La comprensione della mente: il ruolo del linguaggio

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La comprensione della mente: il ruolo del linguaggio
In: O. Albanese et al (a cura di, 2011), La comprensione: aspetti cognitivi,
metacognitivi ed emotivi, Franco Angeli, Milano, pp. 47-57
La comprensione della mente epistemica ed
emotiva nei bambini: il ruolo del linguaggio
di Ilaria Grazzani Gavazzi
Questo scritto propone una riflessione sul ruolo del linguaggio nello
sviluppo dell‟abilità di comprensione della mente, nel periodo che va
dall‟infanzia all‟adolescenza.
Studiare lo sviluppo della comprensione della mente nei bambini
significa, per gli „addetti ai lavori‟, studiare lo sviluppo della loro „teoria
della mente‟ (theory of mind, o più semplicemente ToM). Con questa
espressione, ormai utilizzata da più di trent‟anni, si è soliti enfatizzare il
fatto che i bambini fin dalla prima infanzia elaborano un insieme di ipotesi,
concezioni ed opinioni – una „teoria‟ appunto - relative al fatto che sia se
stessi sia gli altri possiedono o sperimentano stati mentali di varia natura,
che sono alla base dei comportamenti manifesti e più o meno intenzionali.
Il termine „teoria‟, in questo contesto, viene quindi utilizzato con un
significato particolare: si usa l‟espressione „theory of mind‟ perché nel
ragionare e parlare di noi stessi e degli altri ci riferiamo a stati mentali
come intenzioni, emozioni, desideri e credenze che non sono direttamente
osservabili (Camaioni, 2003) e che tuttavia regolano i nostri e altrui
comportamenti nella vita quotidiana.
La comprensione della mente, o ToM, riguarda due principali tipologie
di stati mentali o stati interni: quelli cosiddetti epistemici o cognitivi (ad
esempio, le credenze, le ipotesi, le false credenze, ma anche le congetture,
le opinioni) e quelli emotivo-affettivi (come la rabbia, la gioia, l‟amore, il
rancore etc.). Riguardo alla prima tipologia, stati interni o mentali come
desideri, credenze, false credenze, opinioni sono in rapporto con azioni
particolari che si spiegano in virtù di ciò che, come abbiamo affermato
poco sopra, non è direttamente osservabile, ma inferibile. Se Marco crede
che nel negozio sotto casa potrà trovare i botti che deve acquistare per
capodanno, vi si recherà per procurarseli. Il comportamento manifesto di
Marco è quindi legato a una sua credenza; ma potrà anche essere collegato
al suo desiderio di procurarsi i botti per festeggiare con gli amici. In ogni
caso, abbiamo un comportamento (andare nel negozio) e stati interni
(credere, desiderare) tra loro logicamente connessi. Parimenti, rispetto alla
seconda tipologia, stati mentali come provare rabbia, tristezza, colpa,
nostalgia, orgoglio, soddisfazione sono in rapporto con altrettanto azioni
manifeste ad essi riconducibili. Se Elvira è triste perché la madre si
allontana durante l‟inserimento al nido, potrà piangere e rifiutare il contatto
con altri adulti; se si arrabbia perché un bambino le ha sottratto un gioco,
potrà gridare o graffiare il compagno per cercare di riappropriarsi di quanto
le è stato preso. Dalle azioni manifeste si possono inferire gli stati interni di
Elvira, che presumibilmente sarà triste se sta piangendo oppure arrabbiata
se sta aggredendo il compagno, ovvero l‟origine del suo senso di
frustrazione. Nel caso degli stati mentali di natura emotiva, inoltre,
l‟inferenza è facilitata dalla „lettura‟ dell‟espressione facciale: mentre non
si può „leggere in faccia‟ se uno possiede una „credenza‟, si può invece
inferirne la „gioia‟ o la „collera‟ dall‟espressione del suo viso.
La ricerca sullo sviluppo della comprensione della mente per alcuni
autori (come Joseph Perner) ha significato mettere a fuoco lo sviluppo della
ToM epistemica, ovvero la comprensione degli stati mentali di natura
cognitiva, da quelli più semplici come le intenzioni a quelli più complessi
come ipotesi o congetture. Ciò ha comportato la creazione di specifici
paradigmi di ricerca e di compiti sperimentali volti a evidenziare la
crescente capacità del bambino di collegare stati mentali a comportamenti
attesi, e più precisamente di attribuire ad altri degli stati mentali diversi dai
propri e dalla realtà dei fatti (per esempio, false credenze). Altri autori (per
esempio Paul Harris), invece, hanno privilegiato lo studio della ToM
cosiddetta emotiva, ovvero lo sviluppo della comprensione delle emozioni
nei bambini. In questo caso è stata studiata la loro comprensione delle
cause che giustificano certe esperienze emozionali (ad esempio le cause
esterne, i desideri, le credenze, i ricordi) e la loro consapevolezza circa la
possibilità di gestire le esperienze interne producendo particolari
manifestazioni osservabili (ad esempio, nascondere la collera e mostrare il
sorriso). Rilevante, in questo filone, è lo studio della comprensione delle
cause delle emozioni: riconoscere, ad esempio, che l‟amico è triste perché
non ha il permesso di uscire a giocare; che l‟insegnante si è adirata perché i
compiti delle vacanze non sono stati svolti come richiesto; che la visione
della foto di un evento triste può riattivarne il ricordo e provocare emozioni
analoghe a quelle provate nelle circostanze dell‟evento; e così via.
Il taglio evolutivo ha caratterizzato lo studio di questi temi (anche se
attualmente altri aspetti sono oggetto di feconde indagini, ad esempio i
correlati sociali e affettivi della ToM, o lo studio con soggetti „atipici‟,
aspetti interessanti ma non approfonditi in questo breve lavoro).
Molti autori, nell‟ottica evolutiva, hanno condotto ricerche con lo scopo
di investigare gli albori della comprensione della mente e i suoi precursori.
Aspetti legati alla fase pre-linguistica dello sviluppo infantile nel primo
anno di vita (ad esempio l‟utilizzo del gesto di indicare o l‟attenzione
condivisa tra adulto e bambino) sono stati visti come importanti marcatori
della progressiva consapevolezza, da parte del piccolo, di poter condividere
con l‟adulto particolari stati mentali come attenzione e interesse. Certo, il
fatto che, per esempio, il bambino indichi alla mamma il padre che sta
arrivando (gesto dichiarativo) significa che sta „trattando‟ la madre come
persona potenzialmente interessata a condividere con lui l‟attenzione verso
il papà, ma non significa che sia „consapevole‟ che la madre ha stati
mentali come l‟attenzione e la curiosità. O, in altri termini, che stia
elaborando una sua „teoria‟ al riguardo. A tale proposito la ricerca più
recente è tesa a mettere a punto dispositivi e paradigmi sperimentali che
consentano di potere ragionevolmente affermare che già tra il primo e il
secondo anno di vita i bambini sviluppano la capacità di attribuire agli altri
stati mentali complessi come le false credenze (si veda, ad esempio, Surian,
Caldi, Sperber, 2007). I risultati delle prime ricerche in questa direzione si
prestano a letture e interpretazioni diverse che richiedono, a nostro avviso,
ulteriori evidenze empiriche. Particolarmente stimolante risulta il lavoro di
Buttelmann, Carpenter e Tomasello (2009) i quali, utilizzando un
dispositivo sperimentale innovativo (che consente di ottenere misure di
comportamento attivo da parte del bambino), hanno evidenziato, già in
bambini tra i 16 e i 18 mesi, la capacità di attribuire ad altri false credenze.
Un punto debole del compito di ricerca, per quanto assai raffinato, potrebbe
tuttavia risiedere nel fatto che, pur non affidandosi alla valutazione di
prestazioni verbali ma sfruttando la naturale predisposizione dei bambini di
questa età ad aiutare altri in difficoltà (comportamento), lo scaffolding
linguistico del ricercatore è presente in più fasi del suo svolgimento.
Quando (e perché) è possibile affermare, in modo ragionevole, che i
bambini cominciano a elaborare una teoria sulla mente, una teoria circa
l‟esistenza di stati interni collegati a precise condotte? Quando è lecito
affermare, in base ai dati di ricerca, che il bambino ha una comprensione
della mente propria e altrui che si manifesta concretamente nelle interazioni
sociali della vita quotidiana, per esempio quando tenta di ingannare l‟altro
(quindi di creare stati mentali che non corrispondono allo stato di realtà), o
di manipolarne i comportamenti (per esempio, fingendo di stare male e
quindi inducendo attenzione, preoccupazione e così via)?
Secondo numerosi studiosi un indicatore importante dell‟emergere della
comprensione della mente è dato dal fatto che il bambino inizia ad usare, in
modo genuino, il lessico degli stati mentali (mental state language). Tale
lessico, detto comunemente lessico psicologico, è considerato un
importante precursore dell‟emergere e del manifestarsi della ToM
Astington, Baird, 2005).
In questo scritto viene affermato e sostenuto il ruolo cruciale, e non
secondario, del linguaggio nello sviluppo della consapevolezza e
comprensione degli stati mentali, e vengono individuati futuri percorsi di
ricerca che consentano di approfondire alcune questioni critiche circa il
rapporto linguaggio/ToM in fasi diverse dello sviluppo.
1. Il linguaggio degli stati mentali come precursore e correlato della
ToM
Studi molto interessanti e stimolanti condotti nell‟ambito dello sviluppo
della comunicazione umana negli ultimi decenni, in una prospettiva che
sottolinea gli aspetti di continuità e discontinuità tra l‟uomo e gli altri
primati evoluti, mettono in rilievo due temi centrali:
- gli esseri umani e le grandi scimmie condividono un uso ampio e
flessibile della comunicazione gestuale che costituisce una novità
dell‟evoluzione, tuttavia i primati non umani non presentano forme di
intenzionalità condivisa e non sembrano avere la minima idea di che cosa
sia l‟informazione cooperativa (Tomasello, 2008);
- gli esseri umani, diversamente dagli altri primati, esprimono
linguisticamente i propri e altrui stati mentali o interni, dapprima quelli di
natura emotiva e successivamente quelli epistemici (Harris, 2008).
Quest‟ultima capacità, unicamente umana, è a nostro avviso cruciale.
Anche se è lecito affermare che essa amplifica una modalità comunicativa
gestuale non verbale preesistente, e quindi si pone in continuità con la
comunicazione pre-linguistica, tuttavia produce anche una sorta di
„rivoluzione psicologica‟. Infatti, consente di comunicare sia quanto si
pensa, crede, prova in un dato momento sia quanto si è provato, creduto,
pensato, ipotizzato nel passato e quanto si potrebbe provare o credere in
futuro, in situazioni simili o diverse da quelle attuali. Inoltre, la capacità di
tradurre in parole gli stati mentali non consente solo di comunicare nel
senso di condividere/mettere in comune con l‟altro tali stati (ad es., dicendo
„ho paura‟, „non voglio‟, „mi piace‟ e così via) ma anche di conversare su di
essi, di discuterli e di attribuirvi dei significati che concorrono a creare
script o copioni condivisi delle esperienze umane. A tale proposito, lo
studio di Wellman, Harris, Banerjee e Sinclair (1995) mostra che già a
partire dai due anni i bambini utilizzano genuinamente il lessico
psicologico di tipo emotivo; infatti, da questa età l‟uso del linguaggio che si
riferisce a stati interni di natura emotivo-affettiva non avviene solo durante
un‟esperienza (il che potrebbe denotare, secondo gli scettici, che si è in
presenza di un‟espressione vocale simile a qualsiasi altra esclamazione
sonora prodotta dai bambini di questa età!) ma anche in riferimento ad
esperienze passate proprie ed altrui. Il fatto che i bambini, già a partire dal
secondo anno di vita (Dunn, Bretherton e Munn, 1987), parlino da soli o tra
di loro degli stati mentali del passato è un indicatore cruciale della genesi
della consapevolezza circa l‟esistenza di un mondo interno.
Nella prospettiva evolutiva, che ha caratterizzato la ricerca sullo
sviluppo della comprensione della mente nei bambini, numerosi studi
hanno approfondito il legame tra lo sviluppo del lessico psicologico e lo
sviluppo della ToM, legame inizialmente connotato in termini di precursori
dell‟uno nei confronti dell‟altro. Tale lessico è stato scandagliato e
classificato in precise categorie di termini, condivise dalla comunità
scientifica che si occupa di questo tema. Le categorie includono termini
mentalistici di tipo percettivo (es., vedere, sentire), volitivo e di abilità (es.,
volere, desiderare, avere intenzione di), emotivo positivo (es., piacere, voler
bene) e negativo (es., avere paura, sentirsi tristi), cognitivo/epistemico (es.,
pensare, sapere, credere, riflettere), di giudizio morale (es., pentirsi,
perdonare) e formano tassonomie reperibili anche in lingua italiana (ad es.,
Lecce e Pagnin, 2007; Ornaghi, Grazzani Gavazzi, 2009). Si è visto come
alcuni termini siano usati dal bambino più precocemente (prima infanzia) e
rimandino a una ToM più semplice, mentre altri vengano acquisiti ad età
più avanzate (seconda infanzia, età della scuola primaria e oltre) e
sottendano una teoria della mente più sofisticata. Si è soliti distinguere,
infatti, una teoria della mente del semplice desiderio, da quella della
credenza e della falsa credenza, a testimonianza di un‟abilità crescente di
comprensione degli stati mentali e di previsione delle azioni ad essi
collegate. Inoltre, numerose ricerche hanno evidenziato come l‟uso da parte
dell‟adulto (o di fratelli più grandi) del lessico psicologico nelle
conversazioni con i piccoli costituisca un importante correlato del loro
sviluppo della ToM epistemica ed emotiva. Tuttavia, in questo contesto ciò
che ci preme sottolineare è il fatto che l‟uso del lessico psicologico, e
quindi di una componente importante del linguaggio a livello semantico,
costituisce un significativo correlato dell‟emergere e consolidarsi della
comprensione mentale. In sostanza, si vuole sottolineare che una teoria
della mente consapevole ha bisogno del linguaggio e che il fatto che il
piccolo dell‟uomo -rispetto ai primati non-umani - faccia uso del
linguaggio mentalistico costituisce un „motore‟ importante dello sviluppo
di abilità rappresentative e meta rappresentative della mente propria e
altrui, abilità che gli scimpanzé non mostrano di possedere.
Il piccolo umano, che utilizza il lessico del mondo interno e che è
esposto all‟ascolto di tale lessico prodotto da altri, è inserito in un circolo
virtuoso: l‟uso favorisce la comprensione che favorisce l‟uso che favorisce
la comprensione…del lessico psicologico, finestra privilegiata per indagare
la ToM e anche amplificatore della stessa (Ornaghi, Brockmeier, Grazzani
Gavazzi, in stampa).
Una linea di ricerca da perseguire, in questo contesto, è data non solo
dallo studio del rapporto tra uso e comprensione del lessico psicologico, ma
anche dallo studio dell‟impatto che uso e comprensione del linguaggio
mentalistico hanno sulla comprensione della mente epistemica ed emotiva.
In uno studio recentemente condotto, per esempio, abbiamo trovato che nei
bambini della fascia prescolare il livello di comprensione del lessico
emotivo influisce in modo importante sulla capacità di risolvere compiti di
comprensione delle emozioni (Ornaghi, Grazzani Gavazzi, Piralli, in
stampa).
2. Il linguaggio come correlato e come predittore della ToM
Come sostenuto da Battacchi (2006), un aspetto centrale del dibattito
circa il ruolo del linguaggio nello sviluppo della ToM risiede nel fatto che
le prove empiriche (in primis le prove di falsa credenza, FC) sono prove
verbali; per uscire dalla strettoia a cui può portare il loro utilizzo, disporre
di dispositivi di ricerca „senza il linguaggio‟ risulta cruciale. I dati
complessivi di cui si dispone (quelli non linguistici ottenuti con i piccoli già
tra i 13 e i 24 mesi e quelli di natura verbale ottenuti con bambini tra i 3 e i
4 anni) consentono di individuare tre livelli crescenti di comprensione della
mente, intesa qui come comprensione del fatto che un altro può avere una
credenza falsa o erronea rispetto allo stato di realtà e rispetto alla propria
credenza (ibidem). Si ricorderà, in breve, che il nocciolo delle diverse
varianti del compito di FC risiede sempre nell‟indagare dove il bambino,
spettatore di una scena, prevede che un personaggio cercherà un oggetto
avendo il personaggio una falsa credenza circa la collocazione reale
dell‟oggetto stesso. Seguendo Battacchi (ibidem), a un primo livello,
l‟inferenza da parte del bambino circa la falsa credenza è (piagetianamente,
potremmo dire) agita, ma non verbalmente dichiarata. Il ricercatore,
attraverso il proprio dispositivo sperimentale, riesce a fare a meno del
linguaggio ma si deve accontentare di una prestazione che rimanda a un
livello implicito e non necessariamente conscio di comprensione della falsa
credenza (si veda anche Clements e Perner, 1994). Il livello successivo è
quello in cui l‟inferenza viene esplicitata con una risposta corretta alla
domanda del compito, mentre l‟ultimo livello è quello in cui il bambino è
anche in grado di spiegare i motivi della sua risposta e della sua previsione
comportamentale. Solo a questo livello si dovrebbe parlare di possesso di
teoria della mente come capacità di meta-rappresentazione esplicita:
capacità che consente di rappresentarsi lo stato mentale dell‟altro, di
prevederne i comportamenti e di giustificarli verbalmente.
In questa prospettiva, sembra che dal secondo anno di vita fino a circa 4
anni la capacità rappresentativa e meta-rappresentativa evolva rivelando il
duplice ruolo del linguaggio: seguendo una linea di ricerca che da
Vygotskij arriva a Katherine Nelson, possiamo affermare che il linguaggio
da strumento di potenziamento del pensiero diviene strumento che opera in
modo sinergico e complementare al pensiero stesso. Se, per certi aspetti, si
tratta di un‟affermazione „scontata‟, i dati di ricerca consentono di metterne
a fuoco le specificità. Abbiamo fatto già menzione dell‟aspetto semantico
del linguaggio relativamente al vocabolario degli stati mentali. Tuttavia,
altri studi mettono in rilievo l‟importanza che assume anche la componente
sintattica: il lessico mentalistico, infatti, si inserisce in frasi più o meno
complesse che il bambino comincia formulare intorno ai due anni (de
Villiers, de Villiers, 2003; Lohman e Tomasello, 2003). Inoltre, il
linguaggio c‟entra con la ToM anche a livello pragmatico: un uso frequente
del linguaggio mentalistico da parte degli adulti nelle conversazioni con i
loro figli è un buon predittore di buone performances in compiti di ToM
proposti nell‟età critica. Questo si osserva anche quando i bambini della
fascia prescolare vengono sollecitati a parlare e discutere con altri dei
propri e altrui stati mentali, in contesti educativi come la scuola per
l‟infanzia (Grazzani Gavazzi, Ornaghi, in press). Nella prospettiva
pragmatica o conversazionale, Nelson (2005) sottolinea l‟importanza del
parlare del mondo interno (usandone il lessico, costruendo frasi, ascoltando
gli altri etc.) perché ciò favorisce quel processo di „acquisizione di
significato dall‟uso‟ (Wittgenstein, 1953) che sta alla base della formazione
di concetti. Si può ipotizzare al riguardo che il bambino passi da un uso non
genuino a uno genuino del linguaggio, fino alla comprensione
„consapevole‟ – per richiamare la distinzione per livelli di Battacchi - degli
stati mentali. Questo percorso o passaggio è legato a più fattori, ma il
linguaggio a nostro avviso gioca un ruolo preminente nel favorirlo,
rallentarlo o accelerarlo.
In che misura il linguaggio continua ad essere rilevante per spiegare lo
sviluppo della ToM e le differenze individuali anche dopo l‟infanzia? In
che misura, cioè, concorre alla buona risoluzione dei compiti di falsa
credenza di secondo ordine, che vengono proposti ai bambini di scuola
primaria, o di quelli che valutano la comprensione delle emozioni nei suoi
aspetti non solo comportamentali (cause esterne delle emozioni) ma anche
mentalistici (credenze, ricordi etc.) e metacognitivi? (si vedano, al riguardo,
i saggi contenuti in Albanese, Molina, 2008).
Abbiamo qui fatto riferimento ai paradigmi di ricerca che indagano la
comprensione della mente nelle prime fasi del ciclo di vita e che
rispecchiano le definizioni di ToM che in tali periodi si sono affermate
(Lecce, Cavallini, Pagnin, 2010). E‟ importante tenere presente che,
modificandosi l‟accezione data all‟espressione „comprensione della mente‟
o „teoria della mente‟, cambiano anche, in modo più o meno consistente, le
questioni di fondo e i compiti di ricerca con cui studiarle. Così, per
esempio, è bene ricordare che la ricerca in età prescolare (fascia 3-5 anni)
ha rappresentato a lungo l‟ambito empirico più ricco e produttivo, in
relazione all‟affermarsi del paradigma introdotto da Wimmer e Perner
(1983); paradigma che ha portato i ricercatori a focalizzarsi, in modo
selettivo, sulla capacità dei bambini di attribuire false credenze ad altri e, in
base ad esse, di prevederne i comportamenti. Il proliferare di varianti dei
compiti di FC di primo ordine rende conto del fatto che lo studio della ToM
si è a lungo focalizzato su questo specifico oggetto, tralasciando
l‟attenzione verso altri stati mentali e una concezione della ToM di più
ampio respiro; tale concezione emerge negli anni Novanta con lo studio dei
correlati sociali, affettivi e cognitivi delle prestazioni ai compiti di FC.
Lo studio della comprensione della mente durante gli anni della scuola
primaria risente dell‟interesse per la risoluzione di compiti di FC detti di
secondo ordine, strutturalmente simili ma più complessi di quelli proposti
nelle fasi precedenti. Anche questa tipologia di prova è stata ideata da
Wimmer e Perner (1985) e valuta la capacità del bambino di effettuare
ragionamenti ricorsivi di secondo livello (del tipo X pensa che Y creda
che…). Il superamento di una concezione di ToM ancorata alla prestazione
in tali prove ha portato, di recente, a concepire la teoria della mente in
questa fascia d‟età in termini sia di comprensione della natura interpretativa
della conoscenza sia di abilità di mentalizzazione, intesa come capacità di
riferirsi a stati mentali e utilizzarli per motivare le condotte (Meins,
Fernyhough, Johnson, Lidstone, 2006).
Quale è allora il ruolo del linguaggio nella comprensione della mente
durante gli anni di scuola primaria? Il fatto di connotare la ToM, come
abbiamo visto poco sopra, anche come mentalizzazione, nel senso di abilità
di „riferirsi a ed esplicitare gli stati mentali‟, chiama in causa, anche a
questo livello, il ruolo primario del linguaggio. Basti pensare ai risultati di
ricerche svolte con bambini non udenti (in cui l‟ascolto e l‟uso del
linguaggio mentalistico sono deficitari), i quali mostrano un consistente
ritardo nello sviluppo della comprensione della mente e nella sua
applicazione alla vita sociale (Marchetti, Liverta Sempio, Lecciso, 2006).
Nell‟ambito di questa fascia d‟età, studi da noi condotti con bambini di
8 e 10 anni mostrano che prestazioni più elevate in prove metalinguistiche
predicono migliori performances in prove di ToM sia epistemica sia
emotiva (Ornaghi, Grazzani Gavazzi, Zanetti, 2010). Noi ipotizziamo che,
al crescere dell‟età, la capacità del bambino di riflettere sul linguaggio
rispetto alle sue diverse componenti (Grazzani Gavazzi, 2003) possa essere
un fattore importante per spiegarne la capacità di destreggiarsi in quei
compiti che richiedono di rappresentarsi stati mentali complessi,
unitamente alle relazioni che essi hanno con i comportamenti. Il modello di
sviluppo della comprensione delle emozioni oggi più accreditato (Pons,
Harris, de Rosnay, 2004) include un livello metacognitivo (il terzo del
modello) in cui le abilità di tipo „meta‟ sembrano indispensabili per potere
risolvere prove di teoria della mente emotiva, come la ricerca futura dovrà
ulteriormente evidenziare.
E‟ presumibile che anche in successive fasi di sviluppo i ragazzi
possano avvalersi del linguaggio per una migliore comprensione della
mente. Gli studi con gli adolescenti non sono numerosi e vanno nella
direzione di sondare la loro capacità di mettere in pratica, ovvero di
applicare nella vita quotidiana la capacità di risolvere compiti anche
complessi di ToM (dove il termine complesso rimanda al fatto che le prove
possono richiedere capacità di inferenze circa gli stati mentali con incastri
multipli, del tipo „X pensa che Y sappia che Z vuole…‟). Rispetto a questa
fase del ciclo di vita, in cui crescono le capacità di astrazione, di pensiero
ipotetico-deduttivo e di argomentazione, le competenze non solo
linguistiche ma anche metalinguistiche e più in generale metacognitive
sembrano giocare un ruolo cruciale per spiegare le differenze individuali
(Antonietti, Liverta Sempio, Marchetti, 2006). Tuttavia, questa fase del
ciclo di vita costituisce un ambito ancora poco esplorato. Nella prospettiva
di una concezione più integrata dello sviluppo della ToM ad età diverse,
sono auspicabili ulteriori ricerche anche in adolescenza.
Conclusioni
Nel ripercorrere gli sviluppi della ricerca sul rapporto tra teoria della
mente e linguaggio abbiamo tralasciato l‟analisi di altri importanti fattori e
correlati nello sviluppo della comprensione della mente. Siamo consapevoli
che variabili come la qualità del legame di attaccamento, il numero di
fratelli all‟interno del nucleo familiare o la possibilità di usufruire di
svariate esperienze sociali sono altrettanto rilevanti nella spiegazione dello
sviluppo di una teoria della mente. In questo scritto, tuttavia, l‟attenzione è
stata rivolta al fattore maggiormente indagato all‟interno del nostro
programma di ricerca. Speriamo di avere così fornito spunti di riflessione e
idee per ulteriori indagini empiriche in un‟area particolarmente affascinante
della cognizione umana.
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