D`azzardo? Anche no.
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D`azzardo? Anche no.
N21 DICEMBRE 2014 SPECIALE F O G L I O I N F O R M AT I VO D E L C E N T R O I N T E R C U LT U R A L E D E L C O M UN E D I P I AC E N ZA Mutilazioni Genitali Femminili D’azzardo? Anche no. I N Q U E S TO N U M E RO Dalla Trappola (del gioco d’azzardo) alla Rete (della solidarietà) 2 Io dico “No” 3 al gioco d’azzardo I rifugiati stanno 4 invadendo l’Italia? Piccolo glossario 5 della migrazione Storia di un avventuriero Mutilazioni Genitali 6 Femminili, parliamone... di Vesna Mitrasinovic L’amore negato. 8 Testimonianza di una mediatrice Uomini e MGF 9 Le manipolazioni 10 corporee non funzionali: lo sguardo dei ragazzi Usanze e abitudini 11 matrimoniali in Romania Che paese bolle in pentola? 12 Il termine ludopatia è composto da ludo “relativo al gioco” e patia “malattia o stato di sofferenza”. Si tratta di un impulso incontrollabile che spinge la persona verso il gioco d’azzardo pur nella consapevolezza delle conseguenze negative che ciò produrrà. Non è ancora certa ed univoca la classificazione a livello medico: alcuni ritengono che rientri nel gruppo delle cosiddette manie, altri che condivida tratti dei comportamenti ossessivo compulsivi. La persona che ne soffre è in preda all’ansia, all’assuefazione, all’astinenza che lo portano ad avere comportamenti lesivi quali mentire, commettere atti illegali, mettere a repentaglio le relazioni importanti fino ad arrivare alla perdita del controllo. Anni fa i giocatori erano facilmen- te individuabili, segregati com’erano in determinati luoghi e contesti. Oggi purtroppo, grazie anche a leggi troppo permissive, le occasioni di gioco si sono moltiplicate: slot machines nei bar e tabaccherie, aperture di sale giochi e l’avvento di internet hanno portato ad un incremento esponenziale del problema. Le conseguenze per chi ne è affetto sono drammatiche: la ludopatia può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti relazionali (fino al divorzio), alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcool fino al suicidio. Un fenomeno di natura incerta, ma in continua crescita - si parla di 700mila persone in Italia - che interessa ogni fascia di età e non fa distinzione di genere: si stima che l’1-3% dei giocatori d’azzardo siano da ritenersi patologici. Inserita di recente nei livelli essenziali di assistenza, la ludopatia è da settembre 2012 nel programma terapeutico garantito dal Servizio Sanitario Nazionale e si può affermare che è paragonabile ai fenomeni di alcolismo e tossicodipendenza. Ci sono anche buone notizie: a protezione del malato e delle conseguenze sulla sfera familiare sono intervenute due sentenze esemplari. Il Tribunale Civile di La Spezia ha pronunciato una dichiarazione di incapacità ad autodeterminarsi per chi è affetto da questa patologia e ad annullare di conseguenza la contrazione di un debito finalizzato al gioco d’azzardo, mentre il Tribunale di Venezia ha preferito, in circostanze simili, nominare un amministratore di (Continua a pag.3) PA G I N A 2 Dalla Trappola (del gioco d’azzardo) alla Rete (della solidarietà) Dalla Trappola alla Rete Si è parlato di gioco d’azzardo eccessivo e patologico lo scorso novembre al Centro Interculturale, grazie ad un interessante progetto nato nell’ambito del volontariato piacentino e sostenuto da Svep. Qui di seguito una riflessione di Alessandra Bassi (cooperativa L’Arco), che insieme a Fausta Fagnoni (associazione La Ricerca), ha condotto i due incontri di sensibilizzazione sul tema. Il progetto “Dalla trappola alla rete” ha lo scopo di sensibilizzare ai problemi dei familiari dei giocatori d’azzardo, che hanno bisogno di supporto e di appoggio per molto tempo e in svariati modi. Per ogni giocatore eccessivo o patologico ci sono due, tre, cinque, sette persone che soffrono per la situazione che si è creata in casa loro e possono avere qualsiasi età e qualsiasi estrazione sociale. I familiari sconvolti dal gioco d’azzardo possono essere mogli o mariti, giovani o anziani, genitori adulti o anziani, fratelli e sorelle, e poi figli piccoli, giovani o adulti... La casistica è la più varia, e così le sofferenze che provano. Hanno preoccupazioni economiche, talvolta soverchianti, sono stati traditi e ingannati da una persona su cui contavano, possono avere problemi di salute, di alloggio, di gestione della quotidianità. Fanno fatica a chiedere aiuto, hanno paura del giudizio degli altri, di non venire creduti, di venire incolpati per la situazione. E d’altra parte, a chi sembra possibile che si creino situazioni simili senza colpa? Chi riesce a credere che non si riesca a smettere dopo aver creato tutti questi problemi? Quando un familiare racconta quello che succede a casa sua, è il primo a trovarlo incredibile! E quindi si vergogna, vorrebbe evitare al suo familiare giocatore d’azzardo di venir conosciuto in questo modo... I familiari dei giocatori d’azzardo eccessivi hanno bisogno di aiuto concreto, di supporto emotivo e di informazioni: quanto di questo potrebbe essere offerto gratuitamente da persone normali, da volontari e cittadini? Noi crediamo che la risposta sia: molto! I professionisti si occupano soprattutto dei giocatori d’azzardo patologici e danno una mano anche ai familiari, ma quello che può dare la comunità è tantissimo! Bisogna però che si diffonda la consapevolezza che quella provocata dal gioco d’azzardo è una malattia, che non è facile curarla e che danneggia le famiglie in modi diversi e complessi. Le famiglie che hanno il dubbio di avere questo problema dovrebbero cercare di capire se sono spariti soldi, se sono state dette bugie a proposito e se ci sono state strane dimenticanze, ad esempio su pagamenti e scadenze. Non è facile per un giocatore d’azzardo problematico ammettere di aver bisogno d’aiuto e spesso devono essere i familiari a farlo, cominciando a chiedere aiuto per sé. Possono telefonare al Ser.T di Cortemaggiore, e possono consultare gratuitamente il manuale per i familiari che si trova sul sito www.andinrete.it. Dopo i prossimi step del progetto “Trappola”, speriamo che potranno contattare anche una delle associazioni di volontariato che hanno partecipato al percorso avanzato. Alessandra Bassi PA G I N A 3 Io dico “No” al gioco d’azzardo E’ partita a settembre la fase operativa del Piano integrato per il contrasto, la prevenzione e la riduzione del rischio di dipendenza dal gioco patologico 2014-2016 della Regione Emilia-Romagna. Un apposito marchio (Slot Free ER) è stato realizzato per il coinvolgimento dei Comuni e degli esercizi commerciali: chi aderirà al Piano potrà esporlo nel proprio locale per permettere ai cittadini di riconoscere e scegliere esercizi dove non ci sono slot machine o totem per il gioco on line. Dal sito: http://www.regione.emilia-romagna.it (Continua da pag.1) sostegno addetto alla cura, assistenza e amministrazione del patrimonio del soggetto. Per entrambe però è stata vincolante l’indagine medica volta al riconoscimento della patologia. Si stima che quella del gioco d’azzardo sia la quinta industria del paese, con un giro di affari di 60 miliardi di euro che frutta allo Stato circa 12,5 miliardi di euro. Difficilmente si promulgheranno leggi che vogliano seriamente limitare queste attività, anche se, ad onor del vero, qualche passettino si è fatto: limitazione d’orario per le sale gioco, divieto di collocare le macchinette vicino a luoghi sensibili (ospedali o scuole), obbligo di informare la clientela sulle reali possibilità di vincita e sui rischi generali legati al gioco. L’unica difesa e/o cura rimane riconoscere il problema e rivolgersi tempestivamente a chi può dare un aiuto: dal Ser.T a vari programmi o seminari attivati sul territorio (per informazioni: dazzardo.anche.no@gmail. com) o ai gruppi di automutuo-aiuto. Vesna Mitrasinovic Dalla Trappola alla Rete Nel 2013 in Emilia-Romagna il gioco d’azzardo ha prodotto un fatturato di circa 6 milioni di euro con un numero di giocatori stimato intorno alle 10mila persone. Le persone assistite dai SerT delle Aziende Usl per dipendenza da gioco d’azzardo sono state 1102 nel 2013, registrando un aumento del 37% rispetto ai dati relativi all’anno precedente. PA G I N A 4 I rifugiati stanno invadendo l’Italia? Nella civilissima e opulenta Europa si ha l’impressione di assistere ad una vera e propria invasione di rifugiati. Le cronache ci parlano di continui sbarchi sulle nostre coste, ma le statistiche ci mostrano un quadro diverso: secondo i dati del Rapporto annuale UNHCR 2013, circa l’81% dei rifugiati viene accolto (e possiamo immaginarci, anzi lo vediamo nei telegiornali, in quali condizioni) dai paesi confinanti: Pakistan, Iran, Kenya, Giordania... Chi è un rifugiato? “Chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dal suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi” (art. 1 Convenzione di Ginevra del 28/07/1951) L’attribuzione dello status di rifugiato prevede che venga riconosciuto ai richiedenti asilo il fatto che gli atti di persecuzione in corso nei loro confronti costituiscano una minaccia alla loro vita o alla loro libertà. Preposta a tale compito vi è la Commissione Nazionale per il Diritto d’Asilo che ha la funzione di indirizzare e coordinare le Commissioni Territoriali che accolgono ed esaminano le istanze di riconoscimento di tale status. Quando poi il richiedente asilo è un minore, la situazione è ancora più drammatica: esposto a fenomeni violenti e complessi, il minore potrebbe non avere gli strumenti comunicativi e cognitivi adatti per verbalizzare la sua storia. Idealmente i minori stranieri non accompagnati andrebbero da subito inseriti in percorsi “personalizzati” con la collaborazione di diverse figure professionali che applichino uno sguardo psicologico, pedagogico, antropologico ed educativo. Per quanto meritevole, l’affidamento ad un giudice tutelare e la sua collocazione presso una struttura adeguata per sottrarli alla rete di sfruttamento, non sempre basta a garantire loro quei principi elementari sanciti dalla dichiarazione dei diritti del fanciullo del 1959. Vesna Mitrasinovic QUALCHE NUMERO PER RIFLETTERE Il primo paese al mondo per numero di rifugiati accolti è il Pakistan (1.600.000), il secondo l’Iran (900.000), il terzo il Kenya (570.000) In Europa: circa 600.000 in Turchia, 190.000 in Germania, 232.000 in Francia, 126.000 nel Regno Unito, 114.000 in Svezia In Italia: 78.000 La Svezia supera i 9 rifugiati ogni 1000 abitanti, i Paesi Bassi 4,5, la Francia 3, mentre l’Italia ne accoglie poco più di 1 Nuove richieste di asilo nel 2013: 28.700 in Italia, 110.000 in Germania, 60.000 in Francia Dati tratti dal rapporto annuale UNHCR, 2013 PA G I N A 5 Piccolo glossario della migrazione Apolide: persona che, avendo perso la cittadinanza di origine e non avendone assunta alcun’altra, non è cittadina di alcuno stato. Clandestino: persona che, pur avendo ricevuto un ordine di espulsione dall’Italia, rimane nel Paese. Dal 2009 la clandestinità è un reato penale. Irregolare: qualcuno che non possiede lo status giuridico richiesto o i documenti di viaggio necessari ad entrare in un Paese o a stabilirvisi. Migrante: qulacuno che decide liberamente di trasferirsi in un’altra regione o Paese, spesso per ottenere condizioni materiali o sociali migliori o per altri motivi. Profugo: genericamente chi si è allontanato dal Paese di origine a causa di guerre, invasioni, rivolte o catastrofi naturali. Rifugiato: persona che vive al di fuori del proprio Paese di nazionalità o residenza per un timore fondato di persecuzione a causa della propria razza, religione, nazionalità, appartenenza a un gruppo sociale o opinioni politiche. Le persone che fuggono dai conflitti o dalla violenza sono anche considerate come rifugiati. Esse non ricevono alcuna protezione dal loro stato di origine che spesso invece minaccia di perseguitarle. Storia di un avventuriero Mi chiamo Sangaré Moussa*, ho diciassette anni e vengo dalla Costa d’Avorio. Oggi sono qui per raccontarvi il lungo viaggio che ho fatto per arrivare in Italia. Quando ero nel mio paese andavo a scuola tutti i giorni, mi piaceva stare con i miei amici, andare a ballare e divertirmi... una vita normale insomma. Ma questa tranquillità non sarebbe durata a lungo: violenti scontri armati dovuti a cause politiche interne hanno devastato il mio paese. Dopo aver assistito al massacro di tutta la mia famiglia, non mi restava altra scelta che fuggire. È cominciata così la mia avventura. Grazie ad un passaggio in macchina ho raggiunto il Burkina Faso e dopo due giorni di viaggio sono arrivato in Niger. Pensavo sempre e solo alla mia famiglia e ai miei amici, a tutto quello che avevo perso. Qui ho conosciuto altri ragazzi, più grandi, che si prendevano cura di me dato che ero il più piccolo. Dopo aver trascorso tre giorni nella città di Agadez, ho lasciato il Niger per raggiungere la Libia. Una settimana di strada nel deserto con solo 20 litri d’acqua e qualche biscotto per sopravvivere. Appena sono arrivato in Libia sono stato arrestato dalla polizia e ho passato due mesi in prigione. Durante la prigionia lavoravo nei campi di uva tutto il giorno, mangiavo solo una volta e non sono mai riuscito a dormire la notte. Finalmente una sera sono riuscito a scappare dal carcere con altri compagni e sono rientrato a Tripoli. Qui ho trovato lavoro come meccanico, ma le condizioni di vita erano molto dure: in Libia gli stranieri vengono trattati come schiavi e vivono in costante pericolo. Un giorno, infatti, un gruppo di giovani arabi ha sparato con i fucili all’interno del nostro garage provocando due morti. Per riuscire a nascondermi ho corso per due giorni fino a quando sono riuscito a spiegare la mia situazione ad un passatore arabo. Egli mi ha portato vicino alle rive del mare dove ho incontrato gli altri ragazzi che sarebbero poi venuti in Italia. Siamo saliti su un gommone, eravamo in 130: somali, ivoriani, una donna del Mali e una della Liberia. Abbiamo trascorso cinque giorni in acqua fino a che la Marina Italiana ci ha visti. Sono venuti in nostro soccorso e ci hanno salvati. Poi ci hanno portato in Sicilia, da qui sono andato in aereo fino a Bologna e con un autobus sono arrivato a Piacenza… Sangaré Moussa * nome di fantasia PA G I N A 6 Mutilazioni Genitali Femminili Mutilazioni Genitali Femminili, parliamone... Mappa della diffusione della pratica delle Mutilazioni Genitali Femminili in Africa e Medio Oriente: le percentuali sono riferite alla popolazione femminile di età compresa tra i 15 e i 49 anni. Quella in cui viviamo è una società plurale: si trovano a convivere, nello stesso territorio, persone provenienti da ogni parte del mondo. Perché questa convivenza possa essere arricchente per tutti, è necessario aprirsi al dialogo, “mettersi in gioco”. Ogni componente della società deve avere il coraggio di pensare e ripensare le proprie abitudini, le proprie tradizioni e i propri orizzonti valoriali per costruire significati comuni. Questo afflusso di nuove idee, nuove tradizioni, nuove visioni del mondo, può sicuramente essere molto vantaggioso per chi è disposto ad accoglierle. A volte ci si trova però a dover far fronte anche a nuove emergenze, che prima si erano considerate semplicemente “parte di un altro mondo”. E’ il caso delle Mutilazioni Genitali Femminili (MGF), una pratica diffusa in alcune zone del mondo le cui vittime, effettive o potenziali, sono entrate a far parte del tessuto sociale italiano. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito Mutilazioni Genitali Femminili tutte le pratiche che portano alla rimozione totale o parziale dei genitali femminili esterni; sono considerate un rito di passaggio che sancisce l’appartenenza al gruppo tribale, si praticano per controllare la sessualità femminile e sono ritenute indispensabili per trovare marito; la tipologia di mutilazione e l’età in cui viene praticata varia a seconda della regione e del gruppo etnico di appartenenza. Secondo le stime dell’OMS, sono circa 140 milioni le donne a cui sono state praticate e 2 milioni le bambine a rischio ogni anno nel mondo. Le MGF sono considerate un reato in molti paesi, anche in quelli dove sono ancora diffuse. In Italia è punibile penalmente chi mutila o fa mutilare cittadine italiane o residenti in Italia, anche quando la pratica è compiuta all’estero. Sul nostro territorio sono attivi ben due progetti per la prevenzione ed il contrasto delle MGF, finanziati dal Ministero della Salute e dal Ministero delle Pari Opportunità attraverso la regione EmiliaRomagna. Il primo, attivo dal 2010 e gestito dall’AUSL, è legato agli aspetti igienico-sanitari. Il secondo, attivo dall’anno passato e gestito dal Centro per le Famiglie, si occupa degli “aspetti sociali” di questo complesso problema. PA G I N A 7 Mutilazioni Genitali Femminili Intervistiamo Maria Cristina Molinaroli, ginecologa e direttore dell’ U.O. Consultori Familiari dell’AUSL di Piacenza. razione?” La risposta spesso è “No, mi hanno solo Può illustrarci il progetto dell’Azienda USL sulle MGF? L’obiettivo principale del progetto è la prevenzione chiusa”; nella loro cultura di origine è meglio essere della pratica delle MGF; parallelamente vi è l’assi- “chiuse” che “aperte”. stenza e la cura adeguata per persone che hanno già Per quanto riguarda la prevenzione il discorso è disubito una mutilazione e che accedono ai nostri servi- verso: se veniamo in contatto con i genitori di bambizi. Il progetto è articolato in diversi tipi di intervento: ne che potrebbero subire MGF, noi medici dobbiamo formazione degli operatori sanitari e degli operatori proporci in modo molto attivo. I pediatri sono stati sociali; creazione di occasioni di incontro con le comu- formati per questo. Affermare che le MGF sono pranità nelle quali le mutilazioni sono più frequenti; sen- tiche lesive è dovere di qualsiasi operatore sanitario, dobbiamo concentrarci sui dati di fatto, non esprimesibilizzione della cittadinanza. re giudizi. Qual è il suo ruolo all’interno del progetto? Chi collabora? Sono stata nominata responsabile dal direttore genera- Perché le famiglie dovrebbero abbandonare la pratica delle le dell’AUSL ed è stato costituito un tavolo provinciale MGF? che ha elaborato il progetto, nel quale sono presenti Secondo il Codice Civile italiano le MGF sono lesiorappresentanti degli enti e istituzioni , ginecologi, pe- ni personali gravi: alcune mutilazioni comportano diatri, medici di medicina generale, ostetriche, rap- l’asportazione del clitoride, zona in cui la donna avpresentanti degli insegnanti e rappresentanti delle verte piacere durante l’atto sessuale. Se queste vengoassociazioni degli stranieri no fatte in campo non sterile, presenti sul territorio. possono comparire infezioni. Stanno collaborando il Centro Mutilazioni di alto grado posper le Famiglie, la Cooperatisono comportare lesioni a liva Sociale L’Ippogrifo e alcune vello dell’uretra, difficoltà ad delle associazioni di stranieri urinare; fistole, cioè passaggio presenti sul territorio. di urina lungo strade che non sono quelle corrette; infezioni Può spiegarci cos’è un Consultoa livello pelvico. Queste prorio Familiare? blematiche possono compaÈ un servizio sanitario dove rire nel periodo immediatale donne possono trovare professionisti (ginecologi, mente successivo alla mutilazione, ma possono anche ostetriche, psicologi) che si occupano dell’assistenza protrarsi per tutta la vita della donna. nel percorso Nascita, di assistenza per la contraccezio- Dal punto di vista psicologico, la mutilazione per una ne e per l’interruzione volontaria di gravidanza, della bambina è sicuramente un trauma importante. Molte prevenzione dei tumori del collo dell’utero, della cura donne hanno trovato il modo per inquadrare e supedelle malattie dell’apparato genitale. La donna che in rare la cosa. Le donne hanno molte risorse, purtroppo passato avesse subito una mutilazione, può ricevere o per fortuna. La mutilazione è qualcosa che allarga una consulenza. Gli operatori sanitari sono in grado di il divario tra le culture, ci urta come europei e come assisterla e di darle tutte le informazioni di cui ha biso- donne, non favorisce la comunicazione. Tutti, in pargno. Al Consultorio si accede senza ricetta del medico ticolare noi medici, dobbiamo essere capaci di superare questo tipo di atteggiamento, questa chiusura; e senza prenotazione. L’accoglienza è gratuita. dobbiamo smettere di giudicare a priori e ricordare Qual è la sua esperienza con le vittime di MGF, può risulta- che il rispetto per la persona e per la sua cultura sono le cose più importanti, anche se è sempre necessario re difficile comunicare con alcune di loro? Nella nostra provincia fortunatamente le mutilazioni sottolineare che sono una violazione dei diritti umanon sono frequenti e sono quasi tutte di primo o di se- ni e che ledono gravemente sia la vita sessuale sia la condo grado cioè con asportazione parziale del clitori- salute delle donne. Non c’è una ricetta per contrastade e asportazione del clitoride e delle piccole labbra. Io re la pratica delle MGF, ci sono basi su cui reggersi e ho incontrato solo donne con il tipo 1 e 2 per le quali il poi le relazioni si costruiscono poco a poco. Ma per risultati significativi, dobbiamo aspettare le seconde parto non comporta particolari difficoltà. La comunicazione con queste donne deve essere basa- generazioni. ta sull’informazione e sul rispetto perché spesso non vivono la mutilazione come problema o come lesione Karima personale. Alla domanda “Ha subito una piccola ope- PA G I N A 8 Mutilazioni Genitali Femminili L’amore negato. Testimonianza di una mediatrice Intervistiamo Themia Bola Peters, mediatrice culturale nigeriana che lavora all’Ambulatorio Immigrati dell’AUSL di Piacenza. Qual è il ruolo della mediatrice culturale nella prevenzione Parlavo di sessualità e tutti mi ascoltavano, nessue nel contrasto delle Mutilazioni Genitali Femminili? no sapeva che avessi già avuto una figlia, ho dovuPer prima cosa la mediatrice si occupa di prevenzio- to lasciarla nel villaggio di mia madre per tornare in ne: bisogna sensibilizzare le madri straniere che vi- città a studiare. Volevo laurearmi per aiutare le altre vono in Italia, è necessario far sapere loro che la legge donne…e anche perché sapevo che con una laurea Italiana proibisce l’infibulazione e tutti i tipi di muti- in mano avrei trovato un uomo disposto a sposarmi, lazione degli organi genitali femminili. anche se a letto non potevo dargli nulla. La mediatrice culturale si occupa poi di sostenere le vittime di MGF perché possano superare il trauma Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel rapportarti psicologico ed affrontare i problemi fisiologici cau- con le vittime di MGF e con le loro famiglie? sati dalla mutilazione subita. Molte donne infibulate Le famiglie non si aprono. Spesso le madri non vocadono in depressione: mia cugina ha cominciato a gliono che le figlie siano sottoposte a queste pratibere ed è morta di epatite. che, ma sono gli anziani e gli uomini della famiglia a E’ difficile aiutarle, non vogliono parlare di queste prendere le decisioni: molte bambine e ragazze nate cose neppure con i medici, ma quando scoprono che e cresciute in Italia rischiano di subire mutilazioni anch’io sono stata infibulata si aprono un po’ di più. quando tornano nei paesi di origine, anche solo per brevi periodi. In Africa quella delle mutilazioni geniVuoi parlarci della tua esperienza? tali femminili è una consuetudine molto antica, non A 14 anni, nel 1980, sono rimasta incinta e ho subito necessariamente legata a credenze di tipo religioso. l’infibulazione, ovvero l’asportazione totale dei ge- Queste pratiche hanno lo scopo di mettere un freno nitali esterni: ti portano via tutto, tagliano le piccole alla vita sessuale delle donne. labbra e il clitoride poi cuciono insieme le grandi lab- Molti padri oggi hanno il timore che le loro figlie bra per restringere la vagina. Gli Urhobo pensano si conformino ai costumi delle giovani occidentali, che il clitoride sia la parte “maschile” del corpo della a loro avviso troppo “libere”: invece di educarle, le donna e che questo non debba per nessun motivo fanno infibulare. E’ importante lavorare nelle scuole, toccare la testa del neonato durante il parto: per que- per dare alle giovani stesse gli strumenti per difensto lo asportano proprio mentre la donna é incinta o dersi da queste pratiche. Dal 2011 partecipo a proprima che si sposi. Lo fanno senza anestesia, con un grammi di sensibilizzazione in collaborazione con semplice rasoio. A me lo hanno fatto in un ospedale, medici, ostetriche, pediatri e psicologi, ma è molto ma per molte giovani non è così. E’ molto frequen- difficile farsi ascoltare dalle famiglie, anche per me te che le donne prendano delle infezioni o addirit- che sono africana. tura muoiano di emorragia. Se le ferite guariscono comunque la donna non riesce più a vivere la sua C’è un rapporto tra sfruttamento della prostituzione e sessualità: durante i rapporti non sente nulla. Spes- MGF? so queste pratiche compromettono anche l’apparato Conosco tante ragazze costrette a prostituirsi qui in urinario, portando all’incontinenza. Io ricordo sol- Italia, molte di loro sono qui proprio a causa delle tanto il dolore, a confronto il dolore del parto è stato MGF: alcune hanno lasciato il loro paese d’origine inesistente. per non sottoporsi all’infibulazione; altre, già mutiSono la prima di dieci figlie femmine. Io e una del- late, sono state costrette a scappare perché rifiutate le mie sorelle abbiamo subito l’infibulazione, le altre dai loro mariti. Molti uomini non sanno che è a causa no. Io ho studiato, mi sono informata, ho fatto ricerca delle mutilazioni subite che le donne non provano e ho convinto mio padre a non far infibulare le mie piacere, le ripudiano, e loro scappano per la vergosorelle. Nessuna delle donne della mia famiglia subi- gna. Quando lavoravo con l’Unità Mobile della Lila sce più l’infibulazione. ho aiutato molte mie connazionali: molte adesso si sono sposate e sono diventate mamme, sono quasi Quindi la prima opera di sensibilizzazione l’hai fatta verso certa che nessuna di loro farebbe infibulare le figlie, la tua stessa famiglia? neanche se dovessero tornare in Nigeria. Ci metterei La mia famiglia e le mie coetanee: mi hanno persino la mano sul fuoco. sospeso per due settimane dalla scuola perché parlavo alle mie compagne di queste cose, gli insegnanti Karima dicevano che ero una leader negativa. PA G I N A 9 Uomini e MGF Ci porta la sua testimonianza Wilson Idabie, presidente della “Nigerian Association” di Calendasco. Quando torno in Nigeria dalla mia famiglia devo tenere le mie figlie sempre con me: devo essere duro, devo impormi perché non le sottopongano a queste pratiche. Le mie figlie adesso hanno 12 anni, il “pericolo” è quasi scampato: noi Edo per tradizione circoncidiamo le bambine entro i primi tre mesi di vita. dere le proprie figlie? Conosco un uomo nigeriano che vive qui in Italia, lui ha due figlie piccole, sono quasi sicuro che le abbia fatte circoncidere. Le bambine sono tornate molto turbate dall’ultimo viaggio in Nigeria. É una cosa molto violenta, secondo me può comprometSanno che la circoncisione può causare danni gravis- tere il rapporto di una bambina con la propria fasimi e mettere addirittura a repentaglio la vita di una miglia e con la propria terra. bambina? No, non lo sanno, anche io a dire il vero non co- Cosa vuoi insegnare alle tue figlie? nosco i rischi, ma ragiono e capisco che far cir- É la testa che comanda! Bisogna educare le bambiconcidere le mie figlie sarebbe un grave errore. ne perché diventino delle donne rispettabili, non Lo fanno a casa o in ospedale? Lo fanno in casa, se ne occupano le donne. Abbiamo delle cure tradizionali a base di erbe, funzionano, funzionano quasi sempre. La Nigeria potrebbe emanare una legge per vietare queste pratiche? In Nigeria ci sono 250 etnie diverse e ogni etnia ha i propri costumi. Non tutti i nigeriani hanno questa tradizione, gli Igbo non circoncidono le proprie figlie per esempio. Se facessero una legge tutti protesterebbero, è una tradizione molto sentita. Sai che in Italia esiste una legge che punisce chi fa circoncidere le proprie figlie, anche se la mutilazione viene praticata da altri, in altri paesi? Sì lo so, ma molti non lo sanno. Credi che in Italia ci siano padri di famiglia che sono rimasti legati a questa tradizione, che fanno circonci- bisogna circonciderle. L’amore si fa con la testa, non solo con... E questo vale sia per gli uomini che per le donne. Se tutti usassero la testa non ci sarebbero più violenze sulle donne. Condivide con noi il suo pensiero anche Sambala Massolola Mieugevigne. Mi chiamo Sambala Rachel e sono presidente dell’associazione “Comunità Congolese”. Vivo da molti anni in Italia, ma il mio cuore è rimasto in Africa dove sono nata. Ho accettato di parlare di questo problema perché l’infibulazione è un tema sofferto da molte donne, soprattutto nel mio paese. Penso che anche gli uomini debbano parlare e affrontare la questione MGF, sono loro gli attori nascosti. Si può pensare infatti che si tratti di un problema solo femminile, ma se una bambina viene infibulata, le mamme lo fanno al fine di rendere le figlie come vuole l’uomo... Mutilazioni Genitali Femminili Perché tuo padre vorrebbe che le tue figlie venissero circoncise? Perché sostiene che una donna non circoncisa abbia la tentazione di avere comportamenti sessuali inadeguati, di tradire il proprio marito. PA G I N A 1 0 Le manipolazioni corporee non funzionali: lo sguardo dei ragazzi Mutilazioni Genitali Femminili Quest’anno, all’interno del progetto per la prevenzione e il contrasto delle MGF finanziato dalla Regione Emilia-Romagna, il Centro per le Famiglie, in collaborazione con l’associazione di promozione sociale “Sentieri nel mondo”, ha avviato un percorso di sensibilizzazione all’interno delle scuole affinché i ragazzi possano sviluppare un pensiero critico su un tema così poco dibattuto. Abbiamo posto alcune domande alle operatrici del Centro per le Famiglie che seguono il percorso: Barbara de Biasio, responsabile del Servizio, Giorgia Veneziani, antropologa e Giorgia Di Muzio, sociologa. A quali istituti cittadini vi siete rivolte e perché? Abbiamo scelto una scuola superiore della città, l’Istituto professionale “A. Casali”. La scelta è dovuta sia all’alta frequentazione di ragazze, sia di alunni di origine straniera. Abbiamo rivolto il nostro progetto a cinque classi dell’indirizzo socio-sanitario perché saranno loro i futuri operatori sanitari che potrebbero dover lavorare su questo tema. Com’è strutturato il lavoro con i ragazzi? Alle classi viene proposto un ciclo di tre incontri: un’infarinatura iniziale sull’argomento con la partecipazione allo spettacolo dell’associazione culturale Crisalidi, un momento di dibattito e uno più pratico di produzione a gruppi dove i ragazzi realizzano videoclip, poster e loghi in vista dell’evento finale. I ragazzi sono invogliati ad esprimere le loro sensazioni a caldo subito dopo lo spettacolo e in un secondo momento a discutere di tutti i temi connessi alla pratica delle MGF. Finora si è parlato di pressione sociale, cambiamento, pregiudizio, doppia appartenenza culturale, esclusione, integrazione, identità. Qual è stata la reazione dei ragazzi e delle ragazze al tema proposto durante gli incontri già svolti? La visione dello spettacolo non ha visto una partecipazione totale da parte dei ragazzi, provocando nella maggior parte di essi dei sentimenti di disgusto e distacco. Dopo il ragionamento e la discussione, si sono però appassionati all’argomento e hanno prodotto del materiale davvero interessante. Alta è anche la partecipazione attiva da parte degli studenti di sesso maschile. Quali attività sono già state svolte e quali altre attività sono in programma relative al tema delle MGF? Per poter fornire un’informazione a 360 gradi, il Centro per le Famiglie organizza differenti iniziative per la sensibilizzazione più ampia di tutta la cittadinanza. La primavera scorsa, grazie al prezioso contributo di una psicologa e di una pediatra, sono stati realizzati incontri dedicati al rapporto madri-figlie durante l’adolescenza ed è stata organizzata una serata di informazione sulle pratiche di manipolazione dei corpi con l’intervento della prof.ssa Michela Fusaschi, antropologa dell’Università di RomaTre. Prossimamente verrà proposta la proiezione del film “Moolaadé” durante “Pulcheria”, il festival dedicato al mondo femminile, inoltre, con l’anno nuovo, inizierà un percorso di formazione rivolto a tutti gli operatori del settore: insegnanti, educatori, mediatori culturali, OSS. Il ruolo delle operatrici è quello di sensibilizzare e formare le comunità straniere presenti sul nostro territorio, in particolare le associazioni formate da donne, in modo che siano loro stesse a fare altrettanto nel loro paese d’origine. Le domande relative alle MGF nascono, infatti, nel momento della migrazione, con i fattori spostamento e cambiamento. Sambala Massolola Mieugevigne PA G I N A 1 1 Usanze e abitudini matrimoniali in Romania Traditii si obiceiuri de nunta in Romania Passando vallate, acque e montagne ti trovi nella pe- so e dalla testimone. Le damigelle portavano grosse nisola dei Balcani. La Romania si estende tra la catena candele bianche addobbate. dei Carpazi e il Mar Nero; vissuta e vista come terra di Il “ballo del treccione”: il treccione è un pane intrec- conquista e confine europeo, il paese è ricco di usanze ciato, abbastanza grande e fatto a forma di ciambella. e abitudini popolari che vengono tramandate di ge- Dopo aver “ballato” con il pane, questo veniva rotto e nerazione in generazione fino ai giorni nostri. Una di poi condiviso con gli ospiti del matrimonio prima di queste usanze è la preparazione del matrimonio. raggiungere la chiesa. Proposta di matrimonio: il futuro sposo andava a Il matrimonio religioso si svolgeva alla presenza di casa della sposa da solo oppure insieme a parenti o testimoni, parenti ed amici. Il prete benediceva lo amici. Se i genitori sapevano che alla sposa piaceva scambio delle fedi tra gli sposi, poi si procedeva alla il loro figlio, erano loro stessi ad accompagnarlo. Nel comunione, momento in cui gli sposi erano invitati caso in cui non ne fossero stati a conoscenza, man- a condividere lo stesso pezzo di pane e lo stesso bic- davano altre persone chiamate “petitori”. In diverse chiere di vino. zone della Romania, per esempio in Transilvania, In alcune regioni il matrimonio durava tre giorni e tre quando l’accordo matrimoniale era stabilito, i geni- notti. La festa cominciava con il valzer della sposa. tori della sposa venivano invitati a mangiare a casa Il momento più atteso della serata era il “rapimento dello sposo insieme ai parenti più prossimi. Se la spo- della sposa”: per riavere la moglie, lo sposo dove- sa era d’accordo, i due futuri sposi mangiavano nello va sottoporsi a delle prove insolite come ballare sul stesso piatto latte e pane (la zuppa). Presentazione della dote tavolo, camminare senza scarpe, offrire da bere per addolcire i rapitori e far per la figlia: nella dote rilasciare la sposa. erano presenti diversi ar- Un altro momento signi- ticoli utili per la nuova ficativo era il taglio della famiglia attrezzi torta, gesto che simboleg- per la cucina, corredo per giava il primo passo del la camera da letto, tessuti cammino insieme nella fatti a mano per decorare vita di coppia. le stanze. Dopo il lancio del bou- Creazione degli abiti del- quet, la testimone toglieva lo sposo e dei suoi geni- il velo alla sposa e le av- tori: a casa dello sposo si volgeva la testa con una come radunavano le sarte del paese per cucire la camicia sciarpa colorata, segno che la donna non era più nu- dello sposo. I materiali utilizzati erano il cotone bian- bile ma sposata. Il velo veniva messo alla damigella co, il lino o la canapa. che aveva preso il bouquet. Rasatura della barba dello sposo: questa usanza ser- Oggi le usanze sono rispettate a seconda delle regio- viva per far sapere che il giovane sposo stava per di- ni e delle preferenze degli sposi. Per mantenere e re- ventare uomo. I partecipanti erano di solito gli amici e cuperare le tradizioni, diverse associazioni culturali i musicisti della banda denominati “lautari”. creano matrimoni finti oppure aiutano gli sposi a re- Vestizione della sposa: questo rituale era gestito dal- alizzare il loro matrimonio valorizzando le tradizioni le damigelle insieme alla testimone principale. Quan- della regione di appartenenza. do la sposa era pronta, lo sposo le portava il bouquet e poi si recavano assieme verso la chiesa: davanti la sposa accompagnata dal testimone, seguiti dallo spo- Angelica Cirja PA G I N A 1 2 che paese bolle in pentola? Il Mulo è un collettivo di ragazzi e ragazze, italiani e stranieri originari di diversi paesi dell’Africa, Asia ed America Latina. Il nostro scopo è fare cultura a Piacenza, soprattutto attraverso il cibo: realizziamo ricette meticce che coniugano diverse tradizioni culinarie in un’ottica interculturale che dà vita a forme inedite e personalizzate di cucina. Privilegiamo materie prime e prodotti del territorio piacentino, biologici, e per quanto riguarda l’ortofrutta di stagione siamo noi stessi i coltivatori. Questo perché con la nostra attività vogliamo contribuire a far vivere la nostra terra, curando relazioni di lavoro equo, paritarie e il rispetto dell’ambiente. Noi crediamo che il cibo sia il modo migliore per approcciarsi alla cultura altrui e per conoscersi: oltre ad offrire piatti sfiziosi, stiamo cercando di aprirci a nuove iniziative culturali ed artistiche per dare il nostro particolare contributo. Nel nostro primo anno di vita abbiamo infatti collaborato con diverse realtà del territorio piacentino (associazione Concorto, Tavolo della Pace, Arci Vik, cooperativa Des Tacum, associazione Amici di Lengesim, Arci Lo-Fai,…) realizzando aperitivi e cene formulate in base alle esigenze delle persone, che a volte possono richiedere anche menù vegani o vegetariani. Tra gli ultimi eventi, abbiamo preso parte a “Matti da galera – Quartiere Roma in festa” organizzando un ricco buffet per i ragazzi del centro di aggregazione Kaprasquare e dove non poteva mancare la collaborazione e il sostegno del Centro Interculturale di Piacenza. Ci auguriamo di poter rappresentare nel tempo una proposta interessante per il territorio ed una lieta occasione di condivisione aperta a tutti. Josephine Diouf Alla realizzazione di questo numero hanno collaborato: Eleonora Anelli, Angelica Cirja, Josephine Diouf, Cecilia Fava, Daniela Germoni, Karima, Sambala Massolola Mieugevigne, Vesna Mitrasinovic, Sangaré Moussa, Martina Pallotta Impaginazione e grafica: Milena Bolzoni, Daniela Bruschi. Mosaico è stato realizzato con il contributo delle Associazioni iscritte al Centro Interculturale e vuole essere uno strumento di informazione per tutti i cittadini stranieri che vivono e lavorano a Piacenza. Per info e suggerimenti: Centro Interculturale Piacenza, via XXI Aprile, 15 - Piacenza tel. 0523 490768 - e-mail: [email protected]