109 - Sciroeu de Milan

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109 - Sciroeu de Milan
ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE
SCIROEU de MILAN
Anno XVII – Numero 109 – Maggio/Giugno 2015 – Registrazione del Tribunale di Milano N°789 del 24-12-1999
www.sciroeu.it
CULTURALMENTE
La cultura, insieme ad altre
forme di civiltà, dovrebbe
essere sempre promossa e
mai ostacolata. Lo scambio
mondiale di cui la nostra città è protagonista favorisce la
conoscenza di altre culture,
in modo diretto, integrando
quindi i pur validi mezzi di
comunicazione oggi presenti
nella nostra civiltà.
Assistiamo frequentemente
a proposte volte a portare il
nostro sapere verso civiltà di
altri continenti, di altre culture, che ci raccontano anche
del loro passato e delle loro
tradizioni.
Un esempio nel nuovo museo
di via Tortona (descritto in un
articolo interno) dove troviamo cimeli e “storie” a molti di
noi forse sconosciuti.
Mentre siamo propensi, correttamente, a saziare la nostra sete di sapere attraverso i media, e a queste iniziative che danno
lustro a Milano, assistiamo purtroppo, a un pericoloso disinteresse della nostra storia e della
nostra cultura come se non fossero in grado di
competere alla pari con altre.
Dobbiamo valorizzare, invece, le nostre risorse signiicative, dando vita e rinverdendo quelli
che sono stati i valori del nostro passato, ricco di
espressioni culturali.
L’Accademia del Dialetto Milanese, con i pochi
mezzi a disposizione, non demorde, non smette
di valorizzare e di far conoscere le radici culturali
della nostra città. Il dialetto, spesso ingiustamente relegato a forme di appartenenza politico/partitica, è invece proposto sul nostro periodico per
portare al più vasto pubblico un sofio di conoscenza.
Favorire una multietnicità culturale vuol dire
dare spazio a un interscambio di conoscenza, di
esperienza, di arte espressiva in ogni sua accezione, senza ignorare la propria ma rivalutandola ed
esaltandola, perché la cultura milanese e italiana
ha un vasto patrimonio storico e artistico.
Gianfranco Gandini
SOMMARIO
Accademia
del Dialetto Milanese
EDITORIALE
1
Culturalmente
di Gianfranco Gandini
PROGRAMMI E SEGNALAZIONI
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Tante culture, un unico museo
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di Francesca Piragine
CARLO PORTA
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da “Letteratura dialettale milanese” di Claudio Beretta
SCIROEU DE LA PRÒSA
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POESIA E STILE
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Per ricordà on poeta milanes: Giorgio Caprotti
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di Ella Torretta
MILAN... LA COGNOSSI? di Giorgio Moro Visconti
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Via Bonvesin da la Riva
LEGGIUU E SCOLTAA
VEDRINA DE LA BOTANICA a cura di Fior-ella
Melo, albero della vita e della conoscenza salviica
Il Manzoni che non conosciamo di Osmano Cifaldi
La quota può essere versata su
Banca Popolare del Commercio e
dell’Industria
Iban IT24H0504801613000000003602
Agenzia 33 – via Secchi 2 – Milano
oppure: C/C Postale N°24579203
“Accademia del Dialetto Milanese”
SCIROEU de MILAN
Edito dall’Accademia del Dialetto Milanese
Bimestrale fondato nel 1999
Reg. Trib. di Milano N°789 del 24-12-99
Direttore: Gianfranco Gandini
Fax 02 8266463
www.sciroeu.it
ACCADEMIA DEL DIALETTO MILANESE
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Manzoni nevrotico e inquieto
CUNTA SÙ di Ella Torretta
Quote annue di adesione del 2015
Soci Aderenti da € 35,00
Soci Effettivi da € 52,00
Soci Sostenitori da € 180,00
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Sede c/o Centro Culturale di Milano
Via Zebedia 2 - 20123 Milano
Tel. 3336995933
Fax 028266463
C.F. 97206790152 NAT. GIUR. 12
Presidente onorario: Gino Toller Melzi
Presidente: Gianfranco Gandini
Vicepresidente: Mario Scurati
Consiglieri: Ella Torretta - Segretaria
Edoardo Bossi
Lucio Calenzani
Pasqua sul “Monte Grona”
VOS DE RINGHERA
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SALUTE A MILANO di Filippo Bianchi
25
Le malattie croniche polmonari
FIRIFISS
27
Redazione: Edoardo Bossi,
Gianfranco Gandini,
Francesca Piragine
Gino Toller Melzi, Ella Torretta,
Marialuisa Villa Vanetti
Filippo Bianchi, Osmano Cifaldi,
Fior-ella,
Giorgio Moro Visconti
E-mail: [email protected]
Realizzazione e disegni di:
Marialuisa Villa Vanetti
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
PROGRAMMI
www.sciroeu.it
APPONTAMENT E MANIFESTAZION:
ATTENZIONE IMPORTANTE: Le prossime riunioni si terranno presso il
MUSEO MARTINITT E STELLINE Corso Magenta 57
Sabato 9 maggio
Sabato 6 giugno
h. 15.30
Gino Toller Melzi
conversazioni
“Storia di Milano”
il giovedì
dalle 16.30 alle 17.30
UNITRE
Sciroeu di Poetta
Assemblea ordinaria annuale
ore 14,30 prima convocazione
ore 15,30 seconda convocazione
a seguire se possibile Sciroeu di poetta
via Ariberto 11 - Milano
Manifestazion di amis
Ella Torretta
ADA LAUZI “I AMIS DE LA POESIA”
ogni terzo lunedì del mese alle 15.30
presso la Sala Leonardo Murialdo della omonima parrocchia,
via Padre Leonardo Murialdo, 9 - 20147 Milano
Per ulteriori informazioni prendere contatto con Ada Lauzi al numero 02 48302536
le conversazioni
“Freguj de milanes”
quindicinalmente
il giovedì alle 15.30
ed alle 16.30
“Scrivemm in milanes”
ultimo corso 7/5/2015
Humaniter
via S. Barnaba, 48 - Milano
El Pontesell - Biblioteca Fra’ Cristoforo - via Fra’ Cristoforo 6 - Milano
XVII Corso di Lingua e Cultura Milanese
tutti i Lunedì dalle 16.45 alle 19.15
Docenti: Paola Cavanna, Gianmaria Ferrari, Gianfranco Gandini, Bianca Mancuso, Pietro Passera,
Mario Torchio con la partecipazione di altri esperti. “Giornate riservate al poeta amico” e
“Giornate dedicate a canzoni di tradizione e cori”
Informazioni telefoniche dalle 17,00 alle 19,00 - 02 89530231 - 02 88465806 - 02 26145172
RADIO MENEGHINA
Radio Meneghina, fondata da Tullio Barbato nel 1976, sta riposizionando la sua presenza sul territorio a Milanocentro in via Caffaro e in via Trasimeno. Trasmette interventi di Luca Barbato, Mario Censabella, Ada Lauzi, Enzo
Ravioli, Roberto Carusi, Gianfranco Gandini, Roberto Marelli, Giuliano Fournier, Roye Lee, Piero Bianchi, Liliana
Feldman, Ella Torretta, Pierluigi Amietta, Natale Comotti, Vincenzo Barbieri, Roberto Biscardini, Michaela Barbato,
Lorenzo Barbato e le dirette delle partite di calcio casalinghe dell’Inter dallo stadio Meazza. Radio Meneghina è
l’emittente che riserva il maggiore spazio alla produzione dialettale di canzoni, poesie, prose.
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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ACCADEMIA
Tante culture, un unico museo
di Francesca Piragine
La realizzazione di una
società democratica non
può non passare attraverso la massima valorizzazione dell’interculturalità. Se questo è ciò in
cui crediamo dovremmo
imparare a rafinarne il
concetto, non limitandoci al solo riconoscimento
delle identità culturali
ma ponendoci in un’ottica di profonda conoscenza reciproca. Un
cammino culturale che
ci coinvolge come persone ma, anche e soprattutto, impegno sociale, da tradursi in azioni concrete
in ogni ambito.
Da anni Milano attende uno spazio museale dinamico, una cittadella della cultura che si ponga nella
prospettiva di generare interscambi. Quest’anno, insieme alla primavera, tra ritardi e polemiche su come
sarebbero stati condotti alcuni lavori, è arrivato il
MUDEC. Risultato di un’operazione di recupero di
archeologia industriale della ex fabbrica Ansaldo, il
tanto atteso museo ricopre un’area vastissima in via
Tortona. Disposto su tre piani, si caratterizza per una
particolare struttura in cristallo che crea una grande
sinuosa piazza, una sorta di futuristica corte interna
illuminata dall’alto.
Il Mudec è un esempio di governance in parternariato tra Comune di Milano e Sole 24 ore Cultura
- Gruppo Sole 24 ore, un connubio tra pubblico e
privato in cui i due
protagonisti dovranno lavorare insieme
nel rispetto delle
reciproche competenze. Al Comune è
demandata la direzione scientiica del
patrimonio, mentre
il Sole 24 ore Cultura, oltre alla gestione dei servizi di
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
accoglienza e di intrattenimento, sarà responsabile
della realizzazione delle mostre temporanee. E saranno tante, e tutte volte a valorizzare, con occhio
indagatore, le più disparate culture del mondo. Esattamente nella prospettiva in cui si pongono oggi le
due grandi mostre con cui il museo ha inaugurato il
26 marzo la sua attività.
Sono due retrospettive che vale la pena di visitare.
Africa. La terra degli spiriti è la prima grande mostra
dedicata all’arte africana subsahariana dal Medioevo ad oggi e che afianca capolavori noti alla nostra
cultura a manufatti artistici intimamente legati alle
tradizioni e al sentimento religioso del continente
africano. Articolata in modo particolarmente originale questa mostra aiuta a comprendere l’inluenza
dell’arte africana sulle avanguardie e la conseguente ricaduta sulla storia dell’arte occidentale. Forte è
l’impatto della prima grande sala
sul visitatore, che
rimane stupefatto dalla potenza
espressiva delle
opere e dall’allestimento di suggestiva bellezza.
Mondi a Milano illustra come il capoluogo lombardo ha
ACCADEMIA
presentato al grande pubblico le testimonianze delle
culture non europee nel corso dei suoi più importanti eventi espositivi e come si è formato nella nostra
città il nucleo delle raccolte etnograiche del Comune, oggi patrimonio del nuovo museo. Dalle grandi
Esposizioni Internazionali della metà dell’Ottocento
alle Biennali e Triennali degli anni Venti e Trenta del
Novecento, questa mostra ci presenta opere,
manufatti e documenti provenienti da tutte le parti
del mondo, alcune delle quali risalgono al 1500. La
mostra va visitata con gli occhi di uomini e donne
che hanno vissuto nell’epoca di queste esposizioni,
immaginando quanto grande sarà stato il loro stupore
di fronte ad oggetti provenienti da terre lontane. Durante la visita dimentichiamoci per un attimo il no-
stro smartphone e rilettiamo sul fatto che, ino alla
prima grande esposizione del 1874, questi oggetti
erano raccontati solo dalla letteratura di viaggio.
Molto più di un museo il Mudec sarà sede della Mudec Academy, centro di alta formazione nei settori
cultura, arte, moda, design, food e turismo. E a partire da ottobre 2015 ospiterà un centro didattico per i
più piccoli: il Mudec Junior.
La creatività contemporanea continua a presentarci
nuove forme di museo. Dietro alle sfavillanti architetture c’è un nuovo modo di pensare questi luoghi.
Storici dell’arte, responsabili istituzionali, architetti,
designers, educatori. Un mondo di professionisti che
li progetta perché siano posti da vivere. E non solo
per i bistrots, le caffetterie ed i ristoranti.
Intermezzi di Edoardo Bossi
FILASTRÒCCA:
“Sòtt al pont de ciff e ciaff
Là ghe sta Bargniff Bargnaff
Con la vèsta verdesina
Grand dottor chi l’indovina”
“La Ghitta del Carròbbi” l’è ona storièlla del Bifi ispirada a ona leggenda. Sòtta al Pont di Pioppètt, cont i
spond in pee, pericolos e cont ona cantarana che ghe girava tutt’intorna, pièna de palta spuzzolenta, in ona
busa stava de cà on Bargniff che l’attirava i tosann che poeu el vendeva ai spagnoeu, allora padroni de Milan.
El Bargniff l’era on rufian furb ’me on demòni, l’adescava i tosann per poeu offrii a on quai “Don Juan” pien
de danee. El color de la vèsta verdesina l’era daa dai rilèss de la cloaca. Leggerment corròtt, el signiicaa l’è
restaa ancamò in del vocabol “Margniff”: “L’è on Margniff ò on Margniffon!” per dì vun scròcch, furb.
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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ACCADEMIA
da “LETTERATURA DIALETTALE MILANESE” di Claudio Beretta
Carlo Porta
Dalla letteratura di Claudio Beretta:
Ricorda il prof. Claudio Beretta, nella sua Letteratura, che Dante Isella colloca la composizione di questo
poemetto tra marzo e aprile del 1819 e che ogni sestina sia stata conquistata lottando sia con gli impegni
professionali, sia con il disagio isico e morale. Si tratta di una critica alle ‘damazze’, un tipo di signora
milanese altolocata, ricca che affoga nella propria albagia, pari solo alla sua ignoranza. Lirica improntata a
schietto realismo, senza metafore, senza allegorie, il cui effetto satirico viene ottenuto attraverso immagini ed
espressioni iperboliche, vicine però alla realtà o almeno ad alcuni casi limite
[continua dal numero precedente]
LA NOMINA DEL CAPPELLAN
LA NOMINA DEL CAPPELLANO
Se poeù anch de prima de parlà con lee
di voeult gh’avessen gènni de sentì
quaa hin i obbligazion del sò mestee,
senza fà tanti ciaccer, eccoj chì;
inscì chi voeur stà stà, chi no voeur stà
el ghe fà grazia a desfesciagh la cà.
“Se poi, anche prima di parlare con lei,
alle volte avessero genio di sentire
quali sono le obbligazioni del loro mestiere,
senza fare tante chiacchere, eccole qui;
così chi vuole stare sta, chi non vuol stare
ci fa grazia a sgombrarci la casa.
Punt primm: in quant a l’obbligh de la messa
o festa o nò gh’è mai or iss de dilla;
chi è via a servì n’occor che l’abbia pressa;
i or hin quij che lee la voeur sentilla:
se je fass stà paraa dò, trè, quattr’or,
amen, pascienza, offrighela al Signor.
Punto primo: in quanto all’obbligo della messa
o festa o no, non c’è mai ora issa di dirla;
chi è via a servire non occorre che abbia premura;
le ore sono quelle che lei vuole sentirla
se li fa stare parati, due, tre, quattro ore,
amen, pazienza, offritela al Signore.
La messa poeù, s’intend, puttost curtina...
on quardoretta, vint minutt al pù:
dò voeult la settimana la dottrina
per i donzell e per la servitù,
de sira semper la soa terza part,
men che al tarocch no ghe callas el quart.
La messa poi, s’intende, piuttosto cortina...
un quarto d’oretta, venti minuti al più:
due volte la settimana la dottrina
per le donzelle e per la servitù,
la sera sempre la sua ‘terza parte’,
a meno che al tarocco non mancasse il quarto.”
Chi mò, sentend che on patt inscì essenzial
l’eva quell che savè giugà a tarocch,
ghe n’è staa cinqu o ses che han ciappaa i scal,
e tra i olter (peccaa) on certo don Rocch,
gran primerista ina de bagaj
ch’el giuga i esequi on mes prima de faj.
Qui mo, sentendo che un patto così essenziale
era quello di saper giocare a tarocchi,
ce n’è stati cinque o sei che han preso le scale,
e tra gli altri (peccato) un certo Don Rocco,
gran primierista in da ragazzo,
che si gioca le esequie un mese prima di farle
(E quell el tira innanz) Portà bigliett,
fà imbassad, fà provist, toeuss anca adree
di voeult on quaj fagott, on quaj pacchett,
corr dal sart, daj madamm, al perucchee,
mennà a spass la cagnetta e se l’occor
scriv on cunt, ona lettera al fattor.
(E quello tira innanzi...) “Portare biglietti,
fare ambasciate, fare provviste, prender con se
anche a volte qualche fagotto, qualche pacchetto,
correre dal sarto, dalle madame, dal parrucchiere,
menare a spasso la cagnetta e, se occorre,
scrivere un conto, una lettera al fattore...”
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
ACCADEMIA
Anca chì el n’è sblusciaa de on sett o vott,
vun per quella reson de la cagnetta,
on segond per reson de quij fagott,
e i olter cinqu o ses han faa spazzetta
per no infesciass coj penn, coj carimaa,
e ris’cià de sporcà i dit consacraa.
Anche qui se ne sono eclissati sette od otto,
uno per quella ragione della cagnetta,
un secondo per ragione di quei fagotti,
e gli altri cinque o sei hanno fatto spazzola
per non impicciarsi con le penne, coi calamai,
e arrischiare di sporcare le dita consacrate
In tra sti ultem che han veduu a andà via
gh’è staa on certo don Giorg de Zuccoirin,
maester de eloquenza e poesia
del famoso sur Carlo Gherardin
e autor d’on codez de beccopulenza
stampaa da Isepp Forlan de Porta Renza.
Tra questi ultimi che hanno visto andar via
c’è stato un certo don Giorgio da Zuccorino,
maestro di eloquenza e poesia
del famoso signor Carlo Gherardini
e autore di un codice di beccopulenza
stampato da Giuseppe Forlani di Porta Renza
(E quell el tira innanz) Quant al disnà
de solit el gh’è el post con la patrona,
via giust che no vegna a capità
on disnà de etichetta, o ona persona
d’alto bordo o de impegn, ché in sto cas chì
mangem tra nun, cont i donzell e mì.
(E quello tira innanzi...) “Quanto al desinare,
di solito c’è il posto con la padrona,
via giusto che non venga a capitare
un pranzo d’etichetta, o una persona
d’alto bordo o d’impegno, perchè in questo caso
mangiamo tra di noi, con le donzelle e me.
In campagna poeù el cas l’è different:
vegniss el Pappa, disnen tucc con lee.
Là la se adatta anch con la bassa gent,
magara la va a brazz col cangelee;
tutt quell de pesc che là ghe possa occor
l’è quell de lassass god d’on sojador.
In campagna poi il caso è differente:
venisse il Papa, pranzano tutti con lei.
Là lei si adatta anche con la bassa gente
magari va a braccetto col cancelliere;
tutto quel che di peggio là possa occorrere
è di lasciarsi prendere in giro da uno spiritoso
Del rest, rid e fà el ciall, no contraddì,
no passà la stacchetta in del rispond,
a tavola che s’è lassass servì,
no fà l’ingord, no slongà i man suj tond,
no sbatt la bocca, no desgangaralla,
né mettes a parlà denanz vojalla.
Per il resto, ridere e far l’ingenuo, non contraddire,
non passare il segno nel rispondere,
una volta a tavola lasciarsi servire,
non fare l’ ingordo, non allungare le mani sui piatti,
non sbattere la bocca, non sgangherarla,
né mettersi a parlare innanzi di vuotarla.
Tegnì giò i gombet, no fà pan moin,
no rugass in di dent cont i cortij,
no sugass el sudor cont el mantin,
inin nessuna affatt di porcarij
che hin tant fazil lor sciori a lassà corr,
come el mond el fudess tutt sò de lor.
Tener giù i gomiti, non fare pan mollo [nel vino]
non frugarsi fra i denti con i coltelli,
non asciugarsi il sudore con il tovagliolo
inine, nessuna affatto delle porcherie
che sono tanto facili lor signori a lasciar correre,
come se il mondo fosse tutto suo loro.”
Chì, vedend quell balloss d’on camarer
che quij bon religios stan lì quacc quacc
senza dà el minim segn de disparer
via de quaj refign, de quaj modacc,
d’on salt el passa al in de l’orazion
cont el recciocch de stà perorazion.
Qui, vedendo quel mariuolo d’ un cameriere
che quei bravi religiosi stavano lì quatti quatti
senza dare il minimo segno di disparere
a eccezione di qualche arriccianaso, di qualche boccaccia,
d’un salto passa alla ine dell’orazione
con il rintocco di questa perorazione.
[continua nel prossimo numero]
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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SCIROEU DE LA PRÒSA
QUEL 12 DE DICEMBER DEL 2012
Maria Luisa Villa Vanetti
In i sett or, l’è pòcch che semm levaa sù, el mè marì,
contra el mè parer, l’è andaa a lavorà. Pròppi el capissi nò che l’òmm lì quand el se ostina inscì, el voeur nò scoltà…e pròppi in d’on dì come quest. Hoo
cercà de convincel in tutt i maner ma son minga stada
bòna de famm scoltà, ’sta mattina, come se fuss on dì
còme tutt i alter dì l’è andaa, inutilment me senti de
rimarcà, in ofizzi a tirà el carett. El gh’ha on padron
che l’è stemegna a pagà ma bondant a fall lavorà, ma
chissà fòrsi stavòlta la se gira!
El ciel l’è gris, l’è da ier che pioeuv, el peggiora…me
par on bon segn.
Hinn i vòtt or, me pòggi cont i gombet sul scòss de la
inestra de la sala e vardi el ciel, pioeuv senza vent.
Me senti in pas, fòrsi l’è minga el moment de sta in
pas ma me senti inscì.
Imparada la regola che te see domà on pontin in del
mond e on nagòtt in de l’univers, te riesset a ciappà
per bon l’impossibilità de cuntà on quaicòss sù la trama del tò destin.
Te guardet quei che cred de podè fà andà la vita indoe voeuren e te penset che prima ò dòpo capisarann
anca lor.
Adess son stracca de stà poggiada sù i gombet, ciappi
ona cadrega.
Sòna el campanell de la pòrta, dervi on po’ camuffa
“Scusa te gh’hee nò on pacchett de saa de damm?”
la me cerca la Sonia, la mia vesina. Ghe doo la saa
intant che pensi còsa la gh’avaraa mai che cusinà de
fescia pròppi incoeu. “Grazie cara” la me dis lee.
Torni indree in sù la mia cadrega, hoo minga pizzaa
la radio né tanto manch la television, voeuri stà chì a
la inestra in silenzi a vardà el spettacol.
Hinn i des or, seguita a pioeuv, el ciel l’è gris, par che
peggiora nò… per adess.
Me vegn de pisoccà, ma sì on caffè pòdi anca fall,
ghe voeur pòcch me perdaroo nagòtt. Settada al tavol
de la cusina intant che spetti el caffè resigni on’offella vanzada da la colezion ma desmetti nò de vardà foeura. Sòna el telefono…cribbio pròppi voeuren
minga lassamm in pas incòeu. “Prònti”… “nò ch’el
varda, son minga interessada… si capissi la convenienza ma pròppi m’interessa nò, incoeu men che
manch”… “si son la miee ma anca al mè marì gh’interessa nò”… mej fala curta, el caffè l’è pront… “Mi
spiace, buongiorno!” e tacchi sù el telefòno.
Con la tazzina, quella granda, bella piena de caffè
cald voo a settass giò davanti a la inestra. Stoo in osservazion in cerca de on quai segn de peggiorament.
Hinn i vundes or, sòna ancamò el telefono, oh cara
Madònna, che barba! “Prònto, va che vegni a cà a
mangià a mezzdì”. Me ciappa el brus, dervi el frigo
in cerca de quell che gh’è, hoo minga faa la spesa, se
capiss! Intant che rughi in del friser senti pioeuv che
se inversa… eccò el savevi pròppi adess che gh’hoo
de cusinà!
Foo ballà on quai padelòtt inchè troeuvi la soluzion
al disnà, in quatter e quatter vòtt parèggi, vin, acqua,
pan…ò per la malora el pan, tiri foeura on para de
michett dal friser, in caso ghe daroo on gir de “microonde”. Me còmodi ancamò sù la mia cadrega e
spetti.
Dodes e vint ecco gh’è rivaa el mè òmm, el vegn
denter cont on sorrisett de tirà s’giaff… ah ma ghe la
casci… “ride bene chi ride ultimo!” El rispond nò, a
dì la verità l’è on bravo òmm ma el gh’ha ona zucca!
Gh’avevi nò l’intenzion ma vist che oramai hoo preparaa mangiaroo on quaicòss, ma sì cià anca on biccer de vin, la bocca l’è minga stracca se non la sa de
vacca, e poeu el caffè, e vist che semm adree femm
foeura anca i òffell.
Hinn i dò or, per adess gh’è success ancamò nagòtt. Lù
el torna in ofizzi, gh’è nient de fà el gh’ha ona issazion col lavorà, mì me setti giò sù la cadrega ma sont
incomoda, mej se me metti on poo sù l’ottomana.
Sòna el telefono on’altra vòlta, salti via… oh che
stremizzi! Me seri indormentada. “Prònto.. nò, nò
incoeu pòdi nò. Se vedomm doman… fòrsi. Ciao,
ciao.”
Corri a vardà foeura come l’è ’dree andà, pioeuv.
Pioeuv e basta, ma comincia nò a fass on poo tardi?
Hinn quasi i quattr’or e tacca a fà scur, mah… staremm a vedè!
Ormai gh’è scur scurent, son quasi stuffa de spettà,
on poo smoriada decidi de mett sù la minestra.
Mai che i ròbb vaghen come te piasaria, anca se te
ghe credet pòcch te speret semper istess. In del mè
nagòtt gh’hoo semper avuu grandi aspettativ vers el
destin, anca se incoeu el se fa desiderà on poo tròpp
per i mè gust. El destin la tira per i longh e mì sont
in truscia.
Butti denter ona brancada de ris in del padellin, rughi
la minestra, la tasti intant che scolti la pioeuva che
batt in su i veder… come musica!
Continua a pag. 10
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
POESIA E STILE
La nostra Accademia si è posta quali obiettivi la tutela e la difesa del dialetto milanese in tutte le sue
manifestazioni, con particolare riguardo alla poesia – art. 2 dello Statuto.
Ogni poesia, dovrebbe rispettare due momenti ben precisi determinati dalla poetica e dalla prosodia,
elementi questi che vengono, ahimè, troppo spesso ignorati.
Ben lo sapeva il compianto prof. Claudio Beretta che richiamò il nostro senso poetico con vari articoli apparsi in una rubrica, sui Sciroeu di diversi anni or sono e che vogliamo riproporre, credendo
che possano essere propedeutici ai nostri odierni poeti afinché ne traggano insegnamento.
Dalla rubrica “Poesia e Stile” a cura del prof. Claudio Beretta.
Carlo Porta: La nomina del cappellan
Abbiamo cercato in qui di comprendere i segreti
della poesia di Porta: il talento naturale e l’attrazione
per lo scrivere in poesia; la conoscenza e lo studio
dei maestri, senza di che il poeta non avrebbe raggiunto la perfezione tecnica necessaria e non avrebbe
imparato a rubare le idee e tutti gli altri ingredienti
per impiegarli al momento giusto secondo la propria
ispirazione; la capacità di concentrarsi su un soggetto. Chi vuole scrivere in poesia, oggi, anche in lingue
diverse dal milanese, può studiare Porta e rendersi
conto di come il poeta ha saputo fondere nel verso
tutti i mezzi acquisiti, entrati ormai a far parte della
sua personalità. Non ultimo la musicalità, del verso e
della strofa, ottenuta anche mediante le cesure, cioè
le pause e, grazie a queste, la fusione del signiicato
e della orma, nel verso e nella strofa: <I paroll d’on
lenguagg, car Scior Gorell...>.
Risultati che si raggiungono in parte al talento naturale, in parte grazie allo studio: mai senza l’uno e
senza l’altro. Per questo Cicerone diceva: <Scrittori
si diventa, poeti si nasce>.
Nell’ultima parte della sua vita, che si conclude nel
gennaio del 1821, Porta è sempre più appesantito
dalla malattia, dalla gotta e dagli effetti collaterali di
questa; stringe sempre più l’amicizia con Tommaso
Grossi, che gli è anche d’aiuto nel trascrivere e nel
comporre, ma soprattutto risente, anche nella salute,
del clima oscurantista imposto dal controllo austriaco, clima al quale si adegua una corrente della cultura lombarda. La sua lettera del 25 maggio 1819, a
Grossi, ne è testimonianza eloquente: <Del resto non
è meraviglia sin qui per tali sorta di libri vi abbia
spaccio e fautori, qui dove l’ignoranza alza tutti i
giorni un dito di lardo intorno alla schiena, qui dove
9
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
si bandisce colle stampe, in confutazione di un articolo del Conciliatore, che l’inerzia individuale e
pubblica è tanto più da rispettarsi e promuoversi in
quanto essa almeno non congiura contro la sicurezza
dei troni e la tranquillità dei popoli!!>
Nelle ultime composizioni del 1819 e 1820 primeggia la sestina, rapsodica, cioè adatta ai racconti della
vita di tutti i giorni, ma all’interno di questi la lirica
del poeta si fa sempre più amara ed il vigore poetico, che non perde mai la sua incisività, ci descrive le
contraddizioni di una società tesa sempre più, appunto, all’inerzia, alla conservazione. Lo slancio evolutivo è costretto alla clandestinità dei carbonari, ma
ribolle e scoppia in Ispagna, a Napoli, mentre nell’ottobre del ’20 vengono arrestati Maroncelli, Pellico
ed inizia il processo contro la Carboneria, di questo
stesso periodo sono ‘La nomina del cappellan’ (aprile 1819); ‘Meneghin biroeu di ex monegh’ (autunno
1819); ‘La preghiera’ (aprile 1820) .
In tutte tre le composizioni è minimo comune multiplo il consolidamento della classe dei potenti e dei
ricchi (è fuori discussione il loro diritto ad essere ricchi e potenti) ed il resto della società che vive più
o meno al limite della sopravvivenza: la condizione miserevole dei preti e delle monache che hanno
perduto i loro beneici e cercano di tirare avanti; la
corruzione che ne deriva, perino tra le smaglianti
Guardie Svizzere del papa; il disorientamento dei
valori morali di un incipiente proletariato, che vuole
fare sfoggio di quel poco che ha come status symbol.
Ne La nomina del cappellan la trama è semplice:
una marchesa di grande casato (austriacante) aveva
licenziato su due piedi il prete di casa, don Galdino,
perché nel dir messa aveva distrattamente schiacciato
la coda alla Lilla, una cagna maltesa tutta pel, tutta
Continua a pag. 24
ACCADEMIA
Per ricordà on poeta milanes: Giorgio Caprotti
di Ella Torretta
Da on articol del giornalista Franco Manzoni in de la
Rubrica “Addii” sul “Corriere della Sera” del 10 de
marz 2015 hoo savuu che Giorgio Caprotti l’è volaa
in ciel per trovass in compagnia di alter poeta meneghin che hinn andaa innanz in de sto viagg per l’
“Aldilà”.
L’era on milanes semper pront a la battuda, sincer,
cordial, studios de la nòstra lingua milanesa, de la
stòria e di tradizion de la nòstra città.
In del 1954 el sera laureaa in “Medicina”, poeu la
specializzazion in “Malattie nervose - chirurgia - angiologia”.
L’aveva scritt anca on liber dal titol “Manuale di Medicina pratica e Pronto Soccorso” - 1997 Editore “Il
mosaico” - cont i sò disegn per illustrà come se dev
affrontà i vari situazion prima che riva el dottor.
Ona còpia de sto liber me l’aveva regalaa in occasion
d’ona conferenza “Se desseda la Natura” al Liceo
Gandhi - P.za San Marco - Milano - el 6 de marzo del
2002 - dove lù el tegneva Lezion de Milanes, ògni
settimana, per el Comun de Milan.
L’era anca on giornalista ch’el rispondeva ai letter in
d’ona rubrica domenical su “Il Giornale”, el cercava
e el collezionava vegg paròll milanes, “modi di dire
e proverbi”.
I rispòst ai tanti domand di lettor che rivaven al giornal, come “Posta meneghina” hinn staa pubblicaa sul
liber “Milano, il dialetto che sfugge” e “Milan in saccòccia” - ”Ediz. Meravigli” - dove se elenca paròll
milanes, illustraa dai sò disegn. L’aveva scritt anca
sonett e poesii in milanes.
L’era nassuu a Milan el 25 de gennar del 1929, al
quart pian d’ona cà in Via Vigeven n. 4, come ricòrda el sò nònno, Giuseppe Penuti, Peppin, deinii on
spegascion perché el gh’aveva semper el lapis dedree
de l’oreggia pront a scriv quaicòss in milanes e l’era
conossu da tutti in considerazion de la soa carica de
“Messo Comunale”.
El diseva de spess ai amis che el sò nevod Giorgio…
“l’è nassuu chì al quart pian - vun de quej de lengua
mader - vun de quej col coeur in man - on bon ioeu:
l’è mai staa on lader!”
Per ricordà sto amis, scrittor, dottor, poeta, me pias
riportà quell che lù l’aveva scritt in del “prologo” de
sò liber “Milano, il dialetto che sfugge” “…auspico
che si ritorni a conversare in milanese… non noi, ma
gli altri debbono vergognarsi di non capire”.
Continua da pag.8 - Quel 12 de dicember
2012
Me dispias che el 12 de dicembre del 2012 l’è andada
nò come te vourevet, el dis el mè marì e da la soa vos
capissi che l’è sincer, e dit la verità on poo ghe speravi anca mì. Dai dòrma Lilianina che doman l’è pù dì
de feri, te tocca de lavorà ancamò on bell poo prima
de la prossima in del mònd!
El rid, ghe doo ona gombettada, me scappa de rid
anca mì, lù el me dà on basin.
Sari sù i oeugg e cominci a fantasticà, chissà quand
el sarà el prossim dì del giudizzi, magari i Maya hann
sbagliaa i cunt fòrsi el sarà doman.
Purtròpp gh’è rivaa anca i vòtt or, son smoriada, me
ciappa l’arlia, parèggi cont on poo de magòn.
Tra on poo el mè òmm el sarà chì, soo giamò che el
farà inta de nagòtt ma ghe vedaroo in di oeugg on
stralusc de toeu in gir, ghe voeuri ben ma quand el fa
inscì el soppòrti nò.
Oramai l’è mezzanòtt, andemm in lett.
Eppur ghe speravi che inalment rivass quel ch’el me
faseva tirà el iaa, speravi in de la pension eterna.
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
ACCADEMIA
MILAN... LA COGNOSSI? a cura di Giorgio Moro Visconti
Via Bonvesin da la Riva
di Giorgio Moro Visconti
Gli appassionati di storia milanese certamente conoscono Bonvesin da la Riva, nato a Milano all’incirca
nel 1240 e morto nel 1315, scrittore, poeta e maestro
di grammatica. Nella enciclopedia “Storia di Milano” della Treccani,1954, Vol. IV, p. 395, si legge che
fortuna vuole che si sia ritrovata, in tempi recenti,
un’operetta, già per lunghi secoli perduta, che ci fornisce sulla città di Milano, nell’anno 1288, molti utili ragguagli. In nota si cita Bonvicini de Rippa, De
magnalibus vrbis Mediolani: testo inedito del 1288
ricavato da un codice madrileno a cura di Francesco Novati, Roma 1898. Bonvesin scrive nelle prime
due righe “Chi vuole conoscere le meraviglie di Milano avrà in questo facile libro una guida sicura”.
“Frater” del terzo ordine degli Umiliati, che aveva
avuto due mogli: un particolare curioso è che nei suoi
testamenti, essendo facoltoso, citava le stesse
mogli “altrimenti subito
dopo la morte di lui, tutti
i suoi beni e i suoi redditi debbono essere distribuiti ai poveri vergognosi di Milano (s’intende
ai poveri che non fanno
professione di mendicità)”. Lavorò prima a Legnano, e poi, trasferitosi
nel quartiere di Milano
alla ripa di Porta Ticinese, compose nel 1288 la
sua opera più famosa e cioè il libro “De magnalibus
Mediolani” (Le meraviglie della città di Milano), che
rispecchia con una certa immaginazione, ma grande
ammirazione, la realtà cittadina del suo tempo. Le
informazioni sono tratte da una delle tante edizioni di
questo libro, quella del 1974, ed. Bompiani, con introduzione di Maria Corti, della quale citiamo alcuni
concetti. Il testo originario è in latino e la traduzione
è di Giuseppe Pontiggia. Il libro di Bonvesin è un
panegirico della città, dentro cui a volte è possibile
anche recuperare un simulacro platonico-agostiniano
di città ideale. I primi quattro capitoli sono dedicati
alla natura isica di Milano, gli altri quattro alle virtù
dei milanesi e alla natura morale della città. Il testo
allude soltanto alle furibonde lotte fratricide in corso
in quel periodo per il dominio del Comune, iniziate
nel 1259 con il prevalere dei Torriani e l’esilio dei
Visconti ritornati con Ottone nel 1277. Milano, tutto
considerato, è unica al mondo, è come un altro mondo separato dal mondo. Quella di Bonvesin è anche
la narrazione del cittadino medio di Milano, che vive
sull’industriosa ripa di porta Ticinese (donde l’epiteto da la Riva). Dice che i milanesi hanno aspetto
sorridente e benevolo e parlano un dialetto più comprensibile degli altri. In questa città qualsiasi persona, purché sia sana e non sia una nullità, può guadagnare e vivere decorosamente. Consiglia di salire
sulla torre comunale, da dove è possibile vedere cose
meravigliose. Scrive Bonvesin a p. 27: “stupefacenti
sono le cose che mi accingo a scrivere, perché le meraviglie di questa città, speciicate in successione e
secondo verità, appaiono con più evidenza tanto ai miei
concittadini quanto
agli stranieri. Né
deve stupire che io
abbia detto “ai miei
concittadini”: perché esse sono tante
e tali, che persino
agli uomini che vi
sono nati è dificile
arrivare ad averne una conoscenza
esauriente”. Nelle
ultime due pagine (199-201) prega che “le meraviglie di tanta città, conservi sulla via diritta i cittadini
che già camminano dirittamente e vi riconduca coloro che deviano, benedica i nostri amici, i forestieri e
tutti coloro che sono lieti delle meraviglie della nostra città, converta gli invidiosi e i nemici e li conduca alla virtù della carità”. Tra le fonti storiche di
sicura fonte Bonvesiniana citiamo il libro “De gestis
in civitate Mediolani” di Stefanardo da Vimercate.
Fino al 19 aprile 2015 c’è stata a Casa Testori di
Novate Milanese una mostra illustrativa del celebre
libro. Chi volesse comunque approfondire la storia
di Bonvesin dovrebbe anche leggere l’introduzione
Continua a pag. 26
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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LEGGIUU E SCOLTAA
“Sciroeu di poetta” ospita, così come ci sono pervenute le composizioni, “lette e ascoltate”, noi le pubblichiamo, correggendo qualche palese refuso, convinti di stimolare la volontà
di chi sente spontaneo il desiderio di esprimersi, interloquendo con la musa, in dialetto milanese e con l’augurio che queste pagine possano scoprire nuovi talenti.
EL TELAR DEL “LINIFICIO”
ACQUA
L’è bandonaa el telar vegg e frust
del Liniicio: vardel… sì quell:
l’è lì de rottamà. Giust via via!
e sdengh sdangh… lis, trasaa de fadiga.
Settaa sù la banchetta
denanz a la fontana
resti lì a vardà
quell che se pò fà.
Tutt quell che se pò,
con l’acca due ò.
Vardel: el par anmò ’n ganivell
ma el gh’ha i ann de Carlo Codega…
lù el tessa pù, l’è cert de sbatt via.
Spazzi spazzi! Peccaa… sì l’è vera
l’è pù bon de tess tila, sicur
dòpo tant’ann che l’era staa in azion.
Vardel: anca frust par che ’l s’invia
lì, presonee nel museo, tiraa bell nett
e lustraa con navett e rocchett.
El scrizza... veh… ’me nav in avaria.
Alberico Contursi
LA ROGORA ROSSA
La gh’ha pussee de cent ann
la rogora rossa ’mericana,
che la fa bella mostra
in piazza 24 magg a Milan.
L’ha piantada lì
in del 1924 el pader
d’on alpin scampaa
a la guerra del ’15/18.
L’è diventada inscì
on monument ai soldaa
che hinn pù tornaa indree
da la prima guerra mondial.
La slonga i sò ramm nodos
e sòtta l’ombrella verda
di sò frasch, la par proteg
la soa gent, come ona mama
che la slarga i brasc
intorna ai sò iolitt.
On quei ann fa,
on artista de strapazz,
l’ha taccaa sui sò ramm
trii magattei che pareven
trii impiccaa: ona vergògna.
.
Adèss l’è pontellada,
la gh’ha ona certa età,
ma quand passi de lì
la vardi con rispett e riverenza
quasi la fudess voeuna de cà.
Anna Maria Radice
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
La par ona scultura
coi butt che salta foeura
la rampega e la borla giò
per poeu tornà ancamò.
Mì resti lì incantaa a guardà
tutt quell che se pò fà.
Acqua santa benedetta
la vegn bòna a tutt i or
acqua santa per segnass
acqua netta per lavass
acqua tanta per remà
acqua negra per negà.
M’hann lavaa quand semm nassuu
cavaa la set e battezzaa
e quand serom bordegaa
l’è servida a fass nettà
l’è servida nel destin
e anca a slongà el vin.
L’è servida in la frescura
per bagnà anca la verdura
per mandà giò i pastili
per noà in del Navili
per piang in del doeur
quand el riva al coeur.
Senza tì còssa se faria
tutt el mond in agonia.
Alter dì mì voeuri nò
e on gottin né mandi giò.
Pietro Beretta
LEGGIUU E SCOLTAA
GOTTA DE BEN
Finida l’è la fèsta,
saludi i nòst amis
e lassi tì per ultim,
’me zuccher ioretton servii in inal.
“Cià che voo a cà”, te disi,
intanta che te strengi i man.
In pè denanz a mì
te me tiret arent con fà decìs,
per fà sentì i mè òss al tò respir,
e dàmm per bònanòtt
’na gotta calda come ’l vin col mel.
Gotta de ben,
borlada de scondon
su la mia spalla biòtta e moresina,
gotta che scoeud la set
per inzigàmm la famm.
L’è nò domà on basin, a l’è ...
’na pizzicàda malandrina
fada in sui còrd del coeur
che ’l se perd via.
A l’è ’na scusa, el soo,
l’è on saltafòss, per tì,
per sbassà giò el coppìn
e per saggiàmm la pèll.
Col iaa legger e teved
sora de mì come lusèrta al sô,
te boffet scendra e nivol via del coo,
col taj del tò sorris tovajen via
tutt i spegàsc e tutt i cicatrìs,
con la barba e i barbìs
te ghe feet i galìtt
a parpàj e foinètt
ch’hoo pondaa sul mè còll.
Balossètt d’on amis:
te me vardet de sbièss,
te me fee ina oggin...
per dimm senza iadà
de fàmm pussee visìn.
Me scrusci giò in fregùj
sòtt ai tò al.
L’era domà ona gotta, e adèss...
adèss l’è on temporal!
mel = miele
de scondon = di nascosto
moresina = morbida
scoeud = placare
inzigà = suscitare
coppìn = nuca
tevedìn = tiepido
tovajà = scappare
Adriana Scagliola
spegàsc = scarabocchi
i galìtt = solletico
parpàj = farfalle
foinètt = folletti
balossètt = malizioso
fà oggìn = fare l’occhiolino
scrusciass = accovacciarsi
VARDÀ GIÒ
Dal mè poggioeu mì vedi minga el mar,
a malapenna vedi ona quai scima,
de quij montagn che a nun ne fann coròna,
je vedi quand gh’è l’aria remondina.
On tramm el passa e on alter ven adree,
con sù la gent che par la sia inlocchida,
la giuga la partida tutt’i dì,
la giuga la partida de ’sta vida,
semm chì in de ’sto mond on poo farlòcch.
Dal mè poggioeu on’oggiada mì ghe doo
a quell via vai che gh’è in la giornada,
i mamm con taccaa ai sòcch i sò bagai,
on vecc che ’l riva ina in sul canton
el guarda d’ògni part e nò ’l decid
indove... de chì ò de là per lù l’è istess...
lù el gh’ha domà del temp de fà passà...
Come el se stima el sô,quand ven la sera,
come el se stima là, dedree ai montagn
che lù el pittura cont el giald e ’l ross,
color che riven sora a tutt’i pagn
stenduu sora i poggioeu, di nòster cà.
Dal mè poggioeu adess vedi el postin,
cont el borson con denter i speranz.
Regòrdi l’onda, e ’l sò avanti e indree...
setton in riva cont a moeuj i pee,
mì seri là e semper te spettavi.
Hinn lì brasciaa, hinn lì i duu moros,
hinn lì a spettà che riva on tòcch de luna.
La vitta la continua, tutti i dì
e mì, chì dal mè pòst ghe cunti stòri,
i stòri de la gent che vedi andà
innanz e indree, de sòtt’al mè poggioeu.
Quell mè poggioeu che el me fa nò vedè
el mar, però mì vedi ona quai scima.
Mì provaroo a’ndà, doman mattina,
sul tramm e voraroo vardà in di oeucc
tucc quei che come l’onda ven e va.
Compagn di ond semm nun in questa vita,
chi riva el se sconfond con quij che gh’è,
chi va el vedi pù... compagn de lee...
Gianfranco Gandini
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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Poeti di Lombardia
Giovanni Testori
Sin da giovanissimo collaborò con alcune riviste dei
Gruppi Universitari Fascisti, scrivendo articoli di
critica d’arte contemporanea. All’inizio della guerra,
troppo giovane per poter essere richiamato sotto le
armi proseguì la propria collaborazione con la rivista
del GUF “Via consolare” fondata da Armando Ravaglioli e segnalandosi per la recensione della III mostra del Sindacato nazionale fascista delle belle arti.
Frequentò il Collegio San Carlo a Milano e si laureò
in Lettere all’Università Cattolica del Sacro Cuore
nel 1946 dedicando la sua tesi all’estetica del surrealismo.
All’inizio degli anni cinquanta, seguendo le tracce del
suo maestro Roberto Longhi, intraprende l’attività di
critica d’arte, pubblicando varie riviste e organizzando mostre. I suoi studi si concentrarono soprattutto
sulla pittura lombarda. L’interesse dominante per
l’arte antica e moderna non gli proibì di avvicinarsi a
pittori a lui contemporanei quali Guttuso, Cassinari,
Morlotti, dei quali seguiva con amicizia i lavori ed i
progressi.
Per sintetizzare l’opera di Testori in questo campo,
si può far riferimento a quanto racconta Pietro C.
Marani nella introduzione alla sua raccolta di saggi
testoriani intitolata La realtà della Pittura; richiesto di
indicare una traccia in base alla quale ordinare la sua
sterminata bibliograia come critico d’arte, lo scrittore stese una mezza paginetta con i titoli delle seguenti
14 sezioni:
Studi valsesiani/Martino Spanzotti a Ivrea/Il gran teatro montano/Scritti sul Romanino/Il carro della peste/
L’aquilegia del Tanzio/La notte di Casbeno/Corona
per il Galgario/Le verità del Ceruti/I «crumiri» del
Guala/Il dialetto di Simoni/L’ultimo Courbet/Varliniana/L’orafo dolce e disperato.
La prosa utilizzata nei saggi è fortemente evocativa:
si fondono in essa il rigore interpretativo del critico
e la capacità dello scrittore di offrire una lettura suggestiva, ricca di neologismi, della poetica degli artisti
che egli maggiormente amava.
Nel 1954 venne pubblicata da Einaudi la sua prima
opera narrativa: Il Dio di Roserio. A questa seguiranno poi le opere del ciclo “I segreti di Milano”, costituito da Il ponte della Ghisolfa e La Gilda del Mac
Mahon, La Maria Brasca, L’Arialda e Il Fabbricone.
Successivamente il romanzo Il Dio di Roserio è stato
ridotto dallo stesso autore e inserito ne Il ponte della
Ghisolfa. Due anni dopo la sua morte è stato ritrovato un ulteriore scritto sul medesimo tema: Nebbia
al Giambellino. Sin dal suo esordio come scrittore la
produzione di Testori vuole rappresentare la realtà di
Milano e del suo hinterland, ritraendo personaggi e
ambienti di una società fortemente caratterizzata.
La principale opera teatrale di Testori è L’Arialda, del
1960, che suscita grande scandalo per la sua presunta
oscenità, perché venato di tematiche omosessuali. Lo
scandalo contribuirà a far conoscere l’opera di Testori al grande pubblico. Il 15 novembre, per protestare
contro la censura e il divieto di rappresentazione dell’opera, il regista Luchino Visconti e gli attori Rina
Morelli, Paolo Stoppa e Umberto Orsini si rivolgono
al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi che
si riiuta di riceverli. Nel 1961, con la regia di Visconti, L’Arialda viene alla ine messa in scena, ed è
la prima interpretazione rilevante di Umberto Orsini,
sono nel cast anche Pupella Maggio e Lucilla Morlacchi.
Un elemento importante di tutta la scrittura testoriana
è l’utilizzo di un linguaggio originale creato dalla fusione del dialetto lombardo con elementi estratti dalla
lingua francese ed inglese. Importanti in questo senso
sono le tre opere teatrali racchiuse sotto il titolo di Trilogia degli Scarrozzanti, e cioè L’Ambleto, Macbetto
ed Edipus. Particolarmente in questi tre testi lo scrittore sviluppa la propria sperimentazione linguistica,
creando un linguaggio dal quale riemergono elementi
arcaici e ricordi degli originali shakespeariani, con un
forte espressionismo linguistico.
Dopo questi tre testi con la composizione di una nuova trilogia: Conversazione con la morte, Interrogatorio a Maria e Factum est si realizza la conversione
cattolica di Testori, che coincide con il suo avvicinamento al gruppo di Comunione e Liberazione da cui
diceva di sentirsi accolto “nonostante la condizione di
omosessuale”. Il risultato di questa conversione sarà
dato dalla sua collaborazione assidua al settimanale
del gruppo, Il Sabato, lungo gli anni ottanta.
Testori diresse la riduzione teatrale del suo romanzo
Erodiade, andato in scena nel 1984 e interpretato da
Adriana Innocenti. Collaborò molto con Franco Branciaroli, per il quale scrisse anche delle pièce teatrali:
fra queste, In exitu, monologo di un tossicodipendente omosessuale che si prostituiva a Milano. Tale testo
suscitò molto scalpore per le oscenità raccontate. Dal
1977 collabora con il Corriere della Sera succedendo
a Pier Paolo Pasolini, prima come commentatore e
successivamente in qualità di responsabile della pagina artistica.
Si ammala di cancro nel 1990, e ne muore nel 1993.
Nel 2005 la città di Varallo ha intitolato alla sua memoria la piazza antistante il complesso monumentale
del Sacro Monte, luogo prediletto dei suoi studi. Nel
gennaio 2013 la Regione Lombardia ha deliberato di
intitolare alla memoria di Testori l’auditorium di Palazzo Lombardia.
da A te
La mia corona
potevi essere tu.
Ma eri troppo dolce,
forse eri troppo simile a un sogno,
forse eri troppo ine.
Così sei stato
la mia corona di spine.
da I Trioni:
Canta con me
ora che notte è piena,
amore mio di brezza,
nella clemenza della morte giusta;
il tuo sonno è tranquillo,
tranquilla la tua luce;
pace è nell’affogare
del ventre tuo dolcissimo
di canto.
In gioia si riscioglie
la luce delle cellule di vita;
bionda bellezza
che iorì, in sprazzi,
e si gettò, ridendo,
come un iume…
da Conversazione con la morte
Scusate;
faccio così fatica a ricomporre davanti a me
i sofitti, le quinte,
le sedie, me, voi stessi…
Tutto sembra percorso ancora
da un interminabile sussulto…
Crepe si sono aperte sotti i nostri piedi
e anche là, lungo le pareti…
Spade di luce continuano a uscire…
La mia cecità cresce,
ma non è nel buio che s’inoltra…
***
Non piangere!
-mi dice la tua bellezza
ormai imprendibile e lontanalo sapevi anche tu
che non ci si poteva amare di più.
***
In pochi mesi
abbiamo percorso tutta la strada
che conduce alla croce.
Quando siamo arrivati a quel punto
il nostro amore non aveva più voce.
Un pomeriggio sei tornato:
eri disfatto, disarmato.
Mi hai guardato:
in regalo mi portavi
l’orso di peluche portafortuna
(non era che la giovanile imitazione
delle belve che scendevano un tempo
da Piurno su Chiavenna,
quelle che l’orafo antico
insieme amava e fomentava).
Vivere senza di te non posso più
-mi hai sussurratoPerdonami, mio pastore disperato,
anche lasciandoti
t’ho amato.
LEGGIUU E SCOLTAA
MEDIÒLANUM
Sont’innamoraa
’me on ioeu de vint’ann
faa su..
in del sò primm sògn...
d’amor!
Da pòcch temp
là doe el scur l’è tant
a mezza strada
tra Marte e Giove
on tocchell de Milan
el gira indeperlù.
On profumm... malizios,
ch’el fa sarà i oeugg
el ven foeura...
dai mè man
che l’hann ’pena siorada.
Duu òmen guarden
per dì e dì in l’univers
e veden ’sta meravilia
granda desdòtt chilòmetri
mes’ciada a ciappei de stell.
Indòss...
on vestii aderent
color d’on tramont
d’ona sera de Magg,
faa col pennell
ma d’on pittor
nò de stò mond!
Gh’hann daa nòmm
Mediòlanum 4695.
Voeuren che i austronauta
che viaggen in del spazzi
sappien de ’sta città divisa.
L’ha lassaa on’impronta
in de la stòria
e adess anca in del temp.
On faccin armonios...
delicaa...
de pell moresina,
domà carezzal
el par de velù!
Milan che l’è adree
a tornà anmò grand
dòpo ann gris
el me fa diventà sgoni
per el laorà di sò ioeu.
I bèi notizi
Se gh’ha de mandai in gir.
On bell cartellon
in piazza del Dòmm
con “Asteroide Mediòlanum 4695”?
Gianna Bernocchi
L’è bella...
la par minga vera,
tutt on ricamm,
forse... on miracol
...peccaa...
che sòtta... la spong!
ON FIOR
El restarà per semper dent de mì
quell ior meraviglios che m’ha striaa
cressuu tra milla in d’on praa incantaa
che mì per tanto amor hoo mai cattaa
per minga portagh via on boff de vita.
Quand voli in di mè sògn el vedi an’mò
e me inciochissi cont el sò profumm
e i sò color che sann de Paradis.
Poeu stracch, sinii pian pian volaroo via
con l’ultima emozion denter de mì.
Alarico Zeni
16
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
...Si...
l’è vera...
sont’innamoraa
d’ona ròsa de Magg
iorida ier
in del mè giardin!!
Mario Scurati
LEGGIUU E SCOLTAA
AIUTT, MADONNINA
EL GALLETT
Stoo de cà in Galleria:
bèi negòzzi sbarlusent
cont on gran viavai de gent,
se nò che ’n dì scarognaa,
ghe vegniss on accident
a chì ’l gh’è vegnuu in ment
che schiscià i ball a mì
se diventa fortunaa!
Tutt’i dì l’era la sòlita canzon
el sòlit gall e ’l sò chichirichì
che ghe rompeva l’anima e i cordon
ai sò gainn che voreven tirà mezzdì.
Nò me tocca de sicur
vess basaa da la fortuna,
sont el tòr mia cara gent,
on pòr tòr dislippaa
che da temp el rèquia pù:
né de festa ò de laô,
tutt’i dì del calendari
parlemm nò del primm de l’ann!
Nò bastava i milanes,
hinn de cà, anca cortes,
fann la ila i forestee,
òmen, dònn, ioeu e tosann
che fann fòtò del moment
con gran battiman de gent:
Madonnina iuttom tì
ormai mì son tutt stremii.
Anch la “plastica” m’hann faa
on badalucch de vòlt
e de ferr ona conchiglia
per salvamm almen la pell,
ma se troeuvi chì gh’ha ‘vuu
quest’idea tant balzana,
mì v’el giuri ’l metti sòtta
e per lù… l’è aria grama.
El stava schisc nò nanca ona mattina,
inanca el sô l’aveva mudaa l’orari.
S’era giustà con l’ora “capuccina”...
La prima Messa e biassà ’l Rosari.
E i villan fà el pien de “munizion”,
sciavatt, rottam e sass adree a la man,
ben decis a reilagh ona lezion
a ’sto gallètt e fagh sbassà i scalmann.
Ma anca se giovin l’era on bell furbin,
quattava crèsta e piuma adree on murèll
idass di sò gain? Nanca on ciccin
...gh’era el gall vecc che ’l voreva fagh la pell.
E sto gallètt ’me fuss on militar
marciava giò in la cort al pass de l’òca,
fa l’arrogant in pee sù on paracarr...
ò cantà chicchirichì sora ’na bròcca.
E l’hann ciappaa de sorpresa in mezz al praa
dent in d’on gran spuelleri e confusion
e de quell dì el gallètt l’ha pù cantaa...
senza la cresta, l’era ormai on cappon!
Fulvio Vichi
Radice Anna Maria
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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LEGGIUU E SCOLTAA
EL MÈ DIALETT
Semm chì, ghe disaroo la veritaa:
’vègh in man ’sto dialett ch’el dìs pù nient
ch’el scappuscia in su la lengua, impastaa,
me mett indòss ’na luna, on sentiment:
COLOR DEL CIEL D’INVERNA
Tra i ses e i sett d’ona mattina
l’era levà sù con l’idea balzana
de vardà el ciel per cuntà tutti sò color,
istess de quei Pittor che al temp d’Impressionisti
tanti hann provaa, ma disen che poeu in seguit
a l’Astanteria tutti i hann portaa.
Perchè provà, senza pagà, l’è minga facil.
D’inverna se stà col nas che gotta visin al veder
per vedè nel ciel ona maggia ciara che al lévant,
la segna doe l’incomincia on alter dì de noeuv,
intant che a l’altra part del ciel, i stell restaa
con l’ultim tòcch de Luna, sbasissen la soa lus.
Quel ciar in sul Levant, voreva dì che inalment el Sô
se preparava a vegni sù da l’orizzont doe quatter nivolett
vestii de ross, andaven sòtt a scondes e inscì sù in ciel
taccava quel spettacol di color come anca là dessora
i Sant voressen anca lor fà la soa festa de Carneval che
in Terra adèss fann tucc in gara per fass vedè in Television.
E inalment el Sô, senza inorbì te mostra ’l sò splendor
che s’ciara el ciel intregh e spand intorna tutti sò color.
On giald doraa che l’ha perduu ’l verdin, prima che ’l Sô rivass
insci al sò post on celestin rattella che ’l bleu a lù gh’ha de spettà.
Adess po’ nò vegni perchè sta sora al mar e i sò riless con
la lus noeuva voeuren giogà, insèma a sponda, a cambià i color.
Ma sora la pianura indoe ’l praa l’hann pèna tajaa, el ciel gh’ha
robà el verd bell noeuv, che mes’cia cont i color di piant divers,
di montagn, de l’acqua che canta e corr intorna al mond, la bella
Lus col Sô, se’l resta bon temp di dì che riva in Terra, ne fann coi ior
d’ogni color senza doè cambià vesti né travestiss o cambià faccia
perchè riva el Carneval e se po’ quasi diventà matt come se voeur.
Augusto Mazzoleni
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
Come vess forestee dent la mia cà,
boccà de sfròs dent quella d’on amìs.
Dervì in silenzi l’uss de quèll là
che te scondeva el sò indirizz precìs.
Tartaj paròll in d’ona quai manera
per scoltà ’sta stanza scura che tas.
Snasi el fond del caffè giò in la ruera,
dèrvi el sò buffé, svòlti el materass,
curios de sto nagòtt, de sta scighera
e, a mì, ’sto sentiment pròppi el me pias.
Daniele Gaggianesi
LEGGIUU E SCOLTAA
FRIDA (Kahlo)
dal libro “Dòna de cent color” di Paola Cavanna
E ferr e ciòd e sbarr, che streng, soffega
Gabbia in ‘na gabbia, dent ona preson
Quell vol d’aquila impavid se spantega
nel còrp d’on redesces ch’el va a streppon
El serpent che se incarna in la mia s’cena
el me invelena i dì, la nòtt, i sògn
Mì sògni de cantà ‘me ona sirèna
per giobianà i pirata coi ‘mè mògn
Pocci in del sangu el mè penell de stria
per spegascià la tela de torment
Incubi, turbament, fantasmaria:
cròden e gronden color incandescent
Milla mì, travestida de indecenza
coi mè selvagg antigh pittaa in la faccia
La frenesia tengiuda d’impudenza
e milla sègn de guerra e de minaccia
Linzoeu come sudari a bindà còrp
traitt dal spasim d’ona croceission
Carna dolza de dòna, carna d’òmm
e carna mia, piagada de passion
Viv de corsa ona vita che te scappa
-quand anch el camminà l’è gran cimente tirà iaa, cont i polmon che s’ciòppa
imbusmada, bloccada nel cement
... e quell serpent ch’el me spartiss in duu
che prepotent, me smezza ‘me sciloria
ch’el se contòrc, ch’el me rescia, fottuu
me fa crepà la pell, i nerv me imbròja
me sottomett, me scruscia giò, me piega
me tegn bloccada, quand voraria scappà
poeu inalment me svoeuia tutta intrega
e come on sacch desgoni, me tra là
Taj la mia ciòma negra; snaturada
per vess anmò pù dòna e per dà scandol
col travestimm de òmm, ingarbujada
‘me on remissell che a tucc scond el sò bandol
Brusém, brusém, che brusi come paja!
Ch’el vent me pòrta in alt, pussee di al
d’angiol celest, Fenis, o soll parpaja
a quattà el sô, mì scendra, a imboragiall
L’è lù l’ultima tela de pittà:
l’ultim ritratt de mì, d’on brutt splendent
scherz de natura, spui su la pietà
Son lus! Ardor! Calor... e son pù nient!
FRIDA KAHLO nasce in Messico, a suo dire 1910. Già
di salute minata - spina dorsale biida neonatale - a 17
anni un terribile incidente la rende prima sciancata e
quindi la immobilizza deinitivamente. Subisce numerose
operazioni ed essendo costretta all’immobilità per lunghi periodi e spesso sola, dipinge soprattutto autoritratti, che le permettono di non lasciare il proprio letto alla
ricerca di altri soggetti. Rivendica la sua discendenza
azteca accentuandola non depilandosi il labbro superiore e lasciando che le sopracciglia incolte si uniscono tra loro. Amori diversi e travagliati con personaggi
eccellenti, colorano la vita trasgressiva ed inquieta di
questa artista, che se ne andrà a soli 47 anni.
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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LEGGIUU E SCOLTAA
FOEURA DEL CAVAGNOEU
Desideriamo far notare ai lettori che le prose e le liriche comprese in questa rubrica sono trascritte con la stessa graia
usata dagli autori. La redazione corregge solamente eventuali evidenti refusi lasciando così la possibilità di confrontare,
con altri autori presenti, i differenti modi di scrivere, talvolta suggeriti dall’evoluzione della lingua.
(alla memoria di Albert Schweitzer e al suo principio del “rispetto alla vita”)
PREDEGOTT AI BRUSASCÉS
Nò: voeuri minga vess on cacciador
de legor, de fasan, de passaritt
perchè me parariss che l’è on delitt
pròppi contra el principi de l’amor.
E voeuri nanca vess on sfrosador
de quij che vann a fà la caccia gròssa
perchè me restaria semper l’ingòssa
d’avè coppaa di besti, de impostor.
E, senza dubbi, nanca on pescador
- a pensagh ben - me piasaria de vess
perchè son persuas che ina i pess
patissen de paura e de dolor.
E nanca, dòpo tutt, vun de quij scior
che pienten in del venter on guggin
a ’na farfalla, a on vermen, a on moschin
col rampin de studià, de fass onor.
Se comincia col dagh minga valor
a ’na rana, a ’na bissa, a on poresin,
a on gatt, a on can, on pòrch, a on cavrettin,
a la vita che la ven dal Creator
e se iniss col sassinà la terra
mazzàndes tra de nun, col fà la guerra.
Pier Gildo Bianchi
ONA MAMMA... ONA SPOSA
L’ha mai dismettuu
quell vestii negher.
L’ha mai desmentegaa
el sò dolor.
La prega dì e nòtt
el Nòst Signor
de risparmià al mond
lacrimm e fever.
Te see rabbiaa, Signor,
forsi con numm?
Segnom la strada giusta
e pizza el lumm!
Maria Brusotti
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
L’ANTIFURTO (soliloqui)
La dava el via a la giornada de laorà e a sera l’era el
reciamm al fogoràa, la sirènna in la giornada l’era
come on orelògg che ’l marcava in cadenza el nòst
defà. Anca quell settaa a l’ombria a pensà ò a fà el
trissètt, quand sentiva la sirènna desmetteva de giugà.
La sirènna l’era on sègn in la vita di mè gent. E ancamò la segna quand la passa l’ambulanza, i pompier,
la polizia, moment d’ansia e d’emozion.
Me, se vun el va lòtt lòtt bell tranquill per la soa strada e tutt a on tratt, a l’improvvis, per che ’l s’cioppa
el mond all’ari pròpi lì vesin de lù e sto frecass d’on
frecasséri el desmett nò de fà baccan, se ’l fa mostra
de fenì e ’l comenza an’mò de capp, ven da on’auto
in terza ila che l’è chì sul marciapee doe gh’hoo de
passà mì?! E se mì giri el canton, e chì gh’hoo on’altra sirènna che la sòna intermittent in la bottega d’on
speziee che la par sarada sù?! E de nòtt, intanta che
dormi, on moros per fass sentì sòna el clacson d’on
rottamm, e desseda el caseggiàa?! Dòpo tutt quell
che v’hoo dii, pròpi a mì m’hann insubii de montà
in sul mè poggioeu l’antifurto a protezion, contra i
lader de città. A mì, che pensi che sti lader dovarien
vess stipendiaa per via che pròpi per lor anca i carabinier gh’hann on pòst de laorà. On stipendi de scurtà
se poeu vegnen ciappaa in fall e de dà sta differenza al caramba come premi. On sistema che ’l pà fà
d’equilibri in sul mercaa.
Pròpi a mì che gh’hoo ’sta idea m’insubissen l’antifurto ma che ’l sia senza sirènna, e per colpa del
destin, che ’l m’ha daa la mia miee, l’hann montaa pròpi l’altrer. Per quest adess quand torni a cà,
gh’hoo de schiscià cert botton e se m’ie ricordi nò o
stoo lì appéna a pensagh, on caramba el ven a voltra
ferma on lader su la porta che ’l voreva entrà in cà
mia e che, tòlt giust in sul fatto, el ghe smena el sò
stipendi.
Joreste
VEDRINA DE LA BOTANICA
a cura di Fior-ella
Melo, albero della vita e della conoscenza salvifica
di Fior-ella
La pianta del Melo, il cui nome scientiico è Malus
domestica, appartiene al genere delle Rosacee, dall’altezza massima di 10 metri, dal legno buon combustibile e con corteccia grigia fessurata a volte in
squame quadrangolari.
Le foglie caduche, sono tondeggianti, acute, seghettate, quelle superiori di color verde vivo, più chiare
e pelose quelle della pagina inferiore. I piccioli pelosi misurano da 2 a 5 cm.
I iori a 5 petali sono grandi, bianchi, sfumati di rosa.
Fioriscono in Primavera aprile-maggio nello stesso
tempo in cui spuntano le foglie.
Il frutto è gustoso con sottile buccia tondeggiate, a
forma del nostro pianeta.
La buccia è la parte più ricca dei principi attivi quindi, dopo una energica lavata, è consigliata la giornaliera consumazione della mela.
Distese di meleti sono presenti su larga scala in Trentino, Alto Adige ed Emilia Romagna.
Cresce spontanea su terreno fresco a mezz’ombra in
collina e montagna ino a 1400 metri.
I frutti del melo selvatico sono raccolti ed usati per
marmellate, sciroppi e gelatine.
La specie coltivata a scopo ornamentale come il Malus
spectabilis o coronaria ha iori doppi ed odorosi, presente in orti e giardini anche nella periferia milanese.
La mela è un falso frutto, perchè deriva dall’ingrossamento dell’intero ricettacolo lorale, l’ovario che,
crescendo diventa carnoso e commestibile, ricco di
virtù curative, dalla polpa succosa, croccante o farinosa, specialmente nella specie Malus domestica.
La mela ha proprietà astringente, antidiabetica per
abbassamento del glucosio nel sangue, antiurico,
antireumatico, lassativo e disinfettante della bocca e
gola ed elimina in parte anche l’acido urico.
Rinfrescante per la buona quantità di acidulo che
stimola la digestione, protegge la mucosa gastrica e
favorisce l’assimilazione del calcio.
Pezzetti di mela, bolliti in acqua, sono eficaci per
attenuare raffreddori, raucedini e tosse.
Pare che fette di mela fresca siano validi per combattere il mal di mare!
Il Sidro di mele, è bibita rinfrescante, antigottosa e
combatte i calcoli urinari.
La composizione del frutto è pari all’ 85% di acqua
- 13% di zuccheri oltre a pectina - tannino - vitamina
A - B - B1 - 2 - C - PP - E.
Le mele sono da usare quando sono ben mature, oltre
alla raccolta delle foglie, iori e gemme, nonché la
corteccia in Primavera, quindi provvedere all’essicazione all’ombra prima di usarle per infusi o decotti.
Il famoso Maurice Messegue, principe degli erboristi, tra le molte ricette, consiglia questa per dimagrire
senza grandi sacriici
“Per due giorni nutrirsi solamente di 1 kg. di mele
al dì, togliere il torsolo, grattugiarle quindi, senza
aggiungere zucchero o altro, consumare lentamente
questa polpa, bevendo soltanto acqua. Vi ringrazierà l’apparato digerente, fegato, reni ed anche il sangue risulterà depurato con sicuro dimagrimento!”.
Una mela consumata prima di dormire concilia il
sonno sia cotta che cruda.
La crostata di mele, detta semplicemente “strudel”, è
il dolce famigliare sempre presente sulle tavole degli
alto-atesini.
Con le mele si produce anche un liquore, la Grappa
di mele, chiamato Calvados.
Santa Idelgarda nel Medio Evo consigliava infusi di
iori e foglie contro le malattie degli occhi e come
ottimo diuretico.
In tanti paesi le mele ornavano l’albero di Natale prima di essere sostituite da pupazzi o collane di luci
elettriche.
I frutti del Melo sono stati immortalati in diverse
poesie ed hanno dato vita a racconti biblici o mitologici.
Il frutto di Eva, detto anche frutto della salute, è un
apportatore di bellezza.
Tutti ricordano la storia di Adamo ed Eva nella Genesi che seguendo il consiglio del serpente tentatore,
il più astuto di tutti gli animali creati dal Signore,
invita Eva a mangiare un frutto che aprirà gli occhi
per conoscere il bene ed il male.
Eva pensa che quel frutto sia indispensabile per acquisire saggezza e ne offre anche ad Adamo. Quando
giunge il Signore, entrambi si accorgono di essere
nudi ed hanno paura a mostrarsi, quindi si coprono
con foglie di ico.
Vengono scacciati dall’Eden ed allontanati dall’albero della vita, il Melo, frutto del peccato originale.
Alessandro Magno, mentre cercava in India “l’acqua
della vita” scopre le mele che prolungavano la vita
dei sacerdoti ino a 400 anni.
Continua a pag. 26
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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ACCADEMIA
IL MANZONI CHE NON CONOSCIAMO
Manzoni nevrotico ed inquieto
combatteva le sue angosce con lunghe camminate
di Osmano Cifaldi
Il quotidiano di casa Manzoni era animato dalla presenza di un numeroso gruppo di bambini irrequieti.
Infatti il nostro Don Lisander ne ebbe nove e sette gli
premorirono.
Il capo famiglia preso dalle sue occupazioni letterarie rimaneva distratto dalle cure d’ambito anche
perchè soffriva di complessi disturbi nervosi che lo
facevano passare per un “convulsionario”. Manzoni
fu infatti un uomo fragile, malinconico, nevrotico,
soggeto a vertigini e balbuzie. Soprattutto i disturbi
nervosi erano ostinati e spesso gli alienavano la possibilità di una vita sociale piena ed indipendente.
Non poteva azzardarsi ad uscire solo perchè provava
sempre l’impressione di cadere. Si faceva pertanto
accompagnare da un amico o conoscente di facile
eloquio e dotato di un buon passo; Manzoni era un
camminatore instancabile, sia da giovane come in età
matura. Dunque camminare e parlare, parlare e marciare, solo così riusciva in parte ad esorcizzare le sue
angosce e gli attacchi di panico.
Altro sollievo era quello di parlare con gli amici dello stato dei suoi nervi conidando loro le sofferenze
della sua vita quotidiana.
Prima di abitare a Milano, in quella vasta casa di via
Morone, riusciva a mitigare i suoi tormenti dedicandosi al giardinaggio nella villa di Brusuglio ereditata
dalla madre Giulia alla morte del suo amante conte
Carlo Imbonati. A Brusuglio coltivava pure cotone e caffè.
Come è ormai assodato Manzoni,
Alessandro (1785-1873) ebbe come
nonno materno Cesare Beccaria. Il
padre, Pietro, lo riconobbe iglio legittimo ben sapendo che la moglie
Giulia Beccaria concepì Alessandro
“extra moenia”, con Giovanni Verri
che poi piantò per unirsi al facoltoso
conte Imbonati.
Alessandro seguì la madre ed il patrigno a Parigi ove visse per un periodo in una casa vasta ed elegante.
Fu la madre Giulia, conoscendo le
crisi d’angoscia del iglio, a guidarlo nella vita ino a sceglierli per
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
moglie Enrichetta Blondel e lasciandogli in eredità
un ingente patrimonio da lei acquisito in seguito alla
morte dell’Imbonati.
Tuttavia non pare che mettendosi a scrivere potesse
distrarsi completamente dai suoi fastidi nervosi. Infatti scrisse le pagine migliori, compreso i Promessi
Sposi, durante i periodi di migliore equilibrio psicoisico. È da pensare che questi periodi di tregua non
erano così brevi ed infrequenti stante la consistente e
complessiva produzione letteraria da lui licenziata.
È certo che la sua numerosa famiglia ed il suo mondo di amici, conoscenti, estimatori, provarono gran
sollievo quando ebbe ultimato i Promessi Sposi, per
il quale e per lungo tempo erano stati tensivamente
coinvolti per via delle interruzioni dovute alla sua
nevrosi. Quando gli andava bene riusciva a lavorare
tutta la mattinata, rimanendo poi spossato per tutto
il pomeriggio. Era un quotidiano dificile da interpretare, unica risorsa, camminare il più lungamente
possibile.
A noi rimane l’obbligo di sofiare nella polvere del
tempo di Don Lisander con tatto e comprensione.
Anche il padre dei Promessi Sposi fu in balia delle
umane debolezze e precarietà.
CUNTA SÙ
a cura di Ella Torretta
Pasqua sul “Monte Grona”
di Ella Torretta
In del silenzi mì, el mè marì e el mè ioeu semm rivaa
sù la scima del “Monte Grona”.
Semm de per nun, quanta pas!
El mè coeur el se slarga in sto mond de solitudin.
El sô el lassa crodà i ragg de calor che fann piasè: i e
gòdi, i senti andà dent in‘in fond a la midolla di òss.
Sti ragg hinn talment scottent che paren deslenguà
ina i nivol che in del ciel corònen ona scima lontana.
Incoeu, Signor, in mezz ai montagn che t’hee creaa,
son pussee vesin a Ti. Te son “devota” anca senza
vegnì in gesa a paterà domà con la bocca, ma con
tanto sentiment saraa dent in del coeur!
I mè oeugg s’impienissen di bellezz del Creaa.
Intorna se perden in l’orizzont cadenn de montagn,
scimm ancamò quattaa de nev, vall che ’me ona bissa
se deslazzen intramezz ai bosch. Ancamò pussee in
bass ona gran distesa quietta, el lagh de Còmm, sberlusent el fa la gibigiana ai barchett che me paren tanti
parpaj portaa dal vent!
La Grona vista dal centro Lago di Como
L’arietta che boffa tra i bricch la rusa via tutti i penser, la me desseda domà sentiment de poesia, la me
fa desmentegà tusscòss, la me fa trovà de noeuv la
pas interior e senza accòrges me metti prima a pregà
poeu a cantà sòtt-vos ona melodiosa canzon de montagna.
Tutt quest el servirà doman a sopportà i tribuleri de
la giornada, i fastidi de la settimana che ògnidun a la
soa manera se rassegna a strusass adree.
On ior che cress tra i diruperi el soppòrta anca lù el
frecc, el vent, el gel eppur a primavera el sbusa la nev
per fass vedè che l’è viv, per quattà i praa de color e
tutt per la giòia di nòster oeugg!
In scima a sta montagna el silenzi l’è de cà.
Me senti inscì ben che voraria mai lassà sto poggioeu
sul mond, ma rivada ona nivola, el sô el se scond
dedree, diventa frecc el sass dove son settada e decidom de borlonà giò a vall insema ai sass che rotola
sòtt’ai scarpon.
Per famm ricordà che l’è el di de la Resurrezion, el
vent el pòrta in chì, su la scima del Monte Grona, el
son d’ona campana ch’el me ispira sta composizion.
El son d’ona campana
l’è on sgrisor che commoeuv
de dent anima e coeur!
I tocch che de lontan
galleggen in de l’aria
hinn brasciaa sù del vent,
sormonten diruperi
hinn sparpajaa in la vall
e vun per vun se smorzen
in d’on canton del bosch
apos a on croceiss.
In del silenzi grev
el son de sta campana
el tira apress la gent,
el par on cœur che batt
e nass on’orazione
per chi gh’ha devozion!
GLOSSARIO
gibigiana = riverbero
parpaj = farfalle
bricch = dirupi
diruperi = rocce
borlonà giò = rotola giù
Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
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VOS DE RINGHERA
Il popolo milanese ha sempre avuto una speciale
arguzia nel forgiare detti e motti di particolare
eficacia, mai mancanti di generosa ironia che si
avverte anche nelle locuzioni più cupe.
Ve ne proponiamo alcuni in questa pagina connessi
alle motivazioni della loro origine.
On oeuv foeura del cavagnoeu.
Per apprezzare questo detto bisogna tener presente
che il cavagnoeu è il cestello nel quale si usava conservare le uova, fatto in ilo si ferro con la bocca sottile e la pancia grossa e un manico per appenderlo.
Un uovo fuori dal cestello è cosa inconsueta in una
casa ordinata anche per il fatto che potrebbe rompersi o andare perduto. Da ciò deriva l’originale detto
per indicare una iniziativa inconsueta o una cosa che
di solito non si fa come fare un giorno di festa e non
andare a bottega
Continua da pag.9 - Poesia e stile
gozz e tutta lard che in cà Cangiasa, dopo la Marchesa, l’era la bestia de maggior riguard. Quando
al suo successore, don Glicerio, è capitato di essere
prossimo a morire per una peripneumonia (contratta
nel portare a spasso la Lilla). Un nugulo di preti si è
presentato a palazzo, la mattina della selezione, perché tutti ambivano a quel posto che avrebbe permesso di sbarcar il lunario.
Il bercìo sollevato dai presenti sveglia la marchesa e
la Lilla, inché un camerleccai, (Kammerlaquais =
servitore intimo) non interviene a zittire i presenti ed
a chiarire le condizioni di comportamento alle quali
si deve impegnare chi verrà assunto: di una trentina
i candidati se ne salva una mezza dozzina. A questo
punto intervengono la marchesa e la Lilla. Quest’ultima comincia a saltare tra le dodici gambe rimaste,
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Sciroeu de Milan - Magg/Giugn 2015
L’è ona pell de luganeghin.
La luganega è la salsiccia e il luganeghin è il salsicciotto che ha una pelle fatta di budello, poco digeribile, quando si mangia il salsicciotto la pelle si leva
e si butta via. Per questi requisiti negativi della pelle
del salsicciotto si suol dire l’è ona pell de luganeghin
quando si vuole indicare una persona grama, un poco
di buono da tenere alla larga.
Invers come ona pidria.
La pidria è un grosso imbuto (pedrioeu) che non sta
in piedi se non rovesciato, invers in milanese signiica rovesciato e l’aggettivo si usa sia nel senso isico che in quello morale, che vuol dire maldisposto,
di pessimo umore. Dalla fusione della particolarità
della pidria, che si posa a rovescio e dal signiicato dell’aggettivo invers, è venuto questo detto che si
suol dire quando si incontra una persona di umore
pessimo.
inché un don Malacchia perde la pazienza, la rimprovera e fa l’atto di darle un calcio. La marchesa lo
scaccia, redarguisce gli altri che hanno accennato a
ridere, la Lilla fa i complimenti a don Ventura, che
viene assunto. Si è saputo poi che i complimenti della Lilla erano determinati dal fatto che il buon prete
aveva in tasca un po’ di salamm de basletta (residui
misti di affettato) comprati come pietanza per il suo
povero desinar.
Nei 264 versi del poemetto, Porta descrive l’albagia
della marchesa, l’egoismo ottuso della Lilla, la supponenza del maggiordomo, le condizioni miserevoli,
anche l’ignoranza e l’abbandono di ogni amor proprio, dei preti. Il tutto mediante immagini ed azioni,
terminando col salamm de basletta. Anticipa così di
qualche anno il realismo che Manzoni appicherà nei
Promessi Sposi del 1827, dopo l’esperienza ancora in
buona parte sensista del Fermo e Lucia del 1823.
SALUTE A MILANO
a cura di Filippo Bianchi
Le malattie croniche polmonari
di Filippo Bianchi
Con Il termine broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) ci si riferisce a un gruppo di malattie
respiratorie caratterizzate da una iniammazione cronica delle vie aeree che si manifesta con tosse produttiva e conduce alla progressiva riduzione della
funzione respiratoria. Tutto questo può provocare la
sensazione di iato corto (quella che con un termine
medico viene deinita come “dispnea”) o la sensazione di essere affaticati. Essenzialmente il termine
BPCO viene usato per descrivere una persona affetta
da bronchite cronica, enisema o una combinazione
di entrambe. Detto per inciso, queste malattie sono
completamente differenti dall’asma, anche se a volte
non è semplice per il medico capire se si è di fronte
a una o all’altra malattia. Vediamo innanzitutto come
s’intende per bronchite cronica. Questa malattia
viene diagnosticata quando un paziente riferisce la
presenza di tosse e muco per la maggior parte dei
giorni per un periodo di 3 mesi nell’arco di 2 anni
consecutivi, qualora siano state escluse altre affezioni polmonari tra le possibili cause. La bronchite cronica si caratterizza per il continuo rigoniamento e
irritabilità delle vie aeree, particolarmente bronchi o
bronchioli, e causa la produzione di muco in eccesso.
Il rigoniamento e l’eccessiva produzione di muco
rendono l’interno dei canali respiratori più stretti del
normale, e questo restringimento delle vie aeree impedisce alla normale quantità d’aria di raggiungere
i polmoni. L’effettivo restringimento viene misurato attraverso un test respiratorio speciico chiamato
spirometria, che darà pertanto un’afidabile stima del
danno a livello polmonare.
L’enisema polmonare è invece una patologia che
riguarda quelle piccole sacche d’aria poste all’interno dei polmoni e chiamate alveoli. Di norma, vi sono
oltre 300 milioni di alveoli nel polmone; essi sono
elastici come piccoli palloncini e, come i palloncini,
ci vuole uno sforzo per riempire di aria un alveolo
in condizioni normali, ma non c’è bisogno di energia per svuotare la sacca d’aria, poiché gli alveoli
tornano automaticamente alle dimensioni normali.
In caso di enisema, le pareti di alcuni degli alveoli
sono danneggiate. Quando ciò accade, gli alveoli si
distendono e si comportano più come un sacchetto
di carta, nel senso che un sacchetto di carta si gonia
facilmente, ma è necessario premerlo per far uscire
l’aria. Pertanto, invece di impiegare energia solo per
far arrivare aria ai polmoni, è necessario uno sforzo
anche per farla uscire. Poiché è dificile far uscire
tutta l’aria dai polmoni, questi non si svuotano completamente e quindi contengono più aria del normale: questo fenomeno viene deinito intrappolamento
d’aria, o inlazione. La combinazione della presenza
continua di aria nei polmoni e lo sforzo ulteriore fatto per respirare, provoca la sensazione di iato corto.
La maggior parte dei casi di BPCO avviene in seguito
all’esposizione protratta a sostanze irritanti che danneggiano sia i polmoni sia i bronchi. Ovviamente la
sostanza “regina” è il fumo di sigaretta; anche la pipa,
il sigaro e gli altri modi di fumare il tabacco possono
causare la BPCO, soprattutto se il fumo viene inalato. La BPCO può anche essere causata dal fumo,
dall’inquinamento dell’aria, dai fumi chimici o dalle polveri ambientali o presenti sul luogo di lavoro.
L’inalazione di particelle irritanti porta le ghiandole
mucose, che si trovano nei bronchi a produrre più
muco del normale e ciò può causare l’ispessimento
e il rigoniamento (iniammazione) delle pareti dei
bronchi. Tale aumento della produzione di muco
provoca tosse nel tentativo di espellere il muco in
eccesso.
Come si riconosce la BPCO? Questa si manifesta
con tosse continua e produzione di catarro soprattutto al mattino per il ristagno delle secrezioni nelle vie
respiratorie, dificoltà nel respirare prima durante lo
sforzo e poi anche a riposo. Spesso si complica con
episodi acuti in genere dovuti a infezioni sovrapposte. Quando c’è una riacutizzazione, il malato ha un
incremento dei sintomi rispetto alle sue condizioni
abituali e lamenta soprattutto un peggioramento del
respiro, un aumento della tosse e delle secrezioni
che spesso cambiano di colore diventando purulente. Esistono per fortuna dei validi presidi terapeutici. Nel caso dei fumatori, il primo e più importante
trattamento è smettere di fumare. Possono anche risultare utili farmaci broncodilatatori, che favoriscano l’allargamento dei canali respiratori associati ad
antiiniammatori per ridurne il goniore. In caso di
infezioni ricorrenti sarà utile ricorrere ad un ciclo di
antibiotici. È opportuno rilevare che questi farmaci
devono essere assunti quotidianamente, probabilmente per il resto della vita, poiché allo stato attuale
delle conoscenze non esiste una cura che ripristini il
funzionamento dei bronchi danneggiati dalla bronchite o degli alveoli affetti dall’enisema.
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ACCADEMIA
Continua da pag.11 - Via Bonvesin da la
Riva
del libro “Grandezze di Milano”, scritta da Angelo
Paredi, della Biblioteca Ambrosiana, nel 1967, ed.
Amilcare Pizzi, Milano; scrive a pag. 17 che “per ripubblicarle e tradurle ha dovuto leggere e rileggere
più volte queste antiche pagine del duecento vien da
pensare che le lodi iperboliche alla sua città e alle di
lei grandezze non siano che un pretesto per il Bonvesin per poter prorompere nelle invettive inali contro i maledetti partiti che straziavano la vita cittadina
e che rendevano sempre più pesante il fardello che
doveva portare la gente umile e i cittadini comuni,
come uno era lui l’autore. Probabilmente proprio le
ultime pagine ci danno la ragione e lo scopo del li-
Continua da pag.23 - Melo, albero della vita
e della conoscenza salviica
Nella tradizione celtica “La grande Madre”, a cui
era sacra la mela, era colei che trasmettendo “il furor poeticus” incantava i poeti. Sovente è rafigurata
come una bella fanciulla su un cavallo nero che tiene
tra le mani una mela d’oro.
La sferica rotondità della mela ispirò il simbolo cosmico del globo terrestre e della sovranità, per cui
Imperatori e Re la tengono tra le mani a dimostrazione che questo frutto può sedare la fame del popolo.
Già sotto l’Imperatore Augusto erano coltivate 30
qualità di piante di melo, pare che ora ve ne siano in
produzione circa 1400.
Il I Imperatore Romano che si fece rafigurare con la
mela d’oro, fu Marco Aurelio Antonio Bassiano, più
conosciuto con il nome di Caracalla.
Gli Imperatori del Sacro Romano Impero per dimostrare che regnavano in nome di Cristo, sovrapposero
alla mela una croce, insegna che ino all’800 rammentò ai sudditi l’origine divina delle autorità.
A tutti è noto “Pomo della discordia” che suscitò la
guerra di Troia per l’assegnazione alla più bella del
reame, Elena.
Il Melo, è stato donato alla dea della Bellezza, da
Dionisio.
La mela stregata che addormenta Biancaneve è ricordata nella iaba dei Fratelli Grimm.
Piante colme di frutti, erano presenti nei giardini del
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bro. Anzi quegli accenti appassionati sono un monito
anche per i milanesi di oggi. La via a lui intitolata è
vicina alla chiesa di Santa Maria del Suffragio, che si
affaccia su Corso XXII Marzo; citiamo dal libro “Le
nostre chiese”, a cura di Raffaele Bagnoli, pag. 143,
che è stata progettata dall’Arch. Alfonso Parrocchetti, “condotta a termine solo nel 1896, volta ad un
lombardo-bizantino di genuina ispirazione. Codesta
chiesa sorta nella zona suburbana fuori Porta Vittoria, plaga che andava prendendo nuovo sviluppo, fu
dedicata alla Madonna del Suffragio per stimolare i
fedeli a suffragare i defunti, giacchè era in progetto
di raccogliere nei suoi sotterranei, almeno in parte,
i resti esumati dal vicino cimitero di Porta Vittoria
soppresso, ove avevano avuto sepoltura non poche
vittime delle Cinque Giornate”.
Re dei Feaci, Alcinoo che accoglie Ulisse il quale,
tornato ad Itala per farsi riconoscere dal padre Laerte,
incredulo della sua presenza dopo 20 anni di assenza,
gli elenca gli alberi a suo tempo ricevuti in dono :
“…13 peri, a me donasti, 10 meli e 40 ichi…”
Melo dalla traduzione latina Malus o pomum, in inglese Apple, da cui il nome di Avallon, la mitica “Isola delle mele” chiamata anche “Insula pomorum”,
nelle profezie del Mago Merlino dal libro di Goffred
di Monmouth - 1152, profeta della Britannia.
Avallon, simbolo di gioia ed ultraterrene dolcezza
dove dorme Re Artù.
Questo frutto era considerato dalla sorella di Re
Artù, la Fata Morgana, una eficace prevenzione da
ogni malattia.
Albero che produce frutti dell’immortalità, saggezza
e conoscenza, frutti che alleviano la sete e la fame.
San Francesco d’Assisi affermava che
“...un melo tra gli alberi selvatici è il mio amore…
mi piace sedermi alla sua ombra e gustare la delizia
dei suoi frutti”
In milanese si chiama pòmm sia il frutto che la pianta, mentre il torsolo è detto caruspi o sgavusc.
La dea Idun, nella mitologia tedesca, possedeva mele
eccezionali che impedivano l’invecchiamento da cui
è derivato il proverbio
“Una mela al giorno toglie il medico di torno”
quindi seguiamo il suo consiglio ed ogni giorno gustiamo questo frutto conosciuto da tutti e da tutti
molto apprezzato.
Firifiss
Solo l’uomo colto è libero.
Epitteto
Essere irragionevoli è un diritto umano.
Aristotele
Finché c’è al mondo un bimbo che muore di fame,
fare letteratura è immorale.
Giorgio Manganelli
Non puoi stringere la mano con un pugno chiuso.
Gandhi
L’educazione di un popolo si giudica dal contegno che tiene per la strada.
Edmondo De Amicis
La tolleranza dovrebbe essere una fase di passaggio. Dovrebbe portare al rispetto. Tollerare è
offendere.
Johann Wolfgang Göethe
Elisabeth Boeke
sculture in terracotta
SCIROEU de MILAN
“
Scusate;
faccio così fatica a ricomporre davanti a
me
i sofitti, le quinte,
le sedie, me, voi stessi…
Tutto sembra percorso ancora
da un interminabile sussulto…
Crepe si sono aperte sotti i nostri piedi
e anche là, lungo le pareti…
Spade di luce continuano a uscire…
La mia cecità cresce,
ma non è nel buio che s’inoltra…
(da Conversazione con la morte, Rizzoli, 1978)
”
Giovanni Testori
Novate Milanese, 12 maggio 1923 – Milano, 16 marzo 1993
Nato da una famiglia profondamente cattolica, Testori esprime nei suoi studi e in tutte le sue opere un forte legame con
la religione. I suoi amori ossimorici per il Manzoni de I promessi sposi e per il Caravaggio, artisti che hanno espresso in
maniera dicotomica il loro sentire cristiano, cela e palesa al
tempo stesso una religiosità vissuta con tensione tragica, fatta
di dubbi, di bestemmie e di pentimenti.
Come tutti gli anni le immagini delle copertine e
della pagina centrale hanno un tema
per il 2015 sarà “Poeti di Lombardia”
In copertina: Giovanni Testori