILOSOFIA. DAL DISCORSO MITOLOGICO AL
DISCORSO RAZIONALE
1 –Il racconto mitologico
AA. VV. “Il racconto mitico presso le culture orali e presso i greci”
1 - Dal discorso mitologico alla filosofia
2 –Linguaggio simbolico e miti oggi
E. Fromm “Miti e sogni. Il linguaggio simbolico”
U. Eco “Il mito di Superman”
1– IL RACCONTO MITOLOGICO
AA. VV. - IL RACCONTO MITICO
1 - Perché la tartaruga Jabuti ha un guscio piatto.
In una delle grandi paludi lungo il Rio delle Amazzoni, il falco Urubu fece una
scommessa con la tartaruga Jabuti su chi sarebbe arrivato più presto in cielo, nel
luogo in cui si celebrava una festa. La tartaruga si introdusse nel cesto della
colazione del falco, arrivò senza incidenti e raccontò al falco, quando questo tornò
da un giro compiuto tra i festeggiamenti, che essa era già là da un po’di tempo e
che in realtà aveva dovuto aspettarlo. Poiché la scommessa non era ancora risolta,
fu convenuto di nuovo che avrebbero gareggiato nel viaggio verso casa. Il falco
volò giù, ma la tartaruga si lasciò cadere e così vinse. Nel cadere essa si appiattì …
come si può vedere ancora oggi.
Racconto orale del Brasile riportato in H. Werner, "Psicologia comparata dello sviluppo
mentale"
2 - L'origine delle cinque stelle di Perseo
L'armadillo gigante incontrò l'eroe Keri. L'armadillo portava un cesto di frutta, ne
diede un po’a Keri e poi se ne andò. Ma Keri rincorse l'armadillo, lo trattenne e
l'animale gli diede altra frutta, dicendo però "Non te ne darò più". Allora Keri
scrollò l'armadillo, la frutta rotolò a terra e l'animale si rintanò dentro il terreno.
Keri si fece degli artigli di quarzo e lo tirò fuori. Questo avvenne per cinque volte;
e i cinque fori sono le cinque stelle.
Racconto orale del Brasile riportato in H. Werner, "Psicologia comparata dello sviluppo
mentale"
1
3 - Comportamenti magici
I Papuasi, per esempio, strofinano il dorso e le gambe contro le rocce per divenire
partecipi della loro forza e della loro durata. La "qualità-del-tutto" della roccia, la
sua durezza, mediante contatto, viene trasposta all'individuo, o meglio, questo
attributo globale entra anche nel corpo dell'uomo ed è condiviso sia da lui che dalla
roccia. Nello stesso modo i Papuasi traggono forza e resistenza dagli alberi robusti
che circondano con gambe e braccia.
Secondo la credenza malese, il parto viene facilitato se ogni cosa che nella casa di
solito è tenuta chiusa, porte, finestre, ecc., viene completamente spalancata.
Riportato in H. Werner, "Psicologia comparata dello sviluppo mentale"
4 - Il mito delle Muse
Sono le Muse1 che un giorno un bel canto insegnarono a Esiodo, mentre pasceva
gli agnelli sulle balze del divino monte. Ecco le parole che la prima volta a me
indirizzarono le Muse Olimpie, le dee figlie di Zeus: «Pastori selvaggi, miserabili
creature, ventri soltanto, noi sappiamo raccontare menzogne simili alla verità; ma
pure sappiamo, quando vogliamo, proclamare la verità». Così dissero le eloquenti
figlie del grande Zeus e mi ordinarono di cogliere come bastone uno splendido
ramo di alloro fiorente; allora mi ispirarono un canto divino, perché celebrassi il
futuro e il passato, e mi ordinarono di celebrare la stirpe dei beati sempre viventi e
di cantarle sempre all'inizio e alla fine di ogni canto... Cominciamo dunque dalle
Muse, che con i loro inni allietano il gran cuore di Zeus padre, sull'Olimpo,
narrando ciò che è, ciò che sarà e ciò che fu con canto unisono: dalle loro labbra
scende instancabile il fiume dei versi deliziosi. Sorride la dimora di Zeus tonante
quando si espande la voce dolcissima delle dee; risuona la cima nevosa
dell'Olimpo, risuonano gli alberghi degli immortali, mentre le Muse in un divino
concerto celebrano per prima la stirpe venerabile degli dei, cominciando dall'inizio,
da quelli che furono generati da Gea e da Urano l'immenso, e da quelli che ne
nacquero in seguito, gli dei apportatori di benefici; in secondo luogo celebrano
Zeus, il padre degli uomini e degli dei, mostrando come sia il primo e il più
importante degli dei per la sua potenza; poi la stirpe degli uomini e quella dei
violenti Giganti; e col loro canto rallegrano sull'Olimpo il cuore di Zeus, esse, le
Muse Olimpie figlie di Zeus.
Unita a Zeus loro padre, Memoria, signora dei colli d'Eleutera2, le ha generate,
perché fossero oblio dei mali e sollievo per gli affanni. Per nove notti a lei si unì
Zeus dalla mente profonda nel suo sacro giaciglio, lontano dagli immortali. Quando
si compì l'anno e tornarono le stagioni, dopo che fu portato a termine il numero dei
mesi e dei giorni, ella diede alla luce nove figlie dall'animo concorde, in cui alberga
amore per il canto e che hanno il cuore scevro di affanno, vicino alla più alta vetta
del nevoso Olimpo: là stanno i loro cori splendenti e la loro bella dimora; presso di
loro soggiornano il Desiderio e le Grazie.
Esiodo, Teogonia, 22-64
1
Le nove Muse, figlie di Zeus e della dea Memoria, protettrici del canto, della poesia e della danza e in
genere delle diverse forme artistiche (e persino della storia e dell'astronomia, come nel caso di Clio e
Urania).
2
Regione greca a Nord dell'Olimpo.
2
1 –DAL DISCORSO MITOLOGICO ALLA FILOSOFIA
1 Il discorso mitologico
2 L'evoluzione della cultura in Grecia tra IX e IV secolo a.C.
3 L’evoluzione storico-culturale della civiltà occidentale
1- Il discorso mitologico
La tradizione culturale occidentale riconosce le prime figure di filosofi in Talete,
Anassimandro e Anassimene che vissero tra la fine del VII sec. a. C. e l’inizio
del VI a.C. a Mileto, una città nata in seguito alla colonizzazione delle coste
dell’attuale Turchia da parte degli Ioni, una popolazione greca.
L’affermazione della filosofia non può essere intesa come la manifestazione di
qualcosa di connaturato all’uomo, una sua potenzialità intrinseca, né un evento
improvviso non connesso con altri aspetti della vita sociale. Infatti la filosofia,
come più in generale gli aspetti culturali dell’evoluzione umana, va vista come il
prodotto delle determinate condizioni storico sociali in cui essa si afferma.
In quest’ottica, quella storico-sociale, l’antropologia culturale, la scienza che
studia la formazione della cultura umana intesa come il modo di atteggiarsi nei
confronti della realtà, ha individuato nell’evoluzione dell’uomo alcuni momenti
significativi di questa formazione. Tali momenti costituiscono altrettante tappe
del processo di umanizzazione dell’uomo, ovvero del processo evolutivo che ha
prodotto l’uomo.
I momenti iniziali di tale processo sono indicati nella comparsa dell’attività
cosciente non immediatamente dettata dai bisogni con la costruzione degli
IL DISCORSO
MITOLOGICO
I primi _____________________
L’ottica _____________________
_____________________________
Il processo di _________________
TAPPE PROCESSO ____________________________:
1 –costruzione ___________________________  attività ___________________________
2 _______________________________________  astrazione e generalizzazione
3 sepoltura dei morti  _________________________________________________________
4 _______________________________________  ___________________
capacità di osservazione
geometrismo neolitico
_______________________________
5 ___________________________  ______________________________________________________________
strumenti e la formazione del linguaggio, che ha consentito l’acquisizione delle
prime capacità di astrazione e generalizzazione (vedi Lurija “L’attività cosciente
dell’uomo”).
Altri momenti significativi di questo processo sono costituiti ad esempio da, per
citarne solo alcuni più strettamente legati alle attività non pratiche, la sepoltura
dei morti come forma di attività dettata da credenze intese come un insieme più
o meno coerente di idee, la pittura primitiva come manifestazione
dell’acquisizione delle capacità di osservazione (naturalismo primitivo) e di
astrazione (geometrismo neolitico).
3
I racconti mitici, che si ritrovano presso tutte le civiltà antiche e gli odierni Miti e società _________________
popoli primitivi, costituiscono invece il primo tentativo di cercare delle
spiegazioni non direttamente collegate all’attività pratica e sono l’espressione
delle credenze condivise da un determinato gruppo umano. I racconti mitici sono Differenze discorso ____________
l’espressione di una società tribale al cui interno il mito è strettamente legato ai
e discorso ____________________
rituali religiosi in quanto i riti rappresentano, mimano i miti.
Le spiegazioni mitiche, il discorso mitico, appaiono caratterizzate rispetto al
discorso razionale, innanzitutto, dal fatto che, mentre quest’ultimo parte da un
problema esplicitamente formulato e assume la forma di una dimostrazione
argomentata, il discorso mitico assume la forma di un racconto, una sequenza di
eventi e azioni concrete che sono presentate come giustificanti l’esistenza di un
qualche aspetto della realtà.
DISCORSO MITICO
DISCORSO RAZIONALE
1 - _________________________________________________
1 - ________________________________________________
__________________________________________________
________________________________________________
2 - _________________________________________________
2 - ________________________________________________
__________________________________________________
________________________________________________
3 - _________________________________________________
3 - ________________________________________________
__________________________________________________
________________________________________________
4 - _________________________________________________
4 - ________________________________________________
__________________________________________________
________________________________________________
Inoltre, mentre il discorso razionale tende a ricondurre il particolare al generale,
considerando il particolare come una esemplificazione, mirando ad andare oltre i
singoli fatti concreti, il discorso mitico rimane legato alla descrizione del
particolare, del singolo avvenimento.
Infine, mentre nel discorso razionale i diversi piani del discorso, ad esempio
quello naturale e quello umano, tendono ad essere divisi e delimitati, il discorso
mitico mescola continuamente questi diversi piani.
2 - L'evoluzione della cultura in Grecia tra IX e VI secolo a.C.
2.1 L'elaborazione scritta dei racconti mitici e la società aristocratica
2.2 La vita urbana e la formazione di nuovi atteggiamenti razionali
L'EVOLUZIONE DELLA
CULTURA IN GRECIA TRA IX E
VI SECOLO a.C.
L'ELABORAZIONE SCRITTA DEI
A differenza dei miti dei popoli primitivi la mitologia greca, quale noi la
RACCONTI MITICI E LA SOCIETÀ
conosciamo, è stata elaborata a partire dal IX sec. a. C. attraverso dei testi scritti.
ARISTOCRATICA
Tali testi, che attingono ad un patrimonio di racconti orali elaborati nei secoli
precedenti, sono costituiti dall’Iliade, dall’Odissea e dalle opere di Esiodo che
costituiscono anche i primi testi scritti della tradizione in cui si riconosce la I miti _______________________
cultura occidentale.
Il passaggio dalla forma orale alla forma scritta finì per imporre al materiale
mitico una prima sistemazione che richiese, a chi la effettuò e ai fruitori dei
racconti scritti, un atteggiamento mentale in cui sono presenti alcune
caratteristiche tipiche di un atteggiamento razionale. Tra i segni più evidenti di
4
questa maggior razionalità possiamo citare l’inserimento dei racconti mitologici
in un’ampia e compiuta sequenza narrativa nei poemi omerici o il proposito
dichiarato di “mettere ordine “nei racconti relativi alla formazione dell’universo
in Esiodo.
La società greca che ha prodotto questi racconti, così come appare negli stessi
poemi omerici, è una società aristocratico-sacerdotale in quanto dominata da un
gruppo di uomini, gli aristocratici, che vivono separati dal resto della
popolazione e che detengono il potere militare e religioso. Ricavano i loro beni
grazie al controllo del lavoro dei contadini e alle guerre e alle razzie a cui sono
dediti. I rapporti tra i membri della classe aristocratica sono regolati da un
assemblea a cui partecipano tutti i membri della classe.
I valori che tale classe fa propri sono da un lato la forza, che consente di imporre
il proprio dominio sociale e regola i rapporti interni, e dall’altro la capacità di
discorrere in modo persuasivo per prevalere là dove la forza non basta o non
serve.
Differenze tra i miti __________
(scritti) e ___________________
(_________________):
1 - + _______________________
2 - _________________________
_____________________________
gli aristocratici:
a - ______________________________________________________________________________________________________
b - _____________________________________________________________________________________________________
c - _____________________________________________________________________________________________________
d - _____________________________________________________________________________________________________
e - ______________________________________________________________________________________________________
La nascita della filosofia, intesa come ricerca razionale, avviene nel momento in
cui questa società aristocratica viene messa in crisi dallo sviluppo della vita
urbana. Essa appare solidale a tutta una serie di modifiche che coinvolgono la
società, dall’economia al diritto alla diffusione della scrittura. Modifiche che non
solo avvengono tutte contemporaneamente tra l’VIII e il IV sec. a.C., ma anche
vanno tutte nella direzione di imporre atteggiamenti mentali che potremmo
definire più razionali.
Così, ad esempio, lo stesso sviluppo di una civiltà urbana aiuta l’uomo a
prendere le distanze dall’ambiente naturale a cui si contrappone l’ambiente
cittadino artificiale, totalmente costruito dall’uomo, e quindi a prendere
coscienza della separazione tra l’elemento umano e naturale.
Allo steso modo anche l’affermazione di una economia monetaria contribuì a
promuove le capacità razionali dell’uomo. Infatti, l’uso della moneta nello
scambio richiede capacità di analisi, in quanto scinde lo scambio in due atti
separati, di generalizzazione, in quanto impone la riduzione dei diversi beni a un
denominatore comune, la moneta appunto, nonché di astrazione in quanto
utilizza un bene astratto.
Nello stesso periodo avvenne anche la diffusione della scrittura alfabetica in cui
simboli completamente astratti, le lettere, sostituirono le raffigurazione degli
ideogrammi.
Il fattore più importante appare, come vedremo nel prossimo capitolo, la
maggiore complessità dalla vita sociale, dovuto allo sviluppo della civiltà urbana
che comportò la presenza di nuovi ceti sociali (artigiani, mercanti, tecnici quali
ingegneri, architetti, medici) che entrarono in conflitto con la classe aristocratica
che deteneva il potere.
Tale conflitto fu determinante nella formazione di visioni del mondo diverse,
LO SVILUPPO DELLA VITA URBANA E
LA FORMAZIONE DI NUOVI
ATTEGGIAMENTI RAZIONALI
Dalla società __________________
________________________ alla
società _______________________
Città e nuovi __________________
___________________________
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tant’è che, come vedremo, è possibile suddividere i primi filosofi in due distinte
tradizioni che gli storici della filosofia indicano come la tradizione aristocraticosacerdotale e quella dei filosofi della città, legate rispettivamente alla classe
aristocratico-sacerdotale la prima e ai nuovi ceti cittadini la seconda.
Secondo molti studiosi il fatto che le città greche rimasero dei centri politici,
consentendo la democratizzazione della vita politica, rappresentò un fattore
decisivo nella nascita della filosofia occidentale, sottolineato anche dal fatto che
molti dei primi filosofi furono direttamente coinvolti nelle vicende politiche
della loro polis.
3 L’evoluzione storico-culturale della civiltà occidentale
Esamineremo la storia della filosofia suddividendola in tre macro periodi
corrispondenti ai tre processi storico-culturali che evidenzieremo come più
significativi . Evidentemente è possibile leggere la storia della filosofia anche
adoperando altre chiavi di lettura, individuando altri momenti di scansione e,
soprattutto, altri processi storico-culturali e altri nodi problematici come più
significativi in relazione sia ai fini per cui viene studiata, sia alla sensibilità e agli
interressi di chi la studia. La periodizzazione proposta ha comunque il merito di
indicare un filo evolutivo tale da costituire un quadro unitario della storia della
filosofia occidentale.
- Formazione della filosofia. Corrisponde all’età della Grecia classica e
dell’Ellenismo (VII sec. a. C.- III d.C.) in cui avviene la prima elaborazione di
concetti quali quelli di: interiorità, anima, Dio come ente primo, o delle prime
teorie sull’origine e sulle forme della società e dello stato, problematiche che
rimarranno delle costanti della nostra cultura.
In questo periodo si formano, inoltre, quattro visioni della realtà destinate a
costituire altrettanti modelli per la nostra cultura ovvero: l’idealismo platonico
(Platone), il materialismo antico (Democrito e Epicureo), il razionalismo
aristotelico (Aristotele), e il vitalismo stoico (Zenone e Crisippo).
- La cristianizzazione (IV d.C. –XV sec d. C.), che coincide con il periodo di
formazione del cristianesimo, ultimi secoli dell’età ellenistica, e della
formazione dell’Europa cristiana. In questo periodo prevale una visione idealista
della realtà e una mentalità religiosa che portano a una rielaborazione dei
concetti già elaborati dalla filosofia precedente, per cui l’anima diventa, ad
esempio, il luogo privilegiato dell’incontro tra Dio e l’uomo o si impone l’idea
di un Dio persona e creatore dell’universo. Il dibattito filosofico si situa
all’interno del contesto delle verità ritenute rivelate.
- La laicizzazione della cultura occidentale. A partire dal Rinascimento e dalla
Rivoluzione scientifica (XVI e XVII sec d.C.) avviene la separazione dei saperi
dal sapere religioso. La difesa del nuovo tipo di sapere e il suo allargamento a
tutti gli aspetti della natura, ma anche dell’uomo (società , storia, politica,
personalità, ecc..), hanno sicuramente caratterizzato gran parte della filosofia
moderna e contemporanea. Questo ha comportato una nuova rielaborazione dei
principali concetti filosofici che hanno trovato una loro giustificazione
all’interno del contesto dei nuovi saperi non più legati al sapere religioso.
L’EVOLUZIONE STORICOCULTURALE DELLA CIVILTÀ
OCCIDENTALE
I ___________________________
della storia della filosofia
LA __________________________
DELLA CULTURA OCCIDENTALE
primi _____________________ e
_______________
quattro ______________________
LA __________________________
DELLA CULTURA OCCIDENTALE
_____________________________
prevalere mentalità ____________
e verità ______________________
LA __________________________
DELLA CULTURA OCCIDENTALE
separazione dei ______________
dal _________________________
concetti filosofici giustificati dai
_____________________________
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E. FROMM3 - MITI E SOGNO: IL LINGUAGGIO SIMBOLICO
Introduzione
La natura del linguaggio simbolico
Storia manifesta e storia latente
Introduzione
1 - Sogno e vita quotidiana
2 - Sogno e ________________________
1 - _____________________________________________
Se è vero che la capacità di dubitare è il principio della saggezza, tale verità è una
triste considerazione sulla saggezza dell’uomo moderno. Quali che siano i meriti
della nostra cultura letteraria e universale, è certo che abbiamo perso la facoltà di
dubitare. Si presume che tutto sia noto se non proprio a noi stessi, almeno ad alcuni
specialisti incaricati di sapere ciò che è a noi sconosciuto. Infatti, l’essere perplessi
è una sensazione sgradevole, un segno di inferiorità intellettuale. Perfino i bambini
si meravigliano di rado, o per lo meno cercano di non darlo a vedere; e con l’andare
degli anni perdiamo gradualmente la facoltà di meravigliarci. Si considera di
importanza capitale l’ottenere risposte esatte, mentre il formulare domande esatte
viene a paragone considerato insignificante.
Questo nostro atteggiamento spiega forse perché uno dei più oscuri fenomeni della
nostra esistenza, cioè i sogni, susciti così poca meraviglia e raramente ci stimoli a
porci delle domande. Tutti sogniamo e non comprendiamo i nostri sogni; eppure ci
comportiamo come se alle nostre menti immerse nel sonno non accadesse nulla di
strano, per lo meno a confronto del comportamento logico e intenzionale della
nostra mente quando siamo svegli.
Quando non dormiamo siamo esseri attivi, razionali, tesi nello sforzo di
raggiungere ciò che ci siamo prefissi e pronti a difenderci da ogni eventuale
attacco. Si agisce e si osserva; si vedono le cose che ci circondano, forse non come
in effetti sono, ma almeno in modo tale da potercene servire e da poterle, al caso,
modificare. Ma siamo anche dotati di scarsa fantasia e ben raramente - fatta
eccezione per i bambini e per i poeti - la nostra immaginazione si spinge al di là
della ripetizione di vicende e trame che fanno parte della nostra effettiva
esperienza. In poche parole siamo efficienti, ma piuttosto squallidi. Definiamo
‘realtà’il campo della nostra osservazione quotidiana e siamo orgogliosi del nostro
‘realismo’e della nostra abilità nel servircene.
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Erich Fromm (1900 - 1980) si laureò in filosofia, studiando poi psicoanalisi a Monaco e lavorando con
Adorno, Horkheimer e Marcuse nell’ambito della cosiddetta Scuola di Francoforte.
Emigrato negli Stati Uniti nel 1934, in seguito all’ascesa al potere del nazismo, ha insegnato presso le
università di Columbia, Michigan e Yale, nonché all'Università Nazionale del Messico.
Fromm prospetta una concezione dell'uomo che, pur sviluppandosi sul solco tracciato da Freud, mostra di
tener in maggior conto l'influenza delle scienze sociali, per le quali la personalità è determinata
dall'ambiente e dalle relazioni interpersonali piuttosto che dalla realtà biologica ereditaria, mentre l'uomo
è fondamentalmente un prodotto della società in cui vive.
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Eppure, all’atto di addormentarci ci immergiamo in un’altra forma di esistenza.
Sogniamo. Inventiamo vicende che in effetti non si sono mai verificate e per le
quali, a volte, non vi è nemmeno un minimo legame con la realtà. A volte siamo gli
eroi, a volte i ribaldi; a volte ci troviamo nelle situazioni più desiderabili e siamo
felici; a volte sprofondiamo negli abissi del terrore. Però qualunque sia la parte che
recitiamo nel sogno, noi ne siamo gli autori, è il nostro sogno, noi ne abbiamo
inventata la trama.
La maggior parte dei nostri sogni ha una caratteristica in comune: essi non seguono
le leggi della logica che invece regolano i nostri pensieri quando siamo svegli. Le
categorie dello spazio e del tempo sono trascurate; persone morte ci appaiono come
vive, eventi che noi viviamo attualmente accaddero in realtà molti anni prima;
sogniamo che due avvenimenti si verificano contemporaneamente, mentre questo
sarebbe in effetti impossibile. E in altrettanto scarsa considerazione teniamo le
leggi dello spazio. Ci è facilissimo trasferirci in un batter d’occhio in un luogo
molto lontano, oppure essere contemporaneamente in due luoghi diversi, o ancora
fondere due persone in una sola, o trasformare improvvisamente una persona in
un’altra.
Veramente nei nostri sogni diventiamo i creatori di un mondo in cui lo spazio e il
tempo, che pongono dei limiti a tutte le attività del nostro corpo, non hanno alcun
potere.
Un’altra cosa singolare nei nostri sogni è che noi pensiamo ad avvenimenti e a
persone cui per anni non ci è mai capitato di pensare e che da svegli non avremmo
mai ricordato; improvvisamente esse ci appaiono nel sogno come vecchie
conoscenze cui spesso si rivolge il nostro pensiero. Pare che quando si dorme si
varchi la soglia del vasto deposito di esperienze e di ricordi di cui durante il giorno
ignoriamo l’esistenza.
Tuttavia, nonostante queste strane caratteristiche, i nostri sogni (mentre sogniamo),
sono per noi realtà; né più né meno dei fatti della nostra vita quotidiana. Nel sogno
non esiste il ‘come se’. Il sogno è esperienza viva, reale, tanto da suggerire due
domande: che cosa è la realtà? Come possiamo asserire che ciò che sogniamo è
irreale e che ciò che ci accade quando siamo svegli è realtà? Un poeta cinese
espresse efficacemente questo dubbio: ‘Ieri notte ho sognato di essere una farfalla e
ora non so se sono un uomo che ha sognato di essere una farfalla o una farfalla che
sogni di essere un uomo.’
Tutte queste vivide ed eccitanti esperienze della notte non soltanto scompaiono
quando riapriamo gli occhi, ma ci è anche difficilissimo il ricordarle. La maggior
parte di esse le dimentichiamo semplicemente, a tal punto da non ricordare
nemmeno che abbiamo vissuto in quest’altro mondo. Alcune altre ce le ricordiamo
vagamente nel momento in cui ci risvegliamo e un istante più tardi sono già
svanite.
2 - _____________________________________________
Forse ancora più sconcertante di tutte queste considerazioni è la somiglianza di
questi prodotti della nostra facoltà creativa durante il sonno con le più antiche
creazioni dell’uomo: i miti.
In effetti noi non ci siamo mai trovati troppo perplessi di fronte ai miti. Se sono
divenuti rispettabili perché incorporati nella nostra religione, assumiamo verso di
essi un atteggiamento convenzionale e superficiale, riconoscendoli parte di una
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tradizione venerabile; se invece non sono sostenuti dall’autorità della tradizione, li
consideriamo un’espressione puerile dei pensieri dell’uomo prima che questi
venisse illuminato dalla scienza. A ogni modo i miti, siano essi ignorati, disprezzati
o rispettati, vengono relegati in un mondo completamente estraneo al nostro
pensiero. Rimane tuttavia il fatto che molti dei nostri sogni sono simili ai miti per
contenuto e stile e proprio noi che, quando siamo svegli, consideriamo i miti con
distacco critico, abbiamo la facoltà di realizzare creazioni simili quando siamo
immersi nel sonno.
Anche nel mito si verificano situazioni drammatiche che sono impossibili in un
mondo retto dalle leggi del tempo e dello spazio: l’eroe lascia casa e patria per
salvare il mondo, o si sottrae alla sua missione per vivere nel ventre di un grosso
pesce; muore e risuscita; il mitico uccello viene arso e riemerge dalle sue ceneri più
bello di prima.
Naturalmente, popoli diversi creano miti diversi, allo stesso modo che popoli
diversi fanno sogni diversi. Ma nonostante tutte queste differenze, miti e sogni
hanno un elemento in comune, sono tutti ‘scritti’ nello stesso linguaggio, il
‘linguaggio simbolico’.
I miti di Babilonia, dell’India, dell’Egitto, degli ebrei e dei greci sono scritti nello
stesso linguaggio di quelli degli Ashantis e dei Trukese4. I sogni di chi vive oggi a
New York o a Parigi sono identici a quelli di chi visse migliaia di anni fa in Atene
o a Gerusalemme. I sogni dell’uomo antico e moderno posseggono le stesse
caratteristiche dei miti i cui autori vissero agli albori della storia.
Nel linguaggio simbolico le esperienze interiori, i sentimenti e i pensieri vengono
espressi come se fossero esperienze sensoriali, avvenimenti del mondo estero.
Retto da una logica diversa da quella convenzionale di cui ci serviamo durante il
giorno, una logica cioè in cui non tempo e spazio sono le categorie dominanti, ma
intensità e associazione, è forse l’unico linguaggio universale che mai sia stato
creato dall’uomo, rimasto identico per ogni civiltà e nel corso della storia. Un
linguaggio con la sua grammatica e la sua sintassi, che bisogna comprendere se si
vuole cogliere il significato dei miti, delle favole e dei sogni.
Eppure tale modo d’esprimersi è stato dimenticato dall’uomo moderno; non
quando dorme, bensì quando è sveglio. È importante capire questo linguaggio
quando si è svegli?
Per i popoli del passato, vissuti nelle grandi civiltà dell’oriente e dell’occidente,
non vi erano dubbi sulla risposta a un simile quesito. Per essi miti e sogni
rappresentavano alcune fra le più significative espressioni dell’intelletto, e il non
comprenderli sarebbe equivalso all’analfabetismo. Soltanto in questi ultimi secoli
la cultura occidentale mutò il suo atteggiamento a questo proposito. Nella migliore
delle ipotesi i miti vennero considerati ingenue creazioni di una mente primitiva,
plasmate molto tempo prima che l’uomo avesse fatto le sue grandi scoperte nel
regno della natura e avesse penetrato i segreti della sua potenza.
I sogni decaddero ulteriormente nel giudizio dell’uomo moderno. Essi vennero
considerati delle semplici assurdità, indegne dell’attenzione dell’uomo adulto,
assorbito da attività importanti come la costruzione di macchine e che si
considerava ‘realista’semplicemente perché non vedeva null’altro all’infuori della
realtà delle cose che poteva conquistare e manipolare, perché poteva disporre di
un’apposita parola per ogni tipo di automobile, ma soltanto della parola ‘amore’
per esprimere i più svariati tipi di esperienza affettiva.
E ancora, se tutti i nostri sogni fossero piacevoli fantasmagorie in cui tutti i desideri
del nostro cuore venissero appagati, noi potremmo sentirci più benevoli nei loro
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Si tratta di due popolazioni attuali, la prima vive nell’Africa centrale e la seconda in Oceania.
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confronti; ma molti di essi ci lasciano in uno stato di ansietà, sono spesso incubi da
cui ci destiamo compiacendoci che si trattasse soltanto di un sogno; altri, pur senza
essere incubi, riescono molesti per altri motivi: essi non si adattano a quella
persona che noi siamo convinti di essere durante il giorno; sogniamo di inchinarci e
di sottometterci, mentre siamo fieri della nostra indipendenza. Ma la cosa peggiore
è che non riusciamo a interpretare i nostri sogni, mentre, da svegli, siamo convinti
di poter capire qualunque cosa purché ci applichiamo a essa. Piuttosto che
ammettere una prova così schiacciante nei limiti del nostro sapere, preferiamo
accusare i sogni di non avere alcun senso.
Nella valutazione dei miti e dei sogni si è verificato in questi ultimi decenni un
profondo mutamento che ricevette grande impulso dall’opera di Freud: prima di
accingersi al compito specifico di aiutare il paziente neurotico a prendere coscienza
dei motivi della sua malattia, Freud5 si mise a studiare il sogno considerato come
fenomeno umano universale, identico nella persona sana e in quella malata. Egli
osservò che i sogni sostanzialmente non differivano dai miti e dalle fiabe e che
comprendere il linguaggio di uno equivaleva a comprendere il linguaggio degli
altri.
Ma lo studio dei miti e dei sogni è ancora in embrione ed è ostacolato da varie
limitazioni. Una di esse è dovuta al fatto che, ancora oggi, l’interpretazione dei
sogni è considerata legittima soltanto se usata dallo psichiatra nella cura dei
pazienti neurotici. Al contrario io sono del parere che il linguaggio simbolico è
l’unica lingua straniera che ognuno di noi dovrebbe imparare. Il riuscire a
decifrarla ci mette in contatto con una delle più importanti fonti di saggezza cioè il
mito e con gli strati più profondi della nostra personalità. Esso ci aiuta infatti a
comprendere un livello di esperienza che è specificamente umano perché è comune
a tutta l’umanità per il contenuto come per la forma.
II Talmud (uno dei testi sacri dell’ebraismo) dice; ‘I sogni non interpretati sono
lettere non aperte’. E infatti tanto i sogni quanto i miti sono degli importanti mezzi
per comunicare con noi stessi. Se non comprendiamo il linguaggio in cui si
esprimono, va perduto per noi gran parte di ciò che sappiamo e di ciò che diciamo a
noi stessi in quelle ore in cui non siamo alle prese con il mondo esterno.
La natura del linguaggio simbolico
1 - Esperienze sensoriali e linguaggio simbolico dei sogni e dei miti
2- I simboli _____________________
3 - I simboli _______________________
4 - _______________________________
1 - Esperienze sensoriali e linguaggio simbolico dei sogni e dei miti
Supponiamo di voler spiegare a qualcuno la differenza che esiste fra il sapore del
vino bianco e quello del vino rosso; potrebbe sembrare una cosa semplicissima. La
differenza ci è ben nota; perché dunque non dovrebbe essere altrettanto semplice
spiegarla a qualcun altro? Eppure è difficilissimo rendere in parole questa
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Sigmund Freud (1856- 1939), fondatore della psicoanalisi quale metodo di indagine degli strati
più profondi della nostra personalità (inconscio) di cui parla Fromm, egli stesso uno psicoanalista.
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differenza di gusto. E, con tutta probabilità si finirebbe per dire: ‘Guarda, non
riesco a spiegartelo. Bevi del vino rosso e poi del vino bianco e capirai da solo qual
è la differenza’. Non incontriamo difficoltà nel trovare le parole adatte a spiegare
l’ingranaggio più complicato, eppure esse sembrano inutili a descrivere una
semplice esperienza del senso del gusto.
Non è forse vero che lo stesso problema ci si ripresenta quando vogliamo spiegare
un’esperienza emotiva? Prendiamo per esempio uno stato d’animo in cui ci si senta
perduti, abbandonati in un mondo che ci appare squallido, un po’spaventevole,
sebbene non proprio pericoloso. Volete descrivere questo stato d’animo a un
amico, ma anche in questo caso vi trovate ad annaspare alla ricerca delle parole e
infine vi rendete conto che nulla di ciò che avete detto fornisce una spiegazione
adeguata delle svariate sfumature di questo vostro stato d’animo. La notte seguente
fate un sogno, vi vedete alla periferia di una città, poco prima che sorga l’alba, le
strade sono deserte fatta eccezione per i camion del latte, le case hanno un aspetto
misero, ciò che vi circonda vi appare estraneo, e non avete a disposizione nessuno
dei soliti mezzi di trasporto per poter raggiungere luoghi a voi familiari e ai quali
sentite di appartenere. Quando vi svegliate e vi ricordate del sogno, vi accorgete
che la sensazione che avete provato nel sogno era esattamente quella sensazione di
smarrimento e di grigiore che il giorno prima avevate cercato di descrivere al
vostro amico. È soltanto un’immagine, alla cui realizzazione bastò meno di un
secondo; eppure si tratta di una descrizione più viva e precisa di quella che avreste
potuto fornire parlando diffusamente intorno a questa sensazione. L’immagine che
vedete nel sogno è il simbolo di qualcosa che avete sentito.
Che cos’è un simbolo? Un simbolo viene spesso definito come ‘qualcosa che sta al
posto di qualcos’altro’. Questa definizione potrebbe apparire piuttosto deludente;
ma diventa più interessante se consideriamo quei simboli in cui espressioni
sensoriali come il vedere, l’udire, l’odorare e il toccare stanno al posto di un
‘qualcos’altro’che è un’esperienza interiore, un sentimento o un pensiero. Un
simbolo di questo genere è qualcosa che sta al di fuori di noi stessi e ciò che esso
simbolizza è qualcosa che sta dentro di noi. Nel linguaggio simbolico le esperienze
interiori vengono espresse come se fossero esperienze sensoriali, cioè come
qualcosa che abbiamo fatto o subito nel mondo esteriore; in esso il mondo esterno è
un simbolo del mondo interno, un simbolo per le nostre anime e per le nostre
menti.
Se si definisce un simbolo come ‘qualcosa che sta al posto di qualcos’altro’, la
domanda cruciale è: Qual è l’esatta correlazione fra il simbolo e ciò che esso
simbolizza?
Per rispondere a questa domanda possiamo stabilire una differenza fra tre tipi di
simboli: il convenzionale, l’accidentale e l’universale. Come apparirà chiaro,
soltanto gli ultimi due tipi di simboli esprimono le esperienze interiori come se
fossero esperienze sensoriali e solo essi posseggono gli elementi del linguaggio
simbolico.
2- I simboli _____________________
Il simbolo convenzionale è, dei tre il più conosciuto, dato che lo usiamo nel
linguaggio di tutti i giorni. Se vediamo la parola tavolo o sentiamo il suono tavolo,
le lettere T-A-V-0-L-O stanno al posto di qualcosa altro, cioè al posto dell’oggetto
tavolo che vediamo, tocchiamo e usiamo. Qual è la relazione esistente fra la parola
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‘tavolo’e l’oggetto ‘tavolo’? Vi è forse un rapporto fra di essi? Certamente no.
L’oggetto tavolo non ha niente a che fare con il suono tavolo, e l’unico motivo per
cui questa parola simbolizza l’oggetto e che si è convenuto di chiamare questo
particolare oggetto con questo particolare nome. Impariamo questa associazione fin
da bambini mediante l’esperienza ripetuta di ascoltare quella parola in riferimento a
quell’oggetto fino a che viene a stabilirsi una durevole associazione: così non è più
necessario pensare per trovare la parola esatta.
Le parole non sono l’unico dei simboli convenzionali, sebbene esse ne siano gli
esempi più frequenti e più conosciuti; anche le figure possono essere simboli
convenzionali: una bandiera, per esempio, può rappresentare un certo paese, eppure
non vi è nessuna relazione fra i singoli vessilli e i paesi cui si riferiscono; essi sono
stati accettati per designare quella particolare nazione e noi traduciamo
l’impressione visiva di quella bandiera nel concetto di quella nazione, sempre su
una base convenzionale. …
3 - I simboli _______________________
L’esatto opposto del simbolo convenzionale è il simbolo accidentale, sebbene essi
abbiano questo elemento in comune: non esiste alcuna relazione intrinseca fra il
simbolo e ciò che esso simbolizza. Supponiamo che una persona abbia avuto una
triste esperienza in una certa città; ogni qualvolta che sentirà il nome di questa città
assocerà facilmente tale parola con uno stato di tristezza, proprio come
l’assocerebbe a uno stato di gaiezza se vi avesse avuto un’esperienza piacevole. È
evidente che la città di per se stessa non ha niente di triste o di allegro: è
l’esperienza individuale collegata con quella città che la rende simbolo di un
determinato stato d’animo.
Il medesimo comportamento si può verificare in relazione a una casa, a una strada,
a un certo abito, a un determinato panorama, o a qualunque altra cosa che sia stata
una volta associata a un determinato stato d’animo. Possiamo sognare di essere in
una data città. E’anche possibile che nel sogno non vi sia collegato alcuno stato
d’animo: tutto ciò che vediamo è una strada o anche il solo nome della città. Se ci
chiediamo per quale ragione ci sia capitato di pensare a quella particolare città nel
nostro sogno, scopriremo che ci siamo addormentati in uno stato d’animo simile a
quello simbolizzato dalla città in questione. In tal caso la visione del sogno
rappresenta questo stato d’animo e la città sta per lo stato d’animo che una volta si
è provato in essa. Qui l’associazione fra il simbolo e l’esperienza simbolizzata è del
tutto accidentale.
Al contrario del simbolo convenzionale, il simbolo accidentale non può essere
condiviso da nessun altro, a meno che non si espongano gli eventi connessi con il
simbolo stesso. Per questa ragione i simboli accidentali hanno un impiego limitato
nei miti, nelle favole o nelle opere d’arte scritte in linguaggio simbolico, perché
questi simboli non possono essere comunicati a meno che lo scrittore aggiunga un
commento prolisso a ogni simbolo usato. Tuttavia, nei sogni i simboli accidentali
sono frequenti e in seguito spiegherò il metodo per riuscire a comprenderli.
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4 - _______________________________
Il simbolo universale è quello in cui esiste una relazione intrinseca fra il simbolo e
ciò che esso rappresenta. Abbiamo già dato un esempio al riguardo: il sogno alla
periferia di una città. L’esperienza sensoriale di un ambiente deserto, estraneo e
squallido ha in effetti una relazione significativa con uno stato d’animo di
smarrimento e di ansietà. È pur vero che, se non ci fossimo mai trovati alla
periferia di una città non avremmo potuto usare quel simbolo, proprio come la
parola tavolo sarebbe senza significato se non avessimo mai visto un tavolo.
Questo simbolo ha un significato soltanto per chi abita in città, mentre ne sarebbe
privo per quelle persone che abitano in regioni senza grandi città. Altri simboli
universali, invece, sono radicati nell’esperienza di ogni essere umano. Prendiamo
per esempio il simbolo del fuoco: siamo affascinati da certe caratteristiche del
fuoco in un caminetto; prima di tutto dalla sua vitalità: esso cambia continuamente,
si muove continuamente, eppure in esso vi è stabilità, rimane sempre lo stesso pur
senza essere lo stesso. Dà una sensazione di potenza, di energia, di grazia e di
leggerezza; è come se danzasse e racchiudesse in sé un’inesauribile sorgente di
energia. Quando usiamo il fuoco come simbolo, vogliamo esprimere l’esperienza
interiore caratterizzata da quegli stessi elementi che notiamo nell’esperienza
sensoriale del fuoco; l’energia, la leggerezza, il movimento, la grazia, la gaiezza, e
a volte l’uno a volte l’altro di questi elementi predomina in tale stato d’animo.
Simile sotto certi aspetti e diverso per altri è il simbolo dell’acqua, il mare o un
corso d’acqua. Anche qui troviamo la fusione di mutamento e di permanenza, di
costante movimento e pure di stabilità; come anche abbiamo la sensazione di
vitalità, continuità ed energia, ma con questa differenza: mentre il fuoco è
avventuroso, rapido ed eccitante, l’acqua è tranquilla, lenta e calma, il fuoco
contiene un elemento di sorpresa, l’acqua un elemento di prevedibilità. Anche
l’acqua simbolizza uno stato di vitalità, ma uno stato più ‘pesante’, più ‘lento’, più
tranquillo che eccitante.
Il fatto che il mondo fisico possa costituire un’espressione adeguata di
un’esperienza interiore, che il mondo delle cose possa essere un simbolo del mondo
psichico, non deve sorprendere. Noi tutti sappiamo bene che il corpo è
l’espressione della mente: il sangue affluisce rapidamente alla testa quando siamo
infuriati, e ne fugge quando siamo spaventati; il cuore batte più rapidamente
quando siamo adirati, e tutto il corpo ha un tono diverso quando siamo lieti e
quando siamo tristi. Noi esteriorizziamo i nostri umori con le espressioni del viso e
i nostri atteggiamenti, e i nostri sentimenti con movimenti e con gesti così precisi
che gli altri riescono a riconoscere con molta maggiore esattezza attraverso il
nostro comportamento che non attraverso le nostre parole. In effetti, il corpo è un
simbolo e un’allegoria della mente. Un’emozione profonda e perfino un pensiero
sinceramente sentito vengono espressi da tutto il nostro organismo. Nel caso del
simbolo universale troviamo la stessa relazione fra esperienza mentale ed
esperienza fisica.
Il simbolo universale è l’unico in cui la relazione tra il simbolo e ciò che viene
simbolizzato non è coincidente ma intrinseca. Essa è radicata nell’esperienza
dell’affinità esistente fra un’emozione o un pensiero da una parte e un’esperienza
sensoriale dall’altra. Può essere definito universale perché è comune a tutti gli
uomini, a differenza non solo del simbolo accidentale che per la sua stessa natura è
del tutto personale, ma anche del simbolo convenzionale che è limitato ad un
gruppo di persone che hanno in comune una stessa convenzione. Il simbolo
universale è radicato nelle facoltà del nostro organismo, nei nostri sensi e nella
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nostra mente, che sono comuni a tutti gli uomini e non limitato a determinati
individui o a determinati gruppi. In verità, quello del simbolo universale è il
linguaggio comune creato dal genere umano, e dimenticato prima che si fosse
riusciti a elaborare un linguaggio convenzionale universale … ne è prova il fatto
che esso, come viene usato nei miti e nei sogni, si riscontra presso tutte le civiltà,
tanto in quelle cosiddette primitive come in quelle altamente progredite, come
l’egiziana e la greca. Inoltre, i simboli usati da queste varie civiltà sono
singolarmente analoghi, dato che risalgono tutti alle basilari esperienze sensoriali
ed emotive condivise dagli uomini di tutte le civiltà.
Tuttavia, queste affermazioni devono essere precisate. Alcuni simboli differiscono
nel significato a seconda della diversità che esiste nel loro significato reale presso
le varie civiltà. Per esempio, la funzione e di conseguenza il significato del sole è
diverso nei paesi nordici e in quelli tropicali. Nei paesi nordici, in cui vi è
abbondanza d’acqua, ogni tipo di crescita è condizionato da una sufficiente quantità
di sole: il sole è l’amato potere fonte di calore, di vita e di protezione, Invece nel
vicino oriente, dove il suo calore è molto più forte, è una potenza pericolosa e
perfino minacciosa da cui l’uomo deve difendersi, mentre l’acqua è considerata la
sorgente della vita e la condizione principale per ogni tipo di crescita. Possiamo
perciò parlare di dialetti del linguaggio simbolico universale, determinati da quelle
differenze di condizioni naturali per cui certi simboli assumono un significato
diverso in diverse regioni della terra.
Assolutamente diverso da questi ‘dialetti simbolici’è il fatto che molti simboli
hanno più di un significato, a seconda dei diversi tipi di esperienze che possono
essere connesse con il medesimo fenomeno naturale. Consideriamo di nuovo il
simbolo del fuoco. Se osserviamo il fuoco in un caminetto, che è fonte di
benessere, esso è l’espressione di uno stato di vitalità, di calore e di piacere. Ma se
vediamo un edificio o una foresta in fiamme, esso ci traduce un’esperienza di
minaccia e di terrore, e ci ricorda l’impotenza dell’uomo di fronte agli elementi
della natura. Il fuoco, dunque, può essere la rappresentazione simbolica della
vitalità interiore e della felicità come pure della paura, dell’impotenza o delle
proprie tendenze distruttive. Lo stesso vale per il simbolo dell’acqua. L’acqua può
essere una forza tremendamente distruttiva se suscitata da una tempesta o quando
un fiume in piena rompe gli argini; perciò può essere l’espressione simbolica
dell’orrore e del caos come pure del benessere e della pace.
Un altro esempio di questo principio è il simbolo di una valle. La valle racchiusa
fra montagne può suscitare in noi una sensazione di sicurezza, di benessere e di
difesa contro ogni pericolo proveniente dall’esterno. Ma le montagne protettrici
possono anche rappresentare delle mura che ci isolano e che non ci permettono di
uscire dalla valle, che diventa così un simbolo di prigionia. In ogni luogo, il
particolare significato del simbolo può essere determinato soltanto attraverso il
contesto globale in cui esso appare e tenendo presenti le esperienze predominanti
della persona che ne fa uso. Torneremo su questo punto a proposito del simbolismo
dei sogni.
Storia manifesta e storia latente
Un buon esempio del simbolo universale è una storia, scritta in linguaggio
simbolico, che è nota a quasi tutti gli appartenenti alla civiltà occidentale: il Libro
di Giona. Giona aveva udito la voce di Dio che gli comandava di andare a Ninive a
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predicare ai suoi abitanti di rinunciare alla loro condotta peccaminosa, che
altrimenti sarebbero stati annientati. Giona non può fare a meno di ascoltare la voce
di Dio e perciò stesso è un profeta. Ma egli è un profeta involontario che, sebbene
sappia che cosa dovrebbe fare, cerca di sottrarsi al comando di Dio (o, come si
potrebbe anche dire, alla voce della sua coscienza). Giona è un uomo che non si
cura dei suoi simili; un uomo con un forte senso della giustizia e dell’ordine, ma
senza amore.
Come fa la storia a esprimere il travaglio interiore di Giona?
Si racconta che Giona venne a Joppa ove trovò una nave che avrebbe dovuto
portarlo a Tarshish. In mezzo al mare si scatena una tempesta e, mentre tutti gli
altri sono agitati e impauriti, Giona scende nel ventre della nave e piomba in un
sonno profondo. I marinai, credendo che Dio avesse suscitato la tempesta per
punire qualcuno che si trovava sulla nave, svegliano Giona, il quale aveva
confessato che stava cercando di sfuggire al comando di Dio. Egli dice loro di
prenderlo e di gettarlo in mare e che in tal modo i flutti si sarebbero placati. I
marinai (dopo aver tentato ogni altro mezzo prima di seguire il suo consiglio,
rivelando così un notevole senso d’umanità) alla fine prendono Giona e lo gettano
in mare, e la tempesta immediatamente si placa. Il profeta viene inghiottito da un
grosso pesce e rimane nel ventre di esso per tre giorni e tre notti. Egli prega Dio di
liberarlo da quella prigione. Dio fa sì che il pesce vomiti Giona sulla terra ferma,
quindi Giona va a Ninive, adempie al comando di Dio e salva così gli abitanti della
città.
La storia è narrata come se questi avvenimenti fossero realmente accaduti, invece è
stata scritta in linguaggio simbolico e tutti gli avvenimenti realistici in essa descritti
rappresentano le esperienze interiori del protagonista. Troviamo una serie di
simboli che si susseguono l’un l’altro: salire sulla nave, scendere nel ventre di essa,
cadere addormentato, trovarsi in mare e quindi nel ventre del pesce. Tutti questi
simboli stanno per la medesima esperienza interiore: per la condizione di trovarsi
protetto, isolato e distaccato da ogni comunicazione con gli altri esseri umani. Essi
rappresentano ciò che si potrebbe rappresentare anche con un altro simbolo, quello
del feto nel grembo materno. Sebbene il ventre della nave, il sonno profondo, il
mare, il ventre del pesce siano nella realtà affatto diversi l’uno dall’altro, essi sono
tuttavia espressioni della medesima esperienza interiore, cioè della fusione dei
concetti di protezione e di isolamento.
Nella storia manifesta gli avvenimenti si verificano in una successione di spazio e
di tempo: prima, scende nel ventre della nave; poi, addormentarsi; poi, essere
gettato in mare; poi, essere inghiottito dal pesce. Tutti questi avvenimenti si
succedono l’uno all’altro, sebbene alcuni siano ovviamente irreali, il racconto ha
una sua coerenza logica in termini di tempo e di spazio. Ma se noi riusciamo a
comprendere che lo scrittore non intendeva raccontarci la storia di avvenimenti
esterni bensì la storia dell’esperienza psicologica di un uomo combattuto fra la sua
coscienza e il desiderio di sottrarsi al richiamo della sua voce interiore, diviene
chiaro che il susseguirsi delle varie azioni esprime un identico stato d’animo del
protagonista; e che la successione temporale denota una crescente intensità del
medesimo sentimento. Giona, nel tentativo di sottrarsi all’obbligo verso i suoi
simili, si isola sempre più finché, nel ventre del pesce, l’elemento di isolamento si è
talmente trasformato in elemento di reclusione che egli non può sopportarlo oltre
ed è costretto a pregare Dio di liberarlo da quella situazione che egli stesso aveva
determinato, è questo un meccanismo che riconosciamo come caratteristico della
nevrosi: si assume un atteggiamento di difesa contro un certo pericolo, ma poi esso
devia dalla sua originaria funzione di difesa e diventa un sintomo nevrotico dal
quale la persona cerca di liberarsi. Così la fuga di Giona verso un isolamento
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protettivo termina nel terrore di rimanere prigioniero, ed egli riprende la sua vita al
punto in cui aveva cercato di fuggire.
Esiste un’altra differenza fra la logica della storia manifesta e quella della storia
latente. Nella prima, la connessione logica è quella della causalità degli eventi
esterni; Giona vuole andare oltre mare perché desidera fuggire Dio, cade
addormentato perché è stanco, è gettato in mare perché si suppone che egli sia la
causa della tempesta, e infine è inghiottito dal pesce perché nel mare vi sono pesci
che mangiano gli uomini. Ogni fatto è causato da un fatto anteriore. (L’ultima parte
del racconto è irreale ma non priva di logica). Nella storia latente invece, la logica è
diversa: i vari avvenimenti sono collegati l’uno all’altro per mezzo della loro
associazione con la medesima esperienza interiore; ciò che sembra un susseguirsi
casuale di avvenimenti esterni sta per una connessione di esperienze, legate l’una
all’altra dalla loro associazione in termini di eventi interiori.
Il mito di Edipo
1 - II linguaggio simbolico nel mito
2 - L’interpretazione di _____________________
3 –La trilogia
4 –Bachofen: il passaggio dalla società _____________ alla società
___________________
5 - L’interpretazione di _____________________
6 - Conclusioni
1 - II linguaggio simbolico nel mito
II mito, come il sogno, presenta una storia che si svolge nello spazio e nel tempo
e che esprime, in linguaggio simbolico, concetti religiosi e filosofici, esperienze
dell’anima in cui sta il vero significato del mito. Se non si riesce a cogliere
l’essenza del mito ci si trova di fronte a questa alternativa: o esso è una
rappresentazione prescientifica e ingenua del mondo e della storia o, nella
migliore delle ipotesi, il prodotto di una bellissima immaginazione poetica,
oppure - e questo è l’atteggiamento del credente ortodosso - la storia manifesta
del mito è quella vera, e bisogna ritenerla l’esatto resoconto di avvenimenti che si
sono effettivamente verificati nella ‘realtà’. Mentre questa alternativa sembrava
insormontabile nella civiltà occidentale nel diciannovesimo secolo e agli inizi del
ventesimo, sta ora gradatamente affermandosi una terza soluzione. Si tende a
porre l’accento sul significato religioso e filosofico del mito, e la storia manifesta
è considerata come l’espressione simbolica di questo significato. Ma anche sotto
questo punto dì vista, si è giunti a capire che il mito non è soltanto il prodotto
dell’immaginazione fantastica di popoli ‘primitivi’, ma che contiene care
memorie del passato.
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2 - L’interpretazione di _____________________
II mito di Edipo offre un eccellente esempio dell’applicazione del metodo
freudiano e allo stesso tempo un’ottima occasione per considerare il problema
sotto una prospettiva diversa, secondo la quale non i desideri sessuali, ma uno
degli aspetti fondamentali delle relazioni tra varie persone, cioè l’atteggiamento
verso le autorità, è considerato il tema centrale del mito. Ed è allo stesso tempo
un’illustrazione delle distorsioni e dei cambiamenti che i ricordi di forme sociali e
di idee più antiche subiscono nella formazione del testo evidente del mito.
Freud scrive:
‘Se Edipo Re è in grado di scuotere l’uomo moderno come ha scosso i greci suoi
contemporanei, ciò non può che significare che l’effetto della tragedia greca non è
basato sul contrasto tra destino e volontà umana, ma sulla particolarità della
materia sulla quale questo contrasto viene mostrato … II suo destino ci scuote
soltanto perché avrebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della
nostra nascita l’oracolo ha pronunciato ai nostri riguardi la stessa maledizione.
Forse è stato destinato a noi tutti di provare il primo impulso sessuale per nostra
madre, il primo odio, e il primo desiderio di violenza per nostro padre; i nostri
sogni ce ne convincono. Re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e che ha sposato
sua madre Giocasta, è soltanto l’adempimento di un desiderio della nostra
infanzia. Ma a noi, più felici di lui, è stato possibile, a meno che non siamo
diventati psiconevrotici, di staccare i nostri impulsi sessuali dalla nostra madre, e
dimenticare la nostra invidia per nostro padre. Davanti a quel personaggio che è
stato costretto a realizzare quel primordiale desiderio infantile, proviamo un
orrore profondo, nutrito da tutta la forza della rimozione6 che da allora in poi
hanno subito i nostri desideri’.
Freud si riferiva al mito di Edipo secondo la versione contenuta nell’Edipo Re di
Sofocle. La tragedia ci racconta che un oracolo aveva predetto a Laio, Re di Tebe,
e a sua moglie Giocasta, che se essi avessero avuto un figlio, questi avrebbe
ucciso il padre e sposato la propria madre. Quando nacque Edipo, Giocasta decise
di sfuggire alla predizione dell’oracolo, uccidendo il neonato. Ella consegnò
Edipo a un pastore, perché lo abbandonasse nei boschi con i piedi legati e lo
lasciasse morire. Ma il pastore, mosso a pietà per il bambino, lo consegnò a un
uomo che era a servizio del Re di Corinto, il quale a sua volta lo consegnò al
padrone. Il Re adotta il bambino e il giovane principe cresce a Corinto senza
sapere di non essere il vero figlio del Re di Corinto. Gli viene predetto
dall’oracolo di Delfi che è suo destino uccidere il proprio padre e sposare la
propria madre e decide quindi di evitare questa sorte non ritornando più dai suoi
presunti genitori. Ritornando da Delfi egli ha una violenta lite con un vecchio che
viaggia su un carro, perde il controllo e uccide l’uomo e il suo servo senza sapere
di aver ucciso suo padre, il Re di Tebe.
Le sue peregrinazioni lo conducono a Tebe. In questa città la Sfinge divora i
giovinetti e le giovinette del luogo e non cesserà finché qualcuno non avrà trovato
la soluzione dell’enigma che essa propone. L’enigma dice: ‘Che cos’è che
dapprima cammina a quattro, poi su due e infine su tre?’La città di Tebe ha
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La rimozione è un meccanismo psicologico, scoperto da Freud, che consiste nel rimuovere dalla parte
cosciente della personalità ricordi e desideri inaccettabili, in genere legati a impulsi di natura sessuale o
aggressivi. In realtà i ricordi rimossi sono dimenticati solo per la coscienza, ma sono presenti e ben vivi
nell'inconscio, così, ad esempio, i sogni vengono interpretati da Freud come la manifestazione degli
impulsi inconsci connessi ai ricordi e desideri rimossi.
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promesso che chiunque lo risolva e liberi la città dalla Sfinge sarà fatto Re e gli
sarà data in sposa la vedova di Laio. Edipo tenta la sorte. Trova la soluzione
all’enigma cioè l’uomo che da bambino cammina su quattro gambe, da adulto su
due e da vecchio su tre (col bastone). La Sfinge si getta in mare urlando, Tebe è
salvata dalla calamità. Edipo diviene Re e sposa Giocasta, sua madre.
Dopo che Edipo ha regnato felicemente per un certo tempo, la città viene
decimata dalla peste che uccide molti cittadini. L’indovino Tiresia rivela che
l’epidemia è la punizione del duplice delitto commesso da Edipo, parricidio e
incesto. Edipo, dopo aver disperatamente tentato di ignorare la verità, si acceca
quando è costretto a vederla e Giocasta si toglie la vita. La tragedia termina nel
punto in cui Edipo ha pagato il fio di un delitto che ha commesso a sua insaputa,
nonostante i suoi consapevoli sforzi per evitarlo.
È giustificata la conclusione di Freud secondo la quale questo mito conferma la
sua teoria che inconsci impulsi incestuosi e il conseguente odio contro il padre
rivale sono riscontrabili in tutti i bambini di sesso maschile? Invero sembra di sì,
per cui il complesso di Edipo a buon diritto porta questo nome.
Tuttavia, se esaminiamo più da vicino questo mito, nascono questioni che fanno
sorgere dei dubbi sull’esattezza di tale teoria. La domanda più logica è questa: se
l’interpretazione freudiana fosse giusta, il mito avrebbe dovuto narrare che Edipo
incontrò Giocasta senza sapere di essere suo figlio, si innamorò di lei e poi uccise
suo padre, sempre inconsapevolmente. Ma nel mito non vi è indizio alcuno che
Edipo sia attratto o si innamori di Giocasta. L’unica ragione che viene data del
loro matrimonio è che esso comporta la successione al trono. Dovremmo forse
credere che un mito, il cui tema è costituito da una relazione incestuosa fra madre
e figlio, ometterebbe completamente l’elemento di attrazione fra i due?
Rimane da vedere se una tale risposta sia sufficiente o se ne esista un’altra più
soddisfacente.
3 - La trilogia
Questi problemi sorgono dall’analisi di Edipo Re. Se consideriamo soltanto
questa tragedia senza tenere conto delle altre due parti della trilogia, Edipo a
Colono e Antifone, non è possibile dare una risposta definitiva. Ma siamo almeno
in grado di formulare un’ipotesi e cioè: che il mito può essere inteso come
simbolo non dell’amore incestuoso fra madre e figlio, ma della ribellione del
figlio contro l’autorità del padre nella famiglia patriarcale; che il matrimonio fra
Edipo e Giocasta è soltanto un elemento secondario, soltanto uno dei simboli
della vittoria del figlio che prende il posto di suo padre e con questo tutti i suoi
privilegi. La validità di questa ipotesi può essere verificata coll’esame del mito di
Edipo nel suo complesso, specialmente nella versione di Sofocle contenuta nelle
altre due parti della sua trilogia. Edipo a Colono e Antigone.
In Edipo a Colono troviamo Edipo vicino ad Atene, presso la fossa delle
Eumenidi, poco prima di morire. Dopo essersi accecato Edipo era rimasto in
Tebe, retta da suo zio, Creonte, che dopo qualche tempo lo mandò in esilio. Le
due figlie di Edipo, Antigone e Ismene, lo accompagnarono, ma i suoi due figli,
Eteocle e Polinice, si rifiutarono di aiutarlo e, dopo la sua dipartita, si contesero il
trono. Vinse Eteocle, ma Polinice, rifiutandosi di cedere, cercò di conquistare la
città con l’aiuto straniero e di strappare il potere al fratello. In Edipo a Colono lo
vediamo accostarsi al padre, implorando il suo perdono e sollecitando il suo aiuto.
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Ma Edipo era implacabile nel suo odio contro i figli. Nonostante le suppliche
appassionate di Polinice appoggiate da Antigone, rifiuta il perdono.
Anche in Antigone un conflitto fra padre e figlio costituisce uno dei temi centrali
della tragedia. Qui Creonte, che rappresenta il principio autoritario nello stato e
nella famiglia, viene contrastato da suo figlio Emone che gli rimprovera il suo
spietato dispotismo e la sua crudeltà contro Antigone. Emone tenta di uccidere il
padre, e non riuscendovi, si suicida.
Vediamo che il tema ricorrente nelle tre tragedie è il conflitto tra padre e figlio. In
Edipo Re, Edipo uccide il padre Laio che aveva tentato di togliere la vita al
bambino; in Edipo a Colono, Edipo da sfogo al suo intenso odio contro i figli, e in
Antigone troviamo ancora lo stesso odio fra Creonte ed Emone. Il problema
dell’incesto non esiste né nella relazione fra i figli di Edipo e la loro madre, né in
quella fra Emone e sua madre Euridice. Se interpretiamo Edipo Re alla luce
dell’intera trilogia, è plausibile ritenere che anche in Edipo Re il vero problema
sia il conflitto fra padre e figlio e non quello dell’incesto.
Freud ha interpretato l’antagonismo fra Edipo e suo padre come l’inconscia
rivalità causata dagli impulsi incestuosi di Edipo. Se non accettiamo questa
spiegazione, sorge il problema di spiegare altrimenti il conflitto tra padre e figlio
che ritroviamo nelle tre tragedie. Una traccia ci è data dall’Antigone. La ribellione
di Emone contro Creonte è radicata nella particolare struttura della loro relazione.
Creonte rappresenta il principio strettamente autoritario sia nella famiglia che
nello stato, ed è contro questo tipo di autorità che Emone si ribella. Un’analisi
dell’intera trilogia di Edipo indicherà che la lotta contro l’autorità paterna ne
costituisce il fulcro e che questa ribellione affonda le sue radici nell’antico
conflitto fra il sistema di società patriarcale e quello matriarcale. Edipo, come
Emone e Antigone, rappresenta il principio matriarcale; essi si ribellano a un
ordine sociale e religioso basato sui poteri e sui privilegi del padre, incarnato da
Laio e da Creonte.
4 –Bachofen: il passaggio dalla società ________________ alla società
___________________
Dato che questa interpretazione è basata sull’analisi della mitologia greca di
Bachofen7, è necessario ragguagliare brevemente il lettore sui principi della sua
teoria. Nel suo ‘Diritto Materno’, pubblicato nel 1861, Bachofen avanzò l’ipotesi
che all’inizio della storia umana le relazioni sessuali fossero senza norma alcuna;
che perciò soltanto la parentela con la madre fosse indiscutibile, che a lei soltanto
potesse farsi risalire la consanguineità, che ella fosse l’autorità e la legislatrice,
colei che governava sia il nucleo familiare che quello sociale. Sulla base
dell’analisi di documenti religiosi dell’antichità greca e romana, Bachofen giunse
alla conclusione che la supremazia della donna aveva trovato la sua espressione
non soltanto nella sfera dell’organizzazione sociale e familiare ma anche nella
religione. Egli scopri anche prove del fatto che il culto degli dei olimpici fu
preceduto da una religione in cui le divinità supreme erano dee, figure che
rappresentavano la madre.
7
J. J. Bachofen (1815-87), giurista e antropologo svizzero, sulla base dello studio di miti e di simboli di
ogni parte del mondo ipotizzò l’esistenza di uno stadio dell'evoluzione della civiltà, durante il quale il
potere sarebbe stato in mano alle donne anziché agli uomini.
19
Bachofen riteneva che nel corso di un lungo processo storico gli uomini
sconfissero le donne, le sottomisero, e riuscirono a diventare i dominatori di una
gerarchia sociale. Il sistema patriarcale così stabilito è caratterizzato dalla
monogamia (almeno per quanto riguarda le donne), dall’autorità del padre nella
famiglia, e dal ruolo predominante degli uomini in una società organizzata
gerarchicamente. La religione di questa civiltà patriarcale corrispondeva alla sua
organizzazione sociale. Al posto delle dee madri, dei maschi divennero i supremi
signori dell’uomo, così come il padre era il supremo dominatore della famiglia.
Uno dei più penetranti e brillanti esempi dell’interpretazione dei miti greci dovuta
a Bachofen è la sua analisi dell’Orestea di Eschilo, che, secondo lui, è la
rappresentazione simbolica dell’ultimo conflitto fra le dee madri e i vittoriosi dei
paterni. Clitennestra aveva ucciso il marito Agamennone, per non rinunciare
all’amante Egisto. Oreste, figlio suo e di Agamennone, vendica la morte di suo
padre uccidendola insieme a Egisto. Le Erinni, che rappresentano le antiche dee
madri e il principio matriarcale, perseguitano Oreste e chiedono che venga punito,
mentre Apollo e Atena (quest’ultima non nacque da una donna ma balzò fuori
dalla testa di Zeus), rappresentanti della nuova religione patriarcale, sono dalla
parte di Oreste. La contesa verte rispettivamente sui principi della religione
patriarcale e di quella matriarcale. Nel mondo matriarcale vi è un solo legame
sacro, quello della madre e del figlio, e di conseguenza il matricidio è il più grave
e imperdonabile delitto; invece secondo il punto di vista patriarcale, l’amore e il
rispetto verso il padre sono il principale dovere del figlio e quindi il parricidio è il
delitto più grave: l’uccisione del marito da parte di Clitennestra è un delitto
gravissimo a causa della posizione suprema del marito, mentre è considerato
diversamente dalle Erinni, dato che “ella non aveva alcun legame di sangue con
l’uomo che uccise”. L’assassinio di un marito non le riguarda, poiché per esse
contano soltanto i legami di sangue e la santità della madre. Invece, per gli dei
olimpici, l’uccisione della madre non costituisce un delitto, se è stata commessa
per vendicare la morte del padre. Nell’Orestea di Eschilo, Oreste viene assolto,
ma questa vittoria del principio patriarcale è in un certo senso mitigata da un
compromesso con le dee sconfitte: esse acconsentono ad accettare il nuovo ordine
e si accontentano del ruolo minore di protettrici della terra e di dee della fertilità
agricola.
Bachofen dimostra che la differenza fra l’ordine patriarcale e quello matriarcale
andò molto oltre la semplice supremazia sociale degli uomini e delle donne,
comportando anche una diversità di principi morali e sociali. La civiltà
matriarcale è caratterizzata dall’importanza dei legami di sangue, dei legami alla
terra e dall’accettazione passiva di tutti i fenomeni naturali, mentre quella
patriarcale è caratterizzata dal rispetto per le leggi di origine umana, dal
predominio del pensiero razionale e dallo sforzo dell’uomo di modificare i
fenomeni naturali. Per quanto riguarda questi principi, la civiltà patriarcale
costituisce un netto progresso rispetto al mondo matriarcale. Tuttavia, sotto altri
aspetti, i principi matriarcali erano superiori a quelli patriarcali che ebbero il
sopravvento. Secondo la concezione matriarcale tutti gli uomini sono uguali, dato
che essi sono tutti figli di madri e ognuno è figlio della Madre Terra. Una madre
ama allo stesso modo tutti i suoi figli, senza preferenze, dato che il suo amore si
basa sul fatto che sono suoi figli e non su un particolare merito o successo; lo
scopo della vita è la felicità degli uomini, e non vi è nulla di più importante
dell’esistenza e della vita umana. D’altra parte, il sistema patriarcale considera
l’obbedienza all’autorità come la principale virtù: al posto del principio di
eguaglianza troviamo il concetto del figlio preferito e un ordine gerarchico nella
società.
20
5 - L’interpretazione di _____________________
Dopo questo esame della teoria di Bachofen ci è più agevole iniziare la
discussione della nostra ipotesi secondo la quale l’ostilità tra padre e figlio, che è
il tema ricorrente della trilogia di Sofocle, va inteso come una ribellione contro il
vittorioso ordine patriarcale da parte dei rappresentanti dello sconfitto sistema
matriarcale. Edipo Re offre scarse prove dirette, fatta eccezione per alcuni punti di
cui ora parleremo. Ma l’originario mito di Edipo, nelle sue varie versioni greche
su cui Sofocle costruì la sua tragedia, ci offre un indizio importante. La figura di
Edipo vi era sempre connessa al culto delle dee della terra, che rappresentano la
religione matriarcale e quasi sempre si possono trovare tracce di questa relazione.
Un altro aspetto del mito di Edipo — la relazione di Edipo con la Sfinge —
sembra pure mettere in risalto la relazione tra Edipo e il principio matriarcale,
com’è descritto da Bachofen. La Sfinge aveva annunciato che chi avesse risolto il
suo enigma avrebbe salvato la città dalla sua ira. Edipo riesce, mentre tutti prima
di lui avevano fallito, e diviene così il salvatore dì Tebe. Ma se osserviamo
l’enigma più attentamente siamo colpiti dalla sua facilità a paragone della
ricompensa che è in palio per la sua risoluzione. Qualunque dodicenne intelligente
potrebbe indovinare che chi cammina prima su quattro, poi su due e infine su tre,
è l’uomo. Perché lo scioglimento di questo enigma dovrebbe essere la prova di
poteri tanto straordinari da fare di colui che li possiede il salvatore della città?
Un’analisi del vero significato dell’enigma, ispirata ai principi dì Bachofen e di
Freud ci fornirà la risposta. Essi hanno dimostrato che spesso l’elemento più
importante del contenuto effettivo del sogno o del mito non appare tale nella sua
formulazione manifesta, mentre quella parte della formulazione manifesta che ha
la maggiore evidenza è soltanto una parte trascurabile del contenuto effettivo.
Applicando questo principio al mito della Sfinge, sembrerebbe che l’elemento
importante dell’enigma non fosse quello messo in rilievo nella formulazione
manifesta del mito, e cioè l’enigma stesso, ma la risposta ‘uomo’. Se traduciamo
le parole della Sfinge dal linguaggio simbolico a quello esplicito, la sentiamo dire:
Colui che sa che la risposta più importante alla più difficile delle domande è
l’’uomo stesso’, potrà salvare il genere umano. In se stesso l’enigma, che per
essere risolto non richiede altro che un po’di intelligenza, serve soltanto a velare
il significato latente della domanda, cioè l’importanza dell’uomo. Proprio questo
principio dell’importanza dell’uomo fa parte della concezione matriarcale
descritta da Bachofen. Sofocle, nell’Antigone, fece di esso il fulcro
dell’atteggiamento di Antigone contro Creonte. Ciò che importa a quest’ultimo e
all’ordine patriarcale che egli rappresenta sono lo stato, le leggi di origine umana
e l’obbedienza a esse. Ad Antigone l’uomo stesso, la legge naturale e l’amore.
Edipo diventa il salvatore di Tebe, dimostrando alla Sfinge, con la sua risposta,
che egli appartiene allo stesso mondo che è rappresentato da Antigone e che è
l’espressione dell’ordine matriarcale.
Vi è un elemento nel mito e nell’Edipo Re di Sofocle che sembra contraddire la
nostra ipotesi, e cioè la figura di Giocasta. Partendo dall’ipotesi che ella
simbolizzi il principio matriarcale, sorge spontaneo chiedersi perché mai la madre
sia annientata invece di essere vittoriosa, sempre che la spiegazione qui suggerita
sia esatta. La risposta a questa obiezione dimostrerà che il ruolo di Giocasta non
soltanto non è in contraddizione con la nostra ipotesi, ma tende a confermarla. Il
suo delitto è quello di non aver adempiuto al suo dovere di madre; ella aveva
voluto uccidere il proprio figlio per salvare il marito. Ciò, dal punto di vista della
società patriarcale, è una decisione legittima, ma, dal punto di vista della società e
21
dell’etica matriarcali, è un delitto imperdonabile. È proprio lei che,
commettendolo, inizia quella catena di avvenimenti che alla fine condurranno alla
distruzione sua, del marito e del figlio. Per poter comprendere questo punto, non
dobbiamo perdere di vista il fatto che il mito, com’era conosciuto da Sofocle, era
già stato modificato secondo lo schema patriarcale, che il sistema di riferimento
manifesto e consapevole è quello del patriarcato, e che il significato latente e più
antico appare soltanto in una forma velata e spesso distorta. La concezione
patriarcale aveva avuto il sopravvento, e il mito spiega i motivi della caduta del
matriarcato affermando che la madre, violando il suo principale dovere, ha
provocato la propria rovina. Tuttavia questa interpretazione non può essere
confermata che dall’analisi di Edipo a Colono e di Antigone.
Nell’Edipo a Colono vediamo Edipo cieco, accompagnato dalle due figlie,
giungere presso Atene, vicino alla fossa delle dee della terra. L’oracolo ha
predetto che, se Edipo fosse stato sepolto in questa fossa, avrebbe protetto la città
dalle invasioni nemiche. Nel corso della tragedia Edipo comunica a Teseo le
parole dell’oracolo, e Teseo di buon grado accetta l’offerta che Edipo diventi il
benefattore postumo di Atene. Edipo si ritira nella fossa delle dee e muore in
modo misterioso, sconosciuto a tutti tranne che a Teseo.
Chi sono queste dee? Perché mai esse offrono un santuario a Edipo? Che cosa
vuol significare l’oracolo nel dire che Edipo, trovando la sua estrema dimora in
questa fossa, ritornerà a essere il salvatore e il benefattore?
Edipo chiama le dee “venerate dal tremendo sguardo”. Perché ‘dal tremendo
sguardo’dato che sono le dee del luogo in cui troverà l’estremo riposo, le dee che
finalmente gli daranno la pace?
La risposta può ritrovarsi soltanto nel principio di interpretazione, scoperto da
Bachofen e da Freud. Se un elemento che appare in un mito o in un sogno
appartiene a una precedente fase di sviluppo e non al sistema di riferimento
conosciuto all’epoca della formulazione finale del mito, tale elemento spesso
porta con sé una componente di terrore e di solennità. Quando si accosta a
qualcosa di occulto e di proibito, la coscienza è presa da un particolare tipo di
paura, la paura dell’incognito e dell’inganno.
È nella fossa di queste ‘terribili’dee che Edipo, il viandante, trova al fine il
riposo e la sua vera dimora. Edipo, sebbene uomo, appartiene al mondo di queste
dee matriarcali, e trae forza dal suo legame con esse.
… II conflitto fra il principio patriarcale e quello matriarcale è il tema della terza
parte della trilogia, Antigone. Qui la figura di Creonte, che nelle due precedenti
tragedie era stata alquanto vaga, diventa vivida e definita. Egli è diventato tiranno
di Tebe dopo che i due figli di Edipo sono stati uccisi, uno, attaccando la città per
conquistare il potere, l’altro difendendo il suo trono. Creonte ha ordinato che il
legittimo Re venga seppellito e, che il corpo del rivale venga lasciato insepolto;
cosa che, secondo il costume greco, costituisce per un uomo il massimo
dell’umiliazione e del disonore. Il principio rappresentato da Creonte è quello
della supremazia della legge dello stato sui legami di sangue, della supremazia
dell’ossequio all’autorità sul rispetto della legge naturale di umanità. Antigone si
rifiuta di violare le leggi del sangue e della solidarietà di tutti gli esseri umani in
omaggio al sistema autoritario e gerarchico.
I due principi, rispettivamente impersonati da Creonte e da Antigone, sono quelli
caratterizzati da Bachofen come quello patriarcale in contrasto con quello
matriarcale. Nel principio matriarcale il legame di sangue è un vincolo
fondamentale e indistruttibile, tutti gli uomini sono uguali, la vita umana e
l’amore sono tenuti nella massima considerazione. Nel principio patriarcale i
legami tra marito e moglie, tra governante e governato, hanno la precedenza sui
22
vincoli di sangue; è il principio dell’ordine e dell’autorità, dell’obbedienza e della
gerarchia.
Antigone rappresenta il principio matriarcale ed è perciò la nemica irriducibile del
rappresentante dell’autorità patriarcale, Creonte. Ismene, al contrario, che ha
accettato la sconfina sottomettendosi al vittorioso ordine patriarcale, è il simbolo
delle donne soggette alla dominazione.
Ismene ha accettato l’autorità maschile come sua norma definitiva e si è
rassegnata alla sconfitta delle donne che ‘non possono competere con uomini’. La
sua lealtà verso le dee è espressa soltanto nel fatto che le prega di perdonarla per
aver dovuto cedere alla forza del dominatore.
Il principio umanistico del mondo matriarcale, con il rilievo che esso dà alla
grandezza e alla dignità dell’uomo, trova una bellissima e potente espressione
nell’elogio del potere umano da parte del coro:
Molte sono le cose mirabili al mondo,
ma l’uomo le supera tutte.
Anche oltre il mare spumeggiante,
col vento impetuoso del sud,
procede egli e trascorre sotto onde
rigonfie, che mugghiano intorno.
Ed affatica la Terra, suprema
divinità, non mai stanca, immortale,
d’anno in anno volgendo gli aratri
e sommuovendola con prole equina.
Il conflitto tra i due principi si sviluppa ulteriormente nel corso della tragedia.
Antigone insiste sul fatto che le leggi cui ella obbedisce non sono quelle degli dei
olimpici: ‘Poiché non è da oggi, non da ieri, che esse vivono: eterne sono e a tutti
ignoto il tempo in cui furon sancite’; e, possiamo aggiungere, la legge della
sepoltura, del ritorno del corpo alla Madre Terra, è radicata proprio nella religione
matriarcale.
Antigone rappresenta la solidarietà umana e il principio dell’amore materno che
tutto abbraccia. “Io nacqui a ricambiar amor, non odio”.
Per Creonte l’ossequio all’autorità è il valore supremo; la solidarietà umana e
l’amore, se in conflitto con l’obbedienza, debbono cedere. Egli deve sconfiggere
Antigone per sostenere la sua autorità patriarcale e con essa la sua virilità.
...io non sarò più uomo
e diverrà costei uomo in mia vece,
se l’onta non avrà pena adeguata,
Autorità nella famiglia, autorità nello stato sono due supremi valori
interdipendenti sostenuti da Creonte. I figli sono proprietà dei padri e la loro
funzione è quella dì ‘essere utili’al padre. La ‘patria potestas’nella famiglia è la
base del potere del sovrano nello stato; i cittadini sono proprietà dello stato e del
suo sovrano, e ‘l’indisciplina è il più grande dei mali’. Emone, figlio di Creonte,
rappresenta i principi per cui lotta Antigone. Sebbene dapprima cerchi di placare e
di persuadere suo padre dichiara apertamente la sua opposizione quando si rende
conto della sua intransigenza. Emone fa affidamento sulla ragione, ‘la più alta di
tutte le cose che chiamiamo nostre’e sulla volontà del popolo.
I due principi sono stati ora messi a fuoco con la massima chiarezza, e la
conclusione della tragedia conduce semplicemente l’azione al punto della
decisione finale. Creonte fa seppellire viva Antigone in una caverna — di nuovo
un’espressione simbolica del suo legame con le dee della terra. L’indovino
Tiresia, che in Edipo Re contribuì a rendere Edipo consapevole del suo delitto, fa
di nuovo la sua apparizione, questa volta per svelare a Creonte il suo. Preso dal
23
panico, Creonte cede e cerca di salvare Antigone. Corre alla caverna dove è
sepolta, ma Antigone è già morta. Emone tenta allora di uccidere suo padre, ma
non vi riesce e a sua volta si toglie la vita. La moglie di Creonte, Euridice, udita la
sorte toccata al figlio, si uccide, maledicendo il marito come l’assassino dei suoi
figli. Creonte riconosce la distruzione del suo mondo e la sconfitta dei suoi
principi ammette il suo fallimento morale.
6 - Conclusioni
Siamo ora in grado di poter rispondere alla questione sollevata all’inizio. Il mito
di Edipo, così come ci viene presentato nella trilogia di Sofocle, è imperniato
nell’incesto ? L’assassinio del padre è forse l’espressione simbolica di un odio
causato dalla gelosia? La risposta, benché dubbia alla fine dell’Edipo Re, si palesa
nella parte conclusiva dell’Antigone. Non è Edipo, ma Creonte, a essere sconfitto
alla fine, e con lui il principio autoritario della dominazione di un uomo su altri
uomini, del padre sul figlio e della dittatura sul popolo. Se accettiamo la teoria
delle forme matriarcali di società e di religione, non sembra esservi più alcun
dubbio che Edipo, Emone e Antigone siano i rappresentati degli antichi principi
matriarcali, di eguaglianza e di democrazia, in contrasto con Creonte, che
rappresenta la dominazione patriarcale e l’obbedienza.
da E. Fromm ‘Il linguaggio dimenticato’, Gruppo Editoriale Fabbri Bompiani Sonzogno
Etas S.p.a., Milano, 1981 (Estratti pag. 7-27, 188-220)
24
U. ECO8 –IL MITO DI SUPERMAN
1. Simboli e cultura di massa
2. Il mito di Superman
3. La struttura del mito e la civiltà del romanzo
4. L'intreccio e il consumo del personaggio
5. Tempo, libertà, responsabilità
6. Un intreccio senza consumo
7. Superman come modello di eterodirezione
8. Difesa dello schema iterativo
9. Lo schema iterativo come messaggio ridondante
10. Coscienza civile e coscienza politica
1. Simboli e cultura di massa
II problema che vorremmo affrontare richiede una definizione preliminare, e tutto
sommato accettabile, di mitizzazione
come simbolizzazione inconscia,
identificazione dell'oggetto con una somma di finalità non sempre razionalizzabili,
proiezione nell'immagine di tendenze, aspirazioni, timori particolarmente
emergenti in un individuo, in una comunità, in un'intera epoca storica.
In una società di massa nell'epoca della civiltà industriale, osserviamo infatti un
processo di mitizzazione affine a quello delle società primitive e che tuttavia
procede spesso, all'inizio, secondo la meccanica mitopoietica9 messa in opera dal
poeta moderno. Si tratta cioè dell'identificazione privata e soggettiva, in origine, tra
un oggetto o un'immagine e una somma di finalità, ora coscienti ora inconsce, in
modo che si attui un'unità tra immagine e aspirazioni (e che ha molto dell'unità
magica sulla quale il primitivo basava la propria operazione mitopoietica).
Se il bisonte disegnato sulla parete della caverna preistorica s'identificava col
bisonte reale, garantendo dunque al pittore il possesso della bestia attraverso il
possesso dell'immagine, e avvolgendo dunque l'immagine di un'aura sacrale, non
diversamente accade oggi quando la nuova automobile, quanto più possibile
costruita secondo modelli formali che fanno leva su una sensibilità
archetipica10,diventa a tal punto un segno di uno status economico da identificarsi
8
Umberto Eco Nato ad Alessandria il 15 gennaio 1932, si è laureato in filosofia presso l'Università degli
Studi di Torino. Dal 1971 è professore ordinario di Semiotica presso l'Università degli Studi di Bologna.
Ha precedentemente insegnato nelle università di Firenze, Sao Paulo (Brasile), Chicago, Yale e New
York.
I suoi campi d'interesse sono molteplici, dalla storia dell'estetica alle poetiche d'avanguardia, alle
comunicazioni di massa. A quest’ultimi si è interessato fin dalla fine degli anni ’50, dopo una breve
esperienza come dirigente della Rai, facendone, tra i primi, oggetto di studio insieme alla cultura di
massa fino allora “sdegnate”dagli studiosi in quanto lontani dai canoni letterari e artistici della cultura
vera e propria.
Ha esordito nella narrativa nel 1980 con Il nome della rosa, che ha avuto subito un grande successo e lo
ha reso conosciuto al grande pubblico. Il libro, un giallo gotico d'ambientazione medievale e
conventuale, è stato tradotto in 32 lingue e poi adattato per un film diretto da Jean Claude Annaud nel
1986.
9
Relativo alla creazione di miti.
10
Primitiva, inconscia.
25
con esso. La moderna sociologia, da T.Veblen all'analisi popolare e divulgativa di
V. Packard 11,
ci ha convinto del fatto che in una società industriale i cosiddetti "simboli di status"
pervengono in definitiva a identificarsi con lo status stesso: raggiungere uno status
vuol dire possedere un certo tipo di macchina, un certo tipo di televisore, un certo
tipo di casa con un certo tipo di piscina; ma al tempo stesso ciascuno degli elementi
posseduti, macchina, frigorifero, casa, televisore, diventa simbolo tangibile della
situazione complessiva. L'oggetto è la situazione sociale e nel contempo ne è il
segno: di conseguenza non ne costituisce solo il fine concreto perseguibile, ma il
simbolo rituale, l'immagine mitica in cui si condensano aspirazioni e desideri. È la
proiezione di ciò che vorremmo essere.
In altri termini, nell'oggetto, inizialmente visto come manifestazione della propria
personalità, si annulla la personalità.
Ora, tale mitopoietica ha caratteri d'universalità perché di fatto è comune a tutta
una società; ed ha le caratteristiche della creazione dal basso. Ma al tempo stesso
viene proposta dall'alto, perché un'automobile diventa simbolo di status non solo
per tendenza mitizzante che parte inconsciamente dalle masse, ma perché la
sensibilità di queste masse viene istruita, diretta e provocata dall'azione di una
società industriale basata sulla produzione e sul consumo obbligatorio e accelerato.
Di fronte dunque a queste nuove situazioni mitopoietiche ci pare che il
procedimento da seguire debba possedere due qualità: da un lato una ricerca degli
obiettivi che l'immagine incarna, di ciò che sta dopo l'immagine dall'altro un
processo di demistificazione che consiste nell'identificare ciò che sta dietro
l'immagine, e quindi non solo le esigenze inconsce che l'hanno promossa ma anche
le esigenze consce di una pedagogia paternalistica, di una persuasione occulta
motivata da fini economici determinati.
La civiltà di massa ci offre un evidente esempio di mitizzazione nella produzione
dei mass media e in particolare nell'industria delle comic strips, i "fumetti".
Esempio evidente e singolarmente adatto al nostro scopo, perché qui assistiamo
alla compartecipazione popolare di un repertorio mitologico chiaramente istituito
dall'alto, e cioè creato dall'industria giornalistica peraltro particolarmente sensibile
agli umori del proprio pubblico, di cui deve fronteggiare la richiesta.
2. _________________________________________________________________
Un'immagine simbolica di particolare interesse è quella di Superman. L'eroe fornito
di poteri superiori a quelli dell'uomo comune è una costante della immaginazione
popolare, da Ercole a Sigfrido, da Orlando a Pantagruel sino a Peter Pan. Spesso la
11
Thorstein Bunde Veblen ( 1857-1929) è stato un economista e sociologo statunitense. La sua opera
principale è “La teoria della classe agiata”(1899), in cui sostiene che la proprietà privata non risponde
solo a necessità di sussistenza, ma va interpretata come un segno di distinzione e di prestigio sociale che
si aggiunge alle qualità personali. Per questo la ricchezza non viene solo accumulata, ma mostrata in
società attraverso l'ostentazione di beni costosi; ciò porta anche ad un singolare gusto, per cui il valore
estetico di un oggetto è legato strettamente al suo costo economico.
Nel 1957 il sociologo americano Vance Packard (1914-96) pubblica “I persuasori occulti”, dove
analizzava i meccanismi che determinano il consenso dell'opinione pubblica, grazie alla comunicazione
televisiva soprattutto quella pubblicitaria. I professionisti della comunicazione sono descritti dall’autore
come, appunto, "persuasori occulti", perché utilizzano tecniche che tendono a influenzare il consumatore
agendo sul suo subconscio.
26
virtù dell'eroe si umanizza, e i suoi poteri più che soprannaturali sono l'alta
realizzazione di un potere naturale, l'astuzia, la velocità, l'abilità bellica, addirittura
l'intelligenza sillogizzante e il puro spirito d'osservazione, come avviene in
Sherlock Holmes. Ma in una società particolarmente livellata, in cui le turbe
psicologiche, le frustrazioni, i complessi d'interiorità sono all'ordine del giorno; in
una società industriale dove l'uomo diventa numero nell'ambito di
un'organizzazione che decide per lui, dove la forza individuale, se non esercitata
nell'attività sportiva, rimane umiliata di fronte alla forza della macchina che agisce
per l'uomo e determina i movimenti stessi dell'uomo - in una società di tale tipo
l'eroe positivo deve incarnare oltre ogni limite pensabile le esigenze di potenza che
il cittadino comune nutre e non può soddisfare.
Superman è il mito tipico di un tale genere di lettori: Superman non è un terrestre,
ma arrivo sulla terra, ancora fanciullo dal pianeta Kripton. Kripton stava per essere
distrutto da una catastrofe cosmica e il padre di Superman, abile scienziato, era
riuscito a mettere in salvo il proprio figlio affidandolo a un veicolo spaziale.
Cresciuto sulla terra, Superman si trova dotato di poteri sovrumani. La sua forza è
praticamente illimitata, egli può volare nello spazio a una velocità pari a quella
della luce, e quando viaggia a velocità superiore alla luce allora infrange la barriera
del tempo e può trasferirsi in altre epoche. Con la semplice pressione delle mani
può sottoporre il carbone a una tale temperatura da mutarlo in diamante; in pochi
secondi, a velocità supersonica, può abbattere una intera foresta, trarre dagli alberi
legno e fabbricarvi un villaggio o una nave; può perforare montagne, sollevare
transatlantici, abbattere o edificare dighe; la sua vista ai raggi X gli permette di
vedere attraverso qualsiasi corpo a distanze praticamente illimitate, di fondere con
lo sguardo oggetti di metallo; il suo super udito lo pone in condizioni
vantaggiosissime, consentendogli di ascoltare discorsi da qualsiasi punto
provengano. È bello, umile, buono e servizievole: la sua vita è dedicata alla lotta
contro le forze del male e la polizia ha in lui un collaboratore instancabile.
Tuttavia l'immagine di Superman non è al di fuori di ogni possibilità di
identificazione per il lettore. Infatti Superman vive tra gli uomini sotto le mentite
spoglie del giornalista Clark Kent; e come tale è un tipo apparentemente pauroso,
timido, di mediocre intelligenza, un po' goffo, miope, succube della matriarcale e
vogliosissima collega Lois Lane che tuttavia lo disprezza, essendo pazzamente
innamorata di Superman. Narrativamente la doppia identità di Superman ha una
ragion d'essere perché permette di articolare in modo assai vario la narrazione delle
avventure del nostro, gli equivoci, i colpi di scena, una certa suspense da romanzo
giallo. Ma dal punto di vista mitopoietico la trovata è poi addirittura sapiente:
infatti Clark Kent impersona in modo abbastanza tipico il lettore medio assillato da
complessi e disprezzato dai suoi simili; attraverso un ovvio processo di
identificazione, qualsiasi accountant12 di qualsiasi città americana nutre
segretamente la speranza che un giorno, dalle spoglie della sua attuale personalità,
possa fiorire un superuomo capace di riscattare anni di mediocrità.
3. _________________________________________________________________
Stabilita pertanto la innegabile connotazione mitologica del personaggio, occorrerà
individuare le strutture narrative attraverso le quali il "mito" viene quotidianamente
12
Impiegato, simbolo dell’uomo qualunque che condivide vita e destino della maggioranza.
27
o settimanalmente offerto al suo pubblico. C'è infatti una differenza fondamentale
tra una figura quale Superman e figure tradizionali quali gli eroi della mitologia
classica, nordica o le figure delle religioni rivelate.
L'immagine religiosa tradizionale era quella di un personaggio, di origine divina o
umana, che nell'immagine rimaneva fissato nelle sue caratteristiche eterne e nella
sua vicenda irreversibile. Non era escluso che dietro al personaggio esistesse, oltre
che un insieme di caratteristiche, una storia: ma la storia si era già definita secondo
uno sviluppo determinato e veniva a costituire la fisionomia del personaggio in
modo definitivo.
In altri termini, una statua greca poteva rappresentare Ercole o una scena delle
fatiche di Ercole; in entrambi i casi, nel secondo più che nel primo, Ercole veniva
visto come qualcuno che aveva avuto una storia e questa storia caratterizzava la sua
fisionomia divina. Comunque la storia era avvenuta e non poteva più essere negata.
Ercole si era concretato in uno sviluppo temporale di eventi, ma questo sviluppo si
era conchiuso e l'immagine simboleggiava, col personaggio, la storia del suo
sviluppo, ne era la registrazione definitiva e il giudizio.
II personaggio dei fumetti nasce invece nell'ambito di una civiltà del romanzo. Il
racconto in auge presso antiche civiltà era quasi sempre il racconto di qualcosa già
avvenuto e già conosciuto dal pubblico. Si poteva raccontare per l'ennesima volta la
storia di Orlando Paladino, ma il pubblico già sapeva cosa era successo al suo eroe.
Il pubblico non pretendeva di sapere qualcosa di assolutamente nuovo, ma di sentir
raccontare in modo piacevole un mito, ripercorrendo lo sviluppo conosciuto del
quale ogni volta poteva compiacersi in modo più intenso e ricco. Le varie
aggiunzioni e gli abbellimenti romanzeschi non mancavano, ma non intaccavano la
definitorietà del mito narrato. Non diversamente funzionavano i racconti plastici e
pittorici delle cattedrali gotiche o delle chiese rinascimentali e controriformistiche.
Si narrava, spesso in modo drammatico e mosso, il già avvenuto.
La tradizione romantica (e qui non conta se le radici di questo atteggiamento si
pongano assai prima del romanticismo) ci offre invece un racconto in cui l'interesse
principale del lettore viene spostato sull'imprevedibilità di quello che avverrà, e
quindi sull'invenzione dell'intreccio, che viene a porsi in primo piano. La vicenda
non è avvenuta prima del racconto; avviene mentre si racconta, e
convenzionalmente l'autore stesso non sa cosa succederà.
... Questa nuova dimensione del racconto viene pagata con una minore
"mitizzabilità" del personaggio. Il personaggio del mito incarna una legge, una
esigenza universale, e deve in una certa misura essere quindi prevedibile, non può
riservarci sorprese; il personaggio del romanzo vuole essere invece un uomo come
tutti noi, e quello che potrà accadergli è altrettanto imprevedibile di quello che
potrebbe accadere a noi. Il personaggio assumerà così quella che chiameremo una
"universalità estetica", una sorta di compartecipabilità, una capacità di farsi termine
di riferimento di comportamenti e sentimenti che appartengono anche a tutti noi,
ma non assume l'universalità propria del mito, non diventa il geroglifico, l'emblema
di una realtà soprannaturale, perché esso è il risultato della resa universale di una
vicenda particolare.
Il personaggio mitologico del fumetto si trova ora in questa singolare situazione:
esso deve essere un archetipo, la somma di determinate aspirazioni collettive, e
quindi deve necessariamente immobilizzarsi in una sua fissità emblematica che lo
renda facilmente riconoscibile (ed è quello che accade per la figura di Superman);
ma poiché è commerciato nell'ambito di una produzione "romanzesca" per un
pubblico che consuma "romanzi", deve essere sottoposto a quello sviluppo che è
caratteristico, come abbiamo visto, del personaggio del romanzo.
28
Per risolvere una situazione del genere si hanno compromessi di vario tipo, e un
esame delle vicende dei comics sotto questo punto di vista sarebbe altamente
istruttivo. Noi ci limiteremo ad esaminare in questa sede la figura di Superman
perché con esso ci troviamo di fronte all'esempio limite, il caso in cui il
protagonista ha in partenza e per definizione tutte le caratteristiche dell'eroe mitico,
trovandosi nel contempo immesso in una situazione romanzesca di stampo
contemporaneo.
4. _________________________________________________________________
Un intreccio tragico, stabilisce Aristotele, si ha quando al personaggio accadono
una serie di avvenimenti, peripezie e agnizioni, casi pietosi e terrifici, culminanti in
una catastrofe; un intreccio romanzesco si ha, aggiungeremo, quando questi nodi
drammatici si sviluppano in una serie continua e articolata che, nel romanzo
popolare, divenendo fine a se stessa, deve proliferare quanto più possibile ad
infinitum. I Tre moschettieri le cui avventure continuano in Venti anni dopo e si
concludono, a fatica, nel Visconte di Bragelonne (ma ecco che intervengono
narratori parassiti che continuano a narrarci le avventure dei figli dei moschettieri,
o l'urto tra d'Artagnan e Cyrano di Bergerac, e cosi via) sono un esempio di
intreccio narrativo che si moltiplica come una tenia e che appare tanto più vitale
quanto più sa sostenersi attraverso una serie indefinita di contrasti, opposizioni,
crisi e soluzioni.
Ora Superman, che è per definizione il personaggio che nulla può contrastare, si
trova nella preoccupante situazione narrativa di essere un eroe senza avversario e
quindi senza possibilità di sviluppo. A ciò si aggiunga che, per precise ragioni
commerciali (anche queste spiegabili attraverso una indagine di psicologia sociale),
le sue avventure vengono vendute a un pubblico pigro che sarebbe atterrito da uno
sviluppo indefinito dei fatti, tale da impegnare la sua memoria per più settimane di
seguito; ed ogni storia si conclude nel giro di poche pagine, anzi, ogni albo
settimanale si compone di due o tre storie complete, ciascuna delle quali pone,
sviluppa e risolve un particolare nodo narrativo senza lasciare altre scorie.
Esteticamente e commercialmente privato delle occasioni basilari per uno sviluppo
narrativo Superman pone seri problemi ai suoi soggettisti. Vengono via via
prospettate varie formule per provocare e giustificare un contrasto: Superman per
esempio è affetto da una debolezza, viene cioè reso praticamente inerme dalle
radiazioni della kriptonite, un metallo di origine meteoritica che naturalmente i suoi
avversari si procurano con ogni mezzo per neutralizzare il loro giustiziere. Ma una
creatura dotata di tali superpoteri, e di superpoteri intellettuali oltre che fisici, trova
facilmente il mezzo di trarsi da tali impacci, ed è ciò che Superman fa, uscendo
vincitore da simili vicende. Si consideri inoltre che, come tema narrativo, l'attentato
ai suoi poteri attraverso la kriptonite non offre una gamma tanto vasta di soluzioni,
e può essere usato solo con parsimonia.
Non rimane quindi che mettere Superman a confronto con una serie di ostacoli,
curiosi per la loro imprevedibilità, ma in definitiva sormontabili da parte dell'eroe.
In tal caso si ottengono due effetti: anzitutto si colpisce il lettore con la stranezza
dell'ostacolo, escogitando invenzioni diaboliche, apparizioni di esseri spaziali
curiosamente dotati, macchine capaci di far viaggiare nel tempo, astuzie di
scienziati malvagi per colpire Superman mediante la kriptonite, lotte di Superman
con creature dotate di poteri pari o equivalenti ai suoi, come lo gnomo Mxyzptlk,
29
che viene dalla quinta dimensione e che può esservi ricacciato solo se Superman
riesce a fargli pronunciare il proprio nome a rovescio (Kltpzyxm), e cosi di seguito;
in secondo luogo, grazie alla indubbia superiorità dell'eroe, la crisi viene superata
rapidamente e il racconto può mantenersi nel limite della short story.
Ma questo non risolve nulla. Infatti, vinto l'ostacolo, e vintolo entro un termine
prefissato dalle esigenze commerciali, Superman ha pur sempre compiuto qualcosa;
il personaggio di conseguenza ha fatto un gesto che si inscrive nel suo passato e
grava sul suo futuro; in altre parole ha fatto un passo verso la morte, è invecchiato
sia pure di un'ora, ha accresciuto in modo irreversibile il magazzino delle proprie
esperienze. Agire, quindi, per Superman come per qualsiasi altro personaggio (e
per ciascuno di noi) significa consumarsi.
Ora Superman non può consumarsi, perché un mito è inconsumabile. Il
personaggio del mito classico, si è visto, diventava inconsumabile proprio perché
all'essenza della parabola mitologica apparteneva l'essersi egli già consumato in
qualche azione esemplare; oppure gli era del pari essenziale la possibilità di una
rinascita continua, simboleggiando egli qualche ciclo vegetativo o comunque una
certa quale circolarità degli eventi e della vita stessa. Ma Superman è mito a
condizione di essere creatura immessa nella vita quotidiana, nel presente,
apparentemente legato alle nostre stesse condizioni di vita e di morte, anche se
dotato di facoltà superiori Superman immortale non sarebbe più uomo, ma dio, e
l'identificazione del pubblico con la sua doppia personalità (quella identificazione
per cui è stata escogitata la doppia identità) cadrebbe nel vuoto.
Superman deve dunque rimanere inconsumabile e tuttavia consumarsi secondo i
modi dell'esistenza quotidiana. Possiede le caratteristiche del mito intemporale, ma
viene accettato solo perché la sua azione si svolge nel mondo quotidiano e umano
della temporalità. Il paradosso narrativo che i soggettisti di Superman devono in
qualche modo risolvere, anche senza esserne consci, esige una soluzione
paradossale nell'ordine della temporalità.
5. _________________________________________________________________
Ora, sino dalla definizione aristotelica che lo presenta come "il numero del
movimento secondo il prima e il dopo", il tempo implica una idea di successione; e
l'analisi di Kant ha stabilito in misura inequivocabile che questa idea debba essere
associata a una idea di causalità.
Il prima determina causalmente il dopo e la serie di queste determinazioni non può
essere risalita, almeno nel nostro universo (secondo il modello epistemologico13 col
quale ci spieghiamo il mondo in cui viviamo), ma è irreversibile.
… nell'ambito della nostra comprensione quotidiana degli eventi (e di conseguenza
nell'ambito della strutturazione di un personaggio narrativo) questa concezione del
tempo è quella che ci permette di muoverci e di riconoscere gli eventi e la loro
direzione.
Sia pure in altri termini, ma sempre in base all'ordine dei prima e dei dopo e della
causalità del prima sul dopo (accentuando diversamente la determinatività del
prima sul dopo), esistenzialismo e fenomenologia14 hanno spostato il problema del
tempo nell'ambito delle strutture della soggettività, e sul tempo hanno basato le loro
13
14
Relativo al processo attraverso cui conosciamo
Due correnti della filosofia del Novecento
30
discussioni circa l'azione, la possibilità, il progetto, la libertà. Il tempo come
struttura della possibilità è appunto il problema del nostro muoverci verso un
futuro, avendo alle spalle un passato; e sia che questo passato venga visto come
blocco rispetto alla nostra libertà di progettare (progetto che ci impone in definitiva
di scegliere ciò che siamo già stati), sia che sia inteso come fondamento delle
possibilità a venire, e quindi possibilità di conservazione o mutamento di ciò che si
è stati, entro limiti determinati di libertà, ma pure sempre in termini di processo e di
operatività progrediente e positiva … in tutti questi e in altri casi la condizione e le
coordinate delle nostre decisioni sono state identificate nelle tre estasi della
temporalità15 e in un articolato rapporto tra di esse.
… le mie possibilità di scegliere o di non scegliere un futuro dipendono comunque
dai gesti che ho fatto e che mi hanno costituito come punto di partenza delle mie
decisioni possibili. E subito, appena decisa, la mia decisione, costituendosi in
passato, modifica ciò che io sono e offre un'altra piattaforma ai progetti successivi.
Se ha qualche significato porre in termini filosofici il problema della libertà e della
responsabilità delle nostre decisioni, la base argomentativa, il punto di partenza per
una fenomenologia16 di questi atti, è sempre la struttura della temporalità. In effetti
il passato mi determina e perciò determina anche il mio futuro, ma il futuro, a sua
volta, libera il passato…
Dunque ogni volta che progetto avverto la tragicità della condizione in cui sono,
senza poterne uscire; ma tuttavia progetto proprio perché a questa tragicità
oppongo la possibilità di una positività, che è il mutamento di ciò che è, che io
attuo nel protendermi verso il futuro. Progetto, libertà e condizione si articolano
dunque mentre io avverto questa connessione di strutture del mio agire secondo
una dimensione di responsabilità.
In altri termini dunque l'essere io situato in una dimensione temporale fa si che
avverta la gravita e la difficoltà delle mie decisioni, ma che avverta in pari tempo il
fatto che devo decidere, che sono io a dover decidere e che questo mio decidere si
collega a una serie indefinita di dover-decidere che coinvolge tutti gli altri uomini.
6. _________________________________________________________________
Se, nella varietà delle accentuazioni, su questa concezione del tempo si basano le
discussioni contemporanee che coinvolgono l'uomo in una meditazione sul suo
destino e sulla sua condizione, a questa concezione del tempo la struttura narrativa
di Superman decisamente si sottrae per salvare la situazione che già avevamo
raffigurato.
In Superman entra dunque in crisi una concezione del tempo, si frantuma la
struttura stessa del tempo, e ciò non avviene nell'ambito del tempo di cui si
racconta ma del tempo in cui si racconta. Vale a dire che, se anche nelle storie del
nostro personaggio si parla di fantastici viaggi nel tempo e Superman entra in
contatto con genti di diverse epoche, viaggiando nel futuro e nel passato, questo
non impedirebbe tuttavia al personaggio di trovarsi coinvolto in quella vicenda di
sviluppo e consumo che avevamo rilevato letale alla sua natura di figura mitica.
15
Passato, presente e futuro.
La fenomenologia consiste nello studio di come le cose si presentano alla coscienza dell’uomo. Essa
costituisce la modalità di fare filosofia della corrente filosofica che porta il suo nome, modalità che ha
caratterizzato la scuola che porta lo stesso nome e che è stata citata prima.
16
31
Nelle storie di Superman, invece, il tempo che viene messo in crisi è il tempo del
racconto, vale a dire la nozione di tempo che collega un racconto all'altro.
Nell'ambito di una storia Superman compie una data azione (sgomina ad esempio
una banda di gangsters), a questo punto la storia finisce. Nello stesso comic book, o
la settimana successiva, inizia una nuova storia. Se essa riprendesse Superman al
punto in cui lo aveva lasciato Superman avrebbe fatto un passo verso la morte.
D'altra parte iniziare una storia senza mostrare che in precedenza ve ne era stata
un'altra, riuscirebbe per un poco a sottrarre Superman alla legge del consumo, ma a
lungo andare (Superman dura dal 1938) il pubblico se ne renderebbe conto e
avvertirebbe la comicità della situazione.
I soggettisti di Superman hanno invece escogitato una soluzione molto più accorta
è indubbiamente originale. Queste storie si sviluppano così in una sorta di clima
onirico - del tutto inavvertito dal lettore - in cui appare estremamente confuso cosa
sia avvenuto prima e cosa sia avvenuto dopo, e chi racconta riprende
continuamente il filo della vicenda come se si fosse dimenticato di dire qualcosa e
volesse aggiungere particolari a quanto aveva già detto.
Avviene quindi che a lato delle storie di Superman si raccontino le storie di
Superboy, vale a dire di Superman quando era ragazzo, o di Superbaby, e cioè
Superman da piccolissimo. Che a un certo punto sia apparsa in scena anche
Supergirl, una cugina di Superman anch'essa scampata dalla distruzione di Kripton,
e che quindi tutte le vicende concernenti Superman vengano in un certo modo
"ridette" per tener conto anche della presenza di questo nuovo personaggio che non
era stato menzionato fino ad ora, si dice, perché viveva sotto mentite spoglie in un
collegio femminile, attendendo la pubertà per poter essere presentata al mondo; ma
si torna indietro a raccontare in quali e quanti casi essa, di cui non si era detto nulla,
si fosse tuttavia trovata presente a molte delle avventure in cui avevamo visto
coinvolto il solo Superman. Si immagina, attraverso la soluzione di viaggi nel
tempo, che Supergirl, contemporanea di Superman, possa incontrare nel passato
Superboy e giocare con lui; e persino che Superboy, superata per puro incidente la
barriera del tempo, si incontri con Superman, e quindi col se stesso di molti anni
dopo. Ma poiché anche un fatto del genere potrebbe compromettere il personaggio
in una serie di sviluppi capaci di influenzare le sue azioni successive, ecco che,
finita la storia si insinua il sospetto che Superboy abbia sognato, e si sospende
l'assenso a quanto è stato detto. Su questa linea la soluzione più originale è
indubbiamente quella degli imaginary tales: avviene infatti che sovente il pubblico,
attraverso la piccola posta, richieda ai soggettisti sviluppi narrativi gustosi; ad
esempio, perché Superman non sposa la giornalista Lois Lane che lo ama da tanto
tempo ? Ora se Superman sposasse Lois Lane farebbe, come si è già detto, un altro
passo in direzione della morte, porrebbe una premessa irreversibile; e tuttavia
occorre trovare sempre nuovi stimoli narrativi e soddisfare le esigenze
"romanzesche" del pubblico. Si racconta cosi "cosa sarebbe accaduto se Superman
avesse sposato Lois. Si sviluppa tale premessa in tutte le sue implicanze
drammatiche e alla fine si avverte: badate, questa era una storia "immaginaria" che
in verità non si è verificata.
Gli imaginary tales sono frequenti, e cosi gli untold tales, vale a dire i racconti che
concernono avvenimenti già raccontati, ma in cui "si era trascurato di dire
qualcosa", per cui li si ridice sotto un altro punto di vista, scoprendone aspetti
laterali. In questo bombardamento massiccio di avvenimenti che non sono più
collegati da alcun filo logico e non sono più mutuamente dominati da alcuna
necessità, il lettore, naturalmente senza avvedersene, smarrisce la nozione
dell'ordine temporale. E gli accade di vivere in un universo immaginativo in cui, a
differenza di quanto accade nel nostro, le catene causali non siano aperte (A
32
provoca B, B provoca C, C provoca D e cosi via all'infinito) ma chiuse (A provoca
B, B provoca C, C provoca D e D provoca A), e non abbia più senso quindi parlare
di quell'ordine del tempo in base al quale descriviamo abitualmente gli accadimenti
del macrocosmo.
Superman si sostiene come mito solo se il lettore perde il controllo dei rapporti
temporali e rinuncia a ragionare in base ad essi, abbandonandosi così al flusso
incontrollabile delle storie che gli vengono dette e mantenendosi nell'illusione di un
continuo presente. Poiché il mito non è isolato esemplarmente in una dimensione di
eternità ma, per essere compartecipabile, deve essere immesso nel flusso della
storia in atto, questa storia in atto viene negata come flusso e vista come presente,
immobile.
Nell'assuefarsi a questo esercizio di presentificazione continua di ciò che accade, il
lettore perde coscienza del fatto che invece ciò che accade deve svolgersi secondo
le coordinate delle tre estasi temporali. Perdendo coscienza di esse, dimentica i
problemi che su queste si basano; l'esistenza cioè di una libertà, della possibilità di
far progetti, del dovere di farli, del dolore che questo progettare comporta, della
responsabilità che ne consegue, e infine dell'esistenza di tutta una comunità umana
la cui progressività sì basa sul mio far progetti.
7. _________________________________________________________________
L'analisi proposta sarebbe alquanto astratta, e potrebbe apparire apocalittica
(sembrerebbe insomma una sorta di variazione retorica, ad alto livello
problematico, di un fatto dalle dimensioni ben più ridotte) se l'uomo che legge
Superman e per cui Superman viene prodotto, non fosse quello stesso di cui ci
hanno parlato varie ricerche sociologiche e che è stato definito come uomo
"eterodiretto". Un uomo eterodiretto è un uomo che vive in una comunità ad alto
livello tecnologico e a particolare struttura sociale ed economica (in questo caso
basata su una economia di consumo), al quale viene costantemente suggerito
(attraverso la pubblicità, le trasmissioni televisive le campagne di persuasione che
si attuano in ogni aspetto della vita quotidiana) ciò, che deve desiderare e come
ottenerlo secondo certi canali prefabbricati che lo esentano dal progettare
rischiosamente e responsabilmente. In una società di questo tipo la stessa scelta
ideologica viene "imposta" attraverso una oculata amministrazione delle possibilità
emotive dell'elettore, non promossa attraverso uno stimolo alla riflessione e alla
valutazione razionale. Un motto come “I like Ike” rivela in fondo tutto un mondo
di procedere; infatti con esso non si dice all'elettore "tu devi votare per la tale
persona per i seguenti motivi che sottoponiamo alla tua riflessione" (ed anche il
manifesto colorato col cosacco che abbevera il cavallo nelle acquasantiere di San
Pietro o col grasso capitalista che, sottobraccio a un ecclesiastico, mangia alle
spalle dell'operaio, rappresentano in fondo, sia pure al limite estremo, un esempio
di propaganda politica a struttura argomentativa, che chiede all'elettore di riflettere
su una possibilità negativa che conseguirebbe alla vittoria di un certo partito); ma si
dice: "tu devi avere voglia di questa cosa." Non lo si invita cioè a un progetto, ma
gli si suggerisce di desiderare qualcosa che altri hanno già progettato.
Nella pubblicità come nella propaganda e nei rapporti di human relations l'assenza
della dimensione "progetto" è in fondo essenziale allo stabilirsi di una pedagogia
paternalistica, la quale richiede appunto la persuasione segreta che il soggetto non
sia responsabile del proprio passato né padrone del proprio futuro, né infine
33
sottomesso alle leggi della progettazione secondo le tre estasi della temporalità
perché tutto questo implicherebbe fatica e dolore, mentre la società è in grado di
offrire all'uomo eterodiretto i risultati di progetti già fatti, tali da rispondere ai suoi
desideri, i quali desideri, poi, gli sono stati indotti in modo da fargli riconoscere, in
ciò che gli viene offerto, ciò che egli avrebbe progettato.
L'analisi delle strutture temporali in Superman ci ha offerto l'immagine di un modo
di raccontare che parrebbe fondamentalmente legato ai principi pedagogici che
governano una società del genere. È possibile stabilire connessioni tra i due
fenomeni affermando che Superman altro non sia che uno degli strumenti
pedagogici di questa società e che la distruzione del tempo che esso persegue faccia
parte di un progetto di desuefazione all'idea di progetto di autoresponsabilità?
8. _________________________________________________________________
Si potrebbe ora osservare che una serie di eventi, che si ripetono secondo uno
schema fisso (iterativamente, così che ogni evento riprenda da una sorta di inizio
virtuale, ignorando il punto di arrivo dell'evento precedente) non è nuovo nella
narrativa popolare, anzi ne costituisce una delle forme più caratteristiche.
D'altra parte la "trovata" dell'iterazione è quello su cui si fondano certi meccanismi
dell'evasione, quali si realizzano ad esempio nella ricezione delle scenette
pubblicitarie del "Carosello"17 televisivo: dove si segue distrattamente lo svolgersi
di uno sketch, per appuntare poi la propria attenzione sulla battuta risolutiva finale
("Non ho usato la brillantina Linetti," "Lombardi x'è bon," "E mo' ...Moplen") - che
ritorna puntualmente ad ogni chiusura di vicenda, e sul cui ritorno, previsto e
atteso, è fondato il nostro modesto ma inconfutabile piacere.
Non a caso "Carosello" è la trasmissione televisiva che attira maggiormente i
bambini … il meccanismo su cui riposa il godimento dell'iterazione è tipico
dell'infanzia e sono i bambini quelli che chiedono di sentire non una nuova storia,
bensì la storia che conoscono già e che è stata raccontata loro parecchie volte.
Ora un meccanismo di evasione, nel quale si realizzi una regressione all'infanzia di
proporzioni cosi ragionevoli, può essere visto con occhio indulgente: e c'è da
chiedersi se, mettendolo sotto accusa, non si arrivi a costruire teorie vertiginose su
fatti banali e sostanzialmente normali. Si è definito il piacere dell'iterazione come
uno dei fondamenti dell'evasione, del gioco. E nessuno può negare la funzione
salutare dei meccanismi ludici ed evasivi.
Analizziamo per esempio il nostro atteggiamento di spettatori televisivi di fronte a
un giallo di Perry Mason. Anche qui, in ogni "numero", la perizia dell'autore e
dello sceneggiatore tende a inventare una situazione che sia diversa dalle
precedenti; ma il nostro godimento non si basa che minimamente su queste
diversità. Di fatto noi godiamo la reiterazione dello schema di base, la situazione
"delitto - incriminazione dell'innocente - intervento di Mason - fasi del processo interrogatorio dei testimoni - nequizia del procuratore generale - asso nella manica
dell'avvocato del diavolo -scioglimento felice della vicenda con colpo di scena
finale". Un episodio di Perry Mason non è uno short pubblicitario che seguiamo
17
Nome che era stato dato, all’interno del palinsesto televisivo, alla trasmissione di alcuni messaggi
pubblicitari che venivano mandati in onda dopo il telegiornale e prima degli appuntamenti di prima
serata. All’epoca, anni sessanta, costituiva l’unica importante interruzione pubblicitaria dei programmi
televisivi.
34
distrattamente, è qualcosa che decidiamo di vedere e per cui apriamo
appositamente il televisore. Se analizziamo a fondo il movente primo, e ultimo, di
questa nostra decisione, troveremo che alla base sta il profondo desiderio di
ritrovare ancora una volta uno schema.
L'atteggiamento non è solo dello spettatore televisivo. Il lettore di libri gialli potrà
facilmente compiere una onesta autoanalisi per stabilire le modalità secondo cui li
"consuma". Anzitutto, in partenza, la lettura del romanzo giallo, almeno quello di
tipo tradizionale, presume la degustazione di uno schema : dal delitto alla scoperta
attraverso la catena delle deduzioni. Lo schema è talmente importante che gli autori
più celebri hanno fondato la loro fortuna sulla sua immutabilità. Si tratta di uno
schematismo stabile degli stessi sentimenti e degli atteggiamenti psicologici : nel
Maigret di Simenon o nel Poirot di Agatha Christie si ha il ricorrente moto di pietà
al quale il detective giunge attraverso una scoperta dei fatti, che coincide con una
immedesimazione nei moventi del colpevole un atto di charitas che si mescola,
anche se non si oppone, all'atto della giustizia che svela e condanna.
Non pago di questo, l'autore del giallo introduce poi di continuo una serie di
connotazioni (ad esempio le caratteristiche del poliziotto e del suo immediato
entourage), tali che il loro ricorrere in ogni storia sia condizione essenziale, della
sua piacevolezza. E abbiamo cosi i "tic" ormai storici di Sherlock Holmes, le vanità
puntigliose di Hercule Poirot, la pipa e i guai familiari di Maigret, sino alle
perversità quotidiane dei più spregiudicati eroi del giallo del dopoguerra, dall'acqua
di colonia e le Player's N. 6 dello Slim Callaghan di Peter Cheyney, al cognac col
bicchiere d'acqua gelata del Michael Shayne di Brett Halliday. Vizi, gesti, vezzi
quasi nervosi che ci permettono di ritrovare nel personaggio un vecchio amico e
che sono la condizione principale perché noi possiamo "entrare" nella vicenda.
Prova ne sia che se il nostro giallista preferito scrive una storia in cui non ci sia il
protagonista consueto, noi non ci rendiamo neppure conto che lo schema di base
rimane pur sempre quello di prima: leggiamo il libro con una sorta di distacco,
immediatamente portati a giudicarlo un'opera "minore", un fenomeno transitorio,
una battuta interlocutoria.
9 . ________________________________________________________________
È indubbio che meccanismi del genere si realizzano con maggiore insistenza nella
narrativa di consumo contemporanea più di quanto non accadesse nel romanzo
ottocentesco d'appendice dove, come già si è visto, la vicenda si fondava su uno
sviluppo e al personaggio si chiedeva di consumarsi sino a fondo, sino alla morte.
Pertanto rimarrebbe da chiedersi se i moderni meccanismi iterativi non rispondono
a qualche esigenza profonda dell'uomo contemporaneo, e perciò stesso non
appaiano più motivati e più giustificabili di quanto non si sarebbe disposti ad
ammettere a una prima ispezione.
Se esaminiamo lo schema iterativo dal punto di vista strutturale ci accorgiamo di
trovarci in presenza a un tipico messaggio ad alta ridondanza. Il gusto dello schema
iterativo si presenta dunque come un gusto della ridondanza. La fame di narrativa
d'intrattenimento basata su questi meccanismi è una fame di ridondanza. Sotto
questo aspetto la maggior parte della narrativa di massa è una narrativa della
ridondanza.
Paradossalmente, dunque, lo stesso romanzo giallo, che si sarebbe tentati di
ascrivere tra i prodotti che soddisfano il gusto dell'imprevisto e del sensazionale, di
35
fatto, alla radice, viene consumato proprio per le ragioni opposte, come invito a ciò
che è pacifico, scontato, familiare, prevedibile. L'ignorare il colpevole è elemento
accessorio, quasi pretestuoso; tanto è vero che nel giallo d'azione (dove l'iterazione
dello schema celebra i suoi fasti tanto quanto nel giallo d'indagine), la tensione
circa il colpevole molte volte non sussiste neppure; non si tratta di scoprire chi
abbia commesso un delitto, ma di seguire alcuni gesti "topici"18 di personaggi
"topici" di cui ormai amiamo i comportamenti fissi. Per spiegare questa "fame di
ridondanza" non occorrono ipotesi molto sottili. il romanzo d'appendice, fondato
sul trionfo dell'informazione, rappresentava il cibo preferito di una società che
viveva in mezzo a messaggi carichi di ridondanza: il senso della tradizione, le
norme del vivere assodato, i principi morali, le regole di comportamento operativo
valide nell'ambito della società borghese ottocentesca, di quel tipico pubblico che
rappresentava i consumatori del romanzo d'appendice, tutto ciò costituiva un
sistema di comunicazioni prevedibili che il sistema sociale emetteva all'indirizzo
dei suoi membri, e che facevano si che la vita scorresse senza sbalzi improvvisi,
senza sconvolgimenti delle tavole dei valori.
In una società industriale contemporanea, invece, l'avvicendarsi dei parametri, il
dissolversi delle tradizioni, la mobilità sociale, la consumabilità dei modelli e dei
principi, tutto si riassume sotto il segno di una continua carica informazionale che
procede per via di scosse robuste, implicando continui riassestamenti della
sensibilità, adeguamenti delle assunzioni psicologiche, riqualificazioni
dell'intelligenza. La narrativa della ridondanza apparirebbe allora, in questo
panorama, come un indulgente invito al riposo, l'unica occasione di reale
distensione offerta al consumatore. Al quale, di converso, l'arte "superiore" non fa
altro che proporre schemi in evoluzione, grammatiche in mutua eliminazione
dialettica, codici in avvicendamento continuo.
Non è naturale che anche il fruitore colto, che nei momenti di tensione intellettuale
chiede al quadro informale o al brano seriale stimoli per la propria intelligenza e la
propria immaginazione, nei momenti di rilassamento ed evasione (salutari e
indispensabili) tenda ai tasti della pigrizia infantile, e chieda al prodotto di
consumo di pacificarlo nell'orgia della ridondanza?
Non appena si consideri il problema sotto quest'angolo visuale si è tentati di
mostrare verso i fenomeni dell'intrattenimento evasivo (tra i quali rientrerebbe
anche il nostro mito di Superman) una maggiore indulgenza, rimproverandoci per
aver esercitato un acido moralismo, condito di filosofemi, su ciò che è innocuo e
forse benefico.
Ma il problema cambia aspetto nella misura in cui il piacere della ridondanza, da
momento di riposo, pausa nel ritmo convulso di una esistenza intellettuale
impegnata nella ricezione di informazioni, diventa la norma di ogni attività
immaginativa. In altre parole: per chi la narrativa della ridondanza costituisce una
alternativa ad altro, e per chi invece costituisce l'unica possibilità?
10. ________________________________________________________________
Le storie di Superman hanno una caratteristica in comune con una serie di altre
avventure imperniate su eroi dotati di superpoteri. Che in Superman i veri elementi
si fondino in un tutto più omogeneo, giustifica il fatto che vi abbiamo dedicato
18
Esemplare, caratteristico
36
un'attenzione speciale; e non è un caso se Superman è, tra gli eroi di cui parleremo,
il più popolare: non solo rappresenta il capostipite del gruppo (anzianità 1938), ma
di tutti questi personaggi è ancora quello tratteggiato più a fondo, dotato di una
personalità riconoscibile, scavato da un'aneddotica pluriennale. Se pure, per le
ragioni addotte, e per altre che vedremo, non può essere definito un tipo, di tutti i
suoi confratelli è quello che più potrebbe aspirare a tale titolo. Inoltre non va
taciuto che c'è sempre, nelle sue storie, un pizzico di ironia, una compiacente
indulgenza degli autori che, mentre disegnano il personaggio e le sue vicende, non
sono inconsapevoli di star montando, in fin dei conti, una "commedia" e non un
"dramma" o un romanzo d'avventure". È questa sapienza nel dosaggio degli effetti
romanzeschi, questo vendere il personaggio con un minimo indispensabile di
autoironia, che salva in parte Superman dalla banalità basso-commerciale, e ne fa
comunque un "caso". I suoi confratelli gli sono da meno, sono fantasmi che si
agitano di vignetta in vignetta, talmente fungibili che risulta impossibile
simpatizzare con essi, e tantomeno amarli.
Ma andiamo per ordine. Tra i vari super-eroi potremmo distinguere quelli dotati di
poteri ultra-umani e quelli dotati di normali caratteristiche terrestri, sia pure
potenziate al massimo grado. Tra i primi stanno Superman e The Manhunter from
Mars (Il Segugio di Marte). Del primo già sappiamo, quanto al secondo trattasi di
un marziano, trovatesi accidentalmente sulla Terra, dove persegue una azione di
missionariato poliziesco, celandosi sotto le mentite spoglie del detective John
Jones. Caratteristica del Segugio di Marte (il cui vero nome è J'onn J'onzz) è quella
di poter assumere con la massima facilità l'aspetto di qualsiasi individuo, nonché di
potersi smaterializzare attraversando così corpi solidi. Unico suo avversario, il
fuoco (che svolge qui la funzione della kriptonite di Superman)..
Tra gli eroi dotati di caratteristiche umane abbiamo anzitutto la coppia Batman e
Robin. Anche qui, due individui che si celano di solito sotto mentite spoglie (il
tema della doppia identità, per i motivi già addotti, è sostanziale, e non viene mai
trascurato) e che, al richiamo della polizia (un enorme pipistrello che si disegna
contro la cappa scura del cielo, grazie a un gioco di riflettori d'emergenza),
accorrono sul luogo dei vari crimini con un costume che arieggia alla forma del
pipistrello. Come per Superman e Il Segugio di Marte (e per gli altri che vedremo)
è sempre indispensabile che il costume sia comunque tipo calzamaglia elastica,
strettamente aderente; ciò che corrobora l'ipotesi di chi, come il già citato
Giammanco19, vedrebbe in questi eroi, e nelle loro condizioni di sodalizio
maschile, elementi omosessuali. Specialità di Batman e Robin è il lanciarsi di
edificio in edificio attraverso un acconcio gioco di lunghe funi, al limite
discendendo dal loro elicottero personale (a forma anch'esso di pipistrello, come a
forma di pipistrello sono la loro automobile e il loro motoscafo e in effetti ognuno
di questi veicoli è sempre nominato con il prefisso bat).
Ciascuno di costoro è dotato di poteri tali che potrebbe di fatto impadronirsi del
governo, sconfiggere un esercito, alterare l'equilibrio degli affari planetari. Se è
lecito qualche dubbio per Batman , per gli altri tre la somma delle loro possibilità
operative è fuori discussione. D'altra parte è chiaro che ciascuno di questi
personaggi è profondamente buono, morale, ligio alle leggi naturali ed umane, e
quindi è legittimo (ed è bello) che usi i propri poteri solo a fin di bene. In questo
senso il messaggio pedagogico di queste storie sarebbe, almeno a livello della
letteratura infantile, altamente accettabile, e gli stessi episodi di violenza di cui i
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Roberto Giammanco (1926), per molti anni ha insegnato filosofia in università americane occupandosi
contemporaneamente di ricerche nel campo delle scienze psico-sociali e della cultura di massa.
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vari racconti sono inframmezzati, apparirebbero finalizzati a questa riprovazione
terminale del male e al trionfo degli onesti.
Ma l'ambiguità dell'insegnamento appare nel momento in cui ci si domandi che
cosa sia il Bene. A questo punto basta riesaminare a fondo la situazione di
Superman, che riassume anche le altre, almeno nelle coordinate fondamentali.
Superman è praticamente onnipotente, delle sue capacità fisiche, mentali e
tecnologiche già si è detto. La sua capacità operativa si estende su scala cosmica.
Ora, un essere dotato di tali capacità, e votato al bene dell'umanità (poniamoci il
problema col massimo candore ma il massimo senso di responsabilità, dando tutto
per verosimile), avrebbe davanti a sé un immenso campo di azione. Da un uomo
che può produrre lavoro e ricchezza in dimensioni astronomiche nel giro di pochi
secondi, ci si potrebbero attendere i più sbalorditivi rivolgimenti dell'ordine
politico, economico, tecnologico del mondo. Dalla soluzione dei problemi della
fame, al dissodamento di aree inabitabili, dalla distruzione di sistemi inumani
(leggiamo pure Superman nello "spirito di Dallas": perché non va a liberare
seicento milioni di cinesi dal giogo di Mao?), Superman potrebbe esercitare il bene
a livello cosmico, galattico, e fornircene nel contempo una definizione che,
attraverso l'amplificazione fantastica, chiarificasse comunque precise linee etiche.
Invece Superman svolge la sua attività a livello della piccola comunità in cui vive
(Smallville nella fanciullezza Metropolis da adulto) e - come accadeva al villico
medievale, cui poteva accadere di conoscere la Terrasanta ma non la comunità,
chiusa e separata, che fioriva a cinquanta chilometri dal suo centro di vita - se pure
affronta con disinvoltura viaggi in altre galassie, ignora praticamente, non dico la
dimensione "mondo", ma la dimensione "Stati Uniti". Nell'ambito della sua little
town il male, l'unico male da combattere, gli si configura sotto specie di aderenti
all'underworld, al mondo sotterraneo della malavita, di preferenza occupato non a
contrabbandare stupefacenti ne - è evidente - a corrompere amministratori o uomini
politici, ma a svaligiare banche e furgoni postali. In altri termini, l'unica forma
visibile che assume il male è l'attentato alla proprietà privata.
Il male extra-spaziale è accessorio, è casuale, e assume sempre forme imprevedute
e transitorie: l'underworld è invece male endemico, come una sorta di filone
dannato che pervade il corso della storia umana, chiaramente divisa in zone dalla
incontrovertibilità manichea dove ogni autorità è fondamentalmente buona e
incorrotta, ogni malvagio è tale alle radici, senza speranza di redenzione. Come
altri ha detto, abbiamo in Superman un perfetto, esempio di coscienza civile
completamente scissa dalla coscienza politica. Il civismo di Superman è perfetto,
ma si esercita e si configura nell'ambito di una piccola comunità chiusa.
È singolare come, volgendosi al bene, Superman spenda enormi energie per
organizzare spettacoli di beneficenza, onde raccogliere denari per orfani e
indigenti. Il paradossale spreco di mezzi (la stessa energia potrebbe essere
impiegata per produrre direttamente ricchezze o per modificare radicalmente
situazioni più vaste) non cessa di colpire il lettore, che vede Superman
perennemente impegnato in spettacoli di tipo parrocchiale. Così come il male
assume il solo aspetto dell'offesa alla proprietà privata, il bene si configura
solamente come carità. Questa semplice equivalenza basterebbe a caratterizzare il
mondo morale di Superman. Ma di fatto ci si rende conto che Superman è costretto
a mantenere le propri operazioni nell'ambito di piccole e infinitesimali
modificazioni del fattuale, per gli stessi motivi elencati a proposito della staticità
delle sue trame: ogni modificazione generale spingerebbe il mondo, e Superman in
esso, verso il consumo.
D'altra parte sarebbe inesatto dire che la giudiziosa e dosata virtù di Superman
dipenda soltanto dalla struttura dell'intreccio, e cioè dall'esigenza di non farne
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scattare eccessivi e irrecuperabili sviluppi. È vero anche il contrario: che la
metafisica immobilistica sottesa a questa concezione dell'intreccio è la diretta, e
non voluta, conseguenza di un meccanismo strutturale complessivo, il quale appare
l'unico adatto a comunicare, attraverso la tematica individuata, un determinato
insegnamento. L'intreccio deve essere statico ed eludere ogni sviluppo perché
Superman deve far consistere la virtù in tanti piccoli atti parziali, mai in una presa
di coscienza totale. E la virtù, di converso, deve essere caratterizzata dal
compimento di atti soltanto parziali affinché l'intreccio risulti statico. Ancora una
volta il discorso riguarda non la precisa volontà degli autori, quanto il loro adattarsi
a una concezione di "ordine" che pervade il modello culturale in cui vivono e di cui
fabbricano, in scala ridotta, modellini "analoghi" con funzioni di rispecchiamento.
da Umberto Eco, “Apocalittici e integrati", Bompiani, 1964 (Estratti pag. 219-261)
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