D`azzardo? Anche no.

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D`azzardo? Anche no.
N21
DICEMBRE
2014
SPECIALE
F O G L I O I N F O R M AT I VO
D E L C E N T R O I N T E R C U LT U R A L E
D E L C O M UN E D I P I AC E N ZA
Mutilazioni Genitali Femminili
D’azzardo?
Anche no.
I N Q U E S TO
N U M E RO
Dalla Trappola (del
gioco d’azzardo)
alla Rete (della
solidarietà)
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Io dico “No”
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al gioco d’azzardo
I rifugiati stanno
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invadendo l’Italia?
Piccolo glossario
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della migrazione
Storia di un
avventuriero
Mutilazioni Genitali
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Femminili,
parliamone...
di Vesna Mitrasinovic
L’amore negato.
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Testimonianza di una
mediatrice
Uomini e MGF
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Le manipolazioni
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corporee non funzionali: lo sguardo
dei ragazzi
Usanze e abitudini
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matrimoniali in
Romania
Che paese bolle
in pentola?
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Il termine ludopatia è composto da
ludo “relativo al gioco” e patia “malattia o stato di sofferenza”. Si tratta di un
impulso incontrollabile che spinge la
persona verso il gioco d’azzardo pur
nella consapevolezza delle conseguenze negative che ciò produrrà. Non è ancora certa ed univoca la classificazione
a livello medico: alcuni ritengono che
rientri nel gruppo delle cosiddette manie, altri che condivida tratti dei comportamenti ossessivo compulsivi.
La persona che ne soffre è in preda
all’ansia, all’assuefazione, all’astinenza
che lo portano ad avere comportamenti
lesivi quali mentire, commettere atti illegali, mettere a repentaglio le relazioni
importanti fino ad arrivare alla perdita
del controllo.
Anni fa i giocatori erano facilmen-
te individuabili, segregati com’erano
in determinati luoghi e contesti. Oggi
purtroppo, grazie anche a leggi troppo permissive, le occasioni di gioco si
sono moltiplicate: slot machines nei bar
e tabaccherie, aperture di sale giochi e
l’avvento di internet hanno portato ad
un incremento esponenziale del problema.
Le conseguenze per chi ne è affetto
sono drammatiche: la ludopatia può
portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti relazionali
(fino al divorzio), alla perdita del lavoro,
allo sviluppo di dipendenza da droghe
o da alcool fino al suicidio. Un fenomeno di natura incerta, ma in continua
crescita - si parla di 700mila persone in
Italia - che interessa ogni fascia di età
e non fa distinzione di genere: si stima
che l’1-3% dei giocatori d’azzardo siano
da ritenersi patologici.
Inserita di recente nei livelli essenziali
di assistenza, la ludopatia è da settembre 2012 nel programma terapeutico
garantito dal Servizio Sanitario Nazionale e si può affermare che è paragonabile ai fenomeni di alcolismo e tossicodipendenza.
Ci sono anche buone notizie: a protezione del malato e delle conseguenze sulla sfera familiare sono intervenute due
sentenze esemplari. Il Tribunale Civile
di La Spezia ha pronunciato una dichiarazione di incapacità ad autodeterminarsi per chi è affetto da questa patologia e ad annullare di conseguenza
la contrazione di un debito finalizzato
al gioco d’azzardo, mentre il Tribunale
di Venezia ha preferito, in circostanze
simili, nominare un amministratore di
(Continua a pag.3)
PA G I N A 2
Dalla Trappola (del gioco d’azzardo)
alla Rete (della solidarietà)
Dalla Trappola alla Rete
Si è parlato di gioco d’azzardo eccessivo e patologico lo
scorso novembre al Centro Interculturale, grazie ad un
interessante progetto nato nell’ambito del volontariato
piacentino e sostenuto da Svep.
Qui di seguito una riflessione di Alessandra Bassi (cooperativa L’Arco), che insieme a Fausta Fagnoni (associazione La Ricerca), ha condotto i due incontri di sensibilizzazione sul tema.
Il progetto “Dalla trappola alla rete” ha lo scopo di
sensibilizzare ai problemi dei familiari dei giocatori d’azzardo, che hanno bisogno di supporto e di
appoggio per molto tempo e in svariati modi. Per
ogni giocatore eccessivo o patologico ci sono due,
tre, cinque, sette persone che soffrono per la situazione che si è creata in casa loro e possono avere
qualsiasi età e qualsiasi estrazione sociale.
I familiari sconvolti dal gioco d’azzardo possono
essere mogli o mariti, giovani o anziani, genitori
adulti o anziani, fratelli e sorelle, e poi figli piccoli,
giovani o adulti... La casistica è la più varia, e così
le sofferenze che provano. Hanno preoccupazioni
economiche, talvolta soverchianti, sono stati traditi e ingannati da una persona su cui contavano,
possono avere problemi di salute, di alloggio, di
gestione della quotidianità. Fanno fatica a chiedere
aiuto, hanno paura del giudizio degli altri, di non
venire creduti, di venire incolpati per la situazione.
E d’altra parte, a chi sembra possibile che si creino
situazioni simili senza colpa? Chi riesce a credere
che non si riesca a smettere dopo aver creato tutti questi problemi? Quando un familiare racconta
quello che succede a casa sua, è il primo a trovarlo
incredibile! E quindi si vergogna, vorrebbe evitare
al suo familiare giocatore d’azzardo di venir conosciuto in questo modo...
I familiari dei giocatori d’azzardo eccessivi hanno
bisogno di aiuto concreto, di supporto emotivo e
di informazioni: quanto di questo potrebbe essere offerto gratuitamente da persone normali, da
volontari e cittadini? Noi crediamo che la risposta
sia: molto!
I professionisti si occupano soprattutto dei giocatori d’azzardo patologici e danno una mano anche
ai familiari, ma quello che può dare la comunità è
tantissimo! Bisogna però che si diffonda la consapevolezza che quella provocata dal gioco d’azzardo è una malattia, che non è facile curarla e che
danneggia le famiglie in modi diversi e complessi.
Le famiglie che hanno il dubbio di avere questo
problema dovrebbero cercare di capire se sono
spariti soldi, se sono state dette bugie a proposito
e se ci sono state strane dimenticanze, ad esempio
su pagamenti e scadenze. Non è facile per un giocatore d’azzardo problematico ammettere di aver
bisogno d’aiuto e spesso devono essere i familiari
a farlo, cominciando a chiedere aiuto per sé. Possono telefonare al Ser.T di Cortemaggiore, e possono
consultare gratuitamente il manuale per i familiari
che si trova sul sito www.andinrete.it.
Dopo i prossimi step del progetto “Trappola”, speriamo che potranno contattare anche una delle associazioni di volontariato che hanno partecipato al
percorso avanzato.
Alessandra Bassi
PA G I N A 3
Io dico “No” al gioco d’azzardo
E’ partita a settembre la fase operativa del
Piano integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio di dipendenza dal gioco patologico 2014-2016
della Regione Emilia-Romagna. Un apposito marchio (Slot Free ER) è stato realizzato per il coinvolgimento dei Comuni
e degli esercizi commerciali: chi aderirà
al Piano potrà esporlo nel proprio locale
per permettere ai cittadini di riconoscere
e scegliere esercizi dove non ci sono slot
machine o totem per il gioco on line.
Dal sito: http://www.regione.emilia-romagna.it
(Continua da pag.1)
sostegno addetto alla cura, assistenza
e amministrazione del patrimonio del
soggetto. Per entrambe però è stata
vincolante l’indagine medica volta al
riconoscimento della patologia.
Si stima che quella del gioco d’azzardo
sia la quinta industria del paese, con
un giro di affari di 60 miliardi di euro
che frutta allo Stato circa 12,5 miliardi
di euro.
Difficilmente si promulgheranno leggi
che vogliano seriamente limitare queste attività, anche se, ad onor del vero,
qualche passettino si è fatto: limitazione d’orario per le sale gioco, divieto di
collocare le macchinette vicino a luoghi
sensibili (ospedali o scuole), obbligo di
informare la clientela sulle reali possibilità di vincita e sui rischi generali
legati al gioco.
L’unica difesa e/o cura rimane riconoscere il problema
e rivolgersi tempestivamente a chi può dare un aiuto:
dal Ser.T a vari programmi o seminari attivati sul territorio (per informazioni: dazzardo.anche.no@gmail.
com) o ai gruppi di automutuo-aiuto.
Vesna Mitrasinovic
Dalla Trappola alla Rete
Nel 2013 in Emilia-Romagna il gioco d’azzardo ha prodotto un fatturato di circa 6
milioni di euro con un numero di giocatori stimato intorno alle 10mila persone. Le
persone assistite dai SerT delle Aziende
Usl per dipendenza da gioco d’azzardo
sono state 1102 nel 2013, registrando un
aumento del 37% rispetto ai dati relativi
all’anno precedente.
PA G I N A 4
I rifugiati stanno invadendo l’Italia?
Nella civilissima e opulenta Europa si ha l’impressione di
assistere ad una vera e propria invasione di rifugiati. Le
cronache ci parlano di continui sbarchi sulle nostre coste,
ma le statistiche ci mostrano un quadro diverso: secondo
i dati del Rapporto annuale UNHCR 2013, circa l’81% dei
rifugiati viene accolto (e possiamo immaginarci, anzi lo
vediamo nei telegiornali, in quali condizioni) dai paesi
confinanti: Pakistan, Iran, Kenya, Giordania...
Chi è un rifugiato? “Chiunque, per causa di avvenimenti
anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua
cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello
Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale
timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori
dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti,
non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi” (art. 1 Convenzione di Ginevra del 28/07/1951)
L’attribuzione dello status di rifugiato prevede che venga riconosciuto ai richiedenti asilo il fatto che gli atti di
persecuzione in corso nei loro confronti costituiscano
una minaccia alla loro vita o alla loro libertà. Preposta a
tale compito vi è la Commissione Nazionale per il Diritto
d’Asilo che ha la funzione di indirizzare e coordinare le
Commissioni Territoriali che accolgono ed esaminano le
istanze di riconoscimento di tale status.
Quando poi il richiedente asilo è un minore, la situazione è ancora più drammatica: esposto a fenomeni violenti
e complessi, il minore potrebbe non avere gli strumenti
comunicativi e cognitivi adatti per verbalizzare la sua
storia. Idealmente i minori stranieri non accompagnati
andrebbero da subito inseriti in percorsi “personalizzati”
con la collaborazione di diverse figure professionali che applichino uno sguardo psicologico,
pedagogico, antropologico ed educativo. Per
quanto meritevole, l’affidamento ad un giudice
tutelare e la sua collocazione presso una struttura adeguata per sottrarli alla rete di sfruttamento, non sempre basta a garantire loro quei
principi elementari sanciti dalla dichiarazione
dei diritti del fanciullo del 1959.
Vesna Mitrasinovic
QUALCHE NUMERO PER RIFLETTERE
Il primo paese al mondo per numero di rifugiati accolti è il Pakistan (1.600.000),
il secondo l’Iran (900.000), il terzo il Kenya (570.000)
In Europa: circa 600.000 in Turchia, 190.000 in Germania, 232.000 in Francia, 126.000 nel Regno Unito,
114.000 in Svezia
In Italia: 78.000
La Svezia supera i 9 rifugiati ogni 1000 abitanti, i Paesi Bassi 4,5, la Francia 3,
mentre l’Italia ne accoglie poco più di 1
Nuove richieste di asilo nel 2013: 28.700 in Italia, 110.000 in Germania, 60.000 in Francia
Dati tratti dal rapporto annuale UNHCR, 2013
PA G I N A 5
Piccolo glossario della migrazione
Apolide: persona che, avendo perso la cittadinanza di origine e non avendone assunta alcun’altra, non è cittadina di alcuno stato.
Clandestino: persona che, pur avendo ricevuto
un ordine di espulsione dall’Italia, rimane nel Paese. Dal 2009 la clandestinità è un reato penale.
Irregolare: qualcuno che non possiede lo status
giuridico richiesto o i documenti di viaggio necessari ad entrare in un Paese o a stabilirvisi.
Migrante: qulacuno che decide liberamente di
trasferirsi in un’altra regione o Paese, spesso per
ottenere condizioni materiali o sociali migliori o
per altri motivi.
Profugo: genericamente chi si è allontanato dal
Paese di origine a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali.
Rifugiato: persona che vive al di fuori del proprio Paese di nazionalità o residenza per un timore fondato di persecuzione a causa della propria razza, religione, nazionalità, appartenenza a
un gruppo sociale o opinioni politiche. Le persone che fuggono dai conflitti o dalla violenza sono
anche considerate come rifugiati. Esse non ricevono alcuna protezione dal loro stato di origine
che spesso invece minaccia di perseguitarle.
Storia di un avventuriero
Mi chiamo Sangaré Moussa*, ho diciassette anni e vengo dalla Costa d’Avorio. Oggi sono qui per raccontarvi il lungo viaggio che ho fatto per arrivare in Italia.
Quando ero nel mio paese andavo a scuola tutti i giorni, mi piaceva stare con i miei amici, andare a ballare e
divertirmi... una vita normale insomma. Ma questa tranquillità non sarebbe durata a lungo: violenti scontri
armati dovuti a cause politiche interne hanno devastato il mio paese. Dopo aver assistito al massacro di tutta
la mia famiglia, non mi restava altra scelta che fuggire. È cominciata così la mia avventura.
Grazie ad un passaggio in macchina ho raggiunto il Burkina Faso e dopo due giorni di viaggio sono arrivato
in Niger. Pensavo sempre e solo alla mia famiglia e ai miei amici, a tutto quello che avevo perso. Qui ho
conosciuto altri ragazzi, più grandi, che si prendevano cura di me dato che ero il più piccolo. Dopo aver trascorso tre giorni nella città di Agadez, ho lasciato il Niger per raggiungere la Libia. Una settimana di strada
nel deserto con solo 20 litri d’acqua e qualche biscotto per sopravvivere. Appena sono arrivato in Libia sono
stato arrestato dalla polizia e ho passato due mesi in prigione. Durante la prigionia lavoravo nei campi di
uva tutto il giorno, mangiavo solo una volta e non sono mai riuscito a dormire la notte.
Finalmente una sera sono riuscito a scappare dal carcere con altri compagni e sono rientrato a Tripoli. Qui
ho trovato lavoro come meccanico, ma le condizioni di vita erano molto dure: in Libia gli stranieri vengono
trattati come schiavi e vivono in costante pericolo. Un giorno, infatti, un gruppo di giovani arabi ha sparato
con i fucili all’interno del nostro garage provocando due morti. Per riuscire a nascondermi ho corso per due
giorni fino a quando sono riuscito a spiegare la mia situazione ad un passatore arabo. Egli mi ha portato
vicino alle rive del mare dove ho incontrato gli altri ragazzi che sarebbero poi venuti in Italia. Siamo saliti su
un gommone, eravamo in 130: somali, ivoriani, una donna del Mali e una della Liberia. Abbiamo trascorso
cinque giorni in acqua fino a che la Marina Italiana ci ha visti. Sono venuti in nostro soccorso e ci hanno
salvati. Poi ci hanno portato in Sicilia, da qui sono andato in aereo fino a Bologna e con un autobus sono
arrivato a Piacenza…
Sangaré Moussa
* nome di fantasia
PA G I N A 6
Mutilazioni Genitali Femminili
Mutilazioni Genitali Femminili, parliamone...
Mappa della diffusione della pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili in Africa e Medio Oriente: le percentuali
sono riferite alla popolazione femminile di età compresa tra i 15 e i 49 anni.
Quella in cui viviamo è una società plurale: si trovano a convivere, nello stesso territorio, persone
provenienti da ogni parte del mondo. Perché questa convivenza possa essere arricchente per tutti,
è necessario aprirsi al dialogo, “mettersi in gioco”. Ogni componente della società deve avere il coraggio di pensare e ripensare le proprie abitudini, le proprie tradizioni e i propri orizzonti valoriali
per costruire significati comuni. Questo afflusso di nuove idee, nuove tradizioni, nuove visioni del
mondo, può sicuramente essere molto vantaggioso per chi è disposto ad accoglierle. A volte ci si trova però a dover far fronte anche a nuove emergenze, che prima si erano considerate semplicemente
“parte di un altro mondo”.
E’ il caso delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF), una pratica diffusa in alcune zone del mondo
le cui vittime, effettive o potenziali, sono entrate a far parte del tessuto sociale italiano.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito Mutilazioni Genitali Femminili tutte le pratiche
che portano alla rimozione totale o parziale dei genitali femminili esterni; sono considerate un rito
di passaggio che sancisce l’appartenenza al gruppo tribale, si praticano per controllare la sessualità
femminile e sono ritenute indispensabili per trovare marito; la tipologia di mutilazione e l’età in cui
viene praticata varia a seconda della regione e del gruppo etnico di appartenenza. Secondo le stime
dell’OMS, sono circa 140 milioni le donne a cui sono state praticate e 2 milioni le bambine a rischio
ogni anno nel mondo.
Le MGF sono considerate un reato in molti paesi, anche in quelli dove sono ancora diffuse. In Italia
è punibile penalmente chi mutila o fa mutilare cittadine italiane o residenti in Italia, anche quando
la pratica è compiuta all’estero.
Sul nostro territorio sono attivi ben due progetti per la prevenzione ed il contrasto delle MGF, finanziati dal Ministero della Salute e dal Ministero delle Pari Opportunità attraverso la regione EmiliaRomagna. Il primo, attivo dal 2010 e gestito dall’AUSL, è legato agli aspetti igienico-sanitari. Il secondo, attivo dall’anno passato e gestito dal Centro per le Famiglie, si occupa degli “aspetti sociali”
di questo complesso problema.
PA G I N A 7
Mutilazioni Genitali Femminili
Intervistiamo Maria Cristina Molinaroli, ginecologa e direttore dell’ U.O. Consultori Familiari dell’AUSL di Piacenza.
razione?” La risposta spesso è “No, mi hanno solo
Può illustrarci il progetto dell’Azienda USL sulle MGF?
L’obiettivo principale del progetto è la prevenzione chiusa”; nella loro cultura di origine è meglio essere
della pratica delle MGF; parallelamente vi è l’assi- “chiuse” che “aperte”.
stenza e la cura adeguata per persone che hanno già Per quanto riguarda la prevenzione il discorso è disubito una mutilazione e che accedono ai nostri servi- verso: se veniamo in contatto con i genitori di bambizi. Il progetto è articolato in diversi tipi di intervento: ne che potrebbero subire MGF, noi medici dobbiamo
formazione degli operatori sanitari e degli operatori proporci in modo molto attivo. I pediatri sono stati
sociali; creazione di occasioni di incontro con le comu- formati per questo. Affermare che le MGF sono pranità nelle quali le mutilazioni sono più frequenti; sen- tiche lesive è dovere di qualsiasi operatore sanitario,
dobbiamo concentrarci sui dati di fatto, non esprimesibilizzione della cittadinanza.
re giudizi.
Qual è il suo ruolo all’interno del progetto? Chi collabora?
Sono stata nominata responsabile dal direttore genera- Perché le famiglie dovrebbero abbandonare la pratica delle
le dell’AUSL ed è stato costituito un tavolo provinciale MGF?
che ha elaborato il progetto, nel quale sono presenti Secondo il Codice Civile italiano le MGF sono lesiorappresentanti degli enti e istituzioni , ginecologi, pe- ni personali gravi: alcune mutilazioni comportano
diatri, medici di medicina generale, ostetriche, rap- l’asportazione del clitoride, zona in cui la donna avpresentanti degli insegnanti e rappresentanti delle verte piacere durante l’atto sessuale. Se queste vengoassociazioni degli stranieri
no fatte in campo non sterile,
presenti sul territorio.
possono comparire infezioni.
Stanno collaborando il Centro
Mutilazioni di alto grado posper le Famiglie, la Cooperatisono comportare lesioni a liva Sociale L’Ippogrifo e alcune
vello dell’uretra, difficoltà ad
delle associazioni di stranieri
urinare; fistole, cioè passaggio
presenti sul territorio.
di urina lungo strade che non
sono quelle corrette; infezioni
Può spiegarci cos’è un Consultoa livello pelvico. Queste prorio Familiare?
blematiche possono compaÈ un servizio sanitario dove
rire nel periodo immediatale donne possono trovare professionisti (ginecologi, mente successivo alla mutilazione, ma possono anche
ostetriche, psicologi) che si occupano dell’assistenza protrarsi per tutta la vita della donna.
nel percorso Nascita, di assistenza per la contraccezio- Dal punto di vista psicologico, la mutilazione per una
ne e per l’interruzione volontaria di gravidanza, della bambina è sicuramente un trauma importante. Molte
prevenzione dei tumori del collo dell’utero, della cura donne hanno trovato il modo per inquadrare e supedelle malattie dell’apparato genitale. La donna che in rare la cosa. Le donne hanno molte risorse, purtroppo
passato avesse subito una mutilazione, può ricevere o per fortuna. La mutilazione è qualcosa che allarga
una consulenza. Gli operatori sanitari sono in grado di il divario tra le culture, ci urta come europei e come
assisterla e di darle tutte le informazioni di cui ha biso- donne, non favorisce la comunicazione. Tutti, in pargno. Al Consultorio si accede senza ricetta del medico ticolare noi medici, dobbiamo essere capaci di superare questo tipo di atteggiamento, questa chiusura;
e senza prenotazione. L’accoglienza è gratuita.
dobbiamo smettere di giudicare a priori e ricordare
Qual è la sua esperienza con le vittime di MGF, può risulta- che il rispetto per la persona e per la sua cultura sono
le cose più importanti, anche se è sempre necessario
re difficile comunicare con alcune di loro?
Nella nostra provincia fortunatamente le mutilazioni sottolineare che sono una violazione dei diritti umanon sono frequenti e sono quasi tutte di primo o di se- ni e che ledono gravemente sia la vita sessuale sia la
condo grado cioè con asportazione parziale del clitori- salute delle donne. Non c’è una ricetta per contrastade e asportazione del clitoride e delle piccole labbra. Io re la pratica delle MGF, ci sono basi su cui reggersi e
ho incontrato solo donne con il tipo 1 e 2 per le quali il poi le relazioni si costruiscono poco a poco. Ma per
risultati significativi, dobbiamo aspettare le seconde
parto non comporta particolari difficoltà.
La comunicazione con queste donne deve essere basa- generazioni.
ta sull’informazione e sul rispetto perché spesso non
vivono la mutilazione come problema o come lesione
Karima
personale. Alla domanda “Ha subito una piccola ope-
PA G I N A 8
Mutilazioni Genitali Femminili
L’amore negato. Testimonianza di una mediatrice
Intervistiamo Themia Bola Peters, mediatrice culturale nigeriana che lavora all’Ambulatorio Immigrati dell’AUSL
di Piacenza.
Qual è il ruolo della mediatrice culturale nella prevenzione Parlavo di sessualità e tutti mi ascoltavano, nessue nel contrasto delle Mutilazioni Genitali Femminili?
no sapeva che avessi già avuto una figlia, ho dovuPer prima cosa la mediatrice si occupa di prevenzio- to lasciarla nel villaggio di mia madre per tornare in
ne: bisogna sensibilizzare le madri straniere che vi- città a studiare. Volevo laurearmi per aiutare le altre
vono in Italia, è necessario far sapere loro che la legge donne…e anche perché sapevo che con una laurea
Italiana proibisce l’infibulazione e tutti i tipi di muti- in mano avrei trovato un uomo disposto a sposarmi,
lazione degli organi genitali femminili.
anche se a letto non potevo dargli nulla.
La mediatrice culturale si occupa poi di sostenere le
vittime di MGF perché possano superare il trauma Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel rapportarti
psicologico ed affrontare i problemi fisiologici cau- con le vittime di MGF e con le loro famiglie?
sati dalla mutilazione subita. Molte donne infibulate Le famiglie non si aprono. Spesso le madri non vocadono in depressione: mia cugina ha cominciato a gliono che le figlie siano sottoposte a queste pratibere ed è morta di epatite.
che, ma sono gli anziani e gli uomini della famiglia a
E’ difficile aiutarle, non vogliono parlare di queste prendere le decisioni: molte bambine e ragazze nate
cose neppure con i medici, ma quando scoprono che e cresciute in Italia rischiano di subire mutilazioni
anch’io sono stata infibulata si aprono un po’ di più. quando tornano nei paesi di origine, anche solo per
brevi periodi. In Africa quella delle mutilazioni geniVuoi parlarci della tua esperienza?
tali femminili è una consuetudine molto antica, non
A 14 anni, nel 1980, sono rimasta incinta e ho subito necessariamente legata a credenze di tipo religioso.
l’infibulazione, ovvero l’asportazione totale dei ge- Queste pratiche hanno lo scopo di mettere un freno
nitali esterni: ti portano via tutto, tagliano le piccole alla vita sessuale delle donne.
labbra e il clitoride poi cuciono insieme le grandi lab- Molti padri oggi hanno il timore che le loro figlie
bra per restringere la vagina. Gli Urhobo pensano si conformino ai costumi delle giovani occidentali,
che il clitoride sia la parte “maschile” del corpo della a loro avviso troppo “libere”: invece di educarle, le
donna e che questo non debba per nessun motivo fanno infibulare. E’ importante lavorare nelle scuole,
toccare la testa del neonato durante il parto: per que- per dare alle giovani stesse gli strumenti per difensto lo asportano proprio mentre la donna é incinta o dersi da queste pratiche. Dal 2011 partecipo a proprima che si sposi. Lo fanno senza anestesia, con un grammi di sensibilizzazione in collaborazione con
semplice rasoio. A me lo hanno fatto in un ospedale, medici, ostetriche, pediatri e psicologi, ma è molto
ma per molte giovani non è così. E’ molto frequen- difficile farsi ascoltare dalle famiglie, anche per me
te che le donne prendano delle infezioni o addirit- che sono africana.
tura muoiano di emorragia. Se le ferite guariscono
comunque la donna non riesce più a vivere la sua C’è un rapporto tra sfruttamento della prostituzione e
sessualità: durante i rapporti non sente nulla. Spes- MGF?
so queste pratiche compromettono anche l’apparato Conosco tante ragazze costrette a prostituirsi qui in
urinario, portando all’incontinenza. Io ricordo sol- Italia, molte di loro sono qui proprio a causa delle
tanto il dolore, a confronto il dolore del parto è stato MGF: alcune hanno lasciato il loro paese d’origine
inesistente.
per non sottoporsi all’infibulazione; altre, già mutiSono la prima di dieci figlie femmine. Io e una del- late, sono state costrette a scappare perché rifiutate
le mie sorelle abbiamo subito l’infibulazione, le altre dai loro mariti. Molti uomini non sanno che è a causa
no. Io ho studiato, mi sono informata, ho fatto ricerca delle mutilazioni subite che le donne non provano
e ho convinto mio padre a non far infibulare le mie piacere, le ripudiano, e loro scappano per la vergosorelle. Nessuna delle donne della mia famiglia subi- gna. Quando lavoravo con l’Unità Mobile della Lila
sce più l’infibulazione.
ho aiutato molte mie connazionali: molte adesso si
sono sposate e sono diventate mamme, sono quasi
Quindi la prima opera di sensibilizzazione l’hai fatta verso certa che nessuna di loro farebbe infibulare le figlie,
la tua stessa famiglia?
neanche se dovessero tornare in Nigeria. Ci metterei
La mia famiglia e le mie coetanee: mi hanno persino la mano sul fuoco.
sospeso per due settimane dalla scuola perché parlavo alle mie compagne di queste cose, gli insegnanti
Karima
dicevano che ero una leader negativa.
PA G I N A 9
Uomini e MGF
Ci porta la sua testimonianza Wilson Idabie, presidente della “Nigerian Association” di Calendasco.
Quando torno in Nigeria dalla mia famiglia devo
tenere le mie figlie sempre con me: devo essere
duro, devo impormi perché non le sottopongano
a queste pratiche. Le mie figlie adesso hanno 12
anni, il “pericolo” è quasi scampato: noi Edo per
tradizione circoncidiamo le bambine entro i primi tre mesi di vita.
dere le proprie figlie?
Conosco un uomo nigeriano che vive qui in Italia,
lui ha due figlie piccole, sono quasi sicuro che le
abbia fatte circoncidere. Le bambine sono tornate
molto turbate dall’ultimo viaggio in Nigeria. É una
cosa molto violenta, secondo me può comprometSanno che la circoncisione può causare danni gravis- tere il rapporto di una bambina con la propria fasimi e mettere addirittura a repentaglio la vita di una miglia e con la propria terra.
bambina?
No, non lo sanno, anche io a dire il vero non co- Cosa vuoi insegnare alle tue figlie?
nosco i rischi, ma ragiono e capisco che far cir- É la testa che comanda! Bisogna educare le bambiconcidere le mie figlie sarebbe un grave errore.
ne perché diventino delle donne rispettabili, non
Lo fanno a casa o in ospedale?
Lo fanno in casa, se ne occupano le donne. Abbiamo delle cure tradizionali a base di erbe, funzionano, funzionano quasi sempre.
La Nigeria potrebbe emanare una legge per vietare
queste pratiche?
In Nigeria ci sono 250 etnie diverse e ogni etnia
ha i propri costumi.
Non tutti i nigeriani hanno questa tradizione, gli
Igbo non circoncidono le proprie figlie per esempio.
Se facessero una legge tutti protesterebbero, è
una tradizione molto sentita.
Sai che in Italia esiste una legge che punisce chi fa
circoncidere le proprie figlie, anche se la mutilazione
viene praticata da altri, in altri paesi?
Sì lo so, ma molti non lo sanno.
Credi che in Italia ci siano padri di famiglia che sono
rimasti legati a questa tradizione, che fanno circonci-
bisogna circonciderle.
L’amore si fa con la testa, non solo con... E questo
vale sia per gli uomini che per le donne. Se tutti
usassero la testa non ci sarebbero più violenze sulle
donne.
Condivide con noi il suo pensiero anche Sambala Massolola Mieugevigne.
Mi chiamo Sambala Rachel e sono presidente
dell’associazione “Comunità Congolese”. Vivo da
molti anni in Italia, ma il mio cuore è rimasto in
Africa dove sono nata.
Ho accettato di parlare di questo problema perché
l’infibulazione è un tema sofferto da molte donne,
soprattutto nel mio paese.
Penso che anche gli uomini debbano parlare e affrontare la questione MGF, sono loro gli attori nascosti.
Si può pensare infatti che si tratti di un problema
solo femminile, ma se una bambina viene infibulata, le mamme lo fanno al fine di rendere le figlie
come vuole l’uomo...
Mutilazioni Genitali Femminili
Perché tuo padre vorrebbe che le tue figlie venissero
circoncise?
Perché sostiene che una donna non circoncisa abbia la tentazione di avere comportamenti sessuali inadeguati, di tradire il proprio marito.
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Le manipolazioni corporee non funzionali:
lo sguardo dei ragazzi
Mutilazioni Genitali Femminili
Quest’anno, all’interno del progetto per la prevenzione e il contrasto delle MGF finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, il Centro per le Famiglie,
in collaborazione con l’associazione di promozione
sociale “Sentieri nel mondo”, ha avviato un percorso
di sensibilizzazione all’interno delle scuole affinché
i ragazzi possano sviluppare un pensiero critico su
un tema così poco dibattuto. Abbiamo posto alcune
domande alle operatrici del Centro per le Famiglie
che seguono il percorso: Barbara de Biasio, responsabile del Servizio, Giorgia Veneziani, antropologa e
Giorgia Di Muzio, sociologa.
A quali istituti cittadini vi siete rivolte e perché?
Abbiamo scelto una scuola superiore della città, l’Istituto professionale “A. Casali”. La scelta è dovuta sia
all’alta frequentazione di ragazze, sia di alunni di origine straniera. Abbiamo rivolto il nostro progetto a cinque classi dell’indirizzo socio-sanitario perché saranno loro i futuri operatori sanitari che potrebbero dover
lavorare su questo tema.
Com’è strutturato il lavoro con i ragazzi?
Alle classi viene proposto un ciclo di tre incontri:
un’infarinatura iniziale sull’argomento con la partecipazione allo spettacolo dell’associazione culturale
Crisalidi, un momento di dibattito e uno più pratico di produzione a gruppi dove i ragazzi realizzano
videoclip, poster e loghi in vista dell’evento finale. I
ragazzi sono invogliati ad esprimere le loro sensazioni a caldo subito dopo lo spettacolo e in un secondo
momento a discutere di tutti i temi connessi alla pratica delle MGF. Finora si è parlato di pressione sociale,
cambiamento, pregiudizio, doppia appartenenza culturale, esclusione, integrazione, identità.
Qual è stata la reazione dei ragazzi e delle ragazze al tema proposto durante gli incontri già svolti?
La visione dello spettacolo non ha visto una partecipazione totale da parte dei ragazzi, provocando nella
maggior parte di essi dei sentimenti di disgusto e distacco. Dopo il ragionamento e la discussione, si sono
però appassionati all’argomento e hanno prodotto del materiale davvero interessante. Alta è anche la partecipazione attiva da parte degli studenti di sesso maschile.
Quali attività sono già state svolte e quali altre attività sono in programma relative al tema delle MGF?
Per poter fornire un’informazione a 360 gradi, il Centro per le Famiglie organizza differenti iniziative per
la sensibilizzazione più ampia di tutta la cittadinanza. La primavera scorsa, grazie al prezioso contributo di
una psicologa e di una pediatra, sono stati realizzati incontri dedicati al rapporto madri-figlie durante l’adolescenza ed è stata organizzata una serata di informazione sulle pratiche di manipolazione dei corpi con
l’intervento della prof.ssa Michela Fusaschi, antropologa dell’Università di RomaTre. Prossimamente verrà
proposta la proiezione del film “Moolaadé” durante “Pulcheria”, il festival dedicato al mondo femminile, inoltre, con l’anno nuovo, inizierà un percorso di formazione rivolto a tutti gli operatori del settore: insegnanti,
educatori, mediatori culturali, OSS. Il ruolo delle operatrici è quello di sensibilizzare e formare le comunità
straniere presenti sul nostro territorio, in particolare le associazioni formate da donne, in modo che siano
loro stesse a fare altrettanto nel loro paese d’origine. Le domande relative alle MGF nascono, infatti, nel momento della migrazione, con i fattori spostamento e cambiamento.
Sambala Massolola Mieugevigne
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Usanze e abitudini matrimoniali in Romania
Traditii si obiceiuri de nunta in Romania
Passando vallate, acque e montagne ti trovi nella pe-
so e dalla testimone. Le damigelle portavano grosse
nisola dei Balcani. La Romania si estende tra la catena
candele bianche addobbate.
dei Carpazi e il Mar Nero; vissuta e vista come terra di
Il “ballo del treccione”: il treccione è un pane intrec-
conquista e confine europeo, il paese è ricco di usanze
ciato, abbastanza grande e fatto a forma di ciambella.
e abitudini popolari che vengono tramandate di ge-
Dopo aver “ballato” con il pane, questo veniva rotto e
nerazione in generazione fino ai giorni nostri. Una di
poi condiviso con gli ospiti del matrimonio prima di
queste usanze è la preparazione del matrimonio.
raggiungere la chiesa.
Proposta di matrimonio: il futuro sposo andava a
Il matrimonio religioso si svolgeva alla presenza di
casa della sposa da solo oppure insieme a parenti o
testimoni, parenti ed amici. Il prete benediceva lo
amici. Se i genitori sapevano che alla sposa piaceva
scambio delle fedi tra gli sposi, poi si procedeva alla
il loro figlio, erano loro stessi ad accompagnarlo. Nel
comunione, momento in cui gli sposi erano invitati
caso in cui non ne fossero stati a conoscenza, man-
a condividere lo stesso pezzo di pane e lo stesso bic-
davano altre persone chiamate “petitori”. In diverse
chiere di vino.
zone della Romania, per esempio in Transilvania,
In alcune regioni il matrimonio durava tre giorni e tre
quando l’accordo matrimoniale era stabilito, i geni-
notti. La festa cominciava con il valzer della sposa.
tori della sposa venivano invitati a mangiare a casa
Il momento più atteso della serata era il “rapimento
dello sposo insieme ai parenti più prossimi. Se la spo-
della sposa”: per riavere la moglie, lo sposo dove-
sa era d’accordo, i due futuri sposi mangiavano nello
va sottoporsi a delle prove insolite come ballare sul
stesso piatto latte e pane (la zuppa).
Presentazione della dote
tavolo, camminare senza scarpe, offrire da bere per
addolcire i rapitori e far
per la figlia: nella dote
rilasciare la sposa.
erano presenti diversi ar-
Un altro momento signi-
ticoli utili per la nuova
ficativo era il taglio della
famiglia
attrezzi
torta, gesto che simboleg-
per la cucina, corredo per
giava il primo passo del
la camera da letto, tessuti
cammino insieme nella
fatti a mano per decorare
vita di coppia.
le stanze.
Dopo il lancio del bou-
Creazione degli abiti del-
quet, la testimone toglieva
lo sposo e dei suoi geni-
il velo alla sposa e le av-
tori: a casa dello sposo si
volgeva la testa con una
come
radunavano le sarte del paese per cucire la camicia
sciarpa colorata, segno che la donna non era più nu-
dello sposo. I materiali utilizzati erano il cotone bian-
bile ma sposata. Il velo veniva messo alla damigella
co, il lino o la canapa.
che aveva preso il bouquet.
Rasatura della barba dello sposo: questa usanza ser-
Oggi le usanze sono rispettate a seconda delle regio-
viva per far sapere che il giovane sposo stava per di-
ni e delle preferenze degli sposi. Per mantenere e re-
ventare uomo. I partecipanti erano di solito gli amici e
cuperare le tradizioni, diverse associazioni culturali
i musicisti della banda denominati “lautari”.
creano matrimoni finti oppure aiutano gli sposi a re-
Vestizione della sposa: questo rituale era gestito dal-
alizzare il loro matrimonio valorizzando le tradizioni
le damigelle insieme alla testimone principale. Quan-
della regione di appartenenza.
do la sposa era pronta, lo sposo le portava il bouquet
e poi si recavano assieme verso la chiesa: davanti la
sposa accompagnata dal testimone, seguiti dallo spo-
Angelica Cirja
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che paese bolle in pentola?
Il Mulo è un collettivo di ragazzi e
ragazze, italiani e stranieri originari di diversi paesi dell’Africa, Asia
ed America Latina. Il nostro scopo è
fare cultura a Piacenza, soprattutto
attraverso il cibo: realizziamo ricette
meticce che coniugano diverse tradizioni culinarie in un’ottica interculturale che dà vita a forme inedite e personalizzate di cucina. Privilegiamo
materie prime e prodotti del territorio piacentino, biologici, e per quanto
riguarda l’ortofrutta di stagione siamo noi stessi i coltivatori. Questo perché con la nostra attività vogliamo contribuire a far vivere la nostra terra, curando relazioni di lavoro equo, paritarie e il rispetto
dell’ambiente.
Noi crediamo che il cibo sia il modo migliore per approcciarsi alla cultura altrui e per conoscersi: oltre
ad offrire piatti sfiziosi, stiamo cercando di aprirci a nuove iniziative culturali ed artistiche per dare il
nostro particolare contributo. Nel nostro primo anno di vita abbiamo infatti collaborato con diverse
realtà del territorio piacentino (associazione Concorto, Tavolo della Pace, Arci Vik, cooperativa Des
Tacum, associazione Amici di Lengesim, Arci Lo-Fai,…) realizzando aperitivi e cene formulate in
base alle esigenze delle persone, che a volte possono richiedere anche menù vegani o vegetariani.
Tra gli ultimi eventi, abbiamo preso parte a “Matti da galera – Quartiere Roma in festa” organizzando un
ricco buffet per i ragazzi del centro
di aggregazione Kaprasquare e dove
non poteva mancare la collaborazione e il sostegno del Centro Interculturale di Piacenza. Ci auguriamo di
poter rappresentare nel tempo una
proposta interessante per il territorio
ed una lieta occasione di condivisione aperta a tutti.
Josephine Diouf
Alla realizzazione di questo numero hanno collaborato:
Eleonora Anelli, Angelica Cirja, Josephine Diouf, Cecilia Fava, Daniela Germoni, Karima, Sambala Massolola Mieugevigne, Vesna Mitrasinovic, Sangaré Moussa, Martina Pallotta
Impaginazione e grafica:
Milena Bolzoni, Daniela Bruschi.
Mosaico è stato realizzato con il contributo delle Associazioni iscritte al Centro Interculturale e vuole essere
uno strumento di informazione per tutti i cittadini stranieri che vivono e lavorano a Piacenza.
Per info e suggerimenti: Centro Interculturale Piacenza, via XXI Aprile, 15 - Piacenza
tel. 0523 490768 - e-mail: [email protected]