Now - Domenico Scilipoti isgró

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Now - Domenico Scilipoti isgró
Domenico Scilipoti Isgrò
OLISMO
IL NUOVO PARADIGMA
DEL TERZO MILLENNIO
Ambiente, Alimentazione e Qualità della Vita
crisi ed inversione di tendenza
Laruffa Editore
Revisione del testo: Avvocato Angela Violi
© Copyright Diritto d’autore. Tutti i diritti riservati. È proibito riprodurre, totalmente o par­zialmente, questo libro, in qualunque forma
o con qualunque mezzo elettronico, meccanico, incluso il processo di
fotocopie, senza il permesso dell’autore.
In copertina: Federico Barocci, Enea fugge mentre Troia brucia (1598)
Galleria Borghese, Roma
A.D. 2016
Laruffa Editore s.r.l.
Via dei Tre Mulini, 14
89124 Reggio Calabria
Tel.: 0965.814954 (due linee)/fax: 0965.311745
www.laruffaeditore.it - [email protected]
ISBN 978-88-7221-804-4
“Il destino delle Nazioni dipende dal modo in cui si nutrono”
Anthelme Brillant - Savarin
“Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice
Down Jones, nè i successi del paese sulla base del prodotto interno
lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria”
Robert Kennedy
“Il destino di un popolo dipende anche dall’aria che respira”
Domenico Scilipoti Isgrò
A mia madre
Prefazione
La sensibilità dell’opinione pubblica verso le problematiche ambientali ha subito, in questi ultimi anni, un’importante crescita, principalmente legata alla comprensione che il pianeta sul quale viviamo, la “nostra
casa”, non sarà più in grado di garantirci, se continuiamo ad abusarne
in termini di sfruttamento incondizionato e “senza regole” delle risorse,
condizioni di vita accettabili.
I processi di produzione e gli effetti legati agli insediamenti antropici
sono le due principali cause dell’inquinamento i cui effetti in termini di
impatti ambientali e climatici sono ormai sotto gli occhi di tutti.
I verbi progettare e produrre dovranno sempre più coniugarsi con i
verbi rispettare, recuperare e riutilizzare. Solo attraverso questo paradigma sarà possibile continuare a mantenere condizioni di vita, quali quelle alle quali sia ormai abituati e nel contempo contribuire alla crescita
economica e sociale di quelle popolazioni per quali avere acqua, cibo ed
energia ancora rappresenta un problema.
Parlare di ambiente se da una parte può oggi sembrare semplice,
dall’altra il rischio di cadere in facili affermazioni e luoghi comuni è molto alto. Oggi siamo letteralmente sommersi dalle informazioni, disponiamo di mezzi formidabili attraverso i quali possiamo, praticamente in tempo reale, aggiornarci su ciò che accade nelle più remote aree del nostro
pianeta, sui progressi della scienza e della tecnologia. Questi strumenti
però, proprio per la grande quantità di dati che sono in grado di fornirci,
spesso generano nell’opinione pubblica confusione circa problemi, approcci di studio e possibili soluzioni.
I temi ambientali affrontati in questo volume in modo chiaro, semplice e di facile lettura, sempre nel rigoroso rispetto scientifico degli argomenti e delle tematiche trattate, coprendo di fatto gli aspetti più importanti oggi oggetto di analisi e di discussione in campo ambientale,
aiutano di fatto a fare chiarezza. Particolarmente importanti, e di sicuro
interesse per il lettore, sono i riferimenti che il Senatore Domenico Sci-
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lipoti Isgrò fa alle leggi esistenti ed alle proposte di modifica presentate,
approccio questo che contribuisce a fare meglio comprendere al lettore
l’importanza della politica e delle Istituzioni democratiche, soli strumenti attraverso i quali, può essere assicurato, nel caso specifico, il pieno
rispetto dell’ambiente ed una migliore vita per l’uomo.
Gli argomenti trattati nel volume spaziano dalle problematiche di inquinamento ambientale a quelle della salute, del corretto sfruttamento
delle risorse, della riduzione dei rischi alimentari, fino ad affrontare quelle legate alla gestione dello spazio fuori dell’atmosfera terrestre. In tutti i
capitoli emerge in modo chiaro l’approccio olistico.
L’essere umano, in quanto tale, è influenzato e condizionato dall’insieme delle interrelazioni con la realtà ordinaria e con il mondo sovrasensibile e per questa ragione il suo benessere non può prescindere dalla
qualità di ciò che lo circonda: l’ambiente, ambiente del quale dobbiamo
e dovremo sempre più aver cura e che questo libro da un prezioso contributo a farci meglio capire come.
Prof. Giuseppe Bonifazi
Ordinario di Ingegneria delle Materie Prime
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
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Introduzione
“È responsabilità dell’uomo limitare i rischi per il creato, mediante una particolare attenzione all’ambiente naturale, interventi appropriati e sistemi di protezione ideati anzitutto nell’ottica del bene comune”.
Ho aperto questa prefazione allografa riportando uno stralcio del
discorso di San Giovanni Paolo II fatto alla Pontificia Accademia delle
Scienze il 12 marzo 1999 poiché credo che Domenico Scilipoti Isgrò, cristiano, medico, accademico e parlamentare, affidando alle stampe questo
volume abbia dato un notevole contributo per la formazione dell’uomo
alla cultura della responsabilità ambientale.
È un fatto ormai evidente che ambiente, alimentazione e salute sono
tre vagoni di un convoglio e se uno di questi vagoni si inceppa tutto il
convoglio si ferma.
La liberalizzazione del mercato agro-alimentare, la meccanizzazione
dei processi di trasformazione e produzione, l’applicazione delle biotecnologie dell’ingegneria genetica, la concentrazione industriale, la distribuzione di massa, il confezionamento, la vendita e la pubblicità hanno
profondamente trasformato l’antico rapporto esistente con il cibo: tipologie diverse di comportamenti di consumo si sono venute consolidando, esprimendo nella loro molteplicità le lacerazioni prodotte dalle innovazioni del sistema da un lato, e il desiderio di ricercare nuove simbologie
da attribuire al cibo e al suo consumo dall’altro.
L’obiettivo di questa trattazione è di mostrare una certa prospettiva
di approccio a problemi propri della gestione quale quella del rischio da
OGM che tenga conto di fattori quali la percezione della mancanza di
controllo di questo tipo di rischio da parte del cittadino.
La differenza, ad esempio, tra gli OGM e il fumo sta nel fatto che il
fumo viene vissuto come un rischio di tipo volontario. Allo stato attuale
la gente percepisce il rischio OGM come non controllabile perché occulto e imposto contro le volontà individuali. Al contrario, oggi, la decisione
nel campo della gestione del rischio è del tipo “a negoziazione distribu-
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ita”, in quanto coinvolge gruppi eterogenei di attori che rappresentano
interessi e axiologie conflittuali, come pure competizioni sulle conoscenze e sui dati e che, quindi, richiede un nuovo tipo di sforzo scientifico.
Nel volume che ci regala oggi a compendio di decenni di esperienza,
Domenico Scilipoti Isgrò si conferma non solo competente e rigoroso,
ma anche autorevole custode e divulgatore di un sapere millenario di cui
la scienza riconosce finalmente la rilevanza. La ricchezza e la meticolosità
della “narrazione” che si sgrana pagina dopo pagina, fonte non solo di
informazione ma anche di sorpresa continua per il profano come per
l’addetto ai lavori, sgombra il campo da pregiudizi e luoghi comuni. La
sua è un’opera di divulgazione di valore, fra i cui meriti va riconosciuta la
perentorietà del tacito avvertimento e monito ai contemporanei affinché
si presti la debita attenzione non solo a quel patrimonio ambientale cui
possiamo affidare con fiducia rinnovata la chiave della nostra salute ma
anche, e non da ultimo, alle istanze ecologiche, determinanti per evitare
la rapina sconsiderata del preziosissimo tesoro che la natura ci offre generosamente.
Avv. Paride Martella
Presidente emerito della Provincia di Latina
Cavaliere della Repubblica Italiana
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Presentazione
Parlare e scrivere, oggi, nell’anno 2016 di ambiente evidenzia grande
sensibilità verso i temi della vita, valori fondamentali non negoziabili
che hanno bisogno, ora più che mai, di essere difesi da una paradossale
minaccia: l’uomo.
Si potrebbe affermare che l’essere umano cerca di difendersi da se
stesso e se da un lato si invita alla riflessione sul rispetto dei beni e delle
risorse concesse e necessarie per la vita, dall’altro si continua a distruggere il pianeta.
La sete smodata di danaro, l’economia sfrenata e senza regole, così
come il senso di eternità terrena, inducono l’uomo a progettare un presente che rischia di cancellare il futuro regalando al passato il marchio di
un tempo fortemente penalizzato da chi pensa di possedere una grande
intelligenza.
Se un giorno qualcuno scriverà la storia dell’umanità amaramente,
dovrà affermare che il secolo a cavallo tra il 1800 e il 1900 è stato il peggiore; popolato da uomini “strani” presuntuosi e pieni di sé, incapaci di
controllarsi e di controllare l’istinto sfrenato volto ad accumulare ricchezza destinata, comunque, a restare ferma sul pianeta dove è stata prodotta.
Scriveranno che la terra nata 4,6 miliardi di anni fa si è mantenuta in
equilibrio fino alla rivoluzione industriale iniziata nel 1780 e culminata
nel 1870 quando è stata introdotta l’elettricità, i prodotti chimici e il
petrolio.
Verrà spiegato come in soli circa 150 anni l’uomo ha distrutto il pianeta causando il buco dell’ozono, lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento
della temperatura, l’incremento di gas serra, l’inquinamento dei prodotti
alimentari, l’alterazione della qualità naturale dei cibi, l’ottenimento di
prodotti cancerogeni, l’alterazione della qualità dell’aria, dell’acqua e di
ogni altra risorsa a causa della presenza di sostanze inquinanti prodotte
dall’attività antropica dell’uomo. Basterebbe pensare ai pesticidi, nel caso
più semplice e alle scorie radioattive e nucleari, disseminati a mare e a
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terra come doni speciali per l’intera umanità, nel caso più grave.
Si parlerà del “mondo del paradosso” poiché mentre a Tokyo si firmavano trattati per ridurre la quantità di CO2 presente nel mondo, promuovendo nei diversi anni incontri e tavoli tecnici di riflessione e di
indirizzo, in Italia, e in altri luoghi, si concedevano autorizzazioni per la
costruzione di impianti inquinanti o di centrali a carbone; esempio la
centrale di Saline di Montebello Jonico - Italia.
Scriveranno di un uomo che sapeva usare molto bene una “scatola di
plastica”, provvista di circuiti elettrici denominata computer ma poco la
propria intelligenza; evidenzieranno come in laboratorio, questi uomini,
riuscivano a costruire veri e propri mostri spostando “pezzi” di materiale
genetico da un punto all’altro ed ancora scriveranno di come qualcuno
più “ingegnoso” sia riuscito a “costruire” la vita in provetta contro ogni
regola morale, congelando embrioni e quindi vite umane come fossero
semplici surgelati.
Scriveranno che questi bambini non hanno mai visto il mondo pur
essendo collocati nel mondo dall’egoismo di una mamma che, a tutti i
costi, pretendeva un figlio.
Verrà narrato ancora di un popolo “strano” che mentre da un lato
firmava trattati di pace, dall’altro permetteva la costruzione di armi. Così
se alcune nazioni smantellavano gli arsenali di “difesa” chimica, in altre,
“scienziati” cercavano la composizione letale per distruggere i popoli.
I posteri si chiederanno chi fossero questi uomini e perché mai si comportassero in tal modo. Forse estrapoleranno codici genetici dai corpi per
comprendere cosa vi fosse di tanto “strano” nell’uomo del paradosso al
fine di rispondere con dati certi ai posteri.
Si parlerà di una intelligenza perduta che era quella degli antichi Greci, degli Assiri, dei Babilonesi, degli Egiziani e di tanti altri popoli che,
senza strumento alcuno, hanno costruito i pilastri dell’umanità.
Verrà evidenziato anche come l’uomo moderno ha solo vissuto di
rendita aggiungendo alla scienza antica che porta la firma di matematici,
fisici e chimici di un tempo, solo qualche programma informatico.
Chi era Pitagora (Samo, 570 a.C. circa – Metaponto, 495 a.C. circa),
capace di dimostrare teoremi matematici, chi era Eratostene di Cirene
che nel III secolo a.C. riuscì, con una proporzione, a definire la circon-
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ferenza della terra. Chi Niels Bohr che nel 1913 ha proposto il modello
atomico considerato importante applicazione della quantizzazione dell’energia tanto che, insieme all’equazione di Schrödinger e alle spiegazioni
teoriche sulla radiazione di corpo nero sull’effetto fotoelettrico e sullo
scattering Compton, sono la base della meccanica quantistica.
Che dire poi di Dmitrij Ivanovič Mendeleev, chimico russo vissuto
a cavallo tra il 1800 e i primi del 1900 capace di inventare la tavola periodica degli elementi chimici dove è riscontrabile il numero atomico, la
massa atomica e molte altre indicazioni sul comportamento del singolo
elemento.
Guglielmo Giovanni Maria Marconi (Bologna 25 aprile 1874 – Roma,
20 luglio 1937) è stato un fisico e inventore capace di esternare la propria
intelligenza in un mondo distante da quello odierno caratterizzato da
sofisticatissimi programmi informatici. Nonostante ciò Marconi ha sviluppato il primo modello efficace di comunicazione con telegrafia senza
fili, via onde radio o radiotelegrafo dalla cui evoluzione si sono ottenuti i
moderni sistemi di radiocomunicazione.
Chi ha “scoperto” la corrente elettrica e chi ha ideato la costruzione
di una lampadina non aveva certamente i mezzi della modernità, eppure
è riuscito a raggiungere l’obiettivo.
Bisognerebbe soffermarsi anche su James Dewey Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins che insieme hanno scoperto il DNA, ossia il codice
genetico presente nel nucleo delle cellule entrando nel merito della struttura molecolare degli acidi nucleici e nel meccanismo di trasferimento
dell’informazione negli organismi viventi.
Che dire poi di Socrate, Platone, Aristotele, Tolomeo, Copernico,
Galileo ed ancora di Campanella e di tutte quelle menti che hanno dato
lustro all’umanità.
Pur non mancando oggi scienziati di grande fama, donne e uomini
impegnati per costruire pezzi di storia all’avanguardia, come commentare
le opere d’arte e di ingegno presenti nel mondo e le scoperte scientifiche
definite, un tempo, in piccoli ambienti per niente riconducibili al modernismo di un laboratorio odierno.
Pochi sono certamente i nomi degli scienziati, qui evidenziati, che si
sono distinti nell’umanità per aver dato alla stessa un grande contributo
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poiché ce ne sono molti altri ma i riferimenti qui indicati dovrebbero
portare l’uomo moderno ad una vera riflessione sul proprio essere e sulla
necessità di riscoprire le potenzialità e le capacità in esso presenti.
In questo contesto il libro dell’onorevole dott. Domenico Scilipoti
Isgrò, che entra nel merito di molte problematiche connesse all’ambiente, bene si colloca al fianco di chi deve riflettere e meditare sulle responsabilità connesse alla propria azione di cittadino e uomo del mondo a cui
Dio ha regalato le meraviglie presenti in questo pianeta.
Il libro di Scilipoti Isgrò impone vere e profonde riflessioni, trattando
molti argomenti e temi riconducibili ad un unico filo conduttore: il rispetto dell’uomo e della vita intesa quale dono di Dio che non può e non
deve essere esposta a pericoli da chi intende solo vivere di speculazioni
economiche e di azioni tese ad ottenere il massimo profitto.
Scilipoti Isgrò, uomo impegnato in politica sui temi forti della vita,
intende dare con coerenza e chiarezza, anche attraverso questo libro, un
contributo tangibile non solo della sua azione parlamentare bensì del
suo impegno teso ad invitare l’uomo a sapersi e volersi esporre per dare
ai propri simili il meglio di sé.
L’intensa attività parlamentare del senatore Scilipoti Isgrò e le espressioni raccolte all’interno di questo suo lavoro editoriale fanno ancora
una volta emergere l’uomo Scilipoti e in particolare l’altruismo e l’amore
che egli nutre verso gli altri.
Scrivere, infatti, un libro che parla di ambiente e di rispetto ambientale, allo scopo di sensibilizzare l’uomo su temi così forti permette, ancora
una volta, di apprezzare lo slancio di chi intende non essere spettatore ma
protagonista al sol fine di portare sul palcoscenico le problematiche che
interessano la collettività.
L’augurio è che nel futuro nessuno debba più scrivere di ambiente al
fine di sensibilizzare i propri simili al rispetto dello stesso e che l’essere
umano riesca a staccarsi dal considerarsi “macchina produttiva” riuscendo così ad invertire la rotta e ad agire solo e soltanto per il bene comune
e mai per l’egoismo personale comprendendo che l’uomo non è uno
spirito posto dentro un corpo bensì un corpo posto nello spirito.
Ed è proprio a causa dell’annullamento o del ridimensionamento
dell’aspetto spirituale su quello materiale che, oggi più che mai, si vive
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nell’apatia generale, immersi tra i non valori e il materialismo puro senza
mai considerare la limitatezza della vita terrena e l’incapacità di poter
trasferire altrove ogni bene accumulato.
L’inversione di rotta e la consapevolezza critica degli errori potranno
salvare l’umanità da questo percorso in declino che porta l’uomo all’abbandono totale di sé. Da qui solo la riscoperta dello spirito e dei valori
interiori potranno conferire all’uomo il giusto equilibrio per comprendere bene il senso vero della vita e dei tanti doni che Dio, attraverso la
Creazione, ha regalato all’umanità.
Vincenzo Malacrinò
Professore di Scienze – Giornalista – Università degli Studi di Ferrara
Esperto in Comunicazione Istituzionale della Scienza
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Nota introduttiva
Ho voluto fortemente che questo mio libro avesse come titolo la parola “Olismo”, termine poco conosciuto oggi e completamente ignorato
nel passato. Oggi più che mai rimane viva e forte dentro di me la convinzione che questa parola, Olismo, non sia un termine astratto o avulso
dalla realtà, bensì racchiuda in se la svolta decisiva ed inevitabile per il
nostro futuro, quello che io chiamo Nuovo Paradigma del Terzo Millennio. È arrivato il momento di mettersi in gioco e di affrontare aspetti cruciali della nostra società (alimentazione, ambiente, sicurezza alimentare,
ecologia, Ogm) con un approccio nuovo: la visione Olistica.
L’espressione “Sicurezza Ambientale” abbraccia molteplici ambiti che,
pur essendo connessi alla tematica ambientale, riguardano nello specifico: sicurezza alimentare identificabile negli additivi che sono tutte quelle
sostanze che vengono utilizzate ed aggiunte nei nostri alimenti e negli ftalati, ovvero sostanze ed agenti chimici che vengono adoperati ed aggiunti
nella produzione dei vari contenitori di plastica che serviranno a conservare cibi e bevande; sicurezza terrestre a sua volta suddivisa in sicurezza
dell’acqua la cui composizione deve essere purissima considerando che
anche il nostro corpo è composto al 80/85% di acqua e la sua gestione,
dal punto di vista sociale e politico, deve rimanere pubblica e non privata
considerato che la sua assenza e scarsità colpisce ad oggi nel mondo oltre
un miliardo di persone, mentre il diritto di uso libero dovrebbe essere garantito a tutti; sicurezza dell’aria che, con il rispetto da parte degli uomini
delle regole che impediscono l’immissione incontrollata di agenti inquinanti, consentirebbe di fatto un sensibile miglioramento della qualità
dell’aria e della salute della popolazione. Si pensi, ad esempio, al caso Ilva
di Taranto (Italia), i MUOS di Niscemi (Italia), la centrale a carbone di
Saline Joniche (Italia); sicurezza agro-alimentare ed ambientale, tema ampio
che va dalla ricerca, agli investimenti alla salute dei cittadini. Sulla sicurezza agro-alimentare dovremmo puntare ad investimenti nella ricerca di
microrganismi utili in agricoltura, con particolare riferimento alle tecni-
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che di garanzia per la tutela della salute e mirate alla lotta contro l’abuso
di fertilizzanti chimici di cui già si conoscono gli effetti nocivi. Quando
si parla di sicurezza alimentare, dovremmo, altresì, porre la nostra attenzione sulla genuinità dei prodotti spesso minata dall’impiego sempre più
massiccio, nel settore agricolo di stampo industriale, di organismi geneticamente modificati, i cosiddetti OGM, soprattutto attraverso l’utilizzo
di erbicidi e pesticidi (già altamente dannosi nell’agricoltura tradizionale). Attualmente non si conoscono i potenziali effetti collaterali degli
OGM, tanto che il loro impiego è consentito in alcuni paesi europei, ma
potrebbero rivelarsi altamente dannosi per la salute umana anche in considerazione del fatto che sono organismi sterili e anche privi dell’ormone
della vita, la melatonina; sicurezza ambientale-spaziale ovvero tutte quelle
applicazioni ed attività spaziali che vengono definite essenziali e cruciali
per la crescita e il progresso della nostra società perché, seppure è vero
che il progresso e la crescita della nostra economia sono legati allo spazio,
è altrettanto vero che satelliti, sonde e missioni spaziali, quando non
più utilizzati, rappresentano per l’ambiente spaziale una enorme fonte
di detriti ed è necessario, pertanto, l’adozione di misure idonee alla loro
rimozione, proprio per evitare i rischi che possono verificarsi dal cosiddetto inquinamento spaziale, quindi la necessità di adottare una politica
spaziale attenta alla salute dell’ambiente; sicurezza-integrità sociale ovvero
tutti quei fattori che rientrano nel buon funzionamento della nostra società e che allo stesso tempo formano e rappresentano il tessuto della stessa come, ad esempio, il fattore economico-organizzativo del nostro Stato;
ridisegnare il concetto di Capitalismo, facendo nostra la strada indicata
nella Dottrina Sociale della Chiesa, in cui le priorità vengono ribaltate
e si consolida come punto focale l’Uomo, l’essere umano quale “Valore
assoluto” anche nel concetto di mercato, di produttività e di impresa.
Per comprendere appieno tali aspetti si susseguono quattro capitoli,
in ognuno dei quali vengono approfondite le peculiarità della tematica sopra trattata. Completeranno poi il libro i capitoli cinque e sei, nei
quali si proverà ad individuare alcune soluzioni per il miglioramento del
nostro pianeta Terra richiamandosi ai fondamenti del principio olistico.
Tutto ciò che ci circonda ed il buon funzionamento del nostro sistema–vita, influenza e condiziona ogni aspetto della nostra esistenza e
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quindi è fondamentale comprendere l’importanza del legame tra le diverse fasi alle quali è sottoposto un prodotto alimentare, dalla nascita dello
stesso alla coltivazione, dalla conservazione al consumo, e non per ultimo
è necessario soffermarsi sull’aspetto “qualità della vita”.
Considerata, inoltre, l’importanza di ogni fase per la tutela della nostra salute, è opportuno rispettare adeguatamente i protocolli stabiliti
affinché vengano ridotti i pericoli ai quali potremmo essere esposti.
Nel pieno rispetto del valore “vita-salute” è imprescindibile, pertanto,
prestare particolare attenzione al tipo di alimentazione da seguire, privilegiando una dieta prevalentemente vegetariana e rivalutando il concetto
di etica e bioetica alimentare che evidenzi come cibo sia sinonimo di
nutrimento che conseguentemente sarà benessere e salute. Altrettanto
fondamentale è prestare attenzione alla fase di conservazione del prodotto e ai materiali utilizzati nella fabbricazione dei contenitori, responsabili
il più delle volte delle malattie tumorali che ci colpiscono a causa delle sostanze cancerogene prodotte quando entrano a contatto con i cibi.
Com’è altrettanto fondamentale riflettere sui condizionamenti, spesso
negativi, che i cittadini subiscono quale ad esempio il mal funzionamento del sistema organizzativo della società che, invece di aiutare e sostenere, spesso infierisce sugli stessi con ripercussioni anche sulla salute e sulla
qualità della vita.
Tale analisi serve a dimostrare la stretta connessione tra l’ambiente
che ci circonda e noi che, a nostra volta, non rispettando determinati
parametri salutistici, influenziamo negativamente il nostro habitat.
Olismo, quindi, come idea di «partecipazione invece che sola osservazione», citando il fisico e saggista di fama internazionale, Fritjof Capra.
La conoscenza del mondo circostante e l’opportunità di poter cambiare
le cose non potrà avvenire finchè ci limiteremo solo ad osservare il mondo con le sue sfaccettature. Il cambiamento sarà possibile se capiremo
che solo sentendoci parte integrante di tutto ciò che circonda, dell’infinità dell’universo potremmo proiettarci verso il Paradigma del Terzo
Millennio.
Domenico Scilipoti Isgrò
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Il concetto di ambiente
e la sua evoluzione nei tempi
Le cause ed il paradigma delle crisi di matrice ecologica e dei diversi
problemi di natura ambientale vanno ricercati in tempi storici non solo
attuali ma anche risalenti alle epoche passate.
L’ambiente ha infatti una sua storia, all’interno della quale le differenti discipline (antropologia, medicina, biologia, geologia etc.) vanno tra
loro collegate al fine di offrire un quadro completo della sua evoluzione
così come le differenti condizioni ambientali, nel tempo, hanno contribuito a determinarlo. Concetto che racchiude in sé l’essenza della visione
Olistica.
Occorre, dunque, prendere avvio da un’attenta analisi delle abitudini e del pensiero maturato e sperimentato in tema di ambiente anche
riguardo a popoli antichi quali i greci ed i romani. Proprio l’analisi di
tale prospettiva consente di ravvedersi sulla credenza secondo la quale
nel mondo antico veniva valorizzato ed esaltato un rapporto “sano–integro” tra l’uomo e la natura e ciò grazie anche a diverse opere risalenti
ad autori greci e romani i quali si sono espressi secondo una prospettiva
non sempre rispettosa della natura, basti pensare, al riguardo, alle attività
di disboscamento, a quelle estrattive, alle tecniche utilizzate in guerra
e con le quali si distruggeva la terra coltivata dal nemico con l’intento
di privarlo delle fonti di sostentamento. Oggi il concetto di ambiente
rimanda a quello di “mondo intorno agli uomini”, comprensivo dell’insieme
dei fenomeni che condizionano la totalità della comunità umana e si può
definire, dunque, un concetto antropocentrico poiché teso a definire la
natura attraverso la sua relazione con gli uomini. Facendo proprio questo
pensiero rileva inoltre come il concetto di ecologia deriva, invece, dal
greco e, sebbene nell’antichità ancora non esistesse come parola dotata di
un’autonoma configurazione, “oikos” rappresentava la casa e la sua gestione, mentre “oikonomial” indicava le regole della gestione della casa, da cui
poi è nata la scienza economica moderna, considerando anche che la pa-
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rola composta “oikologia” deriva dalla combinazione di oikos e logos (con
ciò intendendo razionalità ed intelletto). Sui presupposti fondamentali
dell’ecologia moderna si è sviluppata, altresì, l’esigenza di “sostenibilità”
e cioè la preservazione e la conservazione dell’ambiente dovrebbero far sì
che sia l’energia che le materie prime vengano consumate solo nella misura in cui esse, in uno stesso periodo, possano essere rinnovate attraverso
processi naturali e, al tempo stesso, è possibile rilasciare nell’ambiente
solo una quantità di agenti inquinanti tale da poter essere smaltita dallo stesso in un arco temporale ristretto, valutabile cioè alla scala di vita
dell’essere umano. Del resto, un’incontrollata estrazione delle materie
prime non limitata ai soli prodotti rinnovabili potrebbe essere causa di
“eventi catastrofici”. Ulteriore riferimento si può individuare nel pensiero del filosofo tedesco Kant il quale aveva posto al centro della sua riflessione la scienza storica, affermando che dovesse avere ad oggetto non solo
l’uomo ma anche l’ambiente in cui lo stesso è vissuto. Pertanto, l’analisi
del rapporto tra l’uomo e la natura, così come si è costruito sin dai tempi
primordiali del periodo greco–romano, contribuisce a dare una chiara visione riguardo la percezione che il mondo antico aveva rispetto la natura,
oltre che ad evidenziare l’interazione dell’uomo con animali e piante. Ad
oggi, quindi, si rende necessario partire da una riflessione ovvero quella
secondo cui ripercorrere la storia dell’ambiente è un processo difficile
ed articolato, poiché ricostruisce le interazioni tra la cultura umana ed il
suo habitat naturale, evidenziando inoltre come le condizioni ambientali
possano influire il più delle volte in modo determinante sui processi sociali. Capire l’ambiente significa, in sintesi, collocarne tutte le forme di
manifestazione nel loro giusto contesto intellettuale, sociale e culturale,
come anche analizzarne ed esplorarne gli effetti considerando che sia il
singolo che la comunità sociale dovrebbero, con sempre maggiore veemenza, porsi con responsabilità e rispetto nei confronti di tutto il mondo
della natura e dei beni che ne fanno parte.
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Capitolo 1
Inquinamento: tipologie, sorgenti e proposte
per operare una sua riduzione
1.1 Cos’è l’inquinamento ambientale
Con il termine inquinamento si suole indicare un’alterazione dell’ambiente che può essere di origine naturale o antropica, cioè generata
dall’uomo. Esso determina la perturbazione degli equilibri di un ecosistema che si genera con l’introduzione nell’ambiente di sostanze in grado
di provocare pericoli effettivi o anche solo potenziali per la salute dell’uomo, oppure di minacciare l’esistenza di animali o piante. Se ci chiedessero che cos’è l’ambiente, la nostra prima risposta sarebbe “il verde che
ci circonda”, “la natura”, in realtà è un insieme di diversi fattori (esseri
viventi, caratteristiche ambientali, interventi umani,...) che permettono
la vita ed in esso, anche un piccolo cambiamento può causare gravi conseguenze. Più precisamente può produrre disagi temporanei, patologie o
danni permanenti per la vita in una data area e può porre una determinata zona in condizione di disequilibrio con i cicli naturali esistenti. La
questione dell’inquinamento ambientale è divenuta di grande interesse
fin dagli anni settanta del XX secolo e, nel corso degli ultimi decenni,
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il fenomeno si è attestato in continuo aumento in quanto alle forme
consuete se ne sono aggiunte di nuove quali l’inquinamento acustico,
quello termico e quello elettromagnetico. Proprio in riferimento a tale
ultimo aspetto, esempio tipico si può ritrovare nell’inquinamento da onde
elettromagnetiche che derivano dall’uso di strumenti elettronici e soprattutto dei cellulari. Alcuni recenti studi hanno difatti evidenziato l’ipotesi
che le onde elettromagnetiche emesse dai telefoni cellulari possono arrecare danni alla salute ed invero, anche se non è scientificamente accertata
una correlazione diretta tra l’uso del telefonino e la comparsa di malattie
pur tuttavia non si può neanche escluderlo con certezza assoluta. I medici
sconsigliano l’uso prolungato dei telefonini soprattutto a chi appare più
sensibile alle radiazioni elettromagnetiche e ciò in quanto è stato dimostrato che l’aumento di temperatura delle zone limitrofe all’orecchio, a seguito
di un uso continuato nel tempo del telefono cellulare, può causare una
diminuzione dell’udito. La presenza nell’ambiente di radiazioni elettromagnetiche, create artificialmente dall’uomo per soddisfare i propri bisogni,
costituisce quindi un problema di grande impatto sociale ed il cellulare è
oggi ormai di uso quotidiano pur restando una vera e propria sorgente di
campi elettromagnetici ovvero, campi invisibili all’occhio umano e formati
dalla combinazione di un campo elettrico ed uno magnetico che hanno la
capacità di influenzare le piccolissime correnti determinate da reazioni
chimiche che, a loro volta, sono parte delle normali funzioni fisiologiche
umane. Il riscaldamento appare, quindi, il principale effetto biologico dei
campi elettromagnetici a radiofrequenza che influiscono sulle nostre funzioni biologiche a seconda sia della tipologia dell’apparecchiatura che della
distanza tra l’uomo e la sorgente di radiazioni. Perciò da un lato, a seguito
del progressivo capitolo primo 26 sviluppo tecnologico, continuano ad aumentare le sorgenti di radiazioni non ionizzanti, dall’altro, nell’odierna era
tecnologica, siamo continuamente chiamati a confrontarci sul rapporto tra
i rischi per la salute e benefici sullo stile di vita. Gli scienziati di conseguenza si trovano dinanzi alla necessità di valutare l’eventuale rischio sanitario
a cui si sottopone la popolazione e pertanto occorrerebbe mantenere l’esposizione alle onde elettromagnetiche non ionizzanti al più basso livello di
rischio ragionevolmente raggiungibile compatibilmente con le tecnologie,
i costi e la tutela della salute. Infatti, di fronte a dati scientifici ancora in-
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certi ma comunque tali da non escludere effetti sulla salute, appaiono in
realtà legittimi e giustificati gli interventi di risanamento e, in particolare,
gli interventi preventivi atti a ridurre al minimo il carico elettromagnetico
nell’ambiente. In questo sistema l’uomo svolge quindi una funzione molto importante anche se spesso realizza interventi che rovinano in modo
irreparabile gli stessi ecosistemi. Viviamo in un’epoca affascinante e allo
stesso tempo temibile, affascinante perché mai come adesso il futuro del
pianeta Terra è nelle nostre mani e temibile perché la nostra generazione,
totalmente irrispettosa sotto il profilo etico delle proprie scelte, è la prima,
da quando la specie umana è comparsa sulla Terra, ad avere il potere di
distruggere in poco tempo tutto quello che proviene dal passato. Gli autentici sconvolgimenti che abbiamo prodotto e produciamo continuamente,
non possono che ritorcersi sulle nostre stesse capacità di sopravvivenza in
quanto conducono ad una generale diminuzione propensiva del pianeta di
far fronte ai nostri bisogni. Con le nostre attività in poco tempo danneggiamo ed ancor peggio distruggiamo ambienti naturali fondamentali per gli
equilibri del pianeta, consolidatosi invero in milioni di anni di evoluzione.
La protezione dell’ambiente è quindi una delle maggiori sfide del mondo
contemporaneo dato che ne interessa direttamente il futuro.
1.2 Inquinamento: rischi e precauzioni per la salute umana
Ad oggi l’impatto dell’attività dell’uomo è arrivato al limite della capacità di carico del “sistema ambiente” e, se lo dovessimo oltrepassare,
come conseguenza si determinerebbero devastanti trasformazioni sul pianeta Terra tali da influenzare irrevocabilmente la vita in tutte le sue forme. L’ambiente urbano è particolarmente importante per la salute umana stante le elevate attività antropiche inquinanti che si possono
concentrare in uno spazio così limitato, proprio negli agglomerati urbani
infatti la popolazione è esposta, insieme ad altri organismi animali e vegetali, a miscele di agenti fisici e chimici potenzialmente dannosi per la
salute. Volendo quindi dare una definizione di inquinamento atmosferico, lo si può considerare come la presenza nell’atmosfera di sostanze che
causano un effetto misurabile sull’essere umano, sugli animali, sulla vegetazione e su differenti materiali. Queste sostanze normalmente non sono
presenti nell’ordinaria composizione dell’aria oppure, laddove ciò avve-
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nisse, devono esserlo ad un livello di concentrazione molto basso. A prescindere dalla loro origine gli inquinanti possono essere distinti in primari e secondari, i primari sono gli inquinanti che vengono immessi
direttamente nell’ambiente in seguito al processo che li ha prodotti, i secondari invece sono quelle sostanze che si formano dagli inquinanti primari (sia antropogenici che naturali) a seguito di modificazioni di varia
natura, causate da reazioni che spesso coinvolgono anche l’ossigeno atmosferico e la luce. I principali inquinanti primari sono quelli emessi nel
corso dei processi di combustione di qualunque natura e sono identificabili nel monossido di carbonio, biossido di carbonio, ossidi di azoto
(principalmente sottoforma di monossido di azoto), polveri, idrocarburi
incombusti ed inoltre, nel caso in cui i combustibili contengano anche
zolfo, si avrà l’emissione di anidride solforosa. Ciò posto, dopo la loro
emissione in atmosfera, gli inquinanti primari sono soggetti a processi di
diffusione, trasporto e deposizione, subendo inoltre dei processi di trasformazione chimico-fisica che possono portare alla formazione degli inquinanti secondari, identificabili in nuove specie chimiche che spesso
risultano più tossiche e di più vasto raggio d’azione dei composti originari. Fra i processi di formazione degli inquinanti secondari particolare importanza è assunta dalla serie di reazioni che avvengono fra gli ossidi di
azoto e gli idrocarburi in presenza di luce solare ed invero, questa catena
di reazioni porta all’ossidazione del monossido di azoto (NO) in biossido
di azoto (NO2) ma anche alla produzione di ozono (O3) ed all’ossidazione degli idrocarburi a cui va aggiunta la formazione di aldeidi, di perossidi, di acidi nitriloperacetici (PAN), di acido nitrico, di nitrati e di nitroderivati in fase particellare, nonché di centinaia di altre specie chimiche
minori. L’insieme dei prodotti di queste reazioni viene definito smog
(nato dall’unione di due termini inglesi: smoke-fumo e fog-nebbia) fotochimico e rappresenta una delle forme di inquinamento più dannose per
l’ecosistema. L’uso del termine smog è dovuto alla forte riduzione della
visibilità determinata dalla formazione di un grande numero di particelle
di notevoli dimensioni che si genera nel corso degli episodi di inquinamento fotochimico ed invero, la dispersione dei contaminanti in atmosfera è provocata dai fenomeni di diffusione turbolenta e di trasporto
delle masse d’aria, ove la rimozione di detti inquinanti è determinata dai
28
vari processi di deposizione. Sia la dispersione che la rimozione sono a
loro volta strettamente dipendenti dai vari andamenti meteorologici che
regolano il comportamento delle masse d’aria nella troposfera (lo strato
più basso dell’atmosfera). In merito allo studio del comportamento degli
inquinanti primari è necessario non solo conoscere il profilo qualitativo,
quantitativo e temporale delle emissioni ma anche possedere delle informazioni sui processi meteorologici che interessano le aree soggette alla
presenza dei vari inquinanti. Anche se è l’inquinamento originato
dall’uomo quello che risulta più imputato nel peggioramento della qualità dell’aria, non bisogna tuttavia dimenticare l’importanza dell’inquinamento di origine naturale in quanto ci sono molte fonti di inquinanti
naturali che spesso possono assumere più rilevanza delle loro controparti
di origine antropogenica. Gli inquinanti naturali dell’aria sono di fatto
sempre stati parte della storia ed appaiono identificabili nelle polveri e
vari gas emessi dai vulcani, dagli incendi delle foreste e dalla decomposizione dei composti organici, essi entrano in atmosfera ad intervalli più o
meno regolari e, in qualche caso, a livelli che possono causare degli effetti drammatici a carico del clima. Ed invero, la maggior parte dei composti
gassosi dell’aria costituisce parte dei cicli naturali ed è per questo che gli
ecosistemi sono in grado di mantenere l’equilibrio tra le varie parti del
sistema anche se l’introduzione di grandi quantità di composti addizionali può compromettere, finanche definitivamente, i naturali cicli biochimici preesistenti perciò, dato che molto poco può essere fatto dall’uomo
nei riguardi dell’inquinamento naturale, la maggior preoccupazione deve
essere quella di ridurre le emissioni inquinanti prodotte dalle attività
umane. A discapito di ciò, nel corso della storia, l’uomo ha sempre utilizzato le risorse a propria disposizione in modo pressoché indiscriminato e
senza curarsi minimamente delle particolari ricadute ambientali che poteva avere la sua presenza nell’ambito dei vari cicli naturali tanto che, la
distruzione e l’inquinamento ambientale sono sempre andati di pari passo con l’evoluzione della cosiddetta civiltà. Va inoltre considerato che un
tempo la popolazione umana era molto meno numerosa e l’impatto ambientale risultava praticamente ininfluente almeno in ambito globale,
oggi invece, purtroppo, l’enorme incremento demografico e l’addensamento abitativo comporta un’azione inquinante a livello locale e mon-
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diale notevolmente più elevata, estremamente preoccupante e spesso
particolarmente nociva sia per l’uomo che per l’ambiente. L’inquinamento atmosferico maggiore è quello che l’uomo produce per soddisfare le
proprie necessità civili ed industriali, ma anche quello determinato dai
vari processi di combustione utilizzati per cuocere i cibi, per riscaldarsi,
per alimentare i veicoli a motore e i macchinari. Il tutto concorre a produrre inquinanti diffusi. L’uso di combustibili fossili per il riscaldamento
domestico e più in particolare di oli combustibili pesanti, di biomassa e
di carbone, è infatti una fonte significativa di inquinamento ambientale,
di particolati e di biossido di zolfo, specialmente nelle regioni temperate
e soprattutto in Cina e nell’Europa dell’Est. Anche il traffico contribuisce in gran parte alle emissioni di questi inquinanti specialmente nelle
città caratterizzate da una grande congestione veicolare e ciò a causa della
presenza di una sterminata serie di autoveicoli che utilizzano benzine ad
alto tenore di zolfo (soprattutto in Asia) mentre, nelle città dove invece
viene ancora utilizzata la benzina col piombo, il traffico può contribuire
per l’80-90% alla concentrazione atmosferica di questo inquinante. Per
quanto riguarda gli altri principali inquinanti è ancora da sottolineare
che nell’emissione di ozono e di composti organici volatili le sorgenti
antropogeniche hanno un ruolo fondamentale tanto quanto quelle naturali difatti, le combustioni in genere rappresentano la causa principale
delle emissioni di ossido di azoto ed i motori dei mezzi di trasporto figurano tipicamente quale causa principale delle emissioni di monossido di
carbonio. Oltre alle sostanze che vengono prodotte a seguito dei vari processi di combustione, sono da segnalare anche tutti quegli inquinanti
generati nel corso di particolari cicli tecnologici ma liberati in quantità
notevolmente inferiori e che per questo risultano poco rilevanti come
impatto globale a livello planetario ma, in ogni caso, sono spesso dotati
di elevata tossicità e la loro presenza diventa particolarmente importante
a livello locale. In materia, la strategia di approccio è chiaramente diversa
difatti gli specifici inquinanti di origine industriale sono da ricercare non
dopo la loro diffusione nell’ambiente (immissioni atmosferiche), ma al
momento del loro rilascio (emissioni atmosferiche). L’impatto degli inquinanti sull’uomo dipende dalla zona di produzione degli stessi e dalla
loro dispersione; le grandi sorgenti fisse, spesso localizzate lontano dai
30
più grandi centri abitati, disperdono nell’aria a grandi altezze mentre, il
riscaldamento domestico ed il traffico producono inquinanti che si liberano a livello del suolo in aree densamente abitate. Come conseguenza di
tale distinzione, le sorgenti mobili e quelle fisse di piccole dimensioni
contribuiscono in modo maggiore all’inquinamento dell’aria nelle aree
urbane e quindi attentano alla salute pubblica molto di più di quanto si
potrebbe supporre facendo un semplice confronto quantitativo fra i vari
tipi di emissioni. L’inquinamento atmosferico comporta, quindi, numerose conseguenze anche a carico della salute, soprattutto nei casi in cui si
verifichi un brusco innalzamento delle concentrazioni dei comuni contaminanti dell’aria (inquinamento acuto) e, in questi casi, l’aumentata
esposizione a vari irritanti atmosferici provoca la riduzione della funzionalità polmonare, l’aumento delle malattie respiratorie nei bambini, gli
attacchi acuti di bronchite e l’aggravamento dei quadri di asma con inoltre un conseguente forte incremento nel numero dei decessi fra le persone più sensibili a determinati inquinanti, quali gli anziani o le persone
affette da malattie respiratorie e cardiovascolari. Famosi sono alcuni casi
che si verificarono il secolo scorso tra i quali ad esempio a Londra (Inghilterra) dove, fra il 5 ed il 9 dicembre 1952, morirono più di 4000 persone
già sofferenti di malattie polmonari a causa di una densa coltre di smog
che ristagnava in città. L’effetto dell’inquinamento a bassi livelli e per
lungo tempo risulta invece più subdolo e difficile da individuare, si presume che provochi a breve termine disagio, irritazione, tossicità specifica,
affezioni respiratorie acute e, in rari casi, mortalità, soprattutto fra gli
anziani affetti da patologie croniche cardiovascolari o respiratorie mentre, a lungo termine, gli effetti non sono ancora completamente chiari
anche se si ritiene che fra le varie conseguenze vi sia la comparsa di malattie polmonari croniche specifiche (come la bronchite cronica, l’asma e
l’enfisema), la formazione di varie neoplasie maligne (cancro polmonare,
leucemie) ed un aumento della mortalità per malattie cardiovascolari e
respiratorie. La necessità di limitare la presenza delle sostanze inquinanti
nell’aria comporta, spesso, l’utilizzo di svariati sistemi di abbattimento
che si sono rivelati pressoché indispensabili nell’ambito delle attività industriali che producono inquinanti aerodispersi in grandi quantità. A
seconda della loro funzione, le tecnologie di abbattimento degli inquinan-
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ti presenti nelle emissioni industriali si suddividono in tre grandi categorie e più nello specifico, nel caso in cui all’inquinante sia associato un valore economico rilevante si avvierà un processo che permette il suo
recupero e l’eventuale riciclo come l’adsorbimento oppure la condensazione. Se gli inquinanti presenti nelle emissioni sono caratterizzati da un
buon potere calorifico e non è molto conveniente dal punto di vista economico un loro recupero per riutilizzarli nel ciclo produttivo, si procede
invece all’incenerimento con il recupero della loro energia sotto forma
termica. Infine, nella terza ipotesi, se i processi industriali comportano la
liberazione di emissioni gassose ricche di particolato si deve invece procedere all’abbattimento degli inquinanti mediante l’utilizzo di particolari
sistemi quali le camere a deposizione, i separatori ad umido, i precipitatori elettrostatici o i filtri tessili. Per cercare di dirimere la questione, nel
corso degli ultimi anni, proprio sulla base di questi grandi sistemi di abbattimento sono stati realizzati molti dispositivi fissi o portatili allo scopo
di purificare l’aria negli ambienti confinati lavorativi o abitativi di piccole
dimensioni per riuscire, almeno in parte, ad arginare l’inesorabile processo d’inquinamento che ci coinvolge quotidianamente.
1.3 L’inquinamento ambientale: aumento delle malattie respiratorie, smaltimento dei rifiuti e relative conseguenze
Il grave problema dell’inquinamento è riconducibile a tre principali
cause: l’aumento della popolazione, il grande sviluppo delle città e l’utilizzo di tecnologie poco compatibili con l’ambiente. Il culmine dell’inquinamento si è avuto a partire dalla prima rivoluzione industriale durante
la quale sono stati violentemente alterati tutti gli equilibri naturali quando i cieli dell’Inghilterra prima e quelli di tutta l’Europa poi, iniziarono
a diventare sempre più neri coperti da una scura nube che si elevava al
di sopra delle fabbriche provocando un’aria malsana. Da quel momento
le conseguenze per la salute umana furono sempre più gravi ed in Italia,
secondo quanto rilevato nel 2008, prime fra tutte si collocano le malattie respiratorie che nel tempo hanno subito un aumento inarrestabile,
traducendosi, soprattutto in zone a forte rischio ambientale, in patologie
tumorali ai polmoni. Pertanto, ho ritenuto opportuno esprimermi a favore di una normativa che ponga l’attenzione sugli aumenti sensibili delle
32
patologie tumorali ai polmoni che sono state riscontrate negli ultimi decenni e mi preme aggiungere che le statistiche indicano, solo nello scorso
anno in Italia, 4 milioni di casi di Broncopneumopatia cronica ostruttiva,
malattia estremamente pericolosa e mortale. Secondo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’inquinamento atmosferico ha concreta responsabilità nell’aumento di questo tipo di patologie ed inoltre, secondo
un’indagine realizzata dall’Observa Science in Society e pubblicata da Il
Mulino, anche molti italiani (33,1 % del campione intervistato) sono seriamente preoccupati per la scarsa salubrità dell’aria. Diversi studi hanno
posto l’attenzione anche sulle emissioni di biossido di azoto e di polveri
sottili PM10 derivanti dalle attività industriali e dall’inquinamento, in
particolare a Palermo (Italia) una ricerca ha evidenziato nell’aria la massiccia presenza di metalli pesanti ed Ipa (Idrocarburi Policiclici Aromatici). Situazione ancora più grave a Messina (Italia), dove si sono registrati
picchi d’inquinamento PM10 nella zona centro-nord della città, con una
concentrazione media annuale (37) appena inferiore al tetto massimo
di 40 microgrammi per metro cubo e dove il valore di concentrazione
media annua dell’ossido di azoto è quasi doppio rispetto al limite di legge. Per non parlare di Milazzo (Italia) e della cosiddetta Valle del Mela
(Italia) dove, benché si parli di una situazione sotto controllo, permane
l’incertezza sui valori raggiunti da numerosi fattori inquinanti. Quelli
appena esposti sono solo alcuni esempi di una situazione che si trascina fiaccamente e per la quale occorre predisporre, attraverso controlli
affidati ad organismi competenti ed incondizionati, un intervento delle
autorità regionali e territoriali ma soprattutto dell’intera classe politica
che deve prendere atto di questa drammatica situazione introducendo
nuove norme ed appositi programmi di verifica che consentano il contenimento del fenomeno. Chi produce inquinamento uccide lentamente
ed in modo subdolo la collettività e quindi, rimanere immobili, equivale
a concorrere. A mio parere, inoltre, la prevenzione è l’unico strumento
di tutela in grado di soddisfare le esigenze della salute con anche la riduzione dei costi diretti ed indiretti a carico del sistema sanitario nazionale.
Non da ultimo anche il progresso tecnologico ha causato molteplici rischi
all’ecosistema e a tal proposito riporto testualmente un mio intervento
di qualche anno fa, proprio in merito alle cosiddette malattie ambientali:
33
“Anche in Italia sono in aumento i casi di patologie ambientali prodotte dall’inquinamento chimico ed elettromagnetico; il 5% della popolazione soffre di elettrosensibilità, cioè reagisce con mal di testa, nausea, insonnia, reazioni cutanee e
altri sintomi ai campi elettromagnetici emessi da cellulari, Wi-Fi e linee elettriche
inoltre, ben il 10% della popolazione è ipersensibile alle sostanze chimiche che
si trovano nei prodotti d’uso comune, come profumi, detersivi, plastiche, tessuti
sintetici e additivi alimentari, con alcuni casi più gravi di Sensibilità Chimica
Multipla, detta anche MCS. Si tratta di una condizione invalidante definita
anche “AIDS chimica” che comporta reazioni gravissime a sostanze chimiche
diverse, anche in minime tracce ed obbliga il malato ad evitare tutte le esposizioni
chimiche per contenere i sintomi. Come già denunciato dall’Associazione Malattie da Intossicazione Cronica e/o Ambientale (A.M.I.C.A.), le Istituzioni hanno
abbandonato questi malati. Bisogna, quindi, intervenire”.
In questi ultimi due secoli, nei Paesi più ricchi e sviluppati, proprio
il progresso ha influito pesantemente sull’ambiente procurando conseguenze anche drammatiche per la stessa sopravvivenza dell’uomo. Si è
infatti passati ad un mondo costituito più di cemento che di verde e
soprattutto a stili di vita caratterizzati da esigenze, sia individuali che comuni, sempre più elevate.
Tutta una serie di problemi inerenti alla sovrappopolazione, al progresso tecnologico, all’accumulo dei rifiuti, all’impoverimento delle materie
prime hanno, nel tempo, profondamente modificato l’ambiente naturale
trasformandolo tanto da renderlo sempre meno adatto all’instaurarsi di
condizioni di vita ottimali per gli organismi viventi. Proprio la massa di
rifiuti solidi prodotti dalle città e dalle industrie costituisce una delle più
gravi cause dell’inquinamento del suolo e i rifiuti, in una società come la
nostra che produce quantità enormi di spazzatura (appunto il concetto di
una società “usa e getta”), diventano un reale problema.
Per meglio capire le conseguenze generate dalla mole di rifiuti prodotti, se ne devono definire le caratteristiche principali suddividendoli quindi in biodegradabili (materiale organico), non biodegradabili (plastica,
vetro, metallo, etc.), agricoli (gli scarti utilizzati in agricoltura), industriali
contenenti materiali speciali e tossici (usati nelle fabbriche) che sono generalmente costituiti da scarti alimentari, carta, materie plastiche, bottiglie di vetro, etc.
34
Per evitare o ridurre al minimo l’inquinamento legato alla produzione
di tale tipologia di rifiuti, è necessario utilizzare tecniche di trattamento
in grado di operare la loro valorizzazione attraverso il recupero, ed il successivo riciclo, di materiali quali ad esempio la carta, il vetro, la plastica,
l’alluminio e le frazioni organiche, che opportunamente trattate possono
contribuire alla produzione di compost di qualità. L’avvio in discarica,
anche in base alle recenti disposizioni comunitarie, deve essere quindi
considerato, insieme al trattamento termico, come l’ultima soluzione per
mettere a dimora e/o recuperare energeticamente le frazioni di scarto finali dei processi di trattamento. Ad oggi la nostra è considerata la società
dell’“usa e getta” ed infatti la maggior parte dei materiali viene scartata
al primo uso quando invece potrebbe essere riutilizzata con conseguente
gran risparmio di energia e materie prime.
Non è un caso, d’altra parte, che i rifiuti siano ormai da anni al centro
di tematiche politico-ambientali a livello nazionale ed internazionale e
che anche i diversi programmi europei d’azione per l’ambiente li abbiano
fortemente attenzionati.
Proprio per evitare il verificarsi di danni all’uomo e all’ambiente derivanti dalla cattiva gestione dei rifiuti, la Comunità Europea ha negli
anni promosso ed integrato tutta una serie di normative di settore con
l’intento di garantire maggior tutela ad un comparto, quale la politica
ambientale, ancora molto arretrato soprattutto in Italia ove non si riesce
ancora a trovare una soluzione definitiva, forse per insufficiente attrattiva
politica, o a seguito di scelte interessate a perseguire strade più veloci e
imprenditoriali (come, ad esempio, quella della termovalorizzazione).
La loro ininterrotta produzione è il primo problema che dovrebbe
essere affrontato concretamente in fase di programmazione, difatti, dagli
anni ‘90 ai primi anni del nuovo secolo, la produzione dei rifiuti ha continuato a crescere parallelamente all’aumento della ricchezza e dei sempre più elevati standard di vita dei paesi occidentali. Secondo il Rapporto
Rifiuti ISPRA, il 2008 è stato il primo anno di arresto dell’aumento della
produzione di rifiuti in Italia dal 1996, evento dovuto a diversi fattori fra
cui sicuramente la crisi economica che ha fatto registrare una riduzione
dell’1% della spesa delle famiglie. Tuttavia, oggi una nuova minaccia incombe sul mondo dei rifiuti ed è il boom del consumo di prodotti e gad-
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get tecnologici, il cui continuo ricambio genera montagne di rifiuti elettronici difficili da riciclare e ad alto contenuto tossico. Proprio a tal
proposito, riporto quanto da me espresso circa “il business dello smaltimento rifiuti e termovalorizzatori quale improprio strumento di morte”, facendo
particolare riferimento all’operazione condotta dal Nucleo Operativo
Ecologico dei Carabinieri di Colleferro (Italia), dalla quale sono scaturiti
13 ordini di custodia cautelare per fatti che riguardano la combustione di
rifiuti tossici all’interno del termovalorizzatore della predetta città e nello
specifico: “Fatti di questa gravità non ci trovano impreparati. Si colga l’occasione per un’approfondita riflessione che investa l’opinione pubblica e, in particolare, tutti coloro che vedono nei termovalorizzatori la panacea per tutte le emergenze del settore. Occorre prestare la massima attenzione per evitare casi di questo
tenore. A conclusione dell’attività inquirente e giudiziaria, la gestione cinica ed
affarista di Colleferro rappresenterà un vero monito per tutti. In casi come questo,
per via delle probabili massicce dosi di diossina sprigionate, oltre a peggiorarne le
condizioni ambientali, si registreranno gravi patologie tumorali. Il business dei
rifiuti non nutre alcuna remora e segnala un affinamento della metodologia criminale infatti, i rifiuti pericolosi dopo essere stati trattati, avrebbero trovato nuova
commercializzazione come cdr. Un plauso va al Noe di Roma. Adesso attendiamo
una risposta severa dalla magistratura e nessuno sconto per criminali interessati
solo alla finalizzazione di attività illecite, assolutamente insensibili ai danni arrecati all’ignara popolazione”. Altra fonte di degenerazione è ulteriormente
rilevabile nel come le condizioni meteorologiche possono influenzare
l’inquinamento atmosferico ad esempio quando, secondo il fenomeno
dell’inversione termica, nell’aria alla presenza di vento forte vengono immesse sostanze inquinanti che incontrandosi con i gas di scarico salgono
ad alta quota, quando invece il vento è debole, i gas di scarico restano
sopra la città e si accumulano nei bassi strati. In conseguenza di ciò si
determinano vari fenomeni tra i quali le piogge acide che, contenenti
proprio l’acido proveniente da questo tipo di inquinamento, pur apparendo neutre in realtà provocano seri danni. Nello specifico se l’acido
emanato dai tubi di scappamento sale fino al cielo velocemente, la pioggia diviene dannosa per animali e piante riuscendo addirittura a corrodere il marmo, il cemento e la pietra, rovinando o a volte distruggendo
monumenti, edifici, statue e molto altro. Al problema dell’inquinamento
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atmosferico se ne affiancano però altri di eguale se non di più grave entità come l’effetto serra e il buco dell’ozono, quest’ultimo è un gas presente
nell’atmosfera che si forma durante le piogge o i temporali e gioca un
ruolo importante con i raggi ultravioletti del sole imprigionandoli e, in
assenza di tale filtro, le radiazioni solari potrebbero giungere sulla superficie terrestre provocando danni anche irreparabili. Purtroppo da alcuni
anni a questa parte l’ozono presente nella stratosfera sta diminuendo in
modo preoccupante. Analizzato l’inquinamento atmosferico non va tenuto in minore considerazione quello del suolo che, pur tuttavia, non
può essere considerato come fenomeno autonomo ma in stretta correlazione con quello dell’acqua, in quanto molto spesso provocato dallo scarico di liquami o perché può produrre per contaminazione l’inquinamento della falda acquifera sotterranea. Un’altra piaga che genera
intossicazione ed inquinamento si può quindi riscontrare nei pesticidi,
soprattutto nel DDT comunemente usato in agricoltura e nella diossina
tra i diserbanti che, con una ben minima dose, riesce a contaminare ogni
cosa. Una stretta conseguenza dell’inquinamento del suolo e non solo, si
determina nel disboscamento, a causa del quale, a seguito dell’eliminazione delle piante verdi che aiutano a mantenere stabile la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera attraverso la fotosintesi clorofilliana, genera effetti negativi e devastanti e comprendono la
desertificazione nei territori secchi, l’erosione, le frane e gli smottamenti
nei territori piovosi e collinari, l’inquinamento degli ecosistemi acquatici
(a causa del dilavamento delle acque), la sottrazione di risorse per le popolazioni indigene ma anche, in concomitanza all’utilizzo di combustibili fossili, un aumento di CO2 nell’atmosfera, rientrando così nei danni
derivanti dall’effetto serra e dal riscaldamento globale. É sempre più
noto, inoltre, come l’inquinamento ambientale danneggi anche e soprattutto la salute umana e come l’indice di tale rapporto sia dato dalla correlazione tra lo smog che viene continuamente respirato e i tassi di mortalità, soprattutto sui casi di leucemia registrati. Alcune indagini condotte
negli Stati Uniti hanno dimostrato infatti come la mortalità globale sia
aumentata dello 0,6 per cento e che i ricoveri degli anziani per malattie
polmonari siano saliti dell’ 1,5 per cento. Occorre ricordare che l’interesse concreto dei governi in tema di inquinamento ha avuto origine nel
37
1972 quando i rappresentanti di 113 Paesi si sono riuniti a Stoccolma per
la prima conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente con l’intento di
esaminare le conseguenze che sarebbero potute derivare da un incontrollato inquinamento ambientale. Tale conferenza è apparsa da subito di
grande rilevanza in quanto ha messo a confronto la situazione degli Stati
più industrializzati con quella degli Stati poveri e si è arrivati così alla
conclusione che una crescita economica tanto rapida e basata sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali non rinnovabili non può
che portare, in tempi brevi, al loro rapido esaurimento ma anche che il
depauperamento delle risorse apparentemente rinnovabili, come ad
esempio lo sfruttamento sconsiderato del suolo coltivato senza tenere
conto delle capacità e dei tempi di rigenerazione, può condurre ad una
diminuzione della fertilità del terreno favorendo un aumento della desertificazione. A seguito di ciò, nel 1987, fu introdotto il concetto di sviluppo sostenibile, incentrato sulla possibilità di produrre un miglioramento
che possa soddisfare i bisogni delle attuali generazioni senza togliere a
quelle future i mezzi per appagare i loro bisogni, garantendo così un equilibrio tra lo sviluppo tecnologico ed economico e la salvaguardia dell’ambiente. Infine, nel 1992, la conferenza di Rio ha decretato la protezione
delle foreste ed ha sottoscritto impegni di politica ambientale. Il problema sembra di difficile soluzione ma la consapevolezza che le risorse del
nostro pianeta non sono illimitate e che nel nostro piccolo possiamo fare
qualcosa per inquinare meno è già un passo avanti. Per attuare ciò è indispensabile un profondo cambiamento della nostra mentalità di uomini
delle società industrializzate; infatti, conservare la natura vuol dire anche
e soprattutto prevedere il futuro agendo sul presente ed utilizzando al
meglio la risorsa più promettente per il nostro difficile domani, il cervello. Data l’importanza dell’argomento e la necessità di trovare un’urgente
soluzione al problema inquinamento, ho ritenuto opportuno, nella precedente Legislatura in data 14 novembre 2008, presentare una proposta
di legge, che riporto integralmente, per l’adozione di norme a salvaguardia della salute pubblica dai rischi dell’inquinamento nelle zone interessate da impianti, anche provvisori, per il deposito, il trattamento o lo
smaltimento di rifiuti urbani e industriali:
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1
Delega al Governo per l’adozione di norme a salvaguardia della salute
pubblica dai rischi di inquinamento nelle zone interessate da impianti,
anche provvisori, per il deposito, il trattamento o lo smaltimento di rifiuti
urbani e industriali
Presentata il 14 novembre 2008
Onorevoli Colleghi ! — Lo stato di crisi e
di emergenza nei settori dalla gestione, del trattamento e dello smaltimento dei rifiuti, che
si registra ormai da molti mesi nella regione
Campania, rischia di estendersi in tempi brevi
ad altre regioni del Paese con conseguenti presumibili rischi per la salute dei cittadini.
Tutto ciò contribuisce ad alimentare,
inoltre, la sostanziale diffidenza e la sfiducia dei cittadini, che sfociano spesso in
forme di protesta anche radicale verso i sistemi di controllo e di sicurezza ambientali,
che dovrebbero invece essere garantiti al
fine di tutelare al meglio la salute pubblica.
Non è più possibile sottovalutare il problema della salvaguardia del diritto alla salute dei
cittadini da eventuali danni arrecati dall’inqui-
namento delle acque, del suolo e dell’aria.
Già nella passata legislatura si era tentato di dare un assetto più organico alla
legislazione vigente, in linea con quanto stanno facendo gli altri Paesi membri
dell’Unione europea in materia di sicurezza
ambientale e in ossequio anche al riconoscimento dell’esclusività della potestà legislativa statale sulla tutela del paesaggio da
parte della Corte Costituzionale.
La presente proposta di legge, pertanto, prevede una delega al Governo finalizzata alla tutela della salute pubblica nei
luoghi ove insistono o sono presenti impianti, anche provvisori, per il deposito, il
trattamento o lo smaltimento dei rifiuti, affinché la brutta vicenda che ha macchiato
2
l’immagine del nostro Paese all’estero con
l’« emergenza rifiuti in Campania » non abbia più a ripetersi.
La problematica esposta ha un’importanza costituzionale, come indicato nell’articolo 32, primo comma, della Costituzione,
che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo e della collettività.
Per tale motivo è stata prevista una delega al Governo per l’adozione di nuove norme finalizzate alla salvaguardia della salute
pubblica, in particolare nelle zone del territorio nazionale ove sorgono impianti, anche
provvisori, per il deposito, il trattamento e
lo smaltimento di rifiuti urbani e industriali.
L’articolo 1, comma 1, conferisce la delega al Governo ad adottare, entro diciotto
mesi dalla data di entrata in vigore della
legge, un decreto legislativo concernente la
salvaguardia della salute pubblica dai rischi
di inquinamento ambientale, e in particolare delle falde idriche e dell’aria, nelle
zone ove insistono, o sono in via di realizzazione, impianti, anche provvisori, per il deposito, il trattamento o lo smaltimento di
rifiuti urbani e industriali. Entro due anni
dalla data di entrata in vigore del decreto
legislativo, nel rispetto dei princìpi e criteri
direttivi stabiliti dal comma 3, il Governo
può emanare disposizioni integrative o correttive del medesimo decreto legislativo.
Nell’esercizio della delega il Governo si
attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi,
con particolare riferimento agli impianti di selezione e di trattamento di termovalorizzatori
dei rifiuti dei siti adibiti a discariche, nonché
agli impianti per il deposito temporaneo, attivi o da attivare, al fine di assicurare:
- N. 1909
a) la realizzazione di un sistema di monitoraggio permanente delle acque di falda
delle aree interessate e comunque delle
acque potabili dei comuni ubicati, in tali
aree, assicurando la conoscenza dei relativi
dati da parte delle popolazioni coinvolte;
b) la realizzazione di una rete di rilevamento dei gas maleodoranti (NH3- Ammoniaca; H2S-Acido Solforico; Mercaptani;
VOCs-Composti organici volatili) e di un
sistema di allarme e di gestione degli impianti, al fine di consentire, ove necessario,
il blocco di tali impianti qualora siano superate le soglie di molestia olfattiva previste
dalla normativa comunitaria, assicurando,
altresì, la conoscenza dei dati rilevati da
parte delle popolazioni coinvolte;
c) la realizzazione di una rete di rilevamento della qualità dell’aria in grado di
monitorare gli inquinanti convenzionali e
i microinquinanti, in modo di valutare le
eventuali perturbazioni della qualità dell’aria da essi provocata, al fine di adottare, ove
necessario, adeguati provvedimenti a tutela
della salute pubblica;
d) la realizzazione di termovalorizzatori alimentati con combustibile derivato da
rifiuto (CDR) aventi caratteristiche chimico-fisiche conformi ai requisiti stabiliti dalla normativa di settore;
e) che i fattori di emissione degli inquinanti convenzionali (SO2-Anidride solforosa; NOx-Collettività di ossidi di azoto;
HCL-Acido cloridrico; CO-Monossido
di carbonio e altri) e dei microinquinanti
3
(diossine; IPA-idrocarburi policiclici aromatici; PM; metalli pesanti) dei termovalorizzatori realizzati ai sensi della lettera d) siano inferiori, rispettivamente, ad almeno un
ordine e due ordini di grandezza dei valori
limite e stabiliti dalla legge, al fine di mitigare gli impatti ambientali degli impianti
e i rischi associati per i cittadini residenti
nell’area interessata;
- N. 1909
levamento di cui alle lettere a), b) e c), e le
azioni di controllo sulla salute pubblica e
sull’ambiente siano estesi a tutte le regioni,
e, in via prioritaria, a quelle interessate dalla presenza di impianti destinati al deposito
e al trattamento dei rifiuti urbani e industriali. L’articolo 2 reca la cosiddetta « clausola di invarianza » della spesa. L’articolo 3
prevede che la legge entri in vigore il giorno
successivo a quello della sua pubblicazione
f) che i sistemi di monitoraggio e di ri- nella Gazzetta Ufficiale.
4
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Delega al Governo).
1. Il Governo è delegato ad adottare,
entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela
del territorio e del mare e di concerto con
il Ministro del lavoro, della salute e delle
politiche sociali, un decreto legislativo recante norme per la salvaguardia della salute
pubblica dai rischi di inquinamento ambientale, e in particolare delle falde idriche
e dell’aria, nelle zone ove insistono, o sono
in via di realizzazione, impianti, anche provvisori, per il deposito, il trattamento o lo
smaltimento di rifiuti urbani e industriali.
2. Almeno due mesi prima della scadenza del termine di cui al comma 1, il
Governo trasmette alle Camere lo schema
del decreto legislativo di cui al medesimo
comma 1 per l’espressione del parere da
parte delle competenti Commissioni parlamentari.
Ciascuna Commissione parlamentare
esprime il proprio parere entro un mese
dalla data di assegnazione dello schema del
decreto legislativo. Decorso inutilmente
tale termine, il decreto legislativo può comunque essere emanato.
3. Nell’esercizio della delega di cui al
comma 1, per gli impianti di cui al medesimo comma 1, con particolare riferimento
agli impianti di selezione e di trattamento
di termovalorizzazione dei rifiuti e ai siti
- N. 1909
adibiti a discariche, nonché agli impianti
per il deposito temporaneo, attivi o da attivare, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi al fine di assicurare:
a) la realizzazione di un sistema di monitoraggio permanente delle acque di falda
delle aree interessate e comunque delle
acque potabili dei comuni ubicati, in tali
aree, assicurando la conoscenza dei relativi
dati da parte delle popolazioni coinvolte;
b) la realizzazione di una rete di rilevamento dei gas maleodoranti (NH3-Ammoniaca; H2S-Acido Solforico; Mercaptani;
VOCs-Composti organici volatili) e di un
sistema di allarme e di gestione degli impianti, al fine di consentire, ove necessario,
il blocco di tali impianti qualora siano superate le soglie di molestia olfattiva previste
dalla normativa comunitaria, assicurando,
altresì, la conoscenza dei dati rilevati da
parte delle popolazioni coinvolte;
c) la realizzazione di una rete di rilevamento della qualità dell’aria in grado di
monitorare gli inquinanti convenzionali e
i microinquinanti, in modo di valutare le
eventuali perturbazioni della qualità dell’aria da essi provocata, al fine di adottare, ove
necessario, adeguati provvedimenti a tutela
della salute pubblica;
d) la realizzazione di termovalorizzatori alimentati con combustibile derivato da
rifiuto (CDR) aventi caratteristiche chimico-fisiche conformi ai requisiti stabiliti dalla normativa di settore;
5
e) che i fattori di emissione degli inquinanti convenzionali (SO2-Anidride solforosa; NOx-Collettività di ossidi di azoto;
HCL-Acido cloridrico; CO-Monossido di
carbonio) e dei microinquinanti (diossine;
IPA-idrocarburi policiclici aromatici; PM;
metalli pesanti) dei termovalorizzatori realizzati ai sensi della lettera d) siano inferiori, rispettivamente, ad almeno un ordine
e due ordini di grandezza dei valori limite
stabiliti dalla legge, al fine di mitigare gli
impatti ambientali degli impianti e i rischi
associati per i cittadini residenti nell’area
interessata;
- N. 1909
4. Entro due anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al
comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri
direttivi stabiliti dal comma 3 e con la procedura prevista dai commi 1 e 2, il Governo può adottare disposizioni integrative o
correttive del medesimo decreto legislativo.
Art. 2.
(Clausola di invarianza finanziaria).
1. Dall’attuazione della presente legge
non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
f) che i sistemi di monitoraggio e di rilevamento di cui alle lettere a), b) e c), e le azioni
Art. 3.
di controllo sulla salute pubblica e sull’am(Entrata in vigore).
biente siano estesi a tutte le regioni, e, in via
prioritaria, a quelle interessate dalla presenza
1. La presente legge entra in vigore il
di impianti destinati al deposito e al tratta- giorno successivo a quello della sua pubblimento dei rifiuti urbani e industriali.
cazione nella Gazzetta Ufficiale.
Proposta di Legge n. 1909, presentata dal Sen. Domenico Scilipoti alla Camera dei Deputati il 14
novembre 2008 e ripresentata al Senato della Repubblica il 3.4.2013, N° 368
1.4 L’acqua: bene prezioso che va tutelato
Fra tutte le risorse naturali l’acqua è la più importante, è fonte di vita.
È un tema che ho particolarmente a cuore, infatti, durante la mia attività di parlamentare alla Camera dei Deputati sono stato relatore nella
VII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, di una Petizione Popolare la n.2 per “I princìpi per la tutela, il governo e la gestione
pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio
idrico”. Mi sono fatto portavoce di questa battaglia, scrivendo e chiedendo sostegno anche al Presidente degli Stati Uniti Barak Obama e al Santo
Padre Benedetto XVI nell’anno 2010, perché sentivo e sento prepotente
in me il bisogno di difendere un diritto inviolabile di ogni singolo cittadino, perché una battaglia per un diritto inviolabile come quello dell’acqua
pubblica non deve rimanere inascoltato e la voce in difesa di esso deve
essere univoca. Le cronache recenti, hanno dimostrato come una gestione privata dei servizi idrici (che oltretutto tradisce la volontà popolare
espressa chiaramente nel Referendum del 2011) può portare disservizi e
far correre il rischio che ancora oggi, nel 2015, in una città come Messina, i cittadini debbano vivere senz’acqua per decine di giorni.
L’acqua costituisce un bene comune per tutta l’umanità e, fin dall’antichità, è stata considerata una risorsa fondamentale, indispensabile ed
44
insostituibile per la vita della specie umana e di tutti gli organismi viventi. Per meglio chiarire basta tenere in considerazione che l’acqua sulla
Terra copre ben il 70,8% del pianeta ed è il principale costituente del
corpo umano, in tale quadro, quindi, non si può non notare come le
risorse idriche sono essenziali per la vita di tutti gli ecosistemi marini e
terrestri e, per tale motivo, il loro uso deve essere governato e gestito in
modo consapevole e rigoroso al fine di preservarle e garantirle anche a
beneficio delle future generazioni.
L’acqua, importante strumento di purificazione secondo la religione
cristiana che attraverso il battesimo le dà forza rigeneratrice operando
una vera e propria rinascita dell’uomo ma che, purtroppo, è costantemente sotto controllo ed attenzione a causa della gravissima crisi idrica
che la Terra si trova a dover affrontare negli ultimi anni. L’acqua: bene
prezioso. La quantità totale di acqua sulla Terra è di circa 1,4 miliardi
di chilometri cubi e di questa la massa di acqua dolce è solo di circa 36
milioni di chilometri cubi: pari al 2,6% del totale ed è rinnovabile di
norma, esclusivamente attraverso le precipitazioni.
Ad oggi, tutte le fonti d’acqua sono messe a dura prova soprattutto sia
se si considera che il consumo umano fattibile, senza andare ad intaccare
le scarse riserve idriche, è definito limitatamente ai trentaquattromila
chilometri cubi di pioggia che costituiscono il deflusso annuo che ritorna
al mare per mezzo dei fiumi e dell’acqua del sottosuolo, sia per il forte
tasso di inquinamento.
Relativamente a questo secondo fattore, non posso non soffermarmi
sul reale rischio che proprio l’acqua contaminata che arriva nelle nostre
abitazioni e che viene da noi utilizzata per le quotidiane necessità (cucina, igiene personale) possa essere, se male controllata, causa di trasmissione di batteri, virus e altri micro organismi dannosi per la nostra salute.
In riferimento, invece, al primo fattore da me sopra elencato, va ricordato che tra i vari motivi scatenanti la deflazione di un bene di così
primaria importanza, primo fra tutti può essere considerato l’aumento
spropositato della popolazione mondiale con un conseguente moltiplicarsi della domanda di acqua dolce e ciò pur a fronte di una limitatezza
delle precipitazioni continentali e quindi del ricircolo della stessa, a cui
va inoltre aggiunto il fenomeno dell’urbanizzazione forzata ed un sempre
45
maggior numero di persone che si è trasferito nelle città, con un conseguente spropositato aumento del consumo di acqua pro capite.
A tale visione è seguita la difficoltà di garantire adeguati servizi di igiene
sanitaria ed una generalizzata contaminazione delle sorgenti d’acqua ad
opera dei grandi agglomerati urbani ed ancor di più degli inquinamenti
diretti provocati dall’attività industriale e dall’agricoltura intensiva che usa
concentrazioni fortemente elevate di pesticidi, fertilizzanti ed erbicidi. In
particolare, nelle ricche nazioni industrializzate, la tecnologia e i servizi igienici hanno consentito un utilizzo dell’acqua superiore alle reali necessità,
determinandone così un consumo spropositato ed eccessivo.
Il consumo globale di acqua, difatti, raddoppia ogni vent’anni!
Secondo le Nazioni Unite attualmente nel mondo ci sono trentuno
Paesi che stanno affrontando una crisi idrica per la grande scarsità di
acqua, un miliardo e trecento milioni di persone non hanno accesso
all’acqua potabile e più di tre miliardi sono privi di servizi fognari e di
smaltimento rifiuti e, queste cifre, purtroppo, sono destinate nei prossimi decenni a moltiplicarsi tanto che si prevede, in mancanza di cambiamenti radicali, che nel 2025 la domanda generale di acqua supererà del
56% la sua disponibilità. La drammaticità della situazione è illuminata
da segnali sempre più numerosi che rappresentano come il problema va
facendosi costantemente più serio e che la situazione peggiorerà ancora,
se non verranno intraprese delle importanti azioni correttive a fronte di
riserve idriche sempre più limitate e sottoposte anche a diversi fattori di
inquinamento e di dispersione.
L’acqua è un bene irrinunciabile che appartiene a tutti e deve essere
da tutti equamente condiviso, è un diritto universale ed ha un valore
economico in tutti i suoi usi correnti, consentendole pertanto di essere
qualificata come un bene economico. È nel quadro di questo principio
che è vitale riconoscere il diritto di base di tutti gli esseri umani ad avere
accesso all’acqua potabile o al risanamento ad un prezzo sostenibile e,
tale presupposto, è facilmente riscontrabile ripercorrendo ciò che recita
la Dichiarazione di Dublino elaborata al termine della Conferenza internazionale su acqua ed ambiente (Icwe), organizzata nel gennaio 1992
dalle Nazioni Unite. Nel medesimo anno si tenne a Rio De Janeiro anche
la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (Unced) e da
46
questi due incontri nacquero tre enti internazionali, a prima vista neutrali e creati allo scopo di facilitare il dialogo tra i diversi attori sulla scena
mondiale per una gestione sostenibile delle risorse idriche ma, in realtà,
vere e proprie lobbies di pressione per la privatizzazione dell’acqua. Tale
intento, peraltro mal celato, di trasformare un bene primario come l’acqua, fondamento ed origine stessa della vita, in fattore di produzione da
sfruttare intensivamente per massimizzarne il rendimento economico è
apparso da subito in tutta la sua insostenibilità ed ha, senza ombra di
dubbio, costituito il colmo della misura. Ad oggi, il valore dell’acqua sta
conquistando il primo posto accanto al petrolio nel rappresentare una
risorsa fondamentale a livello universale.
Non si capisce come sia possibile che “l’acqua bene comune” possa
appartenere a qualcuno quando essa in realtà, proprio in virtù della sua
connotazione di bene comune, non può essere posseduta come proprietà
privata né venduta come merce.
Si percepisce quindi la necessità di riappropriarsene a fronte dei molti
che vogliono mettere sul mercato la vita delle persone gestendo, a propria
convenienza, un bene che non può essere né sottratto né espropriato poiché gli unici risultati derivanti dai processi di privatizzazione sarebbero
un aumento dei costi e un drastico peggioramento dei servizi.
Occorre però evitare che considerandola servizio pubblico, si debba
fare i conti con la crisi di un modello ormai distante dai bisogni dei cittadini in quanto intriso di logiche burocratiche ed economiciste, quando
non anche di pratiche clientelari.
Da qui nasce e si sviluppa la tematica del “bene comune” che, pur
scontando una certa genericità ed astrattezza, intende presentare la necessità di una partecipazione diretta alla gestione di beni e servizi. A questo proposito, e pur tenendo conto di una discussione aperta e in buona
misura ancora da fare, occorre anche considerare gli elementi di rischio
e quindi garantire sulla finalità e l’utilizzo di un bene comune e/o di un
servizio, in quanto, la stessa definizione di pubblico rimanda al riconoscimento dell’universalità, come anche all’accesso e alla garanzia per i
soggetti deboli così consentendo, laddove si riscontrassero insufficienze,
l’esigibilità di un diritto che rischia tuttavia di concentrare finalità, obiettivi ed operatività in nuclei di personale politico-manageriale i quali, in
47
quanto portatori di interessi particolari, possono sostituirli gli stessi a
quelli generali. La battaglia per la difesa dell’acqua e dei beni comuni
assume dunque i connotati di una vera e propria battaglia di civiltà. La
lotta contro la loro privatizzazione diventa quindi essenziale per evitare
l’egemonia sulla vita delle persone e garantirne la reale tutela, semplicemente, si tratta di decidere se la vita delle persone può essere considerata
mercificabile o se, al contrario, è possibile costruire collettivamente un
altro modello sociale a partire dal riconoscimento universale e non negoziabile dei beni comuni.
Le istituzioni economiche, finanziarie e politiche che per decenni
hanno creato il degrado delle risorse naturali e l’impoverimento idrico di
migliaia di comunità oggi dicono che l’acqua è un bene prezioso e raro
e denotano come, solo una proprietà pubblica e un governo pubblico e
partecipato dalle comunità locali possono garantire la tutela della risorsa,
il diritto e l’accesso all’acqua per tutti e la sua conservazione per le generazioni future.
Esistono diversi trattamenti di purificazione o potabilizzazione
dell’acqua. Un esempio è quello adottato nell’area industriale di Ras Laffan vicino alla città di Doha, nel Qatar. All’interno di questo sito sono
racchiusi diversi complessi industriali di raffinazione. Fra le infrastrutture vi è un impianto preposto alla dissalazione dell’acqua. La struttura
installata prevede di poter trasformare l’acqua salata in acqua dolce e
utilizzabile per il consumo umano. Sempre in questo sito industriale, si
sta sperimentando una nuova tecnica che conduce alla creazione di un’
acqua sintetica al 100%. Un’acqua la cui creazione è dovuta all’unione
dell’idrogeno e dell’ossigeno e che parrebbe priva di tutti gli altri elementi naturali che compongono questa sostanza. Si parlerebbe, infatti,
di un tipo di acqua che non conterebbe al suo interno, macroelementi
e microelementi indispensabili per i processi metabolici dell’organismo.
Gli esperimenti condotti fino ad oggi non hanno ancora dimostrato gli
effetti che l’utilizzo di quest’acqua potrebbe avere sulla salute umana e,
oltretutto, questa tecnica avrebbe dei costi elevatissimi.
Altri trattamenti destinati alla potabilizzazione dell’acqua per uso e
consumo umano sono quelli caratterizzati dalla purificazione delle fonti
acquifere naturali che prevedono la rimozione delle sostanze inquinanti
48
e contaminanti contenute nell’acqua. Un’altra tecnica utilizzata è invece
quella basata sulla evaporazione dell’acqua che permette, tramite il vapore e la conseguente condensazione, di ricreare un’acqua equiparabile
in qualità alle varie acque distribuite dalle diverse marche che comunemente consumiamo. Il progetto “Hydorghen” portato avanti da alcuni
ricercatori europei, permette di rigenerare l’acqua con una tecnica in
apparenza semplice, a zero impatto inquinante e a costi ridottissimi. La
scoperta più entusiasmante, però, rimane quella di capire come ancora
oggi questa sostanza vitale sia ancora per noi misteriosa. Basta soffermarsi sul fatto che l’acqua sia l’unica sostanza sul pianeta che si trova nei tre
stati: liquido, solido e gassoso, che basta metterla a contatto con un’altra
sostanza per farle acquisire le qualità e farle salvare nella sua memoria
tutte le informazioni. Così come scrive Vladimir Voejkov (Docente presso l’Università di Mosca nella facoltà di Biologia): <<Abbiamo capito che
noi sull’acqua non sappiamo quasi nulla; è un grande passo dal quale
proviene il desiderio di sapere e sperimentare>>.
Quando si parla di acqua non si può non parlare anche di qualità della
stessa, con conseguente tutela degli ecosistemi e delle risorse idriche per
prevenire o perlomeno mitigare il rischio, dove lo scopo è quello di mantenere e garantire un’adeguata qualità dell’acqua. Durante il suo percorso,
attraverso il contatto col terreno e non solo, l’acqua si arricchisce di minerali ma anche di metalli ed altri elementi che hanno un’influenza sul
gusto e sull’odore e più in generale sulla qualità e la purezza. Minerali come
sodio, fluoro, potassio, calcio e magnesio (il contenuto di questi ultimi due
indica il grado di durezza dell’acqua) e metalli come ferro e manganese ma
anche inquinanti di vario tipo come i nitrati o solventi chimici, riguardo i
quali la legge, soprattutto per le sostanze potenzialmente pericolose, pone
limiti severi e ne fissa la quantità massima per ciascuno. La qualità dell’acqua è di conseguenza determinata dalla presenza di agenti inquinanti, da
fattori fisico-chimici quali pH e conducibilità, dal numero di sali presenti,
dalle sostanze nutrienti ed è l’uomo che per la maggior parte influenza tali
fattori col tramite dello scarico dei rifiuti in acqua ed ancor di più con la
modifica dei suoi componenti, dettata dall’uso di molti tipi di sostanze e
di agenti inquinanti che non sarebbero naturalmente presenti, rendendola
così potenzialmente pericolosa per la salute umana.
49
Una grande piaga che affligge la società moderna ed in merito alla
quale il mondo è ancora ben lontano dal trovare una risoluzione è quindi l’inquinamento dell’acqua, che è una alterazione degli ecosistemi che
hanno come componente fondamentale l’acqua. La stessa si dice inquinata quando la sua qualità è compromessa dall’ammissione di sostanze
quali prodotti chimici e scarichi industriali ed urbani, fino al punto di
renderla inadatta agli abituali usi. Inquinare l’acqua significa, quindi,
modificarne le caratteristiche in modo tale da renderla inadatta allo scopo a cui è destinata. A seconda della temperatura e della presenza di
flora batterica, l’acqua possiede una determinata percentuale di ossigeno
disciolto e grazie a ciò, in condizioni normali, riesce ad auto depurarsi
col tramite della decomposizione aerobica che trasforma i composti in sostanze non più inquinanti o, più chiaramente, è capace di assimilare una
determinata quantità di sostanze scaricate trasformandole in elementi
minerali semplici tramite il processo di biodegradazione.
L’alterazione dei sistemi idrici può quindi compromettere la salute della
flora e della fauna e nuocere anche agli uomini, alterando non solo il sistema ecologico ma anche le riserve alimentari e ciò avviene sia per via diretta
con sostanze inquinanti riversate direttamente nei corsi d’acqua sia per via
indiretta quando si intaccano gli stessi dall’aria o dal suolo. Una prima distinzione in materia è possibile analizzando l’inquinamento che deriva da cause
naturali quando l’acqua piovana viene a contatto con sostanze del mondo
minerale o biologico mentre, la forma più invalidante, deriva dall’attività
dell’uomo soprattutto per la massiccia industrializzazione ma anche per la gestione delle fognature civili non depurate o ancora per lo scarico dei prodotti
intermedi o finali dell’industria e dei residui delle materie prime. Le acque
di scarico urbane ed industriali rappresentano quindi una delle principali
fonti di inquinamento idrico e pertanto un grande pericolo per la salute
dell’uomo è costituito dalle fogne che rilasciano acque inquinate da virus e
batteri causando così malattie.
Esistono vari tipi di inquinamento tra i quali quello civile, che deriva
dagli scarichi delle città e l’acqua senza alcun trattamento depurativo si
riversa nei fiumi e nel mare, quello industriale con sostanze inquinanti
che provengono dalla produzione industriale ed ancora quello agricolo
determinato dall’uso eccessivo e scorretto di fertilizzanti e pesticidi che,
50
di norma idrosolubili, penetrano nel terreno contaminando così le falde
acquifere. Non potendo sopprimere totalmente l’inquinamento, l’intento è perlomeno quello di ridurlo, controllarlo e cercare di prevenirlo così
da evitare ulteriori danni e poter valutare l’incidenza di nuovi prodotti
ed il loro smaltimento in quanto, prevenire è molto meno costoso e più
ragionevole che rimediare dopo o, ancora meglio, servirebbe obbligare
chi di competenza ad utilizzare accorgimenti atti ad evitarlo.
Una forma di inquinamento devastante delle acque è quello marino, la cui causa principale si può rilevare negli idrocarburi e, più nello
specifico, nel petrolio riversato in mare dalle petroliere con conseguenti
gravi problemi ambientali. Tale circostanza diventa sempre più pericolosa
quando le sostanze inquinanti entrano in contatto con la costa in quanto
risultano molto più difficili da debellare data l’impossibilità, stante il basso fondale, dell’uso di macchinari specifici ed in tal caso fondamentale
diventa l’apporto umano, soprattutto dei volontari.
L’inquinamento delle acque è stato oggetto di numerose normative
differenziatesi nel tempo e contenute, quale fonte comune, nel Decreto
legislativo 152/06 meglio conosciuto come Testo Unico Ambiente.
Ad oggi, i danni causati dall’inquinamento sono sfortunatamente seriamente ingenti e questo deve far riflettere in quanto si andrà certamente incontro ad un peggioramento della qualità della vita.
1.5 Procedimento di potabilizzazione dell’acqua
Se l’acqua potesse seguire il proprio ciclo naturale, senza interferenze,
sarebbe quasi sempre potabile, invece l’inevitabile intervento dell’uomo
per rispondere alle proprie esigenze, ne altera il percorso rendendo così
necessari processi di potabilizzazione della stessa che consistono nella rimozione dall’acqua di tutte le sostanze contaminanti così da renderla
idonea sia al normale consumo domestico che per l’irrigazione dei campi
o per usi industriali.
Tale bisogno dipende soprattutto dal fatto che, a fronte del graduale
Fonte sorgiva esaurirsi delle sorgenti naturali di acqua potabile (acque
profonde), si sta sempre più ricorrendo all’acqua di origine superficiale
(mari, fiumi, laghi naturali e artificiali) con caratteristiche specifiche e
differenti gradi di inquinamento che rendono necessario sottoporre l’ac-
51
qua a trattamenti obbligatori per migliorarne la qualità.
Nel suo moto di scorrimento l’acqua esercita un’azione di trascinamento sulle particelle solide e la sua azione solubilizzante, esaltata dalla
presenza di anidride carbonica disciolta, determina la presenza in minore
o maggiore misura di ioni in soluzione come solfati, bicarbonati, silicati,
cloruri, calcio, magnesio, etc.
Solo l’applicazione di precise normative sulle procedure di monitoraggio e controllo, come sui parametri da analizzare e dei limiti da rispettare
prima dell’immissione dell’acqua potabile, le consentono di circolare liberamente nella rete acquedottistica infatti, se l’esame igienico ne constata l’inadeguatezza rispetto ai canoni stabiliti, occorre procedere alla sua
correzione o alla sua depurazione oppure ad entrambe. Per correzione
si intendono tutti quei procedimenti atti a migliorare le caratteristiche
organolettiche, fisiche e chimiche dell’acqua mentre la depurazione riguarda l’insieme delle operazioni capaci di purificare le acque dal punto
di vista batteriologico. Nello specifico, tali operazioni avvengono negli
impianti di potabilizzazione distinguibili in due tipi: gli impianti di filtrazione in cui le acque sono soggette a tutta una serie di processi depurativi e quelli in cui avviene la sola disinfezione. Tali tipologie di impianti
sono, di norma, posti presso le opere di presa o al termine della condotta
adduttrice e su un terreno che, topograficamente, permetta di sfruttare
la gravità per il passaggio delle acque da un trattamento al successivo
per ridurre, il più possibile, il consumo di energia elettrica procedendo
quindi attraverso tutta una serie di stadi, quale ad esempio quello della
rimozione dei solidi sospesi o della riduzione dei sali indurenti o ancora
dell’eliminazione dei microrganismi. Il tutto con l’intento di rimuovere
ogni sorta di impurità.
La depurazione dell’acqua ed il conseguente processo di potabilizzazione si attuano in concreto facendo passare le acque grezze (provenienti
da fiumi o laghi) attraverso svariati tipi di impianti di rimozione del materiale organico ed inorganico, in modo tale da garantire all’acqua trattata
idonee caratteristiche organolettiche (sapore, odore, colore, torbidità),
fisiche (temperatura, conducibilità elettrica, pH) e chimico-biologiche tra
le quali la durezza, la salinità, i microinquinanti, il carico organico e la
vita microbiologica (es. rimozione dei patogeni tramite disinfezione).
52
Più chiaramente i metodi di rimozione utilizzati si possono individuare, in funzione del tipo di sostanze da eliminare dall’acqua grezza, in una
serie di processi di natura fisica come la filtrazione e la flottazione, fisico-chimica come la flocculazione o ancora chimica come la disinfezione
(ozonizzazione e clorazione), tutti comunque realizzati attraverso l’immissione di sostanze chimiche che favoriscono l’eliminazione o la riduzione
degli inquinanti e degli agenti batterici indesiderati.
Nel variegato quadro di possibilità il trattamento di disinfezione più
diffuso, che garantisce l’igienicità dell’acqua per tutto il suo percorso fino
all’utenza, è la clorazione ma, di contro, potrebbe generare sottoprodotti
tossici ed alterare il sapore dell’acqua.
L’azione battericida svolta dal cloro e dai suoi derivati (ipocloriti e
biossido di cloro), si dispiega in un’operazione ossidante per la distruzione dei virus ed in un’altra tossica ed inibitrice che determina il blocco
del metabolismo dei batteri. Il cloro tuttavia, è inadatto all’inattivazione
di spore batteriche e protozoi e, affinché l’azione della clorazione risulti
efficace, è importante che la torbidità dell’acqua sia bassa per evitare
che i microrganismi non si aggreghino alle particelle sottraendosi così
all’azione del disinfettante. Tale processo viene eseguito anche prima che
l’acqua sia immessa nella rete di distribuzione e si attua, solitamente, aggiungendo composti del cloro che, a contatto con l’acqua, danno origine
al cloro attivo libero caratterizzato da un elevato potere ossidante sulle
molecole organiche e quindi da un’azione battericida tale da distruggere,
ad alte concentrazioni, anche le cisti amebiche e le uova di parassiti che
sopravvivono nell’intestino. Inoltre, il cloro attivo libero permane nell’acqua anche durante la distribuzione per poter agire in caso di eventuali
contaminazioni biologiche o organiche, assicurando igiene e potabilità
fino al rubinetto di casa.
Le tecniche di clorazione usualmente impiegate sono:
• la “pre clorazione” che prevede l’aggiunta del cloro a monte della filtrazione in quantità tale che non resti cloro residuo a valle del filtro;
• la “super clorazione” con l’aggiunta occasionale e ad alte concentrazioni di cloro, o in un unico punto del ciclo di potabilizzazione o
frazionata in più punti dell’impianto, cui segue alla fine la rimozione
degli odori e dei sapori;
• la “clorazione frazionata” ove il cloro ad alte concentrazioni viene aggiunto in due punti ben distinti dell’impianto;
• la “post clorazione o clorazione standard” che prevede l’aggiunta di
cloro a valle della filtrazione. In questo caso la quantità di cloro è mi-
53
nima essendo stata già abbattuta la quasi totalità delle sostanze organiche presenti nell’acqua grezza, pertanto l’azione del cloro si concentra
solo sulla flora batterica presente.
Accanto alla clorazione esiste la cloroammoniazione che sfrutta l’azione battericida delle clorammine prodotte dall’ammoniaca e dal cloro
aggiunto separatamente all’acqua; tale trattamento, ha una percentuale
di cloro residuo libero più elevata garantendo così una maggiore sicurezza contro gli inquinamenti accidentali senza alterare le proprietà organolettiche dell’acqua, alla quale si affianca la ozonizzazione, una tecnica
di disinfezione delle acque che impiega ozono la cui azione ossidante
avviene in due modi o direttamente tramite ozono o attraverso il radicale
OH di formazione secondaria. In concreto, l’ozono garantisce una maggiore efficacia nei confronti di batteri e virus e, in concentrazione elevata,
anche nei confronti dei protozoi non determinando l’insorgere di cattivi
odori e sapori. Tale procedura, se eseguita bene, garantisce una quantità
molto ridotta di sottoprodotti pericolosi per la salute umana; inoltre,
l’utilizzo dell’ozono porta all’ossidazione e alla conseguente rimozione
delle sostanze inorganiche presenti nell’acqua come il ferro, il manganese
il cianuro, l’arsenico. L’uso dell’ozono provvede alla distruzione di diversi
microinquinanti organici, tuttavia ha un costo elevato e avendo un decadimento rapido, non consente una copertura igienica dell’acqua fino
all’utenza, pertanto non può essere l’unico trattamento di disinfezione.
In tali situazioni la reale necessità è quella di trovare la condizione
economicamente più accettabile valutando bene costi e benefici, considerando le fonti di approvvigionamento a disposizione e gli obiettivi da
raggiungere. A fronte di quanto fin qui rappresentato occorre prendere
in considerazione anche un particolare tipo di trattamento dell’acqua
e cioè quello per sterilizzazione a raggi ultravioletti in quanto, proprio
questo fenomeno naturale a carico del Sole, viene riprodotto tramite
potenti lampade avanzate tecnologicamente che emettono raggi UV-C
e 254 nanometri è stata determinata come la lunghezza d’onda ottimale
per eliminare i micro organismi (virus, batteri, alghe, lieviti) stante che
i raggi UV-C penetrano nel cuore del loro DNA e perturbano il metabolismo delle cellule fino alla loro totale distruzione. Durante il ciclo di
filtrazione l’acqua circola all’interno del reattore ed i batteri, i virus e le
alghe vengono eradicati dai raggi della lampada cosicché i germi diventano inattivi e non più in condizione di riprodursi. È quindi un processo,
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approvato anche dal Ministero della Salute, per il trattamento dell’acqua
basato sulla tecnologia della disinfezione mediante ultravioletti di tipo C
e si realizza in totale assenza di cloro. Il trattamento a raggi ultravioletti
rappresenta in sostanza, ad oggi, una novità nel panorama della sterilizzazione dell’acqua che consente una miglioria, soprattutto rispetto all’uso
del cloro, dello stato dell’acqua ottenendo un prolungamento degli effetti grazie a prodotti a lenta dissoluzione quale l’ossigeno attivo che, in
assenza di cloro, di sale, di residui chimici nocivi, di rischi di allergie, di
corrosione e di odori, assicurano un’acqua chiara e intatta.
Il Cloro è una sostanza che negli anni passati è stata utilizzata nella medicina per curare delle malattie derivate da agenti patogeni che, a contatto
o ingerite nel nostro organismo, possono causare delle patologie. Questa
sostanza, infatti, veniva utilizzata come fonte di disinfezione di microrganismi dannosi che possono trovarsi in alcuni alimenti. Ultime ricerche, però,
hanno dimostrato che gli effetti del cloro nell’alimentazione potrebbero
essere rischiosi per la nostra salute. Possiamo affermare, infatti, che il cloro andrebbe utilizzato il meno possibile e con molta cautela. in attesa di
capire se sarà possibile utilizzare i raggi ultravioletti per la sterilizzazione
dell’acqua, dovremmo prevedere per la disinfezione dell’acqua utilizzo
dei micro infusori nelle cisterne che forniscono il servizio idrico. una ricerca fatta dall’ Universita’ Shizuoka in Giappone dimostrerebbe, infatti,
che le sostanze organiche naturali, quando esposte ai clorurati dell’acqua
potabile potrebbero arrivare a formare dei composti cancerogeni, dannose per la nostra salute.
Fonte sorgiva
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1.6 Il dissesto idrogeologico
Il dissesto idrogeologico è l’insieme dei processi morfologici che hanno un’azione fortemente distruttiva in termini di degradazione del suolo
e quindi, indirettamente, anche nei confronti dei manufatti su di esso
collocati. Comprende tutti quei processi che vanno dalle erosioni contenute e lente alle forme più consistenti e, in altre parole, dalla degradazione superficiale e sotterranea dei versanti fino alle forme imponenti
e gravi con il realizzarsi di eventi più catastrofici quali frane, valanghe
e alluvioni, che modificano il territorio in tempi relativamente rapidi o
rapidissimi, con effetti spesso distruttivi sulle opere, le attività e la stessa
vita dell’uomo. Secondo l’analisi effettuata da David J. Varnes, in un rapporto dell’UNESCO del 1984, il rischio totale relativo al dissesto idrogeologico può essere espresso dalla relazione e cioè:
• Rischio totale, cioè il numero atteso di danni relativi ad un evento catastrofico in termini di vite umane, persone ferite, danni alle proprietà
ed alle attività economiche;
• Elementi a rischio, cioè la popolazione, le proprietà e le attività economiche potenzialmente in pericolo con riferimento a un dato fenomeno catastrofico;
• Rischio specifico, che rappresenta il grado atteso di perdite legato ad
un particolare fenomeno, espresso dall’equazione: R (equazione del
rischio) = H (Hazard-Pericolosità) x V (Vulnerability - Vulnerabilità) x
E (Element at risk - Elementi a rischio);
• Pericolosità naturale, cioè la probabilità che un dato evento possa verificarsi in una data area in un certo periodo;
• Vulnerabilità, che rappresenta il grado di danno atteso nei confronti di
un elemento o di un insieme di elementi, espresso con una scala da 0
(nessun danno) a 1 (distruzione totale).
Le cause del dissesto idrogeologico sono da ricercarsi nella fragilità
del territorio, nella modificazione radicale degli equilibri idrogeologici
lungo i corsi d’acqua e nella mancanza d’interventi manutentori da parte
dell’uomo, soprattutto nelle aree montane dove non si esercitano più le
tradizionali attività agricole e forestali. Le origini del fenomeno sono di
norma di natura antropica e le condizioni meteorologiche e le variazioni
climatiche ne sono solo una causa marginale, quanto più l’abusivismo
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edilizio, l’estrazione illegale di inerti, il disboscamento indiscriminato, la
cementificazione selvaggia, l’abbandono delle aree montane e l’agricoltura intensiva, sono tutti fattori che contribuiscono in maniera determinante a sconvolgere l’equilibrio idrogeologico del territorio.
È doveroso aprire una parentesi a tal proposito. Il corpo Forestale
dello Stato, organo preposto al controllo del territorio e alla salvaguardia delle attività agricole garantisce e avrebbe garantito una maggiore
sicurezza per tutta la popolazione. Purtroppo, i provvedimenti che il Governo Renzi ha attuato con l’approvazione della Riforma della Pubblica
Amministrazione, hanno previsto la soppressione e l’assorbimento del
corpo forestale nell’arma dei carabinieri, diminuendo di fatto il numero
degli operatori forestali. Una scelta politica sbagliata e presentata in Parlamento come una manovra indispensabile per la riduzione della spesa
pubblica. Il risparmio, usato come pretesto dall’esecutivo Pd, non si è registrato, al contrario si è amplificato mettendo, altresì, a rischio la tutela
del territorio.
Il dissesto idrogeologico diparte dall’azione dello scorrimento delle
acque superficiali e sotterranee e si manifesta nelle forme più evidenti
attraverso l’erosione torrentizia e le frane, pertanto sarebbe meglio sottolineare che esistono due componenti non contemporaneamente presenti
e cioè: una idrica o idrologica, relativa all’inadeguatezza della rete di drenaggio, l’altra geologica inerente alle frane, calanchi, erosione e valanghe.
Per meglio comprendere le determinanti del problema occorre analizzarne le origini. Innanzitutto vanno prese in considerazione le superfici in
evidente stato di erosione provocato da origini antropiche (tutti gli interventi compiuti dall’uomo sull’ambiente con lo scopo di trasformarlo o
adattarlo, come: eccessivo pascolo, frequenti incendi di origine dolosa,
realizzazione di strade, piste di esbosco, piste da sci, cave, discariche, oleodotti, metanodotti, elettrodotti, abitazioni, quest’ultimi realizzati senza
alcun accorgimento e successive opere manutentorie) mentre in altri casi,
soprattutto in zone montane, l’instabilità è dettata da accumuli di neve
o acque meteoriche, accumulo di detriti, crescita della vegetazione, attività antropiche (cave, discariche, acquedotti, etc.) che rendono i versanti
sovraccarichi e pesanti. La difesa del territorio dalle calamità naturali ed
in particolare dal consumo del suolo e dalle piene dei torrenti è sempre
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stata una costante preoccupazione soprattutto delle popolazioni di montagna, in quanto le possibili esondazioni hanno da sempre costituito una
continua minaccia nonché una fonte di notevole pericolo, a cui si è poi
aggiunta una forte deforestazione quale attività conseguente alle pratiche
di cementificazione incontrollata. In Italia il rischio frane ed alluvioni
interessa praticamente tutto il Paese, si parla di circa due Comuni su tre,
in un territorio estremamente fragile dove anche un semplice temporale
riesce a provocare continui allagamenti con conseguenti disagi per la popolazione e le cui cause sono quasi sempre addebitabili all’uomo per fenomeni di urbanizzazione incontrollata e speculazione edilizia, ma anche
a causa del perpetuarsi di interventi di gestione dei fiumi che seguono
filosofie tanto vecchie quanto inefficaci e che puntano su infrastrutture
rigide invece che sul rispetto della dinamica e dell’habitat fluviale, realizzando argini senza un serio studio sull’impatto a valle, alvei cementificati,
escavazione selvaggia e le cui successive opere di messa in sicurezza il più
delle volte si presentano quale alibi. In realtà, le situazioni di degrado e di
rischio potenziale sono molto diffuse tanto che le realizzazioni di nuovi
insediamenti, di opere di ingegneria civile ed infrastrutture di servizio
possono far sorgere molteplici problematiche di dissesto del territorio,
in particolare in ambiti montani ed ancor più dove non sempre è stato
seguito un modello di sviluppo compatibile con le esigenze di difesa del
suolo. Per cercare di ottenere una risoluzione sia pur parziale al problema, occorrerebbe avviare una politica programmatoria e di pianificazione
della difesa del suolo partendo da tutta una serie di indagini conoscitive
particolareggiate del territorio che permettano lo studio delle condizioni generali di rischio e consentano così di meglio capire dove e come
agire. Innanzitutto serve un’ottima analisi dello stato della natura con
una conseguente attenta raccolta delle informazioni relative ad un dato
fenomeno catastrofico potenziale, con riferimento anche alle informazioni storiche e considerando la valutazione del grado di distruttività che il
fenomeno in analisi può assumere e della sua pericolosità, che consiste
nella valutazione della probabilità che un dato evento avvenga in un certo periodo per poi, in conseguenza, adoperarsi in un lavoro di sintesi che
consente di individuare ed attribuire un valore agli elementi a rischio ed
alla loro vulnerabilità in modo tale da porre in essere tutta una serie di
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interventi atti a diminuire l’effetto del fenomeno su ambiente, manufatti
e popolazione. Un intervento, quello atto a limitare il dissesto idrogeologico, è più che mai necessario. Occorre sempre mantenere la massima
allerta, soprattutto nelle zone considerate più a rischio, così da basarsi
su una fondamentale previsione e conseguente mitigazione degli effetti
distruttivi in un paese come l’Italia, dove andando purtroppo a scorrerne
la storia i disastri naturali occorsi non sono stati poi così rari. Lo scopo
a cui protendere è quindi quello di adeguare lo sviluppo territoriale alla
mappatura delle zone più a rischio, considerando anche l’idea, ove possibile, di delocalizzare i beni esposti a frane ed alluvioni in modo tale da
restituire alla natura il territorio da ormai troppo tempo sottratto, così
da garantire lo spazio necessario per i corsi d’acqua, con aree adiacenti
per consentire un’esondazione controllata ed ottenere uno strumento di
difesa ed il corretto uso del suolo. L’interesse primario quindi deve essere
quello di avere cura del territorio attuando una manutenzione ordinaria
dello stesso, che deve prevedere interventi mirati e localizzati, realmente utili e rispettosi degli aspetti ambientali e con particolare attenzione
all’immenso reticolo di corsi d’acqua dove, torrenti e fiumare diventano
sorvegliati speciali, facendo particolare attenzione anche a fermare la piaga del disboscamento dei versanti montani, causato spesso anche dagli
incendi, che può aggravare maggiormente il rischio di frana. Purtroppo
ad oggi, ormai, non basta più investire solo nella gestione del suolo ma
si deve convivere col rischio generando tutta una rete di sistemi di allerta
e piani della protezione civile sempre attuali ed aggiornati con una costante lotta all’illecito. Oggi tramite l’ingegneria naturalistica (disciplina
tecnico-scientifica che studia le modalità di utilizzo come materiale da
costruzione del materiale vegetale vivo in abbinamento con altri materiali inerti non cementizi quali il pietrame, la terra, nonché in unione
con stuoie in fibre vegetali o sintetiche), sulla base di nuove conoscenze
derivate dalla ricerca tecnica e biologica, si sono potuti migliorare molti
vecchi sistemi costruttivi e svilupparne di nuovi. L’accresciuta sensibilità
dell’opinione pubblica verso i problemi relativi al territorio determina
quindi la necessità di definire criteri di intervento a tutela del suolo e del
patrimonio naturale che si inseriscano più correttamente nell’ambiente
e si auspica, pertanto, che i politici ed i tecnici possano in un prossimo
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futuro operare in tal senso in un’ottica di maggiore rispetto e tutela del
territorio, potendo utilizzare anche maggiori risorse finanziarie.
1.7 Amianto: nemico della salute
Un ulteriore “nemico” per la salute umana è rappresentato dall’amianto che, così come le sostanze fin qui analizzate, espone l’uomo
ad agenti cancerogeni. Molteplici sono ormai le conoscenze in tema
di amianto tuttavia, soprattutto in ambito sanitario, non si hanno
ancora risposte del tutto esaustive rispetto a temi quali l’esposizione,
la prevenzione, la diagnosi e la cura per chi vi è stato esposto.
L’amianto è un minerale fibroso, e come tale dannoso per la salute
umana, le cui fibre possono essere liberate o per effetto di corrosione
(con conseguenti lesioni e rotture) o attraverso la lavorazione di determinati materiali tra i quali, altamente nocivo, il fibrocemento (meglio
conosciuto come “eternit”) e cioè una mistura di amianto e cemento
particolarmente friabile, quindi soggetto a facile danneggiamento o frantumazione. L’esposizione, anche se di breve durata, alle fibre di amianto
aumenta drasticamente il pericolo di contrarre forme tumorali delle vie
respiratorie come il carcinoma polmonare ed il mesotelioma (tumore della pleura), ma il danno maggiore è che il periodo di incubazione della
malattia può arrivare fino a trent’anni e con amplificati effetti cancerogeni provocati dall’amianto in soggetti quali i fumatori e chi è di norma
esposto ad agenti inquinanti. Gli effetti sanitari si esplicano attraverso
una grave azione cronicoirritativa e la capacità di induzione cancerogena
a carico dell’apparato respiratorio con aspetti addirittura “patognomonici”, cioè di unica ragionevole ed effettiva causa-effetto riguardo la comparsa del mesotelioma maligno della pleura.
Più precisamente, subentra dapprima l’asbestosi, malattia cronica che
porta ad un inspessimento della membrana polmonare con successiva degenerazione in tumore rendendo così difficile lo scambio d’ossigeno con il
sangue, provocando affaticamento durante qualsiasi tipo di attività fisica,
in seguito, anche in condizione di riposo, la malattia si cronicizza e si tramuta in forme di carcinoma polmonare, ancora oggi difficilmente curabili.
Le prime conoscenze generali in materia si possono far risalire agli
anni ’40 -’50 mentre le prime norme correlate al tema amianto riguar-
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do la salubrità dell’aria e la sicurezza dei posti di lavoro, derivano dal
recepimento delle direttive comunitarie che stabilivano rischi e limiti di
esposizione, col tramite prima del d.lgs. n. 277 del 15 agosto 1991 fino
all’approvazione del d.lgs. n. 257 del 25 luglio 2006 che ha bandito definitivamente l’impiego dell’amianto ponendo così fine alla sua estrazione
ed utilizzazione. La normativa in questione ha affrontato il tema prendendo atto delle complesse problematiche ad esso collegate ed il legislatore ha quindi stabilito il divieto di estrarre, importare, esportare produrre
e commercializzare prodotti contenenti amianto ma anche di bonificare
le aree contaminate, ricercare materiali sostitutivi e controllare l’inquinamento. Gli ambienti di lavoro sono ovviamente quelli più a rischio e,
anche se con la legge 257 del 1992, è stata ormai vietata la produzione e
l’installazione di materiali in amianto non bisogna tuttavia sottovalutare
neanche gli ambienti di vita quotidiana poiché è sufficiente una breve
esposizione per subirne gli effetti nocivi (con una visibilità prolungata
sempre nel medio-lungo periodo).
Per bonificare e smaltire manufatti già esistenti occorre rivolgersi a
personale qualificato o preposto da enti locali e regionali.
1.8 L’amianto a partire dalle origini
L’amianto, definito anche asbesto, è un minerale naturale a struttura
fibrosa appartenente alla classe chimica dei silicati fibrosi resistenti al
calore, agli acidi e agli alcali. Si ottiene facilmente dalla roccia madre
dietro macinamento in miniere a cielo aperto ed appartiene alle serie
mineralogiche del serpentino (crisotilo) e dell’anfibolo (crocidolite, amosite,
antofillite, tremolite, ed actinolite).
La sua natura fibrosa gli conferisce un’alta flessibilità nonché una
notevole resistenza meccanica rendendolo così inalterabile sia dall’usura
che dall’azione di agenti chimici e, per tali motivi, per molti anni è stato
considerato un materiale estremamente versatile ed a basso costo, adatto
anche a svariate applicazioni industriali, edilizie ed in prodotti di largo
consumo. Tuttavia, anche a fronte di tale versatilità, a seguito dell’emanazione delle ultime normative internazionali e nazionali tutti i paesi, o
perlomeno quelli più sviluppati, si stanno adoperando per garantire da
un lato la progressiva eliminazione del minerale e dall’altro la ricerca di
61
idonei materiali sostitutivi. Fin dall’antichità l’amianto, la cui etimologia
dal greco amiantos significa puro, incorruttibile, è stato usato per scopi
“magici” e “rituali” per le sue particolari proprietà riferite da un lato alla
resistenza agli agenti corrosivi e dall’altro al suo impiego, sin da tempi
antichi, per farne vesti adatte alla cremazione. Proprio per queste sue
qualità se ne è interessato anche Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) nella sua
Naturalis Historia, ove lo definisce una sostanza rara e preziosa impiegata
nella confezione dei manti funebri dei re considerandolo immacolato in
quanto il fuoco lo rendeva bianco e puro, evitando così la contaminazione delle ceneri reali con i sudari.
Altro importante impiego, sempre secondo Plinio il Vecchio, stava
nel collocarlo intorno al tronco degli alberi da abbattere per attutirne il
rumore durante la caduta, attività che denota come fin dai tempi antichi
già fossero a conoscenza della possibilità di tesserne le fibre nonché della
proprietà di isolante acustico.
Il sinonimo dell’amianto asbesto, dal greco asbestos che significa inestinguibile, perpetuo, si esplica nella sua proprietà di resistenza al calore con riferimento agli stoppini, fatti verosimilmente di cordini di fibre
di amianto, delle lampade perpetue dei templi e, tale attestazione, ha
consentito di riconoscerne la genesi esclusivamente minerale mentre,
secondo altri, la sua origine era vegetale od animale. Ed invero proprio
in riferimento a quest’ultima teoria di origine animale, stante che la salamandra si credeva possedesse la capacità di resistere al fuoco e addirittura
di spegnerlo, alcuni dotti battezzarono l’amianto “Lana di Salamandra”
tanto che tale mito è stato successivamente trattato in molti racconti ed
anche in una leggenda di Leonardo da Vinci.
Seguendo ancora l’iter storico dei vari tipi di utilizzo dell’amianto si
denota come abbia suscitato l’interesse anche di Marco Polo che nel Il
Milione ne sfata l’origine animale e ne descrive dettagliatamente la produzione facendo riferimento al minerale in uso nella provincia di Chingitalas e considerandolo dunque utile per la creazione di panni per tovaglie
finché, a districare finalmente la vicenda sulle origini dell’amianto è intervenuto Robert Plott nel 1686 con il suo trattato intitolato Sulla Storia,
le proprietà e l’applicazione dell’asbesto.
Storicamente i luoghi di origine dell’amianto sembra fossero Cipro, la
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Grecia e le Alpi italiane successivamente, nel XVII secolo furono scoperti
giacimenti negli Urali e nel 1877 vennero alla luce quelli di Crisotilo
presso Thetford e Coloraine nel Quebec, periodo in cui nacque anche
l’industria per la lavorazione di questo particolare minerale. Proprio in
virtù della sua capacità di essere ignifugo, grande clamore ebbe nel 1903
la sostituzione nella metropolitana di Parigi di materiali infiammabili o
che producevano scintille, compresi i freni delle carrozze, con manufatti
contenenti amianto e ciò all’indomani di un incendio che aveva provocato decine di morti. Stante la riuscita di tale scelta, venne poi riproposta
sia presso la metropolitana di Londra che, nel 1932, con la coibentazione del transatlantico “Queen Mary” ed ancora, nella seconda metà degli anni ‘50, nuovamente in seguito ad un incendio, con la sostituzione
dell’isolante in sughero delle carrozze ferroviarie che vennero coibentate
tutte con l’amianto. È da ricordare anche un altro “filone” riguardante
il cemento - amianto, la cui produzione iniziò nel 1893 in una cartiera
austriaca dismessa. Da quel momento l’espansione del prodotto fu incessante ed acquistò notevole importanza in virtù di specifici risultati propri
del periodo, ottenuti grazie al suo impiego.
1.9 ASBESTO-AMIANTO: ieri, oggi e domani
a) Notizie aggiornate sulle patologie da asbesto
Le fibrille d’asbesto (lunghezza = diametro x3) derivano dalle attività
minerarie sui giacimenti naturali e dalla loro trasformazione in manufatti
e si diffondono nell’ambiente prima, durante e dopo il loro utilizzo. Un
aforisma datato, ormai obsoleto, di uno scienziato italiano (Mutti, citato
da Gualtieri, in Google) affermava che “l’unica fibrilla d’amianto innocua è
quella che noi non respiriamo”. Gli sviluppi più aggiornati delle conoscenze
biomediche sulle patologie asbesto correlate integrano quest’affermazione. Infatti, sarebbe corretto includere quelle non ingerite e/o non presenti
nell’acqua di rubinetto usata per scopi igienici (Omura, 2006). Alle fibrille d’asbesto, pressoché ubiquitarie nel nostro ambiente attuale (ne
sono state trovate nei ghiacci della Groenlandia), l’essere umano può
essere esposto sia in ambiente occupazionale sia nell’ambiente di vita,
cioè quello extra lavorativo. A proposito della diffusione a lunga distanza
delle fibrille d’asbesto non c’è da meravigliarsi giacché esse “galleggiano”
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nell’aria, così come le PM aeree di 0,1 o 2,5 micrometri, le ultra fini e
le fini, che impiegano mesi prima di depositarsi al suolo, molto dopo
le particelle sottili, cioè le PM10 (Casale et al., 2009). In Groenlandia,
negli strati corrispondenti alla sedimentazione di duemila anni fa, tecnologie dei Greci e dei Romani antichi, è stato trovato piombo che, data la
densità rispetto all’asbesto (11,34 contro 2,65 g/cm3) galleggerebbe meno
facilmente. Queste informazioni, per cittadini normali, privi di conflitto
d’interessi, sarebbero utili per far capire quanto più agevolmente le fibrille cancerogene potrebbero diffondersi tra una discarica dedicata allo
smaltimento del minerale e le finestre di casa nostra, piuttosto che raggiungere la Groenlandia. Però, ad altri, magari reggitori della cosa pubblica, oppure “esperti”, venduti e/o concussi, non direbbero nulla.
Molto importante è la constatazione che le fibrille del minerale possono entrare nell’organismo non solo attraverso l’apparato respiratorio
(inalate), ma anche per via gastro-intestinale (ingerite con i cibi o col
potus), oppure attraverso le mucose di organi raggiunti dall’acqua potabile inquinata da asbesto quando fosse distribuita da reti idriche fatte da
tubazioni di Eternit®, sia a seguito delle più comuni pratiche igieniche,
sia da chi indossasse biancheria intima lavata con questo tipo di acqua
potabile (Omura, 2006). Sia le fibrille d’asbesto inalate sia quelle ingerite
oltrepassano facilmente, soprattutto quelle di lunghezza inferiore a 10
μm, le barriere naturali dell’organismo, la mucosa delle prime vie aeree e
quella dell’apparato gastroenterico, rispettivamente. In seguito, entrano
nel circolo ematico e, in talune circostanze, in quello linfatico. Attraverso
questi comportamenti, possono diffondersi e localizzarsi in tutti i tessuti
dell’organismo. Infatti, dovunque il circolo capillare periferico fornisca ai
tessuti l’ossigeno e gli altri metaboliti indispensabili per la vita, e li liberi dai cataboliti tossici (anidride carbonica e urea), dopo l’esposizione e
l’assorbimento delle fibrille d’asbesto, può portar loro anche il minerale
cancerogeno, dappertutto.
La distribuzione ubiquitaria delle fibrille d’asbesto tra tutti i compartimenti dell’organismo trova una chiara conferma dal quadro generale
della localizzazione nella maggior parte degli organi del corpo umano
della presenza dei corpuscoli dell’asbesto come reperto autoptico nei tessuti di lavoratori esposti e defunti (Rom, 1983; Ugazio, 2012). Il reperto
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di queste formazioni microscopiche è testimonianza di una prima tappa
della risposta flogistica (di tipo cronico, fibrotico, non acuto, purulento)
dei tessuti contro le fibrille che, ab initio, si comportano essenzialmente
come microscopici corpi estranei. D’altra parte, la letteratura scientifica
ha riportato un’evidente localizzazione preferenziale di lato delle fibrille
d’asbesto nell’emisfero cerebrale corrispondente all’esposizione diretta
del soggetto al muro di un ufficio impregnato del minerale, piuttosto
che al lato opposto, esposto ad una finestra che forniva l’illuminazione
diurna del locale (Omura, 2006). Una valutazione critica delle due circostanze permetterebbe di considerare che non siano in contrasto, infatti,
la seconda non esclude la prima anzi, dimostra che l’esposizione diretta
può aggravare quel livello di assunzione basale del minerale – bilaterale
- legata allo svolgimento di un’attività professionale (segretaria di studio
dentistico) in un locale gravemente inquinato, e che è stata causa dell’insorgenza di morbo di Alzheimer nel paziente.
Le fibrille che eventualmente inquinassero l’acqua potabile impiegata
per scopi igienici, avrebbero un loro peculiare destino perché, una volta
localizzate nella cavità di organi in diretta comunicazione con l’esterno
del corpo, possono spostarsi attraverso tale canalizzazione naturale verso
tessuti-organi interni. Verosimilmente, questo è il caso delle microscopiche deposizioni del minerale che si localizzano nella vagina le quali,
secondo recenti ricerche, provocano l’insorgenza dell’adenocarcinoma
ovarico (Omura, 2006; Heller et al., 1999). Poi, riproducendo la stessa
localizzazione dei corpuscoli dell’asbesto, si possono trovare le manifestazioni dell’azione cancerogena delle fibrille minerali. La letteratura scientifica riferisce che quest’azione patogena si realizza attraverso un danno
della molecola del DNA del nucleo delle cellule mediante un’azione perossidativa (Voytek et al. 1990).
b) Vie d’ingresso dell’asbesto nell’organismo
In seguito all’innesco molecolare della cancerogenesi, nei tessuti dei
soggetti esposti, s’instaura un processo competitivo (tiro alla fune) tra i cancerogeni e i meccanismi naturali di difesa contro il cancro. Se, in dipendenza dalla dose di minerale assunta (body burden), che dipende dalla concentrazione del minerale nell’ambiente di lavoro o di vita, e dal tempo di
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esposizione a esso (periodo di latenza), la cancerogenesi prevale sulle difese,
è inevitabile l’insorgenza di un tumore maligno. Si sa oggigiorno che queste
gravi patologie da asbesto possono colpire sia tessuti e organi localizzati nel
torace, sia tessuti situati in altri distretti diversi dall’apparato respiratorio.
Questi possono essere: il cervello (glioblastoma multiforme e astrocitoma),
la prostata (carcinoma), l’ovaio (adenocarcinoma), (Omura, 2006; Heller
et al., 1999), e diversi tessuti emolinfopoietici (leucemie, linfomi) (Omura,
2006). La cancerogenesi da asbesto è potenziata dall’azione sinergica di
metalli pesanti quali: il cromo esavalente, il mercurio, lo zinco, l’arsenico,
il selenio, come anche di microrganismi (Candida Albicans, Citomegalovirus,
Clamidia Trachomatis, Helicobacter Pylori) (Omura, 2006) oltre a improvvidi
trattamenti iatrogeni capaci di alterare il delicato e prezioso equilibrio della
bilancia perossidativa nei tessuti, come potrebbe risultare una terapia marziale dell’anemia. Oltre alle neoplasie elencate sopra, la ricerca biomedica
ha dimostrato che l’asbesto partecipa all’eziopatogenesi di altre patologie
di tipo degenerativo. Tra esse si annoverano: il morbo di Alzheimer, con
aumento del contenuto della beta-amiloide (1-42) nel tessuto cerebrale, la
Sclerosi Laterale Amiotrofica (ALS), e altre patologie meno drammatiche
ma assai debilitanti, quali la fibromialgia e seri problemi cardiovascolari
(Omura, 2006).
Secondo gli scienziati della Columbia University (Omura, 2006)
di NYC, contro la generale credenza secondo cui, quando l’asbesto si
è accumulato dentro il corpo, è difficile rimuoverlo e che è necessaria
una lunga latenza (anche più di quindici anni, talora fino a quaranta)
per sviluppare il mesotelioma pleurico, i dati recenti dimostrano che in
meno di cinque anni (dall’11 settembre 2001 al 15 maggio 2006), diverse
persone che lavoravano vicino al Ground Zero reliquato del crollo delle
Torri Gemelle del World Trade Center sono morte a causa di mesotelioma
pleurico (Omura, 2006). È stato dimostrato che hanno assunto fibrille di
asbesto e nanotubi di carbonio (Wu et al., 2010). Il medesimo gruppo di
ricerca (Omura, 2006) ha riferito che l’azione patogena dell’asbesto comporta l’aumento della sua concentrazione nei tessuti, da un valore basale
di 5 μg nei tessuti normali a 0,2-0,6 mg (talora a 2,0 mg) espressa in unità
BDORT (Bi-Digital-O-Ring-Test) (Omura, 2006), accompagnato dalla drastica diminuzione del telomero delle cellule normali e dall’incremento
del telomero delle cellule cancerose.
66
A questo punto occorre dare due precisazioni. 1) Il BDORT consiste
in una prova in cui un anello formato con apposizione energica del pollice di una mano con una delle altre dita della stessa mano (2o, 3o, 4o, 5o) è
aperto per il rilassamento della tensione muscolare del soggetto esaminato, dovuto al fenomeno della risonanza con l’identità e la quantità della
specie molecolare evocata dall’esaminatore che, da parte sua, opera una
sollecitazione per il rilascio dell’anello bidigitale (cfr. BDORT, in Internet.) 2) Il telomero è la regione terminale dei cromosomi lineari composta di DNA altamente ripetuto, che non codifica per alcuna proteina, ma
che ha un ruolo importante nell’evitare la perdita d’informazioni durante la duplicazione dei cromosomi, un danno che, tra l’altro, caratterizza il
fenomeno dell’invecchiamento. Nel corso degli ultimi anni, gli scienziati
della Columbia University hanno elaborato e collaudato una combinazione di cinque agenti terapeutici mutualmente compatibili (cilantro,
amoxicillina, acidi grassi poli insaturi, sostanza zeta e acido caprilico) che
riescono a ridurre i livelli nei tessuti sia dell’asbesto sia dei metalli pesanti
e dei microrganismi che hanno una funzione sinergica col minerale nocivo; alla rimozione degli agenti patogeni dal tessuto fa seguito il loro ritrovamento nell’urina (Omura et al., 2010b). Risultati analoghi, soprattutto
rispetto alla bilancia dei telomeri, sono ottenuti somministrando DHEA
(deidrossiepiandrosterone, un ormone naturale il cui livello diminuisce
in condizioni patologiche) (Omura, 2006), oppure applicando cicli di
stimolazione elettrica transcutanea nella regione infrapatellare delle ginocchia mediante un emettitore d’impulsi, di frequenza pari a quella cardiaca [circa 60 Hz], trasmessi con un elettrodo di superficie fatto in casa
(Omura et al., 2010b). Concludendo, si può dire che, essenzialmente,
Yoshiaki Omura e collaboratori hanno elaborato e collaudato un procedimento non invasivo per l’individuazione qualitativa e quantitativa
sia dell’asbesto sia di tutti gli altri agenti chimici patogeni descritti in
precedenza, capaci di svolgere un’azione sinergica – contribution, secondo
la terminologia di Y.O. - con il minerale cancerogeno.
Parallelamente a queste ricerche, gli autori hanno dimostrato i rischi
per la salute (vulnerabilità del cuore, per eccesso di troponina I, e calo
delle difese contro il cancro) connessi con l’abitudine di indossare anelli
sulle dita della mano sinistra e/o bracciali metallici sul polso sinistro.
67
L’azione nociva dipenderebbe dalle correnti elettriche continue che lambiscono le regioni dell’arto superiore sinistro in cui sono localizzate le
linee di rappresentazione del cuore, soprattutto del fascio di conduzione
di esso (Omura et al., 2010a). Apparentemente, la ricerca sugli effetti
degli anelli alle dita della mano sinistra potrebbe sembrare superflua nei
confronti delle azioni patogene vere e proprie dell’asbesto se non si tenesse conto che uno degli organi direttamente suscettibili alla patologia
da asbesto è proprio il cuore. A questo punto s’impone di integrare la
presente trattazione con una rassegna sinottica dei riferimenti bibliografici delle ricerche sulle patologie causate dall’asbesto distinguendo le localizzazioni extratoraciche da quelle toraciche. Questo approfondimento è
più che necessario per il fatto che ancora oggigiorno molti ricercatori, tra
cui anche epidemiologi e/o responsabili della tenuta di registri-tumori,
correlati con l’esposizione ad asbesto, ignorano, o non si curano, delle
neoplasie a localizzazione extra-toracica. Tanto meno costoro considerano molte altre affezioni degenerative, non tumorali, provocate dall’asbesto. Un fattore aggiuntivo che comporta la sottostima della frequenza
delle patologie correlate da asbesto consiste nello “strabismo” degli epidemiologi, generalmente affetti da uno spostamento dell’asse visivo che
li porta a contare le patologie lavorative, magari solo quelle con pedigree,
e attenzionano quelle del cittadino esposto al minerale nell’ambiente
domestico o d’ambiente di vita. La conseguenza di quest’approccio, di
tipo medievale, è che il conteggio de jure delle vittime dell’asbesto è assai
inferiore di quello de facto, il vero.
Una ricerca bibliografica eseguita di recente con la collaborazione del
Polo Biologico della Biblioteca Centralizzata di Medicina di Torino ha
dato i seguenti risultati:
Patologie tumorali extra-toraciche: Cervello (Robinson et al., 1999;
Omura,2006; Graziano et al., 2009; Reid et al., 2012); Colecisti (Moran,
1992); Colon-retto (Bianchi et al., 2007; Manzini et al., 2010; Reid et al.,
2012); Tessuti Emolinfopoietici (Robinson et al., 1999; Omura, 2006;
Bianchi et al., 2007; Graziano et al., 2009; Reid et al., 2012); Esofago
(Kanarek, 1989; Omura, 2006); Laringe- Lingua (Omura, 2006; Manzini
et al., 2010); Mammella (Selikoff, 1974; Feigelson et al., 1996; Paura et
al., 1996; Robinson et al., 1999; Omura 2006 & 2010); Ovaio (Heller et
68
al., 1996; Heller et al., 1999); Pancreas (Moran, 1992; Kanarek, 1989);
Peritoneo (Moran, 1992; Heller et al., 1999; Pavone et al., 2012); Prostata
(Moran, 1992; Feigelson et al., 1996; Stellman et al., 1998; Robinson et
al., 1999; Koskinen et al., 2003; Bianchi et al., 2007; Reid et al., 2012);
Rene (Bianchi et al., 2007); Stomaco (Kanarek, 1989; Moran, 1992); Testicolo (Manzini et al., 2010); Tiroide (Manzini et al., 2010); Vagina- Vulva
(Pukkala & Saarni, 1996); Vescica (Bianchi et al., 2007; Graziano et al.,
2009; Manzini et al., 2010; Pavone et al., 2012). Patologie tumorali localizzate nel torace: Pleura (Robinson et al., 1999; Koskinen et al., 2003;
Graziano et al., 2009; Bayram et al., 2012; Reid et al., 2012); Polmone (Selikoff, 1974; Moran, 1992; Robinson et al., 1999; Koskinen et al., 2003;
Graziano et al., 2009). Patologie degenerative, non tumorali: Cuore (Miocardiopatia) (Omura, 2006; Reid et al., 2012); Sistema nervoso centrale (morbo di Alzheimer & autismo) (Omura, 2006); (Sclerosi Laterale
Amiotrofica) Omura, 2006).
Recentemente, la ricerca biomedica ha anche dimostrato che un difetto genomico (polimorfismo di geni) sta alla base di un incremento della
suscettibilità di certi soggetti (predisposti) all’azione cancerogena del minerale (Feigelson et al., 1996; Dianzani et al. 2006). È d’obbligo, con la
presente opera, segnalare al lettore di aver udito un cultore di pandette,
molto più bravo nel suo campo specifico che in medicina legale, che,
secondo lui, gli autori della ricerca del 2006 potevano essere in confitto d’interessi perchè finanziati da imprenditori del ramo dell’asbesto e
produttori di dati scientifici atti a indurre il giudice a far carico alla vittima dell’asbesto la sua stessa predisposizione congenita, ergo concedendo un’attenuante per il datore di lavoro omicida. Tuttavia, il buonsenso
che ispira il Green Man, in funzione di difensore civico (cfr. Appendice
V), suggerisce di considerare un cittadino, lavoratore o non, predisposto geneticamente a non difendersi contro l’azione cancerogena dell’asbesto come una pistola con proiettile in canna e con sicura inattivata;
l’arma non sparerà mai fino a che qualcuno non prema il grilletto: quel
qualcuno non potrà essere che il padrone del bovino che uccide – non
ignaro del rischio ma che non isola l’animale pericoloso. La citazione
scritturale di Lilienfeld (1991) non lascia dubbi riguardo alla colpa e/o
al dolo dell’imprenditore e del reggitore della cosa pubblica responsabile
69
dell’esposizione di cittadini al minerale nocivo. D’altra parte, non è un
mistero che a una discreta percentuale dei professionisti che si dedicano
ai problemi legali derivati dalla perdita della salute – malattia e morte - è
tuttora permesso dalle istituzioni pontificare sul tema anche quando, al
loro curriculum accademico, mancano le nozioni basilari di medicina
legale: è scontato che costoro potrebbero non saper distinguere il proctodeo dallo stomodeo, con le conseguenze del caso.
c) Politiche mondiali e nazionali riguardo la nocività da asbesto
Riguardo alla politica mondiale che ha regolato i rapporti tra lo sfruttamento commerciale dell’asbesto da parte degli imprenditori e la tutela della salute dei lavoratori, l’avventura si è dipanata esclusivamente in
modo inumano e crudele, favorendo il guadagno di pochi a danno della
salute e della vita di molti (sfruttamento dell’uomo sull’uomo). Ciò è
avvenuto già dagli albori, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Il brevetto
Eternit® data dal 1901, e da quel tempo, l’umanità ha perduto più di
un secolo, quanto alla salute, alla qualità della vita, e alla vita stessa, ma
sempre e solo a vantaggio pecuniario degli imprenditori; i lavoratori sono
stati considerati sempre “carne da macello”, mai protetti per davvero nè
dagli animalisti nè dai sindacati. L’imprenditoria, agli esordi, ha avuto la
colpa di supportare le ricerche scientifiche che hanno evidenziato oggettivamente la nocività dell’asbesto, ma i cui risultati sono stati occultati
dolosamente dai committenti stessi, con la conseguenza dell’insorgenza
di estese patologie tra i lavoratori, tra i loro familiari, e tra molti cittadini comuni esposti al minerale nell’ambiente di vita (Lilienfeld, 1991;
Abrams, 1992).
Una pubblicazione di Lilienfeld (1991) è molto cruda e chiara su
questi aspetti inumani. Quest’autore ha anche il pregio di esser ricorso
agli insegnamenti scritturali per suggerire al braccio secolare della legge
un modello ottimale di pena per i colpevoli, non tanto per aggiungere
crudeltà a crudeltà, ma soprattutto per rendere meno remunerativa la
violazione sistematica delle misure preventive - una prassi abusata per ridurre i costi di produzione ed incrementare il profitto dell’imprenditoria
- quindi con una apprezzabile capacità preventiva.
70
d) Rischi plurimi nell’impiego dell’asbesto nelle pratiche e criticità
ambientali da asbesto per gruppi di lavoratori
Del resto, anche Abrams (1992) mise a fuoco molte e gravi pratiche
in concorso tra imprenditori e sanitari collusi per occultare e/o censurare i risultati scientifici che dimostravano la cancerogenicità dell’asbesto,
come quelli ottenuti da Leroy Gardner, tanto da concludere il suo articolo con l’epilemma “quante vite umane sarebbero state risparmiate se quei
risultati scientifici non fossero stati pubblicati, previa censura, con trent’anni di
ritardo”. In tempi più recenti, le maglie di questa rete perversa di occultamento sono divenute meno serrate, e qualche medico, qualche giudice,
raramente, ha squarciato il velo di omertà. Tuttavia, per decenni, la sete
di potere e di guadagno degli imprenditori ha usufruito della complicità
esterna dell’ignoranza, passiva e/o attiva, di un numero consistente di
medici, di consulenti tecnici, di legali, di giudici, di funzionari delle amministrazioni pubbliche, di detentori del potere esecutivo e/o di quello
legislativo, mentre le vestali del quarto potere, con loro silenzi e con loro
bugie, hanno frequentemente fuorviato ed ingannato l’opinione pubblica (Ugazio, 2011; Ugazio, 2012 cap VII). Così l’umanità ha perduto quasi
un secolo, immersa nei rischi da asbesto. Il risultato algebrico complessivo di questa cordata intermedia tra ambiente e salute è stato fallimentare
per il benessere di milioni di esseri umani. In cambio del salario, troppi
hanno perso la vita, o sono vissuti male. Nello stesso tempo, troppi, tra
le pedine della cordata d’interfaccia, hanno lucrato sui malanni dei lavoratori e dei cittadini prodotti dalla trascuratezza, voluta, delle norme di
prevenzione dei rischi ambientali. Poi, a metà del XX secolo, 1943, leggi
del periodo fascista hanno stabilito un prezzo della vita o della salute
compromessa dall’esposizione occupazionale all’asbesto. Esse sono sembrate provvidenziali, in realtà hanno solo stabilito un prezzo risarcitorio
alla “carne da cannone”, dando anche la stura alla bagarre remunerativa
della litigation legale a pro degli addetti ai lavori, molto meno per i superstiti delle vittime del “progresso”.
Detto questo sul passato (ieri) e sul presente (oggi) dell’avventura asbesto nel mondo e nel Belpaese, si può passare a considerare le prospettive
per un ipotetico “domani”. Per il resto del mondo, basti tener conto che
un gruppo di paesi continua imperterrito a ricavare amianto dai giaci-
71
menti in loro possesso, a macinarlo, e a trasformarlo in manufatti, vendendoli poi allo scopo di ricavarne guadagni non trascurabili. Si tratta
di: Russia, Repubblica Popolare Cinese, Kazakhistan, Canada, Brasile,
Sudafrica, lndia, Polonia. Tutto ciò avviene in spregio, non del dictum di
una norma che non li riguarda [L. 257/92], ma almeno della sua ratio,
che potrebbe fare tanto bene a tutti: il bando mondiale dell’asbesto rimane un sogno, e l’umanità sta pagando e pagherà l’elusione di questo principio. Però, l’avventura asbesto non è ancora finita. Dal mondo globale
alla nostra penisola, nonostante la succitata L. 257/92, anche l’uomo
della strada, guardandosi intorno, si accorgerebbe che le prospettive che
non ci sia un domani d’asbesto siano flebili (Ugazio, 2012). Il nostro
greenman vedrebbe: 1) la prossima dispersione di quantità industriali di
fibrille dallo smarino del tunnel per il TAV a “favore” di 90.000 Valsusini + 900.000 Torinesi posti sotto vento dell’opera ciclopica; 2) l’affioramento di asbesto dalla roccia ofiolitica posta come sottofondo della
pavimentazione stradale d’asfalto in alcune vie cittadine di Cecina; 3) la
“messa in bonifica” dei rivestimenti esterni – d’asbesto - dell’insediamento abitativo detto “Le White” di Rogoredo (MI) eseguita contro ogni più
doverosa ed elementare norma di precauzione, secondo le testimonianze
di ex-inquilini degli edifici; 4) l’erogazione dell’acqua “potabile” da una
parte della rete idrica del comune di Alessandria che è fatta di tubazioni
di Eternit®. E questa è solo la punta dell’iceberg asbesto nel nostro paese,
che ha dimensioni incalcolabili. Questo e altro infirmano la prevenzione
primaria dei rischi di un potente cancerogeno per i nostri nipoti (Ugazio,
2011; Ugazio, 2011 cap VII).
e) Aspetti risarcitori dei danni da asbesto
Tenendo conto dei ritardi con cui l’istituzione pubblica, incaricata
di erogare benefici finanziari alle vittime dell’asbesto o ai loro superstiti,
quale estremo intervento risarcitorio, dopo la riscossione avvenuta dei
contributi a spese del prestatore d’opera, il nostro greenman potrebbe domandarsi quanto tempo dovrà trascorrere prima che l’I.N.A.I.L. voglia
capire che la sua tabella attuale: Mesotelioma pleurico; Mesotelioma pericardico; Mesotelioma peritoneale; Mesotelioma della tonaca vaginale
del testicolo; Carcinoma polmonare; Asbestosi; Fibrosi polmonare]; deve
72
essere integrata dalle seguenti patologie: Tumori della laringe (Chen et al,
2012) Tumori maligni del cervello (astrocitoma, glioblastoma multiforme); Tumori all’ovaio; Tumori della mammella; Tumori dell’esofago; Tumori del colon Tumori della vescica; Sclerosi Laterale Amiotrofica; Morbo di Alzheimer e autismo; Fibromialgia e dolori intrattabili, Pollachiuria
e Incontinenza urinaria; Prurito incoercibile; Linfomi, Plasmocitomi,
Linfoma non Hodgkin; Leucemia linfocitaria B, il cui nesso eziologico
con l’esposizione ad asbesto data già da diversi anni (Omura, 2006). Una
relazione tra l’asbesto e gravi condizioni cliniche di cardiopatia è stata
proposta di recente nella letteratura scientifica (Omura, 2006; Chen et al,
2012). Questa mancanza potrebbe anche causare un increscioso ritardo
del risarcimento postumo della vita delle vittime dell’asbesto.
f) Auspici per un approccio più serio ed efficace per l’asbesto
L’estensione della tabella delle affezioni morbose provocate dall’asbesto che sono ora risarcibili dalla struttura pubblica assicuratrice, come
adempimento di compiti istituzionali, o a seguito di litigation, dovrebbe
essere applicata anche dalle altre istituzioni che si applicano alla protezione della qualità della vita e della salute dei cittadini.
Tutto ciò vale per la prevenzione primaria dei rischi dell’inquinamento ambientale da asbesto. In ordine cronologico, tali interventi dovrebbero comprendere: 1) censimento accurato, con la tecnica del telerilevamento, di tutti i manufatti contenenti il minerale cancerogeno esposti
all’aperto (lastre di Eternit®), 2) censimento dell’estensione delle tubature in Eternit® nelle reti idriche per distribuzione dell’acqua portabile negli 8092 comuni italiani, 3) rimozione, eseguita a regola d’arte, con la più
completa protezione dell’ambiente e dei prestatori d’opera, dei manufatti
contenenti asbesto rilevati negli interventi di cui ai punti precedenti, 4)
messa in bonifica dei relativi materiali di risulta mediante nuove tecnologie (compresa l’inertizzazione termica del minerale cancerogeno), con
sostituzione delle lastre di copertura con pannelli fotovoltaici (punto 1)
e con tubature di materiali inerti (punto 2), 5) valutazione accurata dello
stato di conservazione dei manufatti contenenti asbesto con conteggio
delle fibre disperse negli ambienti di vita e di lavoro.
Nel proseguimento di questa prima fase, i responsabili della salute
73
dei cittadini dovranno estendere il pacchetto di affezioni morbose causate dall’esposizione occupazionale o extra lavorativa alle fibrille d’asbesto
(riportate in extenso in precedenza) 6.1) la prevenzione primaria, anche
evitando ogni possibile condizione di sinergismo e/o di potenziamento
tossicologico, 6.2) la diagnosi precoce, impiegando tutti gli indicatori biologici di esposizione e di danno, 6.3) la sorveglianza sanitaria, a beneficio
sia dei lavoratori e dei loro compagni di vita, sia dei cittadini potenzialmente esposti in ambiente di vita, 6.4) l’istituzione e la tenuta regolare
degli appositi registri regionali specifici per ciascuna delle affezioni sopra
elencate, oltre ai tumori. È indiscutibile che il nostro uomo-della-strada,
alias green-man, possa pretendere che nessuno degli addetti ai lavori si
macchi del conflitto d’interessi: con la salute non è lecito scherzare, la
citazione scritturale di Lilienfeld (1991) al proposito è molto eloquente.
Soprattutto è d’obbligo la prevenzione primaria, con “rischio zero”, del
cancerogeno asbesto.
g) Note d’approfondimento sul domani dell’asbesto
Nel considerare le prospettive del DOMANI dell’avventura asbesto,
una delle condizioni ambientali più grevi di conseguenze per la salute
è costituita dalla probabile dispersione nell’ambiente dello smarino di
risulta dello scavo programmato per il passaggio del TAV che collegherà
Torino a Lione. Questo DOMANI è stato messo in rapporto con la situazione PRESENTE, paragonando l’inquinamento futuro della valle di
Susa e della provincia di Torino a quello di fondo del resto del territorio
nazionale. PRESENTE. Nel 2007, sono stati censiti 8 x 106 m2 di lastre
di Eternit® sparse su tutto il territorio nazionale (circa 301.777 km2) abitato da circa 60 x 106 Italiani. Le lastre di Eternit® hanno uno spessore
di circa 0,5 cm, da cui deriva l’ammontare di 40.000 m3, posta la densità
dell’asbesto nell’Eternit® pari a 1,69 g/cm3, il suolo del Belpaese sarebbe
coperto da un totale di 67.600 [t] / 301.777 km2 = 0,224 [t] / km2.
FUTURO. La canna del tunnel per il TAV è lunga circa 57 km (57.000
m), ha un diametro di circa 10 m, con la superficie della sezione pari a 52
m x 3,14 = 78,5 m2. Il volume dello smarino rimosso e disperso potrebbe
essere pari a 1.474 x106 m3. Giacché la perizia dei geologi dell’Università
di Siena, depositata nel 2003, faceva ammontare la concentrazione me-
74
dia di asbesto nella roccia del monte Rocciamelone a qualche percento
(verosimilmente tra 2 e 3%), questo parametro potrebbe equivalere a circa il 2,5%. Pertanto, l’asbesto dello smarino esposto avrebbe un volume
di 111.850 m3, pari a 29.032 [t], tenuto conto della densità dell’asbesto
= 2,45 [t] / m3. Questa massa di asbesto interesserebbe una superficie di
circa 8.090 km2 propria della valle di Susa e della provincia di Torino. Il
carico specifico d’inquinamento da asbesto ammonterebbe a 3,588 [t] /
km2, ben più di un ordine di grandezza rispetto alla media del territorio
nazionale, con le prevedibili conseguenze per la qualità dell’ambiente e
per le condizioni di salute della popolazione locale (90.000+ 900.000
Torinesi) per altro potenzialmente esposti alle fibrille minerali sospinte
dai venti occidentali che costantemente soffiano da ovest a est. Fermo
resta che l’interesse per gli aspetti scientifici dei problemi sanitari che potranno sorgere in futuro come conseguenza dello scavo nel Rocciamelone
non obbedisce a pulsioni regionalistiche: in questo momento storico, mi
occupo dell’asbesto del TAV come si comporterei per qualunque altro
insediamento produttivo, in Italia e nel mondo, che fosse teatro di crudele sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Infatti, quest’approccio è rivolto
anche alle conseguenze ecologico-sanitarie della produzione dell’acciaio
a Taranto, in dispregio di ogni più elementare norma di prevenzione e di
precauzione, e perfino anche degli interventi della magistratura. Va da sé
che i cittadini e i lavoratori del posto sono, de facto, le cavie di un imponente laboratorio tossicologico umano a cielo aperto, per l’edificazione
del PIL nazionale, senza nemmeno l’applicazione del dictum e della ratio
della legge di protezione degli animali – nè quelli d’affezione, nè quelli
sperimentali (L. 281/91 & 189/04).
Data l’importanza dell’argomento e con l’intento di ridurre se non
eliminare i rischi provocati dall’esposizione ad agenti cancerogeni, all’amianto e alle altre sostanze dannose per la salute nei luoghi di lavoro, ho
presentato, alla Camera dei Deputati, una proposta di legge, la n. 3426,
della quale ne riporto integralmente il testo:
75
1
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 3426
PROPOSTA DI LEGGE
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
SCILIPOTI, BOCCIA, BUCCHINO, CAMBURSANO, CATONE, CIMADORO, DI GIUSEPPE, DI STANISLAO, D’INCECCO, EVANGELISTI,
FADDA, FAVIA, FERRARI, GIULIETTI, GRAZIANO, LAGANÀ FORTUGNO, MIGLIOLI, MOSELLA, NARO, NIZZI, OLIVERIO, LEOLUCA
ORLANDO, PALADINI, PALAGIANO, PALOMBA, MARIO PEPE (PD),
PIFFARI, ROSSA, RUGGHIA, SCALERA, SERVODIO, STRIZZOLO,
NUNZIO FRANCESCO TESTA, TORRISI
Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di eliminazione dell’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni, all’amianto e alle
altre sostanze dannose per la salute nei luoghi di lavoro
Presentata il 26 aprile 2010
Onorevoli Colleghi ! — Sono in
continuo aumento i casi di malattie professionali legate da nesso di causalità con
l’esposizione ad amianto e ad altri agenti
cancerogeni negli ambienti lavorativi e in
quelli di vita. Questo stato di cose rende
necessario privilegiare, sulla prevenzione
secondaria (legata a pregresse esposizioni),
quella primaria, l’unica effettiva ed efficace, fondata innanzitutto sul presupposto
2
della consapevolezza dei rischi e della necessità di ridurli a zero. Infatti, quando un
tumore o altre gravi patologie si sono già
manifestati, anche una loro diagnosi precoce è comunque tardiva, in quanto vi sono
già la lesione gravissima dell’integrità psico-fisica ed il rischio concreto della sua irreparabilità, come, tra l’altro, la drammatica
elencazione dei malati e dei morti dimostra
in modo lampante.
Ogni anno sono migliaia i lavoratori
che perdono la vita o che lottano contro
il cancro tra atroci sofferenze e pene anche
per i familiari.
Questo stato di cose è inaccettabile.
Il caso più significativo è quello del mesotelioma pleurico: una volta diagnosticato
le speranze di vita si riducono a sei mesi.
S’impone, pertanto, la necessità di una
prevenzione primaria, perché la comparsa
dei sintomi, che avviene dopo trenta anni
circa dall’esposizione, nei fatti non rende
possibile, il più delle volte, alcuna via d’uscita e generalmente, come si è già evidenziato, precede di pochi mesi l’exitus.
Non meno drammatiche sono le conseguenze legate ad altre patologie, sempre
determinate dalla esposizione ad agenti
patogeni negli ambienti lavorativi e negli
ambienti di vita.
Ne è ulteriore esempio la sensibilità
chimica multipla (MCS o TILT), causata
dall’esposizione ad agenti nocivi ambientali, proporzionale al progresso dissennato
dei tempi moderni, altrettanto devastante
e con un esordio di tipo « terminale », cioè
irreversibile.
Anche in questo caso è necessario attuare la prevenzione primaria, rendendo
- N. 3426
salubri gli ambienti abitativi e quelli lavorativi, senza voler negare la giusta importanza
che assume la prevenzione secondaria che,
suggerita dall’insorgenza dei primi sintomi,
permette per lo meno di evitare le esposizioni dannose, rallentando o arrestando
la perdita della tolleranza nel 10 per cento
dei soggetti predisposti nella popolazione
generale.
Soltanto con il valore limite pari a zero
per l’amianto e per qualsiasi altro agente
cancerogeno e patogeno si possono tutelare la salute e l’incolumità psico-fisica dei
cittadini e dei lavoratori.
I limiti di legge non hanno alcuna validità scientifica e sono creazioni legislative
che non hanno nella scienza alcun fondamento e che, inoltre, hanno l’unico fine di
permettere l’utilizzo di queste sostanze patogene ai fini del profitto, subordinandovi
la salute umana.
Queste soglie sono parametri privi di
realismo e troppo spesso svianti. Per esempio, si può citare un alogenocomposto organico, il tetracloruro di carbonio (CCl4).
Si tratta di un prodotto della chimica fine,
un precursore di basso costo per un gruppo
di molecole di largo impiego e, tra l’altro,
è sintetizzato anche in natura nella stratosfera a opera delle radiazioni cosmiche capaci di condensare carbonio e cloro e può
incrementare il buco della coltre di ozono
causato dall’inquinamento antropogeno.
Un tempo questa molecola era usata come
solvente per estrarre i grassi da materiali
vegetali, così come per sgrassare manufatti metallici, ma soprattutto come estintore
di incendio, da un lato, e come pesticida
(antiparassitario), dall’altro. Il CCl4, da
3
quando fu iscritto come tenifugo nella farmacopea umana e veterinaria negli anni
venti e usato in medicina come tale, provocò ben presto serie preoccupazioni per i
suoi effetti avversi sulla salute (fegato, rene
e pancreas). Tuttavia ebbe applicazioni,
costantemente nocive, ubiquitariamente,
nei tre settori produttivi: primario, secondario e terziario. Da quel tempo si innescarono due filoni paralleli delle attività
scientifica e regolamentativa, a proposito
di questa molecola tanto perversa quanto
profittevole. Il primo scoprì il meccanismo
d’azione della sua nocività, che dipende
dalle trasformazioni metaboliche produttrici dei radicali liberi molto reattivi e dotati
di potere pro-ossidante, causa dell’irrancidimento dei grassi insaturi e dei fenomeni
fondamentali dell’invecchiamento delle
cellule e dei tessuti del nostro organismo.
Per esempio, il fegato risulta avvelenato
e ne consegue insufficienza funzionale,
steatosi, necrosi e cirrosi, mentre il rene è
colpito fino alla conseguenza terminale del
rene grinzo, preludio dell’emodialisi o del
trapianto dell’organo.
La diffusione di queste malattie (la prevalenza epidemiologica) nella popolazione,
così come la gravità e l’irreversibilità delle
lesioni, dipendono dall’efficienza funzionale delle strutture cellulari deputate alle
trasformazioni metaboliche del CCl4, i microsomi delle cellule parenchimali (fegato,
rene, pancreas, surrene eccetera). A sua volta, tale fenomeno può essere influenzato
da fattori esogeni (xenobiotici), quali molti
farmaci (barbiturici), oppure componenti
alimentari (alcol). Ecco perché i limiti di
legge stabiliti per ciascun agente nocivo
- N. 3426
possono risultare privi di significato concreto per la tutela della salute. Per decenni
l’esposizione ad agenti nocivi nei luoghi di
lavoro è stata inquadrata nella cornice del
cosiddetto « gruppo omogeneo », basata
sui livelli di concentrazione ambientale,
sulla durata, sulla qualità del microclima e
così via. Tale metodo potrebbe anche essere adeguato, ma a patto che un gruppo di
lavoratori fosse composto da soli maschi o
da sole femmine e con tutti i soggetti nelle
medesime condizioni metaboliche, per età
e per l’assunzione di xenobiotici capaci di
influenzare le risposte individuali. Ma nella realtà sociale e lavorativa la casualità e le
esigenze di vita portano a mettere insieme
un gruppo di lavoratori del tutto eterogenei, quanto alle prerogative suddette, che
biologicamente sono tutt’altro che un «
gruppo omogeneo ». Solo uno scienziato
sprovveduto o minus habens formerebbe un
gruppo sperimentale, assemblando maschi
e femmine, giovani e anziani, che non assumono xenobiotici, ma sono dipendenti
da farmaci o alcol. Per esempio, alla manovia di un calzaturificio potrebbero lavorare
fianco a fianco una giovane che combatte
con antidolorifici i dolori mestruali, conseguenza di un’eventuale endometriosi
causata dall’esposizione alla diossina (che
provoca danni al fegato) e un anziano che
sopporta bene il bicchiere di vino bevuto
durante il pasto (con un’alterazione metabolica) insieme con soggetti adulti, normali
e con valori medi per quanto concerne le
loro attività metaboliche.
I limiti di legge dettati dagli organismi
regolatori che, nel caso del CCl4 e di altri
veleni, sono denominati « maximum allowed
4
concentration » (MAC) possono risultare
privi di qualunque predittività e di potere
preventivo. A maggior ragione questo deve
essere applicato agli agenti cancerogeni: del
resto, la letteratura scientifica riporta da decenni il suggerimento di uno scienziato (R.
Truhaut, tossicologo industriale francese,
1980) secondo cui per questo tipo di veleni, cioè i cancerogeni chimici, si impone il
rischio zero. Pertanto, anche il nostro « killer » silenzioso (amianto) non può non far
parte di questo gruppo.
Altri fenomeni biologici e ambientali
possono alterare, in senso peggiorativo, la
cancerogenesi dovuta all’amianto. Come
è ampiamente illustrato in sede scientifica
(professor Ugazio Giancarlo, « Compendio », Minerva Medica, Torino, 2007) sia
il sinergismo tossicologico – che dipende
dall’esposizione a diversi agenti nocivi
compresenti – sia il potenziamento tossicologico – che fa seguito all’induzione
degli enzimi metabolizzanti – provocano
un incremento della morbilità (più gente
si ammala dopo la stessa esposizione) e un
peggioramento della qualità di vita, nonché
una riduzione dell’aspettativa di vita. In
sintesi: ci si ammala di più e più gravemente e si vive di meno.
Al fine di dimostrare la necessità di
un intervento legislativo, si considerino i
meccanismi di azione basilari dell’amianto quando esso esplica i suoi effetti cancerogeni. Il minerale amianto, costituito
da silicati, è generalmente conformato in
finissime fibrille, che, tra l’altro, hanno
anche la proprietà di poter essere filate e
tessute, di non bruciare alla fiamma e di
svolgere una funzione di coibentazione del
- N. 3426
rumore e della temperatura. L’edilizia, nelle
costruzioni e nelle ristrutturazioni, è il più
severo inquinatore di amianto, sebbene
altre attività produttive non siano trascurabili. Come sempre, il materiale nocivo
può esporre sia il lavoratore sia la gente
comune nell’ambiente extra-lavorativo in
tutti i tre momenti della vita del manufatto
contenente il minerale killer: 1) la preparazione del manufatto; 2) la fruizione di esso
nelle strutture edili; 3) lo smaltimento di
esso alla fine del ciclo vitale. Nello specifico, conoscono molto bene i rischi della
preparazione della mescola di amianto e di
cemento i lavoratori superstiti delle fabbriche di eternit, mentre non sono altrettanto
chiaramente noti i rischi dello sfaldamento di una tettoia di eternit, oppure di un
pannello di coibentazione in un edificio
a struttura metallica, così come di una carrozza ferroviaria, mentre, infine, è chiaro a
tutti, tranne che a coloro che non vogliono « vedere », la pericolosità delle enormi
quantità di manufatti disusati e « messi in
sicurezza » mediante insaccamento in fragili
sacchi neri di cloruro di polivinile (PVC)
destinati a rompersi ed a rilasciare nell’ambiente le fibrille del minerale killer, che si
diffondono dalle discariche di stoccaggio.
La sommatoria finale di tutte queste situazioni porta alla diffusione ubiquitaria delle
fibrille di amianto: nell’aria che respiriamo,
nei cibi che mangiamo, nell’acqua che beviamo. L’essere umano, analogamente agli
animali sinantropici, può inalare, mangiare
o bere i microscopici filamenti del minerale. La mucosa dell’apparato respiratorio,
nel primo caso, e quella del tubo gastroenterico, per i cibi e per le bevande, sono
5
rispettivamente la porta di ingresso della fibrilla killer nel nostro organismo. Al di là di
questa barriera strutturale e funzionale, più
o meno facilmente superabile, le fibrille
entrano in circolo: quello ematico, proprio
del sangue, o quello linfatico, percorso dalla linfa. Grazie alla circolazione le fibrille
killer possono spostarsi a distanza dal punto
di ingresso e infine localizzarsi casualmente
in molti tessuti dell’organismo, in modo assai differente da quello che caratterizza altri
veleni inorganici (idrosolubili) od organici
(liposolubili) la cui localizzazione può essere condizionata da queste caratteristiche
chimico-fisiche. Gli organi in cui si trovano più frequentemente i corpuscoli dell’asbesto, microscopici granulomi che sono
espressione della reazione locale contro le
fibrille, sono: cervello, polmone, pleura,
tiroide, fegato, pancreas, rene, surrene,
cuore, milza e prostata. È da notare che la
localizzazione a livello del polmone o della pleura non avviene per contiguità dalla
porta d’ingresso, ma ad essa s’interpone
il trasferimento attraverso il circolo, come
rilevato in precedenza. Questi fenomeni
biologici sono illustrati in sede scientifica.
Un’altra lampante prova della possibilità del viaggio « circolatorio » delle fibrille
killer attraverso chilometri di vasi sanguigni
grandi e piccoli, è fornita dal fatto che altre
membrane sierose dell’organismo, diverse
dalla pleura, sono state trovate colpite da
mesotelioma. Si tratta del pericardio, del
peritoneo e della tunica vaginale del testicolo, ancorché con frequenze decisamente
minori della pleura.
Una volta localizzata in un tessuto
suscettibile di cancerogenesi, la fibrilla di
- N. 3426
amianto agisce mediante un meccanismo
perossidativo, trasformandosi dallo stato
di precancerogeno in cancerogeno attivo,
quale amianto-epossido.
Anche questi fenomeni biologici sono
documentati dettagliatamente in sede
scientifica.
Il momento primordiale della cancerogenesi da amianto, attuato per mezzo di un
epossido del minerale killer, potrebbe essere
strettamente collegato con l’equilibrio della bilancia perossidativa, tra proossidanti
e anti-ossidanti. Per esempio, tra i primi
potrebbe trovarsi il ferro inorganico, somministrato per incauta scelta iatrogena a un
paziente immaginato o trovato anemico,
sotto forma della terapia cosiddetta « marziale », tanto diffusa in questi tempi. La letteratura scientifica dà conto dei danni dovuti al sovradosaggio del ferro inorganico.
In secondo luogo, è noto che molti agenti
cancerogeni, di natura chimica o fisica,
innescano il processo della cancerogenesi
aggredendo la molecola del DNA: i primi
producono addotti molecolari, i secondi
« smagliano » direttamente la doppia elica
del DNA. La natura ci ha dotato di due
fondamentali meccanismi di difesa contro
la cancerogenesi: il primo è costituito dagli
enzimi endocellulari riparatori della molecola alterata del DNA, il secondo si basa
sulle difese immunitarie che attaccano una
cellula già cancerosa come entità biologica
non self dopo la trasformazione maligna,
in carenza relativa o in assenza della riparazione primaria descritta in precedenza.
L’equilibrio di questa bilancia tra eventi
favorevoli ed eventi sfavorevoli per la conservazione della salute dipende dalla dose
6
del cancerogeno assunto e dalla durata temporale dell’esposizione.
Nel caso dell’amianto, quanto più
elevata è la concentrazione delle fibrille
nell’aria, nell’acqua o negli alimenti, più
l’efficacia degli enzimi riparatori può essere
sopraffatta; quanto più lunga è la durata
dell’esposizione, a parità di concentrazione, tanto peggiori saranno le possibilità di
difesa. Una volta sopraffatta questa prima
barriera difensiva naturale di primo intervento, l’organismo mette in campo il sistema immunitario, deputato a « rigettare » il
tumore maligno, come farebbe se si trattasse di un tessuto eterologo trapiantato. Ma
anche in questo caso, la seconda barriera
difensiva può essere sopraffatta, sia per i
rapporti quantitativi riferiti per spiegare
l’insuccesso della prima, sia perché peculiari condizioni di stress emozionale possono
annullare le difese immunitarie, come se si
trattasse di un’immunosoppressione iatrogena, una prassi biomedica applicata sovente nel tentativo di far attecchire il tessuto
trapiantato. Due casi clinici recenti stanno
a dimostrazione di questo tipo di evoluzione: Raissa Gorbachova ed Enzo Tortora. In
entrambi, portatori di tumore maligno, lo
stress emozionale subìto ha annullato le difese e ha affrettato l’exitus.
Per comprendere meglio il « tiro alla
fune » tra gli agenti cancerogeni e le difese
- N. 3426
dell’organismo contro il cancro, si pensi a
un automobilista in autostrada che ripara
prontamente la gomma dell’automobile forate da un chiodo solitario, quale simbolo
del successo delle difese anticancro sugli
agenti cancerogeni. Al contrario, qualora la
corsia dell’autostrada fosse cosparsa da un
gran numero di chiodi, molti automezzi sarebbero in panne ogni automobilista avrebbe
grandi problemi e il traffico sarebbe bloccato. Quest’allegoria illustra con semplicità e
chiarezza il rapporto di forza tra gli agenti
cancerogeni (dose + durata di esposizione) e
i meccanismi di difesa contro il cancro (enzimi riparatori del DNA + difese immunitarie), ma, soprattutto, essa suggerisce di non
esagerare con le esposizioni nocive.
Un’autorevole conferma della drammatica condizione nei luoghi di lavoro e negli
ambienti di vita per effetto degli agenti patogeni utilizzati si è avuta nel pomeriggio
del 18 gennaio 2010, durante un importante convegno sull’amianto.
Lutti e tragedie di cittadini e delle famiglie rendono non più procrastinabile un
intervento legislativo mosso dalla necessità
di rendere effettivo e concreto il diritto alla
salute in applicazione dell’articolo 32 della Costituzione, prevedendo il divieto di
utilizzo e l’obbligo di bonifica di tutti gli
agenti cancerogeni, nonché la loro riduzione tendenzialmente o un livello pari a zero.
7
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Modifica all’articolo 234 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
1. La lettera c) del comma 1 dell’articolo 234 del decreto legislativo 9 aprile 2008,
n. 81, è sostituita dalla seguente:
- N. 3426
« 3. Il datore di lavoro, in relazione ai risultati della valutazione di cui al comma 1,
rimuove e non utilizza agenti cancerogeni
e altre sostanze dannose per la salute e comunque adotta le misure preventive e protettive del presente capo, adattandole alle
particolarità delle situazioni lavorative ».
Art. 4.
(Modifiche all’articolo 237 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
« c) valore limite: il limite della presenza di un agente cancerogeno o mutageno
1. Al comma 1 dell’articolo 237 del denell’aria, rilevabile entro la zona di respira- creto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono
zione di un lavoratore ».
apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera a) è sostituita dalla seguente: « a) assicura, applicando metodi e proArt. 2.
cedure di lavoro adeguati, che nelle varie
(Modifiche all’articolo 235 del decreto legislati- operazioni lavorative non siano impiegati
vo 9 aprile 2008, n. 81).
agenti cancerogeni o mutageni »;
1. All’articolo 235 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le
seguenti modificazioni: a) al comma 1, le
parole: « evita o » sono soppresse e le parole: « , se tecnicamente possibile, » sono
sostituite dalla seguente: « sempre »;
b) i commi 2 e 3 sono abrogati.
Art. 3.
(Modifica all’articolo 236 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
b) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
« b) assicura che nessun lavoratore rimanga esposto ad agenti cancerogeni o mutageni, provvedendo alla loro rimozione,
ovvero all’isolamento delle lavorazioni in
aree predeterminate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza,
compresi i segnali di “vietato fumare”, e
accessibili soltanto ai lavoratori che devono recarvisi per motivi connessi con la loro
mansione o con la loro funzione, muniti di
adeguati sistemi individuali di protezione.
In tale aree è fatto divieto di fumare »;
1. Il comma 3 dell’articolo 236 del dec) alla lettera c), le parole: « Se ciò non
creto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, è sosti- è tecnicamente possibile, l’eliminazione
tuito dal seguente:
degli agenti cancerogeni o mutageni deve
- N. 3426
8
avvenire il più vicino possibile al punto di
1. Al comma 1 dell’articolo 251 del deemissione mediante aspirazione localizzata, creto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono
nel rispetto dell’articolo 18, comma 1, lette- apportate le seguenti modificazioni:
ra q) » sono soppresse;
a) all’alinea, le parole: « la concentrad) la lettera i) è sostituita dalla seguente: zione nell’aria della » sono sostituite dalla
seguente « la » e le parole: « deve essere ri« i) dispone, su conforme parere del
dotta al minimo e, in ogni caso, al di sotto
medico competente, misure protettive pardel valore limite fissato nell’articolo 254, »
ticolari per le categorie di lavoratori che
sono sostituite dalle seguenti: « deve essere
sono state esposte a taluni agenti canceroridotta tendenzialmente a zero »;
geni o mutageni ».
b) la lettera b) è sostituita dalla seguente:
Art. 5.
(Modifiche all’articolo 249 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
« b) i lavoratori se esposti devono sempre utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI) delle vie respiratorie con fattore di protezione operativo adeguato alla
concentrazione di amianto nell’aria.
1. All’articolo 249 del decreto legislatiLa protezione deve essere tale da garanvo 9 aprile 2008, n. 81, sono apportate le tire all’utilizzatore l’assenza di esposizione ».
seguenti modificazioni:
a) il comma 2 è sostituito dal seguente:
Art. 7.
« 2. Nella valutazione di cui all’articolo
28, il datore di lavoro, altresì, non differenzia tra esposizioni continuative e sporadiche »;
(Modifiche all’articolo 253 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
Art. 6.
b) al comma 2, le parole: « della concentrazione nell’aria » sono soppresse;
1. All’articolo 253 del decreto legislatib) al comma 4, le parole: « delle espo- vo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modisizioni sporadiche e di debole intensità, di ficazioni, sono apportate le seguenti modicui al comma 2 » sono sostituite dalle se- ficazioni:
guenti: « dell’esposizione ».
a) al comma 1, dopo le parole: « del valore limite » è inserita la seguente: « zero »;
(Modifiche all’articolo 251 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
c) il comma 7 è sostituito dal seguente:
« 7. Ai fini della misurazione dell’a-
- N. 3426
9
mianto nell’aria, di cui al comma 1, si pren- questa non sia pari a zero, il datore di lavodono in considerazione tutte le fibre ».
ro adotta adeguate misure per la protezione
dei lavoratori addetti, e in particolare: »;
Art. 8.
(Modifiche all’articolo 254 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
1. All’articolo 254 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, le parole: « 0,1 fibre »
sono sostituite dalle seguenti: « 0,0 fibre »;
b) la lettera a) è sostituita dalla seguente: « a) fornisce ai lavoratori un adeguato
DPI delle vie respiratorie e altri DPI tali da
garantire l’eliminazione dell’esposizione ».
Art. 10.
(Modifica all’articolo 256 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
1. Il comma 5 dell’articolo 256 del
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e
b) al comma 4 è aggiunto, in fine, il
successive modificazioni, è sostituito dal
seguente periodo: « Nell’ipotesi di cui al
seguente:
periodo precedente, il datore di lavoro è
comunque tenuto ad arrestare il processo
« 5. Copia del piano di lavoro è inviata
produttivo per la bonifica, che deve essere all’organo di vigilanza, almeno trenta gioreseguita con le modalità previste dal mede- ni prima dell’inizio dei lavori. Se entro il
simo periodo ».
periodo di cui al periodo precedente l’organo di vigilanza non adotta il provvedimento
espresso, il piano si intende non approvato.
L’obbligo del preavviso di trenta giorni priArt. 9.
ma dell’inizio dei lavori non si applica nei
(Modifiche all’articolo 255 del decreto legislati- casi di urgenza, confermata dall’organo di
vigilanza. In tale ultima ipotesi, oltre alla
vo 9 aprile 2008, n. 81).
data di inizio, deve essere fornita dal da1. Al comma 1 dell’articolo 255 del detore di lavoro l’indicazione dell’orario di
creto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono
inizio delle attività. In ogni caso l’organo
apportate le seguenti modificazioni:
di vigilanza può rigettare il piano o intervea) l’alinea è sostituito dal seguente: « nire durante l’esecuzione dei lavori, dispoNel caso di determinate operazioni lavora- nendone l’interruzione, qualora non siano
tive in cui, nonostante l’adozione di misure state adottate misure di protezione idonee
tecniche preventive per eliminare la presen- a determinare il valore limite ».
za di amianto nell’aria, è prevedibile che
- N. 3426
10
Art. 11.
Art. 12.
(Abrogazione dell’allegato XLIII annesso al
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81).
(Clausola di invarianza finanziaria).
1. Dall’attuazione delle disposizioni di cui
1. L’allegato XLIII annesso al decreto alla presente legge non devono derivare nuovi o
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, è abrogato. maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
Proposta di Legge n. 3426, presentata dal Sen. Domenico Scilipoti alla Camera dei Deputati il 26 aprile 2010 e ripresentata al Senato della Repubblica il
10.5.2013, N° 631
Fotografia di un impianto a carbone
1.10 Effetti nocivi della combustione del carbone: fermare le centrali a carbone
La combustione del carbone produce anidride carbonica (CO2) oltre
a quantità variabili di anidride solforosa che, reagendo con l’acqua, forma l’acido solforoso. Nel caso in cui l’anidride solforosa venisse rilasciata
nell’atmosfera, reagirebbe con il vapore acqueo e genererebbe così la possibilità di tornare sulla Terra sotto forma di pioggia acida pertanto, per diminuire tale processo, le moderne centrali sono equipaggiate con sistemi
di desolforazione e denitrificazione. Oggi, grazie alle recenti tecnologie
disponibili, una moderna centrale alimentata a carbone ha quindi sì un
impatto minore sull’ambiente, ma comunque le emissioni derivanti dalla
combustione di carbone nelle centrali elettriche rappresentano la più
grande fonte artificiale di anidride carbonica che è una causa primaria
del riscaldamento globale. Stante la grande rilevanza dell’argomento e la
ripercussione sulla nostra salute ho cercato, negli anni di attività politica,
di occuparmi di questo delicato tema soprattutto con riguardo ad una
specifica zona del nostro Paese e cioè la Calabria, più precisamente a Saline Joniche nel Comune di Montebello Jonico (Italia), dove una società
Italo-Svizzera vorrebbe realizzare una inquinante centrale a carbone.
86
1.11 No alla centrale a carbone per la salute e la difesa del territorio
Nella punta più a sud dell’Italia, nella Regione Calabria a Saline Joniche,
comune di Montebello Jonico (Italia), la società Italo-Svizzera Sei S.p.A., sulle
macerie dell’ex Liquichimica e in un territorio a livello sismico medio-alto,
vorrebbe realizzare una centrale a carbone, un enorme ecomostro da 1.320
megawatt di potenza, con 300 posti di lavoro promessi ma solo 140 effettivamente disponibili e dal costo di oltre un miliardo di euro. Sostenere la
necessità di costruire, nel 2015, nuove centrali a carbone è quantomeno anacronistico e la cosa diventa ancor più preoccupante se si pretende di costruire
la centrale in quello splendido lembo di terra che è Saline Joniche, in piena
area Grecanica, una meraviglia da guardare.
La centrale non serve all’Italia e tantomeno alla Calabria. Infatti, a
livello nazionale, viene prodotta più energia di quella di cui il nostro
paese ha bisogno ed anche la Calabria segue questo trend, senza contare
che la centrale dovrebbe sorgere dove oggi rimangono solo i ruderi della
cattedrale nel deserto dell’ex Liquichimica, il mostro creato nel 1974 con
i finanziamenti del “pacchetto Colombo”, che avrebbe dovuto risollevare
una delle province più depresse dell’Italia, invece è stata aperta e chiusa
in 48 ore proprio per l’alto rischio ambientale.
Gli interessi economici che ruotano attorno alla costruzione di una
centrale a carbone sono enormi, ma chi ha la responsabilità di rappresentare i cittadini nelle istituzioni deve avere anche il coraggio di scontrarsi
con i poteri forti senza ambiguità e senza sotterfugi compatibilmente con
i bisogni della collettività e, proprio a tal proposito, il decreto legislativo
n. 152 del 2006 dispone che la valutazione ambientale dei progetti deve
avere la finalità di migliorare la salute umana, proteggere l’ambiente,
provvedere al mantenimento della specie e dell’ecosistema. La destinazione del territorio calabrese a centro per la produzione energetica non può
che minare alla base ogni seria prospettiva di sviluppo turistico ed agricolo della Calabria, uniche valide alternative economiche ed occupazionali
a lungo termine, generando una politica economica oscurata dal nero
carbone, senza contare che tra le conseguenze andrebbero considerati i
costi dei cambiamenti climatici che, vedrebbero l’intensificarsi dei fenomeni di inaridimento e desertificazione, ma anche ricadute economiche
negative sulle stesse colture agricole.
87
Parliamo di un territorio tra i più belli e naturalisticamente interessanti della regione con una zona umida nella quale nidifica o transita una
fauna variegata e rarissima per la Calabria e che, per le caratteristiche di
unicità determinate dal particolare ambiente, ha il privilegio di essere
unico detentore mondiale della coltura del bergamotto che presuppone un microclima e una purezza ambientale del tutto particolari, va da
sé pertanto che qualunque realtà terza che comporti lo squilibrio del
presupposto, determinerebbe la neutralizzazione sistemica della coltura
secolare con conseguente grave danno all’economia locale.
Il settore energetico è ad oggi uno dei maggiori responsabili delle
emissioni dei gas serra e purtroppo ancora non si è riusciti ad ottenere
la piena riconversione dei grandi impianti ove il carbone resta una scelta
obsoleta, la cui combustione, producendo altissime emissioni di anidride
carbonica, scatena il fenomeno dei mutamenti climatici, rilascia inquinanti dannosi per la salute e coinvolge aree anche molto lontane dalle
centrali, così come scientificamente dimostrato.
A tal proposito, anche il WWF ribadisce che, per ridurre l’impatto
del cambiamento climatico, è necessario smettere con i combustibili fossili ad iniziare dal carbone ed agire per trovare una valida soluzione nel
campo delle energie alternative, puntando sugli investimenti nelle fonti
energetiche rinnovabili.
Ulteriore rovina deriverebbe dal prelievo abnorme di acqua marina
che comporterà uno sconvolgimento dell’ecosistema marino con gravi
ripercussioni sulla marineria locale, sulle attività collegate ma anche sullo
sfruttamento a fini turistici delle attività già insediate o da insediare, presupposto aggravato, inoltre, dalle opere connesse alla centrale quali opere
portuali, sistemi di trasporto per il carbone, sottoprodotti di processo ed
altri materiali solidi, scarico acque di raffreddamento.
Una concreta volontà di sviluppo dovrebbe invece essere ecosostenibile con la rivalutazione dei centri storici, dell’ambiente naturale e dei
prodotti enogastronomici, più nello specifico bisognerebbe definire un
piano per la valorizzazione, la promozione e la tutela del territorio, sotto
il profilo naturalistico, culturale e sociale, quale valore di crescita economica considerando che è proprio lo stesso territorio che fornisce la
possibilità di creare la giusta economia per la Calabria. Difatti il turismo,
88
l’agricoltura anche biologica ed ancora piccole attività economiche possono essere il volano per lo sviluppo di quest’area.
Quello che serve alla Calabria, in generale, ed all’area grecanica in
particolare, è un modello di sviluppo diverso, alternativo, un futuro da
costruire insieme a politici, cittadini ed amministratori nel pieno rispetto
della vocazione turistica dell’area, dell’ambiente e del territorio. Occorre
una mentalità che si preoccupi anche di ciò che potrebbe accadere e che
si muova nel rispetto dell’interesse della collettività. Proprio per questo
va ribadito parere contrario alla costruzione della centrale a carbone di
Saline Joniche, pericolosa per la salute pubblica e con un impatto ambientale troppo forte, ritenendo necessario invece rivalutare il territorio
ridandogli autenticità e garantendone la sua naturale vocazione turistica,
ma anche tutelarne il microclima e la purezza ambientale.
Siamo dinanzi ad una contraddizione in termini, in sede internazionale
l’Italia lotta contro i repentini cambiamenti climatici spingendosi verso una
seria decarbonizzazione dell’economia mondiale ma poi a casa propria non
sembra altrettanto motivata, calpestando il volere del popolo calabrese.
È necessario decarbonizzare le proprie economie e scongiurare gli effetti più disastrosi dei cambiamenti climatici e ciò anche perché la costruzione della centrale a carbone vanificherebbe tutti gli sforzi che l’Italia e
l’Europa stanno tentando di fare per facilitare questa transazione.
Da tenere bene in considerazione è, soprattutto, la valutazione che la
scelta del combustibile fossile porta con sé anche un grave bagaglio di rischi per la salute e rappresenta un’ipoteca per il futuro della popolazione.
Tanto è vero, che anche una sterminata letteratura scientifica dimostra
in maniera inequivocabile come gli impianti a carbone costituiscono un
danno conclamato alla salute delle persone e come non sia sufficiente sostenere che se le concentrazioni delle sostanze inquinanti rimangono del
50% al di sotto dei limiti stabiliti dalla legge, se ne dimostra la salubrità
delle stesse o l’inconsistenza dell’effetto sulla salute.
È opportuno ancora ricordare che l’impatto sanitario del carbone,
anche prendendo a riferimento gli impianti più moderni è valutato, rispetto alle morti premature causate dall’inquinamento, almeno cinque
volte superiore a un equivalente impianto a gas e circa doppio in termini
di emissioni di gas climalteranti.
89
La maggiore fonte di produzione di anidride carbonica, di ossido di
azoto, di zolfo e di polveri sottili deriva infatti dalla combustione del carbone determinando quindi l’emissione di sostanze altamente cancerogene e tossiche per la salute dell’uomo. Pertanto, a ragione, si può definire
come una fabbrica di veleni silenziosi ed invisibili, che proprio per tali
motivi determinerebbero lo sviluppo devastante di fenomeni neoplastici
nella popolazione.
Oltre alla vocazione naturale paesaggistico-ambientale, la zona di Saline Joniche assume la dimensione di “porta d’ingresso nella cultura grecanica”, calata in un contesto storico di indubbia valenza universale per
il suo spessore culturale inalienabile ed invero, la centrale sorgerebbe
su un’area di elevato interesse archeologico in quanto ricca di reperti
dell’età ellenica e romana.
Ebbene, la sola presenza della centrale a carbone oscurerebbe per sempre lo sviluppo di tutto quel territorio fatto di siti archeologici che, come
testimoniano studi e ricerche condotte anche dall’università di Cambridge, risalgono fino a 5.000 anni avanti Cristo e sono identificabili in siti
greci, medievali e religiosi (basiliani).
La situazione dell’area di Saline Joniche è particolarmente delicata,
poiché su di essa sussistono vincoli archeologici e sulla costruzione della centrale lo stesso Ministero dei Beni Culturali ha espresso un parere
fortemente negativo, diciotto aree vincolate e cinque siti di interesse comunitario che, stando al progetto, dovrebbero essere attraversate dall’elettrodotto, verrebbero seriamente compromesse. A dare maggior forza,
laddove fosse necessario, è bene ricordare che anche il socio di maggioranza, la società svizzera Repower, ha deciso di uscire dal progetto, ritenendo che attualmente la destinazione del fair value è soggetta a troppa
incertezza ed è difficile attribuire un valore materiale al progetto la cui
realizzazione è, a loro avviso, scarsamente possibile.
È doveroso, quindi, ribadire parere negativo alla costruzione del “mostro antiquato” che è la centrale a carbone, spingendo di contro a predisporre un rilancio della zona e ritenendo che gli interventi programmati
non contribuiscono significativamente all’attenuazione e alla compensazione delle pressioni ambientali esercitabili dall’impianto. Appare pertanto necessario trovare una valida alternativa nel campo delle energie
90
alternative derivanti da fonti rinnovabili ed è inaccettabile che, ad oggi,
mentre da un lato si parla tanto di tutela del territorio e di eco-sostenibilità, dall’altro si pensa ancora a costruire una centrale a carbone.
Va considerato inoltre che l’area del gelsomino e del bergamotto si
presta del tutto naturalmente ad applicazioni di tipo turistico e per un’ospitalità diffusa, il suo delicato aspetto paesaggistico e morfologico rifiuta
qualunque intervento che implichi una sia pur minima modifica dell’ecosistema che rischierebbe di perdere definitivamente la sua identità.
Occorre opporsi alle prese di posizione preconcettuali perché chi paga
è solo la Calabria e lo farà fino a che esisteranno scontri precostituiti e
non si darà spazio al dialogo costruttivo. Bisogna riferirsi alla vocazione
naturale di questa terra e non fermarsi al qui ed ora ma preoccuparsi del
futuro della sua gente.
Purtroppo ancora oggi nell’intero pianeta rimane molto alto l’utilizzo
del carbone, si prevede addirittura un aumento della produzione e ciò
è gravissimo per i danni che continueremo a recare al nostro pianeta,
nonostante siano tante le iniziative proposte per cercare di ridurre al minimo la produzione e l’utilizzo del carbone e l’emissione nell’atmosfera
di CO2. A tal proposito la Fondazione Einaudi ha pubblicato un testo
dell’Osservatorio sulla politica energetica riguardo la gassificazione del
carbone e il sequestro e la cattura della CO2. Il ricorso crescente alle
energie rinnovabili, lo smaltimento delle centrali a carbone più datate
servirà a ridurne il consumo ma dovremmo,in un futuro prossimo e prima che sia molto tardi, eliminare in maniera definitiva l’emissione di gas.
Alla luce di quanto affermato e data l’importanza dell’argomento, ho
presentato un’interrogazione parlamentare per chiedere la revoca delle
autorizzazioni per la costruzione della centrale a carbone di Saline Joniche, ribadendone la pericolosità per la salute pubblica e l’impatto ambientale troppo forte.
Di seguito, quindi, allego un’interrogazione parlamentare che ho presentato il 13 Giugno 2013 al Senato della Repubblica e sottoposta all’attenzione del Ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare:
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Legislatura 17 Atto dì Sindacato ispettivo n° 4-00353
Atto n. 4-00353
Pubblicato il 13 giugno 2013, nella seduta n. 41
SCILIPOTI - Al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
e del mare. Premesso che a quanto risulta all’interrogante:
la località di Saline Joniche rappresenta uno dei posti più rappresentativi
dell’immagine ambientale della zona fonica calabrese; il suo territorio, nel contesto dell’area definita grecanica, si presta del tutto naturalmente ad applicazioni
di tipo turistico e per un’ospitalità diffusa; il suo delicato aspetto paesaggistico e
morfologico rifiuta qualunque intervento che implichi una sia pur minima modifica dell’ecosistema che rischierebbe di perdere definitivamente la sua identità;
la procedura iniziata dalla società Sei e Repower presso il Governo per l’installazione di una centrale a carbone a Montebello Jonio, in provincia di Reggio
Calabria, località Saline Joniche, ha messo, ormai da tempo, in allarme e, si può
ben dire, provocato numerosi focolai di agitazione, tutti, per ora, sfociati in civili
manifestazioni rivolte verso il rifiuto dell’energia derivante dal combustibile fossile. È noto che il “no al carbone” è giustificato per vari motivi, tutti di primo rilievo, quali il diritto alla salute e alla tutela dell’ambiente così come del paesaggio,
argomenti già minutamente passati al vaglio dagli organi accertatori che, però,
non terrebbero conto di alcuni particolari che, se visti da vicino, non giustificano
né l’iter intrapreso né, tanto meno, le varie autorizzazioni che si sono succedute;
l’opera che si intende realizzare da parte di ente privato consisterebbe addirittura nell’impianto di una centrale a carbone, che implicherebbe la trasformazione
dell’intero territorio, delle sue caratteristiche, in definitiva della sua autenticità,
portando effetti dirompenti persino nelle località viciniori, le quali hanno il privilegio di essere unici detentori mondiali della coltura del bergamotto, che, per come
è noto, presuppone un microclima e una purezza ambientale del tutto particolari;
va da sé che qualunque realtà terza, che comporti squilibrio del presupposto, determinerebbe la neutralizzazione sistemica della coltura secolare con il conseguente
danno all’economia locale diffusa; l’art. 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006
dispone che la valutazione ambientale dei progetti ha la finalità di migliorare la
salute umana, proteggere l’ambiente, provvedere al mantenimento della specie e
dell’ecosistema; a questo scopo, essa individua, descrive e valuta, in modo appro-
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priato e per ciascun caso particolare, gli impatti diretti o indiretti di un progetto
su: 1) l’uomo, la fauna e la flora; 2) il suolo, l’acqua, l’aria e il clima; 3) i beni
materiali ed il patrimonio culturale; 4) l’interazione dei fattori di cui sopra;
la relazione della Regione Calabria, presentata il 18 agosto 2008, oltre ad
esprimere un parere negativo, descriveva lo stato dei luoghi come a vocazione
turistico-alberghiero, con caratteristiche di unicità per il particolare ambiente, e
segnalava la presenza di alcune colture uniche quale il bergamotto; la Regione pertanto, anche per tale aspetto, si opponeva al rilascio favorevole della valutazione
ambientale e, a cagione del fatto che la delibera regionale n. 315/2005 vietava la
produzione di energia derivabile da carbone e, inoltre, l’energia termoelettrica attualmente prodotta con altri sistemi superava il fabbisogno regionale, concludeva
che la questione doveva esaurirsi lì e che pertanto la Regione non avrebbe fornito
alcuna intesa in sede di Conferenza dei servizi per la realizzazione di centrali
termoelettriche sul territorio regionale;
la commissione valutativa della Calabria, che prende in considerazione gli
scritti, le relazioni ed i pareri espressi dai vari enti in materia ambientale, tuttavia, nel novembre del 2010, per il primo aspetto (quello paesaggistico e ambientale), considerava che il documento preliminare del quadro territoriale paesaggistico (QTR/P’presentato il 6 aprile 2009), che veniva approvato con delibera della
Giunta regionale n. 10 del 13 gennaio 2010 e si presentava pronto per essere
definitivamente approvato con delibera del Consiglio regionale;
successivamente, però, il documento preliminare veniva ritirato con delibera
della Giunta regionale n. 331 del 21 aprile 2010 per essere aggiornato alla luce
dei piani di indirizzo e programmazione previsti dalla amministrazione regionale
oggi in carica, senza venir ripresentato nel breve; la commissione, in adesione alle
obiezioni sollevate dalla ditta proponente (Sei), osservava che quel territorio, così
come tutto il territorio della Calabria, era sprovvisto di quadro indicante le specifiche vocazioni o linee da seguire, sicché qualunque caratterizzazione o descrizione
di quel territorio non trovava alcun appiglio di natura legislativa né di altra amministrazione; per il secondo aspetto (la produzione di energia), la commissione
osservava che, viste le direttive europee e la quantità di energia che si intendeva
produrre, la competenza ad esprimere un parere in ordine alla produzione di energia così per come presentata dalla Sei era devoluta alla commissione governativa
centrale; stante le osservazioni della Sei e la presa di posizione della commissione
valutativa ci si attendeva che, in sede di elaborazione del QTR/P, la Regione
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provvedesse a riempire la lacuna prima così vistosamente fatta rilevare, mentre
così non è stato;il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare
ha emesso il decreto (ai sensi della direttiva 2001/42/CE, relativa alla valutazione ambientale strategica (VAS) e alla valutazione d’impatto ambientale (VIA),
direttiva recepita con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (codice dell’ambiente), poi modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, e dal decreto legislativo n. 128 del 2010. Riguardo al particolare contesto ambientale, si
Asserisce che lo sviluppo sostenibile è finalizzato a garantire all’uomo il soddisfacimento dei bisogni attuali e a non compromettere la qualità della vita soprattutto
per quel che concerne le generazioni future. Per come appare, non si definisce cosa
sia lo sviluppo sostenibile ma lo si finalizza, lasciando impregiudicato il suo contenuto che trova dei limiti: non compromettere la qualità della vita soprattutto
per quanto concerne le future generazioni. Il giorno 5 aprile 2013 il Ministero ha
adottato il decreto (VAS e VIA) n. 115 favorevole alla compatibilità ambientale,
concedendo 60 giorni per le impugnazioni da parte dei soggetti interessati. Contro
tale provvedimento i vari enti pubblici e ambientalisti interessati si sarebbero
gravati di ricorrere avanti al TAR del Lazio ma tale decreto viene motivato sulla
base del parere precedentemente espresso dalla commissione valutativa che, per
come detto, prendeva atto che in Calabria risultava assente il QTR/P; tale documento è stato approvato dalla Regione nel mese di agosto del 2012 e non è dato
comprendere come il Ministero non ne abbia tenuto conto. Ciò potrebbe essere
accaduto o per mancanza della Regione, che avrebbe immediatamente dovuto
trasmettere tale documento ai fini valutativi posteriori agli atti della commissione
valutativa, oppure perché comunque in tale documento è carente qualunque indirizzo coerente con le caratteristiche del territorio. Dall’analisi di tale documento
(QTR/P finale ma soggetto ad ulteriore revisione) si evince che in data 9 febbraio
2012 veniva sottoscritto un prospetto d’intesa tra i Comuni interessanti l’area
grecanica e l’ente proponente (Regione), con cui si evidenziava, tra l’altro, la necessità di sottoporre a vincolo di tutela l’area dell’ex Liquilchimica, cioè proprio
l’area di Saline, nonché le aree a vocazione bergamotticola, ginestra e gelsomini;
a tale proposito è bene sottolineare altresì che già nel 2006 le linee guida della
Regione Calabria (allegato E) e la legge regionale n. 41 del 2002 prevedono che
il bergamotto, la cui qualità colturale è unica al mondo, dovesse ricevere particolare attenzione giacché, si tratta di un frutto da valorizzare in quanto di importanza fondamentale da un punto di vista lavorativo, storico e paesaggistico; anche
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nella relazione presentata dalla Regione già nel 2008 a difesa del “no Carbone”
si fanno presenti le caratteristiche altamente paesaggistiche dell’area grecanica.
Tuttavia non si può non notare che, per quanto riguarda il territorio di Montebello ionico, ove si dovrebbe insediare la centrale, lo stesso QTR/P del 2012 non
spende neanche una parola. è come se non esistesse, rimane un buco vuoto. La
promessa del vincolo tutorio sull’area ex Liquilchimica (oggi della Sei) e sulle aree
vocate a bergamotto, ginestra e gelsomino è completamente dimenticata. È necessario, dunque, porvi rimedio. Appare, inoltre, poco intellegibile il mancato vincolo
tutorio dell’area ex Liquilchimica e dei territori destinati a bergamotto, ginestra e
gelsomino, patti assunti dall’attuale amministrazione in carica nei primi mesi del
2012 e cioè prima che venisse emesso il decreto di autorizzazione VAS e VIA,
patti che comprovano la volontà del territorio di esaltare e rilanciare le risorse locali di indubbio valore per come la stessa Regione asserisce da tempo; un ulteriore
motivo di ostacolo a che la località di Saline possa essere considerata sede di produzione di energia ricavata dal carbone, ostacolo neanche segnalato nel decreto
che ha dato il parere positivo sia sulla VAS che sulla VIA, risiede nel fatto che vi
sono delle procedure in corso per inserire l’area grecanica nella lista dei patrimoni
immateriali tutelati dell’Unesco, vista la particolarità dell’area di Saline Joniche,
area geografica che rappresenta una naturale porta di uscita e di ingresso nel e dal
Mediterraneo, così assumendo la dimensione di “porta d’ingresso nella cultura
grecanica”, oltre alla vocazione naturale paesaggistico- ambientale calata in un
contesto storico di indubbia valenza universale per il suo spessore culturale inalienabile; con riferimento al provvedimento ‘emesso e approvato nel 2011 dalla
Provincia di Reggio Calabria, Assessorato Urbanistica - Pianificazione assetto del
territorio - Tutela del Paesaggio, nel punto in cui per l’area ex Liquilchimica si
prevede up intervento di riqualificazione coerente con le vocazioni turistiche naturali ed insediamenti compatibili con l’ambiente e il paesaggio; ciò è sufficiente
per far scattare le misure di salvaguardia previste dall’art. 12 del testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui al decreto del
Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, secondo cui l’area in questione, una
volta entrata nel programma d’azione e di previsione di un ente pubblico, paralizza ogni altra iniziativa che non sia coordinata con lo sviluppo previsto e va da sé
che l’insediamento di una centrale a carbone si pone come elemento antagonista
incompatibile con il programma provinciale; la centrale a carbone, nella sua realtà altamente tecnologica, si pone in assoluto contrasto con il concetto di svilup-
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po sostenibile per come il diritto europeo lo ha coniato (trattato di Maastricht del
7 febbraio 1992, modificato dal trattato di Lisbona nel 2007 e poi nella versione
consolidata, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 marzo 2010, n. C 83 secondo cui “L’Unione (...) si adopera per lo sviluppo sostenibile (...) basato su una
crescita economica equilibrata che mira alla piena occupazione (...) e su un elevato livello di tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente”), più volte ribadito in ogni intervento e richiamato dall’art. 3 del decreto legislativo n. 152 del
2006, come pure il concetto di diritto allo sviluppo sostenibile si presenta coerente
con l’art. 9 della Costituzione nel punto in cui il valore del paesaggio e del patrimonio storico così come quello artistico nazionale vengono tutelati come bene
primario irrinunciabile; ebbene, la sola presenza della centrale a carbone oscurerebbe per sempre lo sviluppo di tutto quel territorio fatto di siti archeologici, che,
per come testimoniano studi e ricerche condotte dall’università di Cambridge, risalgono a 5.000 anni avanti Cristo, siti greci, siti medievali, siti religiosi (basiliani), di colture uniche (il bergamotto), colture che hanno segnato generazioni,
cristallizzate nella memoria collettiva (gelsomino e ginestra), culture che hanno
dato all’Italia il suo nome (gli italici), culture apprezzate e rivalutate in campo
internazionale (si vedano Rholf, Corrado Alvaro, Edoardo Mollica e di recenti e
viventi Vito Teti, Domenico Minuto, Luigi Maria Lombardi Satriani e tanti altri
che sarebbe lungo citare);
• l’attività governativa, sfociata con il decreto n. 115 del 5 aprile 2013 adottato dal Ministro pro tempore Clini non si coordina in nulla con quella realtà
e rischia di essere interpretata, agli occhi di quel popolo, ma anche dell’intera
Europa, come l’ennesima ingiuria nei confronti di una terra che ha, nel passato
non tanto lontano, subito scelte radicalmente sbagliate, si chiede di sapere se il
Ministro in indirizzo non ritenga di adottare iniziative volte a rivedere, o quanto
meno rimodulandolo, il decreto del Ministro pro tempore Clini, e quali iniziative
intenda intraprendere per rivalutare l’area, in coerenza ed attuazione del concetto
di diritto allo sviluppo sostenibile e nel rispetto del principio di sussidiarietà in
applicazione dell’art. 118 della Costituzione, per come previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e dal diritto europeo.
1.12 No alle centrali nucleari di II e III generazione. No alle armi
nucleari
Per poter dire “NO” alle centrali nucleari bisognerebbe prima capirne il
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funzionamento e tutto ciò che ne scaturisce. Più nel dettaglio, il meccanismo delle centrali nucleari si concretizza attraverso i reattori nucleari ove,
tramite la produzione di vapore, si aziona la turbina del reattore e si realizza, nel nocciolo che ne è la parte centrale, un processo denominato fissione
nucleare. Tale reazione si deve svolgere in modalità controllata ed è un processo atto a produrre il calore necessario a scaldare l’acqua e trasformarla
in vapore ad alta pressione che, a sua volta, viene convogliato sulla turbina
che ruotando trasmette la sua energia meccanica all’alternatore e così la trasforma in energia elettrica grazie al fenomeno dell’induzione elettromagnetica. Proprio per la pericolosità di tutto il procedimento ed in modo tale da
tutelarsi ed evitare la fuoriuscita di sostanze radioattive che si sprigionano
durante il processo di fissione, il reattore è inserito in un cilindro d’acciaio
inossidabile posto all’interno di un contenitore in cemento armato dello
spessore di almeno un metro ed anche l’edifico che lo contiene deve essere
fatto di una solida struttura in cemento armato.
Purtroppo, a causa di possibili guasti che possono comunque verificarsi alle centrali nucleari, si determinano danni ambientali catastrofici,
anche gravi problemi per la salute umana ed ecco perché, in nome della
tutela dell’ambiente ed ancor di più della vita, è fondamentale mostrare un concreto dissenso per la costituzione e la gestione delle predette
centrali. Emblematici gli incidenti che si sono verificati in Giappone nel
Marzo 2011 presso la Centrale Nucleare di Fukushima Dai-ichi a seguito
del maremoto e del terremoto di Tohoku. Le ripercussioni che l’esplosione ha registrato sono state disastrose e l’entità della contaminazione
ambientale altissima, si stima che la quantità totale di radioattività diffusa nell’atmosfera è stata pari a quella rilasciata durante il disastro di
Chernobyl. Il Giappone, dopo il terribile incidente di quattro anni fa,
si sta interrogando su quale strategia nucleare adottare e sta valutando
l’opzione di abbandonare, o ridimensionare, l’utilizzo del nucleare come
fonte energetica.
Occorre quindi prendere in considerazione i danni che producono le
scorie derivanti dalle centrali nucleari di seconda e terza generazione, in
quanto sono rifiuti radioattivi sia per la terra che per l’atmosfera e, ciò posto, per migliorare la vita degli esseri viventi dovremmo piuttosto rivolgere
l’occhio altrove ed applicarci per generare energia col tramite delle fonti
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rinnovabili e della fusione a freddo. Dietro la costruzione delle centrali nucleari si maschera spesso il tentativo di alcuni Stati di costruire delle armi
nucleari ovvero le cosiddette “armi a distruzione di massa”. Bisognerebbe
invece pensare ad un mondo svincolato dalle armi nucleari, un luogo dove
l’uomo può agire liberamente solo se ha il coraggio di trasformare lo spirito
umano mediante la liberazione dalle stesse. Cosa sono le armi nucleari? Potrebbe sembrare una domanda superficiale ma così non è. Le armi nucleari
sono tutte le armi che usano le reazioni di fissione nucleare o di fusione
termonucleare, pertanto sono armi di distruzione di massa ed appare chiaro, quindi, che viviamo in una polveriera che può deflagrare in qualsiasi
momento. L’esplosione delle armi nucleari ed in particolare delle bombe
è, difatti, distruttiva non solo per gli esseri umani ma anche per qualsiasi
essere vivente in un larghissimo raggio di azione.
Tipico esempio rammentabile alla memoria di tutti è la bomba atomica che ha provocato conseguenze devastanti quali miriadi di macerie,
la morte di migliaia di persone e l’irradiarsi di radiazioni che, oltre a
generare conseguenze letali protratte nel tempo, hanno prodotto effetti
nocivi anche sul suolo e nell’atmosfera.
Il disarmo nucleare è pertanto la prova concreta per la realizzazione della pace nel mondo nel quale, ad oggi, esistono ben 23.300 armi nucleari.
Liberare il mondo dalle armi nucleari non è utopia, in quanto la trasformazione è, e deve essere, parte di noi.
È inoltre necessario gestirsi col tramite di una regolamentazione attraverso una “Convenzione sulle armi nucleari”.
Tipico dell’essere umano e delle nazioni è armarsi come forma preventiva di deterrenza basando la propria sicurezza non sul dialogo bensì
sulla minaccia della distruzione reciproca e sul timore derivantene. Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, nel discorso contro la proliferazione nucleare tenuto a Praga nel 2009, ha affermato: “La guerra fredda
è finita ma le armi nucleari ci sono ancora.
Il rischio per gli attacchi nucleari è aumentato. Più paesi si sono dotati di armi atomiche e vi è il mercato nero dove i terroristi sono orientati
a comprare e rubare armi nucleari.
Potremmo arrivare al punto che non possiamo più difenderci da loro.
Dobbiamo agire per vivere liberi dalla paura nel XXI secolo”.
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È bene ricordare, inoltre, che gli Stati spendendo 1464 miliardi di
dollari all’anno per le spese militari e dissipano cifre spropositate per le
armi, per il loro acquisto, la manutenzione e la vendita.
Basterebbe una piccola percentuale, come ad esempio il 4% dell’importo citato, per risolvere una buona parte dei più grandi problemi del
pianeta, basti pensare come, con 19 miliardi di dollari all’anno si potrebbero definitivamente eliminare la fame e la malnutrizione nel mondo.
1.13 Un nuovo modo di produrre energia
Una delle più impellenti necessità dei nostri tempi è la ricerca di tecnologie innovative per la produzione di energia. Da diversi anni, anche
in Italia, si dibatte sulla controversa e poco conosciuta tecnologia della
“Fusione Fredda” e, in particolare dell’invenzione di un imprenditore
italiano Andrea Rossi, l’Energy Catalyzer o E-Cat, un dispositivo rivoluzionario in grado di produrre energia termica probabilmente di origine
nucleare basata sulla interazione tra idrogeno e polvere di nickel. Questa
idea, ha trovato negli Stati Uniti dei finanziatori che ne hanno permesso
lo sviluppo.
Le temperature di lavoro dell’E-CAT sono molto più basse rispetto a
quelle impiegate nelle costosissime ricerche sulla fusione nucleare classica (prof. ITER) e più sicure grazie alla mancanza di scorie pericolose e
all’assenza di radiazioni.
La “fusione fredda” è stata annunciata per la prima volta alla comunità scientifica ed ai media nel 1989 da due scienziati Martin Fleischmann
e Stanley Pons.
La loro scoperta fu molto osteggiata anche perché l’esperimento da
loro condotto oltre ad avere un modesto guadagno energetico presentava problemi di riproducibilità. Tale problema sembra sia stato superato
dall’invenzione di Andrea Rossi. Il suo lavoro ha sollevato entusiasmi e
polemiche in egual misura, ma adesso finalmente potrebbero arrivare i
risultati, richiesti a gran voce dalla comunità scientifica, ovvero test indipendenti che ne certifichino in maniera incontrovertibile il funzionamento.
Anche la rivista finanziaria Forbes si è interessata all’argomento, dimostrando la crescente attenzione di importanti settori economici per
99
questa rivoluzionaria tecnologia. Non è difficile immaginare che se l’ECat si rivelasse un progetto industrializzabile, in grado quindi di produrre energia in quantità significative, le ripercussioni non mancherebbero
anche sul versante del mondo accademico che finora non ha certamente
manifestato entusiasmo per l’idea di Andrea Rossi. Nel frattempo, al di là
di sterili polemiche, la sua società con sede negli USA, la Leonardo Corporation, ha ottenuto in data 25 agosto 2015 dalla US Patent and Trademark Office (USPTO) il brevetto US 9,115,913B1 che gli attribuisce
una volta per tutte il possesso della proprietà intellettuale. La già citata
rivista Forbes commenta: “Forse il mondo cambierà davvero”, descrivendo i
risultati pubblicati relativi ad uno dei test indipendenti sull’E-Cat.
A dare credibilità al dispositivo dell’inventore italiano è un rapporto scritto da un’equipe italo-svedese di scienziati formata dagli italiani
Giuseppe Levi e Evelyn Foschi dell’Università di Bologna, e dagli svedesi
Torbjörn Hartman, Bo Höistad, Lars Tegnér e Hanno Essén,e Roland
Pettersson. Nello specifico, due sono gli esperimenti che hanno portato
a trarre conclusioni positive: un primo esperimento svolto nell’arco di 96
ore dal 13 al 17 dicembre 2012 e l’altro per una durata di 116 ore dal 18
al 23 marzo 2013. Le condizioni dei predetti esperimenti erano differenti ma il parere finale ha decretato il corretto funzionamento dell’E-Cat.
In sintesi, a dicembre il sistema avrebbe sprigionato 160 KWH per un
consumo di circa 35 KWH mentre a marzo la produzione sarebbe stata
di 62 KWH con un consumo di 33 KWH. In aggiunta al rilevamento di
tali valori, occorre precisare inoltre che la squadra di ricercatori esclude
reazioni termochimiche e chiarisce che la produzione energetica, vista la
densità di potenza, deve essere associata ad una reazione che coinvolga i
nuclei degli elementi in gioco.
Le perplessità però non mancano, non vi sono infatti dati certi sui
prodotti finali della reazione o sul combustibile utilizzato durante i test,
in merito al quale c’è riserbo da parte di Rossi ma, comunque, si tratterebbe di un composto contenente nichel, idrogeno litio e probabilmente
altri catalizzatori mantenuti tuttora segreti.
Proprio la necessità di mantenere il segreto industriale, nonostante il
brevetto ottenuto, fa sì che permangano ancora dubbi. La rivista Forbes
con poche parole sintetizza il concetto: “O si tratta di una delle truffe più
100
elaborate della storia della scienza oppure stavolta il mondo potrebbe
cambiare davvero. La velocità di questo cambiamento dipende esclusivamente dal suo inventore”.
È importante ricordare come la cosiddetta Fusione Fredda sia oggetto
di congressi in tutto il mondo ed anche nel nostro paese, non da ultimo
quello organizzato dall’ENEA. È ancora più significativo rammentare che
ormai siano stati presentati in tutto il mondo richieste di brevetti simili
a quello di Andrea Rossi. Va comunque considerato che questo nuovo
sistema di produzione di energia se trovasse una concreta applicazione
salvaguarderà gli “interessi” del pianeta e di noi cittadini in quanto potrà
concorrere all’abbattimento dell’anidride carbonica e di altri inquinanti
derivati dall’uso di combustibili fossili responsabili degli ormai evidenti
cambiamenti climatici. A questo punto mi chiedo, anche se in maniera retorica, se la tutela dell’esistenza degli esseri viventi ed ancor di più
dell’uomo possa valere tutti i tentativi e le ricerche possibili.
A tal proposito, stante l’aspetto innovativo dell’argomento e le implicazioni socio-economiche che un’invenzione come questa potrebbe
portare al nostro Paese, ho depositato due interrogazioni parlamentari,
che allego, dirette al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro
Della Ricerca e dello Sviluppo economico, i quali dovranno rispondere proprio sull’opportunità di prendere in considerazione questa nuova
fonte di energia.
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00307
Atto n. 4-00307
Pubblicato il 5 giugno 2013, nella seduta n. 34
SCILIPOTI- Ai Ministri dell’istruzione, dell’università e della
ricerca e dello sviluppo economico. Premesso che:
sono stati pubblicati i risultati di alcune verifiche sperimentali effettuate
sul generatore termico E-Cat (Energy catalyzer) di Andrea Rossi da parte di un
team internazionale di ricercatori formato da: Hanno Essén (fisico teorico, ex
presidente della Swedish Skeptic’s society, Royal institute of technology, Stoccol-
101
ma), Evelyn Foschi (fisica esperta di radioprotezione, già università di Bologna),
Torbjörn Hartman (ingegnere senior presso lo Svedberg laboratory, Uppsala), Bo
Höistad (fisico delle particelle, professore all’università di Uppsala), Giuseppe
Levi (fisico nucleare, università di Bologna e associato dell’Istituto nazionale di
fisica nucleare), Roland Pettersson (già professore di Chimica presso l’università
di Uppsala), Lars Tegnér (professore al dipartimento di Ingegneria elettrica, università di Uppsala);
i risultati illustrati nell’articolo “Indication of anomalous heat energy production in a reactor device” dimostrano, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’esistenza di una fonte di energia pulita ed a basso costo, sfruttabile commercialmente
in tempi molto brevi;
oltre al brevetto italiano di Andrea Rossi “processo ed apparecchiatura per
ottenere reazioni esotermiche, in particolare da nickel ed idrogeno”, brevetto n.
0001387256, altri brevetti che utilizzano procedure simili sono stati rilasciati,
si ricordano in particolare i seguenti: “Method for producing energy and apparatus therefor” EP2368252B1, del professor Francesco Piantelli; “Method of
maximizing anharmonic oscillations in deuterated alloys” US5770036, del professor Ahern del Defense advanced research projects agency (DARPA); “Hydrogen
condensate and method of generating heath therewith” W02004034406, del
professor Arata dell’università di Osaka; “Thin nano structured layers with high
catalytic activity on nickel or nickel alloy surfaces and process for their preparation” WO2011016014, del professor Celani dell’INFN (Istituto nazionale di
fisica nucleare);
vi è una sempre maggiore attenzione della comunità scientifica internazionale su tali rivoluzionarie tecnologie, come testimoniano il convegno del 3 giugno
co-organizzato dall’Enea presso il Parlamento europeo dal titolo “New advancements on the Fleischmann-Pons Effect: paving the way for a potential new clean
renewable energy source?” e la International conference on cold fusion n. 18,
organizzata dall’Università del Missouri con il partenariato dell’Enea e della
National instruments;
l’Enea (Italia), la Stanford research international (USA) e l’Energetics (USA)
collaborano su un progetto alternativo di energia dal 2004 basato sull’effetto
Fleishman-Pons (FPE),
si chiede di sapere se il Governo non intenda adottare opportune misure, anche normative, volte ad una rapida ed effettiva apertura a questo tipo di ricerche,
102
considerato che, per svariati motivi, in Italia sono state sospese le ricerche dei
privati e degli enti pubblici che, di fatto, sono all’avanguardia mondiale con una
tecnologia che in breve tempo potrebbe sostenere la produzione di energia elettrica
a basso costo senza danni all’ambiente, permettendo al Paese di diventare esportatore di energia elettrica, e con l’ulteriore vantaggio, nello sviluppare l’ingegnerizzazione di queste nuove tecnologie, di liberare l’Italia dalla dipendenza degli
approvvigionamenti di petrolio, carbone e da altri acquisti di energia elettrica, con
enormi vantaggi ecologici e di bilancio
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00187
Atto n. 3-00187
Pubblicato il 27 giugno 2013, nella seduta n. 53
SCILIPOTI - Ai Ministri dell’istruzione, dell’università e della
ricerca e dello sviluppo economico. Premesso che:
è stato recentemente pubblicato, sull’archivio on line di articoli scientifici della
Cornell University arXiv, un rapporto tecnico dal titolo “Indication of anomalous
heat energy production in a reactor device” (Rilevazione di generazione anomala
di energia termica in un reattore), i cui autori fanno parte di un team internazionale di ricercatori formato da: Hanno Essén (fisico teorico, ex presidente della
Swedish Skeptic’s society, Royal institute of technology, Stoccolma), Evelyn Foschi
(fisica esperta di radioprotezione, già università di Bologna), Torbjörn Hartman
(ingegnere senior presso lo Svedberg laboratory, Uppsala), Bo Höistad (fisico delle
particelle, professore all’università di Uppsala), Giuseppe Levi (fisico nucleare,
università di Bologna e associato dell’Istituto nazionale di fisica nucleare), Roland Pettersson (già professore di Chimica presso l’università di Uppsala), Lars
Tegnér (professore al Dipartimento di Ingegneria elettrica, università di Uppsala);
nel rapporto tecnico sono stati resi pubblici i risultati di due diversi esperimenti effettuati sul generatore termico E-Cat (energy catalyzer) sviluppato da Andrea
Rossi con la collaborazione di Sergio Focardi, fisico e professore emerito dell’università di Bologna; il reattore utilizza piccole quantità di idrogeno, isotopi stabili
del nichel e particolari catalizzatori.
Gli esperimenti sono stati finanziati dalla società svedese Elforsk che opera
nel settore energetico. Nel sito web di questa società i risultati ottenuti sono stati
103
qualificati in modo positivo e definiti come “decisamente notevoli”;
gli autori dell’articolo hanno misurato in due diversi esperimenti scientifici,
uno della durata di 96 ore e l’altro della durata di 116 ore, una produzione
anomala di calore con una densità di energia notevolmente superiore alle densità
ottenibili da normali reazioni chimiche; nel primo esperimento è stata prodotta energia pari a 62 chilowattora termici con un assorbimento elettrico di 33
chilowattora ed una densità di energia termica pari a 61000 chilowattora per
chilo. Nel secondo esperimento l’energia prodotta è stata pari a 160 chilowattora
termici con un assorbimento di 35 chilowattora elettrici ed una densità di 680
chilowattora per chilo;
si ricorda che l’energia termica prodotta da un chilo di benzina è pari ad appena 13 chilowattora. Entrambi gli esperimenti sono terminati con il deliberato
spegnimento del reattore, non per l’esaurimento del materiale attivo utilizzato;
gli ordini di grandezza delle energie in gioco escludono sia la possibilità di
errori sperimentali, sia un’interpretazione convenzionale della nuova fonte di energia; è, inoltre, promettente e realistica la prospettiva di usare in un prossimo
futuro tali reattori per la produzione di energia elettrica, grazie anche al buon rendimento termodinamico ottenibile dalle loro alte temperature di funzionamento;
anche se non esiste ancora una teoria generalmente accettata che ne spieghi
l’origine, la realtà dei fenomeni di generazione anomala di calore è supportata da
migliaia di pubblicazioni scientifiche e da molti brevetti, alcuni dei quali, come il
brevetto rilasciato recentemente al professor Francesco Piantelli dell’università di Siena, propongono soluzioni tecnologiche simili a quelle utilizzate nei reattori E-Cat;
Rossi ha già ottenuto un brevetto italiano dal titolo: “processo ed apparecchiatura per ottenere reazioni esotermiche, in particolare da nickel ed idrogeno”;
molte istituzioni e società italiane e straniere, come Enea, Infn, Nasa, Mit,
Mitsubishi, Toyota, US Navy, National Instruments, ST Microelettronica e molte
università sono, o sono state, coinvolte in questo particolare settore della ricerca
scientifica, considerato ancora da qualcuno come controverso, principalmente per
la mancanza di una teoria conclusiva;
anche il Martin Fleischmann memorial project recentemente ha replicato gli
esperimenti del dottor Francesco Celani dell’Infn, si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo non intendano adottare iniziative volte a favorire
le ricerche teoriche e sperimentali che permettano di chiarire, definitivamente, la
natura e le caratteristiche dei sopracitati fenomeni;
104
se non intendano adottare iniziative di ingegnerizzazione e sviluppo di queste
nuove tecnologie nell’ottica di una possibile riduzione dei costi dell’energia e per
favorire la crescita economica e la competitività del Paese, che diventerebbe esportatore di energia elettrica a basso costo con enormi vantaggi di bilancio e
ambientali.
1.14 La tutela penale dell’ambiente
In tema di ambiente è necessario porre l’accento sull’importanza che la
materia ha rivestito negli ultimi anni e specificare quelli che possono essere gli strumenti necessari per raggiungere l’obiettivo di una efficace tutela
ambientale ovvero, che l’ambiente si faccia sistema, che una legge analitica
tratti tutti gli aspetti della tutela penale dell’ambiente ed infine che si provveda ad una adeguata formazione dei giuristi su tale delicatissimo tema.
L’idea di una protezione dell’ambiente che attraverso sanzioni colpisca
coloro che pongano in essere atti dannosi per l’ecosistema, ha origini antichissime e difatti già col lontanissimo Codice Ur-Nammu di Lagash (2100
a.C.) si puniva con sanzione pecuniaria la contaminazione di un pozzo.
Orbene, sebbene esistesse già dai tempi di Platone la consapevolezza
del degrado ambientale, bisogna attendere il 1864 per vedere pubblicata
la prima grande opera interamente dedicata all’impatto umano sulla natura (G.P. MARSH, Man and Nature. Or, Physical Geography as Modified by
Human Action, 1864).
È quindi di palmare evidenza come il diritto penale, il diritto civile e il
diritto amministrativo debbano convergere nel progresso del diritto della
tutela dell’ambiente. Seguendo il risvolto del diritto penale in materia si
denota, soprattutto sul versante nazionale, come la problematica della
tutela penale dell’ambiente segua un iter particolarmente controverso determinato anche dalla circostanza che le soluzioni offerte da parte della
dottrina non sono del tutto in linea con il pensiero europeo sull’argomento.
Purtroppo, il comune sentire valuta l’ambiente in una prospettiva
esclusivamente antropocentrica nella quale il bene ambiente viene in
considerazione solo in funzione strumentale rispetto alla tutela di altri
beni quali la vita, l’incolumità individuale, la salute pubblica o addirittura, il patrimonio e il corretto funzionamento del mercato.
105
Proprio in tale prospettiva e nella stretta correlazione che vi è tra tutela dell’ambiente e diritto penale occorre specificare i mezzi e le finalità
attuative, considerando anche che ci si deve rapportare con una collettività spesso poco rispettosa di quell’ecosistema in cui è inserita.
Serve perseguire invece la salvaguardia dell’ambiente visto come bene
con una rilevanza propria e deve essere inquadrata come una opportunità al fine di approntare una tutela di un patrimonio condiviso. A tal
proposito, la normativa penale a tutela dell’ambiente si contraddistingue
per l’appartenenza al cosiddetto diritto penale complementare, ossia a
quella serie di disposizioni speciali contenute al di fuori del codice penale, con conseguenti riflessi in ordine ad una evidente disorganicità ed
estemporaneità della disciplina in esame.
Pertanto si ottiene una classificazione di tali norme meramente convenzionale, nella quale si fanno rientrare tutti quei precetti che, perseguendo una efficace tutela dell’ambiente stesso, prevedono puntuali sanzioni penali quale conseguenza della loro inosservanza.
Preliminarmente va considerato che la Corte Costituzionale ha determinato che l’ambiente è da porre tra i valori costituzionali con carattere
Una bella immagine paesaggistica del nostro pianeta
106
di primarietà ed assolutezza in quanto esso “è protetto come elemento determinativo della qualità della vita, la sua protezione non persegue astratte finalità
naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un habitat naturale nel
quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività secondo valori largamente sentiti ed è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.),
per cui esso assurge a valore primario ed assoluto”.
Al contrario, i cittadini europei sembrano sempre più preoccupati
dall’inesorabile aggravarsi della crisi ambientale ed invero essi si aspettano un rafforzamento e non certo un abbandono della tutela penale
dell’ambiente. Il legislatore comunitario, ben consapevole dell’importanza cruciale degli interessi sottesi alla nozione di ambiente, è intervenuto
più volte in materia suggerendo anche agli Stati membri l’introduzione
o il perfezionamento della normativa di carattere in primo luogo penale,
ma anche amministrativo e civile. Già nel 1998, il Consiglio d’Europa
aveva adottato una Convenzione per la tutela dell’ambiente attraverso il
diritto penale.
La stessa preoccupazione per l’aumento dei reati contro l’ambiente
e per le loro conseguenze, che sempre più frequentemente si estendono
al di là delle frontiere degli Stati ove tali reati vengono commessi, che
già aveva portato all’adozione della succitata Convenzione, ha costituito,
poi, il fondamento, su iniziativa del Regno di Danimarca nel febbraio
2000, della Decisione Quadro della U.E. n. 80/2003 in materia di tutela penale dell’ambiente. Ancora, un ruolo di grande importanza sull’argomento è stato ricoperto dalla Direttiva 2008/99/ CE che obbliga gli
Stati membri a prevedere “nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in
relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia
di tutela dell’ambiente”.
La direttiva, spingendosi oltre, indica gli ambiti specifici dell’intervento penale mediante un’elencazione delle condotte penalmente rilevanti
ove il fine è la realizzazione di una tutela penale effettiva, proporzionata
e dissuasiva, imposta agli Stati membri e che costituisce lo spunto per
una riflessione sul grado di tutela offerto ai beni ambientali dal nostro
ordinamento giuridico allo stato attuale.
La tutela penale dell’ambiente è quindi oggetto di interesse europeo
ed in particolare delle direttive 2008/99/CE e 2009/123/CE, recepite
107
dal nostro sistema normativo col decreto legislativo 7 luglio 2011 n. 121
il quale da un lato, ha implementato il sistema di repressione penale degli illeciti ambientali introducendo nuove fattispecie incriminatrici (art.
727-bis c.p. e art. 733-bis c.p.) e, dall’altro, ha previsto una compiuta
disciplina della responsabilità delle persone giuridiche accrescendo il novero dei reati “presupposto” di cui al d.lgs. n. 231 del 2001.
Tuttavia, il recente intervento legislativo di recepimento delle direttive suindicate non è esente da criticità in quanto il legislatore nazionale
ha mantenuto la tutela penale imperniata su reati contravvenzionali di
pericolo astratto e non in rapporto al principio di offensività conforme
alle prescrizioni europee.
A livello nazionale, un quadro d’insieme della vigente disciplina può
essere comunque colto riferendosi alle disposizioni contro l’inquinamento atmosferico, idrico e da rifiuti solidi confluite nel d.lgs. 3 aprile 2006,
n. 152 (il c.d. “Testo Unico Ambientale”) quale somma della miriade
di leggi sparse che ha avuto il merito di sostituire il decreto Ronchi e di
regolamentare la tutela delle acque, il problema dei rifiuti e la questione
dell’inquinamento ambientale.
Ed invero, con il predetto decreto composto da più di trecento articoli ed oltre quaranta allegati, si è provveduto a codificare nel diritto nazionale i principi del diritto ambientale, prevalentemente di derivazione
europea, che rappresentano una novità nel panorama legislativo italiano
in materia ambientale.
Il successivo d.lgs. 16 gennaio 2008 n. 4 si è aggiunto ed ha modificato
in parte il precedente, da un lato a tutela del principio della protezione delle acque e del sottosuolo dall’altro a favore della bonifica dei siti inquinati.
La norma, inoltre, ha avuto il merito di rafforzare l’operatività del
principio dello sviluppo sostenibile, del diritto di accesso e di partecipazione dei cittadini e del principio di sussidiarietà, così che possano trovare conseguente attuazione il diritto alla salute, il diritto alla tutela del
paesaggio e quello ad un ambiente salubre, ben consacrati nella nostra
Costituzione.
Purtroppo però, le sanzioni comminate dal legislatore avverso gli illeciti ambientali sono identificabili in mere contravvenzioni che pertanto
non scoraggiano la commissione di tali fatti criminosi ed anche nel caso
108
in cui i reati ambientali concorrono con i reati previsti dal codice penale
la situazione non cambia.
Ciò posto, solo due sono gli illeciti penali costituiti in materia ambientale, uno previsto dall’art. 18 della legge 42/2004 sulla tutela del
paesaggio e l’altro definito dall’art. 260 del d.lgs. 152/2006 in tema di
rifiuti.
Il cuore della tematica che stiamo affrontando è senz’altro costituito
in buona parte dall’ingerenza della mafia, soprattutto della camorra, in
una piaga che affligge il nostro paese e cioè lo smaltimento illecito dei
rifiuti.
Per la mafia l’immondizia è oro, tanto è vero che lo smaltimento dei
rifiuti (anche tossici) ha costituito a lungo l’attività preferita dei clan quale traffico molto remunerativo e di gran lunga meno rischioso di quello
avente ad oggetto ad esempio le sostanze stupefacenti.
Tale attività criminosa ha difatti permesso alla mafia di costituire una
fitta ragnatela in tutta Italia creando grave nocumento non solo all’ambiente ma anche alla salute della collettività che, ironia della sorte, è costretta a sobbarcarsi i costi delle operazioni di bonifica effettuate dalle
stesse imprese che inquinano con rifiuti tossici e capaci così di produrre
un profitto di quasi trenta miliardi di euro solo negli ultimi anni.
Per questo motivo il legislatore, sollecitato dalla procure antimafia, ha
trasformato in delitto l’illecito smaltimento dei rifiuti.
Dal 2001 ad oggi, tutte le procure italiane hanno avuto la possibilità
di indagare a fondo, riuscendo a realizzare scoperte raccapriccianti, oltre
ad accertare che i rifiuti illecitamente smaltiti contengono un’alta concentrazione di metalli pesanti nocivi e che questo problema coinvolge
ormai tutta la nazione e non solo più il sud Italia.
Laddove fosse necessario ricordarlo, la quantità di rifiuti scomparsi
ed occultati ammonta ad oltre sessantotto milioni di tonnellate e, come
se non bastasse, negli ultimi anni le tecniche di smaltimento illecito dei
rifiuti si sono molto affinate e diversificate.
In passato si trattava di smaltimento in discariche a cielo aperto, oggi
si è passati alla prassi “dell’intombamento” e a quella dello “spargimento” dei fanghi derivanti dallo smaltimento sui terreni agricoli, con la conseguenza di rendere nocivo tutto ciò che su tali terreni si coltiva.
109
Altro mezzo per occultare i rifiuti è ancora quello di impiegarli per la
costruzione di laterizi edili; infatti, una volta mescolati calce e rifiuti, a volte anche radioattivi, ben potremmo ritrovarli nelle nostre case. Il mercato
dello smaltimento illecito dei rifiuti persegue un funzionamento pratico
il cui meccanismo è semplice: una squadra di malavitosi ha il compito di
“far visita” alle imprese locali per proporre loro uno smaltimento a prezzi
di molto inferiori rispetto alla prassi. Eclatante ed attuale immagine di
tale iter è la cosiddetta Terra dei Fuochi in Campania (Italia).
Il denaro ottenuto quale frutto di tali attività illecite viene poi riciclato in altri settori d’impresa o per attività formalmente lecite, o depositato
su conti bancari aperti nei paradisi fiscali.
In conclusione occorre capire quali sono o possono essere i mezzi
idonei a contrastare tale fenomeno, in primo luogo severi controlli amministrativi preventivi da svolgere sulle autorizzazioni per il deposito, lo
stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti ed in secondo luogo, una costante
vigilanza sulle imprese che hanno ottenuto la concessione di appalti pubblici per il compimento di tali operazioni.
L’auspicio è quello di poter pervenire ad una gestione globalizzata
del crimine, dei rimedi e delle forze atte a contrastare questo enorme
problema che lede la tutela della sicurezza e della salute dell’ambiente,
soprattutto di coloro che nell’ambiente vivono.
1.15 Cambiamento climatico
Il cambiamento climatico sta interessando tutte le regioni d’Europa e
più in generale tutto il pianeta, causando una vasta serie di ripercussioni
sulla società e sull’ambiente.
Proprio a tal riguardo, si prevedono in futuro ulteriori conseguenze
con danni potenzialmente elevati anche in termini di costi e con il verificarsi di eventi climatici estremi che diventeranno sempre più intensi e
frequenti, ove le future alterazioni contribuiranno ad accentuare la vulnerabilità di tale situazione e l’equilibrio della nostra salute sarà strettamente connesso al benessere della Terra.
Gli indicatori più significativi dello stravolgimento climatico si possono evidenziare in tutta una serie di motivazioni ma soprattutto nell’aumento delle temperature, nelle inondazioni, nella siccità, nell’aumento
110
del livello dei mari e dei fiumi, nello scioglimento dei ghiacciai, nel surriscaldamento e nel raffreddamento globale.
Ad oggi, alcuni Paesi stanno cercando di intraprendere un cammino
per individuare una soluzione che permetta di capire come attenuare i
rischi di uno sconvolgimento ambientale. Proprio questa tematica è stata
oggetto di discussione durante una missione organizzata dalla Delegazione Nato - Commissione Scienza e Tecnologia - della quale sono Vice
Presidente.
L’incontro, realizzatosi con i docenti dell’Università di FairBanks in
Alaska, ha avuto come punto focale la tutela e la salvaguardia del pianeta
e, molto importante, è stato comprendere come solo avendo una visione
totale sullo scenario globale si potranno ottenere delle reali soluzioni.
Il mondo e il suo assetto sono in continuo mutamento e gli effetti
di questi cambiamenti si ripercuotono sulla nostra vita. Già nell’anno
2009, infatti, proprio in Alaska è stato organizzato un vertice che ha visto
la partecipazione di 300 indigeni e di numerosi osservatori internazionali
per perseguire quattro obiettivi basilari:
• Consolidare, condividere e far tesoro delle esperienze e delle visioni
dei popoli indigeni sugli impatti del cambio climatico sugli stili di
vita e l’ambiente;
• Dare visibilità alla partecipazione e al ruolo dei popoli indigeni nei
processi locali, nazionali, regionali ed internazionali di formulazione di strategie e alleanze che vedono coinvolte comunità locali e
altri attori per rispondere agli impatti del cambio climatico;
• Analizzare, discutere e promuovere il riconoscimento pubblico degli impatti e delle conseguenze dei programmi e delle proposte per
la riduzione del cambio climatico e la valutazione delle soluzioni
proposte dalla prospettiva dei popoli indigeni;
• Diffondere le strategie e le soluzioni per rispondere ai cambiamenti
climatici dalla prospettiva delle culture, delle visioni del mondo e
delle conoscenze tradizionali dei popoli indigeni includendo gli
approcci basati sul diritto locale, nazionale, regionale e internazionale.
Anche l’Unione Europea ha cercato di porsi degli obiettivi per la
diminuzione dell’inquinamento ambientale e per ridurre al minimo
111
il cambiamento climatico difatti, nella Strategia Europea 2020, fra gli
obiettivi troviamo quelli relativi alla sostenibilità energetica quali la riduzione dell’emissione dei gas serra del 20% rispetto al 1990, il 20% del
fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili e l’aumento del 20%
dell’efficienza energetica.
Nella Conferenza ONU, organizzata per dicembre 2015, si sottoscriverà
il nuovo accordo mondiale sul clima che entrerà in vigore dal 2020, come
anche si tracceranno le linee guida sul negoziato internazionale che porterà al
nuovo accordo e che è caratterizzato da alcune grandi questioni: il rapporto
tra paesi industrializzati ed economie emergenti; il carattere vincolante degli impegni di riduzione delle emissioni nocive (mitigazione) che ogni paese
prenderà; le politiche e le risorse per l’adattamento (ovvero le attività che
servono ad adattare i territori alle conseguenze del cambiamento climatico).
Tuttavia, se da una parte in molti Paesi come quelli Europei ma come
anche l’Alaska, già citata prima, si va verso la giusta direzione contemporaneamente, negli stessi paesi, basti pensare proprio a Fairbanks e alla
Polonia, si continuano a sostenere le centrali a carbone e ad utilizzare il
petrolio quale maggiore fonte di produzione di energia.
Il cambiamento climatico, quindi, rappresenta una delle maggiori sfide
che l’umanità dovrà affrontare nei prossimi anni: i rischi per il pianeta e per
le generazioni future sono enormi e ci obbligano ad intervenire con urgenza.
Le iniziative intraprese dai vari Governi non basteranno se non si deciderà insieme di compiere una vera e propria svolta comportamentale,
ecologica ed economica che incida sull’ecosistema.
Ciò posto, le conseguenze dello stravolgimento climatico ed ambientale saranno anche la causa di tutta una serie di eventi potenzialmente
devastanti per la salute del mondo e di noi stessi, presupposto che certamente comporterà un aumento della diffusione di determinate malattie
(come la malaria) e di tutta una serie di emergenze che non tutti gli Stati
saranno pronti a fronteggiare.
Altro pericolo prevedibile sarà l’innalzamento dei mari che sicuramente andrà ad intaccare anche le scorte di acqua dolce(*1) e ciò, di con*1 Vedere anche capitoli: 1.4 L’acqua, bene prezioso che va tutelato. 1.6 Procedimento
di potabilizzazione dell’acqua- 2.6 Cibo etica e nutrizione
112
seguenza, finirà col mettere a rischio la produzione agricola e tutto il
sistema di produzione alimentare globale.
Alcune zone del pianeta devastate e rese invivibili dal verificarsi di tali
mutamenti, non potendo più accogliere ed ospitare gli esseri viventi, genereranno enormi migrazioni di massa con conseguente sconvolgimento
di ogni sorta di equilibrio, mettendo così seriamente in crisi il sistema
economico globale e, cosa ancor più grave, ponendo a rischio la nostra
intera esistenza.
113
Capitolo 2
Inquinamento alimentare. Additivi, contenitori
di plastica, sostanze tossiche e cibi
“Noi siamo quello che mangiamo” dicevano gli antichi ed oggi an­che
la medicina lo conferma. In sostanza gli alimenti che entrano nel nostro
corpo attraverso la bocca vengono digeriti, metabolizzati ed impiegati per
formare nuove cellule che andranno a far parte del nostro organismo. Se
è vero quindi ciò che sostenevano gli antichi, dovremmo imparare a rispettare un’alimentazione corretta scegliendo del cibo migliore in modo
tale da prevenire, perlomeno con quanto è in nostro potere, quella che
si può a ben ragione definire come la peggiore piaga del nostro secolo:
il cancro. Oggi però, selezionare ciò che decidiamo di mangiare risulta
sempre più difficile dato l’impiego crescente di sostanze tossiche presen­
ti nei cibi. Occorre pertanto far luce su quelli che sono considerati i
“nemici” del nostro organismo ossia gli additivi, i contenitori di plastica
usati per la conservazione dei cibi e le sostanze tossiche (ad es. ftalati e
PVC), evidenziando la loro pericolosità per via degli ele­menti altamente
cancerogeni in essi contenuti.
2.1 Additivi
L’uso ormai spropositato degli additivi desta particolare allarme e,
con tale termine, si fa riferimento a qualsiasi sostanza normalmente non
consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti ma, indipendentemente dal fatto che abbia
valore nutritivo, aggiunta intenzionalmente ai prodotti ali­mentari nelle
fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trat­tamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli stessi, tanto che si possa presumere divenga, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti
direttamente o indirettamente. Sono quindi composti chimici che vengono aggiunti agli alimenti con lo scopo di protrarne la conservazione ma
anche di migliorarne aspetto, sapore, consistenza e, secondo disposizioni
di legge, devono essere innocui e menzionati in modo chiaro e leggibile
115
affinché il consumatore sia ben consapevole che sta acquistando un prodotto trattato. Gli additivi alimentari sono sostanze ampiamente studiate
e docu­mentate sotto il profilo tossicologico ed il loro uso è costantemente
tenuto sotto il controllo delle competenti Organizzazioni internazio­nali e
nazionali. In merito, è stata stabilita una dose giornaliera accettabile che
rap­presenta la quantità di additivo che può essere ingerita ogni giorno
attraverso la dieta nell’arco della vita, senza che compaiano effetti indesiderati. Ed invero, nella preparazione e nella conservazione degli alimenti
è autorizzato l’impiego solo di quelle sostanze esplicitamente elencate in
una apposita lista positiva.
Inoltre, gli additivi sono classificati in base alla loro funzione e se ne
possono individuare tre grandi gruppi:
• Additivi che aiutano a preservare la freschezza degli alimenti: conservanti che rallentano la crescita di microbi ed antiossidanti che
prevengono i fenomeni di irrancidimento;
• Additivi che migliorano le caratteristiche sensoriali degli alimen­
ti: coloranti, addensanti, emulsionanti, dolcificanti, esaltatori di
sapidità;
• Additivi tecnologici usati per facilitare la lavorazione degli ali­menti
pur non avendo una specifica funzione nel prodotto finale (definiti anche adiuvanti): agenti antischiuma, antiagglomeranti etc.
Al fine di tutelare la salute umana e diffondere informazioni corrette
circa le sopracitate sostanze, riporto a seguire il testo integrale della
proposta di legge n. 1473, da me presentata in collaborazione con
altri colleghi alla Camera dei Deputati e riproposta al Senato della
Repubblica nel 2013, per l’adozione di nuove norme in materia di impiego di additivi tossici per la preparazione di cibi e bevande de­stinati
all’alimentazione umana:
116
1
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1473
PROPOSTA DI LEGGE
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
SCILIPOTI, ANGELI, BARBA, BELCASTRO, BONINO, BURTONE, CIRIELLI, COMMERCIO, DE NICHILO RIZZOLI, DI BIAGIO, LO MONTE, MARCHIONI, OLIVERIO, PORCINO, PORFIDIA, RAZZI, STRIZZOLO, VALENTINI, VENTUCCI
Delega al Governo per l’adozione di nuove norme in materia di impiego
di additivi tossici per la preparazione di cibi e bevande
destinati all’alimentazione umana
Presentata il 10 luglio 2008
Onorevoli Colleghi ! — I consumatori
chiedono, ormai da anni, chiarezza e in­
formazione in particolare nella materia alimentare, assai delicata e strettamente correlata alla salute umana. Essi vogliono poter
scegliere liberamente e consapevol­
mente
i prodotti che finiscono quotidia­namente
sulle loro tavole. Invero, le cattive pratiche
produttive e commerciali, com­
plici un’inadeguata legislazione e i con­
trolli assai
carenti, se non addirittura inesistenti, non
mettono il cittadino nelle condizioni di po-
2
ter esercitare liberamente le proprie scelte
e difendere cos“ il pro­prio, fondamentale,
diritto alla salute.
Particolare allarme desta, poi, l’utilizzo,
ormai massiccio, di sostanze chimiche quali
additivi per cibi e bevande destinati all’alimentazione umana.
Nonostante la loro inutilità per l’ali­
mentazione umana, nonché, per alcuni di
essi, la certa o presunta cancerogenicità, l’impiego di tali additivi ammesso e regolato dalla
normativa comunitaria (di­
rettiva 89/197/
CEE del 21 dicembre 1988 del Consiglio),
secondo cui, Ç qualsiasi so­stanza normalmente non consumata come alimento in quanto
tale e non utilizzata come ingrediente tipico
degli alimenti, in­
dipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta
intenzional­mente ai prodotti alimentari per
un fine tecnologico, nelle fasi di produzione,
tra­sformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzina­mento degli
alimenti, si possa ragionevol­mente presumere
diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali ali­menti, direttamente o indirettamente È (ar­ticolo 1, pragrafo 2).
L’utilizzo di alcuni additivi, siano essi coloranti, addensanti, conservanti, esalta­tori di
sapidità eccetera, non scevro da rischi per la
salute umana (neoplasie, malattie dell’apparato respiratorio, ecce­tera), quindi giustificato,
per lo più, da mere finalità commerciali.
Molte ricerche scientifiche hanno però
evidenziato, già da tempo, la pericolosità
per la salute umana causata dall’impiego di
taluni additivi.
Una recente ricerca dell’università di
Southampton (Inghilterra), pubblicata sulla prestigiosa rivista medico-scientifica «
- N. 1473
The Lancet », ha poi posto in evidenza come
determinati coloranti, assunti sia da soli
sia, ma con maggior rischio, in combinazione con il conservante benzoato di sodio,
pos­sano provocare, anche nella fascia di età
compresa tra i 3 e i 10 anni, alterazioni del
comportamento, quali iperattività, perdita
di concentrazione e altre gravi malattie.
Immediatamente il Ministero per la salute britannico ha avviato una proce­dura per la
messa al bando, entro il 2009, di tali coloranti.
Ci˜ che fa riflettere , tuttavia, che i coloranti posti sotto accusa sono noti già da
decenni per i loro effetti nocivi sulla salute
umana. Il colorante noto come E102, ov­
vero la tartrazina, già da anni vietato negli
Stati Uniti d’America in quanto sospettato
di provocare il cancro alla tiroide. Ma an­
che altri Stati, quali Norvegia, Giappone,
Australia e Austria, nel corso degli ultimi
anni, hanno bandito determinate sostanze
a seguito di nuove e pi moderne, nonché
efficaci, ricerche scientifiche che hanno di­
mostrato la pericolosità per la salute umana
di molti additivi, quali:
E102 (Tartrazina);
E104 (Giallo di crinolina);
E110 (Giallo arancio S);
E122 (Azorubina);
E123 (Amaranto);
E124 (Rosso cocciniglia A);
E127 (Eritrosina);
E129 (Rosso AC);
E131 (Blu patent V);
E151 (Nero Brillante BN);
E154 (Marrone FK);
E173 (Alluminio);
E174 (Argento);
E175 (Oro);
3
E210 (Acido benzoico);
E211 (Sali di acido benzoico);
E212 (Sali di acido benzoico);
E213 (Sali di acido benzoico);
E220 (Anidride solforosa);
E221 (Solfito di sodio);
E222 (Bisolfito di sodio);
E223 (Metabisolfito di sodio);
E224 (Metabisolfito di potassio);
E225 (Solfito di potassio);
E226 (Solfito di calcio);
E227 (Bisolfito di calcio);
E228 (Potassio solfito acido);
E237 (Formiato di sodio);
E239 (Esametilen tetrammina);
E240 (Aldeide formica);
E249 (Nitrito di potassio);
E250 (Nitrito di sodio);
E251 (Nitrato di sodio);
E252 (Nitrato di potassio);
E320 (BHA Butilidrossianisolo);
E321 (BHT Butilidrossitoluolo);
E338 (Acido ortofosforico);
E339a (Fosfato monosodico);
E339b (Fosfato disodico);
E339c (Fosfato trisodico);
E340a (Fosfato monopotassico);
E340b (Fosfato dipotassico);
E340c (Fosfato tripotassico);
E341a (Fosfato monocalcico);
E341b (Fosfato dicalcico);
E341c (Fosfato tricalcico);
E363 (Acido succinico);
E385 (Calcio disodio EDTA);
E420 (Sorbitolo);
E434 (Polisorbato 40);
E470 (Sali di acidi grassi);
E474 (Saccarogliceridi);
E483 (Tartrato di stearile);
- N. 1473
E491 (Sorbitolo monostearato);
E492 (Sorbitolo tristearato);
E493 (Sorbitolo monolaurato);
E494 (Sorbitolo monooleato);
E495 (Sorbitolo monopalmitato);
E513 (Acido solforico);
E524 (Idrossido di sodio);
E525 (Idrossido di potassio);
E527 (Idrossido di ammonio);
E528 (Idrossido di magnesio);
E530 (Ossido di magnesio);
E540 (Difosfato di calcio);
E541 (Fosfato adico di alluminio e sodio);
E544 (Polifosfato di calcio);
E545 (Polifosfato di ammonio);
E553a (Silicato di magnesio);
E553b (Talco);
E576 (Gluconato di sodio);
E627 (Guanilato di disodio);
E631 (Inosinato disodico);
E635 (5’ ribonucleotidi di sodio);
E905 (Cera microcristallina -Paraf­fina);
E907 (Poli – 1 – decene idrogenato –
Cera microcristallina);
E927 (Azodicarbonammide);
E952 (Acido ciclamico).
L’utilizzo di questi additivi però, ad
oggi, ammesso dalla vigente normativa comunitaria.
La presente proposta di legge quindi,
si prefigge di individuare gli additivi dannosi, o sospettati di essere tali, per la salute
umana, vietandone l’utilizzo e la vendita,
in relazione a tutti i prodotti alimentari, facendo cadere, quindi, la limitazione ai soli
prodotti destinati ai bambini e am­pliando
la tutela anche agli adulti.
In particolare, l’articolo 1, esplicita le
finalità della legge e delega il Governo ad
4
adottare uno o pi decreti legislativi al fine
di dare attuazione al contenuto della stessa.
L’articolo 2 fissa i princìpi e i criteri
e direttivi di cui il Governo, nell’esercizio
della delega, dovrà tener conto, indicando
le sigle e i nomi delle sostanze da vietare e
ponendo, altresì, un divieto assoluto, non
solo di utilizzo da parte dei produttori ma,
anche, per i commercianti, di vendita di
prodotti alimentari contenenti tali additivi.
La lettera c) del comma 1 dello stesso
articolo 2 quindi pone l’ulteriore obbligo,
per i produttori, di indicare in tutti gli alimenti, il codice, nonch il nome per esteso,
della sostanza usata come colorante.
La lettera d) del medesimo comma 1 ri-
- N. 1473
conosce, anche in favore delle associa­zioni
dei consumatori, la legittimazione ad agire
a tutela degli stessi, attraverso lo strumento
della cosiddetta « class action ».
La lettera e) dello stesso comma 1 prevede, infine, una sanzione penale fino a
tre mesi di reclusione ovvero un’ammenda
fino a 206 euro per i soggetti, produttori o
commercianti, che violano gli obblighi scaturenti dalla normativa.
L’articolo 3 concerne il parere delle
Commissioni parlamentari competenti su­
gli schemi di decreti legislativi emanati in
attuazione della delega di cui all’articolo 1
e, infine, l’articolo 4 stabilisce l’entrata in
vigore della legge.
5
PROPOSTA DI LEGGE
- N. 1473
c) sancire, a carico dei produttori, l’obbligo di riportare in etichetta, accanto al codice,
anche il nome della sostanza impiegata;
d) riconoscere, anche in favore delle
associazioni dei consumatori, la legittima­
zione ad agire per il risarcimento del danno
La presente legge finalizzata a garanti- alla salute derivato dall’uso delle sostanze
re un’efficace tutela dei consuma­tori dai di cui alla lettera a);
rischi derivanti dall’impiego di additivi tose) prevedere che le violazioni dei divieti
sici per la preparazione di cibi e bevande
e degli obblighi di cui alle prece­denti lettere
destinati all’alimentazione umana.
a), b) e c), siano sanzionati, salvo che il fatto
Il Governo delegato ad adottare, en- costituisca pi grave reato, con l’arresto fino a
tro sei mesi dalla data di entrata in vigore tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro.
della presente legge, e secondo i princ“pi e
i criteri direttivi di cui all’arti­colo 2, uno
pi decreti legislativi recanti norme per la
Art. 3.
tutela della salute dei con­sumatori rispet(Pareri delle Commissioni parlamentari).
to ai rischi connessi all’im­piego di additivi
tossici per la prepara­zione di cibi e bevande
1. Gli schemi dei decreti legislativi di
destinati all’ali­mentazione umana.
cui all’articolo 1, sono trasmessi alle Ca­
mere almeno sessanta giorni prima della
scadenza del termine previsto per l’eser­cizio
Art. 2.
della delega di cui al medesimo articolo 1,
(Princ“pi e criteri direttivi).
comma 2, per il parere delle Commissioni
parlamentari competenti, da esprimere en1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1 si tro quaranta giorni dalla data di assegnazioinformano ai seguenti princ“pi e criteri direttivi: ne. Decorsi quaranta giorni dalla data di assegnazione i decreti legi­slativi sono emanati
a) prevedere il divieto, in qualunque fase
anche in assenza del parere.
della produzione, in tutti i cibi e le bevande destinati all’alimentazione umana, degli additivi
di cui all’allegato 1, annesso alla presente legge;
Art. 4.
(Entrata in vigore).
b) prevedere il divieto di commercia­
lizzazione di qualunque cibo o bevanda,
1. La presente legge entra in vigore il
destinati all’alimentazione umana, conte­
nente uno o pi degli additivi di cui all’alle- giorno successivo a quello della sua pub­
blicazione nella Gazzetta Ufficiale.
gato 1 annesso alla presente legge;
Art. 1.
(Finalità. Delega al Governo).
- N. 1473
6
Allegato I
(Articolo 2, comma 1, lettere a) e b)).
ELENCO ADDITIVI PERICOLOSI PER LA SALUTE UMANA
Elenco additivi coloranti, conservanti, edulcoranti, esaltatori di sapidità, addensanti,
emulsionanti, gelificanti, stabilizzanti pericolosi per la salute umana di cui all’articolo 2,
comma 1, lettera a):
E102 (Tartrazina);
E104 (Giallo di crinolina);
E110 (Giallo arancio S);
E122 (Azorubina);
E123 (Amaranto);
E124 (Rosso cocciniglia A);
E127 (Eritrosina);
E129 (Rosso AC);
E131 (Blu patent V);
E151 (Nero Brillante BN);
E154 (Marrone FK);
E173 (Alluminio);
E174 (Argento);
E175 (Oro);
E210 (Acido benzoico);
E211 (Sali di acido benzoico);
E212 (Sali di acido benzoico)
E213 (Sali di acido benzoico);
E220 (Anidride solforosa);
E221 (Solfito di sodio);
E222 (Bisolfito di sodio);
E223 (Metabisolfito di sodio);
E224 (Metabisolfito di potassio);
E225 (Solfito di potassio);
E226 (Solfito di calcio);
E227 (Bisolfito di calcio);
E228 (Potassio solfito acido);
E237 (Formiato di sodio);
E239 (Esametilen tetrammina);
E240 (Aldeide formica);
E249 (Nitrito di potassio);
E250 (Nitrito di sodio);
E251 (Nitrato di sodio);
E252 (Nitrato di potassio);
E320 (BHA Butilidrossianisolo);
E321 (BHT Butilidrossitoluolo);
E338 (Acido ortofosforico);
E339a (Fosfato monosodico);
E339b (Fosfato disodico);
E339c (Fosfato trisodico);
E340a (Fosfato monopotassico);
E340b (Fosfato dipotassico);
E340c (Fosfato tripotassico);
E341a (Fosfato monocalcico);
E341b (Fosfato dicalcico);
E341c (Fosfato tricalcico);
E363 (Acido succinico);
E385 (Calcio disodio EDTA);
E420 (Sorbitolo);
E434 (Polisorbato 40);
E470 (Sali di acidi grassi);
E474 (Saccarogliceridi);
E483 (Tartrato di stearile);
E491 (Sorbitolo monostearato);
E492 (Sorbitolo tristearato);
E493 (Sorbitolo monolaurato);
E494 (Sorbitolo monooleato);
E495 (Sorbitolo monopalmitato);
7
E513 (Acido solforico);
E524 (Idrossido di sodio);
E525 (Idrossido di potassio);
E527 (Idrossido di ammonio);
E528 (Idrossido di magnesio);
E530 (Ossido di magnesio);
E540 (Difosfato di calcio);
E541 (Fosfato adico di alluminio e sodio);
E544 (Polifosfato di calcio);
E545 (Polifosfato di ammonio);
E553a (Silicato di magnesio);
- N. 1473
E553b (Talco);
E576 (Gluconato di sodio);
E627 (Guanilato di disodio);
E631 (Inosinato disodico);
E635 (5’ ribonucleotidi di sodio);
E905 (Cera microcristallina -Paraffina);
E907 (Poli – 1 – decene idrogenato –
Cera microcristallina);
E927 (Azodicarbonamminide);
E952 (Acido ciclamico).
Proposta di Legge n. 1473, presentata dal Sen. Domenico Scilipoti alla Camera dei Deputati il 10 luglio 2008
2.2 Contenitori di plastica ed effetti “indesiderati”
Immagini contenitori in plastica d’uso quotidiano
Anche le materie plastiche, che oramai dominano la vita quotidiana,
sono state oggetto di studi scientifici e lunghi dibattiti tra esperti a causa
delle sostanze tossiche e cancerogene che sprigionano a con­tatto con gli
alimenti. Sulla scorta di ciò, in funzione della loro ampia diffusione nel
settore alimentare nonché a motivo della complessità della loro composizione e delle implicazioni di carattere igienico-sanitario, sono state fra i
primi materiali ad essere regolamentati a livello nazionale e comunitario.
Nella maggior parte dei casi tali materiali sono destinati a venire a contatto con gli alimenti, di norma a tutela e protezione degli stessi (involucro protettivo-packaging) oppure fungono da contenitore, ri­vestimento,
imballaggio (wrapping-material). Sono per lo più deri­vati dai processi industriali della lavorazione di prodotti del petrolio e costituiti da materiale non deteriorabile e resistente all’attacco di agenti esterni, tali qualità
appaiono amplificate se vengono composti con particolari additivi che
li rendono ancora più resistenti, ma anche più difficili da decomporre.
Tuttavia, è bene ricordare che soprattutto quelle utilizzate per il con­
124
fezionamento e l’imballaggio dei generi alimentari sono sensibili al calore, pertanto bisognerebbe non utilizzarle con i cibi che hanno subito
un trattamento termico in quanto possono cedere i propri co­stituenti
all’alimento. In Italia le plastiche destinate a venire a contatto con gli
alimenti sono disciplinate sia dalle norme di carattere generale di cui al
D.P.R. n. 777/1982 sia dalle disposizioni specifiche riportate nel D.M.
21 mar­zo 1973 ed ancora dalle norme comunitarie del regolamento
(CE) n. 1935/2004. Ciò nondimeno, a far data dal 1° maggio 2011 in
applicazione del nuovo regolamento U.E. n. 10/2011 denominato Regolamento Pim (Plastics Implementation Measure), il settore delle plastiche
destina­te al contatto con gli alimenti è stato interamente uniformato
in un unico corpus normativo. Il succitato regolamento, che in quanto
tale non va recepito ma si applica direttamente agli Stati membri, stabilisce norme specifiche per la fabbricazione e la commercializzazione
di composti, materiali ed oggetti di materia plastica destinati ad entrare
o già in contatto con i prodotti alimentari i quali, se costruiti secondo
i dettami della normativa europea, rispondono sia alle esigenze della
grande indu­stria che a quelle del consumatore e contribuiscono all’allungamento della vita del prodotto preservandolo da agenti batterici
provenienti dal mondo esterno.
Ciò posto, in qualità di prodotti finiti vanno comunque sempre testati per garantirne la sicurezza alimentare e bisogna prendere in consi­
derazione la possibilità che, per cause di varia natura, si abbia la migrazione di sostanze odorigene dalla materia plastica all’alimento.
Proprio per tale motivo, la ricerca scientifica è in continuo fermento
relativamente all’investigazione di come tali prodotti siano in grado di
associarsi agli alimenti, senza decomporre o denaturare i costi­tuenti stessi
dell’alimento, e/o cedere costituenti propri che possono essere assorbiti
dall’alimento e provocare nocività.
Sono pertanto definite dalla normativa vigente le liste positive dei
monomeri e degli additivi che possono essere usati nella prepara­zione
di articoli o materiali di plastica destinati al contatto con gli alimenti,
comprese anche eventuali limitazioni o restrizioni ed i con­trolli analitici
che debbono essere effettuati per accertare la idoneità dei materiali ed oggetti in esame, comprendono la verifica della mi­grazione globale e della
migrazione specifica.
125
È compito delle imprese produttrici controllare la rispondenza dei prodotti alle norme di settore in modo tale da poter dimostrare, ove richiesto, di aver adeguatamente provveduto a tutti i controlli ed ac­certamenti
necessari fino al consumatore finale affinché gli organi deputati al controllo ufficiale possono identificare, e quindi rintrac­ciare il produttore
dei materiali ed oggetti in questione. Nello specifi­co, nell’ambito del controllo ufficiale la realizzazione delle analisi è affidata a laboratori pubblici
(Presidi Multizonali, Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente,
Aziende Sanitarie Locali e Istituti Zooprofilattici Sperimentali).
Allo stato attuale, a seguito delle attività di controllo effettuate dal­le
Autorità territorialmente competenti, non è pervenuta al Ministe­ro della
Salute alcuna segnalazione circa la non congruità sanitaria dell’uso di
contenitori in polivinilcloruro. Tuttavia, data l’importan­za dell’argomento e la forte volontà di dare risposte concrete ed im­mediate ai cittadini,
ho ritenuto fondamentale presentare al Ministro della Salute un’interessante interrogazione Parlamentare della quale, a seguire, è riportato il
testo integrale:
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-00365
Pubblicato il 18 giugno2013, nella seduta n. 43
Risposta pubbli­cata SCILIPOTI - Al Ministro della salute. Premesso che:
risultano incompatibili con le principali linee guida di tutela della salute
i contenitori di plastica utilizzati abitualmente per il trasporto degli alimenti
nelle mense scolastiche o negli ospedali e nei luoghi di cura, nonché i coloranti,
antiossidanti, conservanti ed emulsionanti che vengono aggiunti volontariamente
ai prodotti, per assicurarne la conservazione o migliorarne alcune caratteristiche;
l’affermazione della plastica e delle sostanze aggiuntive per i pro­dotti alimentari, a partire dal primo dopoguerra, dimostra come i problemi sia ambientali
che sanitari derivanti da tale fenomeno sia­no ancora sottovalutati;i contenitori
di plastica, tra cui i più diffusi sono fatti di pvc (cloruro di polivinile), a contatto con i cibi caldi rilasciano sostanze cancerogene precursori delle malattie
neoplasti­che; il contenitore inoltre, per essere reso adatto ad avvolgere e con­tenere
gli alimenti, deve essere arricchito dall’aggiunta di alcune sostanze, dette additivi
plasticizzanti; i principali additivi utilizzati sono gli “ftalati”, che, non formando
legami irreversibili con il clo­ruro di polivinile che li contiene, tendono a fuoriuscire
dalla matrice del cloruro di polivinile e a migrare nell’alimento; alcune sostanze
126
aggiuntive, come l’E24 o l’E27, comunemente usate per le gomme da masticare,
gelati, cibi e bevande, negli Stati Uniti ed in Australia sono state vietate, perché
sospette di provocare tumori alla tiroide ed allergie; invece in Europa, secondo la
direttiva 94/34/CE del 30 giugno 1994 e da un’indagine effettuata dal comitato scientifico per l’alimentazione, la vendita di prodotti contenenti questo tipo
di so­stanze è ancora ammessa in quanto essi sarebbero “assolutamente sicuri”,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno assumere
iniziative normative urgenti per la tutela dei consumatori, promuovendo l’uso di
materiali completamente biode­gradabili e vietando sia l’uso di contenitori per alimenti e bevande che contengano cloruro di polivinile, bifenili policlorati, materiali
assimilabili, sia l’uso, anche in via preventiva, di sostanze aggiunti­ve che possano
danneggiare la salute.
Riporto, inoltre, risposta a mia interrogazione scritta n° 4-00365 da
parte del Sottosegretario di Stato per la salute Fadda
Risposta del Ministero all’interrogazione n. 4-00365
Fascicolo n.21
- Le materie plastiche, in quanto destinate al contatto con gli alimenti in funzione della loro ampia diffusione nel settore ali­mentare, nonché a
motivo della complessità della loro composizione e delle implicazioni di carattere
igienico-sanitario, sono state fra i primi materiali ad essere regolamentati a livello
nazionale e comu­nitario. In Italia le plastiche destinate a venire a contatto con
gli ali­menti sono disciplinate sia dalle norme di carattere generale di cui al decreto
del Presidente della Repubblica n. 777 del 1982 e successive modifiche e dalle
disposizioni specifiche riportate nel decreto mini­steriale 21 marzo 1973, sia dalle
norme comunitarie del regolamento (CE) n. 1935/2004. Dal 1° maggio 2011,
in applicazione del nuovo regolamento (UE) n. 10/2011, il settore plastiche destinate al contat­to con gli alimenti è interamente disciplinato a livello comunitario.
Sono definite dalla normativa vigente, fra l’altro, le liste positive dei monomeri e degli additivi che possono essere usati nella preparazio­ne di articoli
o materiali di plastica destinati al contatto con gli ali­menti, comprese anche
Risposta.
127
eventuali limitazioni o restrizioni. I controlli analitici che devono essere effettuati
per accertare l’idoneità dei ma­teriali ed oggetti in esame comprendono la verifica
della migrazione globale e della migrazione specifica. Allo stesso tempo, le imprese
produttrici delle materie plastiche sono tenute a controllare la ri­spondenza dei
loro prodotti alle normative indicate e a dimostrare, in ogni momento, di aver
adeguatamente provveduto ai controlli ed accertamenti necessari. I materiali ed
oggetti devono essere sempre accompagnati, nelle varie fasi diverse dalla vendita
al consumatore finale, da una dichiarazione scritta rilasciata dal produttore e at­
testante la conformità alle normative vigenti. In tal modo, qualora necessario, gli
organi deputati al controllo ufficiale possono identi­ficare e, quindi, rintracciare
il produttore. Nell’ambito del controllo ufficiale l’effettuazione delle analisi affidata ai laboratori pubblici (presidi multizonali, agenzie regionali per la protezione dell’ambien­te, aziende sanitarie locali e istituti zooprofilattici sperimentali).
Allo stato attuale, nell’ambito delle attività di controllo effettuate dalle autorità
territorialmente competenti, non è pervenuta al Ministero alcuna segnalazione
circa la non congruità sanitaria dell’uso di con­tenitori in polivinilcloruro. Gli
ftalati, impiegati quali additivi nella produzione delle materie plastiche, sono
stati autorizzati con speci­fiche restrizioni volte a limitarne l’uso a scopo precauzionale. Per “additivo alimentare” si intende qualsiasi sostanza, normalmente non
consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico
degli alimenti, indipendentemente dal fatto di ave­re un valore nutritivo, aggiunta
intenzionalmente ai prodotti alimen­tati, per un fine tecnologico, nelle fasi di
produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o
immagazzina­mento degli alimenti, che si possa presumere divenga, essa stessa o
i suoi derivati, un componente di tali alimenti direttamente o indiret­tamente.
Gli additivi alimentati sono sostanze ampiamente studiate e documentate sotto
il profilo tossicologico e il loro uso costantemen­te sotto il controllo delle competenti organizzazioni internazionali e nazionali. Per essi è stabilita una dose
accettabile giornaliera, che rappresenta la quantità di additivo che può essere
ingerita giornal­mente attraverso la dieta nell’arco di vita, senza che compaiano
ef­fetti indesiderati. Nella preparazione e conservazione degli alimenti è autorizzato l’impiego solo di quelle sostanze esplicitamente elenca­te in un’apposita lista
positiva. La disciplina degli additivi alimentari è armonizzata a livello comunitario e attualmente disciplinata dalle nuove disposizioni di cui al regolamento
(CE) n. 1333/2008 relati­vo agli additivi alimentari, che costituisce la norma-
128
tiva quadro, e al regolamento (CE) n. 1331/2008, che stabilisce una procedura
unica per l’autorizzazione degli additivi, degli enzimi ed aromi alimentari. In
particolare, secondo il regolamento (CE) n. 1331/2008, gli additi­vi alimentari,
gli enzimi e gli aromi possono essere commercializzati ed impiegati negli alimenti
soltanto se inclusi nelle specifiche liste positive, secondo una procedura di autorizzazione unica e centra­lizzata che si basa sulla valutazione scientifica del
rischio da par­te dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare. Il regolamento
(CE) n. 1333/2008 ha inoltre previsto il trasferimento degli additivi alimentari
già autorizzati, insieme alle relative condizioni d’uso, ne­gli allegati I e III dello
stesso regolamento. Il trasferimento è avve­nuto ad opera dei regolamenti (UE)
n. 1129/2011 e 1130/2011, che hanno istituito le liste positive comunitarie,
contenute negli allegati II e III del regolamento (CE) n. 1333/2008 e successive
modifiche. Il Sottosegretario di Stato per la salute Fadda
2.3 La tutela dei consumatori
Sempre in tema di sostanze pericolose per la salute dell’uomo, vorrei
ancora soffermarmi su un punto che ritengo fondamentale: molte so­
stanze, che in Europa vengono considerate non dannose per la salute
degli uomini, in altri Stati come ad esempio in Giappone, vengono bandite perché riconosciute tossiche e pericolose. Se per loro “natura” queste
sostanze sono dannose e pericolose per­ché pretendiamo di regolamentarne l’utilizzo tramite leggi e norme? Se una sostanza è difatti dannosa in
Oriente, come può essere consi­derata innocua per la salute in Occidente?
Riprendendo una frase da me pronunciata durante un intervento pro­
mosso in occasione dell’iniziativa in difesa della salute presso la sala conferenze dei Saloni Diana nella città di Milazzo (Messina-Italia) e cioè “La
plastica uccide quanto il fumo di sigaretta”, desidero pre­cisare che da anni mi
schiero a difesa della salute e della vita dei cittadini facendomi promotore di una intensa campagna di sensibi­lizzazione per l’eliminazione dalle
catene alimentari di tutte le so­stanze tossiche per l’organismo. Ancor di
più, in modo specifico, per la cessazione dell’utilizzo di tutti i contenitori
alimentari di plastica poiché, interessando gli alimenti in senso stretto, o
i contenitori in cui gli stessi vengono depositati, contengono delle sostanze altamen­te tossiche per il nostro organismo che possono dare origine
a gravi malattie come le degenerazioni neoplastiche. Tale argomentazio-
129
ne costituisce il punto cardine delle numerose conferenze che, ormai da
diversi anni, tengo in tutto il mondo fa­cendomi promotore di una concreta presa di posizione al riguardo e perseguendo un duplice aspetto di
matrice scientifica: da una parte l’eliminazione di sostanze additive quali
conservanti e coloranti pre­senti nella quasi totalità degli alimenti che ingeriamo, dall’altra la cessazione dell’utilizzo costante di piatti, bicchieri,
bottiglie e posate di plastica che, regolarmente ed indiscriminatamente,
troviamo nei luoghi più comuni quali le mense scolastiche o gli ospedali
e spesso utilizzati anche nelle nostre case. La mia attenzione si incentra con maggiore forza sui contenitori di plastica destinati a contenere e
conservare gli alimenti i quali, soprat­tutto quando sono ancora caldi, a
contatto con i composti dei predetti contenitori plastici sprigionano una
sostanza chiamata diossina che si mette in circolo passando dal contenitore al cibo, gettando così le premesse per un’alterazione ormonale ed
endocrina all’interno dell’organismo dagli effetti cancerogeni. Pertanto,
un uso a volte anche inconsapevole ed in altri casi un abuso dell’utilizzo
dei con­tenitori plastici e di tutti quegli alimenti già di per sé tossici per la
presenza, tra le altre, della succitata sostanza, creano l’inizio della suddetta alterazione cellulare che potrà anche condurre alla forma­zione di gravi
neoplasie (tumori). A fronte di quanto sostenuto e a mezzo dell’intensa
campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo le tematiche fino­ra trattate, a tutela delle quali mi espongo quale promotore attivo
e presente, sono fermamente intenzionato ad assumere una posizione
radicale e, se necessario, battagliera che porti all’eliminazione dagli alimenti di tutte quelle sostanze ritenute, a ragione provata, tossiche oltre
che all’eliminazione dell’uso dei contenitori di plastica pres­so mense scolastiche ed ospedali luoghi che, per più che evidenti ragioni, meritano
una tutela maggiore poiché vanno ad incidere su soggetti maggiormente
esposti a rischi.
In considerazione di quanto sopra invito tutta la comunità scientifica e popolare ad assumere una seria presa di coscienza prima, ed una
ferma posizione dopo, al fine di dare un notevole contributo a questa
importante iniziativa tesa a valorizzare la salute del cittadino e la difesa
della vita. La ricerca scientifica troppo spesso boicottata da Governi che
stringono intese con le varie multinazionali cerca, gra­zie anche ai giovani
130
ricercatori, di avvalersi di strumenti innovativi che potrebbero essere utili
alla causa fin qui esposta e che sarebbero privi, relativamente ai prodotti
d’impiego per il trattamento antine­oplastico e per la prevenzione di gravi
malattie, di effetti collaterali devastanti. Solo attraverso un progressivo
cambiamento delle regole esistenti ed un recupero dei principi etici si
potrà trovare una solu­zione che sia a favore del benessere psico-fisico di
tutti, nessuno escluso. Dobbiamo dunque recuperare la dignità paritaria
di tutti i cittadini, soprattutto di quella fascia di consumatori che, per
motivi culturali, sociali ed economici, non è sempre in grado di potersi
adeguatamen­te difendere e tutto ciò contro la logica dell’accumulo di
denaro a favore della vita perchè, ogni aspetto della materialità come il
po­tere, i soldi, il successo, risulta essere inutile in mancanza del bene primario che é sempre e comunque lo straordinario dono della vita.
Proprio al fine di tutelare e salvaguardare tale bene ho presentato, il
29 Maggio 2008, una proposta di legge contenente le norme per la tutela
dei consumatori particolarmente vulnerabili rispetto ai rischi connessi
all’uso dei contenitori di plastica per alimenti della quale segue il testo
integrale:
131
1
CAMERA DEI DEPUTATI
N. 1209
PROPOSTA DI LEGGE
D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI
SCILIPOTI, LEOLUCA ORLANDO, RAZZI, MISITI, FAVIA, BARBATO,
PALAGIANO, DI GIUSEPPE, ZAZZERA, MONAI, PALADINI, CIMADORO, ROTA, PIFFARI, MESSINA, VANNUCCI, AGOSTINI, BARBA,
BORGHESI, BUCCHINO, CAMBURSANO, COLUCCI, EVANGELISTI,
FIANO, GIULIETTI, GRANATA, MURA, NARDUCCI, PORCINO, PORFIDIA, SAMPERI, SARDELLI, SIRAGUSA, TOUADI
Norme per la tutela dei consumatori particolarmente vulnera­bili, rispetto
ai rischi connessi con l’uso di contenitori di pla­stica per alimenti
Presentata il 29 maggio 2008
Onorevoli Colleghi ! — Recenti ricerche
scientifiche hanno evidenziato i gravi ri­schi
per la salute derivanti dall’uso di imballaggi e
contenitori di plastica per alimenti o bevande.
Il materiale plastico utilizzato in tali
oggetti contiene, infatti, sostanze organiche come il cloruro di polivinile e altre
so­stanze quali i bifenili policlorati, i ftalati
eccetera, suscettibili di arrecare gravi danni
alla salute dei consumatori.
2
Infatti, come le ricerche condotte
dal-l’Istituto oncologico di Bologna hanno
po­tuto dimostrare sin dal 1971, il monoclo­
ruro di vinile una sostanza cancerogena,
suscettibile quindi di favorire l’insorgenza
di patologie tumorali nei soggetti che con
essa vengono a contatto.
Inoltre, l’uso del materiale plastico in
contenitori o imballaggi di cibi o bevande
determina il rilascio di ftalati in conse­
guenza del contatto della plastica con grassi
– animali o vegetali – o con so­stanze alcoliche contenuti negli alimenti o bevande
posti all’interno dei suddetti im­ballaggi.
Gli ftalati cos“ rilasciati e trasmessi al
consumatore si concentrano nel tessuto
adiposo, attraverso un processo noto come
Ç bioaccumulo È. Tale processo ha riper­
cussioni di assoluta gravità sul sistema immunitario e riproduttivo dei soggetti, e in
particolare di coloro che, come i bam­bini o
gli ammalati, versano in condizioni di salute particolarmente vulnerabili.
Gli effetti pregiudizievoli di tale pro­
cesso di bioaccumulo e dello stesso rilascio
degli ftalati nell’organismo umano sono,
inoltre, aggravati dalla concentrazione dei
suddetti composti chimici, che diretta­
mente proporzionale alle temperature
rag­
giunte dalla sostanza alimentare contenuta negli imballaggi in questione. La
maggiore concentrazione di tali sostanze
nocive, ri­
lasciate nell’organismo umano
dalla pla­stica, determina quindi il rischio
di acce­lerare i processi legati allo sviluppo
pu­
berale, nonché l’insorgenza di patologie tumorali. é pertanto evidente come sia
assolutamente necessario tutelare i consu­
matori da tali gravi pericoli per la salute,
proteggendo in particolare i soggetti, quali
bambini o ammalati, che, per le condizioni
in cui versano, sono maggiormente esposti
- N. 1209
ai rischi connessi all’uso della plastica in
imballaggi o contenitori di alimenti.
Inoltre, importante sottolineare come
l’uso della plastica, soprattutto, ma non solo,
nel settore alimentare, determini gravi rischi
per la salute ambientale, con particolare riferimento alla fase dello smaltimento dei rifiuti
e alla possibilità per la plastica di subire un
processo di integrale biodegradazione.
Da quanto sin qui considerato scaturi­
sce, quindi, l’esigenza di promuovere, a
livello pubblico, una maggiore consapevo­
lezza dei rischi connessi all’uso della pla­
stica nel settore alimentare, al fine di prevenire in primo luogo i pericoli per la salute
individuale derivanti dai processi di bioaccumulo delle sostanze nocive rila­sciate dalla plastica nell’organismo umano.
In secondo luogo, necessario promuo­
vere nella società campagne di sensibilizza­
zione rispetto ai rischi derivanti alla salu­
brità ambientale dalla diffusione di rifiuti
in materiale plastico, favorendo il ricorso a
materiale completamente biodegradabile,
che possa essere riciclato e smaltito, cos“ da
non danneggiare l’ambiente.
Tali obiettivi sono, del resto, oggetto di
attenzione da parte non solo della comu­
nità scientifica internazionale, ma anche
delle istituzioni europee, che pi volte hanno adottato normative volte a tutelare i
consumatori, la loro salute e ad un tempo
la salubrità ambientale, rispetto ai rischi
deri­vanti dall’uso della plastica, soprattutto, ma non solo, nel settore alimentare.
A tale fine, la presente proposta di legge
introduce norme di assoluto rilievo per la
tutela dei consumatori (e in parti­colare dei
soggetti particolarmente vulne­rabili) rispetto
ai rischi derivanti dall’uso della plastica nel
settore alimentare, nonché per la difesa della
salubrità ambien­tale dai pericoli connessi allo
3
smaltimento dei rifiuti in materiale plastico.
In particolare l’articolo 1 delega il
Go­verno ad adottare, secondo i princ“pi
e criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno
o pi decreti legislativi recanti norme per
la tutela dei consumatori particolarmente
vulnerabili rispetto ai rischi connessi al­
l’uso di contenitori di plastica per ali­menti,
per l’informazione e la prevenzione di tali
rischi, nonché per la tutela della salubrità
ambientale rispetto allo smalti­mento dei
rifiuti e per la promozione dell’uso di materiali completamente bio­degradabili.
L’articolo 2 reca i princ“pi e i criteri
direttivi ai quali il Governo deve attenersi
nell’esercizio della delega legislativa. I de­
creti legislativi in questione dovranno pre­
vedere il divieto di commercializzazione,
diffusione ed uso, nelle mense scolastiche e
ospedaliere, di imballaggi o contenitori per
alimenti o per bevande, in materiale plastico contenente cloruro di polivinile, bifenili
policlorati, ftalati o altri materiali simili; il
divieto di impiegare, in mense scolastiche,
aziendali od ospedaliere, sto­viglie o contenitori in materiale plastico aventi le medesime caratteristiche; l’ob­bligo di utilizzare,
in sostituzione di tale materiale, sostanze
completamente biode­gradabili, nonché il
dovere, in capo ai produttori, di riportare
sulle confezioni dei prodotti alimentari avvertenze parti­colari in ordine ai rischi per
la salute connessi alla presenza di materiale
pla­stico in imballaggi o contenitori di ali­
menti o bevande.
I medesimi decreti legislativi dovranno,
poi, sancire che le violazioni degli obblighi e
dei divieti stabiliti dai medesimi decreti siano
sanzionate, salvo che il fatto costi­tuisca pi grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con
- N. 1209
l’ammenda fino a 206 euro. Tali sanzioni corrispondono, infatti, a quelle previste dall’articolo 650 del codice penale, che punisce l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità e
che sottende un illecito il cui disvalore penale
assi­milabile a quello legato alla violazione degli obblighi e dei divieti in questione.
I decreti legislativi di cui all’articolo 1
dovranno inoltre prevedere le modalità di
realizzazione, d’intesa con le regioni, con
le province autonome di Trento e di Bol­
zano e con gli altri enti locali, di campagne
di informazione e di sensibilizzazione dei
cittadini, rispetto ai rischi derivanti alla
salute dall’uso della plastica nel settore
alimentare, nonché ai pericoli per la sa­
lubrità ambientale legati allo smaltimento
dei rifiuti, promuovendo altres“ l’uso di
materiali completamente biodegradabili, i
soli davvero compatibili con le esigenze di
tutela dell’ambiente rispetto alla diffusione
e al progressivo accumulo di rifiuti.
L’articolo 3 prevede, come da prassi
consolidata, l’obbligo del Governo di tra­
smettere gli schemi dei decreti legislativi in
questione alle Camere per l’espressione del
relativo parere da parte delle competenti
Commissioni parlamentari, al fine di ga­
rantire il controllo degli organi diretta­
mente rappresentativi della sovranità po­
polare, in ordine al rispetto dei princ“pi e
dei criteri direttivi enunciati nell’esercizio
della delega da parte del Governo.
L’importanza sociale e politica delle
norme contenute nella presente proposta
di legge induce ad auspicarne la tempe­stiva
approvazione, nella consapevolezza della
rilevanza che tali disposizioni rive­stono al
fine di tutelare la salute dei cittadini e la
salubrità ambientale.
4
PROPOSTA DI LEGGE
Art. 1.
(Finalità della legge. Delega al Governo).
- N. 1209
polivinile, bifenili policlorati, ftalati o altri
materiali simili;
b) prevedere il divieto dell’utilizzo, nelle
mense scolastiche, aziendali od ospe­daliere,
di stoviglie o contenitori in mate­riale plastico contenente cloruro di poli­vinile, bifenili
policlorati, ftalati o altri materiali simili;
La presente legge finalizzata a garanc) stabilire l’obbligo dell’utilizzo, nelle
tire un’efficace tutela dei consuma­tori dai
ipotesi e ai fini di cui alle lettere a) e b), di
rischi derivanti dall’utilizzazione di contemateriale assolutamente non nocivo alla sanitori di plastica per alimenti.
lute, quale ceramica o vetro, in sostitu­zione
Il Governo delegato ad adottare, en- del materiale plastico;
tro sei mesi dalla data di entrata in vigore
d) sancire, in capo ai produttori, l’obblidella presente legge e secondo i princ“pi e
go di riportare sulle confezioni dei prodotti
criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o
alimentari avvertenze particolari in ordine
pi decreti legislativi recanti norme per la
ai rischi per la salute connessi alla presenza
tutela dei consumatori par­ticolarmente vuldi materiale plastico in im­ballaggi o contenerabili, rispetto ai rischi connessi all’uso
nitori di alimenti o be­vande;
di contenitori di plastica per alimenti, per
l’informazione e per la prevenzione di tali
e) prevedere che le violazioni dei divieti
rischi, nonché per la tutela della salubrità e degli obblighi di cui alle lettere a), b), c)
ambientale rispetto allo smaltimento dei e d) siano sanzionate, salvo che il fatto corifiuti e per la pro­mozione dell’uso di mate- stituisca pi grave reato, con l’ar­resto fino a
riali completa­mente biodegradabili.
tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro;
Art. 2.
(Princ“pi e criteri direttivi).
1. I decreti legislativi di cui all’articolo
1 si informano ai seguenti princ“pi e criteri
direttivi:
f) prevedere interventi di informa­zione
in ordine ai rischi per la salute connessi
all’uso di contenitori o imballaggi per alimenti in materiale plastico, nonché campagne di sensibilizzazione riguardo alla
tutela della salubrità ambientale ri­
spetto
allo smaltimento dei rifiuti e inter­
venti
volti a promuovere l’uso di materiali completamente biodegradabili, non nocivi per
la salute.
a) prevedere il divieto di commercia­
lizzazione, diffusione e utilizzo, nelle mense scolastiche od ospedaliere, di im­ballaggi
o contenitori per alimenti o be­vande, in
2. Gli interventi e le campagne di cui al
materiale plastico contenente cloruro di comma 1, lettera f), sono realizzati d’intesa
5
- N. 1209
con le regioni, con le province autonome di medesimo articolo 1, comma 2, per il paTrento e di Bolzano e con gli altri enti locali. rere delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro quaranta giorni
dalla data dell’assegnazione.
Art. 3.
(Pareri delle Commissioni parlamentari).
Art. 4.
1. Gli schemi di decreto legislativo di
(Entrata in vigore).
cui all’articolo 1, comma 2, sono trasmessi
alle Camere entro il sessantesimo giorno
1. La presente legge entra in vigore il
antecedente la scadenza del termine pre­ giorno successivo a quello della sua pub­
visto per l’esercizio della delega di cui al blicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Proposta di Legge n. 1209, presentata dal Sen. Domenico Scilipoti alla Camera dei Deputati il 29 maggio 2008 e ripresentata al Senato della Repubblica il
3.4.2013, N° 567
2.4 Ftalati
Gli ftalati sono sostanze chimiche organiche prodotte dal petrolio e
sono impiegati quali additivi nella fabbricazione delle materie plastiche
tra le quali il PVC è la principale in termini di volume di produzione, con
l’intento di renderli più duttili. Realizzati in grande quantità, il loro uso è
stato autorizzato esclusivamente solo dopo che sono stati sottoposti a lunghe prove per determinare eventuali effetti sulla salute e l’ambiente e con
specifiche restrizioni volte a limitarne l’uso a scopo precauzio­nale. Nello
specifico si tratta di una famiglia di composti chimici usati nell’industria
delle materie plastiche come agenti plastificanti, ovvero come sostanze
aggiunte al polimero per migliorarne la flessibilità e la modellabilità, più
chiaramente addizionato ad esso lo ftalato consente alle molecole del
polimero di scorrere le une sulle altre rendendo così il materiale morbido
e modellabile anche a basse temperature. Sono sostanze di norma poco
solubili in acqua ma molto negli oli, poco volatili ed in genere si presentano come liquidi incolori simili ad un olio vegetale chiaro con poco o
nessun odore, ottenuti per reazione tra l’anidride ftalica e un alcol opportuno generalmente compreso tra i 6 ed i 13 atomi di carbonio. Nel 2004
la produzione mondiale di ftalati è stata stimata in 400.000 tonnellate e,
pur essendo conosciuti fin dagli anni ‘20, hanno avuto un incremento di
produzione solo negli anni ‘50 con l’immissione sul mer­cato del PVC. I
più noti composti di questa classe sono:
• il di-2-etilesilftalato (o diottilftalato, DEHP) -plastificante principe
del PVC per via del suo basso costo
• il diisodecilftalato (DIDP)
• il diisononilftalato (DINP)
• il benzilbutilftalato (BBzP) - usato nel PVC espanso
Tra gli ftalati quello inizialmente impiegato con maggior frequenza era il DEHP, con produzione mondiale stimata in due milioni di
tonnella­te, poi sostituito dagli ftalati DINP e DIDP che trovano uso frequente in smalti per unghie, adesivi, vernici; quelli di alcoli leggeri quali
di­metilftalato e dietilftalato sono usati come solventi nei profumi e nei
pesticidi. A partire dal 2003 sono stati oggetto di controversia a causa
degli effetti nocivi provocati alla salute ed infatti alcuni studi sembrano
137
mostrare che siano in grado di produrre effetti analoghi a quelli degli
ormoni estrogeni, causando una femminilizzazione dei neonati maschi e
disturbi nello sviluppo dei genitali e nella maturazione dei testicoli.
Ulteriori studi, come quelli sui roditori, hanno inoltre dimostrato che
un’elevata esposizione agli ftalati provoca danni al fegato, ai reni,
ai polmoni ed allo sviluppo dei testicoli. Tuttavia, un analogo studio
condotto da ricercatori giapponesi su una specie di primati non ha evi­
denziato effetti a carico dei testicoli (Tomonari et al, The Toxicologist,
2003). La classe di sostanze degli ftalati è formata dai sali e dai diesteri
dell’aci­do ftalico e, nello specifico, i diesteri sono per lo più liquidi poco
vo­latili, generalmente incolori e praticamente inodori, i cui composti più
importanti sono riassunti nella seguente tabella.
Tabella 1: Principali Tipologie di Ftalati
I diesteri dell’acido ftalico vengono utilizzati soprattutto come plastificanti negli oggetti d’uso comune in polivinilcloruro (PVC), in altro
materiale plastico e generalmente vengono aggiunti a lacche, tubi, cavi,
vernici, materiali per pavimenti, anche a smalti e spray per capelli. In
concreto, l’addizione di ftalati consente al materiale plastico, spesso frangibile, di dilatarsi e diventare così flessibile ed elastico. Inoltre, gli ftalati
sono utilizzati come lubrificanti, creme contraccet­tive, diluenti ma anche come vettori liquidi in pesticidi, cosmetici e profumi. Il DEP e DBP
138
sono invece sostanze ausiliarie che si trovano nei medicamenti e vengono
impiegate per rivestire le sostanze attive con capsule resistenti agli acidi
presenti nello stomaco. Le sostanze fin qui esaminate non sono legate
chimicamente al ma­teriale plastico ma sono presenti unicamente allo
stato soluto ed al contatto con liquidi o grassi si sciolgono o evaporano
nell’aria. In particolare gli ftalati DEB e DBP possono essere assorbiti se
utiliz­zati per il confezionamento di medicamenti ed ancora, il DBP può
essere assunto dal corpo mediante la respirazione e il contatto con la pelle a seconda dei prodotti utilizzati (p.es. spray per capelli o deodoranti).
Anche se da poco tempo è comunque possibile determinare la reale esposizione individuale al DEHP le cui dosi assunte spesso sono più elevate
del normale. Ciò avviene soprattutto per i neonati e i bambini sia perché
ingeriscono una quantità di alimenti contaminati maggio­re in relazione
al peso corporeo, sia perché mettono ripetutamente in bocca oggetti di
plastica ed ancor di più, dato che particelle sono rilevabili anche nella
polvere di casa, il loro assorbimento aumenta nei bambini che spesso
giocano sul pavimento. Tutte le altre cause di esposizione al DEHP, pur
se analizzate, sono trascurabili ma possono risultare particolarmente significative per altri plastificanti ed ancora la sua utilizzazione nei medicinali può analogamente creare problemi. Relativamente all’aspetto tossicologico gli ftalati provocano rara­mente una tossicità acuta e solo alcuni
composti, primo fra tutti il DEHP, possono rivelarsi pericolosi in caso di
esposizioni prolunga­te o ripetute, manifestando danni alla fertilità e allo
sviluppo della prole. Più precisamente, sperimentazioni eseguite su animali hanno dimostrato anche che gli ftalati danneggiano soprattutto la
fertilità maschile riducendo la produzione di spermatozoi. Recentemente
è stato dimostrato che molti ftalati possono provoca­re anche alterazioni
ormonali interagendo con sostanze denominate xenormoni o perturbatori endocrini ed il cui effetto più acuto è stato osservato in riferimento
agli ftalati BBP e DBP, nonostante abbia­no solo un debole effetto estrogeno e vengano assorbiti in quantità minime.
Pur se quindi non c’è da attendersi un’influenza significativa sull’equilibrio ormonale umano, tali sostanze meritano comunque una maggiore attenzione dato che vanno inserite nel contesto del carico ormonale
globale determinato dalla presenza di altri xenor­moni.
139
Proprio al fine di consentire una visione più chiara dell’argomento si
vuol presentare un caso pratico, qui riportato integralmente, di come la
Svizzera ha disciplinato la questione ed invero la consegna ai con­sumatori
finali di sostanze e preparati che danneggiano la fertilità è vietata dall’ordinanza sulla riduzione dei rischi inerenti ai prodotti chimici (OR-RP
Chim; RS 814.81) e quindi gli ftalati individuati dalla UE come tossici
per la riproduzione non sono immettibili nel mercato svizzero. Tuttavia,
sono ammessi quelli presenti nelle pavi­mentazioni in PVC, nei medicamenti, nelle vernici sintetiche e nei propellenti per motori.
Dal primo gennaio 2007 i giocattoli e gli articoli per bambini piccoli
non dovrebbero più contenere ftalati DEHP, DBP e BBP e quelli che
possono essere messi in bocca devono contenere al massimo lo 0,1% di
DINP, DIDP e DNOP (RS 817.044.1 e RS 817.023.41).
Tuttavia sono stati ammessi dei termini transitori, cioè tali giocattoli
ed articoli potevano essere fabbricati e importati secondo le norme del
diritto anteriore fino al 16 gennaio 2007 e venduti fino al 31 mar­zo 2008.
A partire dal gennaio 2006, anche nel settore dei cosmetici è stato vietato
l’impiego di ftalati con proprietà nocive alla riprodu­zione (ordinanza sui
cosmetici, SR 817.023.31).
Per quanto riguarda ancora gli ftalati impiegati nei materiali di con­
fezionamento per le derrate alimentari e quindi a contatto con le stesse, come i plastificanti per pellicole in PVC e PVDC (polivinil­cioruro e
polivinili-dencloruro), il loro uso è generalmente vietato (ordinanza sui
materiali e gli oggetti; RS 817.023.21).
Altro esempio utile è riferibile agli ftalati nei dispositivi medici e nei
medicamenti ove sono impiegati soprattutto quando occorre una forma
particolare di assorbimento, come ad esempio nel caso di capsule resistenti agli acidi prodotti dallo stomaco e da ciò gli ftala­ti sono descritti
nella farmacopea europea come sostanze ausiliarie per i medicamenti.
Non facendo parte delle sostanze ausiliarie soggette all’obbligo di dichiarazione generalmente l’impiego di ftalati nei medicamenti è autorizzato
in Svizzera ma anche nell’UE e negli Stati Uniti, non­dimeno la Swissmedic ha valutato la situazione rispetto al rischio d’impiego di ftalati nei
medicamenti in Svizzera e ha pubblicato la sua posizione nel novembre
2005 ma, data l’assenza di materia­li equivalenti che li possano sostituire,
140
il pericoloso DEHP viene comunque utilizzato in dispositivi medici importanti come tubi e flaconi per infusioni, dialisi e donazioni di plasma.
Classifica degli ftalati più comuni:
Abbreviazione
Numero CAS
DEHP 117-81-7
Repr. Cat. 2,
R 60-61
DnPP 131-18-0
Repr. Cat. 2,
R 60-61
DiPP 605-50-5
Repr. Cat. 2,
R 60-61
DBP 84-74-2
Repr. Cat. 2, R 61
Repr. Cat. 3, R 62
DMEP 117-82-8
Repr. Cat. 2, R 61
Repr. Cat. 3, R 62
BBP 85-68-7
Repr. Cat. 2, R 61
Repr. Cat. 3, R 62
Classificazione
Repro. Cat. 2: sostanze da considerarsi come inibitrici della riprodut­
tività (fertilità) umana (Repro. Cat. 2, R 60); sostanze da considerarsi
dannose per la fertilità (per lo sviluppo) umana (Repro. Cat. 2, R 61)
Repro. Cat. 3: sostanze che lasciano adito a preoccupazione a causa del
loro possibile effetto inibente sulla riproduttività (fertilità) umana R 60:
può inibire la riproduttività R 61: può danneggiare il feto nel grembo
materno R 62: è possibile che inibisca la riproduttività
2.5 Il PVC
Il Cloruro di Polivinile (PVC), un polimero plastico costituito da una
catena di tante unità di CVM (Cloruro di Vinile Monomero) a loro volta
formate dall’unione dell’etilene (che si estrae dal petrolio) con il cloro, ottenuto rompendo le molecole di cloro di sodio presente nel sale marino,
141
se usato a contatto con gli alimenti il PVC ha effetti tossici. Anche le reazioni chimiche che portano alla formazione della mo­lecola di CVM producono prodotti indesiderati quali diossine, fura­ni ed esaclorobenzene,
composti altamente tossici anche in piccole concentrazioni che tendono
ad accumularsi nella materia organica presente nell’acqua.
Questo significa che già nella sua originaria costituzione, il PVC è
tossico! Il PVC è quindi il più pericoloso tra i materiali sintetici ma,
rispon­dendo solo a ragioni di pura comodità, viene egualmente impiegato in diversi settori fra cui quello edile (grondaie, tapparelle, infissi,
carte da parati, pavimenti, rivestimento dei cavi elettrici, tubature), sanitario (sonde, cateteri, sacche plasmatiche), automobilistico (in­terni delle
vetture) e dei beni di largo consumo (pellicole alimentari, contenitori,
bottiglie, giocattoli, cartelle, gomme per cancellare etc.). Dal momento
che la polvere di PVC che si ottiene al termine del processo produttivo è
amorfa ed instabile sia al calore che alla luce, è necessario aggiungere altri
composti chimici per conferirle le carat­teristiche commerciali necessarie
per l’uso e, proprio a questo scopo, si usano metalli pesanti (quali cadmio
e piombo) o composti organici quali il tributilstagno (TBT) o il Bisfenol
A (BPA) in capo ai quali però sono state accertate proprietà di alterazione
del sistema ripro­duttivo ed immunitario.
È stato verificato, inoltre, che il cloruro di vinile monomero (CVM)
è un composto cancerogeno per l’uomo, con prevalente azione sul fegato ove favorisce lo sviluppo di un raro tumore: l’angiosarcoma epatico.
L’esposizione al composto è stata legata anche ad altre pato­logie quali
tumori al cervello, interferenza con il sistema riprodutti­vo ed immunitario, insorgenza di malattie autoimmuni quali sclerosi multipla ed artrite
reumatoide. I soggetti a maggior rischio di espo­sizione al CVM sono non
solo gli addetti alla sua produzione, anche la popolazione residente nelle
vicinanze degli stabilimenti produttivi perchè venirne a contatto sia tramite il rilascio in atmosfera dei resi­dui di lavorazione sia a causa di eventi
accidentali. Il PVC non è quindi innocuo come, a seguito di dibattiti con
i sin­dacati, vogliono far credere le industrie produttrici. Quando si parla
di materiali plastici in PVC bisogna far sempre riferimento ai costi umani
e sociali che provoca la sua produzione, lavorazione e succes­sivamente
incenerimento con emissione di diossina. Tale analisi è rafforzata da ri-
142
cerche svolte da un gruppo di lavoro dell’università di Cagliari (Enrico
Dessy e altri - 1980), che ha di­chiarato che “il PVC non si comporta come
un materiale inerte, ben­sì come una sostanza biologicamente attiva che esplica
un’azione nociva sui tessuti...”, arrivando “in tempi lunghi, all’insorgenza di
neoplasie mesenchimali maligne nelle sedi di impianto addirittura di tumori maligni diversi in vari distretti organici”.
Ed ancora, alla fine del 1989, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca
sul Cancro (IARC) di Lione appartenente all’Organizzazione Mon­diale
della Sanità, eseguì uno studio su 12.706 addetti al CVM-PVC di 19
impianti localizzati in quattro paesi europei: Inghilterra, Italia, Norvegia
e Svezia, ove l’Italia dichiarò una mortalità del 5,29%, la Norvegia del
23,92%, la Svezia del 9,47% e l’Inghilterra del 16,2%. Ancor prima, in
una monografia del 1987 sempre della IARC in qualità di più importante
organismo scientifico internazionale che promuove ed esamina criticamente gli studi sui cancerogeni umani, viene riportato quanto segue: “Il
cloruro di vinile è stato associato a tumori al fegato, cervello, polmone e sistema
emopoietico. Un largo numero di studi epide­miologici e di case-reports ha confermato l’associazione causale tra CVM e angiosarcoma del fegato. Numerosi
studi confermano an­che che l’esposizione al CVM causa altre forme di cancro,
come ad esempio, carcinoma epatocellulare, tumori al cervello, tumori pol­monari,
tumori maligni del sistema linfatico ed emopoietico e angio­sarcoma epatico”. Ma
il CVM, e il PVC, hanno anche un’alta incidenza di tumore ai polmoni, laringe
e cervello. Sintetizzando, la tossicità del CVM si manifesta nei seguenti quadri
morbosi:
• acrosteosi: rarefazione del tessuto osseo in corrispondenza delle falangi delle
dita;
• piastrinopenia: diminuzione nel sangue del numero delle piastri­ne, elementi
deputati alla coagulazione del sangue;
• alterazioni epatiche: fibrosi, ipertensione portale, alterazioni de­gli indici di
funzionalità epatica, etc;
• microangiopatia periferica, con sintomatologia del tipo malattia di Raynaud (mano fredda).”
A tal riguardo parlano chiaro i dati sul disastro del petrolchimico di
Porto Marghera (Venezia-Italia) uno dei poli industriali più grandi d’Eu-
143
ropa che ha coinvolto i dirigenti di Enichem e Montedison i quali, gestendo nel passato la produzione di PVC, sono stati al centro del più
importante processo in materia di disastri sanitari ed ambien­tali mai
avvenuto nel nostro Paese. Tuttavia, nonostante il Pubblico Ministero
abbia raccolto la docu­mentazione su 546 casi di operai affetti da diverse
patologie, fra cui circa duecento casi di tumori accertati, il 2 novembre
del 2001, a circa sette anni dall’inizio delle indagini, il Tribunale di Mestre ha assolto i 28 manager delle aziende chimiche imputati. A distanza
di anni poi, nel dicembre 2004, la sentenza del processo d’appello ha capovolto in modo sostanziale l’assoluzione generale avvenuta nel processo
di primo grado, condannando cinque dirigenti della Monte­dison. Solo
la prescrizione ha salvato gli altri imputati, le cui respon­sabilità morali
in questo crimine comunque permangono. Il PVC è quindi il polimero
più importante della serie ottenuta da monomeri vinilici ed è una delle
materie plastiche più utilizzate al mondo. È un materiale puro e rigido
che deve la sua versatilità ap­plicativa alla possibilità di essere miscelato,
anche in proporzioni elevate, a prodotti plastificanti quali ad esempio gli
esteri dell’acido ftalico che lo rendono flessibile e modellabile.
Ripercorrendo dalle origini il processo di lavorazione del PVC, va
sottolineato che la reazione di tale materiale fu scoperta per caso a metà
dell’800 quando dapprima da Henri Victor Regnault nel 1835 e poi nel
1872 da Eugen Baumann fu notata una polvere bianca solida di polimero
dentro bottiglie di cloruro di vinile lasciate esposte alla luce solare. Le
proprietà di polimerizzazione di questa sostanza rimasero incon­trollabili
fino all’inizio del XX secolo; successivamente si ebbero poi i primi tentativi di sfruttamento commerciale del prodotto da parte del russo Ivan
Ostromislenskij e del tedesco Fritz Klatte del­la Griesheim-Elektron, con
una serie di brevetti che puntavano alla fotopolimerizzazione del cloruro
di vinile, il polivinilcloruro così ot­tenuto risultava essere un materiale
intrattabile, instabile alla luce, duro da lavorare, e poteva liberare HCL
se riscaldato. Solo nel 1926 Waldo Semon della B.F. Goodrich sviluppò
una tec­nica per rendere lavorabile il PVC miscelandolo con degli additi­vi
plastificanti ed il prodotto risultante diveniva così più flessibile e facile
da lavorare, tanto che raggiunse presto un diffuso utilizzo. La commercializzazione iniziata nel 1933 si potè avviare anche per l’intensa ricerca
144
condotta dalla IG Farben sui plastificanti del PVC, che lo trasformavano
in un materiale adatto agli usi più svariati. I primi copolimeri a base di
cloruro di polivinile ed acetato di poli­vinile furono prodotti dalla statunitense Union Carbide nel 1927. Fu solo sei anni dopo, in Germania
nei laboratori dell’IG Farben, che si trovò una soluzione ai problemi di
lavorazione, man mano che divenivano accessibili i fondamenti della chimica macromolecolare di Staudinger brevettando le tecniche di polimerizzazione in emul­sione. In Italia invece, uno dei principali produttori
di PVC è stata la Mon­tedison che aveva nel polo petrolchimico di Porto
Marghera, a Ve­nezia, i propri impianti di produzione del polimero e del
monomero corrispondente. La prima impresa ad iniziare la produzione
indu­striale di PVC, nel nostro paese fu la S. A. Ursus Gomma di Vige­
vano (PV) che nel 1939 costruì appositamente un moderno impianto per
la lavorazione del nuovo materiale. Sotto il profilo scientifico, in termini
chimici, la reazione di poli­merizzazione del cloruro di vinile porta alla
formazione di lunghe molecole lineari così descritte:
CH2=CHC1 --> ...-CH2-CHC1-CH2-CHC1-CH2-CHC1-CH2­
CHC1-CH2-CHC1-CH2-CHC1-CH2-CHC1-CH2-CHC1...
e tale reazione viene innescata dall’aggiunta di un iniziatore ovvero
un composto capace di generare radicali liberi (ad esempio, il peros­sido
di benzoile o l’acqua ossigenata). La predetta reazione privilegia un abbinamento testa-coda delle mo­lecole di cloruro di vinile, cioè con gruppi
alternati - CH2 - e -CHC1- lungo la catena, traducendosi in una reazione
di polimerizzazione esotermica, ovvero che produce calore e ciò determina che, per im­pedire il surriscaldamento della massa di reazione che
potrebbe por­tare ad una reazione esplosiva, la temperatura all’interno
del reattore deve essere sempre controllata. Per tale ragione, la sintesi del
PVC viene raramente condotta in mas­sa, ovvero aggiungendo l’iniziatore
ad una massa di cloruro di vini­le; anche se la reazione in massa viene
mantenuta sotto controllo, si possono comunque originare dei locali
surriscaldamenti che alterano sensibilmente le proprietà meccaniche e
l’aspetto del polimero otte­nuto. Per disperdere il calore di reazione, quindi, la reazione medesima viene condotta in soluzione, in emulsione o in
sospensione ed in que­sto modo il mezzo liquido (un solvente o l’acqua)
asporta il calore evaporando ed i vapori vengono quindi condensati e
145
riciclati nel re­attore. Di seguito sono riportare in maniera più dettagliata
le tre forme di reazione appena citate:
• in soluzione: il cloruro di vinile viene disperso in un solvente organico in cui il polimero sia insolubile cosicché la reazione procede in
condizioni controllate ed il polimero viene purificato per semplice
filtrazione. Pur ottenendo un polimero molto puro e dalle caratteristiche omogenee, il metodo trova applicazione solo su scala di
laboratorio o di impianto pilota, stante i rischi ambientali e di
sicurezza che pone l’utilizzo in grandi quantità di solventi organici.
• in emulsione: il cloruro di vinile, liquefatto per azione della pres­
sione, viene emulsionato in acqua con aggiunta di sostanze che
stabilizzano l’emulsione e, al termine della reazione, si ottiene un
lattice dal quale il polimero viene separato per asciugatura con
aria calda o per precipitazione. II PVC così ottenuto presenta una
migliore attitudine alla lavorazione in quanto grazie all’aggiunta di
plastificanti risulta più fluido e facile da stampare, anche se poco
indicato per applicazioni speciali a causa della sua mag­giore igroscopicità rispetto al PVC ottenuto con altri processi e delle peggiori proprietà elettriche dovute alla presenza di residui dei prodotti
necessari per stabilizzare l’emulsione e coagularla successivamente.
• in sospensione: è il processo più diffuso e consiste nel mantene­re il
cloruro di vinile disperso in acqua tramite agitazione e pre­senza di
sostanze tensioattive con l’aggiunta dell’iniziatore, ogni goccia di
monomero polimerizza separatamente e si trasforma in una sferetta di polimero, recuperata per filtrazione e asciugatura.
Al termine delle reazioni di polimerizzazione il PVC si presenta come
polvere o granulato bianco ed il peso specifico è generalmente 1,40-1,45
g/cm3, così però risulta essere molto sensibile alla luce ad al calore che
su di esso hanno un effetto degradativo determinando dapprima l’ingiallimento e, a temperature più elevate, la decompo­sizione dalla quale si
libera acido cloridrico.
Proprio per tale motivo il PVC plastificato, ovvero addizionato ad additivi plastificanti che ne aumentano la morbidezza, viene poi sta­bilizzato
con l’aggiunta di formulati contenenti soprattutto sali di calcio (stearato,
ricinoleato), bario e zinco mentre il PVC rigido vie­ne di norma stabilizza-
146
to con derivati organometallici dello stagno oppure con saponi di piombo, di calcio e di zinco. A tale scopo, veni­vano usati anche carbossilati
di cadmio poi abbandonati in Europa a causa della tossicità di questo
metallo, mentre i suoi derivati trovano ancora utilizzo al di fuori dell’Unione Europea.
In termini applicativi il PVC è la materia plastica più versatile co­
nosciuta, è il “vinile” per antonomasia usato per la produzione dei dischi, ma non solo, infatti le possibilità di utilizzo del PVC appa­iono innumerevoli ed invero con l’aggiunta di prodotti plastificanti può essere
modellato per stampaggio a caldo nelle forme desiderate, ridotto a film
oppure a liquido col quale vengono spalmati tessuti o rivestite superfici,
fibre tessili artificiali, serbatoi, valvole, rubinetti, vasche. Tra questi, le
applicazioni più rilevanti riguardano la produ­zione di tubi per edilizia,
profili per finestra, pavimenti vinilici, film rigido e plastificato per imballi e cartotecnica. La sua versatilità ne permette un largo impiego anche in
ambito tessile ed a tale scopo fu prodotto in Francia già nel ’49 passando
da PVC essenzialmente amorfo, esemplare commercialmente chiamato
Movil, ad un altro costituito da PVC cristallino e di qualità migliore chiamato Leavil, che trovò ampia diffusione nella realizzazione di pigiami per
bambi­ni in quanto maggiormente ignifugo.
Non dobbiamo però dimenticare che il monomero del PVC, il cloru­
ro di vinile, non solo è considerato un potente cancerogeno ma che anche all’uso di tale materiale sono connesse problematiche ambien­tali,
per questo motivo la Commissione delle Comunità Europee si è assunta
l’impegno di procedere a una valutazione dell’impatto am­bientale del
PVC, ivi compresi gli effetti sulla salute umana ad esso connessi, attraverso un approccio integrato. Ciò posto, nella proposta di direttiva sui veicoli giunti a fine ciclo vita, viene affermato che: “la Commis­sione esaminerà
i dati relativi agli aspetti ambientali della presenza di PVC nei flussi di rifiuti;
che, sulla base di tali dati, la Commissio­ne riesaminerà la sua strategia sui flussi
di rifiuti contenenti PVC e, laddove lo impongano motivi di ordine ambientale o
sanitario, pre­senterà le opportune proposte per affrontare gli eventuali problemi
in questo settore”. Nella posizione comune del Consiglio relativa a tale
proposta si afferma inoltre che “la Commissione sta attualmente esaminando
l’impatto ambientale del PVC; la Commissione presen­terà, in base a tale esame,
147
appropriate proposte quanto all’impiego del PVC che contengono considerazioni
circa i veicoli”. Il PVC è al centro di un controverso dibattito da circa un
decen­nio e sulla questione del PVC e dei suoi effetti sulla salute umana
e sull’ambiente sono state espresse divergenti opinioni di ordine scien­
tifico, tecnico ed economico.
A tal proposito, alcuni Stati membri hanno raccomandato, o adot­
tato, misure concernenti aspetti specifici del ciclo di vita del PVC ma,
poichè tali misure non sempre sono uguali tra loro, potrebbero generare delle ripercussioni sul mercato interno. Pertanto, al fine di sviluppare i criteri necessari a garantire la mas­sima tutela della salute umana
e dell’ambiente nonché il buon fun­zionamento del mercato interno, è
necessario adottare un approccio integrato atto a consentire la valutazione dell’intero ciclo di vita del PVC. Gli obiettivi sono innanzitutto, presentare e valutare su base scienti­fica le diverse problematiche ambientali
che sorgono nelle varie fasi del ciclo di vita del PVC, ivi compresi gli effetti sulla salute umana e, in secondo luogo, considerare alcune soluzioni
alternative per ridur­re gli effetti che è necessario combattere in vista di
un reale sviluppo sostenibile. Solo questo punto di partenza può servire
come base per una miglio­re consultazione tra le parti interessate al fine
di identificare soluzio­ni pratiche ai problemi di salute e ambientali creati
dal PVC. Stante la serietà dell’argomento ed al fine di darne maggior eco,
ri­porto un’interrogazione parlamentare presentata al Ministro del la­voro,
della salute, delle politiche sociali:
SCILIPOTI - Al Ministro della salute
Premesso che:
non sono solo gli alimenti a risultare incompatibili con le principali linee
guida del rispetto della salute ma anche i contenitori di plasti­ca che vengono
abitualmente utilizzati per il trasporto degli alimenti nelle mense scolastiche o
negli ospedali e nei luoghi di cura nonché i coloranti, antiossidanti, conservanti ed
emulsionanti che vengono aggiunti volontariamente ai prodotti per assicurarne la
conservazio­ne o migliorarne alcune caratteristiche; il trionfo della plastica e delle
sostanze aggiuntive per i prodotti alimentari, a partire dal primo dopoguerra, indica come l’aspetto sia ambientale che sanitario del problema sia ancora sottovalutato; i contenitori di plastica tra cui i più diffusi sono fatti di PVC (cloruro di polivinile) a contatto con i cibi caldi rilasciano sostanze cance­rogene e sono precursori
148
delle malattie neoplastiche;il contenitore poi, per essere reso adatto ad avvolgere
e contenere gli alimenti, deve essere arricchito dall’aggiunta di alcune sostanze,
dette ad­ditivi plasticizzanti, i principali additivi utilizzati sono gli “ftalati” che,
non formando legami irreversibili con il Pvc che li contiene, tendono a fuoriuscire
dalla matrice del Pvc, invece in Europa, se­condo la direttiva del 30 giugno 1994
e da una indagine effettuata dal Comitato scientifico per l’alimentazione, la vendita di prodotti contenenti questo tipo di sostanze è ancora ammessa in quanto
“as­solutamente sicuri”;se il Ministro non ritenga opportuno dedicare al problema
maggiore attenzione di quanto ne abbia avuta fino ad oggi assumendo iniziative
normative urgenti per la tutela dei consumato­ri promuovendo l’uso di materiali
completamente biodegradabili e vietando sia l’uso di contenitori per alimenti e
bevande, sia l’uso di sostanze aggiuntive che possano danneggiare la salute.
2.6 Cibo ed etica alimentare
a) Etica e bioetica alimentare
I piaceri della tavola, si sa, sono tra i più apprezzati al mondo ed è
sempre più difficile rinunciarvi ma attenzione, anche mangiare un piatto di pasta o godersi una bella bistecca può comportare dei rischi non
indifferenti e questo perché il cibo, a causa delle sempre più raffinate
lavorazioni industriali a cui vengono sottoposti gli alimenti in generale ed
ancor di più quelli confezionati, può contenere molte sostanze chimiche
dannose per l’organismo. Vivendo in una società ove ciò che attrae è
solo ciò che appare, quel­lo che sembra avere potere attrattivo per i consumatori riguarda ben poco la qualità dei cibi e questo determina che,
tra tavole imbandite e pubblicità ingannevole, il cibo oltre ad essere una
necessità fisiologi­ca rappresenta, purtroppo, una delle primarie fonti di
inquinamento biologico per il nostro organismo. Eppure gran parte della
popola­zione, se non la sua totalità, ha sperimentato disturbi digestivi,
aci­dosi, cefalee, intolleranze, allergie, obnubilamenti della coscienza, o
comunque fastidi di vario genere; questi disturbi non sono legati al caso
ma a quello che abitualmente mangiamo tutti i giorni ed allo stile di vita
che ad oggi conduciamo (fast-food, tavole calde etc.). La motivazione di
tali disagi è riscontrabile, purtroppo, nella stupidi­tà umana che, col tempo, si è sostituita all’intelligenza della natura, ormai costretta a produrre
cibi avvelenati da tutte le sostanze che vengono immesse nei terreni e che
149
dovrebbero favorire la forma, la quantità e la qualità dei cibi prodotti, tra
i quali pesticidi, fungicidi, erbicidi, anticrittogamici ed OGM presenti
non solo in origine ma anche nella fase di lavorazione e conservazione
industriale dei cibi stessi.
Parlare di etica in materia di alimentazione diventa quindi difficile
e complicato. È possibile infatti individuare il cibo etico come quello
coltivato in modo naturale, biologico e senza l’uso di sostanze chimi­che
o di altra natura che possano danneggiare la salute dei consuma­tori, ma
anche quello prodotto in modo tale da non nuocere all’am­biente e quindi che non prevede imballaggi inquinanti ma facilmente degradabili o,
ancora meglio, riciclabili e persino riutilizzabili. In realtà, il cibo di per
sé non può essere considerato etico ma lo diventa quando decidiamo di
apportare un cambiamento radicale ai nostri consumi alimentari. Non
appare quindi così scontato il binomio etica e sicurezza alimen­tare in
quanto proprio le molteplici emergenze che si sono fatte avan­ti in questi
ultimi decenni dal vino al metanolo, alla salmonella, alla carne agli ormoni, ai polli alla diossina, all’uso eccessivo di pesticidi fino all’esplosione
della BSE, l’epidemia dell’encefalopia spongi­forme bovina, ed ancora ai
casi di ovini colpiti dall’afta epizootica, hanno posto in primo piano la
questione della sicurezza alimentare come problema etico.
La natura non riesce più a sopportare la malvagità del profitto che la
costringe a produrre ciò che la sua intelligenza non riconosce utile ed invero la produzione alimentare lungo tutta la filiera che va dall’agri­coltore
fino al rivenditore non è solo una questione di ordine tecnico e quindi di
sola produzione quantitativa di cibo, né può essere consi­derata in termini unicamente economici di profitto e guadagno, anzi si potrebbe affermare che il profitto è il nemico della qualità e che la qualità dipende dai
processi naturali che a loro volta necessitano della biodiversità. Un esempio lampante di come l’uomo tradisce la natura si può ri­scontrare nell’utilizzare i prodotti coltivati non secondo la loro na­tura, piuttosto per produrre energia e nello specifico biodiesel. Il biodiesel è un biocarburante
considerato una fonte di energia rinno­vabile in forma liquida e si ottiene
da differenti tipi di olio di semi quali ad esempio quello di girasole, di
colza e di soia, a seguito di un processo detto di “trans-esterificazione”
che rende il biodiesel molto simile al gasolio di origine minerale e può
150
trovare utilizzo, puro o in miscela, come sostituto dello stesso nel settore
dei trasporti oppure come combustibile per riscaldamento. I trigliceridi
costituiscono ol­tre il 99% degli oli vegetali e dei grassi animali freschi e
proprio tale lega chimica, composta da tre lunghe catene di acidi grassi
tenute insieme da una molecola di glicerolo, dona all’olio una delle sue
caratteristiche peculiari: la viscosità, la quale viene successivamen­te unita
ad un catalizzatore (soda caustica) che spezza i legami del glicerolo con
gli acidi grassi e permette al metanolo di sostituirsi ad esso creando così
il metil-estere che è il biodiesel. Quale combusti­bile di origine vegetale
punto a favore può essere determinato dal fatto che rappresenta una forma di energia “rinnovabile” al contra­rio dei combustibili fossili e quindi
nel suo ciclo vitale dà luogo a minori emissioni di anidride carbonica; di
contro, occorre precisare che a suo sfavore sussistono sia gli elevati costi
di produzione, che la ridotta disponibilità. Pur usufruendo di tutti i terreni utilizzabili in Europa, non si riuscirebbe a coprire nemmeno il 5%
del consumo di gasolio per autotrazione. Difatti, la scarsa disponibilità di
oli e grassi vergini ne limita la produzione e, se pur auspicabile, l’uso di
oli fritti e grassi rancidi fa lievitare di molto i costi e determina un processo di produzione fin troppo complesso. Pertanto il biodiesel deve essere
sviluppato in modo responsabile ed in buona parte dall’olio di scarto, da
piante nelle zone dove è giusto farlo. Invero fino a pochi anni fa, si credeva che i biocombustibili fossero i diretti sostituti del petrolio e ciò diede
inizio ad una corsa alle coltivazioni di piante oleacee per farne aumentare
la produzione a discapito delle colture tradiziona­li, con una conseguente
diminuzione delle derrate alimentari e un aumento dei prezzi del cibo.
La maggiore produzione di biodiesel deriva, ad oggi, dalle colture della
soia, il cui sviluppo appare molto controverso e la cui produzione è aumentata in proporzione all’in­cremento dell’uso della soia come foraggio
e, tra i differenti utilizzi dei suoi derivati, la produzione di biodiesel è
solo la più recente de­stinazione commerciale di questa leguminosa. Il
biodiesel è quindi certamente un carburante rinnovabile, ma rinnovabile
non vuol dire necessariamente sostenibile. In questa rappresentazione
l’uomo, ignorando tutto il processo, sta distruggendo ciò che lo circonda
e questo comportamento si riper­cuote sul benessere psico-fisico degli esseri umani e del pianeta.
151
Eppure ci sono molte direttive comunitarie emanate dalla dell’Orga­
nizzazione Mondiale della Sanità (OMS), dalla FAO e da altri im­portanti
enti che danno indicazioni sulla qualità e su come dovrebbe essere prodotto e coltivato il cibo, suggerendo che bisogna fare ciò che è utile e
giusto per la collettività eseguendo correttamente tutto l’iter produttivo.
È quindi ed anzitutto una questione etica di doveri in capo ai produttori
ed ai commercianti e di diritti dei cittadini di trasparenza produttiva e di
tracciabilità dei prodotti, in modo tale che venga non solo salvaguardata
ma promossa la salute di tutti e il singolo consumatore sia in grado di poter scegliere liberamente e responsabilmente. Di norma il nostro cervello
è in grado di dirci quando le nostre papil­le gustative, l’olfatto, la vista e il
tatto entrano in “contatto” con i cibi e, se non fossimo così condizionati,
saremmo in grado di riconoscere ciò che la natura, con tanta fatica, di
buono è in grado di offrirci, nel rispetto degli elementi naturali quali
la terra e i suoi contenuti ma anche dell’acqua e del sole che sono fondamentali per consentire la genuinità dei processi produttivi. Le nuove
generazioni purtroppo poco sanno degli autentici odori e sapori che un
tempo la natura consentiva a tutti i prodotti agroalimentari di sviluppare
e a noi di godere: il progresso scientifico e tecnologico ha favorito per
certi aspetti la quantità a scapito della qualità vera e naturale. Queste
valutazioni vanno attribuite non già alla genialità umana ed al progresso
che non avrebbero mai violato le leggi della natura e la biodiversità, ma
all’arroganza di volersi sostituire alla intelligenza della natura. Finché la
tecnologia collabora con l’opera umana è certamente utile anche alla
natura ma solo quando interviene non alterando i pro­cessi naturali, altrimenti è certamente dannosa e pericolosa per la nostra esistenza poiché
anche noi siamo figli della natura ed occorre ribadire che solo il suo reale
benessere dà salute e prosperità anche all’uomo. Ignorare tutto ciò vuol
dire generare un conflitto tra scienza e natu­ra. Proprio quest’ultima, con
le sue regole ha più volte contraddetto le leggi scientifiche e tecnologiche.
Quando ad esempio parliamo di bioenergetica stiamo parlando dell’armonia elettromagnetica ed evolutiva contenuta all’interno delle sementi
che con la loro memo­ria dinamica consentono la realizzazione di prodotti che poi mangia­mo, quindi occorre puntare l’attenzione sulle varie fasi
che portano a mantenere prima di tutto la qualità e la bioenergetica dei
152
semi. Il compito delle Istituzioni è quindi quello di garantire e di accertarsi che il seme provenga da processi naturali e non alterati o modificati
biotecnologicamente, solo in tale circostanza è difatti possibile certi­ficare
la qualità dei semi, quindi la tracciabilità del cibo che arriverà sulle nostre
tavole. Partire dalla certificazione scritta del seme quindi è partire dalla
fon­te che produce il cibo e ciò consente ad ognuno di potersi rendere
conto di tutti i passaggi e/o modificazioni che il prodotto subisce prima
di essere consumato.
L’introduzione della biotecnologia in agricoltura e nell’industria di
trasformazione alimentare (la geno-agro-industria) ci obbliga inve­ro a riconsiderare attentamente il significato e lo scopo della nostra esistenza,
pur tuttavia, le leggi fatte per regolare tali procedimenti a nulla servono
se si autorizza l’alterazione dei processi naturali e se i danni che subiamo
dai cibi trasformati non vengono contemplati da tali leggi. La qualità
deve corrispondere ad una fonte naturale che fornisce i nutrimenti necessari per vivere bene senza dover ricorrere a farmaci per neutralizzare
sintomi non già indicatori di malattia, quanto più di reazione a sostanze
tossiche inserite nei vari processi di trasfor­mazione dei nutrienti, che diventano così ben poco naturali e un po’ troppo industriali. In pratica,
bisogna cambiare il modo di fare acqui­sti tenendo presente tre principi
fondamentali: acquistare cibo locale, di stagione e direttamente dal produttore perché più il consumatore conosce la fonte di chi produce il cibo,
più può fidarsi di quello che acquista e mangia. Solo in tal caso infatti
si può parlare di indicatore della qualità dal contadino al consumatore;
al contrario, più ci si al­lontana dalla fonte di produzione e più aumenta
il rischio, che diven­ta ancora più grande a causa dell’attuale globalizzazione dei mercati che cercano di ottenere al minor costo alimenti “non
convenzionali” e sostitutivi di quelli tradizionali. Il benessere e la salute
sono quindi strettamente correlati alla produ­zione naturale, pertanto occorre essere molto vigili e cauti quando si parla di cibo, prendendo in
considerazione non soltanto il momen­to dell’ingestione, anche la fase
digestiva durante la quale possono manifestarsi svariate sintomatologie
quali effetti collaterali derivati dalla consumazione di prodotti sottoposti
a procedimenti di prepara­zione, manipolazione, cottura e conservazione
che ne modificano la qualità e il valore nutritivo, rendendoli così cibi con
153
un elevato grado di sofisticazione chimica e manipolazione tecnologica.
Oggi tutte le patologie e le condizioni di malessere o sofferenza ven­
gono ipotizzate come difetti genetici ma, se poi vengono verifica­te, in
realtà è facilmente dimostrabile la manipolazione umana della genetica o
della produzione alimentare. Pertanto non possiamo col­pevolizzare i geni
se, di fatto, il profitto spinge a violare le leggi di natura per aumentare la
quantità penalizzando la qualità. Questi sono crimini che si commettono
non solo contro la natura, soprattutto con­tro la nostra salute.
Data l’importanza dell’argomento fin qui trattato ho tenuto, in giro
per il mondo e più precisamente a San Paolo, Kuala Lumpur, Tokio,
Anchorage, Roma ed altre città italiane, una conferenza dal titolo “Dimmi come mangi e ti dirò quanto vivi” il cui tema riguardava la tossicità alimentare quale primo passo per le patologie neoplasti­che e la corretta
scelta degli alimenti come prevenzione e cura delle malattie. A chiusura
dei lavori, ho voluto trasmettere ai presenti un messaggio rivoluzionario
ponendo l’attenzione sul contenuto tossico dei maggiori alimenti di cui
si fa abitudinario consumo. La lista nera comprende fra gli altri bifenili
policlorati (PCB), dios­sine e furani o più chiaramente pesticidi agricoli,
sostanze chimiche industriali e sottoprodotti della combustione i cui effetti collaterali conseguenti sono le neoplasie del sangue e del cervello,
danni al sistema nervoso centrale e periferico, sterilità ed indebolimento
del sistema immunitario. Inoltre, sono compresi nella lista incriminata
anche tutti i conservan­ti tossici che trovano largo impiego nei prodotti
commerciali:
• E 200-203 composti a base di acido sorbico e sorbato presenti nei
formaggi, vini, frutta secca, salse a base di frutta, glasse etc.
• E 210-213 acido benzoico e benzoato presenti nelle verdure sot­
taceto, marmellate e gelatine a basso contenuto di zucchero, frut­ta
candita, prodotti a base di pesci semiconservati etc.
• E 249-252 composti a base di nitriti e nitrati presenti nelle salsic­ce,
pancetta, prosciutto, formaggio, etc.
In modo particolare ed incisivo ho denunciato, inoltre, la tossicità
sprigionata dai cibi caldi e surgelati al contatto con i contenitori di plastica usualmente utilizzati per il trasporto degli alimenti nelle mense scolastiche e negli ospedali. Tutto quello che fin qui è stato detto forse era ed è
154
cosa già conosciu­ta da molti; la novità sta nel non allarmare e basta quanto nel dare delle soluzioni per far sì che tutta la tossicità che quotidianamente assorbiamo attraverso il cibo, possa essere eliminata utilizzando
in modo dosato e corretto determinati alimenti come medicamento i
quali, pulendo il nostro organismo, servono sia come prevenzione che
come cura delle malattie dato che contengono Vitamina E, Vita­mina A,
Beta-Carotene, Acido Ascorbico e Melatonina Coniugata e sono identificabili in noci, mandorle, banane, succo di carota, succo di arance ed altri
vegetali. La battaglia che ho intrapreso in giro per il mondo è indirizzata
alla valorizzazione e al rispetto della vita intesi come il non permettere
a nessuno, sia esso privato o ente pubblico, di inserire all’interno degli
alimenti sostanze tossiche che potrebbero provocare patologie organiche.
Natura, uomo e valori
Col tipo di progresso perseguito e l’evoluzione cieca raggiunta dall’uomo si sta mettendo a dura prova la natura umana e il pianeta che ci
circonda; pertanto, per salvare il mondo bisognerebbe ritorna­re alla dimensione “umana” degli esseri viventi e la “scacralità” del nostro io e
del nostro corpo dovrebbe riportarci a riconoscerci come “uomini” che
agiscono e scelgono seguendo le emozioni più pure ed i veri valori. Siamo giunti in un’epoca in cui lo stesso valore della vita umana è sostituibile con il mercato o il concetto di merce come anche con quello di
commercio e guadagno. La stessa vita umana è diventata “un’operazione
meramente scientifica” che nulla ha a che a vedere con la gioia di vivere,
l’istinto di sopravvivenza e di con­tinuità della specie. Se è vero che la
scienza con le sue invenzioni è riuscita a raggiungere straordinari risultati
ad esempio nell’ambito della fecondazione assistita, è anche vero che ci
siamo spinti quasi oltre il confine estremo nel quale l’atto procreativo ha
perso ogni col­legamento con la procreazione in sé. Mettere al mondo dei
figli è un diritto o un dovere? Credo invece sia un dono che ci viene concesso. Ci siamo spinti oltre ogni limite e temo non sia ancora stata posta
la parola fine alla nostra arroganza, prepotenza e presunzione, soprat­
tutto quando oggi si discute di semi donati, prelevati da non vivi, ute­ri in
affitto e banca del seme. Occorre domandarsi fino a quale linea estrema
è giusto programmare ciò che naturalmente è stato concepi­to come dono
b)
155
misterioso della vita, fin quando servirsi della scienza per migliorare la
nostra vita e quella dei nostri figli è un percorso giusto ed indispensabile
quanto più, in realtà, sostituirsi al mistero della vita non so dove ci farà
arrivare. I valori esistenziali oggi sono stati spazzati via dalla convenienza
e dall’utilità, ormai mettere al mondo un figlio è quasi una programmazione a tavolino, ormai se ne può decidere addirittura l’aspetto, i colori,
magari anche i gusti futuri. L’egoismo a cui siamo arrivati è una forma
di solitudine che ritengo sia diventata, nonostante si viva nell’era delle
facili comuni­cazioni, il male del nostro secolo. Si passerà dal “figlio in
provetta” agli uomini in provetta fino ad arrivare ai sentimenti in provetta. Tut­to deciso, prestabilito e tutto all’insegna dell’ingombrante Io che
ci farà dimenticare il senso della vita, della famiglia e di quei valori che ci
rendono “Uomo”. Questo nuovo mondo fatto di individui preco­struiti e
pre-immaginati ci farà finanche perdere il più semplice senso della bellezza della vita diversa e meravigliosamente sorprendente.
2.7 Cibo e nutrizione
La nutrizione è una attività complessa ma allo stesso tempo necessa­ria
all’organismo che si esplica in tutte le funzioni metaboliche e le manifestazioni vitali che richiedono energia e che coinvolge tutte le persone di
qualsiasi fascia d’età. Col tramite della nutrizione l’organismo mantiene
un continuo scam­bio di energia, prodotta grazie all’apporto di sostanze energetiche che si trovano all’interno degli alimenti, con l’ambiente
esterno e, tale interscambio, si attua attraverso tutta una serie di processi
chi­mici che ne costituiscono la base, identificabili nel metabolismo che,
a sua volta, si suddivide in anabolismo cioè l’insieme delle reazioni sintetiche e catabolismo che è l’insieme dei processi demolitivi. In relazione
al rapporto che intercorre tra l’apporto degli alimenti ed il meccanismo
della loro utilizzazione, gli organismi viventi si pos­sono classificare in
autotrofi ed eterotrofi. Più chiaramente il termine autotrofo (dal greco
“autos” = da se stesso e “trophos” = alimenta­zione) fa riferimento a quegli organismi capaci di nutrirsi utilizzando solamente semplici sostanze
inorganiche, come per esempio i sali minerali con contenuto energetico
di sostanza nullo, come avviene per i vegetali che sono in grado di captare l’energia radiante attra­verso il processo di fotosintesi clorofilliana.
156
Grazie ad essa infatti le piante riescono ad immagazzinare l’energia solare
per dare origine a sostanze complesse quali possono essere i lipidi, le
proteine, le vitamine ed i carboidrati. Nel termine eterotrofo (dal gerco
“héteros” = altro, differente), invece, si ricomprendono tutti gli organismi
che necessitano, dal punto di vista nutrizionale, di composti organici.
È il caso degli animali che hanno bisogno di energia per vivere e tale
energia si trova appunto negli alimenti dai quali, dopo la digestione e la
successiva demolizione dei predetti composti, viene ricavata quella utile
alla loro sopravvivenza. Per comprendere meglio la differenza che sussiste
tra questi due ter­mini, si possono suddividere gli organismi viventi in:
Eterotrofi-animali: traggono energia dagli alimenti.
Autotrofi-vegetali: traggono energia dal sole.
Quando si parla di nutrizione bisogna anche sottolineare un altro
re­quisito, cioè indicare quali siano le sostanze utili al nostro organismo
riguardo al quale non bisogna prestare attenzione solo al fisico ma an­che
all’aspetto neuropsicologico che è altrettanto interessante in quan­to il
rapporto nutrizione-cervello rappresenta un dualismo inscindibile che
necessita di un equilibrio costante affinché si possa garantire sia lo sviluppo, che il buon funzionamento neurofisiologico e cognitivo del sistema
nervoso centrale e periferico. Va considerato, inoltre, che le sostanze importanti per il corpo umano sono: i glicidi, i lipidi, le proteine, le vitamine, i sali minerali ed anche gli oligoelementi dei quali, più nel dettaglio,
si può fare una sorta di classificazione ed invero:
I glicidi sono importanti per il nostro cervello e per tutto il sistema
nervoso poiché svolgono una funzione energetica entrando nella for­
mazione di strutture fondamentali come gli acidi nucleici e i cerebro­sidi
presenti nel cervello; i lipidi sono una sostanza animale o vegetale. Essi
possono essere classificati in semplici o complessi, a secondo l’origine di
provenien­za, il loro contenuto e la durata dei grassi, sia come acidi che
come lipidi nel sistema nervoso dipende dall’età, dall’attività dello stesso
sistema e dagli stessi lipidi, sia quelli apportati dalla dieta che quelli sintetizzati nell’organismo; le proteine vengono considerate importanti per
la costituzione e la funzionalità del cervello durante il completamento
somatico del si­stema nervoso centrale del periodo natale e prenatale. È
indispensa­bile un continuo apporto di proteine in quanto lo sviluppo ce-
157
rebrale richiede l’assunzione costante di aminoacidi essenziali stante che,
in seguito alla loro carenza, il cervello potrebbe rimanere più piccolo con
una riduzione dello sviluppo delle cellule neuronali. In mancanza del­le
stesse si possono verificare delle carenze che porterebbero a delle conseguenze riguardanti il linguaggio e le comuni forme di compor­tamento
che si aggraverebbero qualora avvenissero prima del sesto mese di età, oltre a ciò comunque una carenza proteica può portare conseguenze anche
nel campo del sistema neurovegetativo ed endo­crino enzimatico.
Le vitamine rappresentano per la struttura, per l’impegno metabolico
e per la funzionalità, un aspetto fondamentale per tutte le età poiché
agiscono nel sistema nervoso come regolatore e come catalizzatore nutrizionale in numerosi processi di importanza vitale e nelle preven­zione
di forme morbose. Così come per le proteine, anche per le vita­mine una
carenza all’interno del nostro organismo può portare a forme di paresi,
stati ansiosi e depressivi,traumi e convulsioni etc. Tra i diversi tipi vanno
ricordate principalmente le vitamine A-B1- B2-B6-B12-D-E-K-C-PP-ACIDO FOLICO, ognuna di esse con una precisa funzione.
La vitamina A interviene nei processi metabolici del neurone, il com­
plesso vitaminico B (tiamina-piridossina-niacina, etc.) agisce per dare
forme energetiche al sistema nervoso centrale, la vitamina E regola la
respirazione cellulare, la vitamina C interviene nel sistema nervoso sotto
l’azione pro o antiossidante ed infine va considerato anche l’im­portante
acido folico. Se una di queste dovesse essere carente si veri­ficherebbero
delle serie conseguenze all’interno del nostro organismo.
I sali minerali sono importanti per il sistema nervoso poiché l’equili­
brio salino è uno dei primi fattori di buon funzionamento del sistema
nervoso stesso e, tra i diversi sali minerali vanno ricordati: il calcio, il
fosforo, il ferro, il magnesio, etc. gli oligoelementi in biochimica e nella
nutrizione sono elementi chi­mici, micronutrienti, bastevoli in minime
quantità per la crescita, lo sviluppo e la fisiologia di un organismo. Presenti in quantità infi­nitesimali, ossia imponderabili, in tutti gli organismi viventi, sono dei biocatalizzatori delle funzioni biologiche dell’organismo, ovvero attivano le reazioni chimiche e metaboliche indispensabili
alla vita. Sostanzialmente gli oligoelementi sono minerali in grado di favorire sia le reazioni enzimatiche che i processi metabolici organici in ge­
158
nerale, si presentano cioè come “starter” che permettono ai catalizza­tori
delle reazioni chimiche, gli enzimi, di funzionare correttamente.
Una ridotta concentrazione degli oligoelementi, o una loro diminuita
attività comporta, a sua volta, un sussulto negativo dell’attività en­zimatica
con blocco delle reazioni chimiche e l’istaurarsi di disturbi di varia entità,
sia negli individui giovani che negli anziani. La loro eventuale carenza genera, in pratica, alterazioni strutturali e fisio­logiche nell’organismo in quanto conduce nel tempo alla comparsa di disturbi inizialmente funzionali e
successivamente, se la carenza continua, la patologia si approfondisce con
danni organici e quadri clinici più rilevanti. Parlando del sistema nervoso
non poteva non essere citata l’acqua, una componente importante per il
cervello, organo che a sua volta svolge un ruolo essenziale per i meccanismi
di controllo del ricam­bio idrico. Il bisogno di acqua corrisponde alla sete
cellulare ed a quella extracellulare e quando si riscontra una carenza di
acqua che supera il 10% si verificano disturbi neurologici e psichici. Da
quanto finora detto si è quindi potuto appurare che l’alimenta­zione e di
conseguenza la nutrizione rappresentano uno dei fattori principali nella
genesi e nell’andamento delle funzioni neuropsichi­che, ove di fondamentale incidenza risultano essere le norme com­portamentali. A tal proposito
vanno evidenziate alcune regole comportamentali di natura psico-fisica,
igienico-sanitaria, ambientale e sociale che pos­sono contribuire alla ottimale riuscita nutrizionale e alle ideali perfo­mances celebrali e neurologiche.
Tali semplici norme da seguire sono:
1. l’apparato digerente deve essere rilassato prima di sedersi a ta­vola;
2. il soggetto deve evitare di indossare vestiti che costringano la vita ed
impediscano la digestione;
3. il soggetto deve mangiare lentamente impiegando non meno di
30 minuti per ciascun pasto, è bene ricordare infatti che la prima
digestione avviene nella bocca;
4. evitare di assumere cibi troppo grassi o cotti con eccessive quan­tità
di grasso;
5. il naso deve essere mantenuto pervio eliminando gli ostacoli che
impediscono l’olfatto;
6. la tavola deve essere sempre imbandita e gradevole, come grade­vole
deve essere la compagnia;
159
7. si deve evitare di guardare la televisione durante i pasti princi­pali;
8. il soggetto deve essere il più possibile alla luce e si deve sotto­porre
a docce quotidiane ed esercizi fisici di tipo aerobico per consentire
una adeguata assunzione di ossigeno;
9. si consiglia di evitare il consumo di carne derivante dai mammi­feri.
Oltre a queste norme pressoché importanti e generalizzate, occorre inoltre soffermarsi sui regimi dietetici utili per i soggetti con affezio­ni neuropsichiche e, a tal proposito, l’adozione dei regimi dietetici personalizzati ed
un adeguato stile di vita possono contribuire, cer­tamente insieme alle terapie, ad un miglioramento della condizio­ne neuropsichica originata da
deficit nutrizionali, allo stesso tempo possono correggere quelle carenze,
o eccessi nell’assunzione dei nu­trienti macro e micro e le deviazioni degli
andamenti metabolici di interesse del cervello.
a) Una scelta prevalentemente vegetariana
Un cambiamento che si sta diffondendo in questi ultimi anni e che
ritengo possa essere l’inizio di quella svolta che porterà alla salva­guardia
del mondo, è l’avvicinamento del consumatore ad una dieta prevalentemente vegetariana. Le motivazioni che si possono ad­durre rispetto tale
scelta sono diverse e mi preme esplicarle in modo più chiarificatore, infatti, tale tipo di alimentazione è sì una scelta ecologica e salutare ma
anche filosofica ed etica. La produzione agricola potrebbe oggiggiorno
coprire il fabbiso­gno alimentare dell’intero pianeta se la maggior parte
dei prodotti non fosse utilizzata per alimentare gli animali che, a loro
volta, nutriranno gli uomini. Questa preferenza comporta anche un di­
spendio immane di risorse alimentari, un utilizzo erroneo delle distese
agricole e uno spreco d’acqua incommensurabile. Quindi ap­pare chiaro
che l’alimentazione prevalentemente vegetariana rappre­senta anche una
strategia ecologica, sociale e funzionale al nostro stesso pianeta.
Un altro motivo che mi ha fatto avvicinare a tale tipo di scelta è quello
salutistico, mangiare soprattutto frutta e verdura è un vero toccasana per
la nostra salute mentre cibarsi di carne aumenta le possibilità di imbatterci in malattie pericolose e potenzialmen­te mortali (diabete, tumori, problemi cardiovascolari), basterebbe invece evitarne il consumo per ridurre
l’incidenza di tali patologie. Nutrirci di frutta e verdura, contrariamente
160
alla carne, non espone a reali rischi pur contenendo tutte le sostanze
necessarie per il nostro sostentamento. Infine, questa mia preferenza si
definisce come una scelta etica e filosofica, difatti per perseguire questa
strada, bastereb­be vedere a quali crudeltà sono sottoposti gli animali destinati alla macellazione e quali torture devono subire per soddisfare il
mercato alimentare. Ritengo pertanto che tollerare ancora oggi queste
barba­rie è vergognoso ed è inverosimile vedere fino a che punto l’uomo
riesce ad arrivare. In concreto, quindi, la svolta per cambiare il nostro
mondo deve par­tire necessariamente dall’atteggiamento che noi uomini
dovremmo iniziare ad avere nei confronti della natura e degli esseri che
la abitano.
b) Nutrirsi in modo sano per avere una vita sana
Un obiettivo fondamentale per avere una vita equilibrata sarebbe
quello di trovare una sintesi corretta fra alimentazione e salute poi­chè i
due aspetti sono realmente collegati fra loro. Oggigiorno sono numerosissime le diete che ci vengono proposte e spesso presentate come soluzione definitiva ad ogni nostro desiderio, basta infatti navigare su internet
per perdersi nelle miriade di infor­mazioni che ci vengono fornite su diete
rivoluzionarie e su nuovi tipi di alimentazioni. Molto spesso, tuttavia, gli
innumerevoli dati offerti non fanno altro che disperdere e creare confusione. Altrettanto numerosi sono i programmi televisivi ed i libri che
scio­rinano informazioni, suggerimenti e consigli mentre, una visione an­
che scientifica dell’alimentazione sarebbe fondamentale per potersi meglio orientare.
Ad esempio, oggi mangiare sano viene associato quasi esclusiva­mente
al dimagrimento e quindi, se da un lato è giusto affermare che una corretta alimentazione favorisce anche un peso regolare, di contro l’intento
è quello di perdere peso in tutti i modi e a qualunque costo non considerando affatto gli effetti negativi che potrebbero ri­perquotersi sulla nostra
salute. Per mangiare bene è importante che la qualità e la quantità del
cibo siano equilibrati e quindi, mangiare in maniera corretta, vuol dire
salvaguardare anche, e soprattutto, il nostro sistema psicofisico e non preoccuparci esclusivamente dell’aspetto estetico e delle convenzio­ni sociali.
La società odierna, però, ci spinge ad un consumismo frenetico e, mossi
161
proprio da tale frenesia caratterizzata da sovrabbondanti in­formazioni e
troppe possibilità di scelta, talvolta anche sbagliate, ri­schiamo di cadere
nelle cattive abitudini. Oggi difatti non basta informarsi e attingere notizie su internet, da amici, sulle riviste o dalle varie trasmissioni Tv, ma
bisognerebbe saper scegliere usando un pò di razionalità e una minima
conoscenza tecnica. Il problema salutare legato all’alimentazione è un
tema antico af­frontato da molti grandi della nostra storia, tra i quali Pitagora, ma­tematico e filosofo della Grecia antica, che fu uno dei primi a
gettare le basi per la scelta di una alimentazione vegetariana affermando
che l’uomo ben si sarebbe potuto nutrire solo col cibo offerto dalla natu­
ra, consumando quindi esclusivamente frutta e verdura. Ed ancora, un
altro precursore fu Ippocrate, medico greco, il quale nei suoi testi consigliava un regime alimentare equilibrato per preve­nire il rischio di alcune
patologie e, non da ultimo, può essere citata anche l’espressione “Mens
sana in corpore sano”, attribuita al poe­ta dell’epoca romana Decimo Giovenale, che rafforza il concetto di trovare un giusto equilibrio fra la nostra
psiche e il nostro corpo per poter così raggiungere un benessere completo. L’alimentazione contribuisce a narrare l’uomo nella sua interiorità,
religiosità, tradizioni ed identità storico-sociale ed invero, il cibo concorre
alla costruzione di processi identitari della persona con­notando gli stili
alimentari e le origini dove il linguaggio alimentare incide non solo sul
metabolismo delle popolazioni ma sulla stessa convivenza pacifica di etnie e culture di una società globalizzata. Sostenibilità quindi è il fine di
scelte alimentari consapevoli ed è de­finibile mediante l’assunzione di un
impegno a soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la qualità della vita e il benessere delle generazioni future. In conclusione, anche
guardando al nostro passato possiamo affer­mare che noi siamo quello
che mangiamo e che basterebbero solo un po’ di raziocinio ed una piccola dose di conoscenza per preservare sia la salute del nostro organismo
che il benessere della nostra mente. L’alimentazione, infatti, ha un valore
culturale ed è un’occasione per creare comunicazione ed aggregazione
familiare e sociale, un ele­mento fondamentale per lo sviluppo e per la
promozione dei popoli tale da porre in essere significativi problemi di
equità nella distribu­zione delle risorse alimentari. Pertanto, l’adeguatezza
motivazionale diventa la chiave per un’ali­mentazione sana, come eviden-
162
ziato anche nello slogan dell’EXPO di Milano 2015. Ivi si affronteranno
temi come quello della protezione agricola di alimenti e la trasformazione
delle materie prime in pro­dotti finiti, sottolineando inoltre l’importanza
di un’alimentazione adeguata sotto il profilo qualitativo e quantitativo
nella promozione della salute. Si parlerà di cibo come un’occasione di
convivialità, incontro e pas­saggio di tradizioni nelle diverse culture.
2.8 I cibi che inquinano per l’emissione di gas serra
Un notevole quantitativo di prodotti agricoli (frutta e verdura) fuori
stagione importati da paesi distanti anche 12.000 chilometri sono tra i
principali responsabili delle alte emissioni di gas serra. I costi in ter­mini
di impatto ambientale sono legati soprattutto al trasporto, alla conservazione e ai prodotti usati per la maturazione, se si considera non soltanto l’anidride carbonica emessa in relazione alla distanza percorsa dal
prodotto ma si mette in conto anche che ad esempio la frutta, affinché
si conservi durante il trasporto, deve essere colta mol­to prima della sua
reale maturazione, trattata con prodotti chimici e refrigerata ed a ciò va
aggiunto che spesso vengono importati anche prodotti (es. l’olio di palma) la cui conservazione richiede l’utiliz­zo di molti pesticidi e di terreni
sottratti all’agricoltura tradizionale.
Utilizzare cibi fuori stagione è quindi un grosso errore non solo dal punto
di vista ambientale ma anche da quello nutrizionale, poiché ci sono cibi di
cui il corpo ha bisogno solo durante il periodo invernale ed altri che vanno
consumati in primavera o in estate. Inoltre, l’uti­lizzo di serre climatizzate per
la conservazione dei cosiddetti “pro­dotti fuori stagione” che usano energie
non rinnovabili e generano l’emissione incontrollata di anidride carbonica
sono state, di recente, attenzionate anche dalle Nazioni Unite.
Proprio in occasione della giornata mondiale dell’ambiente, istituita
dalle Nazioni Unite, si è accertato che ad aprile 2014 sono state su­perate
le 400 parti per milione (ppm) di anidride carbonica nell’at­mosfera, un
limite finora mai toccato nella storia della Terra, consi­derando anche che
per secoli il pianeta ha vissuto sulla soglia delle 200 ppm. Non bisogna
dimenticare, infatti, che l’aumento di anidri­de carbonica è il principale
accusato per il surriscaldamento globale del pianeta.
163
2.9 Allarme OGM
Una particolare categoria alimentare, strettamente connessa alla si­
curezza alimentare e di conseguenza alla salute umana, è costituita dagli
Organismi Geneticamente Modificati (OGM) che, oggi, non determinano alcun beneficio per i consumatori e gli agricoltori ma solo per l’industria biotech. Spesso, infatti, gli OGM sono stati offer­ti come rimedio
per la fame nel mondo o a garanzia di una agricoltura più rispettosa
dell’ambiente, in realtà, sono solo una sfaccettatura di un settore agricolo
di stampo industriale ed il loro rilascio nell’am­biente comporta notevoli
rischi come la perdita di biodiversità, oltre a molti altri, alcuni addirittura
imprevedibili. Anche Greenpeace si batte ormai da anni contro il rilascio
nell’am­biente degli OGM poiché sono un reale pericolo per l’ecosistema, minacciano gli equilibri economici e sociali, comportano rischi per
la salute e, proprio per tali motivi, si oppone alla coltivazione di OGM
in campo aperto quale fonte di inquinamento genetico che contamina
le coltivazioni tradizionali e biologiche, accettandone in­vece la ricerca
in laboratorio specie in campo medico. Ad oggi gli OGM non vengono
utilizzati a sostegno della ricerca e del progresso nonché a vantaggio della
collettività e tutela dell’am­biente, ma al solo scopo di arricchire grandi
aziende e ciò avviene anche se non riescono a garantire né una produttività superiore delle colture tradizionali né di renderle più sicure o resistenti alla siccità; sono utili solo a standardizzare le colture a svantaggio
della biodi­versità. Gli OGM permettono così solo ad una piccolissima
minoranza di decidere sul resto dell’umanità pur essendo ben consci che
la salva­guardia della produzione mondiale degli alimenti è fin troppo
impor­tante per la nostra sopravvivenza.
Al fine di fare ulteriore chiarezza sugli Organismi Geneticamente Modificati, trascriverò il testo integrale di un mio intervento presen­tato durante
la discussione delle mozioni sulle colture geneticamente modificate:
Legislatura 17a - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 022 del 15/05/2013
Allegato B Integrazione all’intervento del senatore Scilipoti nella discussione delle
mozioni sulle colture geneticamente modificate
Signor Presidente, onorevoli colleghi, la produzione degli organismi geneticamente modificati (OGM) si fonda sull’utilizzo del patrimo­nio genetico di organismi di specie diverse tra loro; l’applicazione di tale tecnologia ha sollecitato sino
ad oggi numerosi dibattiti in merito alla sua accettazione.
164
La scelta di utilizzare specie vegetali geneticamente modificate (GM) nei cicli
produttivi agricoli, per le implicazioni, non solo tecniche, che comporta, stata,
di fatto, giustificata, creando ed alimentando sempre nuove aspettative riguardo
alle possibilità legate all’impiego delle stesse piante GM. La diffusione delle coltivazioni GM e la messa a punto di nuove specie transgeniche sono state spesso
presentate come determinanti ai fini della risoluzione di problemi di vario genere ed importanza: dalla fame nel mondo, alla cura di alcune malattie, alla
razionaliz­zazione dei processi produttivi agricoli. Tuttavia, a ben analizzare, ad
anni dall’introduzione delle coltivazioni GM, i risultati sono de­cisamente al di
sotto delle aspettative: l’incidenza sull’abbattimento del problema della fame come nel caso del Golden Rice modificato per produrre provitamina A - stata
pressoché nulla e l’utilizzo delle piante transgeniche non ha, di fatto, interessato i
Paesi più poveri; le piante GM impiegate su larga scala e le modifiche introdotte
at­traverso la transgenesi sono state in numero molto limitato. Alla luce di queste
considerazioni, per quale motivo l’Italia dovreb­be permettere la coltivazione di
specie vegetali geneticamente mo­dificate? Quali sarebbero le ricadute vantaggiose
per l’economia dei Paese? Analizzando i dati pubblicati dall’ISTAT, emerge che
il settore agroalimentare, in generale il made in Italy alimentare, rappresenta un
grande volano per superare la crisi economica ed occupazionale, soprattutto grazie
al vino, all’ortofrutta, alla pasta e all’olio di oliva, che sono i componenti base
della dieta mediter­ranea e sono anche i prodotti di punta dell’agroalimentare
italiano sul fronte dell’export. Nel 2011 l’export agroalimentare aveva toccato,
per la prima volta nella storia, i 30 miliardi di fatturato, con una crescita in valore dei 9 per cento rispetto al 2010. Nel 2012 sono stati toccati i 31 miliardi di
euro, con un più 2 per cento rispetto al 2011. E il 2013, secondo i dati relativi ai
primi mesi dell’anno, parte con un ulteriore balzo in avanti. I dati segnalano una
crescita generale dell’export (soprat­tutto verso i mercati extra Unione europea) e
un tasso di crescita del settore alimentare che è più che doppio rispetto al tasso di
crescita medio.
Per completare il quadro non vanno dimenticati né il primato italia­no per la
sicurezza alimentare (nella UE l’Italia è il Paese con il mi­nor numero di prodotti
alimentari con pesticidi e residui chimici da fitofarmaci oltre i limiti) né il fronte
- decisivo - della lotta all’italian sounding (il fenomeno che coinvolge prodotti che
di italiano hanno soltanto il nome), tutte quelle azioni volte a tutelare le modalità di produzione che sono espressione diretta dell’identità nazionale, dei suoi
165
territori, delle sue risorse umane e che permettono al nostro Paese di imporsi nel
mare della globalizzazione. In questo clima di eccellenza si affaccia all’orizzonte
una nuova for­ma di colonizzazione ad opera di poche aziende che intendono con­
trollare la produzione alimentare del mondo, essendo in possesso dei brevetti sugli
OGM, che concedono loro una posizione di monopolio rispetto al prodotto di cui
detengono il brevetto. La concessione di brevetti su OGM limita l’uso di geni ed
organismi brevettati anche per fini sperimentali aggravando il divario, già tanto
grande, tra la capacità di ricerca privata e pubblica. Non è accettabile da un punto di vista etico, che aziende transna­zionali genetico-industriali controllino il cibo
e l’alimentazione in generale, essenziali per la vita. Qualunque sorta di ricerca
in merito all’impatto ed alla sostenibi­lità di qualsiasi nuova tecnologia introdotta
in agricoltura non può essere di esclusiva pertinenza dei proponenti e deve vedere
il coin­volgimento di istituzioni che sono indipendenti da legami economici con le
ditte che propongono tali innovazioni. Quali sono i limiti -mi chiedo -che una società dovrebbe porsi nell’atto di alterare l’equilibrio dell’ambiente causando gravi
dan­ni all’ecosistema, senza preoccuparsi delle conseguenze che questi atti avranno
sulle generazioni future? Quanto ancora si potrebbe affermare in difesa della biodiversità vegetale, che verrebbe ridotta? L’introduzione di specie estranee all’ambiente a una delle maggiori cause di dissesto ecologico e riduzione della biodiversità.
Quali sarebbero, inoltre, nel nostro Paese, le conseguenze per l’agricoltura, fiore
all’occhiello dell’economia italiana? Le colture transgeniche a larga diffusione
creeranno, inevitabilmente, proble­mi anche agli agricoltori. II rilascio nell’ambiente di OGM potrebbe rappresentare un grave rischio per la salute dell’uomo e
degli ani­mali che si alimentano con questi OGM o prodotti da essi derivati, come
farine eccetera nonché contaminerebbe l’ambiente. Si parla di gene flow, cio della
possibilità che il gene esogeno possa trasferirsi da una pianta GM ad un’altra
non GM, attraverso il ga­mete maschile, cioè l’impollinazione; questo timore si
fonda su basi scientifiche concrete. Inoltre gli insetti, che raggiungono distanze
molto elevate potrebbero vanificare qualsiasi tentativo di separazio­ne tra colture
transgeniche e colture tradizionali. II coltivatore di mais tradizionale che produce
vicino ad un coltivato­re di mais transgenico avrà il prodotto, necessariamente,
inquinato e dovrà venderlo come transgenico; dunque, le colture geneticamen­te
modificate possono non solo rivelarsi incompatibili con il mante­nimento delle
colture convenzionali o biologiche, ma finirebbero per sottrarre interi territori alle
condizioni specifiche di coltivazione.
166
Un elenco di potenziali rischi da tenere in considerazione, prima di diffondere nell’ambiente un OGM, è stato stilato dall’EFSA (Autori­tà europea per
la sicurezza alimentare) e comprende: rischi ambien­tali relativi a cambiamenti
nell’interazione tra pianta modificata e ambiente biotico, tra cui persistenza e
invasività, induzione di resi­stenza negli insetti infestanti cui le piante sono resistenti, interazioni con organismi non-target (ad esempio, effetti su api e altri insetti
non infestanti, con conseguenze sulla biodiversità); possibili rischi per la salute
umana o animale, tra cui effetti tossicologici causati da proteine sintetizzate dai
geni inseriti, o tossicità di costituenti diversi dalle proteine, allergenicità, cambiamenti nel valore nutritivo e tra­sferimento di resistenza agli antibiotici (anche se
questa possibilità già di per sé remota). L’utilizzo su vasta scala di tali organismi
può determinare un consistente rischio di perdita della biodiversi­tà (questo rischio
che sinora non è stato praticamente valutato in alcuna sede; in particolare, la perdita di biodiversità può essere di rilevante impatto in campo agricolo, aggravando
il grave fenomeno di erosione genetica che si verificato negli ultimi anni e che
lega­to sia alla iperspecializzazione dei prodotti agricoli che all’assenza di politiche
incisive di raccolta, conservazione e riproduzione del germoplasma di piante in via
di estinzione) poiché i nuovi organismi modificati geneticamente non hanno attraversato il naturale vaglio della selezione e risulta, dunque, molto difficile stabilire,
a priori e teoricamente, le conseguenze ambientali per gli ecosistemi derivanti
dalla loro proliferazione in natura (tale diffusione è già avvenuta, soprattutto
negli Stati Uniti, per diverse specie vegetali destinate all’alimentazione dell’uomo nonché alla somministrazione agli ani­mali destinati al consumo alimentare).
In Italia il rischio reale per l’agricoltura, esiste, poiché un setto­re minacciato
dal fantasma della dipendenza da multinazionali, a causa dell’introduzione, nel
nostro territorio, di sementi manipolate geneticamente, per quanto concerne i
mangimi degli animali; occor­re, dunque, operare nella direzione di tutela della
qualità del settore, una nostra grande ricchezza economica ma anche culturale.
Non ultimo va valutato anche l’impatto economico che questi prodotti avrebbero
sul settore agroalimentare. Tra gli elementi che possono contribuire ad erodere i
benefici derivanti dall’impiego delle col­tivazioni transgeniche si devono, inoltre,
considerare le spese per l’acquisto delle sementi geneticamente modificate, vista
la sterilità di alcune varietà di piante GM. Non potendo più questi organismi
produrre sementi, gli agricoltori sono obbligati ad acquistare ogni anno a caro
prezzo il prodotto dai distributori di sementi autorizzati, detentori del brevetto,
167
non potendoli comprare diversamente. All’ac­cusa di voler controllare il mercato
dei geneticamente modificato la risposta delle multinazionali è stata la correzione
genetica dei semi sterili, i semi zombie, che sono sterili fino al momento in cui,
esposti a particolari stimoli, come un composto chimico, tornano allo stato fertile;
il meccanismo di inversione, però, si ottiene soltanto utiliz­zando prodotti specifici,
brevettati quanto i semi stessi.
Allo stato attuale delle conoscenze, la comunità scientifica non concorde
sull’esistenza o meno di rischi reali in conseguenza del ri­lascio in natura di OGM,
mancando chiare ed incontrovertibili evi­denze scientifiche, con risultati ottenuti
a lungo termine.
Perplessità sulla tecnologia in questione nascono, innanzitutto, dal­la considerazione che contenendo le piante GM un gene esogeno, isolato da un organismo
non sessualmente compatibile, nulla ci as­sicura che nella selezione il ricercatore
non dia spazio a caratteri negativi, come la produzione di tossine o sostanze cancerogene che finirebbero nei prodotti alimentari.
Ciò che concorre a rendere la questione complessa ed irrisolta ri­guarda la necessità di stabilire a livello molecolare le conseguenze a cui andrebbe incontro non
solo l’organismo modificato ma an­che quell’organismo che se ne nutrisse. Si tratta
di ragionare sulla possibilità che DNA estraneo introdotto con l’alimento possa,
in un organismo superiore, bypassare la barriera gastro-intestinale, per andare
addirittura ad integrarsi a cellule del sistema immunitario. Oltre a ciò vengono
postulate altre tipologie di rischi sanitari legati al consumo di alimenti GM come:
1. allergenicità nascosta, dovuta alla presenza della proteina pro-dotta dal
gene esogeno in una pianta in cui normalmente a as­sente;
2. possibile resistenza agli antibiotici nei caso in cui tale carattere sia stato
inserito negli OGM; la Direttiva CE (2001/18), che re­golamenta I’impiego degli OGM, vieta, a partire dal 2004, l’uti­lizzo di questi geni negli
OGM immessi in commercio;
3. tossicità cronica o possibili effetti rari sull’uomo (di ciò si sa molto poco).
L’obbligo previsto dal Regolamento UE di testare gli alimenti OGM sui topi
per novanta giorni per ogni singolo OGM, prima che la produzione di alimenti
transgenici venga autorizzata, escluderebbe soltanto la tossicità acuta e cronica e
l’allergenicità negli animali da laboratorio. Per verificare l’effetto cronico nell’uomo necessario valutare i rischi sull’intero ciclo di vita, poiché la predisposizione a
patologie croniche da OGM aumenterebbe, infatti, con l’invecchia­mento e con la
168
maggiore vulnerabilità a malattie. Le multinazionali del settore hanno tentato di
rassicurare circa i rischi di una possibile risposta allergica trapiantando un unico
gene, ma anche questa teo­ria è stata contraddetta da fatti evidenti. É il caso di
una nota società (la Pioneer), colosso mondiale nella produzione di semi, che ha
pro­dotto una soia più ricca di metionina (amminoacido essenziale che il nostro
organismo non sa produrre) grazie ad un gene proveniente dalla noce brasiliana,
nota per la sua peculiare potenzialità allerge­nica, trasformandola in una soia a
cui soggetti normalmente aller­gici alla noce brasiliana e non alla soia lo risultavano alla variante manipolata. Tutto ci˜ mostrava l’inaffidabilità del test a
disposizio­ne. A differenza di molti Paesi del mondo nei quali esiste un quadro di
riferimento normativo che regola il settore OGM, per garantire la biosicurezza
(ovvero l’utilizzo attraverso il rispetto del necessari livelli di sicurezza ambientale,
della salute umana e di quella ani­male) nel nostro Paese i Governi, finora, non
hanno mai adottato iniziative concrete e risolutive ed, oggi, il risultato è un allarmante vacuo normativo, che si cela dietro un’apparente prudenza delle no­stre
istituzioni nazionali verso l’introduzione degli organismi gene­ticamente modificati. In Italia si pu˜, nelle more dell’approvazione della proposta di modifica
della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di
piante geneticamente modifica­te, ricorrere all’unico strumento legislativo in grado
di risolvere la questione, cioè la clausola di salvaguardia (al sensi dell’articolo
23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12
marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di orga­nismi geneticamente
modificati e che abroga la direttiva 90/220/CE del Consiglio, così come recepita dall’articolo 25 del decreto legi­slativo 8 Luglio 2003, n. 224 introdotta
a livello comunitario in de­roga alla libera immediata circolazione del prodotti
già autorizzati). II ricorso a questa clausola consentirebbe di poter scongiurare
quei rischi d’inquinamento ambientale, tutelando le peculiarità agroeco­logiche
del nostro territorio, evitando di compromettere l’identità delle nostre produzioni
fino all’adozione delle misure comunitarie dirette a consentire a ciascuno Stato
interessato di agire di propria iniziativa, per quanto riguarda il divieto di diffusione di organismi geneticamente modificati.
Quando si parla della possibilità di coltivare OGM in Italia, è rigo­roso tener
presente che l’opinione pubblica, i consumatori e le stes­se rappresentanze degli
agricoltori hanno espresso una posizione negativa sulla questione ed il Parlamento
ha il dovere di tutelare i consumatori e gli agricoltori italiani. In considerazione
169
di ciò, appare evidente che sia gli enti locali che regionali, in quanto aree amministrative omogenee, sono il soggetto più indicato per lo studio e la valutazione dell’impatto che l’introdu­zione delle colture GM potrebbe avere sul territorio.
Come l’Italia anche altri Paesi UE (Francia, Danimarca, Grecia, Lussemburgo,
Austria e Belgio) si sono dichiarati contrari ad ogni nuova autorizzazione in
assenza di regole più stringenti sugli orga­nismi geneticamente modificati e sono
firmatari di moratorie sull’in­troduzione di nuovi OGM. Otto sono, invece, le nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e
Po­lonia) che hanno adottato la clausola di salvaguardia per vietare le colture GM
autorizzate nei loro territori. Sulla base della comunicazione della Commissione
al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato delle Regioni sulla libertà per
gli Stati membri - di decidere in merito alla coltivazione di colture geneticamente
modificate (COM (2010) 375 def.), la Commissione intende chiarire come attuare tale libertà per gli Stati membri adot­tando un approccio che integri una revisione della raccomandazione esistente sulla coesistenza, che riconosca la necessità
di garantire maggiore flessibilità agli Stati membri, con una modifica del qua­dro
legislativo corrente. In linea con l’articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE, gli
Stati membri possono adottare misure opportune per evitare la presenza involontaria di OGM in altri prodotti. Considerato che gli agricoltori europei lavorano
in condizioni na­zionali regionali e locali diverse, considerate le esigenze locali
specifiche delle colture convenzionali biologiche o di altro tipo, la Commissione
ha sempre sostenuto che le misure, per evitare la pre­senza involontaria di OGM
nelle colture convenzionali e biologiche, dovessero essere elaborate e attuate dagli
Stati membri. A tal fine nel 2003 la Commissione, nel tentativo di sostenere
gli Stati membri nell’elaborazione di misure nazionali per evitare tale presenza,
ha pubblicato la raccomandazione 2003/556/CE recante orientamenti per lo
sviluppo di strategie nazionali e migliori pratiche per garan­tire la coesistenza tra
colture transgeniche, convenzionali e biologi­che. L’obiettivo di tali misure nazionali è evitare il potenziale impat­to economico della commistione tra colture GM e
colture non GM (convenzionali e biologiche). Attualmente, alcuni Stati membri
hanno adottato misure naziona­li di coesistenza miranti a raggiungere un grado di
presenza degli OGM in altre colture inferiore allo 0,9 per cento (il Regolamento
1139/98 e successivi, prevedono che scatti l’obbligo di etichettatura dei prodotti
alimentari contenenti soia e mais oltre la soglia dell’1 per cento, motivata dalla
possibilità di contaminazione accidentale).
170
Altri Stati membri hanno stabilito requisiti di isolamento diversi per la produzione biologica. Concretamente, l’esperienza maturata ha dimostrato che la
presenza di tracce di OGM in specifici prodotti alimentari - anche in percentuale
vicina allo 0,9 per cento - può cau­sare danni economici agli operatori che volessero commercializzarli come non contenenti OGM.
Occorre, a questo punto, riflettere sul fatto che l’Italia importa nel settore
mangimi per animali (suini e bovini per la produzione del lat­te, formaggi e prosciutti, inclusi i prodotti tipici con denominazione DOP/ IGP comunitari) più
del 90 per cento della soia dagli USA e dall’Argentina e che questo prodotto (essenziale per fornire proteine nei mangimi degli animali d’allevamento) sia ormai
per il 70-80 per cento GM. Questo in virtù del fatto che la nostra produzione
agri­cola di mais e soia per mangimi rappresenta meno del 20 per cento della
necessità alimentare del bestiame e tutto il resto è importato. Se, dunque, i nostri
campi potranno essere OGM-free se continuerà l’attuale politica agricola italiana, non lo potranno certamente es­sere i nostri allevamenti ed i nostri alimenti
tipici. In ragione di ciò, anche per l’agricoltura italiana, la questione sugli organismi GM si pone, non tanto per la loro coltivazione, quanto per il loro impiego
nelle filiere zootecniche. Al riguardo opportuno evidenziare che oltre il 90 per
cento del fatturato delle nostre pro­duzioni di quanta (DOP, IGP) è determinato
da prodotti di origine animale e che la gran parte dei consumatori italiani continua a pro­nunciarsi negativamente rispetto all’impiego agricolo ed alimentare
degli organismi GM e a dichiararsi disposto a corrispondere prezzi di acquisto
più elevati per prodotti alimentari nei quali sia garantita l’assenza di organismi
GM. É pertanto evidente che nel prossimo futuro, il difficile rapporto tra agricoltura italiana e organismi GM non potrà essere risolto unicamente attraverso
il divieto alla col­tivazione, ma dovrà essere affrontato mettendo a punto modelli
di sviluppo fondati sulla valorizzazione della fase produttiva agricola all’interno
di filiere orientate all’ottenimento di prodotti con carat­teristiche garantite quali,
ad esempio, l’origine italiana e l’assenza di organismi GM. Alla luce di quanto
esposto ritengo che, oltre a vietare la coltivazione in Italia di mais transgenico
MON810 e di altri OGM eventualmente autorizzati a livello europeo nonché
ad imporre un ferreo control­lo sui prodotti sementieri in corso di distribuzione e
sull’eventuale presenza non autorizzata di sementi transgeniche, sarebbe auspica­
bile che il Governo possa dimostrarsi favorevole all’introduzione di pesanti sanzioni per chi utilizza sementi transgeniche. Oltre a ciò, ravvisando la sussistenza di
171
potenziali rischi, come riportato in let­teratura scientifica, per la salute umana e
degli animali, per l’am­biente e per il mantenimento della biodiversità, occorre richiamare I’attenzione del Governo sulla possibilità, nel rispetto dei trattati firmati, di vietare la circolazione e l’importazione, nonché la com­mercializzazione sul
territorio anche di quei prodotti GM autoriz­zati dal quadro legislativo UE, per
evitare effetti nocivi del rilascio nell’ambiente di un organismo con caratteristiche
non esistenti e non producibili in natura, il cui studio richiede un’accurata verifica del suo comportamento e degli effetti sull’ambiente. Questo anche al fine della
salvaguardia della tipicità di un territorio e delle sue produzioni. Concludendo,
vorrei richiamare l’attenzione del Gover­no, affinché si faccia promotore, presso le
sedi europee deputate, del rischio potenziale di sfruttamento del risultati ottenuti
dalla tecno­logia degli OGM di terza generazione. Le piante transgeniche, in­fatti,
possono essere utilizzate come biofabbriche per la produzione di farmaci e vaccini,
alcuni dei quali sono già in sperimentazione da tempo. La genomica consentirà
di individuare i geni endogeni della pianta su cui occorre intervenire per potenziare determinati caratte­ri e, se la pianta non dispone di geni utili allo scopo,
servirà identifi­carli in piante affini. Questo a un potenziale campo-ricerca utile
per l’umanità e, in questo senso, la ricerca andrebbe istituzionalizzata ponendo
dei paletti alla brevettazione per imprese multinazionali, che rivendicherebbero gli
utili dei capitali investiti e, soprattutto, deciderebbero della vita dei più negando,
di fatto, alla popolazione l’accesso a nuove metodologie di cura. Questo ambito di
sperimentazione, che potrebbe contribuire al be­nessere della società migliorando
le condizioni di vita, deve essere di competenza di enti di ricerca pubblici, evitando di consegnare il monopolio ad aziende multinazionali concedendo loro nuovi
brevet­ti. Altrimenti verrebbero escluse frange di popolazione, che non vive nel benessere, dall’acquisto di nutraceutici e di farmaco alimenti (ammissibili soltanto
nel momento in cui evidenze scientifiche in­controvertibili dimostrassero che non
arrecano danni all’organismo nel tempo), nonché dalla possibilità di accedere a
tecniche di cura innovative. Va, altresì, ostacolato il ricorso a molteplici tecniche
di ingegneria genetica che prevedono il trasferimento di geni tra ani­mali e vegetali,
inaccettabili da un punto di vista etico. Ciò già av­viene per il pomodoro transgenico che è stato concepito prelevando il gene “anticongelante” della passera nera, un
pesce, inserendolo, poi, nel codice genetico del pomodoro per difenderlo dai danni
pro­vocati dal gelo (sorte analoga è toccata alle patate transgeniche, al grano turco
ed al tabacco transgenico). Tale pratica implica l’as­sunzione forzata di carne e
172
appare, dunque, eticamente scorretta per i soggetti che se ne astengono e pericolosa, dal punto di vista della salute, per coloro i quali non possono ingerire carne
per problemi di molteplice natura. A ben vedere, queste tecniche di riprogramma­
zione dei codici genetici degli organismi viventi che hanno, preva­lentemente, come
finalità il soddisfacimento di bisogni economici, stanno trasformando l’uomo in
ingegnere della vita, che non rispetta più le leggi naturali della creazione ed i
limiti etici, con il rischio che le tecniche di ingegneria genetica si trasformino in
strumenti di eugenetica. Il pericolo concreto, che al momento si affaccia all’orizzonte, è quel­lo che aziende multinazionali o istituti di ricerca privati brevettino
migliaia di microrganismi, piante ed animali decidendo così del de­stino delle future generazioni e del pianeta.
1. Trascrivo inoltre una mia interrogazione parlamentare sulla produzione degli OGM presentata al Senato della Repubblica.
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 3-00314
Atto n. 3-00314
Pubblicato il 7 agosto 2013, nella seduta n. 91
SCILIPOTI - Ai Ministri delle politiche agricole, alimentari e fo­restali e per gli
affari europei. Premesso che:
la produzione degli organismi geneticamente modificati (OGM) si fonda
sull’utilizzo del patrimonio genetico di organismi di specie diverse tra loro; il rilascio nell’ambiente di OGM potrebbe rappresentare un grave rischio sia per la
salute dell’uomo e degli animali che si alimentano con questi OGM o prodotti da
essi derivati, come farine eccetera. Nonché contaminerebbe l’ambiente;
un elenco di potenziali rischi da tenere in considerazione, prima di diffondere nell’ambiente un OGM, è stato stilato dall’EFSA (Autori­tà europea per
la sicurezza alimentare) e comprende: rischi ambien­tali relativi a cambiamenti
nell’interazione tra pianta modificata e ambiente biotico, tra cui persistenza e
invasività, induzione di resi­stenza negli insetti infestanti cui le piante sono resistenti, interazioni con organismi non target (ad esempio, effetti su api e altri insetti
non infestanti, con conseguenze sulla biodiversità); possibili rischi per la salute
umana o animale, tra cui effetti tossicologici causati da proteine sintetizzate dai
geni inseriti, o tossicità di costituenti diversi dalle proteine, allergenicità, cambiamenti nel valore nutritivo e tra­sferimento di resistenza agli antibiotici (anche se
questa possibilità già di per sé remota);
173
dai dati pubblicati dall’Istat, emerge che il settore agroalimentare, in generale
il made in Italy alimentare, rappresenta un grande vo­lano per superare la crisi
economica ed occupazionale, soprattutto grazie al vino, all’ortofrutta, alla pasta e
all’olio di oliva, che sono i componenti base della dieta mediterranea e sono anche
i prodotti di punta dell’agroalimentare italiano sul fronte dell’export; la dieta
mediterranea (il termine è stato coniato dallo studioso ame­ricano Ancel Keys)
svolge un ruolo fondamentale nella longevità e nella qualità della vita. Studi
epidemiologici hanno evidenziato che chi segue un’alimenta­zione mediterranea
in media è molto meno colpito da patologie de­generative, cardiovascolari contribuendo alla diminuzione del tasso di mortalità della coronaropatia (malattia
coronarica) del 50 per cento; nonostante sia una dieta mediamente ricca di grassi
incide positivamente sui livelli di colesterolo nel sangue e sulla glicemia, nonché
nella stimolazione del reflusso della bile.
Oltre a rappresentare un’effettiva prevenzione contro le malattie cardiovascolari lo sarebbe, come emerge da studi scientifici a lunga durata, anche per le
patologie tumorali grazie all’elevato contenuto in fosfolipidi del pesce, degli acidi
monoinsaturi dell’olio d’oliva (che ne rallentano la progressione oncologica), delle
fibre e delle vitamine di frutta e verdura e per la scarsità di utilizzo di prodotti
affumicati; il 16 novembre 2010, l’Unesco ha incluso la dieta mediterranea nel­
la lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità; l’OMS e la FAO
riconoscono tale modello alimentare salutare, so­stenibile e di qualità e ne “La
dichiarazione internazionale sulla dieta mediterranea”, inserita nella dichiarazione sui “Diritti ali­mentari dell’uomo” promossa a Barcellona dalla FAO, si
conferma, alla luce delle conoscenze attuali delle scienze che studiano le risor­se
naturali, il carattere sostenibile, dal punto di vista sia ambienta­le che agricolo, dei
sistemi di coltivazione tradizionali del bacino mediterraneo; la dieta mediterranea
tradizionale possiede peculiarità storiche e culturali specifiche che devono essere
preservate per il loro valore intrinseco, per le generazioni future, con la stessa
enfasi con la qua­le si difendono gli aspetti del patrimonio culturale e artistico;
riferendosi alla dieta mediterranea non si allude soltanto allo stile di vita o ai
benefici salutistici che apporta ma anche ai componenti biochimici degli alimenti
che possono contribuire al migliore stato di benessere e sono reperibili in Italia
ed in particolare nelle regioni meridionali come la Calabria, la Sicilia e la Puglia; in Italia il rischio reale per l’agricoltura esiste poiché un setto­re minacciato
dal fantasma della dipendenza da multinazionali, a causa dell’introduzione, nel
174
nostro territorio, di sementi manipolate geneticamente, per quanto concerne i
mangimi degli animali; nel 2011 l’export agroalimentare aveva toccato, per la
prima volta nella storia, i 30 miliardi di fatturato, con una crescita in valore del
9 per cento rispetto al 2010. Nel 2012 sono stati toccati i 31 miliardi di euro, con
un aumento del 2 per cento rispetto al 2011. E il 2013, secondo i dati relativi ai
primi mesi dell’anno, parte con un ulteriore balzo in avanti. I dati segnalano una
crescita generale dell’export (soprattutto verso i mercati extra Unione europea) e
un tasso di crescita del settore alimentare che è più che doppio rispetto al tasso di
crescita medio, si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo non ritengano di adot­
tare, ciascuno per la propria competenza, opportune iniziative volte a: sostenere
e sviluppare il settore agroalimentare che è il grande volano per superare la crisi
economica, tutelando la specificità e la genuinità dei prodotti propri della dieta
mediterranea; diffondere la cultura della dieta mediterranea impegnando le istituzioni pub­bliche e private perché si assicurino che le caratteristiche della sa­lutare
dieta mediterranea tradizionale siano richiamate in tutte le raccomandazioni
rivolte alla popolazione; introdurre pesanti san­zioni per chi utilizza sementi transgeniche; vietare la circolazione e l’importazione, nonché la commercializzazione,
sul territorio, anche di quei prodotti geneticamente modificati autorizzati dal
quadro le­gislativo europeo, per evitare effetti nocivi del rilascio nell’ambiente di
un organismo con caratteristiche non esistenti e non producibili in natura, il cui
studio richiede un’accurata verifica del suo comporta­mento e degli effetti sull’ambiente; prevedere il ricorso alla clauso­la di salvaguardia ai sensi dell’articolo 23
della direttiva 2001/18/ CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12
marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamen­
te modificati e che abroga la direttiva 90/220/CE del Consiglio, così come
recepita dall’articolo 25 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224, clausola di
salvaguardia che prevede che: “Qualora uno Stato membro, sulla base di nuove
o ulteriori informazioni di-venute disponibili dopo la data dell’autorizzazione e
che riguardino la valutazione di rischi ambientali o una nuova valutazione delle
informazioni esistenti basata su nuove o supplementari conoscenze scientifiche,
abbia fondati motivi di ritenere che un OGM come tale o contenuto in un prodotto debitamente notificato e autorizzato per iscritto in base alla presente direttiva
rappresenti un rischio per la salute umana o l’ambiente, può temporaneamente
limitarne o vie­tarne l’uso o la vendita sul proprio territorio”.
175
Capitolo 3
Condizionamenti sociali, economici, ambientali
e alimentari. Deriva dell’essere umano
Di seguito, riporterò integralmente una bellissima poesia contro
l’Usura di Ezra Pound che, a mio parere, incarna perfettamente i
temi che cercherò di affrontare in questo capitolo:
Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v’è chiesa con affreschi di paradiso
harpes et luz
e l’Annunciazione dell’Angelo
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte
in casa ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura,
il tuo pane sarà staccio vieto arido come carta,
senza segala né farina di grano duro,
usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l’usura, spunta
l’ago in mano alle fanciulle
177
e confonde chi fila. Pietro Lombardo
non si fè con usura
Duccio non si fè con usura
nè Piero della Francesca o Zuan Bellini
nè fu “La Calunnia” dipinta con usura.
L’Angelico non si fè con usura, nè Ambrogio de Praedis,
nessuna chiesa di pietra viva firmata: “Adamo me fecit”.
Con usura non sorsero
Saint Trophine e Saint Hilaire,
usura arrugginisce il cesello
arrugginisce arte ed artigiano
tarla la tela nel telaio, nessuno
apprende l’arte d’intessere oro nell’ordito;
l’azzurro s’incancrena con usura; non si ricama
in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane amante
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
carogne crapulano
ospiti d’usura.
Dai “Cantos” di Ezra Pound
3.1 Come la società modifica e condiziona la nostra salute fisica,
spirituale e mentale
Tutti gli argomenti trattati in questo libro quali il cibo, l’etica, l’am­
biente, l’inquinamento atmosferico ed idrico, sono stretta­mente connessi al tipo di società nella quale viviamo. Il nostro benessere psico-fisico è,
molto spesso, legato alla nostra fe­licità o anche solo alla sua ricerca, come
anche l’umore e la serenità interiore influenzano la nostra salute tanto
da poter essere considerati la “medicina” per curare quello che si suole
definire “mal di vivere”.
178
Ad oggi è stato costituito un sistema di società dove gli uomini, rispet­
tando regole precise, sono obbligati a muoversi ritrovandosi spesso a
combattere proprio contro lo schematismo dello sistema stesso, che può
colpire e alienare. Sembrerebbe pertanto una lotta per la sopravvi­venza,
ben lontana da quella che dovrebbe essere una sana e semplice idea di
qualità della vita, dove ci si adopera per ogni tentativo, talvolta disperato, di rincorrere quell’attimo di serenità che ben si potrebbe tra­durre
in salute e benessere. Se è vero che noi siamo quello che mangia­mo,
è altrettanto vero che il sorriso dell’anima può alleviare i malesseri del
corpo. Purtroppo oggi non si vive ma si sopravvive e tutto sembra essere stato progettato per ostacolarci, basti pensare ad esempio al si­stema
economico-bancario utilizzato come arma per sconvolgere la serenità di
ognuno di noi e delle persone a noi care con meccanismi farraginosi, incomprensibili e a danno del cittadino, anello debole e sa­crificabile dalla
catena del sistema. I disturbi che ne derivano possono determinare malesseri sia psichici che spirituali che, a loro volta, si ri­f lettono sul nostro
stato di salute causando anche patologie fisiche e ciò in quanto la salute
della nostra anima incide sul benessere del nostro corpo così come il
benessere globale della società nella quale viviamo ne influenza gli aspetti psico-fisici. Questo concetto trova riscontro non solo nella filosofia
orientale ed occidentale ma anche in campo medico e scientifico e, per
meglio esplicarlo, si può prendere ad esempio il rapporto della Commissione Salute dell’Osservatorio Europeo su sistemi e politiche per la
salute (a cui partecipa il distaccamento europeo dell’OMS), dove è stata
propo­sta la definizione di benessere quale lo “stato emotivo, mentale, fisico,
sociale e spirituale di benessere che consente alle persone di raggiun­gere e mantenere il loro potenziale personale nella società”. Come chiaramente si legge
nel rapporto, tutti e cinque gli aspetti sono impor­tanti ma lo è ancora
di più che siano tra loro equilibrati in modo tale da consentire agli individui di migliorare costantemente il loro benessere. Pertanto, non solo
le condizioni di vita e di lavoro sicure e soddisfa­centi devono garantire
l’appagamento ma anche l’organizzazione so­ciale, il sistema della società
tutta andrebbe strutturato in modo tale da agevolare e tutelare quella che
dovrebbe essere una priorità mondiale, definendo così il motivo per cui
occorre predisporre idonee politiche sociali (lavorative-organizzative) ed
179
ambientali che permettano ai cit­tadini di custodire il loro benessere fisico e mentale. Uno Stato ed una società burocraticizzati, lenti, macchinosi, complica­ti e distanti dalle vere necessità delle persone non fanno che
aumentar­ne le ansie e tutte le conseguenze che ne derivano. Di fatto, uno
Stato “malato” non può formare cittadini “sani” proprio perché la salute
non consiste nella semplice assenza di patologie ma dipende da una serie
di fattori inerenti alla totalità della nostra vita. Tutto concorre a creare
quell’armonia necessaria per avere un sana qualità di vita e si considera
benessere anche la capacità personale di ognuno nel saper gestire le difficoltà che si riscontrano, nel saper risol­vere i problemi, nell’abilità di
trovare soluzioni, nella capacità di rela­zionarsi e comunicare con gli altri
e ciò in quanto, anche e soprattutto il modo di raffrontarsi ed interagire
con le altre persone, sia in ambito la­vorativo che in ambito sociale, può
essere un elemento per raggiungere un benessere mentale e fisico. Sentirsi padroni della propria esistenza, liberi di decidere e di scegliere è un
fattore di grande condizionamento per il benessere della persona. Basti
pensare al sistema sanitario-ospedaliero ad oggi purtroppo con­siderato
e gestito esclusivamente come una macchina produttiva ed economica
grazie al supporto delle famigerate case farmaceutiche di­sposte anche a
sacrificare la salute del singolo o dei molti per meri inte­ressi economici e
finanziari, invece andrebbe riformulato ancor prima il concetto di sanità
che non dovrebbe basarsi sulla produttività bensì sulla solidarietà. Non si
deve neanche dimenticare l’assetto del sistema economico-giu­diziario che
non permette ai cittadini di sentirsi ed essere adeguatamen­te garantiti e
ciò, oltre ad avere ripercussioni economiche dettate dalla mancanza di
fiducia e, conseguentemente, di investimenti delle impre­se straniere, lede
e consuma anche il singolo. In Italia si parla troppo spesso di riforma
della giustizia ma, nonostante i vari tentativi, fino ad oggi non si è riuscito a scardinare questo meccanismo giudiziario che, sia per l’incertezza
delle pene, sia per la mancanza di responsabilità in capo ai magistrati, sia
per il fatto che non si sia mai risolto il problema della separazione delle
carriere, rimane un vero e proprio punto dolen­te per il buon andamento
dell’esistenza dei cittadini e, come è accaduto in molti casi, si ripercuote
anche sulla salute fisica e mentale dei più.
Riappropriarsi della propria esistenza, non lasciarsi schiacciare dal
180
si­stema, cercare di avere un dominio sugli eventi negativi e positivi in­
fluenza inevitabilmente la mente, il corpo e la psiche pertanto, occorre
rivalutare il proprio “Io”, conoscere se stessi, riaffermare l’importanza e
la dignità dell’individuo che vive e cresce nella società, ricostruire quel
concetto di “bellezza” che è racchiuso nella semplice armonia dell’essere
in simbiosi con l’ambiente circostante. Probabilmente è questo il primo
passo che conduce verso il benessere di se stessi.
In conclusione, il sistema bancario, giudiziario e sanitario dovrebbe
essere in grado di semplificare ed agevolare l’esistenza dell’uomo e del
cittadino, ecco perché sarebbe importante una vera riforma sociale per
garantire ad ogni cittadino una migliore qualità della vita. La profon­da
crisi economica e sociale, l’aver smarrito quell’identità nazionale insieme
alla sovranità monetaria dello Stato italiano, non fanno che alimentare le
incertezze e le insicurezze che possono, e molto spesso lo fanno, tradursi
in malesseri per il corpo e la mente.
A riguardo, per meglio compenetrare la profondità dell’argomento
af­frontato, allego un mio disegno di legge presentato al Senato col tra­
mite del quale sto conducendo una battaglia per riportare la sovranità
monetaria nel nostro Stato.
DISEGNO DI LEGGE
ad’iniziativa del senatore SCILIPOTI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 15 MARZO 2013
Disposizioni per il ripristino della sovranità monetaria dello Stato italiano
nel rispetto dei trattati internazionali
2. DISEGNO DI LEGGE
Art. 1.
1. La sovranità monetaria appartiene al popolo.
2. La moneta, all’atto dell’emissione, è di proprietà dei cittadini ita­liani.
Art. 2.
1. È istituita la Banca italiana di emissione monetaria (BIEM).
2. La BIEM è un istituto di diritto, proprietà e gestione interamente pubblici,
il cui stato giuridico è inalienabile, che assolve le funzioni di banca centrale nazionale di cui all’articolo 128 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea
e all’articolo 16 dello statuto del Sistema europeo di banche centrali (SEBC), di
181
cui al Protocollo n. 4 del citato trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
3. La BIEM ha i seguenti compiti: emettere, in via esclusiva, ogni forma di
valuta legale nelle quantità assegnate all’Italia, determina­te dalla competente
autorità europea monetaria a norma dei vigenti trattati; proporre alle Camere e
al Governo il tasso di sconto e tutte le misure atte alla migliore utilizzazione del
patrimonio valutario da essa prodotto; fungere da tesoreria di Stato gestendo a
tasso zero, fatti salvi i costi dei servizi, il conto da rendita da emissione mone­taria
derivante dalla differenza tra il costo tipografico e di conio e il valore nominale
delle banconote e delle monete.
Art. 3.
1. La BIEM ha sede legale in Roma. Può avere sedi e succursali in altre città.
L’articolazione territoriale e la competenza delle sedi e delle succursali sono stabilite con delibera del Consiglio superiore della stessa BIEM, di cui all’articolo 8,
su proposta degli enti locali.
Art. 4.
1. La rendita da emissione monetaria appartiene al popolo. Essa è iscritta
all’attivo del bilancio dello Stato ed è gestita dal Ministe­ro competente con l’obiettivo di raggiungere il pareggio del debito pubblico, di supportare le esigenze della
spesa pubblica, di promuo­vere l’occupazione e lo sviluppo economico del Paese,
di offrire un equo accesso creditizio a imprese e a privati in difficoltà, di ridurre
le tasse e di costituire, col residuo, un reddito da cittadinanza in fa­vore dei
cittadini italiani.
Art. 5.
1. La decisione sul tasso di sconto, fatti salvi i poteri del SEBC e della BCE,
è di spettanza del Governo, attraverso il Ministero com­petente, previo parere del
Consiglio superiore della BIEM.
Art. 6.
1. Gli organi della BIEM sono:
a) il Governatore;
b) il Consiglio superiore;
c) la Commissione di vigilanza;
d) il Centro studi e ricerche.
Art. 7.
1. La nomina del Governatore della BIEM è disposta con decreto del Presidente della Repubblica, su indicazione del Presidente del Con­siglio dei ministri,
182
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della BIEM. Il Governatore dura in carica cinque anni e non è rieleggibile.
Art. 8.
Il Consiglio superiore della BIEM, di seguito denominato “Con­siglio”, è luogo
di confronto tra le diverse categorie interessate alla politica monetaria nazionale
ed europea e alla buona gestione della BIEM.
Il Consiglio è formato da rappresentanti dell’Associazione ban­caria italiana
(ABI), della Confederazione generale dell’industria italiana (Confindustria), della Confederazione italiana della piccola e media industria privata (Confapi), delle organizzazioni sindacali, delle associazioni dei consumatori e delle associazioni
professiona­li. È prevista anche una rappresentanza delle famiglie, con modalità
stabilite dal regolamento di cui al comma 4.
3. Il Consiglio ha poteri di controllo sull’attività della BIEM, fatte salve le
competenze che la legge assegna alla Corte dei conti. Il Consiglio svolge inoltre le
seguenti funzioni:
a) esprime pareri alle Camere e al Governo sul tasso di sconto;
b) propone alle Camere e al Governo eventuali modifiche allo statu­to della
BIEM;
c) esprime il parere di cui all’articolo 7 in merito alla nomina del Governatore
della BIEM.
4. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge, con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze sono stabili­te le quote di rappresentanza da assegnare ai soggetti di cui al com­ma 2 per un numero totale non
superiore a cinquanta consiglieri.
Art. 9.
1. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, è
istituita una Commissione parlamentare di vigilanza com­posta da cinque senatori e da dieci deputati, nominati rispettivamen­te dal Presidente del Senato
della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati nel rispetto della
proporzione esistente tra i gruppi parlamentari, sulla base delle designazioni dei
gruppi mede­simi. La Commissione ha compiti ispettivi e di vigilanza sull’attività
del Consiglio e del Governatore della BIEM, fatti salvi i diritti e i doveri della
Corte dei conti.
2.Il Governatore della BIEM è tenuto a riferire alla Commissione di cui al
comma 1 sull’attività del Consiglio almeno una volta ogni sei mesi.
183
Art. 10.
1. Il Direttore del Centro studi e ricerche della BIEM è nominato dal Consiglio superiore della BIEM.
Art. 11.
1. Presso la BIEM è attivato un conto personale per ogni cittadino italiano,
denominato “reddito da cittadinanza”, il cui importo è sta­bilito dal Ministero
competente secondo il livello del debito pubblico e le esigenze della spesa pubblica.
2. L’accensione del reddito da cittadinanza avviene automaticamen­te entro
due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, per tutti i cittadini
italiani, residenti in Italia, ovvero entro tre mesi dalla nascita del cittadino o
dall’acquisizione della cittadinanza ita­liana, dalla naturalizzazione o comunque
dal momento in cui il sog­getto acquisisce la cittadinanza italiana.
Art. 12.
1. In sede di prima attuazione della presente legge, il reddito da cittadinanza è
temporaneamente garantito, entro sei mesi dalla pri­ma acquisizione della rendita
di emissione monetaria da parte del­la BIEM, a tutti i cittadini italiani residenti
in Italia che hanno un reddito complessivo inferiore a 30.000 euro annui, al
lordo delle ritenute fiscali di legge.
Di seguito riporto un disegno di legge che ho presentato al Senato il
10 maggio 2013, nel quale chiedo la separazione delle Banche tra quelle
Commerciali e quelle d’Affari, per tutelare una giustizia eco­nomica e
sociale dei cittadini.
Disegno di Legge n°635
Delega al Governo per la separazione tra le Banche Commerciali e le Banche
D’Affari
184
DISEGNO DI LEGGE
d’iniziativa del senatore SCILIPOTI
COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 10 MAGGIO 2013
Delega al Governo per la separazione tra le banche commerciali
e le banche d’affari
185
2
Onorevoli Senatori. – Il decreto legisla­
tivo 1¡ settembre 1993, n. 385, recante ÇTe­
sto unico delle leggi in materia bancaria e
creditiziaÈ, ha riformato in maniera radicale
la previgente legislazione bancaria italiana
e la disciplina delle attività delle banche le
quali tendono ora al conseguimento di un
reddito di gestione, non si attengono pi
alla tradizionale attività creditizia e non ri­
nunciano alle attività finanziarie.
In particolare, l’articolo 10 del decreto
le­gislativo in parola precisa la nozione di
atti­vità bancaria e di raccolta di risparmio
pre­cisando che: ÇEssa ha carattere d’impresaÈ. Inoltre, specifica che: ÇL’esercizio
dell’atti­
vità bancaria riservato alle bancheÈ e che queste Çesercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria,
secondo la di­sciplina propria di ciascuna,
nonché attività connesse o strumentaliÈ.
é venuta quindi meno la distinzione
giu­ridica tra banche di commercio pubblico e banche d’investimento pubblico, attività che precedentemente alla riforma del
sistema bancario non potevano essere svolte dallo stesso soggetto giuridico; quindi
venuto meno anche il divieto, ad esempio,
per le banche commerciali di sottoscrivere,
dete­nere, vendere o comprare titoli emessi
da imprese private, cio anche di trasformare potenziali sofferenze in emissioni
collocate presso i propri clienti, o di interessarsi al settore finanziario, estremamente
remunera­tivo ed estremamente rischioso,
sui valori derivati. Come dichiarato a marzo
di quest’anno dal Governatore della Banca
d’Italia, Ignazio Visco, la Çcrisi finanziaria
– una crisi grave, ampia, che ha colpito l’economia globale in modo differenziato per
- N. 635
i diversi paesi e aree del mondo e con effetti
certamente duraturi nel tempo – ha fatto
emergere una serie di problemi nel funzionamento, nella regola­mentazione e nella
supervisione dei mercati finanziari [ .... ].
Vi quindi il rischio che la finanza diventi fine a se stessa, provo­cando danni tanto
maggiori quanto pi stretta l’interconnessione del sistema e quanto pi rilevanti sono le
potenziali ester­nalità negative. La corretta
conduzione del-l’attività creditizia e finanziaria certamente richiede competenza e
buona fede da parte degli intermediari, ma
richiede altres“ ade­guati regimi di regolamentazione e di super­visioneÈ.
È noto a molti che a livello europeo si
di­scute da tempo sulla complessità del settore finanziario, sull’assetto organizzativo
delle banche e sulla necessità di separare
la tradi­zionale attività creditizia da quella
svolta in campo finanziario, cio si discute
sull’op­portunità di operare una netta separazione fra le attività speculative delle banche e la loro funzione tradizionale di deposito dei ri­sparmi e di erogazione di credito
all’econo­mia reale.
Una discussione dalla quale non
si sot­
tratto anche il Fondo Monetario
Internazio­nale affermando che la funzione
svolta dalle banche da considerarsi come
un bene pub­blico, che come tale non pu˜
essere lasciato al funzionamento del mercato, e richiede un intervento pubblico sia
per assicurare credito all’economia che per
regolamentare il set­tore.
La funzione che hanno le banche di
depo­sito dei risparmi dei cittadini e di erogazione del credito le rende importanti per
la tenuta del sistema economico, politico e
3
sociale del Paese, e non possono agire come
una qual­siasi azienda, e quindi anche la
possibilità di fallire per attività finanziarie
rischiose o non trasparenti a danno non
solamente dei propri clienti ma anche dei
cittadini in generale, o in quanto risparmiatori, che potrebbero per­dere i risparmi
nel caso in cui la banca fal­lisse, o in quanto contribuenti, quando lo Stato a salvare
una banca in difficoltà.
é acclarato che operazioni finanziarie
complesse possano comportare gravi rischi
per la liquidità della banca, cio che dette
operazioni abbiano un carattere strumentale e siano essenzialmente volte a coprire
per­dite su prodotti di finanza strutturata
acqui­siti nel tempo. Sebbene non sia facile
trac­ciare un confine netto tra le operazioni che la banca fa nel proprio interesse (e
con le proprie risorse) da quelle che mette
in atto per conto dei clienti anche con le
proprie ri­sorse, la crisi finanziaria internazionale ed anche la capacità da parte degli
operatori fi­nanziari di gestire i rischi finanziari, con le enormi ricadute che hanno
sui cittadini in termini di costi (perdita, ad
esempio, dei loro risparmi), hanno diminuito, ovunque nel mondo, la fiducia nelle
banche quali soggetti che curano, in modo
trasparente e non opportunistico, gli interessi dei propri clienti.
- N. 635
Non quindi accettabile che ad un
chiaro interesse degli Stati a sostenere le
banche queste possono assumere rischi anche ecces­sivi nelle attività di speculazione
finanziaria, sapendo di essere comunque
garantite dal si­stema pubblico. Inoltre, in
un momento sto­rico quale quello attuale
di criticità socio-economica opportuno
proteggere i depositi bancari delle persone
dai rischi di investi­mento sconsiderati ed
auspicabile intro­durre riforme legislative in
materia bancaria per controllare tentativi
di speculazione. In generale l’eurosistema
ritiene opportuno se­parare alcune attività
ad alto rischio degli istituti finanziari che
non sono associati alla fornitura di servizi
relativi ai clienti.
Con il presente disegno di legge si in­
tende quindi affermare e consolidare il
prin­cipio che chi gestisce i risparmi delle
per­sone deve operare con trasparenza nel
loro interesse: di qui la delega al Governo
ad emanare, sulla base delle informazioni
sino ad ora acquisite sul sistema bancario
ita­
liano, norme che regolamentino una
distin­zione tra banche commerciali, garantite dallo Stato ed esclusivamente dedite
alla conces­sione di credito alle imprese e
alle famiglie, e banche d’affari, senza garanzia dello Stato, dedite, direttamente od
indirettamente, ad at­tività finanziarie.
- N. 635
4
DISEGNO DI LEGGE
Art. 3.
(Delega al Governo)
Art. 1.
(Finalità e oggetto)
1. Per le finalità di cui all’articolo 1, il
Governo delegato ad emanare uno o pi de1. La presente legge dispone la separa­
creti legislativi con le modalità previste dal
zione delle banche italiane in banche com­
comma 2 e nel rispetto dei seguenti princimerciali e in banche d’affari, nel rispetto
pi e criteri direttivi:
dei principi e criteri direttivi di cui all’arti­
a) prevedere, per le banche commer­
colo 3, salvaguardando le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l’econo- ciali autorizzate ad operare sul mercato
mia reale da quelle legate all’investimento ita­liano, il divieto di svolgere direttamene alla speculazione sui mercati finanziari te o indirettamente attività proprie delle
na­zionali e internazionali, anche mediante banche d’affari, delle società di intermediainte­grazione e coordinamento della disci- zione mo­biliare e, in generale, di tutte le
plina contenuta nel Testo Unico delle leggi società fi­nanziarie che non sono autorizzain ma­teria bancaria e creditizia, di cui al de- te ad effet­tuare la raccolta di depositi tra il
creto legislativo 1¡ settembre 1993, n, 385. pubblico;
Art. 2.
(Definizioni)
1. Ai fini della presente legge si intende: a) per banche commerciali: le banche
che esercitano l’attività di credito nei con­
fronti dei cittadini, delle imprese, delle
fami­glie e delle comunità e che effettuano la rac­colta di depositi o di altri fondi
con obbligo di restituzione per l’esercizio
dell’attività di credito;
b) prevedere distinti titoli abilitativi per
le banche commerciali e per le banche d’af­
fari;
c) prevedere il divieto per le banche
commerciali di detenere partecipazioni o di
stabilire accordi di collaborazione commer­
ciale di qualsiasi natura con i seguenti
sog­
getti: le banche d’affari, le banche
d’investi­mento, le società di intermediazione mobi­liare e in generale tutte le società
finanziarie che non effettuano la raccolta
di depositi tra il pubblico;
d) prevedere, per le banche commer­
b) per banche d’affari: le banche che ciali, il divieto di operare in condizioni di
investono nel mercato finanziario.
disequilibrio delle scadenze delle attività di
- N. 635
5
raccolta e di impiego delle risorse finanzia­
rie e, in particolare, per le banche che effet­
tuano la raccolta dei depositi a breve ter­
mine, il divieto di erogare finanziamenti a
medio o a lungo termine;
e) prevedere il divieto di ricoprire cari­
che direttive e di detenere posizioni di con­
trollo nelle banche commerciali da parte
dei rappresentanti, dei direttori, dei soci di
rife­rimento e degli impiegati delle banche
d’af­
fari, delle società di intermediazione
mobi­liare e, in generale, di tutte le società
finan­ziarie che non sono autorizzate ad effettuare la raccolta di depositi tra il pubblico;
della presente legge su proposta del Ministro del-l’economia e delle finanze. Gli
schemi dei decreti legislativi sono trasmessi
alle Camere entro il sessantesimo giorno
antecedente la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega per l’espressione dei pareri da parte delle competenti
Commissioni parla­mentari che sono resi
entro quaranta giorni dalla data di assegnazione; decorso tale ter­mine, i decreti legislativi possono essere co­munque emanati.
Art. 4.
f) stabilire sanzioni proporzionate e dis­
(Entrata in vigore)
suasive, ivi compresa la revoca dell’autoriz­
1. Dall’applicazione delle disposizioni
zazione all’attività bancaria per le banche
della presente legge non devono derivare
che non ottemperano a quanto previsto alle
nuovi o maggiori oneri per la finanza pub­
lettere a), b), c), d) ed e).
blica.
2. I decreti legislativi di cui al preceden2. La presente legge entra in vigore il
te comma 1 sono adottati entro il termine giorno successivo a quello della sua pubbli­
di sei mesi dalla data di entrata in vigore cazione nella Gazzetta Ufficiale.
Capitolo 4
L’Ambiente spaziale bene comune
La società dovrebbe iniziare a comprendere che anche lo spazio rien­
tra in ciò che solitamente viene definito come “natura” e che quello dello
spazio è un mondo ricco, enigmatico e che racchiude in sé le meraviglie
del nostro pianeta. L’ambiente spaziale è ancora in gran parte inesplorato e tutti i segreti non svelati che esso custodisce rappresentano fonte
di ricchezza e benessere per gli uomini e, proprio per questo, solo una
informazio­ne chiara e precisa su questo mondo può fornire i mezzi per
preser­varlo e custodirlo. La nostra esistenza è un cammino in salita, un
percorso di conoscenza, saggezza e progresso dove la grandezza de­gli esseri
umani non deve essere dettata dalla quantità di formazione che l’uomo
ha, quanto più dai valori che lo caratterizzano e grazie ai quali può percorrere quel cammino nel pieno rispetto del mondo e dello spazio che lo
Immagine ambiente spaziale
191
circonda. L’uomo è parte integrante dell’universo e in quanto tale il suo
atteg­giamento deve mirare alla tutela di se stesso e del pianeta, perché tut­
to ciò che l’uomo conquisterà grazie alla sua intelligenza si rifletterà sulla
salute dell’ambiente e dei suoi abitanti. Il tema della “sicurezza spaziale”
diventa quindi argomento di grande interesse ed il settore spaziale, così
come viene descritto in un docu­mento della Commissione Europea intitolato “Il settore spaziale al ser­vizio dei cittadini: lo spazio raggiunge la Terra”(1),
di seguito analiz­zato e riportato, racchiude tutte quelle attività ed applicazioni spaziali che vengono definite essenziali e cruciali per la crescita e
il progresso della nostra società che, inevitabilmente, andranno a beneficiare la vita quotidiana delle persone. Fondamentale sarà quindi la politica spaziale adottata dai vari Paesi che dovrà tener conto dell’ambiente,
della lotta ai cambiamenti climatici, della sicurezza pubblica, degli aiuti
umanita­ri, dello sviluppo, dei trasporti e della società dell’informazione.
Ed ancora, sempre nello stesso documento della Commissione Euro­pea,
si legge che i vantaggi quotidiani delle applicazioni spaziali pos­sono apportare benefici alla nostra vita quotidiana come ad esempio riguardo
la salute ambientale, la comunicazione e la ricchezza del no­stro pianeta.
4.1. Trasporti e viabilità
Il mancato funzionamento di un segnale satellitare o un guasto
potreb­bero compromettere drammaticamente la nostra vita. Pensiamo
infatti alla precisione nella localizzazione via satellite che contribuisce
signi­ficativamente a garantire la modernità e l’affidabilità del settore dei
trasporti per automobili, aerei e navi.
Un chiaro esempio si può avere riguardo la gestione del parco veicoli,
la rintracciabilità delle imbarcazioni, il controllo della velocità e l’assi­
stenza per le manovre navali, la prevenzione delle collisioni ed inoltre, i
satelliti contribuiscono anche ad una maggiore efficienza nell’agri­coltura
e nella pesca.
4.2. Maggiore qualità degli alimenti e maggiore sicurezza alimentare
Riprendendo il tema “alimentazione, cibo e coltivazione” è fondamen­
tale comprendere come le applicazioni satellitari vengono usate per ese(1)
192
Commissione Europea “Il settore spaziale al servizio dei cittadini”, Esa.
guire una mappatura delle aree coltivate che necessitano di irriga­zione o
per previsioni di raccolta e controllo delle attività di pesca. Ciò, infatti,
garantisce una maggiore qualità degli alimenti e una migliore sicurezza
alimentare salvaguardando al contempo anche l’ambiente. È quindi importante comprendere quanto tutti i fattori legati al tema cibo (già descritti nei precedenti capitoli: dalla coltivazione, alla conserva­zione, dalla
consumazione fino ad arrivare alle applicazioni satellitari) siano correlati
fra di loro e concorrano tutti alla salvaguardia della sa­lute ambientale e
dei cittadini.
4.3. Migliorare la nostra rete di comunicazioni
Anche riguardo le esigenze in materia di comunicazione, laddove le
soluzioni via terra risultassero limitate, esse si possono soddisfare col tramite della comunicazione satellitare. Lo spazio, pertanto, contribui­sce a
ridurre gli squilibri regionali fornendo anche alle comunità delle aree più
remote un accesso rapido ai servizi via Internet.
4.4. Ambiente spaziale, fonte di ricchezza e sviluppo
I satelliti sono essenziali anche per l’economia e per il benessere
dell’uomo. L’economia di fatto è strettamente legata allo spazio dal momento che quest’ultimo genera conoscenza, nuovi prodotti e nuove forme di cooperazione industriale. L’ambiente spaziale, quindi, può es­sere
altresì considerato una fonte di crescita, di ricchezza ed una nuova piattaforma di sviluppo e di posti di lavoro. Si può contribuire, così, a realizzare
una crescita intelligente e sostenibile in campo economico e politico che
vede l’Europa come una protagonista nella scena inter­nazionale.
4.5. Maggiore sicurezza interna
In tema di sicurezza, la localizzazione satellitare contribuisce ad in­
dividuare flussi di immigrazione clandestina, a prevenire la diffu­sione transfrontaliera della criminalità organizzata ed a combattere la pirateria marittima grazie alla rintracciabilità delle imbarcazioni. Così come è importante
utilizzare quindi in modo intelligente e co­struttivo l’ambiente spaziale, rimane fondamentale farlo nel pieno rispetto delle normative stabilite per
salvaguardare la tutela dell’am­biente e della salute dei cittadini. L’obiettivo
193
è perciò quello di delineare e far progredire una cultura globale della sicurezza spaziale da un punto di vista tecnico, orga­nizzativo e socio-politico,
così come di rendere più sicure non solo le missioni spaziali ma anche le
installazioni che occorrono per pro­gettare le basi satellitari nel nostro territorio. Ogni Governo dovrebbe vigilare sull’installazione dei vari sistemi di
comunicazione satellitare affinché questi non rechino gravi problemi alla
salute delle popolazioni, adoperandosi per rispettare i parametri stabili a
livello europeo e ridurre al minimo i rischi di inquinamento elettromagnetico dannosi anche per la salute ambientale.
Proprio su questo argomento, sulla scorta della serietà ed attualità
dello stesso, accludo di seguito un ordine del giorno del Senato da me
presentato:
SEN. SCILIPOTI
Il Senato, premesso che:
il MUOS (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema di co­
municazione satellitare a livello globale che sta costruendo il dipar­timento della
Difesa degli Stati Uniti; il sistema sarà organizzato in una serie di basi terrestri
collegate ad alcuni satelliti in orbita geostazionaria. Ciascuna base sarà compo­
sta da quattro grandi antenne a forma di parabola, alte ognuna circa venti metri.
Tre antenne saranno in funzione, puntate verso i satelliti geostazionari, mentre
la quarta sarà tenuta di riserva; il MUOS funzionerà con una tecnologia simile a quella degli attuali telefoni cellulari e servirà a fornire un supporto per
comunicazio­ni audio, video e per lo scambio di dati. La “cima” dell’antenna
sarà costituita da uno dei satelliti, mentre la “base” dagli impianti MUOS a
terra: negli Stati Uniti quelli di Honolulu (nelle Ha­waii, già operativo) e quello
di Norfolk, in Virginia. Un terzo sarà costruito in Australia e un quarto alla
base della Marina militare statunitense che si trova all’interno della sughereta
di Niscemi in provincia di Caltanissetta; a Niscemi’ -ha già sede una stazione
di comunicazione ameri­cana che utilizza il vecchio sistema UHF, che il MUOS
dovrebbe sostituire. I primi anni di attività del MUOS dovrebbero essere dedi­cati
ai test e alla sperimentazione, quindi le vecchie antenne UHF non saranno spente
immediatamente. Si stima che tutto il pro­getto costerà circa 7 miliardi di dollari
194
e al momento non è chiaro quando termineranno i lavori nella base di Niscemi;
i lavori sono stati interrotti e poi ripresi e le autorizzazioni sono state concesse e
poi revocate, mentre i tribunali sono stati più volte chiamati a esprimersi su vari
aspetti della questione; lo scorso aprile il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che durante la campagna elettorale aveva dichiarato di essere contrario al
MUOS, ha ordinato una nuova interruzione dei lavori in attesa che l’Istituto Superiore di Sanità formulasse un parere sulla perico­losità delle antenne. Il parere è
stato pubblicato il 18 di luglio e la sospensione dei lavori è stata revocata; secondo
chi si oppone alla costruzione, come il comitato “No MUOS”, una volta completata la stazione potrebbe causare tumori e altri danni a causa dell’inquinamento
elettromagnetico prodotto dalle antenne; sulla questione dei danni alla salute
del MUOS sono stati prodotti numerosi studi. La maggior parte, tra cui quelli°
dell’Agenzia regio­nale per la protezione dell’ambiente siciliana (ARPAS), hanno
con­cluso che sia le emissioni della antenne che si trovano attualmente a Niscemi
sia quelle che saranno installate nel programma MUOS rispettano gli attuali
limiti di legge per l’inquinamento elettroma­gnetico; il 18 luglio si è espresso sulla
pericolosità del MUOS l’Istituto Supe­riore di Sanità, il quale ha dichiarato che,
secondo i test preliminari, tutte le norme in materia di tutela delle persone dai
campi elettro­magnetici sono attualmente “rispettate in larga misura”, impegna il
Governo: nella realizzazione del sistema di trasmissione satellitare denomina­to
MUOS nella base militare di Niscemi, ad adottare ogni iniziativa volta a garantire la sicurezza dei prodotti agroalimentari e l’incolu­mità degli esseri viventi.
A seguire e rimanendo in tema, ritengo opportuno soffermarsi ancora
su una mia interrogazione parlamentare a risposta scritta sottoposta, il 3
Aprile 2014, all’attenzione del Ministro della Difesa e dell’Am­biente a
proposito della realizzazione a Niscemi (Sicilia-Italia) del MUOS (Mobil
user objective system) con relativa risposta del Sot­tosegretario di Stato
per la difesa Rossi e con successivo comunicato stampa che evidenziava le
insoddisfacenti risposte del Governo ai quesiti da me posti:
Atto n. 3-00867 (in Commissione) Pubblicato il 3 aprile 2014, nella
seduta n. 223
SCILIPOTI: Ai Ministri della difesa e dell’ambiente e della tutela del
territorio e del mare.
Premesso che:
195
il MUOS (mobile user objective system) è un nuovo sistema di co­municazione
satellitare a livello globale che il Dipartimento della difesa degli Stati Uniti sta
costruendo; il sistema sarà organizzato in una serie di basi terrestri collegate ad
alcuni satelliti in orbita geostazionaria. Ciascuna base sarà com­posta da 4 grandi
antenne a forma di parabola, alte ognuna circa 20 metri, e 3 antenne saranno
in funzione, puntate verso i satelliti geostazionari, mentre la quarta sarà tenuta
di riserva; il MUOS funzionerà con una tecnologia simile a quella degli attuali
telefoni cellulari e servirà a fornire un supporto per comunicazioni audio, video e
per lo scambio di dati. La “cima” dell’antenna sarà costituita da uno dei satelliti,
mentre la “base” dagli impianti a terra: negli Stati Uniti quelli di Honolulu (nelle
Hawaii, già operativo) e quello di Norfolk, in Virginia. Un terzo sarà costruito
in Australia e un quarto alla base della Marina militare statunitense che si trova
all’interno della sughereta di Ni­scemi in provincia di Caltanissetta; a Niscemi ha
già sede una stazione di comunicazione americana che utilizza il vecchio sistema
UHF, che il MUOS dovrebbe sostituire. I primi anni di attività del MUOS
dovrebbero essere dedicati ai test e alla sperimentazione, quindi le vecchie antenne
UHF non saranno spente immediatamente. Si stima che tutto il progetto costerà
circa 7 miliardi di dollari e al momento non è chiaro quando termineranno i
lavori nella base di Niscemi; i lavori sono stati interrotti e poi ripresi e le autorizzazioni sono state concesse e poi revocate, mentre i tribunali sono stati più volte
chiama­ti a esprimersi su vari aspetti della questione; nel mese di aprile 2013 il
governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, che durante la campagna elettorale
aveva dichiarato di essere contra­rio al MUOS, ha ordinato una nuova interruzione dei lavori in attesa che l’Istituto superiore di sanità formulasse un parere sulla
pericolo­sità delle antenne. Il parere è stato pubblicato il 18 luglio e la sospensione
dei lavori è stata revocata; secondo chi si oppone alla costruzione, come il comitato “no MUOS”, una volta completata la stazione potrebbe causare tumori e altri
danni a causa dell’inquinamento elettromagnetico prodotto dalle antenne; sulla
questione dei danni alla salute del MUOS sono stati prodotti nu­merosi studi. La
maggior parte, tra cui quelli dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente
siciliana (ARPAS), hanno concluso che sia le emissioni della antenne che si trovano attualmente a Ni­scemi sia quelle che saranno installate rispettano gli attuali
limiti di legge per l’inquinamento elettromagnetico; lo stesso 18 luglio si è espresso
sulla pericolosità del MUOS l’Istituto superiore di sanità, il quale ha dichiarato
che, secondo i test prelimi­nari, tutte le norme in materia di tutela delle persone
196
dai campi elet­tromagnetici sono attualmente “rispettate in larga misura”; non si
tratta solo di un problema che riguarda la salvaguardia e la tutela dell’ambiente,
ma di satelliti che hanno anche il compito, di­rettamente o indirettamente, di
gestire una robotica, delle decisioni algoritmiche, che potrebbero mettere in discussione non soltanto la nostra sicurezza nazionale e mondiale; le comunità locali
sono preoccupate dai rischi connessi all’inquina­mento elettromagnetico; diversi
tecnici di livello universitario ritengono che siano superati i livelli di soglia critica;
sono numerosi i satelliti operativi in orbita intorno alla terra, metà dei quali sono
in bassa orbita terrestre, a poche centinaia di chilome­tri sopra la superficie;
risulta all’interrogante che uno di questi satelliti potrebbe funzionare con un
sistema robotico, che agisce con modelli algoritmici, senza alcun controllo da parte
dell’uomo; considerato che il Presidente del Senato il 6 marzo 2014 ha assegnato
alle Commissioni riunite 12a e 13a, ai sensi dell’articolo 34, comma 1, primo
periodo, e per gli effetti dell’articolo 50, comma 2, del rego­lamento, l’affare n. 281
concernente le implicazioni sanitarie e am­bientali dell’installazione del sistema di
telecomunicazioni satellitari MUOS, si chiede di sapere: se i Ministri in indirizzo
non ritengano, ciascuno per la propria com­petenza, di adottare ogni iniziativa
volta a fornire maggiore divulga­zione delle informazioni, con particolare attenzione ai dati sulle emis­sioni elettromagnetiche e sulle possibili ricadute sulla salute
delle po­polazioni coinvolte e prevedere una tempistica definita per la bonifica dei
territori sui quali insistono le antenne non più in uso; visto l’elevato numero di
satelliti in orbita intorno alla terra, quali siano le iniziative del Governo italiano
per conoscere preventivamen­te le eventuali cadute di satelliti o di parte di essi a
seguito della loro distruzione per malfunzionamento o per il fine ciclo della loro
vita e in che modo e da chi verrebbero rimossi; se risponda al vero quanto esposto
in merito al funzionamento di uno di questi satelliti controllato con un sistema
algoritmico, ossia senza il controllo dell’uomo, e in caso affermativo se ritengano
opportuno non permettere all’uomo di svolgere un’attività di controllo.
Qui in sequenza è riportata la relativa risposta del Ministro alla Di­fesa.
Legislatura 17- 4 Commissione permanente- Resoconto sommario
n.62 del 30/04/2014
197
Difesa (4°)
Mercoledì 30 Aprile 2014
62° seduta
Presidenza del Presidente
Latorre
Interviene il Sottosegretario di Stato per la Difesa Rossi
La seduta inizia alle ore 09.00
SULLE MISSIONI DELLE COMMISSIONI
In apertura di seduta, il Presidente Latorre informa la Commissione che,
a seguito di sopravvenuti problemi organizzativi, si rende ne­cessario differire la
missione in Libano, già deliberata il 09 Ottobre 2013 e che avrebbe dovuto aver
luogo nel corso del mese di Maggio.
La Commissione prende atto.
PROCEDURE INFORMATIVE
Interrogazione
Il sottosegretario Rossi risponde all’interrogazione n. 3-00867, a fir­ma del
Sen. Scilipoti e relativa all’emissione di onde elettromagneti­che ed al funzionamento dei satelliti relativi al sistema MUOSE, ri­levando innanzitutto che,
sull’opportunità di adottare ogni iniziativa volta a fornire maggiore divulgazione
delle informazioni, con par­ticolare attenzione ai dati sulle emissioni elettromagnetiche e sulle possibili ricadute sulla salute delle popolazioni coinvolte, da tempo
i dicasteri chiamati in causa hanno dimostrato particolare attenzione al problema in parola, fornendo risposta a numerosi atti di Sindaca­to Ispettivo sull’argomento e tenendo un atteggiamento collaborati­vo e trasparente nei confronti della
popolazione, delle autorità locali interessate e dei numerosi parlamentari che
hanno visitato il sito. Non risultano, pertanto, particolari aggiornamenti rispetto
alle ri­sposte già rese alle interrogazioni a risposta orale n. 3-00072 (pre­sentata
alla Camera dai Deputati, a prima firma dell’On.Migliore e svolta in data 22
maggio 2013), n.3-00129 (a prima firma della Sen. Padua, svolta in data 3
luglio 2013), e n. 3-00831 (sempre a prima firma della Sen. Padua, svolta lo
scorso 9 ottobre 2013), nonché alle interrogazioni scritte n. 4-00122 (presentata
alla Camera ed a prima firma dell’On. Palazzotto) e n.4-00333 (a prima firma
del Sen. Campanella). Relativamente alle altre questioni sollevate osserva quindi
198
che non esiste una specifica e diretta competenza del Ministro della Difesa e del
Ministro della Salute in materia di satelliti geostazionari. In ogni caso, la legge 12
luglio 2005 n.153, recante “adesione della Repub­blica Italiana alla convenzione
sull’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico, fatta a
New York il 14 genna­io 1975su esecuzione”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale
n.177del 01 agosto 2005, affida all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) il compito
di curare l’Istituzione e la custodia del registro nazionale di imma­tricolazione
degli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico. La stessa agenzia, peraltro, ha
il compito di comunicare le anno­tazioni effettuate sul registro al Ministero dell’Istruzione, dell’uni­versità e della Ricerca, al Ministero delle Attività Produttive e
al ministero degli Affari Esteri per gli adempimenti di carattere inter­nazionale
previsti dalla convenzione.
• Replica il Sen. Scilipoti (FI-PDL XVII) osservando che mol­te questioni sollevate dal Suo atto di sindacato ispettivo rimangono aperte. Il sospetto che gli
apparati del sistema MUOS possano esse­re fonte di gravi problematiche, sebbene
infatti confermato sia dalla anomalia percentuale di leucemie (circa l’11% per
cento in più del normale), riscontrabile nella zona ove essi insistono, sia dal fatto
che le stesse autorità americane avrebbero optato per lo spostamen­to delle apparecchiature a Niscemi proprio in ragione della loro po­tenziale pericolosità. Sottolinea
inoltre la necessità di approfondire debitamente la regolamentazione dello spazio
aereo nel quale tran­sitano i satelliti.
L’oratore si sofferma, quindi, sulle problematiche inerenti alla ge­stione dei
velivoli a pilotaggio remoto con uso duale (sia militare che civile). Sembrerebbe,
infatti, che tramite la rete satellitare del MUOS sia possibile azionare dei droni
tramite un sistema di tipo algoritmico, sul quale la Comunità scientifica mondiale si pronun­ciata in maniera decisamente critica, soprattutto in relazione
alle implicazioni etiche del predetto metodo. Tale aspetto, tuttavia, non sembra
approfondito nella risposta poc’anzi resa dal Governo.
Conclude dichiarandosi parzialmente soddisfatto dalle delucidazio­ni ricevute.
SUI LAVORI DELLA COMMISSIONE
Con riferimento al disegno di legge n.1064 (d’iniziativa dei Sen.Cal­deroli e
199
Divina, iscritto all’ordine del giorno e relativo all’equipara­zione del monumento
«Madonna degli alpini» di San Maurizio di Cervasca ai cimiteri di guerra), il
Sen. Pegorer(PD) propone di udire, ai sensi dell’art. 47 del Regolamento, il Commissario genera­le per le onoranze ai caduti di guerra.
La Commissione conviene.
La seduta termina alle ore 09,20.
MUOS: SCILIPOTI (FI), INSODDISFACENTI RISPOSTE GO­
VERNO A
MIEI QUESITI:
L’esecutivo molto superficiale sulla realizzazione del sistema satel­litare globale
di comunicazione
“Le risposte fornite stamani in Commissione Difesa, a nome del governo, da
parte del sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ai quesiti da me posti sul
MUOS sono insoddisfacenti o addirittura mancanti e la dicono lunga sull’improvvisazione con cui l’esecutivo guarda a questa delicata questione”. Lo dichiara
il senatore di For­za Italia, Domenico Scilipoti, in relazione alla sua interrogazione presentata ai ministri della Difesa e dell’Ambiente il 3 aprile scor­so sulla
realizzazione a Niscemi del MUOS (Mobile user objective system), alla quale
stamani ha risposto in Commissione Difesa il sottosegretario Domenico Rossi.
Scilipoti rileva, in particolare, l’in­sufficiente intervento del governo riguardo alla
conoscenza effetti­va delle emissioni elettromagnetiche e sulle possibili ricadute
sulla salute delle popolazioni interessate nonché sulla tempistica definita per la
bonifica dei territori sui quali insistono le antenne non più in uso. “Il sottosegretario - rileva Scilipoti - ha fornito risposte del tutto insoddisfacenti anche in merito
alle iniziative che il governo intende prendere per conoscere le eventuali cadute di
satelliti o di parte di essi e come verranno rimossi in caso di un loro malfunzio­
namento o per fine ciclo della loro vita. Nessuna risposta ho ricevuto, infine, in
merito al funzionamento di uno dei satelliti che non sarebbe controllato dall’uomo ma da un si­stema algoritmico. Non sappiamo, dunque - conclude il senatore
for­zista - se il governo ritenga o meno opportuna questa circostanza”.
Roma, 30 aprile 2014
200
L’aula del Senato, al termine dell’ordine del giorno sopra citato, ha
in pratica respinto le mozioni con le quali si chiedeva al Governo di sospendere l’esecuzione di ogni accordo bilaterale per la realizza­zione del
Sistema satellitare Muos presso la base militare di Niscemi (Sicilia-Italia),
rimettendo di fatto ogni sorta di decisione al Parla­mento. Il Senato ha
di fatto acconsentito alla risoluzione (discussa anche nella 12° Commissione “Ambiente e Sanità” alla quale appartengo) con la quale si dà sostanziale via libera all’Operazione, ma con l’ob­bligo di monitorare continuamente i campi magnetici ed avere mag­giori informazioni in tutte le
fasi operative. Nonostante il mio impegno, non sono tuttavia riuscito ad
ottenere ri­sposte soddisfacenti che avrebbero sicuramente permesso di
mettere al centro del dialogo con il Governo un tema tanto importante
come la salute dei cittadini.
4.6 Inquinamento dello spazio e strumenti giuridici esistenti per la
difesa dello spazio extra-atmosferico
I detriti che girano nello spazio viaggiano alla velocità di 16 km/s
(57.600 km/h). Ogni satellite artificiale, sonda spaziale e missione con
equipaggio può rappresentare una sorgente di rifiuti spaziali e, poiché il
numero di satelliti in orbita è in costante aumento ed i vecchi apparecchi
sono ormai obsoleti e non operativi, il rischio di una collisione tra detriti
e del verificarsi della cosiddetta sindrome di Kessler cresce esponenzialmente, con conseguenti reazioni a catena ed incremento del volume dei
detriti stessi e di ulteriori impatti. Se è vero poi che all’altezza delle orbite
più basse (quelle più comu­nemente usate) la resistenza residua dell’aria,
producendo la combu­stione degli oggetti in caduta, aiuta a mantenere
questa zona sgom­bra (invero anche le collisioni che avvengono al di sotto
di questa al­titudine non costituiscono un problema, dal momento che
la perdita di energia nella collisione fa sì che le orbite dei frammenti
abbiano un perigeo di nuovo al di sotto di tale quota), ad altitudini superiori a quelle in cui la resistenza atmosferica è significativa, tuttavia, la
persistenza dei rifiuti prima del decadimento dell’orbita risulta mag­giore,
pertanto una debole resistenza aerodinamica, l’influenza della luna e la
resistenza del vento solare possono portare gradualmente i rifiuti verso
quote inferiori dalle quali poi i frammenti finiscono per rientrare sulla
201
Terra. Si comprende, allora, perché la sindrome di Kessler sia particolarmente insidiosa a causa del cosiddetto “effetto cascata” o “effetto domino” difatti, l’energia cinetica della collisione tra due oggetti di massa
piuttosto grandi (con diametro di qualche centimetro o decimetro) crea
una nuvola di detriti sotto forma di schegge lanciate in direzioni casuali
ed ogni frammento ha quindi il potenziale per indurre ulteriori impatti,
creando un numero ancora maggiore di rifiuti spaziali. Con una collisione abbastanza grande (ad esempio quella tra una stazione spaziale ed un
satellite ormai fuori uso), la quantità di detriti prodotti a cascata potrebbe
essere sufficiente a rendere il livello di orbita bassa praticamente inattra­
versabile. Il problema dei rifiuti spaziali è molto difficile da risolvere in
manie­ra diretta, dal momento che le piccole dimensioni e le alte velocità che caratterizzano la maggior parte dei rifiuti rendono praticamen­te
inattuabile il loro recupero e smaltimento. Il Trattato sui principi che
governano le attività degli Stati in materia di esplorazione ed utilizzazione
dello spazio extra-atmosferico compresa la Luna e gli altri corpi celesti,
anche detto Trattato sullo spazio extra-atmosferico (Outer Space Treaty), è
il cosiddetto trattato internazionale che co­stituisce la struttura giuridica
di base del diritto internazionale aero­spaziale. Il Trattato appena citato,
predisposto per la sottoscrizione negli Stati Uniti, nel Regno Unito e
nell’Unione Sovietica in qualità di governi depositari, cui seguirono le
adesioni e ratificazioni di molti altri pae­si, è entrato in vigore dal 10
ottobre 1967.
Tra i principi di base, le norme del Trattato in questione ponevano il
divieto a tutti gli stati firmatari di collocare armi nucleari od ogni altro
genere di armi di distruzione di massa nell’orbita terrestre, sulla Luna o
su altri corpi celesti o, comunque, di stazionarli nello spazio extra-atmosferico. La norma di cui all’art. IV del Trattato consente infatti l’utilizzo
del­la Luna e degli altri corpi celesti esclusivamente per scopi pacificie ne
proibisce, espressamente, l’uso per effettuare test su armi di qualunque
genere, condurre manovre militari o stabilire basi militari, installazioni
o fortificazioni.
I principi espressi dal Trattato sullo spazio extra-atmosferico sono stati
poi ripresi e riaffermati da altre norme internazionali ed in par­ticolare,
dall’Accordo che presiede all’attività degli Stati sulla Luna o sugli altri
202
Corpi Celesti (c.d. Accordo relativo alla Luna) del 1979, inteso come il
seguito del Trattato sullo spazio extra-atmosferico. La maggior parte degli
esperti in materia di diritto aerospaziale in­ternazionale hanno affermato
che la Luna ricade sotto il concetto giuridico di “res communis” il che
significa che la Luna appartiene ad un gruppo di persone, che può essere
usata da ogni membro del gruppo ma nessuno se ne può appropriare
(concetto applicato anche in materia di acque internazionali). Sintetizzando, l’effetto pratico del Trattato è quello di impedire ogni diritto di
proprietà privata allo stesso modo in cui il diritto del mare impedisce a
chiunque l’appro­priazione del mare, anche se tale principio è stato spesso messo in discussione da coloro che rivendicano la facoltà di vendere
diritti di proprietà sulla Luna e su altri corpi celesti. Questa rivendicazione, ad oggi, non è mai stata verificata in un’aula di tribunale.
Passando poi ad analizzare gli strumenti giuridici attualmente esi­stenti
necessari ad approntare eventuali azioni di risarcimento danni da detriti
spaziali, giova precisare che l’articolo VI del Trattato si occupa, effettivamente, di responsabilità internazionale ed afferma che le attività condotte da enti non-governativi nello spazio extra-atmosferico, inclusa la Luna
ed altri corpi celesti, sono soggette all’autorizzazione ed alla continua supervisione da parte dello Stato di appartenenza firmatario del Trattato e
che gli Stati firmatari saran­no responsabili, a livello internazionale, per le
attività spaziali nazio­nali condotte sia dagli enti governativi che da quelli
non-governativi. Peraltro, un divieto di contaminazione dello spazio e
della Terra dallo spazio si ricava anche dall’art. IX dello stesso Trattato
e la “Convenzione sull’Immatricolazione” del 1975 identifica l’oggetto ed
eventualmente anche il relitto.
L’annoso quesito che si è posto in passato, ma oggi più che mai at­
tuale, è se la Convenzione sulla responsabilità internazionale per i danni causati da oggetti spaziali del 1972 possa applicarsi anche ai danni
provocati dai detriti spaziali ricompresi nel termine “oggetto spaziale”.
Infatti, l’art. II della Convenzione prevede la cosiddetta “responsa­bilità
oggettiva assoluta”, cioè il risarcimento senza l’obbligo del­la prova della
colpa, nel caso che i danni siano provocati anche da detriti “sulla superficie terrestre o agli aeromobili in volo” sicché, la connessione causale
danno-stato dell’oggetto spaziale dal quale i detriti si sono staccati, sarà
203
certamente molto più difficile da dimo­strare se il danno si sarà verificato
molto tempo dopo l’incidente che ha provocato il detrito stesso. Tuttavia,
problemi più gravi sono posti dall’art. IV della Convenzio­ne riguardo alla
tipologia del cosiddetto risarcimento dei danni da detriti, dove è prevista
una “responsabilità per colpa” se il danno è causato nello spazio ad altro
oggetto spaziale. Come si è già precisato, se la prova della colpa è difficile
e comples­sa nel caso in cui il danno si verifichi poco dopo l’avvenuto
lancio, qualora il danno sia provocato dopo mesi o addirittura anni dalla
formazione di un detrito, la prova della colpa è quasi impossibile. Peraltro, anche il National Research Council (Consiglio per la Ricer­ca americano) è addivenuto alla conclusione che oramai “la quantità di spazzatura
spaziale” ha raggiunto un livello non più sostenibile e che, con talmente
tanti detriti in orbita, il rischio di crepe nelle navicelle spaziali è non più
soltanto una ipotesi ma pressoché una certezza. Si calcoli, infatti, che ben
22.000 sono gli elementi rilevanti sparsi per il cielo (consideriamo ai fini
del calcolo soltanto quelli di almeno 10 cm. di diametro) che orbitano
attorno alla Terra alla velo­cità di 28.000 km orari.
Come soluzione possibile ed idonea all’individuazione delle misu­re
atte a configurare una sorta di responsabilità assoluta per tutti i tipi di
danno, si potrebbe pensare ad una responsabilità per colpa particolare,
più chiaramente, se venissero individuate delle norme di condotta che
impongano agli Stati dei particolari comportamenti da tenere, chiaramente, l’inosservanza di queste norme renderebbe il comportamento
dello Stato colpevole sicché, la prova stessa che queste misure non siano
state prese, sarebbe poi la prova concreta della colpa dello Stato responsabile. Tuttavia, l’attuale regolamentazione giuridica internazionale, riguar­
do la protezione dell’ambiente spaziale dall’inquinamento dei detri­ti, è
generica e frammentaria anche se, come sopra evidenziato, la soluzione
del problema è da ricercarsi soprattutto nel campo della prevenzione,
attraverso l’adozione di una politica sicuramente an­tieconomica nell’immediato ma atta a garantire maggiore sicurezza nel futuro, prima che la
prolificazione dei detriti spaziali renda in un prossimo futuro le missioni
estremamente pericolose. Tra le differenti soluzioni si consideri anche
l’uso eventuale di spe­ciali attrezzature magnetiche, come arpioni, reti e
sistemi a ombrello, al fine di recuperare materiali in circolo e rilanciarli
204
verso orbite più alte o verso la Terra, per far sì che vengano distrutti a contatto con l’atmosfera. Oppure la tesi recentemente avanzata a Bologna,
dove è stata messa a punto una speciale schiuma in grado di trascinare i
detriti fuori dalla nostra orbita per poi distruggerli. Qualcosa bisognerà
comunque fare, proprio per evitare che l’aumen­to indiscriminato del
numero dei rifiuti spaziali possa trasformare l’eventualità di un impatto
catastrofale nella principale fonte di ri­schio di una missione.
4.7 Rifiuti spaziali
Da anni, ormai, gli scienziati, stanno chiedendo a gran voce ai vari
Governi di ridurre la quantità di detriti spaziali. L’Agenzia Spaziale Europea, infatti, denuncia l’alto rischio di possibili collisioni con e tra i
satelliti ed informa che nei prossimi decenni, se non si agisce nell’immediato, i residui spaziali intorno alla Terra potrebbero con­taminare anche
ulteriori orbite nello spazio. Come rappresentato nell’incontro che si è
tenuto in Germania fra i vari specialisti internazionali, i satelliti vecchi e i
frammenti di astro­navi abbandonati nelle orbite, che sono la conseguenza di 5000 lanci effettuati dall’inizio dell’era spaziale che risale all’anno
1978, po­trebbero riunirsi così da creare una vera e propria “barriera” che
gli esperti chiamano “Sindrome Kessler”. Il Direttore del Dipartimento
dell’Agenzia Spaziale ESA, il Dr. Klin­krad, ha difatti preannunciato il
grande pericolo che stiamo correndo ed invero i frammenti che si ritiene
essere più di 23.000, raggiun­gono una dimensione di 10 centimetri e, secondo le varie Agenzie spaziali, tali detriti occuperebbero un’orbita bassa
sotto i 2000 km, aumentando così il pericolo collisone poichè, proprio
queste orbite, sono utilizzate dai satelliti che osservano la Terra. I frammenti “de­positati” nello spazio si muovono ad una velocità di 25.000 km
orari e proprio tale movimento potrebbe farli scontrare tra di loro e con
i satelliti ancora attivi. Oltre tale nefanda prospettiva anche le stazioni
spaziali, come dichiarato dall’ESA, devono effettuare delle manovre per
impedire la collisione con questi frammenti che si avvicinano sempre di
più. A riguardo, le zone a maggior rischio sono le orbite polari situate
fra gli 800 e i 1200 Km di altitudine sopra la superficie terrestre, ovvero
l’area con la maggior concentrazione di satelliti di osservazione.
L’Agenzia Spaziale dipinge un quadro drastico della situazione ed in-
205
fatti, se i lanci continueranno con questo ritmo, il conseguente ri­schio
di collisione crescerà in proporzione raggiungendo percentuali altissime.
Una delle soluzioni percorribili sarebbe quella della collocazione di un
satellite, disattivato in via speciale, programmato per la disin­tegrazione e
il trasporto dei rifiuti nell’alta atmosfera. Oltre a tale possibilità, si stanno comunque studiando anche altre soluzioni per cercare di deviare la
traiettoria dei residui spaziali nell’atmosfera (braccia meccaniche, pinze
giganti, motori direttamente installati nei residui, armi per bombardare
gli obiettivi facendoli così uscire dalla traiettoria). Tutte queste proposte
di risoluzione hanno naturalmente un costo che comunque rimane sempre inferiore ai danni che le eventuali col­lisioni dei detriti con i satelliti
causerebbero. In concreto, per chiari­re, si tratterebbe di una cifra pari a
100 bilioni di dollari! In conclusione, la missione “pulitura spazio” non
inizierà prima di dieci anni ma prezioso sarà il contributo che gli esperti
di tutto il mondo riusciranno a dare e ciò se i Governi saranno pronti
ad ascol­tarli.
Mappa dei detriti spaziali intorno alla Terra
206
Capitolo 5
La visione olistica come prospettiva
di un mondo migliore
5.1 La visione Olistica e l’ecologia profonda: la svolta per un mondo
migliore
Da dieci anni siamo nel terzo millennio e, ad oggi, l’ambiente e le preoccupazioni ad esso legate hanno assunto una preminente impor­tanza.
In particolare, i problemi riguardanti la biosfera e le relative conseguenze
sulla vita degli esseri umani sono diventati globali pro­blemi sistemici in
quanto generano danni irreversibili ed appaiono strettamente connessi
ed interdipendenti. Un esempio evidente è rap­presentato dalla stabilizzazione dell’entità della popolazione sulla Terra e, proprio in merito a ciò,
si pone il quesito di come si riesca a mantenere in perfetto equilibrio la
popolazione in crescita costan­te senza prima risolvere il problema della
povertà, dell’educazione, della salute o dell’organizzazione sociale. Certamente le soluzioni ci sono ma, per dare una risposta reale e concreta alle
innumerevoli difficoltà che la crisi ecosistemica e uma­na pone, ricordando la frase di Einstein che enuncia “non si può risolvere un problema usando
la stessa mentalità che lo ha creato”, occorre uscire dall’attuale visione che
tende a frammentare e separa­re le cause e gli ambiti di competenza e
utilizzare un nuovo modello dell’essere umano e del mondo, capace di
comprendere la comples­sità dei fenomeni e la rete delle loro interrelazioni in modo sistemico e globale. Questo nuovo modello è rappresentato
dal “Paradigma Olistico”, dal greco olos che significa il tutto, l’intero, definito in un paradigma che è uno schema collettivo di interpretazione della
realtà, un mo­dello del mondo che può condizionare in modo positivo o
negativo il modo di vivere e di pensare di milioni di persone. Purtroppo,
la ci­viltà che conosciamo da secoli è retta da un paradigma frammentato
e dicotomico che ha separato l’anima dal corpo, ha diviso la scienza e la
spiritualità, ha creato una frattura tra l’uomo e la natura ed an­cor di più
tra l’uomo e se stesso. Ciò posto, il cambiamento epocale verso una civiltà globale necessita di un cambiamento di paradigma come anche di un
207
nuovo modello del mondo e dell’essere umano pertanto, all’antiquato
schema della frammentazione che ha creato divisione tra razze, civiltà e
religioni, bisogna in concreto risponde­re con un corretto paradigma olistico, un modello sistemico basato sull’unità ma anche sull’unificazione
di materia e coscienza. Esso nasce da una percezione unitaria, da una
consapevolezza globale di noi stessi e dell’esistenza in cui viviamo con
l’intento di genera­re una scienza con un’anima capace di comprendere
la sacralità di ogni essere vivente e di concepire la nostra Terra come
un sistema intelligente in cui ogni organismo, in qualsiasi momento, si
scambia informazioni e cresce insieme in modo pacifico e sostenibile. Il
pa­radigma olistico individua quindi una concezione unitaria del mon­do
e dell’essere umano ed è presente nelle principali vie spirituali antiche e
moderne. Oggi questa visione è sostenuta anche dalle più importanti ricerche scientifiche nel campo della fisica quantistica, della biologia, della
medicina e delle neuroscienze ed in conseguen­za tale paradigma si applica in ogni campo della conoscenza quali le medicine olistiche, l’educazione, l’economia, l’ecologia e permette una visione globale e sistemica delle
cose e della vita. Tuttavia, a volte ciò viene sovvertito, come ad esempio
per l’ecologia che viene ridotta a norme pratiche e superficiali quali la facilità di buttare il pattume nei luoghi naturali quando invece, applicando
il paradigma olistico, essa acquista un valore scientifico e filosofico più
globale e spirituale diventando ecologia profonda. L’ecologia superficiale
è antropocentrica e quindi incentrata sull’uomo visto al di sopra e al
di fuori della natura, invece l’ecologia profonda, proposta dal filosofo
norvegese Arne Naess nel 1972, non separa gli esseri umani dalla natura
e dall’ambiente ma li vede connessi e dipendenti tra di loro. Quest’ultima, riconoscendo il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi, si apre ad
una consapevolezza spirituale-religiosa del mondo e considera le persone
come una diramazione particolare nella trama della vita. Quindi, avviarci
ad un cambiamento che contempli il pas­saggio da una società antropocentrica ad una ecocentrica. Pertanto, quando il concetto dello spirito
umano viene inteso come la forma di coscienza verso la quale l’individuo prova un senso di appartenenza e un rapporto di connessione con
il cosmo intero, diventa chiaro che la consapevolezza ecologica è anche
consapevolezza spirituale nella sua essenza più profonda.
208
Doveroso citare la straordinaria opera del Pontefice Papa Francesco,
l’Enciclica “Laudato Sì” nella quale si riafferma con una determinazione
caratterizzata da una smisurata umanità e carità come l’Uomo debba considerarsi parte integrante del Creato ed amarlo come parte di sè.
L’ecolo­gia profonda è parte integrante dell’olismo e solo così l’olismo
può diventare l’alba di una nuova era. Tutte le cose sono legate tra di loro
come il sangue che unisce le generazioni; tutto quello che accade alla Terra accade all’uomo che tuttavia non tesse la trama della vita della quale
egli in realtà è solo un filo. Qualsiasi cosa possa fare alla trama, l’uomo
la fa a se stesso. Come esseri individuali e sociali noi tutti incidiamo e, al
tempo stesso, dipendiamo dai vari processi ciclici della natura quindi, è
doveroso avere una profonda consapevolezza ecologica del mondo quale
insieme integrato e non come una serie di parti separate. Occorre pertanto riflettere accuratamente su un nuo­vo modello di sviluppo più attento
alle esigenze della solidarietà e orientato al bene comune e, in perfetto
allineamento con il pensiero che fu di Papa Giovanni Paolo II, bisogna
domandarsi quali possano essere i valori e le regole ai quali anche il mondo economico (vedasi le banche e l’usura bancaria) dovrebbe attenersi
per porre in essere un modello nuovo, per uno sviluppo più attento alle
esigenze della solidarietà e più rispettoso della dignità dell’uomo. Un
modello so­ciale e culturale che si prefigga come obiettivo il rispetto e la
difesa della vita in generale e dell’essere vivente in particolare, che parli
d’amore e umiltà e che cancelli il termine “odio” ma anche che attui
un profondo cambiamento della percezione e del modo di pensare attraverso valide soluzioni, ove le sole che possono dare frutti sono quelle
“sostenibili”, cioè quelle che, messe in atto, trasformano la so­cietà attuale
in una che colloca in primo piano la vita e la terra su cui viviamo, una
società che soddisfa i propri bisogni senza ridurre le prospettive delle
generazioni future. Bisogna quindi dar forma a un modello particolare
che evidenzi una realtà in cui non l’uomo, bensì l’essere vivente e la
Terra dall’uomo abitata siano al centro di detto modello. Per ottenere
ciò, occorre però avere un’esatta visuale attra­verso cui guardare la realtà
e dalla quale organizzare la comunità su un concetto ovvio, l’ambiente
naturale è l’ambiente sociale. È ne­cessario quindi essere preparati a mettere costantemente sotto esame ogni singolo aspetto del vecchio modo
209
di pensare anche se, ovvia­mente, non c’è bisogno di buttare via tutto ma
bisogna essere pronti a mettere in discussione ogni cosa, lo stile di vita,
la nostra modernità, alcune certezze scientifiche, alcuni traguardi industriali, gli obiettivi materialistici, la qualità della crescita, ripartendo dai
nostri valori, unico punto di forza. La nuova prospettiva è, e deve essere,
squisitamente olistica, spirituale e/o ecologica, quale frutto di un intrec­
cio indissolubile dei rapporti reciproci tra le generazioni future e la trama
della vita ove ognuno deve essere protagonista consapevole.
5.2. I fondamenti giuridici del principio Olistico
Il principio olistico potrebbe effettivamente costituire, nel futuro, il
vero trait d’union tra lo Stato, la Pubblica Amministrazione e i cittadini.
Secondo la dottrina giuridica più evoluta tale principio è già previsto
nella nostra Costituzione che delinea un progetto di società e di Stato al
cui centro pone la persona, l’uomo e ciò è ben riscontrabile nelle norme
costituzionali che concernono i diritti fondamentali riconnes­si alla personalità umana(es.: articoli n. 2, 3, 36 della Costituzione). Purtroppo tale
visione della Costituzione è stata alterata dalla di­stinzione, solo in minima parte giustificata, tra norme costituzionali programmatiche e norme
costituzionali precettive, più chiaramente, solo le seconde potrebbero
essere direttamente applicabili in quanto quelle programmatiche sarebbero soltanto dei meri principi da per­seguire astrattamente e, come tali,
non immediatamente applicabili ma, solo in seguito, tramite altre norme. Invece, secondo il principio olistico, anche le norme costituzionali
programmatiche sono applicabili, sia pur in via meno diretta, stante che
si devono rispettare prima i diritti dell’uomo che non quelli del sistema o
dello Stato in cui egli è inserito, dei quali comunque va tenuto conto. Nel
diritto comunitario, ancora, il principio olistico è contenuto nella Carta
dei Diritti Fondamentali dell’UE (artt. 2 e ss.; 9, 10, 14, 15, 21, 31, 33,
47, 48) nonché nella Convenzione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà
Fondamentali (Artt. 1 e ss.), cioè in quelle norme che tutelano l’uomo in
tutte le sue attività.
In definitiva, il principio olistico si fonda su norme costituzionali, nazionali e comunitarie che, a seconda del valore da tutelare, devono essere
di volta in volta specificamente richiamate.
210
5.3 L’organizzazione globale del Movimento Olistico
Gli appartenenti al Movimento Olistico sono le persone che natural­
mente cercano di vivere, pensare e comportarsi per migliorare la pro­pria
vita e la società in modo umano, pacifico, etico e sostenibile. Le aree in
cui maggiormente manifestano il loro pensiero sono: ecolo­gia e sostenibilità (energie rinnovabili, tecnologie, riciclaggio, bioar­chitettura), etica
sociale (diritti umani, volontariato, parità dei diritti, sostegno delle minoranze), diritto olistico, farmaceutica galenica, biologia ortomolecolare,
medicine alternative, medicine integrative, medicine naturali e tecniche
di cura non convenzionali, economia e finanza etica, commercio e consumi equo-solidali, (banche etiche, gas), pace e intercultura, arte, musica,
cinema, teatro, educazione globale, psicologia della crescita personale,
gruppi di sviluppo del potenziale umano, consapevolezza, spiritualità,
sviluppo della coscienza, interreligiosità. Ricerche internazionali hanno
evidenziato che gli aderenti al movi­mento olistico non sono ancora un
movimento culturale, sociale e politico globale poiché non sono consapevoli della loro consistenza numerica e del loro potere sociale e politico, di
essere parte di una cultura vasta e globale, di condividere un comune modello sistemico, ecologico, globale, etico dell’essere umano e del mondo
(il paradig­ma olistico). Essi invero sono frammentati nelle loro specifiche
aree e spesso si collocano in sottile conflitto anche con altre associazioni
che condividono le stesse finalità.
5.4 Le basi del Movimento Olistico
Il Movimento Olistico è un movimento trans-partitico, pacifico,
eco­logista, di coscienza globale, fondato sulla considerazione che, per
cambiare la società, bisogna prima sviluppare la consapevolezza del singolo inoltre, fa proprie e riunisce le istanze ed i valori dei movi­menti
per l’ecologia e la sostenibilità, per la pace, per la salute natu­rale, per il
commercio equo e solidale, per il rispetto delle minoranze e per coloro
che la pensano in modo diverso, per i diritti umani, per la spiritualità
e la consapevolezza, per l’educazione globale.È quindi necessario creare
specifiche “leggi olistiche” riguardo l’adozione di tutta una serie di norme inerenti svariati settori quali ad esempio: la tutela dei consumatori
particolarmente vulnerabili ri­spetto ai rischi connessi all’uso di conteni-
211
tori di plastica per alimen­ti, in materia di impiego di additivi tossici per
la preparazione di cibi e bevande destinati all’alimentazione umana; la
salvaguardia della salute pubblica dai rischi di inquinamento nelle zone
interessate da impianti per il deposito; il trattamento o lo smaltimento
di rifiuti ur­bani ed industriali; la difesa dei soggetti affetti da disabilità
ambien­tale e molti altri settori che potrebbero essere di vasto interesse
per gli aderenti al Movimento Olistico; promuovere una economia etica
che tuteli i cittadini e non solo le banche; raggiungere la separazione
tra le banche d’affari e commerciali; operare affinchè si ripristini la sovranità monetaria e un sistema economico-finanziario giusto ed equo.
Fondamentale è perciò l’impegno ed il rispetto di tali leggi per sostenere
le battaglie, per far nascere una legge elettorale che riporti il sistema proporzionale e il voto di preferenza, così come per tute­lare le minoranze ed
avere un dibattito ed una dialettica più completi e articolati; per creare
leggi per il volontariato; per il riconoscimento degli operatori olistici; per
inserire nelle scuole nuovi temi di edu­cazione per la salute psicofisica;
per il riciclaggio intelligente dei rifiuti (che non sono rifiuti, ma risorse);
per il trasporto di merci su rotaie; per la gestione dei servizi pubblici da
parte di amministrazio­ni pubbliche. Ed ancora, per l’alimentazione sana
e naturale; per la prevenzione e il benessere, per la pace e la tolleranza interculturale e interraziale; per la salute (per esempio, convertire gli
ospedali desti­nati alla chiusura in centri o ospedali olistici, attrezzati con:
farma­ceutica galenica, biologia ortomolecolare, agopuntura omeopatica,
fitoterapia, fisioterapia, termalismo, sale di informazione e formazio­ne
olistica, etc); per lo sviluppo della consapevolezza psicofisica di sé; per
l’educazione all’intelligenza emotiva; per la creazione di testi semplici in
tutti i livelli delle scuole (dalle elementari alle universi­tà). A questo elenco, solo parzialmente qui rappresentato, si potrebbe aggiungere ancora
molto altro.
5.5 Il Movimento Olistico per un mondo migliore
Quali sono le direzioni e le dimensioni della nuova cultura globale?
Qual è il ruolo della salute globale in questo contesto? Quante sono le
persone che desiderano una società più giusta e pacifica, uno svi­luppo
ecosostenibile, un’economia etica e un’umanità più consape­vole? Quan-
212
ti, in Italia e nel mondo, auspicano stili di vita più sani e autentici, ispirati ai valori della pace, dei diritti umani, dell’ambien­te, delle relazioni
consapevoli e costruttive, della crescita personale e spirituale? Si tratta di
esigue minoranze o di parti rilevanti della popolazione? Ad oggi, nessuno
è riuscito a fornire una risposta certa alle predette domande e spesso si
è ritenuto che fosse solo il pensiero di gruppi minoritari, anche se ciò è
stato successivamente sfatato da tutta una serie di ricerche sociologiche,
svoltesi sia in Italia che nel mondo, che hanno proposto un quadro più
positivo ed incoraggiante per tutti coloro che hanno a cuore le sorti del
pianeta e del genere umano. Tali ricerche, presentate nel libro di Enrico
Cheli e Nitamo Mon­tecucco “I Creativi Culturali. Persone nuove e nuove idee per un mondo migliore”, hanno specificamente indagato sull’adesione del­la popolazione ai nuovi valori e stili di vita, strettamente connessi allo sviluppo armonico dell’essere umano e del pianeta. Gli aderen­ti
al Movimento Olistico difatti salvaguardano e sviluppano grandi valori
quali la pace, la sostenibilità ambientale, l’economia etica, il benessere e
la qualità della vita, la crescita personale e spirituale, le relazioni consapevoli e cooperanti, il ricorso a medicine alternative­integrative-naturalicomplementari, l’alimentazione biologica e, non da ultimo, la politica
olistica. In particolare, quest’ultima si deve oc­cupare di sanità, ambiente,
economia, finanza etica, lavori pubblici (la creazione di alcuni servizi ed
opere deve rimanere al 70% allo Stato: per esempio: sanità, istruzione,
trasporti, etc), legge elettorale, università, lavoro, grandi sfide che sicuramente avranno ripercus­sioni sulla vita della società così serie, che i
cambiamenti saranno inevitabili in quanto le odierne sofferenze della
società affliggono fin troppe persone e tutte anelano ad efficaci e concrete soluzioni.
Bisogna pertanto essere consapevoli della necessità reale che oc­corre
una svolta con l’intento di capire cosa fare e come farlo ed è importante
perciò, che ciascuno faccia la propria parte ed è pro­prio questa la soluzione che conduce allo sviluppo reale a beneficio dell’umanità. Tale visione
risolutiva appare perfettamente fattibile anche a fronte di statistiche che
rivelano come i soggetti interessati a perseguire i predetti valori non siano
affatto pochi, anzi oscillano tra il 60% e l’85% dell’intera popolazione
adulta e, cosa ancora più importante, oltre il 35% mostra particolare
213
coerenza e impegno cercando di ap­plicarne i principi nella propria vita
quotidiana. Per questo gli aderenti al movimento olistico sono “creatori
attivi di una nuova cultura” (il 60% degli aderenti sono donne) i quali,
pren­dendo le distanze dai molti assiomi che connotano la civiltà occiden­
tale odierna, mossa solo dalla logica del profitto e dell’opportunità ma
priva di una visione a lungo raggio, cercano di promuovere valori e visioni del mondo atti a orientare l’uomo verso direzioni più sane pacifiche
ed ecosostenibili.
Se è vero che una civiltà si connota secondo la strada che persegue,
è lampante che oggi occorre cambiare percorso e lasciarsi coinvolgere da
nuovi valori e stili di vita proprio al fine di migliorare i dissesti ambientali ed i gravi problemi socio economici che affliggono, da secoli ormai,
la società occidentale odierna. In questa rappresenta­zione del mondo,
quindi, gli appartenenti al movimento olistico rap­presentano l’avanguardia di questo, si spera, imminente cambiamen­to culturale epocale. Ed
invero, pur essendo costituita da individui e gruppi sociali di­versificati,
questa avanguardia culturale presenta alcuni valori co­muni quali la fiducia nella possibilità di una evoluzione positiva sia dell’individuo che
della collettività, i cui membri, inoltre, tendono a prendere le distanze
dall’edonismo, dal materialismo, dal cinismo dando, invece, molto peso
ai valori dell’autenticità e dell’integrità. Come ha osservato il sociologo
americano Paul Ray, pioniere delle ricerche sugli aderenti al movimento
olistico, essi sono disincanta-ti dall’idea di “avere più cose” mentre mettono una grande enfasi nell’avere “nuove ed uniche esperienze” e rappresentano il mercato principale per le terapie e medicine complementari,
i cibi naturali, la psicoterapia, i corsi e seminari di crescita personale, le
nuove forme di spiritualità, ma prediligono anche il consumo criti­co e si
orientano all’acquisto e alla fruizione di prodotti culturali più che materiali, producendo loro stessi in molti casi cultura. Punto di partenza per
sostenere la teoria olistica è quindi trovarsi in sintonia con buona parte
dei suoi valori, mossi anche e soprattutto dalla volontà di aiutare le persone a meglio comprendere il ruolo che possono ricoprire e con l’intento
di ottenere un personale cambia­mento positivo andando ad incidere così
anche su quello globale del mondo, in modo tale da aiutare se stessi ed
il prossimo a superare i lati d’ombra che limitano la capacità di segnare
214
profondamente, ed in modo rilevante, tale cambiamento nel quale, la
visione unitaria del mondo e dell’essere umano è pertanto fondamentalmente identica. Va rilevato che è ancora prevalente, tra gli appartenenti al Movimen­to Olistico, l’idea (erronea) che i diversi ambiti quali
pace, ambiente, crescita personale, spiritualità, medicine integrative, cibi
biologici, economia etica ed i diversi movimenti che li rappresentano,
siano elementi autonomi e separati invece che sfaccettature molteplici di
un unico grande fenomeno culturale. Tale percezione, purtroppo, crea
divisioni, rivalità e incomprensioni tra i vari gruppi e movimenti, diminuendo così la coesione e la capa­cità di fare sinergia verso mete comuni.
Spinti dal fatto che i media parlano assai di rado dei temi, dei valori e
delle proposte innovative in cui essi si riconoscono, preferendo invece
trattare notizie, valori e personaggi in accordo con la cultura dominante
e la politica tradizionale, gli appartenenti al Movimento Olistico ancora
si sottostimano ampiamente quando in realtà sono numerosi ed hanno
un ruolo tutt’altro che ridotto e marginale.
Riuscire a deviare l’attenzione dell’opinione pubblica è un obiettivo
che da sempre tutti i Governi hanno messo in atto. Si applica, infatti,
quella che viene definita “la strategia della distrazione”: focalizzare l’interesse della popolazione su temi ed argomenti ben lontani da quelli che
sono i problemi reali della società, distraendo l’attenzione comune bombardandola di informazioni inutili e forvianti. Questa tecnica <distrattiva> non permette che la popolazione abbia una coscienza comune e,
quindi, una reazione comune dettata da una giusta consapevolezza e da
una giusta informazione. L’obiettivo è quello di manipolare la coscienza
e la conoscenza altrui per mantenere una calma apparente, per poter
dichiarare un finto “va tutto bene”, per vivere in una tranquillità che cela
ben altro. Il Movimento Olistico ha come obiettivo quello di riaccendere
la consapevolezza comune, svegliare la coscienza da questo sonno rassicurante per riuscire realmente e praticamente ad iniziare a cambiare le cose.
Fortunatamente, grazie anche alle ricerche ultimamente presentate,
è possibile oggi disporre di un quadro più veritiero della situazione ribaltando così molti luoghi comuni e dando una forte carica di spe­ranza
a tutti coloro che auspicano un mondo migliore.È bene ricordare che
gli appartenenti al Movimento Olistico in ra­pida crescita rappresentano
215
un terzo della popolazione e potrebbero diventare la maggioranza negli
ultimi venti anni.
L’intento è quello di definire il DNA della cultura planetaria in un
modello unitario che riunisca le varie anime della nuova cultura e, proprio con tale intento, è in corso in tutti i paesi del mondo un pro­cesso di
sintesi dei modelli medici, psicosomatici, quantistici, eco­logici, psicologici, sociologici, che vede ogni anno pubblicare libri e film, in particolare
sulla salute psicosomatica globale, che riuniscono l’oriente con l’occidente, la scienza e la coscienza, il corpo e la men­te, la natura e la società.
Infine, è bene precisare che si è costituito il primo gruppo di lavoro del
Movimento Olistico, che ha il compito di dotarsi di un organi­gramma e
organizzarsi sul territorio nazionale per promulgarne il pensiero attraverso convegni, dibattiti, incontri e conferenze stampa.
5.6 Prospettive ambientali per il futuro
Uno sviluppo economico stabile ed equilibrato deve essere in sintesi
compatibile soprattutto con la salvaguardia delle risorse naturali e dell’ambiente globale. Occorre pertanto creare gruppi di lavoro formati da politici, univer­sitari, medici, avvocati, agricoltori, commercialisti, informatici,
sociologi ed ecologisti con l’intento di definire un re­gime internazionale
per il contenimento delle emissioni di gas serra e rafforzare la capacità di
adattamento ai cambiamenti climatici, così come arrestare la perdita di
biodiversità all’interno dell’UE e su scala mondiale, rafforzare la cooperazione e la governance internazionale. Bisogna puntare quindi al rilancio
della ricerca e dell’innovazione, soprattutto nel settore delle rinnovabili (fotovoltaico, eolico, geoter­mico e marino), dell’efficienza energetica e dello
smaltimento e del­lo stoccaggio della CO2 (anidride carbonica).È necessario, ancora, attuare iniziative che possano contribuire a ri­durne le emissioni in maniera efficace e duratura consentendo, con­temporaneamente, di
sostenere la crescita economica dei differenti Stati ed è altresì importante
sostenere a livello mondiale il concetto dell’ecologia profonda.È bene infatti ricordare che, un tempo, i contadini conservavano gli escrementi degli
animali per usarli in parte come fertilizzanti per la campagna ed in parte,
essiccati e bruciati, per produrre calore.
216
5.7 Mettersi in gioco
Molti mi dicono, aprendo il dibattito all’interno del movimento dove
milito, che mi sto mettendo in gioco con un alto rischio per il mio ruolo,
ma l’attività del parlamentare consiste anche nell’avere fanta­sia così come
idee innovative e, qualche volta, rivoluzionarie nell’in­teresse dell’essere
vivente e della nostra madre Terra. Sto e stiamo lavorando e collaborando per realizzare il paradigma olistico in una visione globale e sostenibile,
nella quale la salute del­la Terra e dell’essere umano rappresentano l’elemento primario. Ritengo infatti che sia arrivato il momento in cui tutti
i gruppi e le persone che si riconoscono negli ideali dell’olismo e dell’ecologia profonda, si compattino sotto la bandiera unica del Movimento
Tran­snazionale Olistico al fine di apportare significativi cambiamenti
po­litici, sociali, economici, culturali e istituzionali, per assurgere così ad
un mondo migliore.
217
Capitolo 6
Cambiare il pianeta e la nostra vita
Di seguito analizzeremo, grazie anche ad un’analisi fatta dal WWF
“Soluzioni urbane per un pianeta vivente - report WWF 2011”, come sarebbe
possibile intervenire praticamente e in modo pragmatico per salvare il
nostro pianeta e migliorare le nostre condizioni di vita. È un percorso
che dovremmo iniziare fin da subito se vogliamo vera­mente salvare e tutelare l’ambiente in cui viviamo, intraprendendo riforme e cambianti radicali su come si è concepito, fino ad oggi, il modo di utilizzare, o meglio
sfruttare, le risorse della nostra terra. Innanzitutto bisogna comprendere
che avere rispetto per il nostro pianeta vuol dire avere rispetto per noi
stessi e preservare il mondo anche per le generazioni future. Ed invero,
occorre attuare una vera e propria rivoluzione culturale, rimettendo al
centro di tutto la natura ed investire nel pianeta è l’unica possibilità che
esiste per tutelare la nostra stessa vita. Proprio adesso ben si comprende
come sia possibi­le dar vita a nuove politiche socio-economiche e come
praticamente esse incidano sul benessere della nostra terra e della nostra
salute. Come afferma il WWF in questo interessante documento bisogna
partire e ripartire dall’Europa e creare, perciò, una nuova Europa.
219
6.1 Soluzioni urbane per un pianeta vivente
In una situazione in cui le istituzioni europee sono sottoposte a seve­re
critiche e la fiducia del cittadino verso la UE ha raggiunto il mini­mo storico con solo il 31% dei consensi nei confronti dell’Unione, le normative
e le politiche ambientali comunitarie fanno invece la differenza perché
sono percepite con una forte accezione positiva. Come dimostrano le
rilevazioni di Eurobarometro, il 95% dei citta­dini europei percepisce la
protezione dell’ambiente come importante e l’81% dà il proprio consenso sulla normativa ambientale di deriva­zione comunitaria. C’è quindi in
Europa una diffusa consapevolezza nell’opinione pubblica del ruolo politico-istituzionale d’avanguardia svolto, negli ultimi 20 anni, dall’Europa
nel mondo con:
1. l’adozione e attuazione di una solida legislazione per la tutela
dell’ambiente;
2. la riforma delle politiche che minacciano la natura;
3. adeguati finanziamenti destinati allo sviluppo sostenibile nei Pa­esi
europei e in ambito internazionale.
Ma la leadership europea in campo ambientale non è scontata e deve
essere consolidata e rilanciata in vista anche degli importanti appun­
tamenti che durante il Semestre di Presidenza italiana sono stati af­
frontati, come il summit sul Clima convocato il 23 settembre 2014 a New
York dal segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, in apertu­ra dell’Assemblea generale che ha discusso sui nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile; la Cop 12 sulla biodiversità in Corea del Sud ad ottobre 2014;
la Cop 20 sul clima in Perù a dicembre in preparazione della Cop 21 di
Parigi del 2015. Nulla deve essere acquisito una volta per tutte ed è per
questo che il WWF ha lanciato la campagna Creare una nuova Europa
per il pianeta lanciando un Manifesto con 28 proposte e soprattutto un
Ap­pello su 9 priorità ambientali che costituiscano un Impegno di Legi­
slatura per chi sarà eletto.
Un impegno declinato in 28 proposte specifiche (disponibile in rete) per:
1. affrontare il cambiamento climatico;
2. passare ad un’economia efficiente nell’impiego delle risorse;
3. fermare la perdita di biodiversità;
4. incoraggiare consumi più sani, equi e sostenibili;
220
5. assicurare acque pulite e salubri;
6. salvaguardare l’ambiente in modo da garantire il benessere uma­no
in tutto il mondo;
7. bloccare il commercio illegale di legname e fauna selvatica;
8. garantire un’agricoltura sostenibile;
9. ripristinare gli stock ittici.
La Campagna WWF, inoltre, prevede la sottoscrizione dell’Appello
da parte degli eurocandidati che così assumono pubblicamente un Impegno di Legislatura nei confronti degli elettori e l’attivazione dei cittadini
per far pressione sui partiti affinché i contenuti dell’Appello siano da
questi conosciuti e condivisi.
Una nuova Europa, secondo il WWF, deve cogliere la scommessa ambientale proprio nel momento in cui si stanno cercando soluzioni per
uscire da questa pesantissima crisi economica e sociale sceglien­do di ridurre l’impronta ecologica per rispettare i limiti delle risorse del pianeta,
definendo indicatori di equità sociale e di benessere che consentano di
andare oltre al calcolo del Pil, facendo scelte economi­che più efficienti e
innovative in grado di assicurare posti di lavoro e prosperità alle attuali e
alle future generazioni. Il WWF valuta che per mantenere l’attuale stile
di vita del cittadino europeo (con alti consumi di risorse naturali e elevati
livelli di emissione di gas serra) ci sarebbe bisogno di 2,8 pianeti.
Non possiamo permettercelo e non si tratta di astratte aspirazioni
di quella parte dell’opinione pubblica che è più sensibile alle questioni ambientali, ma di un serio problema che colpisce ogni essere viven­te
ed è strettamente correlato alle scelte che bisogna affrontare per uscire dalla crisi. Molti bisogni primari delle città dipendono dalla natura:
aria, acqua, cibo, energia, regolazione del clima, serbatoi di assorbimento
dei ri­fiuti ed altre esigenze urbane quali: abitazioni, consumi, mobilità,
esercitano un impatto potenzialmente forte sulla natura a seconda ed in
dipendenza delle scelte operate dalle singole città. Per comprendere in
quale modo le città possano avere un’impronta sostenibile e salvaguardare la biodiversità si può iniziare da queste categorie fondamentali. In
quale modo le città possono gestire le loro risorse idriche? Quali forme di
energia possono scegliere? Quali sono le conseguenze di queste scelte? Le
dieci categorie di esigenze urbane già presentate e cioè aria, ac­qua, cibo,
221
natura, edilizia abitativa e non, accessibilità e mobilità, energia, consumi,
gestione dei rifiuti e dei serbatoi di assorbimento, regolazione del clima,
sono strettamente connesse le une alle altre. Scelte oculate in materia di
risorse idriche, per esempio, hanno rica­dute positive sulla sostenibilità
energetica, sulla qualità dell’aria e sul cibo. Di conseguenza le interconnessioni rivestono un ruolo cruciale nei casi esemplari qui presentati.
Tutto è collegato. Molti sistemi all’avanguardia in materia di vita urbana
sostenibile hanno avuto inizio proprio da questa consapevolezza.
6.1.1 Soluzioni inquinamento dell’aria
La qualità dell’aria rappresenta per le città una problematica im­
portante per molte ragioni, difatti l’inquinamento dell’aria influisce pesantemente sulla salute umana e causa diversi danni economici, come
la perdita di produttività. Inoltre, risulta d’importanza critica anche per
le funzioni degli ecosi­stemi, dalla salute delle foreste, all’agricoltura nei
centri abitati e nei pressi delle città. Fortunatamente, i governi sono in
grado di influ­ire significativamente sull’inquinamento dell’aria e le città
possono controllare la qualità dell’aria grazie ad una chiara normativa in
ma­teria di energia e trasporti. Di seguito proprio un esempio di come
grandi città si sono adoperate per migliorare la qualità dell’aria:
-Rizhao, ad esempio, sta guidando l’utilizzo delle energie rinnova­
bili: il passaggio delle città cinesi verso l’energia solare. Gli scalda­bagni a
pannelli solari sono obbligatori. Su tutti i nuovi edifici e tutti gli edifici
pubblici restaurati è richiesta l’installazione dei pannelli solari. Nel 2007
il 99% delle famiglie del centro di Rizhao e il 30% di quelle delle periferie utilizzavano l’energia solare per il riscalda­mento e migliaia di case
erano dotate di cucine alimentate ad energia solare. Anche i semafori e
i lampioni di Rizhao sono alimentati a celle solari. L’impiego del solare
per l’elettricità può presentare no­tevoli vantaggi per la qualità dell’aria in
Cina, dove il carbone viene ancora ampiamente utilizzato per la produzione di energia. Rizhao rientra spesso nell’elenco delle dieci città cinesi
con la migliore qua­lità dell’aria.
-Delhi era una delle megalopoli più inquinate del mondo. Tuttavia, a
partire dagli anni ‘90, la città ha intrapreso una massiccia campa­gna per
la qualità dell’aria che comprende:
222
• conversione obbligatoria di tutti i veicoli commerciali per passegge­ri
(autobus, taxi, veicoli a tre ruote) al gas naturale compresso (CNG)
e ai convertitori catalitici;
• combustibile a basso contenuto di zolfo;
• chiusura o spostamento di oltre 1000 fra le maggiori fonti di origine dell’inquinamento.
Queste azioni si sono rivelate estremamente efficaci, ma rimangono
in atto ancora alcune sfide. Ad esempio, la scarsa tecnologia dei piccoli
motori CNG ha ostacolato i benefici previsti; anche la crescente diffu­
sione dei veicoli diesel ha influito negativamente sui miglioramenti ed il
rapido aumento del traffico ha inoltre fatto sì che, malgrado questi sforzi,
la sfida per l’aria pulita a Delhi continuasse ad apparire scorag­giante. In
ogni caso, Delhi rimane un importante esempio di azione determinata
per migliorare la qualità dell’aria.
6.1.2 Soluzioni inquinamento acqua
L’acqua mantiene unita la biosfera e collega tra di loro diverse proble­
matiche ambientali: inquinamento, biodiversità, cibo, energia, regola­
zione del clima e molto altro. Ciò in quanto il modo in cui l’acqua viene
utilizzata, gestita, sprecata o inquinata; può determinare la sostenibilità
di un ambiente così come nei sistemi urbani, contrariamente, se non
controllata, potrebbe essere fonte di trasmissione di malattie virali. Gli
esempi che seguono mostrano come alcune città gestiscono le loro risorse
idriche.
-New York City è una delle città impegnata per migliorare la ge­stione
della domanda di acqua. Minacciata dalla mancanza d’acqua, New York
City ha ricercato soluzioni alternative alla costruzione di dighe, scegliendo di utilizzare un insieme di metodologie efficaci per ridurre il consumo
di acqua. È diventato obbligatorio (con il supporto di regolamentazioni
amministrative) controllare, attraverso i contato­ri, l’utilizzo dell’acqua,
operazione che ha riscosso quasi il 100% di adesioni. È stato istituito
un programma di rilevamento delle perdite, che ha dimostrato la sua
efficacia individuando centinaia di perdite nella rete municipale. In un
anno (2003) le riparazioni di tali perdite hanno fatto risparmiare 225 milioni di litri di acqua al giorno. Infine, il Department of Environmental
223
Protection (Dipartimento per la prote­zione dell’ambiente) municipale ha
portato avanti un programma per la sostituzione di alcuni elettrodomestici con quelli a basso consumo idrico, offrendo incentivi per l’installazione di docce e bagni a flusso ridotto. È stato così calcolato un risparmio
d’acqua di 190-300 milioni di litri al giorno.
-Stoccolma sta attuando una strategia in materia di trattamen­to delle
acque che è finalizzata a trasformare i prodotti di scarto in risorse utili. Ciò
potrebbe risolvere una gamma di problematiche ambientali strettamente
collegate, riducendo di conseguenza l’im­pronta ecologica e incrementando
la sostenibilità economica del trattamento delle acque. Dalle acque reflue
si producono biogas, fertilizzanti e persino calore. Ciò riduce le emissioni
di gas a effet­to serra: il biogas sostituisce parzialmente i combustibili fossili per il funzionamento dell’impianto di depurazione, i veicoli, il riscal­
damento, la produzione di elettricità e la produzione di fertilizzanti.
Il biogas derivante dalle acque reflue di Stoccolma fa risparmiare 6
milioni di litri di benzina e diesel all’anno, equivalenti all’emissione di
14.000 tonnellate di CO2. Il trattamento dei liquami consente di rici­
clare nutrienti agricoli come il fosforo e riduce la necessità di discari­che.
Fra i benefici addizionali, inoltre, si rileva anche una diminuzione dell’inquinamento dell’aria causato dalle fonti energetiche.
6.1.3 Soluzioni per una produzione alimentare più intelligente
Il bisogno primario di cibo è strettamente legato ad altre esigenze
umane e servizi ecosistemici identificabili in aria, acqua, gestione dei rifiuti, energia ed altri ancora. Di conseguenza, le problematiche di una
funzione tendono a ripercuotersi in altre aree. È anche possibile, però,
moltiplicare le soluzioni difatti sempre più ricerche evidenziano una vasta gamma di problematiche che possono essere mitigate con pratiche di
agricoltura urbana e sistemi alimentari su base regiona­le. Per esempio,
l’agricoltura in prossimità o all’interno delle città riduce la necessità di
trasporto del cibo e ciò limita drasticamente la dipendenza di una città
dai combustibili fossili e i prezzi del mercato mondiale, inoltre abbassa le
emissioni di CO2 e di altri inquinanti dell’aria. Grandi forniture alimentari locali, le città forniscono già il 15% circa del cibo mondiale. Esigenze
alimentari urbane sempre maggiori trovano risposta nell’agricoltura di
224
alcune città come, per esempio, l’Avana (Cuba), costretta dalla mancanza
di benzina e dal­la malnutrizione ad implementare rapidamente l’agricoltura urbana, che attualmente si calcola fornisca dal 40 al 100% circa del
consumo cittadino di verdure. L’agricoltura urbana può aumentare la
resilienza anche tramite alti livelli di biodiversità dando risultati ampiamente riconosciuti grazie alle coltivazioni su piccola scala, portate avanti
da molte persone su piccoli spazi verdi.
6.1.4 Smaltimento dei rifiuti
Lo sviluppo agricolo e la sicurezza alimentare urbana sono favoriti
dall’utilizzo delle risorse all’interno di cicli chiusi: fornitura locale di acqua, suolo e nutrienti come pure, ad esempio, facendo ricorso a strategie
finalizzate al riutilizzo degli scarti attraverso azioni di trattamento finalizzate al riciclaggio dei rifiuti, quali separazione fisico-meccanica, e conseguente recupero dei materiali e/o riutilizzazione degli scarti organici per
la produzione di compost.
Poiché abbiamo a disposizione un solo pianeta e tutto è strettamen­te
collegato, non possiamo buttare via le cose e dimenticarcene. Ri­mangono
lì e possono tornare nella nostra aria, nella nostra acqua e nel nostro cibo,
pertanto è necessario riparare, riutilizzare e riciclare, accertandosi che i
rifiuti vengano assorbiti in maniera sicura dai ser­batoi di assorbimento,
cioè che sono quelle parti del pianeta in grado di assorbire le sostanze dei
rifiuti ed inquinanti. Un esempio sono gli alberi, che possono assorbire
le sostanze inquinanti presenti nell’aria e nell’acqua, le foreste che assorbono CO2, e le zone umide che assor­bono le acque reflue cittadine. I
serbatoi di assorbimento del pianeta hanno però dei limiti. La gestione
dei rifiuti soddisfa l’esigenza di una città di far fronte ai propri materiali
di scarto in maniera sostenibile:
• ridurre i flussi e limitare i rifiuti finali, quelli cioè da avviare a
discarica e/o termovalorizzazione, in quanto impossibile da ulteriormente valorizzare con processi di separazione;
• gestire i serbatoi di assorbimento, senza sovraccaricarli. I fiumi, ilsuolo, le zone umide, gli alberi e gli altri serbatoi d’assorbimento
naturali forniscono servizi per la gestione dei rifiuti solo se fun­
zionano in maniera corretta;
225
• convertire i serbatoi di assorbimento in fonti. Una soluzione a cir­
colo chiuso è quella di utilizzare i rifiuti per produrre energia. Una
zona umida può fornire cibo. Un impianto di riciclaggio può offri­
re benefici economici e sociali; l’educazione e un comportamento
civico eco-compatibile risultano spesso essenziali per la gestione
dei rifiuti urbani e il mantenimento dei serbatoi di assorbimento.
6.2 Energie rinnovabili e possibili soluzioni
Per comprendere fino in fondo come sia urgente e possibile trovare
delle fonti di energia rinnovabili ed ecosostenibili, mi affiderò alle parole
di alcuni specialisti di settore e coraggiosi imprenditori, che proprio in
questi anni sta lavorando alla realizzazione di un impianto alimentato a
Biomasse appunto nella Sua regione.
“Impianti alimentati a biomassa”
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” Antoine Laurent Lavoisier. Se partiamo dalla celebre frase di Lavoisier che sintetizza
il postulato di conservazione della massa, intuiamo l’importanza de­gli
impianti di cogenerazione alimentati da Biomasse. Tra le biomasse, sostanze di origine biologica, includiamo gli scarti delle lavorazioni agroalimentari, delle attività forestali, delle colti­vazioni agroenergetiche e,
infine, i rifiuti con elevata frazione orga­nica. Praticamente, per biomassa
si intende genericamente qualsiasi materiale di natura vegetale che non
ha subito alcun trattamento o condizionamento chimico. La generazione
di elettricità può avvenire mediante processi di combustione diretta delle
biomasse, ovvero del loro trattamento e digestione per ottenere biogas o
bioliquidi. Dal punto di vista storico, prima dell’uso delle energie fossili
in quantità significative, la biomassa in forma di legna da ardere ha fornito all’umanità buona parte dell’energia necessaria alle proprie esigenze.
Solo dopo la scoperta dell’uso del carbone e di altre fon­ti fossili si è rilegata l’energia da biomasse a un ruolo marginale. L’interesse per l’energia
da biomasse è stato risvegliato dai proble­mi di sostenibilità ambientale
ed economica, legati alla quantità dei giacimenti di combustibili fossili
disponibili e dai problemi di in­stabilità geopolitica derivanti dalla loro
disomogenea distribuzione sul pianeta. Le biomasse rappresentano una
226
risorsa energetica rin­novabile e rispettosa dell’ambiente in quanto l’anidride carbonica prodotta durante la combustione è stata già sottratta
all’aria con la fotosintesi per la formazione e la crescita del materiale organico ve­getale. Gli impianti alimentati da Biomassa consentono di eliminare due fondamentali problemi tipici delle altre tipologie di impianti di
produzione di energia rinnovabile: lo stoccaggio e la discontinuità dell’erogazione dell’energia. Infatti, gli impianti a biomassa produ­cono energia
fintantoché vengono alimentati, per cui basta organiz­zare la raccolta e le
scorte della biomassa per assicurarci la continu­ità produttiva di energia e
calore, a meno di volontarie sospensioni per le manutenzioni dei macchinari. Uno dei pregi delle centrali da biomasse è costituito dalla possibilità
di rivolgersi a materie prime e risorse di scarto, comunemente disponibili
in ogni territorio, senza dover far affidamento a coltivazioni specializzate
e senza sottrarre estensioni utili all’agricoltura di base. Il problema della
sostenibilità ambientale subentra nei casi di sovradimensionamento, in
termini di potenziale produttivo, dell’impianto di biomasse rispetto alla
capaci­tà di approvvigionamento in loco. È evidente che si configura la
non sostenibilità nel caso in cui si verifichi:
• alterazione nel sistema di produzioni locale di biomassa, con im­
plicazioni anche sul sistema produttivo agroalimentare;
• eccessiva implementazione del trasporto della biomassa su stra­da
con conseguente inquinamento atmosferico.
A tal proposito il sistema italiano, di incentivazione alla produzio­ne
dell’energia da biomassa, premia quella che comunemente viene definita
la filiera corta, cioè quei sistemi di approvvigionamento che si alimentano entro un raggio di 70 chilometri. Tale tipo di sistema consente di
controllare, ed anche limitare, quelle iniziative industria­li che sviliscono
il sistema di sostenibilità ambientale. Le centrali a biomasse necessitano
di tecnologie poco sofisticate e di più facile reperibilità; le nuove tecnologie consentono inoltre di raggiungere elevati livelli di efficienza. La
possibilità di usare im­pianti di cogenerazione consente di produrre, unitamente all’ener­gia elettrica, anche il calore che può essere utilizzato per
usi termici sia civili che per sistemi industriali. Considerato che i processi
di produzione di energia si basano sulla combustione, il tema dell’in­
quinamento nell’aria viene ridotto al minimo e in certi casi elimina­to
227
grazie alle nuove tecnologie di abbattimento delle emissioni e di monitoraggio delle stesse. Non dimentichiamo che nelle biomasse vegetali sono
praticamente assenti due importanti inquinanti atmo­sferici: lo zolfo e gli
idrocarburi policiclici aromatici. L’impianto a biomassa, rispetto ad altri
impianti di energia rinnovabile, produce vantaggi di tipo sociale legati
all’occupazione, grazie alla possibilità di impiegare mano d’opera per la
raccolta e l’organizzazione della filiera. Inoltre, con gli impianti di cogenerazione si evita di incorrere in un non corretto smaltimento delle biomasse, che di solito vengono scaricate in discarica, favorendo il formarsi
del percolato, o bruciate a campo aperto, recando danni per l’ambiente.
6.3 Ulteriori soluzioni per un miglioramento del clima e dell’am­
biente.
Ulteriore dottrina italiana evidenzia perfettamente che il rinunciare
alle fonti rinnovabili sa­rebbe sbagliato, anche per poter ridurre l’impatto
ambientale delle emissioni dei gas serra.
“Fonti rinnovabili: Quale futuro e perché”
La voce della nostra Terra si fa sempre più viva tramite i cambia­menti
climatici in atto e un osservatore attento non può non captare il messaggio allarmante che ogni giorno si pone innanzi i nostri occhi. L’unica
risposta possibile è la scelta di politiche concrete volte ad ottimizzare l’utilizzo di risorse rinnovabili alfine di ridurre l’impatto ambientale delle
emissioni dei gas serra.
In questo periodo di crisi si recrimina sull’eccessivo costo per il Pa­
ese, cioè per tutti noi, dello sviluppo dato alla produzione di energia
elettrica da Fonti Rinnovabili attraverso una politica eccessiva ed indiscriminata di incentivazione. Questa recriminazione trascende e sfocia
nel dire “basta rinnovabili”. L’analisi dei costi degli incentivi elargiti per
la produzione di energie rinnovabili non può tralasciare i numerosi benefici tratti dal notevole risparmio sui costi da sostene­re in merito ai
cambiamenti climatici e ai disastri ambientali dovuti alla produzione di
energia da fonti non rinnovabili. Il tentativo di rinunciare al sostegno
delle Fonti Rinnovabili costituirebbe un passo errato che si andrebbe ad
aggiungere a quello già fatto di incentivare importazioni massicce, per
228
non dire integrali, di macchinari neces­sari allo sviluppo sconsiderato che
non ha dato tempo a far crescere simultaneamente un’industria produttiva adeguata: fabbriche di ae­reogeneratori in testa e film di Silicio in
coda. Se tutto fosse stato programmato nell’incentivare le Fonti Rinnovabili, oggi le aziende italiane fabbricherebbero o creerebbero macchine
per la produzione di energia rinnovabile, con una caduta occupazionale
interessante. Occasione sicuramente perduta ma non irrecuperabile. Ora
si dovrebbero perseguire almeno per un decennio sforzi non troppo costosi, forse, addirittura senza extracosti, per un continuo ed equilibrato
sviluppo della capacità produttiva dalle Fonti Rinnova­bili. Le ragioni a
sostegno di un simile programma (tra 1000 e 2000 MW l’anno) sono
sinteticamente le seguenti:
-ogni MWH prodotto in più comporta un serio inquinamen­to da combustione in meno con benefici immediati sulla qualità dell’aria che respiriamo, quindi sulla nostra salute e con un risparmio di spesa sul costo
dell’ambiente e delle cure sanitarie dei cittadini. L’ecologia è l’unica direzione possibile per il pianeta Terra, per i suoi abitanti e le generazioni future. Non inquinare è, quindi, un dovere, una missione che non ha prezzo;
-ogni MWH prodotto in più comporta un risparmio di almeno 2
MWH di combustibili importanti a caro prezzo (circa 50 € se di gas naturale) da pagare con beni e servizi da esportare;
-ogni MWH prodotto in più avvicina il Paese a mantenere gli impegni
internazionali già presi o a quelli ulteriori che dovremo prendere e, perché no una volta tanto a superarli! Non dobbiamo ca­dere nell’illusione
di averli già raggiunti: dipende solo dalla terribile crisi economica che ha
fatto ridurre i consumi di energia innalzando algebricamente la proporzione delle Fonti Rinnovabili; -ogni Kw installato, specie di impianti piccoli,
comporta im­pegno di risorse umane disponibili e capacità manifatturiera,
da in­centivare non meno di quanto viene fatto per altri settori industriali. Individuare quale di queste ragioni sia la più importante è una disqui­
sizione meramente socioeconomica, ciò che conta davvero è mettere in
moto il sistema di produzione delle Fonti Rinnovabili senza pena­lizzazione
alcuna e dosando opportunamente un minimo di incentivi.
6.4 Riciclare è possibile
È possibile ottenere straordinari risultati con il riciclaggio completo
229
dei rifiuti, come accade già in qualche Comun italiano. Tale approccio
è possibile definendo strategie di processo integrate e concorrenti a massimizzare i recuperi, controllando al tempo stesso la qualità dei prodotti
recuperati. Attraverso un tale approccio è possibile recuperare il 99%
del rifiuto conferito derivante sia dalla raccolta differenziata residenziale
porta a porta, sia dai rifiuti industriali di commercianti ed artigiani. A
partire dai prodotti così recuperati sono possibili diversi riutilizzi. Ad
esempio nel caso delle plastiche, per le frazioni non recuperabili è possibile applicare azioni di estruzione e triturazione fino ad ottenere un granulato a matrice prevalentemente plastica da poter utilizzare, verificate
le corrette condizioni di non rilascio, nell’industria edile per la realizzazione di manufatti (quali mattoni, pali, etc...) in sostituzione della sabbia
di cava (20-30% del materiale necessario alla creazione del manufat­to).
Inoltre, questo materiale, conferisce caratteristiche migliorative ai manufatti ottenuti che rispondono regolarmente alle norme UNI vigenti. La
sabbia sintetica così ottenuta viene utilizzata anche per la creazione di
sedie, panchine, bancali ed altri manufatti. L’attività consiste nel ricevere
le frazioni secche riciclabili dei rifiuti urbani ed assimilati, selezionare i
materiali in base alla composizione merce­ologica, compiere le operazioni
necessarie per la riduzione volume­trica, gestire la fase di destinazione in
uscita delle singole tipologie di materiali che, in relazione alla possibilità
di riutilizzo, vengono consegnati a impianti di seconda lavorazione o a
specifiche aziende che impiegano i materiali nei loro cicli produttivi. I
costi globali per la costruzione di un impianto di questo tipo si aggi­rano
attorno ai 5 milioni di euro in un arco temporale di circa 3 anni e, in alcuni Comuni, si sta provvedendo all’utilizzo di tali impianti grazie anche
all’iniziativa di imprenditori locali. Questa è la strada che dovremmo iniziare a percorrere per costruire un futuro migliore in un mondo vivibile!
6.5 Invertire la tendenza
La crisi che stiamo attraversando è strettamente correlata al tipo di
cultura anti-ecologista che si è affermata soprattutto in Occidente e in
tutta Europa. Infatti, come è stato analizzato nei capitoli prece­denti, dovremmo elaborare un nuovo pensiero volto al senso olisti­co delle cose
per iniziare a vedere e considerare l’uomo come parte integrante della
230
natura e non elemento estraneo e contrario ad essa.
Bisogna costituire un sistema comunitario e non individualistico ca­
pace di interrelazionarsi e che si adoperi per la nascita di comunità sostenibili, idonee a ridurre al minimo i danni che stiamo recando al nostro
pianeta e che agiscano nel rispetto di un piano ecologico che tuteli il
nostro ecosistema. Queste sono delle priorità non più riman­dabili in
quanto il livello di crisi ambientale ha già raggiunto livelli di massima
allerta ed al centro adesso occorre collocare la natura e l’uomo. Sulla
materia trattata sono stati scritti molti libri e redatti molti do­cumenti
ma voglio soffermarmi su uno in particolare ed invero il mio interesse si
rivolge, nello specifico, al libro scritto dal fisico e saggista Fritjos Capra,
“Il Tao della Fisica”. Nelle sue pagine Ca­pra si contrappone al modello di
scientificità di Cartesio presente nel mondo occidentale e basato su una
impostazione meccanicisti­ca, quantitativa e riduzionistica, che non può
trovare corrispondenza con la complessità del mondo reale. Capra cerca
quindi di ridimen­sionare l’egemonia dell’uomo sulla natura per riportare quest’ultima al centro dell’esistenza dello stesso e lo fa affidandosi alla
filosofia e alla religione orientale (Taoismo, Buddhismo, Induismo) le
quali, secondo l’autore, rappresentano il punto di svolta per cambiare la
nostra vita e migliorarne la qualità. Seguendo tale orientamento, il fisico
pone un problema fondamentale per cambiare il corso delle cose, ovvero
l’assenza nella nostra società di una vera e propria eco alfabetizzazione
degli uomini, processo basilare per la sopravviven­za dell’umanità nel suo
complesso. Avere una educazione ecologica dovrebbe essere, secondo le
teorie di Capra, il vero valore formati­vo per ripartire verso una forma
di società sostenibile per il nostro ambiente. Il pensiero dello scrittore
prende ispirazione dall’ecolo­gia profonda, di cui si è parlato nei capitoli precedenti, ben lontana dall’ecologia superficiale che si struttura in
senso antropocentrico e pone gli uomini in una posizione di dominio
sulla natura (mondo­ambiente), dando ad essa un mero valore di utilità
e strumentalità. Nell’ecologia profonda, il rapporto tra uomo e natura è
strettamente connesso poiché l’uomo stesso ne è parte integrante. Questa visione critica ha, in sintesi, come obiettivo quello di voler ribaltare
il siste­ma di società in cui viviamo, soprattutto quella occidentale, anche
se dobbiamo prima cambiare il nostro punto di vista per poi iniziare a
231
cambiare il mondo che abitiamo. La teoria di Capra, critica verso il commercio globale, è spiegabile anche a livello pratico, basti pensa­re anche
solo al modo in cui concepiamo l’uso del nostro territorio e l’utilizzo
delle risorse del nostro pianeta. La produzione ed il traspor­to di un bene
costano in termini di lavoro ed incidono enormemente anche sul consumo di risorse e di inquinamento, perciò il prezzo di un prodotto dovrebbe rispecchiare sia il consumo delle risorse nella fase di produzione, sia
l’inquinamento determinato dal suo trasporto. L’auspicio è dettato dalla
prospettiva di immaginare un mondo che produca nel rispetto della natura e delle possibilità che essa offre, anche riducendo la produttività. Secondo Capra, infatti, continuan­do così le risorse della Terra potrebbero
esaurirsi con conseguente aumento dell’inquinamento e con lo svantaggio di precludere altre possibili strade di sviluppo impoverendo, altresì, il
territorio ma considerano anche che un’economia non sostenibile, oltre
a porta­re l’esaurimento delle risorse naturali crea anche un finto benessere delle zone più svantaggiate. Seguendone ancora il pensiero, infatti,
per i Paesi più poveri bisognerebbe iniziare a concepire un sistema che
dia loro conoscenza e mezzi per uno sviluppo intelligente ma anche che
tuteli il territorio e che utilizzi tecnologie ecosostenibili (gas naturale,
energia solare, eolica).
A titolo di chiarimento, quando si parla di tecnologia Ecosostenibile
ci si riferisce a quelle tecnologie che si basano su energie rinnovabili, ovvero che traggono energia da fonti naturali e non esauribili e che, perciò,
avrebbero un impatto più sostenibile per il nostro pianeta. Quello delle
energie rinnovabi­li e sostenibili non è l’unico aspetto che permetterebbe di
costruire un sistema più rispettoso e attento alla salvaguardia della salute
del nostro pianeta ed invero, partendo dalle fonti di energia dovremmo
poi giungere agli aspetti riguardanti la produzione e la commercia­lizzazione
degli OGM, di cui abbiamo largamente parlato, ma anche del riciclo dei
rifiuti, altro tema già affrontato in queste pagine. Il tema dell’utilizzo degli
organismi geneticamente modificati in cam­po agroalimentare è appunto
al centro di numerose discussioni tutta­via, rimangono inattese molte domande sui rischi derivanti da questi prodotti e si palesa ancora lontana la
risposta e la soluzione politica che dovrebbe regolamentarne l’utilizzo e la
commercializzazione. Rimango pertanto fermo sulla mia convinzione che
232
gli organismi modificati geneticamente sono dannosi per la salute di noi
tutti per­ché altamente tossici e rappresentano quindi un fattore di rischio
di inquinamento per i territori e le fonti idriche.
Manipolare e di conseguenza sconvolgere il deflusso naturale della natura vuol dire creare la possibilità di far scomparire la biodiversità, facendo
così prevalere una produzione programmatica basata solo sulle rigide leggi
del commercio e del facile guadagno. Estremamen­te decisiva sarà pertanto
la svolta che decideremo di intraprendere anche nel campo dello smaltimento dei rifiuti, la loro gestione preve­de infatti un insieme di procedure
e meccanismi atti ad amministrar­ne le intere fasi dello smaltimento: raccolta, trasporto, trattamento, riciclaggio ed infine, appunto, smaltimento.
Proprio negli ultimi anni si è mostrata maggiore attenzione verso questi
processi al fine di ridurre gli effetti dannosi sulla salute dei cittadini e
sull’impatto am­bientale, situazione che può realizzarsi solo incoraggiando
il rici­claggio dei rifiuti e cercando di sfruttare al meglio le risorse naturali.
Il cammino, però, è ancora lungo e la svolta per un pianeta più sano
appare lontana. L’obiettivo che deve appartenere a noi tutti, in quanto solo
conside­randoci comunità riusciremo a portare avanti questa “rivoluzione”,
deve essere quello di regalare al nostro mondo un nuovo respiro, attuare
la svolta perché solo così riusciremo a conservare e custodire un pianeta
vivibile e vivente per i nostri figli. Bisogna costruire un nuovo modello di
sviluppo economico più attento alle esigenze della solidarietà e orientato
al bene comune perché salvaguardare la Terra è salvaguardare noi stessi.
Occorre quindi cambiare per continuare a vivere in e con il nostro pianeta.
6.6. Governance e territorio
In una tale congiuntura di disagio sociale e crisi economica al fine di
riorganizzazione il sistema produttivo e dello stato sociale, di seguito si
presenta l’intervento del Dott. Lucido Di Gregorio attraverso il quale si
vuole porre l’accento su una nuova gestione strategica sia per elaborare
processi di pianificazione che per sviluppare metodi e strategie per la
gestione dei mutamenti spaziali e territoriali.
233
“Piani urbanistici equitativi e solidali, Governance
e modelli di sviluppo locale”
Il diffuso disagio sociale, drammaticamente vissuto a causa dell’im­
perante crisi economica e congiunturale, pone in secondo ordine ogni
riflessione e qualsivoglia questione che possa interessare una generale
riorganizzazione del sistema produttivo e dello stato sociale direttamente
connessi al regime dei suoli e alle politiche di assetto urbano e territoriale. Persino le proposte di riforma, in discussione a livello politico e
parlamentare, non valgono a meritarsi un’adeguata attenzione ed un appropriato consenso popolare idonei a trasferire nel dibattito politico quel
reale bisogno di cambiamento che, dal bas­so, viene invocato da almeno
un paio di decenni. Al contrario, sembra che l’armamentario partitico,
o comunque le aggregazioni di maggior peso elettorale stiano proponendo modelli apparentemente riformisti, in realtà per niente garantisti da
un punto di vista della diretta partecipazione popolare; invero, al di là
dei con­tenuti e degli orientamenti, le proposte attualmente in discussione sulle riforme istituzionali, in particolare sulla riforma del Senato
e delle Provincie, non esprimono grandi slanci per una reale riorganiz­
zazione delle istituzioni e della pubblica amministrazione, o comun­que
per ottenere una urgente sburocratizzazione dei procedimenti e per uno
snellimento del sistema di gestione dei vari settori operativi. Il bisogno
di cambiamento è da molti in realtà percepito, prima anco­ra che per una
seppur necessaria riforma del sistema elettorale2, per garantire una maggiore flessibilità del rapporto con la pubblica am­ministrazione riguardo
le procedure amministrative e di conseguen­za del Welfare nella sua esternazione più completa. Con la Legge Bassanini, difatti, se da una parte
sono state conferite funzioni agli enti locali esaltando l’autonomia e le
peculiarità dei diversi ambiti territoriali, dall’altra sono stati assegnati
compiti decisionali e di re­sponsabilità individuale all’interno della struttura burocratica della pubblica amministrazione completamente slegati
dalle azioni di in­dirizzo politico e tali da consolidare, ad oggi, un vero e
proprio pote­re gestionale individuale, incontrollato e spesso corrotto. È
comune il convincimento, infatti, secondo cui l’attuale sistema di cor2
Pur sempre in termini di garanzia per una effettiva partecipazione popolare alle
scelte di democrazia e di politica, non solo nazionale.
234
ruttela nel nostro Paese non trae tanto origine dal sistema politico in se
stes­so quanto più, dall’estrema burocrazia e dalla malagestione impo­ste
da molti funzionari che occupano posti chiave all’interno della struttura decisionale della pubblica amministrazione, riuscendo così a rendere
ancora più rigido il rapporto con i cittadini e con il fragile sistema produttivo. È quindi del tutto evidente che una connotazione della pubblica amministrazione, già a livello locale (soprattutto quel­la periferica),
attestata su posizioni di potere individuale di questo o quel funzionario
potrà essere troppo spesso utile e strumentale al po­tere politico ma di
certo non sarà in grado di garantire, per il futuro, livelli di sostenibilità
tali, da sopportare le necessarie procedure di semplificazione e di rilancio
dell’attività amministrativa.
È quindi necessario, per questo e per tanti altri motivi, incominciare
a parlare di nuovi temi inerenti l’attività di concertazione ed il per­corso
amministrativo a sostegno della sussidiarietà e dello scambio negoziale
riguardo la futura attività della pubblica amministrazione locale. Adottare nuovi e più flessibili meccanismi di attuazione dei processi significa, in
concreto, affrontare con determinazione tutte le questioni che riguarderanno l’azione di “Governance” rispetto le quali sono sempre più chiamate a misurarsi sia la componente politi­co-amministrativa che la struttura
di gestione delle amministrazioni locali. I temi del rilancio economico,
pertanto, dovranno affrontare gli interessi e le diverse connotazioni dei
“sistemi locali” da interpre­tare, a loro volta, non più come esclusivi ambiti territoriali ma come vera e propria opportunità di strutturazione del
sistema produttivo ed occupazionale di un determinato luogo. Nell’impossibilità di orien­tare, così come in passato, sia in campo economico
che in quello dell’occupazione le politiche nazionali verso piani di sviluppo set­toriali di larga scala3, i “sistemi locali” appaiono l’unica possibilità
che si manifesta ancora percorribile, in termini di programmazione articolata e complessiva, in grado di garantire una qualche possibi­lità di rilancio economico ed occupazionale soprattutto nei settori turistici, cultu3
Pensiamo al peso e ruolo della politica a livello nazionale tutto ciò che stato fatto
in pas­sato in termini di politiche agrarie e di sviluppo industriale, per i piani energetici
nazionali, alle politiche sindacali per l’affermazione dei contratti nazionali di lavoro e
non solo.
235
rali, artigianali ed agricoli di qualità. Ciò in quanto la globalizzazione
impone da sempre un differente approccio al tema dell’organizzazione
produttiva e del mercato del lavoro, del siste­ma della mobilità e della distribuzione delle merci, come anche del recupero, della riqualificazione e
rigenerazione urbana ma, ciò che si impone con maggiore impeto, è la
necessità di programmare un nuovo e diverso sistema di gestione delle
relazioni tra pubblico e privato. Oggi viene chiesto alla politica non solo
maggiore determi­nazione nelle scelte legislative ma anche grande coraggio nel predi­sporre norme che agevolino l’affermazione di un effettivo
processo di modernizzazione che vede sempre più coinvolti capitali e risorse private nell’ambito della programmazione e della realizzazione de­gli
interventi pubblici ove, la “negoziazione urbanistica”, ad oggi, spaventa
quasi quanto la lottizzazione negli anni sessanta e settanta, nonostante
poi si sia capito che, in quanto strumento di attuazione, era ed è forse
quello di maggiore garanzia. Col tempo si è finalmen­te compreso che le
scelte speculative sono da ricercarsi fin dal loro esordio e quindi, in coincidenza con le opzioni di pianificazione che assegnano differenti destinazioni agli ambiti territoriali individuati in sede di definizione degli strumenti di pianificazione. Volendo perseguire un determinato filone
culturale, che per fortuna non si sta attestando come dominante, la speculazione edilizia si ritiene fine a se stessa in quanto semplicemente legata al sistema di produzio­ne edilizio di matrice capitalistica piuttosto che
alle scelte politiche della pianificazione, quasi sempre condizionate da
uno specifico im­pianto normativo che ne indicherà una determinata evoluzione. Si è poi giunti, finalmente, a comprendere che bisognerà innanzitutto in­tervenire a monte con la definizione di nuovi meccanismi legislativi in grado di garantire un reale controllo dell’esercizio attuativo4,
così da riorganizzare col tramite della strumentazione di ambito locale e
dando comunque per scontato che bisognerà procedere con una certa
fretta alla completa revisione della Legge Bassanini5 (almeno nella parte
4
La Governance non potrà assicurare accettabili livelli di controllo delle scelte se non
sup­portata da un impianto normativo adeguato che ne accompagna i processi di pianificazione, né potrà mai garantire la “qualità” e gli “standard” abitativi e di salvaguardia
del territorio richiesti da una moderna concezione dell’organizzazione della società civile.
5
Legge n. 59 del 15 marzo 1997 e successive modifiche e integrazioni.
236
che riguarda l’assegnazione di ruoli, compiti e responsabilità ai responsabili del procedimento). Il dibattito culturale ed urbanistico ha la necessità (ed il dovere) di approfondire alcune questioni che riguardano l’introduzione di nuovi meccanismi di intervento in ese­cuzione alle scelte di
pianificazione, e comunque di programmazio­ne della pubblica amministrazione locale, basti pensare, ad esempio, alle attuali difficoltà normative e attuative che si presentano oggi alla pubblica amministrazione nella
fase della programmazione de­gli interventi di rigenerazione urbana, soprattutto se in ambito con­solidato, per non parlare poi dei meccanismi
di sostegno economico nel caso di particolari misure comunitarie. Da
sempre, la storia ur­banistica è coincisa con condizioni di conflitto sociale
rispetto ad interessi contrapposti tra pubblico e privato e di condivisi interessi speculativi che hanno determinato gli scempi, alcuni dei quali anche molto gravi, che siamo abituati a vedere. La tendenza vuole essere
quella di conciliare gli interessi che una volta confliggevano affin­ché siano create le migliori condizioni sulla base di quelle che amo definire
“reciproche convenienze”, ove la questione più delicata non risiede
nell’accettare culturalmente che l’interesse privato coincida con quello
pubblico6 bensì, nella capacità di dotare la pubblica am­ministrazione dei
necessari strumenti e mezzi capaci di consentire un effettivo controllo dei
fenomeni evolutivi nel rispetto della liceità dell’esercizio urbanistico ed
amministrativo col tramite, inoltre, di nuovi strumenti normativi e pianificatori che abbiano la capacità di assicurare un giusto ristoro agli investitori privati e salvaguardare, al contempo, gli interessi collettivi ed ogni
aspirazione legata ai bi­sogni, anche inespressi, dei cittadini residenti,
considerati portatori di legittimi ed equanimi interessi. Da sempre, la
cultura urbanistica si è interrogata sulla possibilità del reale verificarsi di
tale evento e soprattutto sulla questione che la coincidenza degli interessi
pub­blici e privati fosse la premessa per pensare a livelli di garanzia tali da
ottenere una reale affermazione di più alti livelli della qualità dell’abitare
e del paesaggio artificiale, così come della salvaguardia di quello naturale.
In pratica, condizioni che rimanderebbero a criteri di gestione dell’attività programmatoria degli interventi pubblici e privati sulla base delle “re6
Anche se col rischio scontato di implicazioni speculative insite nel rapporto con la
pubblica amministrazione locale.
237
ciproche convenienze”, di fatto, rinviano anche ad una diversa connotazione e teorizzazione7 della disputa in relazione al rapporto tra “bene
comune” e “bene privato”. La piani­ficazione urbanistica locale, oltre a
definire le modalità ed i pesi ur­banistici derivanti dal fabbisogno residenziale, non può prescindere dall’affrontare le questioni legate al sistema
economico e produttivo fissando anche i temi ed i presupposti per il
consolidamento delle opportunità dello sviluppo direttamente funzionali alla salvaguardia delle risorse sia ambientali che territoriali. In tale quadro, i fattori dello sviluppo economico vanno riconosciuti come coincidenti con i valori del suolo e delle culture locali, considerando inoltre i
piani urbanistici quali strumenti di lettura e di produzione di norme che
dovranno interpretare al meglio le direttrici di assetto urbano e terri­
toriale. Il bilanciamento degli standards pregressi e la previsione dei servizi collettivi rappresentano quindi i presupposti essenziali per la salvaguardia di più alti livelli della qualità dell’abitare e per l’affer­mazione di
una nuova cultura del bene comune. L’equità e la solidarietà urbane possono rappresentare la principale attribuzione di nuovi valori da porre alla
base del processo di pianifi­cazione locale; infatti, con queste prerogative
e nella direzione di un maggiore approfondimento dei temi legati allo
sviluppo dei “sistemi economici locali”, ho approntato preliminarmente
alcuni assunti che richiamano nuovi termini per l’approccio alla pianificazione locale basati sui principi dell’identità territoriale, dell’equità e
della soli­darietà urbane che occorre interpretare anche in termini di recupero della matrice di nuovi valori condivisi. Un esempio pratico è dato
dalla Regione Campania che ha recepito un elemento di grande va­lore
innovativo approvando, secondo il comma 141 dell’art. 1 della legge regionale n. 5/2013, un emendamento integrativo dell’art. 33 della legge
urbanistica regionale n. 16 del 22 dicembre 2004 (Nor­me sul governo del
territorio) la quale, con l’introduzione del com­ma 2 bis, prevede che: “Per
selezionare i comparti e gli ambiti nei quali realizzare interventi di nuova
urbanizzazione, trasformazione, sostituzione, rigenerazione o della riqualificazione urbana e territo­riale, il comune può attivare, con o senza pre7
Evidentemente non solo linguistica ma concettuale, attraverso una pi approfondita
let­tura dei fenomeni di innovazione normativa e comportamentale che implichino una
effettiva ridefinizione di compiti e ruoli, come delle relazioni istituzionali.
238
ventiva manifestazione di interesse, un concorso pubblico mediante un
bando ad eviden­za pubblica, per valutare le proposte di intervento che
risultano più idonee a soddisfare, anche con volumetria premiale, gli
obiettivi di più rilevanti interessi pubblici e più elevati standard di qualità
urba­na ed ecologico-ambientale definiti dal PUC. Al concorso possono
prendere parte i proprietari singoli o associati degli immobili situati negli
ambiti individuati dal PUC, nonché gli operatori interessati a partecipare alla realizzazione degli interventi. Alla conclusione delle procedure
concorsuali il comune stipula, ai sensi degli articoli 12 e 37, un accordo
con gli aventi titolo alla realizzazione degli interventi in quanto aggiudicatari del concorso.”8 Nella sintesi del testo “Ol­tre la perequazione. Per
una nuova generazione di piani urbanistici squittivi e solidali”, si esplica
che, nel caso della Regione Campania, l’ente assume una funzione legislativa fortemente innovativa e un ruolo di assoluto primato a livello nazionale dove la condizione de­rivante da una scelta di pianificazione urbanistica, non può determi­nare ancora disuguaglianza tra i cittadini o
essere causa di discrimi­nazione economica e sociale, al contrario deve
identificare un’attri­buzione di qualità edificatoria socialmente condivisibile, atteso che il diritto edificatorio non è legato a un’oggettiva attribuzione della proprietà immobiliare in quanto tale, bensì al riconoscimento
di una riserva di privilegio che si concretizza attraverso il rilascio di un
ti­tolo abilitativo. Tutto ciò presuppone, quindi, il riconoscimento di una
condizione di “indifferenza localizzativa” dei nuovi interventi di trasformazione urbanistica all’interno di un determinato “Campo di interesse urbano” o “Distretto urbanistico”, da esplicitare attra­verso l’applicazione di nuovi meccanismi partecipativi e concorsuali e, oltre a ciò, anche una
moderna visioning dei dispositivi di pia­nificazione urbanistica (generanti
condizioni di effettiva equità nel distribuire i benefici derivanti dall’attività edificatoria, dal sistema di produzione edilizio e dal mercato immobiliare) che non può prescin­dere dal considerare meccanismi di riconoscimento di un legittimo ristoro per i soggetti proprietari di aree
sottoposte a regime vincoli­stico o di limitazione dei diritti edificatori e
per tutti quei cittadini non proprietari di suoli.
8
Sull’argomento si veda la recente pubblicazione “Oltre la perequazione. Per una
nuova gener­azione di piani urbanistici equitativi e solidali”. Europa Edizioni - Roma 2014
239
La logica del profitto e del massimo ricavo legata alla rivalutazione
immobiliare, che da sempre si è affermata ad esclusivo appannaggio dei
soli imprenditori privati9, dovrà necessariamente comportare la cessione alla collettività di quote sostanziali dei benefici economi­ci derivanti
dall’attività edificatoria considerando che la produzione edilizia è una
cosa mentre, la rendita immobiliare e la speculazione sono ben altra. In
conclusione, al di là del contesto specifico di rife­rimento, la proposta di
un piano urbanistico equitativo e solidale si pone l’ambizioso obiettivo
di rappresentare una metodologia appli­cabile in termini assoluti e generali, rispetto qualsivoglia contesto territoriale, in un momento nel quale i
tempi sono davvero maturi per scelte di equità atte alla definizione delle
destinazioni urbanistiche e alla scelta delle aree edificabili e di trasformazione urbana. Le teo­rie affermate rappresentano, pertanto, una preziosa
opportunità per stimolare la ricerca di nuovi indirizzi e maggiori approfondimenti all’interno del processo di una sempre più ampia identificazione del­la città contemporanea dove il “Governo del territorio”, a cui
si farà in futuro sempre più riferimento determinerà, per le amministrazioni locali, non solo le uniche vere opportunità di sviluppo territoriale
e urbano, quanto più l’opportunità di definire scelte strutturali per una
riorganizzazione delle sistema produttivo e della circolazione delle merci,
dell’ottimizzazione del terziario e dell’artigianato, anche at­traverso il potenziamento e la valorizzazione delle risorse disponi­bili. La pianificazione
urbanistica e territoriale, pertanto, credo che assuma un ruolo di sempre
maggiore importanza laddove la capacità programmatoria, l’intelligenza
e l’intuito degli amministratori locali nel programmare e predisporre i
necessari atti amministrativi, insie­me all’adozione di scelte legislative adeguate, diventano le uniche possibilità che lasciano sperare in un sempre
maggiore rafforzamen­to del rapporto pubblico-privato nella gestione della futura attività amministrativa. Le scelte di equità e di solidarietà urbane sono poste, dunque, alla base della destinazione urbanistica delle aree
di espan­sione del tessuto urbano e nella definizione dei processi di riqua­
lificazione, rigenerazione e trasformazione del sistema insediativo locale.
9
Pur conservando in linea di massima dei margini sufficienti a soddisfare le attese
dei soggetti attuatori, ancorché privati in quanto soggetti portatori di interessi legittimi,
purché non di tipo meramente speculativo.
240
La proposta annunciata si configura pertanto come condivi­sione di un
processo di pianificazione urbanistica partecipata, fon­data su principi
equitativi e solidali da definire mediante procedura concorsuale e che
promuove l’introduzione di nuovi scenari per una moderna concezione
della Governance affidata alla pubblica ammi­nistrazione locale.
241
6.7. Illuminazione intelligente.
Le città intelligenti
Dopo decenni di evoluzione la tecnologia nel campo dell’illumina­
zione ha fatto enormi passi da gigante, soprattutto nelle grandi città, dove
è fortemente avvertita dai sindaci l’esigenza di trovare il giusto compromesso tra confort e dispendio di energia al fine di migliorare le condizioni di luminosità nelle città.
Nell’ottica di un “risparmio energetico” cosiddetto intelligente, al
fine di ridurre i costi energetici merita di essere sottolineata la nuo­va
emergente tecnologia cosiddetta “Illuminazione intelligente”, la quale
permette di coniugare due importanti risultati tra loro: -il mi­glioramento
delle condizioni di luminosità nelle nuove città a costi ridotti e con un
eccellente risparmio energetico nell’ordine del 70% rispetto agli attuali
consumi; l’evoluzione dei requisiti di sicurezza dei cittadini nella circolazione urbana grazie ad una illuminazione crescente e progressiva al passaggio degli stessi.
La tecnologia di ultima generazione, si avvale di sensori luminosi “intelligenti”, che sono in grado di intercettare passanti, biciclette e auto in
movimento nel raggio di azione di quaranta metri, inviando in conseguenza comandi ai pennelli LED per fornire una luce più intensificata
nell’area circostante e decidendo autonomamente il li­vello più appropriato di luminosità grazie alla capacità dei sensori di utilizzare solo il
70% della potenza durante la sera e il 110% di energia se qualcuno si
trova nel suo raggio d’azione.
La tecnologia di ultima evoluzione consente, a costi contenuti ed assolutamente competitivi rispetto agli attuali consumi, grazie an­che all’applicazione di nuovi dispositivi elettronici, di monitorare costantemente
il traffico cittadino, di calcolare i tempi di parcheggio reale, nonchè di
monitorare e migliorare i sistemi di sicurezza della città (rapporto incidenti ed altro). Questi dispositivi porteranno così le città “intelligenti”
al servizio dei cittadini. Tale nuova tecnologia, che ha avuto la sua necessaria ed opportuna fase di sperimentazione, è attualmente utilizzata
in Francia nella città di Tolosa, dove si sta discutendo sulla possibilità
di applicazione del progetto anche in altre città francesi, per poi essere
esportato in tutta Europa.
242
6.8 È davvero l’ora di cambiare
L’uomo agisce in maniera più o meno consapevole in vista di un fine e
in un continuo cercare si adopera, qualunque sia l’obiettivo da perseguire, con tutti i mezzi idonei ed utili a raggiungerlo. Compito dell’uomo è
proprio la promozione del bene primario e lo ricerca per tutto l’arco della
sua vita, con l’intento di ritrovare il valore ogget­tivo della dignità e della
struttura ontologica dell’uomo stesso. La persona umana è un essere che
congloba insieme l’aspetto psichico, fisico e spirituale, in quanto non se
ne può ben comprendere il signi­ficato ontologico se manca anche solo
una parte del suo contenuto, né si può disporre di una sola parte del
corpo per uso prettamente uti­litaristico. Il nuovo millennio dovrebbe
quindi, spinto da uno spirito di necessità, garantire una nuova visione
del mondo più permeata sulla volontà di un cambiamento radicale e
con una nuova imposta­zione complessiva che ne colloca al centro tre importanti principi chiaramente riconducibili alle regole della spiritualità,
dell’ecologia e, soprattutto, della filosofia olistica, quale filone portante
del nuovo modo di pensare e definire la vita. Ad oggi è difatti necessario
ac­cogliere il carattere più spirituale, intellettivo e morale dell’uomo, cercando di andare oltre la pura materialità e generando una sorta di appello alla persona umana per riscoprirne e riconoscerne i valori irrinunciabili ed orientarli per il raggiungimento del bene comune. La qualità della
vita assume così connotazioni differenti assecon­dando quelle di carattere
personalistico e valoriale dove meglio si percepisce la distinzione tra l’errato bisogno del continuo avere ed apparire e quello, più reale dell’essere, con la priorità di volersi con­notare di relazioni interpersonali più
intense. L’uomo oggi è ancora legato alla materialità, al visibile e quasi
per nulla tiene in consi­derazione l’aurea energetica, ai più invisibile, che
si connota come la parte più spirituale che riesce ad influenzare la psiche
e l’animo dell’essere umano. Occorre comprendere bene quali sono i valori e i principi fondamentali che definiscono l’agire etico nei vari aspetti
della vita umana ed invero, tali valori sono specificatamente tutto ciò che
permette di dare significato alle attività umane e alle esperienze che denotano la qualità e, finanche la perfezione, di un’azione o di un comportamento in quanto conforme al bene e alla dignità della persona umana. In
tale connotazione ben si può collocare il pensiero di Tommaso D’Aquino
243
che assegna un ruolo determinante all’inten­zione con la quale si agisce
e, in virtù di ciò, l’uomo ha sempre il dovere di comportarsi e scegliere
seguendo la propria coscienza retta e con l’intenzione di conoscere il vero
bene. Ogni persona è essen­ziale, è un’entità a se stante e, proprio in considerazione di ciò, non si può accettare che il bene vita sia posto in stato
di pericolo quanto più per la sua tutela e salvaguardia deve essere compiuta ogni idonea battaglia. Non bisogna difatti mai dimenticare che la
vita dell’uomo è un’esperienza unica e irripetibile che deve trovare la sua
colloca­zione, senza perdere l’essenzialità di individuo, nel sociale e nella
storicità dell’ambiente in cui vive. Ben si comprende perciò che non si
può più disporre a proprio piacimento della vita umana ma è ne­cessario
riconoscerne a priori il principio del rispetto e della difesa a cominciare
dal momento del suo concepimento fino alla morte e la nostra coscienza
deve essere in grado di riconoscere, accogliere e rispettare i valori irrinunciabili della vita stessa. In questa prospetti­va, considerevole importanza
ricopre allora il primario rispetto della vita fin dalle sue origini, dal suo
concepimento. Purtroppo sta scom­parendo l’essenza stessa della creazione dell’essere umano nella sua naturalità ed il rischio è che si finirà col
creare una sorta di bambola stereotipata, del tutto innaturale ma rispondente solo alla moda o alle richieste del momento e che acquista potere
attrattivo esclusivamen­te in un determinato frangente di tempo ma che
poi, magari nel lungo periodo, diventerà problematico ed insoddisfacente, rischiando cosi di far morire il valore etico e sacro del procreare per
ricadere in un gioco privo di regole e morale. Purtroppo, oggi, viviamo in
un mon­do nel quale è totalmente assente il senso della trascendenza della vita umana e quindi la percezione della sua intangibilità, non avendo
così più contezza del rispetto della vita e della sua sacralità. In tale ottica
vanno quindi scelti con oculatezza i valori ed i principi ai quali appellarsi in quanto contribuiscono a determinare il nostro comportamento, le
nostre priorità, i legami che stringiamo e la guida morale da perseguire. Tuttavia, pur potendo tra questi annoverare il perdono, l’onestà, la
libertà, l’amore, il rispetto per la vita e l’auto­controllo, nonostante la
loro importanza, tali valori morali sono oggi in forte declino. Peraltro la
definizione stessa di salute nella concezione dell’Organiz­zazione Mondiale della Sanità è pressoché sovrapponibile al concet­to di qualità della
244
vita, dal momento che per salute si suole intende­re non soltanto la cura
delle malattie ma anche la ricerca del pieno benessere fisico, psicologico
e sociale. Appare dunque palese come l’apporto che un diverso grado di
cultura, di conoscenza dell’arte o della religione, in persone che godono
dello stesso standard di salute fisica o di benessere economico e sociale,
possa meglio contribuire alla qualità della vita stessa.
Un altro filone di pensiero che si può accomunare a questa nuova
prospettiva è quello di vivere nel rispetto dello spirito ecologista se­condo
il quale, per raggiungere un livello adeguato di qualità della vita, occorre
affrontare la necessaria protezione dell’ambiente come se si approntasse
una terapia d’urgenza ove l’equilibrio delle forme di vita nel mondo e la
loro reciproca relazione a difesa della salu­brità dell’ambiente vitale sono,
invero, fattori ritenuti indispensabili per un miglioramento dello stile di
vita, rispetto la quale l’uomo è il fruitore principale, ma anche il maggior
responsabile del rapido degrado. L’ambiente e la natura, quale universo
di connessioni inseparabili, sono però considerati come un mero deposito di materie prime ma non bisogna dimenticare che i processi naturali
sono ciclici e nulla va perduto quanto piuttosto andrebbe riutilizzato,
invece, il più delle volte, anche i più recenti processi industriali producono inquinamen­to e rifiuti tossici. Si vive oramai in uno stato di entropia
crescente laddove in realtà si dovrebbe tendere alla chiusura del cerchio
appli­cando una conversione ecologica a tutti i processi produttivi. Ogni
cosa è connessa con ogni altra e c’è una sola ecosfera dove vivono tutti
gli esseri viventi sicché, ogni danno o semplice interferenza si genera a
discapito di tutti. La natura sceglie sempre la strada migliore e l’essere
umano diventa un abitante tra gli altri, un coinquilino che però, avendo
maggiori possibilità di scelta, deve anche comportarsi in modo maggiormente rispettoso e responsabile. In questa concezione immanentistica e
utilitarista manca inoltre, in senso assoluto, la capacità di dare significato
alla sofferenza: per­dere il senso dell’essere, della sua grandiosità silente e
misteriosa, della sua palpitante vitalità, vuole dire perdersi e non riuscire
più a percepire la bellezza della verità. Dimenticare il senso dell’obiettività e della trascendenza della norma etica vuol dire qualificarsi come un
mero oggetto che viene solo consumato, sfruttato. Quando 10.000 anni
fa ci siamo separati dalla Terra per cominciare a dominarla, da allora,
245
giorno per giorno, si assiste ad una continua accelerazione del processo
di devastazione ecologica e sociale che si è adusi chiamare civiltà. Basta guardarsi attorno per notare che oggigiorno si vive in un am­biente
privo di significato e di demarcazioni, confinati in spazi chiu­si, ormai
diseducati ai rapporti umani ridotti all’essenziale e privi di ogni significato; insomma, osservare ciò che ci circonda sicuramente non rasserena
l’anima. L’ampiamente anelata civilizzazione oggi appare tanto più una
scon­fitta piuttosto che una vittoria, eppure da essa risultiamo dipenden­
ti, avviluppati in un processo inarrestabile che, certamente, porterà alla
distruzione dell’ambiente e della natura più profonda dell’essere umano.
Ci troviamo dinanzi a due facce della stessa medaglia con l’umanità che
ha perso la capacità di adattarsi e comprendere l’am­biente circostante,
con la pressante necessità di un nuovo paradigma, una nuova visione
della realtà quale primo passo per dettare inedite regole del gioco e partecipare ad un mondo libero da condizionamen­ti che ci allontanano dalla
natura e, ancora peggio, gli uni dagli altri facendoci perdere la capacità
di comunicare. La civilizzazione per sua natura controlla e divora tutto
e, in tale pro­spettiva, l’uomo appare come addomesticato, scevro di ogni
rapporto fraterno di convivialità, in uno stato di perenne insicurezza che
per­vade la sua contemporaneità spingendolo a ricercare nuove forme di
immaginazione con l’intento di ritrovare quella sicurezza necessaria per
recuperare nuove vie del vivere insieme. Proprio quest’ultimo principio
si trova alla base del convivialismo, un originale termine capace di unire
tutte le differenze sotto un’unica bandiera promuo­vendo l’arte del con-vivere, del vivere insieme, che valorizza la re­lazione e la cooperazione e che
permette di contrapporsi in modo costruttivo prendendosi cura degli altri e della natura. Occorre oggi dare maggior forza al noi piuttosto che al
semplice io ed adoperarsi affinché la relazione predomini sull’individualità, cercan­do di creare un’interdipendenza che esprima una concezione
relazio­nale della persona che si colloca nella società certamente civilizzata
ma soprattutto conviviale, dove il fine ultimo è l’amicizia, la recipro­cità
fraterna ed i valori portanti sono l’etica e il bene realizzato. Viviamo nella
società della materialità e non dell’agire, dove si è annebbiati dall’ansia
della produttività e della redditività quando in­vece, spinti soprattutto dal
rispetto di una filosofia olistica, bisogne­rebbe ritrovarsi in una società del
246
benessere con una nuova nozione di qualità della vita, forse più selettiva,
che consiste nella capacità di godere e di sperimentare piacere come pure
in quella di autoco­scienza e di partecipazione alla vita sociale. Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumismo
sta pian piano logorando noi stessi come anche la sostanza del nostro
desiderio. È una guerra silenziosa, subdola e noi la stiamo perdendo. In
conclusione, per garantire la sopravvivenza dell’umanità serve adottare
un’etica globale che si può ben riassumere in uno dei più comuni insegnamenti di Gesù Cristo e cioè “Tutto quanto volete che gli uomini facciano
a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti” (Matteo 7:12
- Parola del Signore), che meglio si esplica in “non fate agli altri ciò che
non volete sia fatto a voi”, poi­ché una società che progredisce e persegue
l’ideale dello sviluppo, una volta soddisfatti i bisogni di base occorre che
persegua anche il soddisfacimento dei desideri e delle aspirazioni.
247
Capitolo 7
Malattie ambientali e inquinanti
7.1. Malattie ambientali
Le malattie ambientali sono generate da fattori nocivi ed inquinanti esistenti nell’ambiente in cui viviamo. Esse sono causate perlopiù da
elettrosmog, agenti aggressivi, prodotti di scarto dei processi lavorativi ed
a titolo esemplificativo possiamo citarne le seguenti: leucemie, al­lergie,
tumori, guasti genetici e patologie neoplastiche. Con l’avvento della rivoluzione industriale i progressi tecnici determi­narono un aumento deciso
della produttività, come anche l’uso di stru­menti meccanici ed un utilizzo diffuso di nuovi concimi chimici quali i nitriti, utilizzati come additivi
per insaccati, wurstel, carni in scatola ed altri prodotti a base di carne,
pesci marinati, prodotti caseari, che aumentano il potenziale cancerogeno in quanto presentano un’alta tos­sicità per l’uomo, ancor di più per
i bambini. La pericolosità di queste sostanze è dovuta anche al fatto che
in un ambiente acido, come può essere quello delle stomaco, le stesse si
trasformano in acido nitroso il quale, a sua volta, legandosi alle ammine
da origine alle nitrosammine e, tale processo, dà origine ad un composto
cancerogeno dannoso per la nostra salute. Un altro esempio di utilizzo
di sostanze chimiche, già ampliamente analizzato nei precedenti capitoli,
è identificabile negli ftalati, ovvero quei prodotti chimici che vengono
aggiunti alle materie plastiche per migliorarne la flessibilità (contenitori
per cibo, giocattoli ed altro) e che sono una vera minaccia poiché altamente tossici. An­cora, un caso emblematico in materia che per anni e
nel silenzio delle Istituzioni ha messo a rischio la salute dei cittadini, è
quello dell’IL­VA di Taranto-Italia, stabilimento che si occupa prevalentemente del­la produzione e della trasformazione dell’acciaio, divenuto nel
nostro paese un caso tragicamente emblematico. I danni causati dall’attività dello stabilimento sono talmente elevati che i cittadini di Taranto
con­tinueranno, purtroppo, a pagarne le conseguenze, talvolta anche con
la loro vita, almeno fino alle prossime tre generazioni. I dati sono scon­
249
certanti in quanto anche nei quartieri vicini alla struttura si riscontra un
malato di cancro ogni 20/30 abitanti ed il tasso di inquinamento è talmente elevato che, per rendere più comprensibile, è come se dei bambini
in età media compresa tra i 7-8 anni fumassero all’incirca 20 sigarette al
giorno. La prevenzione è quindi strettamente necessaria per eliminare lo
stra­volgimento naturale dell’ambiente e, per garantirla, occorre impedire
dall’origine ulteriori fonti di inquinamento cercando inoltre di limitare
i danni di quelle già esistenti. La percentuale degli uomini che vivono in
prima persona le malattie causate dai disastri ambientali aumenta continuamente e la responsabilità è di chi non comprende che, così facendo,
non solo non si garantisce il rispetto verso il prossimo ma neanche per la
propria vita. Non si può più parlare o far esistere “terre pure e terre impure”, spetta all’uomo farsi fautore della protezione del pianeta e la sua
missione è proprio quella di indirizzarsi verso il cambiamento che deve
avvenire per l’uomo e col tramite dello stesso.
In conclusione, l’indifferenza può essere sconfitta solo con coraggio
ed attraverso un reale cambiamento nel rispetto della vita in tutte le sue
forme.
7.2 Multiterapia Biologica ed Energetica nella prevenzione e nel
trattamento del­le patologie neoplastiche
Elementi salienti dei tumori solidi e liquidi si possono rilevare nella
abnormemente elevata velocità di crescita e nelle anomalie morfologi­che
degli elementi cellulari neoplastici. Obiettivo essenziale della terapia biologica, proposta secondo il proto­collo MDB, è la riduzione della velocità
di crescita nonché la norma­lizzazione della morfologia cellulare concomitante. Proprio per ridurre tale velocità, sempre secondo il predetto protocollo MDB, si possono sfruttare elementi squisitamente fisiologici come
i cosiddetti fattori di crescita. La riduzione di questi fattori, o la somministrazione di fatto­ri specifici contrastanti, dovrebbe gradualmente portare
alla riduzione della crescita, fino all’azzeramento e, conseguentemente,
all’invec­chiamento, quindi al graduale decadimento della cellula, condizione che potrebbe essere accelerata da fattori contingenti come quelli
comu­nemente adoperati nella chemioterapia corrente però a dosi migliaia di volte inferiori. Secondo le predette norme, l’aspetto tossicologico
250
della terapia antitumorale, come quello determinato dalla chemiotera­
pia, è completamente evitato. In tal caso, eventualmente, la morte del­la
cellula avverrebbe esclusivamente per l’invecchiamento pressoché fisiologico (apoptosi) della stessa. Sotto questo aspetto, il metodo po­trebbe
essere adottato praticamente su qualunque paziente indipenden­temente
dall’età, dalle condizioni fisiche e da eventuali concomitanti compromissioni di organi vitali ciò posto, pur se inibitori di fattori di crescita se ne
conoscono in alto numero, non tutti tuttavia ugualmente reperibili né
attivi.
Un fattore comune che interviene su un generale elemento di crescita
è la Somatostatina, ormone ipotalamico che riduce l’attività increto­ria
del somatotropo (GH) antipofisario e dei suoi derivati ad attività paracrina IGF1, IGF2 e SOMATOMEDINE, i cui recettori sono stati identificati e clonati in un alto numero di elementi cellulari. Tale azionenon
è però unicamente legata ai recettori stessi, non potendo escluder­si una
azione diretta della Somatostatina sugli elementi neoplastici. È inoltre
opportuno associare l’ACTH alla Somatostatina in presenza di alterazione della pressione arteriosa differenziale al fine di garantire gli effetti
desiderati mentre, in caso di ipokaliemia e di edemi degli arti inferiori,
l’uso dell’ATCH è fortemente sconsigliato. In ogni caso, dosi superiori
a 3 mg/die di Somatostatina non hanno dato risultati migliori, anzi con
6 mg assunti nelle 24 ore sono comparsi fenomeni di intolleranza. Pur
tuttavia, la crescita non è espressione solo delle Somatomedine in quanto
anche altri polipeptidi ad elevata massa molecolare, come la Prolattina,
possono generalmente intervenire nel processo di cresci­ta. Ed ancora,
in senso opposto, la Dopamina e la Bromocriptina, più facilmente disponibili, possono intervenire nella genesi prolattinica o prolattinemica
e quindi, anche, su un secondo potente fattore di cresci­ta. Un terzo elemento essenziale da prendere in considerazione, è dato dalla vitamina
A così come dai retinoidi e dagli esoergoni, determinan­ti anch’essi nella
crescita. Trattasi in questo caso, a volere intervenire col loro tramite, di
regolare la loro introduzione, il loro destino, il loro metabolismo e tutte
queste operazioni sono subordinate oltre che alle caratteristiche chimicofisi­che dei composti stessi anche ad una serie complessa e perfettamente
nota del loro meccanismo d’azione.
251
Il dato empirico sperimentale, più che quello dottrinario-chimico-fisico può, in questo caso, rappresentare l’elemento di riferimento
similmen­te a quanto avviene per l’alto numero di farmaco terapici, attivi e co­munemente usati, anche se dal meccanismo non rigorosamente noto. Difatti, attraverso il ruolo sulla funzione visiva, la vitamina A
condi­ziona la funzione dei ritmi circadiani legati all’alternanza luce-buio
o, per meglio dire, attraverso l’azione genetica viene regolata la crescita
e il metabolismo cellulare col tramite di tutti gli effetti sui tessuti origi­
natisi da ciascuno dei tre foglietti embrionali, cioè la vitamina esercita
i suoi indispensabili effetti su tutti gli epiteli di rivestimento cutaneo e
delle mucose, nonché su tutti i connettivi. Oltre mille retinoidi sono stati
ottenuti per sintesi generando sia reti­noidi che retinali come gli acidi retinoici ed in conseguenza l’azione che si svolge in parte anche attraverso
i recettori nucleari, è in grado di modificare l’attività dei geni e quindi la
differenzazione e la riprodu­zione cellulare, la cancerogenesi. Sia gli elementi ipotalamici fornitori della somatostatina così come quelli mesencefalici principali forniti della prolattina, subiscono l’influenza fisiologica delle vie nervose di origine multipla aventi un centro importante nel
mesencefalo e un mediatore modulatore. La Melatonina, normalmente
sintetizzata in massima misura nei pinealociti, attraverso la ben nota influenza origi­natasi dal nucleo soprachismatico (SNC), decorrenti il mesencefalo e romboencefalo, emergenti dal midollo cervicale attraverso la
colonna intermedia laterale e le radici anteriori, con sinapsi a livello dei
gan­gli cervicali, finalmente ascendenti attraverso i plessi pericarotici e
in­nervanti la pineale, agisce sulle anomalie morfologiche degli elementi
cellulari neoplastici. Gli altri elementi nervosi della pineale stessa sono
dominanti dai gangli habenulari, da quelle commisurali e dalle vie abe­
nuloipofisarie.
In sintesi, su queste basi si fonda il principio del MDB ormai speri­
mentato in un affidabile numero di pazienti affetti da neoplasie solide o
liquide. Il protocollo, da quanto emerge da ciò che si è appena detto, dovrebbe articolarsi sull’impiego della Somatostatina e degli inibito­ri della
prolattina, come sulla regolazione del metabolismo e quindi dell’azione
dei retinoidi (anche della vitamina D3). Il tutto con la mo­dulazione della
melatonina. Si parla pertanto di un metodo squisitamente pragmatico,
252
senza però uscire da rigorose basi scientifiche, basato sulla concomitanza
di azio­ne di questi quattro principi. Non esiste un solo rimedio anticancro e la ragione è insita nell’ecce­zionale complicanza scientifica della
cellula cancerosa pertanto, per trattare il tumore non ci si può affidare
solo alla somministrazione di sostanze ma anche al potenziamento degli
effetti. Parliamo quindi di calcolo combinatorio fattoriale secondo cui,
con quattro principi, non si quadruplica l’azione degli effetti, ma si ha
il potenziamento di que­sti effetti (1x2=2; 2x3=6; 6x4=24, cioè a dire 24
possibilità di cura). Si tratta di una azione che non interviene su un determinato organo o funzione ma sulla cellula, sulla velocità di crescita e
sul complesso di funzione che essa rappresenta.
Un ulteriore fattore nella prevenzione e nella cura contro le neoplasie
in un prossimo futuro potrebbe essere rappresentato dall’agopuntura, considerando che i pazienti ammalati di tumore subiscono notevoli va­riazioni
nei loro livelli energetici ed è pertanto di estrema importanza il riequilibrio
energetico dell’organismo, prestando inoltre particolare attenzione al trattamento che deve essere adeguato allo stato del pa­ziente e basato sull’evoluzione delle sue condizioni. Questo trattamen­to, secondo il principio del
calcolo combinatorio fattoriale, permette il concomitante potenziamento
della terapia MDB incrementando così le possibilità di cura.
Un altro fattore di importanza non trascurabile è la formulazione di
diete specifiche per i pazienti affetti da tumore, esse si devono basare su
criteri che rispettano una rigorosa preparazione tecnico scientifica e si
devono impostare su dati quantitativi (numero di calorie totali) e qualitativi (calorie da glucidi, protidi, lipidi, contenuto in sali minerali , rapporti
fra le varie classi di alimenti). La quantità assoluta ed i rapporti tra le varie classi di nutrienti variano infatti in rapporto alle condizioni trofiche
generali, a particolari turbe del metabolismo (diabete, cole­sterolemia e
trigliceridemia) ed a particolari affezioni (nefro-arterio­cardiopatie; gotta
ed iperuricemia; proteinuria; linfedemi; neuropatie). L’esecuzione pratica del protocollo MDB e delle terapie ad esso as­sociate, non offrono
difficoltà una volta che si dispone degli inibitori neurogeni e delle miscele vitaminiche che devono essere preparate se­condo rigidi schemi farmacologici evitando, però, l’impiego di sostan­ze come l’acetone. La sua
realizzazione è infatti tanto agevole e così scevra di inconvenienti da po-
253
tersi ritenere suscettibile universalmente di impiego, prendendo anche in
considerazione le naturali ed ovvie misure che ogni sanitario ha il dovere
di conoscere. Queste caratteristi­che terapeutiche consentono anche una
terapia domiciliare altrettanto efficace quanto quella ospedaliera.
Le obiezioni di natura pratica sono agevolmente smentite dalle decine
di migliaia di casi nei quali il protocollo MDB è stato praticato senza incidente alcuno ed i cui eventuali inconvenienti (nausea e vomito so­prattutto)
sono da attribuirsi alla deficitaria preparazione dei mezzi im­piegati, più che
agli stessi mezzi. Nel caso in cui tali effetti dovessero comunque presentarsi
e persistere in pazienti precedentemente trattati con chemio o radioterapia,
il ricorso all’agopuntura porterà comunque ad un miglioramento degli inconvenienti sopra citati. Inoltre, l’utilizzo dell’agopuntura si è dimostrato
efficace anche come trattamento anal­gesico, consentendo in tal modo una
sostanziale riduzione dei comuni farmaci antidolorifici.
La reperibilità dei mezzi raccomandati nel protocollo MDB non ha
riflessi scientifici, è solo questione economico-finanziaria, logistica, organizzativa e politico-professionale. Se si prescindesse da fattori ne­gativi di
questa natura, il metodo, anche sotto il profilo pratico, non offrirebbe
tante più difficoltà di qualunque altro.
Su queste basi si fonda il principio della Multiterapia dei Tumori.
Mentre il protocollo del MDB è ormai sperimentato in affidabile nu­
mero di pazienti affetti da neoplasie solide o liquide con risultati di affermata validità, la sua associazione con l’agopuntura è in fase di attuazione
con risultati che provano l’efficacia della sua combinazione.
7.3 Protocollo terapeutico per la cura e la prevenzione delle malattie
ambientali
Molte patologie ricorrenti in tema di inquinamento ambientale sono le
malattie neoplastiche. A titolo informativo e quale suggerimento di seguito
viene riportato un protocollo terapeutico, che talvolta risulta addizionale
rispetto quelli tradizionali, per la cura e la prevenzione di tali patologie.
Rimanendo in argomento, l’interrogativo è come poter rallentare gli effetti
negativi sull’organismo umano determinati dall’inquinamento ambientale
ed alimentare in attesa di cambiare il paradigma socio-cul­turale-ambientale
e la risposta più concreta sta nell’utilizzare prepara­zioni galeniche integran-
254
doli con alimenti naturali e non tossici. Il protocollo di riferimento è quello di preparazione galenica* da uti­lizzare almeno 3 volte l’anno per una
durata di 30 giorni e per un totale di 90 giorni complessivi:
SCHEMA PROTOCOLLO BASE
Mattina:
-miscela multivitaminica a base di Vitamina A10 e E11, da assumere 15
minuti prima della colazione;
Pranzo:
-durante il pasto assumere una dose di mezzo cucchiaino di vitamina C12;
Pomeriggio (ore 16.00-18.00):
-assumere per I.M. 1 fiala di Glutatione ridotto da 600mg
o 300 mg 2 volte al giorno;
Cena:
-60 minuti dopo cena prendere 2 compresse di melatoni­na coniugata13.
Tale protocollo andrebbe integrato con un trattamento di Agopuntura e Moxibustione. Inoltre, si consiglierebbe di bere circa 2 litri di acqua
viva e dinamizzata lontano dai pasti.
N.B.: Nel caso in cui si volesse utilizzare il protocollo terapeutico, si consiglia di
consultare preventivamente il medico di famiglia.
* “Il nostro futuro. Le medicine del Terzo Millennio” del Dott. Domenico Scilipoti
Isgrò edito da Edizioni Spes, 2002.
**La durata di ogni singola seduta di Agopuntura deve essere dai 30 ai 45 minuti circa.
***Formula della miscela: Vitamina A 0,5 gr. - Vitamina E 1000 gr. - Acido Trans-Retinoico 0,5 gr. - Betacarotene 2 gr.
10
Axeroftolo Palmitato 0,5 gr.
11
Alfatocopheril Acetato 1000 gr.
12
Acido Ascorbico 250 mg.
13
Melatonina 2 mg. con Adenosina 9 mg.
255
Prospettive per il futuro affinché i buoni propositi diventino realtà
Quale connubio e coronamento di una parte di quanto chiaramente
descritto e consigliato all’interno di questo libro, e forse anche in risposta
a tutti gli argomenti trattati, si è svolto giorno 7 novembre 2014, presso
la Sala delle Colonne della Camera Dei Deputati, il Convegno “La struttura Operativa della Protezione Civile”. L’ini­ziativa ha visto la partecipazione di molti personaggi di spicco tra i quali il Capo Dipartimento della
Protezione Civile, prefetto Franco Gabrielli, la presenza del senatore di
Forza Italia Domenico Scilipoti Isgrò, il dott. Bardonzellu dirigente del
Corpo Forestale dello Sta­to, il dott. Triozzi Comandante dei Vigili Del
Fuoco Organizzazioni Nazioni Unite, nonché i vari rappresentanti delle
strutture operative.
Dagli interventi rappresentati al convegno è emersa la necessità di
creare un continuo monitoraggio del territorio e di una sempre mag­giore
concertazione tra la politica e le problematiche ambientali che riguardano la vita dei cittadini.
È stata una attenta riflessione sul delicato ruolo degli organi preposti
alla salvaguardia del territorio e la vita dei cittadini, nell’ambito del servizio nazionale della Protezione Civile, soprattutto in un momen­to di forte
criticità meteo-idrogeologico come quello che adesso sta attraversando il
nostro Paese. Un appuntamento quanto mai impor­tante, che ha offerto
l’occasione per un’attenta riflessione sul deli­cato ruolo degli organismi
preposti alla salvaguardia del territorio e alla tutela dei cittadini in situazioni di emergenza, con un servizio che deve raggiungere il più alto livello
di professionalità possibile.
Appare oggi più che mai necessario predisporre una pianificazione
di emergenza generica, basata sugli scenari di pericolosità e di ri­schio,
con l’intento di attenuare la vulnerabilità ed affrontare il fab­bisogno fondamentale della popolazione. Bisogna quindi guardare all’ambiente ed
al territorio considerando anche, e soprattutto, le re­azioni sociali ed i
problemi “ecologici” generati ponendo l’accento sulle artificializzazioni
messe in atto dall’uomo.
Il termine “qualità della vita” pone l’accento sul benessere che unoo
più individui riescono a raggiungere nel medesimo habitat, poiché, quando un ambiente qualsiasi ha una buona “qualità di vita”, signi­fica che la
256
maggioranza della sua popolazione può fruire di una serie di vantaggi
politici, economici e sociali che le permettono di svilup­pare con discreta
facilità le proprie potenzialità umane e condurre una vita relativamente
serena e soddisfatta. Purtroppo, solo successivamente al 2000, il concetto di qualità della vita è stato sempre più spesso accostato a quello di
sviluppo soste­nibile, ciò specialmente in rapporto alla crescente consapevolezza della limitatezza delle riserve energetiche, legate al petrolio e al
car­bone, come anche degli effetti negativi di tante tecnologie moderne
sull’ambiente naturale, spingendo così l’opinione pubblica a chie­dersi
se tutti i progressi tecnologici siano sempre convenienti o se invece, i
danni provocati a lungo termine, ne vanifichino i vantaggi immediati,
anzi minacciano la qualità della vita delle generazioni future. Spinti dalla
necessità di cercare di porre un rimedio all’emergenza ambientale che sta
colpendo la Terra sembra che i potenti del mondo se ne siano ricordati
in un immediato e recente connubio. Difatti, giorno 11 novembre 2014
la Commissione Ambiente del Parlamen­to Europeo ha votato in favore
di norme più restrittive per la colti­vazione di Organismi geneticamente
modificati (OGM) in Europa, modificando così l’accordo preliminare
raggiunto tra gli Stati Ue lo scorso giugno e prevedendo invero che i
paesi europei possano vie­tare la coltivazione di OGM anche per motivi
ambientali. Ed ancora, giorno 12 novembre 2014, è stato stipulato un
patto tra giganti con uno storico accordo tra USA e Cina sulle emissioni
inquinanti di gas serra rappresentando così un chiaro senso di responsabilità collettiva attorno al tema dei cambiamenti climatici. Occorre ancora ricordare che il pianeta Terra, che l’uomo abita e sul quale vivono tutte
le specie viventi conosciute, è l’unico corpo planetario del Sistema Solare
atto a sostenere la vita così come la co­nosciamo, pertanto deteriorarlo e
mandarlo a morte significa tenere lo stesso comportamento anche verso
noi stessi.
257
“I Comandamenti verdi” di Papa Francesco
Pochi mesi prima dalla pubblicazione di questo mio scritto, Papa
Francesco ha firmato la Sua Enciclica dedicata alla salvaguardia del Creato. “Laudato Sì”, è questo il titolo dell’opera del Santo Padre, nella quale
definisce la Terra come “la nostra casa comune”. Una casa che va tutelata, amata e difesa. Il Suo vuole essere un appello alle nostre coscienze,
un monito per tutti che faccia riaccendere in noi la consapevolezza di
come il nostro modo di essere, di vivere e di rapportarci con gli altri
e con il mondo può fare la differenza. Il Pontefice adopera parole che
sono come frecce che puntano dritto all’animo di noi tutti. L’espressione
Creato ci fa rendere conto che tutto quello che abbiamo ci è stato donato
e che la nostra cecità, la nostra folle corsa verso il guadagno, il profitto,
la ricchezza sfrenata non possono e non devono uccidere ciò che, forse
immeritevolmente, ci è stato chiesto di custodire. Dimostriamo, allora, di
meritare tutto ciò. Il messaggio di Papa Francesco porta in sé la vita e allo
stesso tempo il mistero della nostra esistenza. L’autorevolezza del cuore
del Santo Padre può cambiare il mondo.
“I Comandamenti verdi”, così hanno soprannominato le parole del
Santo Padre. Ritengo straordinario, infatti, il lavoro del Pontefice che
con semplicità, carità, umiltà (qualità che appartengono a personalità
speciali come Papa Francesco) ha voluto ricordare all’umanità che avere
rispetto per il mondo equivale ad avere rispetto per il prossimo e verso
se stessi.
Ho avvertito la necessità di impegnarmi ad affrontare anche un tema
così delicato quale l’ambiente perché sono consapevole di come un atteggiamento sbagliato e prolungato nel tempo da parte degli uomini verso il
pianeta terra possa compromettere per sempre il nostro futuro.
L’uomo è al centro dell’ambiente e deve fruire delle risorse dell’ambiente stesso, rispettandone gli equilibri e cercando di minimizzare l’impatto che le tecnologie possono avere. Tecnologie che se da un parte
possono rappresentare, per il livello raggiunto, elemento di negatività, in
relazione agli impatti ad esse associati, dall’altra possono anche rappresentare un formidabile strumento per concorrere alla salvaguardia ambientale. Quanto detto si concretizza nello sviluppo di azioni in grado di
258
far diventare uno scarto una risorsa, traghettando il concetto di “materia
prima” (quelle messe a disposizione dal creato) a quello di “materia prima-seconda” (quelle che la fede e l’intelligenza dell’uomo ricava a partire
dai rifiuti). Un esempio concreto legato all’applicazione di tale concetto è rappresentato dal progetto nato dal lavoro di alcuni professionisti
che hanno a cuore il benessere della nostra Terra e che insieme hanno
deciso di fondare una società. “L’ America Latina Ambiente”, è questo
il nome della società, ha come principale obiettivo quello di sviluppare
una tecnica di trattamento integrato dei rifiuti finalizzato al loro completo recupero sia in termini fisici che energetici. Tale approccio si sposa
pienamente con le parole di Papa Francesco, parole che spianeranno la
strada, dissiperanno ogni dubbio, saranno come la manna per iniziare a
vivere rispettando la natura e la nostra Madre Terra.
In quanto politico avverto ancora di più la responsabilità di agire e di
spendere tutte le mie energie affinché i Governi del mondo, ed in particolare i Governi Occidentali e maggiormente industrializzati, invertano
la rotta, facendo proprio il messaggio del Pontefice e contribuendo a far
sì che il messaggio del Papa si trasformi in fatti concreti e reali.
259
Nota conclusiva del Prof. Gustavo Velis
Il testo del Sen. Scilipoti Isgrò mira a promuovere lo sviluppo e l’educazione integrale, cercando di rendere i cittadini più consape­voli, responsabili e attenti alle esigenze e ai bisogni del mondo te­nendo conto il
Paradigma del Terzo Millennio. Il testo sarà fondamentale per tutti quei
giovani che hanno a cuore le istanze ecologiche. Non posso non citare le
parole del nostro Papa Francesco:”Infine, desidero menzionare un’altra ferita
alla pace, che sorge dall’avido sfruttamento delle risorse ambientali. Anche se “la
natura è a no­stra disposizione” (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale del­
la Pace, 8 dicembre 2013, 9). Consapevolezza e rispetto per il nostro pianeta
e per noi stessi. Il libro è una corretta analisi della attuale situazione del
Patrimonio Ambientale e tutte le relative problematiche ad esso connesse
(in­quinamento, cattiva alimentazione...), tematiche che a volte vengono
sottovalutate o semplicemente poco analizzate. Il senatore Scilipoti Isgrò,
con il suo lavoro, punta a sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni
e scuoterle da quell’ apatia che li scollega da qualsiasi avvenimento di portata più o meno rilevante. Questo testo sarà uno strumento in grado di
aiutare a conoscere la complessità dell’am­biente dovuta all’interattività
dei suoi aspetti biologici, fisici, sociali, economici e culturali. In Argentina il testo sarà presentato l’anno prossimo in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico 2015 nella programma­zione Provinciale
“Guardianes Ambientales” e sarà destinato ad un pubblico di giovani studenti di tutte le Scuole della Provincia di Buenos Aires. Questo progetto
nasce dalla volontà del Deputato Rodolfo Manino Iriart della Camera
dei Deputati della Provincia di Buenos Aires proprio per l’interesse suscitato nell’ambito accademi­co dell’OPDS (Organismo Provincial para el
Desarrollo Sostenible), della Direccion General de Cultura y Educacion
y la Jefatura de Mi­nistros de la Provincia de Buenos Aires.
Prof. Gustavo Velis
Docente e Ricercatore della Facoltà di Scienza Naturali
presso l’Università Nazionale di Mar Del Plata - Argentina
Coordinatore provinciale del Programma “I Guraduiani dell’Ambiente”
260
Post-prefazione della D.ssa Carla Martins e del
Dott. Leo Da Silva Alves
Le varie problematiche inerenti l’ambiente, nonché le differenti pos­
sibili soluzioni ed interazioni in materia, sono identificabili anche in
alcuni stralci, di seguito riportati, di un testo in lingua portoghese in
tema di protezione ambientale armonizzata con il concetto di svilup­po
sostenibile. I successivi interventi sono opera della D.ssa Carla Martins
Consu­lente Giuridico Ambientale e del Dott. Leo Da Silva Alves insigne
giurista ed avvocato brasiliano, autore di oltre 40 libri e consulente di
molte pubbliche amministrazioni brasiliane.
Posfácio de juristas Brasileiros
Meio ambiente: implicações na vida moderna
A obra do senador da República Italiana Domenico Scilipoti visa de­
monstrar a importância da interaçâo do meio ambiente com o ser hu­
mano, representado ñas suas diversas esferas. Contempla urna gama de
problemáticas e respectivas soluções para atingir urna qualidade ambiental e consequentemente a segurança da vida. Membro de várias comissöes
internacionais, parlamentar italiano re­conhecido e médico com projeçâo
no mundo, o autor é especialmente familiarizado com a necessidade da
proteçâo ambiental que reflete diretamente no que se espera de melhor
para o futuro da humanida­de. Säo implicações como saúde, alimentaçâo,
ques-töes sanitárias, resíduos urbanos, gestäo de informacäo governmental e prevençâo- temas, enfim, de domínio do autor, que realiza parcerias com inúme­ros países em projetos e programas voltados à proteçâo
ambiental e ao resguardo dos direitos fundamentáis. Aproveitando ciclo
de conferências no Brasil, tem-se o lança-mento dessa obra, publicada
acertadamente na originalidade da língua ita­liana. E aproveita-se o espaço para singulares anotações sobre a di­mensäo do meio ambiente, que,
como sinaliza Domenico Scilipoti, merece urna visäo global. Sob este
261
prisma, é interessante apontar que o meio ambiente não se resume à
preservaçâo das florestas ou à ma­nipulaçâo adequada de detritos. A matèria comporta no mínimo très visöes que se devem harmonizar sob o
con-ceito de desenvolvimento sustentável: a dimensäo humana, a ecológica e outra econômica. É composto por todas as condiçôes naturais ou
artificiáis que regem as mais diversas formas de vida, ou seja, é a interaçâo
do conjunto natural, artificial, cultural e mental necessário ao desenvolvimento equilibrado da vida humana.
O meio ambiente na natureza é o solo, a água, o ar, a flora, a fauna e
o ser humano. Pode-se dizer que é representado pelos seres vivos e seu habitat. O meio ambiente artificial é o espaço urbano construído, somando
o conjunto de edificações (espaço urbano aberto ou fecha­do). Liga-se ao
conceito de território. Vin-cula-se a todos os espaços habitáveis. Diz-se
que é artificial porque resulta da criação huma­na. Compõe-se, ainda,
do meio tecnológico, que inevitavelmente ao longo dos anos alterou as
condições de vida da espécie humana, modificou as formas de pensar e
subs-tituiu hábitos; unificou povos, possibilitou a observação planetária,
que era impossível aos olhos do homem. O meio ambiente cultural compreende todos os patrimônios: hi­stórico, artístico, arqueológico, turístico
e paisagístico. Traz a pro­pagação de conhecimentos e comportamentos
de muitas gerações. Há que se considerar na modernidade o meio ambiente do trabalho, que, embora também artificial, recebe tratamento
distinto. A Con­stituição da República do Brasil o menciona no art. 200,
VIII. Isto porque a qualidade de vida do trabalhador está intimamente
ligada à qualidade do ambiente de trabalho; e a proteção e segurança
deste ambiente significa proteção à saúde dos trabalhadores diretos e das
populações externas aos estabeleci-mentos industriais. O meio ambiente
espacial, por sua vez, é uma concepção nova para um século que avança
sob o signo da tecnologia. Certamente consti­tui um meio ainda de difícil
definição, vez que não se pode definir como certo algo sobre o qual o homem não detém pleno conheci­mento. O Universo, ou seja, o meio ambiente espacial é composto por inú­meros planetas, berços de estrelas, lua,
sol, entre outras mara-vilhas naturais que embora sejam ou não de domínio e acesso de todos, integram o meio ambiente extraterrestre, ou meio
ambiente espacial, ou espaço exterior, ou simplesmente espaço. Todavia,
262
este cenário sideral, é um meio que sem dúvida, deve ser respeitado para
que, com a devida cautela, possa ser alvo de pesquisa e apro-veitamento
racional, ao invés de uma inconsequente exploração. Vale destacar que
o meio ambiente espacial encontra-se atual-mente quase que intacto das
ações humanas. Mas isso exige aten-ção dos pesquisadores de hoje, que
não podem enveredar de forma desenfre­ada na ânsia de, a qualquer custo, decifrar mistérios. Pode-se frisar que o meio ambiente espacial ostenta
em suas formas as mais diversas belezas e atributos naturais, que encantam a todos.
São energias que influenciam de forma direta na vida das pessoas; por
certo tem respostas que precisam ser alcançadas no âmbito da ciência.
Quem sabe nisso esteja o maior de todos os segredos: a ori­gem do Universo e da vida. Todavia, o ser humano deve ter a con­sciência que faz parte
indispensável desse meio ambiente, e que dele precisa para a sua própria
sobrevivência. Nessa linha, é preciso pensar o fenômeno ambiental na
sua amplitu­de, mas com a análise de cada estágio que o integra. É a sabedoria holística, com a sua riqueza, muito bem operada na obra referencial
do senador siciliano e cidadão do mundo, Domenico Scilipoti.
Carla Fabiana Melo Martins
graduada em Direito pela Universi­dade Paulista,
mestranda em Direito Ambiental (especialização em recursos naturais
e descontaminação de solo) Terrestre/Espacial pela Universidade Miguel
de Cervantes e pós-graduada em Gestão Am­biental e Psicopedagogia.
Presidente da Comissão Ítalo-Brasileira para Desenvolvimento Jurídico
Ambiental/Espacial. Diretora Jurídi­ca na Flama Florestal e Ambiental.
Conferencista em temas relacio­nados ao Direito Ambiental Espacial.
Membro da Rede Internacio­nal de Advocacia de Excelência, associação
de juristas da América do Sul, Europa e África;
e membro da SBDA - Associação Brasileira de Direito Aeronáutico
e Espacial. Autora do Livro Meio Ambiente Espacial - com enfoque
jurídico (publicado em 2011 - Brasil), e co­autora na coletânea Juristas
do Mundo (publicada em 2014 – Roma).
263
Posfácio de juristas Brasileiros
Pontos de risco e compromisso ético
O livro é inquietante, como irriquieto é o espírito do autor. Domenico Scilipoti tem movimentos ágeis, circulando no ambiente das ciências
exatas e das humanidades; erguendo tribunas, seja no meio acadêmi­co,
seja na efervescência da política italiana. Ocupa todos os espaços na ardorosa pregação pela qualidade de vida. O texto contundente que se afigura
é produto da visão holística acer­ca do meio ambiente. O termo holismo
origina-se do grego holos, que significa todo. No século VI antes de Cristo, o filósofo Heráclito de Éfeso dizia: “A parte é diferente do todo, mas
também é o mesmo que o todo. A essência é o todo e a parte”. Nessa
con-cepção, o autor aborda vários componentes de alta prejudiciali-dade
à saúde e à vida e, a partir deles, mostra o conjunto a ser preservado para
as futuras gerações. De pronto, o livro traz a inquietação com os riscos
que se apre-sen­tam a comprometer a saúde humana. Não é sem razão,
uma vez que as exigências cada vez mais complexas da sociedade moderna
ace­leram o uso dos recursos naturais, resultando em danos que colocam
em perigo a sobrevivência da humanidade.
Meio ambiente e saúde
Ao tratar dos reflexos à vida humana, Scilipoti não se refere apenas à
saúde como ausência de doenças, mas sim ao completo bem-estar físico,
mental e social dos indivíduos. Neste particular, é oportuna a remissão ao
art. 3º da Lei brasileira nº 8.080/90, onde se consigna que “a saúde tem
como fatores determinantes e condicionantes, en-tre outros, a alimentação, a moradia, o sanea-mento básico, o meio ambiente, o trabalho,
a renda, a educação, o transporte, o lazer e o acesso aos bens e serviços
essenciais”. O jornal “A Folha de S. Paulo” noticiou em outubro de 2004,
que as enormes quantidades de substâncias químicas encontradas no ar,
na água, nos alimentos e nos produtos utilizados rotineira-mente estão
diretamente relacionadas com uma maior incidência de cân­cer, de distúrbios neurocomportamentais, de depressão e de perda de memória, como
menciona Paulo Roberto Cunha em interessante pu­blicação de 2005.9
Na mesma linha, o Instituto Nacional do Câncer dos EUA, aponta que
dois terços dos casos de câncer daquele país têm causas ambientais.10
De acordo com pesquisa do Laboratório de Poluição Atmosférica Expe-
264
rimental da Faculdade de Medicina da cidade de São Paulo, estima-se
que cerca de 10% das mortes de idosos, 7% da mortalida­de infantil e de
15% a 20% das internações de crianças por doenças respiratórias tenham
relação com a poluição na atmosfera. O mesmo estudo mostra que os
moradores dessa capital, uma das maiores do mundo, vivem em média
um ano e meio a menos que as pessoas em cidades com o ar mais limpo.
O conjunto das preocupações
Os governantes devem ter consciência de que a casa, as ruas, o tra­balho,
as cidades - enfim, tudo o que cerca as pessoas nos seus co­tidianos - também fazem parte do meio ambiente a ser preservado. Cobra-se modernamente um olhar de preocupação com a poluição sonora e visual, o trânsito
e a mobilidade urbana, assim como em relação ao saneamento básico, as
relações pes-soais, o ar, a água e tudo o mais que possa assumir condição
degradante e comprometer a qualidade global do ambiente em que se vive.
Enquanto são tímidas as iniciativas oficiais, a comunidade acadêmica
e a sociedade devem sair em busca da reversão da tragédia anuncia­da,
passando a cobrar das administrações públicas a mudança de ati­tude.
Há que se estabelecer novos parâmetros de existência, forçan­do debates
políticos e ações de maior fôlego.
Degradação urbana
Domenico Scilipoti registra no seu trabalho que são três as causas da
degradação ambiental urbana: o aumento populacional, 0 crescimento
desenfreado das cidades e a utilização de tecnologias pouco compatíveis
com o meio ambiente. Com efeito, o crescimento populacional tornou-se a maior pro­blemática para o meio ambiente nas cidades de médio e
grande por­tes. Estatística de despejo de resíduos sólidos pelos brasileiros
revela uma situação que preocupa ambientalistas: uma média de 1 a 1,5
kg por dia. Considerando o último Censo do Instituto Brasileiro de Geografia e Estatística (IBGE), Manaus, por exemplo, tem cerca de 1,8 milhão de moradores. O resultado é uma produção mínima de 1,8 milhão
kg de resíduos diários, segundo dadosdo Instituto Brasi­leiro de Defesa da
Natureza (IBDN). Em 1500, ano da Descoberta do Brasil, a população de
não-índios era zero. Já em 1970, o país alcançou 90 milhões e, em 2010,
este número dobrou. A consequência é a poluição do solo, das águas dos
igarapés e rios e a precariedade na saúde pública. A falta de sanea­mento
265
básico agrava a poluição dos lençóis freáticos causada pelo descarte inadequado do lixo. O resultado desse quadro é o índice de 70% dos leitos
de hospitais ocupados em todo o país.
O fenômeno tem a dimensão do mundo. A população humana cresce
a taxas aceleradas desde o início da Revolução Industrial e, de forma mais
acentuada, a partir dos anos 1950. Ao fim da Segunda Guerra Mundial,
a humanidade era composta por menos de 2,5 bilhões de pessoas; em
50 anos o número saltou para 6 bi-lhões e na segunda década dos anos
2000 supera 7 bilhões de indivíduos. Todas as pre­visões apontam para
aumento demográfico global contínuo. A Orga­nização das Nações Unidas sinaliza para uma população de superior a 8 bilhões de pessoas para
2025. Mas o alarme não para aqui: outro estudo do Fundo das Nações
Unidas para População demonstra que, se a taxa média de fe-cundidade
(número de filhos por mulher) dos países continua em índice constante
com os valores de 1995-2000, a população mundial poderá atingir 244
bilhões no ano 2150 e inima­gináveis 134 trilhões em 2300. Obviamente
que essa evolução, mesmo a curto prazo, é desastrosa do ponto de vista da
qualidade de vida, porquanto a degrada-ção am­biental está diretamente
relacionada ao fator demográfico. Carlos Gabaglia Penna, professor de
Engenharia Ambiental da PUC/ RJ, explica que “mesmo as pessoas extremamente pobres uti-lizam mais recursos do planeta do que qualquer
outra espécie animal. Se não for um sem-teto, terá um barraco de madeira com te-lhado de zinco ou de telhas plásticas, além de móveis toscos.
Muitos terão luz elétrica, ainda que informalmente, e aparelhos eletrôni-cos. Es­sas pessoas–inclusive os sem-teto- bterão água do sistema público
de abastecimento, ou em algum córrego ou nascente, ves-tirão roupas,
possuirão uma infinidade de objetos pessoais e, obviamente, alimen­tarse-ão, como qualquer ser vivo”.
Falta de planejamento urbano
É certo que o desenvolvimento e o crescimento dos centros urbanos
não ocorrem de maneira planejada, ocasionando vários transtornos para
quem os habita. O déficit habitacional em países do Terceiro Mundo
e mesmo em países em desenvolvimento, como o Brasil, faz com que
milhões de pessoas habitem precariamente; e, assim, as ci­dades crescem
em absoluta desordem. Um dos impactos mais vi­síveis está na poluição
266
de rios e córregos, para onde são destinadas a grande quantidade de lixo
e esgoto, como decorrência dos seguintes fatores: ignorância ou irrespon-sabilidade das pessoas, falta de cole­ta de lixo pelo serviço público e
ausência de tratamento de dejetos. Neste contexto, de ausência de planejamento do Estado, tem-se o crescente aumento da temperatura em
determinadas partes de uma cidade, na qual a região com grande concentração predial, asfalto, vidros e concreto apresenta a uma variação
a maior de até 11 “Limite da população e meio ambiente” 10° C no
mesmo dia a se comparar com espaços contornados por áreas verdes. O
desmata­mento em áreas urbanas, no entanto, resultado da especulação
imo­biliária, torna o problema crescente a cada ano. Considere-se, ainda,
a chamada inversão térmica, que acontece quan­do a poluição do ar impede a troca normal de temperatura do ar na superfície. O ar frio e pesado
(por causa das partículas da poluição) fica em baixo e o ar quente e mais
leve fica em cima. Os indivíduos, por consequência, resultam expostos
às condições mais prejudiciais. Outras situações de risco podem ser relacionadas à perda da qualida­de de vida, ao comprometimento direto das
condições de saúde das populações urbanas e à degradação do ambiente:
•Poluição visual e sonora - As excessivas propagandas e obarulho alto
dos grandes centros podem causar transtornos psicológicos au­ditivos. A
poluição sonora tem vários fatores desencadeantes que fazem parte dos
fluxos urbanos. O barulho é emitido principalmente por veículos automotores (caminhão, ônibus, carros e motos), pela con­strução civil, na
qual os trabalhadores produzem sons o tempo todo, e por vendedores
ambulantes. Esse conjunto de emissores de ruídos funcionando simultaneamente alcança elevados índices, apesar de as pessoas muitas vezes
não perceberem, devido ao convívio diário com o barulho. A poluição
visual não causa doenças, porém esteticamente é ruim para a cidade.
É resultado da imensa quantidade de anúncios publi­citários que quase sempre são extravagantes. Ocasionalmente, esses anúncios tendem a
apresentar preconceito em relação às mulheres e às minorias. Além disso,
as propagandas ostentam carros importados, imóveis de luxo e roupas
de grife -produtos ina-cessíveis à grande parte da população, o que, intrinsicamente, causa abalo na autoestima, frustração pessoal e, em outro
extremo, pode ser mote para desencade­ar pretensões criminosas.
267
•Endientes e desmoronamento -As chuvas nas cidades podem causar
enchentes e desmoronamentos, destruindo edificações e matando pessoas, em razão da ocupação imprópria, poi as águas das intempéries não
têm para onde escoar. Enchentes e deslizamentos de terra atingiram o
estado do Rio de Ja­neiro no começo de 2011. Os municípios mais afetados foram Nova Friburgo, Teresópolis, Petrópolis, Sumidouro, São José
do Vale do Rio Preto, Bom Jardim e Areal. Os serviços governamentais
contabiliza­ram 916 mortes e cerca de 350 desaparecidos. A tragédia foi
considerada como o maior desastre climático da história do país, superando os 463 mortos do temporal que atingiu o municí­pio paulista de
Caraguatatuba, em 1967. (No entanto, segundo outras fontes, a maior
tragédia natural da história do Brasil ainda é a grande inundação ocorrida na Serra das Araras, em janeiro de 1967, que, entre mortos e desaparecidos, fez aproximadamente 1700 vítimas, segundo fontes da época.)
•Erosäo -Causada pelo uso irregular de áreas que deveriam ser de
efetiva preservação ambiental, como encostas, margens de rios, além do
excesso de peso das edificações. No início do ano de 2014, 322 pessoas de
várias famílias ficaram ao desabrigo no município de Abaetetuba, nordeste paraense, de-pois de terem as suas casas atingidas por uma erosão que
destruiu pelo menos 50 construções. Três meses depois, desastre similar
atingiu o muni­cípio de Aparecida de Goiânia, no estado de Goiás, no
centro do país. No mês seguinte, foi a vez da Praia do Leste de Iguape,
Litoral Sul do estado de São Paulo, que literalmente de-sapareceu do
mapa. O estado de São Paulo, a propósito, está bastante comprometido:
183 municípios vivem sob ameaça. Na Região Metropolitana da capital,
o aumento das favelas, a falta de planejamento e a construção de lotea­
mentos de alto nível com grande movimenta-ção de terra são os ma­iores
agravantes. Na região oeste do estado a situação é mais crítica: o solo
arenoso é facilmente levado pelas águas das chuvas.
•Chuva ácida - Consequência da poluição do ar, em queos gases po­
luentes reagem com a água da umidade do ar, ocasionando chuvas com
presença de componentes ácidos e prejudi cando plantas, edificações,
automóveis e o ser humano. Chuvas ácidas estão mais presentes nos estados de São Paulo e Rio de Janeiro, e em áreas próximas a usinas termoelétricas, afe-tando princi­palmente a Mata Atlântica. A usina termoelétrica
268
de Candiota, em Bagé, no Rio Grande do Sul, provoca a formação de
chuvas ácidas no Uruguai. Além desses locais, a Zona Franca de Manaus
também é uma área que merece atenção. Cidades com um alto número
de automóveis, o que é uma regra no Brasil, também estão propensas ao
fenômeno. O número de carros não para de crescer. Com o aumento da
frota, o país já tem um automóvel para cada 4,4 habitantes. São 45,4 milhões de veículos registrados até meados de 2014. Há dez anos, a proporção era de 7,4 habitantes por carro. A poluição sonora, térmica, atmosférica, por elementos radio-ativos, por substâncias não biodegradáveis, por
derramamento de petróleo e seus derivados são, portanto, exemplos de
fatores que expõem a perigo a saúde física e mental das populações urbanas. Registrem-se nesse sentido os problemas neuropsíquicos e de surdez,
as alterações drásti­cas nas taxas de natalidade e mor-talidade, morte por
asfixia, mutações genéticas, necrose de tecidos e propagação de doenças
infecciosas.
Amianto: Brasil, um dos cinco maiores produtores do mundo
Existem dois tipos de amianto: as serpentinas-crisotila ou amian­to
branco-e os anfibólios. Ambos têm propriedades se-melhantes, porém
são diferentes tanto nas aplicações como no grau de riscos oferecidos
à saúde. Os anfibólios são proibidos no mundo há duas décadas. Já o
crisotila ainda é utilizado no Brasil e em outros países, de acordo com
apontamento da revista Meio Ambiente Industrial12.
O principal setor de destino das fibras de amianto é a indústria de
artefatos de fibrocimento, como telhas e caixas d’água.
Nonosso país, essa indústria responde por 98,21% do consumo in­terno
de fibras de amianto. O restante destina-se à fabricação de ma­teriais de fricção, tecidos especiais e produtos de vedação cloro-soda, papéis e papelões.
Atualmente, o Brasil está entre os cinco maiores produtores de amianto do
mundo, sendo considerado, também, um grande consumidor.
A OMS - Organização Mundial da Saúde, todavia, aponta que o in­
sumo é a principal causa de várias doenças. Entre elas:
Asbestose - As fibras do mineral alojam-se nos alvéolos (pulmão) e
comprometem a capacidade respiratória. É crônica, progressiva e para ela
não existe tratamento.
Câncer de pulmäo - A exposição ao amianto aumenta até dez vezes o
269
risco da doença. É um tipo agressivo de tumor, que costuma se espalhar
para os rins, os ossos e o cérebro.
Mesotelioma - Câncer da membrana que envolve os pul-mões (pleu­
ra). Só é causado pelo amianto. O paciente sente falta de ar e dor aguda
no peito. O tratamento é o mesmo do câncer de pulmão, mas a cura é
mais difícil. A sobrevida, após o diagnóstico, é de apenas dois anos.
Placas pleurais - Surgem na pleura e são benignas. Não há sintomas
nem tratamento. O doente corre três vezes mais risco de sofrer de asbestose e dez vezes mais de ter mesotelioma.
Atualmente o amianto é proibido em algumas unidades da Fe-de­ração
no Brasil: Mato Grosso do Sul, Minas Gerais, São Paulo, Rio de Janeiro,
Rio Grande do Sul e Pernambuco foram os pioneiros. Entretanto, a proibição ou eventuais restrições são resultantes de ver­dadeiras guerras com
a indústria. Representantes do setor sus-tentam que na mesma lista em
que a OMS relaciona o amianto como mate­rial carcinogênico, está, também, a pílula anticoncepcional. Em en­trevista à revista Carta Capital,
em 2012, a fundadora da Associação Brasileira dos Expostos ao Amianto
(Abrea) disse que a entidade é processada ao longo dos anos: “É uma
inversão dos valores. Aqui, os julgados são as pessoas que defendem o
ba-nimento”. Em contrapar­tida, a Justiça italiana condenou dois empresários do setor a 16 anos de prisão por exporem funcionários e pessoas
comuns ao amianto, provocando a morte de 2 mil vitimas.
Plásticos e lixo urbano
Os materiais conhecidos como “plásticos” são artefatos fabricados a
partir de resinas sintéticas produzidas com matérias-primas de ori­gem natural, como o petróleo, o gás natural, o carvão ou o sal co­mum. Especialistas do setor de marketing afirmam que o sucesso dos plásticos deve-se
ao apelo visual, independente-mente do produto a ser vendido, porque
estes materiais por si só imprimem a ideia de qualidade.
O problema, entretanto, reside no descarte. Quando dispensados pe­
los consumidores ou pela própria indústria, por não mais apresenta­rem
valor de uso ou interesse para aproveitamento, os materiais plá­sticos são
denominados “resíduo” ou “lixo”. A cidade de São Paulo gera cerca de
15 mil toneladas/dia de resíduos sólidos, dos quais possivelmente mais
de 700 toneladas são constituídas por embala­gens plásticas descartáveis.
270
Até o momento, a forma encontrada para lidar com o problema de descarte é a de transformar o lixo plástico em material reci-clado, reintegrando-o
ao processo produtivo. Entretanto, no Brasil ainda são tímidas as políticas
nesse sentido; e continuam utilizados, de for­ma generalizada, os lixões a céu
aberto, uma forma de disposição final inadequada e que pode causar danos
ao meio ambiente e proble­mas de saúde pública. A simples presença de catadores, em contado direto com substâncias agressivas e pu-trefatas presentes
no lixo em geral, é uma afronta à saúde e à dig-nidade das pessoas.
PVC
Nos últimos quarenta anos, a resina plástica-polivinil cloreto-(PVC)
transformou-se no material de construção civil mais em-pregado. A produção global de PVC, também conhecido nos USA como vinyl, atinge
atualmente um total de mais de 30 milhões de toneladas/ano. A fabricação, a utilização e a disposição de PVC apresentam perigos substanciais
e únicos tanto à saúde humana como ambiental. Nen­hum outro plástico
oferece tantos perigos em toda a sua cadeia, seja na fabricação ou na utilização e disposição final, pois é o único ma­terial de construção civil que
é orga-noclorado (classe de produtos sintéticos onde estão as dioxinas).
Os perigos colocados pela dioxina, pelos ftalatos, metais pesa-dos, cloretos vinílicos e etileno dicloreto são, portanto, intrínsecos ao PVC. Ao
mesmo tempo contém cloro e exige plastificantes ou esta­bilizantes. Por
esta razão, os materiais de construção feitos com essa resina representam
um significativo risco à saúde ambiental e bani­los em favor de alternativas mais seguras deveria ser uma alta priori­dade. Ainda assim, os riscos
iminentes são sub-jugados na campanha publicitária de fabricantes que
“vendem” o produto como ecologica-mente sustentável e sem exposição
à saúde humana. Como em toda guerra, a primeira vítima é a verdade.
Conclusäo
A pregação do senador Domenico Scilipoti tem a dimensão das necessidades do mundo moderno, que precisa ser alertado sobre a quantidade
extraordinária de situações de risco. Os seus relatos, feitos a partir dos
referenciais da Europa, são precio­sos para a aferição de medidas a serem
projetadas em todos os con­tinentes. Esta geração, com efeito, tanto precisa preservar-se, quanto tem um compromisso ético com o porvir. Assim,
para que seja viável garantir um futuro digno ao planeta e, consequente-
271
mente, às populações vindouras, sociedade, academia e governantes devem repensar a forma de relação com o mundo.
Léo da Silva Alves
Jurista brasileiro, autor de mais de 40 livros. Confe­rencista internacional
com trabalhos na América do Sul, Europa e África. Presta consultoria
às principais estruturas da administra-ção pública do Brasil, da Presidência
da República e Congresso Nacional ao Poder Judiciário e Tribunais de Contas
de Estados e Municípios. Presidiu grandes eventos jurídicos internacionais,
como o 13º Congresso Mundial de Criminologia, com 2.500 participantes
de 51 países.
Foi diretor cientifico no Brasil da Sociedade Internacional
de Cri­minologia, órgão consultivo da ONU com sede em Paris;
e foi coor­denador de Encontros Internacionais de Juristas realizados
em várias partes do mundo. Laureado com Diploma de Mérito
pela Interna­cional Police Asso-ciacion e distinguido com o prêmio
“Master In Educational Quality Administration” – certificado
honorífico inter­nacional emitido pela Latin American Quality Awards,
com sede no Panamá.
272
Fonti Bibliografiche
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Paoline Editoriale Libri, 2012;
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giurisprudenza e cir­colari”, Paolo Costantino, Irene Concetta, edizione Dei, 2011;
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• “L’inquinamento atmosferico -origine, prevenzione, controllo Quaderni di
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• “Lotta all’inquinamento dello spazio”, Gabriella Catalano Sgrosso 2012;
• “I Creativi Culturali. Persone nuove e nuove idee per un mondo migliore”,
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Edizioni Aurora Boreale, 2012;
• L’Ambiente nel Mondo Antico, Lukam Thommen, Edizoni Il Mulino,
2014
• “La Crisi finanziaria e la battaglia di un Senatore della Repubblica”,
Domenico Scilipoti Isgrò, Editore Graus, 2014;
• “Il Mondo dei quanti. La fisica quantistica per tutti” , Kenneth W. Ford
Editore Bollati Borin­ghieri, Torino, 2014 ;
• “O capital no seculo XXI”, Thomas Piketty Editor Intrìseca LTDA,
Rio De Janeiro, 2014;
• “Il Tao della liberazione”, Leonardo Boff e Mark Hataway, Campo DÈ
Fiori Editore, Roma 2014;
• “Terra vivente. Scienza, intuizione e gaia”, Aboca Edizioni, Perugia
2008;
273
• “A Linguagem De Deus”, Francis Collins , Editore Gente, San Paolo
2007;
• “La dieta del digiuno”, Umberto Veronesi, Oscar Mondadori, 2013;
• “Domare gli Dei”, Ian Buruma, Edizione La Terza, 2011;
• “La rete della vita”, Fritjof Capra, Edizioni Bur, 2008.
274
Siti web consultati
• www.prevenzioneonline.net
• e-book Marina Mariani, Stefania Testa “Gli additivi alimentari: indagini su conservanti, edulco­ranti, coloranti, addensanti e aromatizzanti”, ed. Macrolibrarsi
• L’Altra Informazione “Filosofia e Logos”
• Persone che possono , Susanna Ciacci, “Benessere psico-fisico-globale
• “WWF Italia: Soluzioni urbane per un pianeta vivente -Report
WWF 2011”
• Commissione Europea “Il settore spaziale al servizio dei cittadini”
• Esa, European Space Agency
• Confronti intese n.281, Consumatori Oggi, Emergenza cibo dalla
natura al consumatore”, En­rico Lucconi
• www.nonsoloamianto.com/effetti-salue-eternit “Effetto Amianto-Salute”
• wikipedia-riciclaggio
• www.medicine-multitherapy.com
• www.senato.it
• www.camera.it
• www.oeco.org.br
• WWF Italia: Soluzioni urbane per un pianeta vivente - Report WWF 2011
275
RINGRAZIAMENTI
È stato possibile scrivere questo libro grazie alla preziosa collabora­
zione di molte persone ed amici. Con molti di loro ho intrapreso bat­
taglie per riuscire a raggiungere quella svolta decisiva diverse volte citata
nel mio libro, ma con tutti ho condiviso, e continuo a condivi­dere, la
speranza di poter credere in un mondo migliore. Grazie a tutti Voi: Paride Martella, Angela Violi, Mariella Messi­na, Antonio Pulcini, Vincenzo Malacrinò, Giancarlo Ugazio, Lucido Di Gregorio, Dina La Varvera,
Antonio Scimeni, Laura Verri, Carla Martins, Leo Da Silvia Alves, Prof.
Gustavo Velis, Silvia Pispico, Federica Mattei, Gabriele Scilipoti Isgrò,
Rossana Mercurio, Noemi Orsolini, Maurizio Papa.
276
Scritti di Domenico Scilipoti Isgrò
• Moxabustao: Aplicacoes em Terapia Medica, Alvorecer Editorial
LTDA, Tubate, San Paulo, 1994, Brasile (portoghese)
• Moxibustione: Applicazione della Moxibustione in Terapia Medica
Pandora Edizioni, Catania, 1994, Italia (italiano)
• Moxabustao: I° II° III° Edizione Icone Editoria, 1994/99/04, San
Paulo, Brasile (portoghese)
• Guida alla Terapia Orientale: Moxabustao-Digitopuntura-Acupuntura, 1998, Icone Editoria, San Paulo, Brasile (portoghese)
• Guida alla Terapia Orientale, La Luna Nera Editore, 1998, Catania, Italia (italiano)
• Multiterapia Biologica (MDB) Na prevencao e no tratamento do
cancer, Biomed, D.U.D.U.
• Farmacia Editoria, 1999 Rio De Janeiro, Brasile, (portoghese)
• Il nostro futuro. Le Medicine del terzo Millennio. SPES Edizioni,
2002 Milazzo, Italia, (italia­no)
• Terapia Integrada, Acupuntura-Moxabustao e Multuterapia Biologica, Icone Editora, 2003 San Paulo, Brasile, (portoghese)
• Agopuntura Ryodoraku, SPES Edizioni, 2005 Milazzo, Italia, (italiano)
• Filosofia e Acupuntura Rydoraku, Roca Editora, 2006 San Paolo,
Brasile, (portoghese)
• Filosofia-Scienza e Acupuntura Rydoraku, SPES Edizioni, 2007 Milazzo, Italia (italiano)
• Il Re dei peones, Editore Falzea, 2011, Reggio Calabria, Italia (italiano)
• La Moneta al Popolo, Editore Aurora Boreale, 2012, Italia (italiano)
• Le crisi finanziarie e la battaglia di un Senatore della Repubblica, di
Domenico Scilipoti Isgrò,
• Editore Graus, 2014, Napoli, Italia (italiano)
• Ambiente, alimentaciòn y calidad de vita. Crisis y cambios de hàbito. El paradigma del Tercer Milenio. Una visiòn holìstica, Editorial Martin, 2015, Mar Del Plata, Argentina (spagnolo)
• Multiterapia Biologica e Medicina Energetica - Prevenzione e Terapia delle malattie organiche, Editore Laruffa, 2016 Reggio Calabria, Italia (italiano).
277
Indice
Prefazione9
Introduzione11
Presentazione13
Nota introduttiva
19
Il concetto di ambiente e la sua evoluzione nei tempi
23
Capitolo 1
Inquinamento: tipologie, sorgenti e proposte
per operare una sua riduzione
1.1 Cos’è l’inquinamento ambientale
1.2 Inquinamento: rischi e precauzioni per la salute umana
1.3 L’inquinamento ambientale: aumento delle malattie
respiratorie, smaltimento dei rifiuti e relative conseguenze
1.4 L’acqua: bene prezioso che va tutelato
1.5 Procedimento di potabilizzazione dell’acqua
1.6 Il dissesto idrogeologico
1.7 Amianto: nemico della salute
1.8 L’amianto a partire dalle origini
1.9 ASBESTO-AMIANTO: ieri, oggi e domani
1.10 Effetti nocivi della combustione del carbone:
fermare le centrali a carbone
1.11 No alla centrale a carbone per la salute
e la difesa del territorio 1.12 No alle centrali nucleari di II e III generazione.
No alle armi nucleari
1.13 Un nuovo modo di produrre energia
1.14 La tutela penale dell’ambiente
1.15 Cambiamento climatico
25
25
27
32
44
51
56
60
61
63
86
87
96
99
105
110
Capitolo 2
Inquinamento alimentare.
Additivi, contenitori di plastica, sostanze tossiche e cibi 2.1 Additivi 2.2 Contenitori di plastica ed effetti “indesiderati”
2.3 La tutela dei consumatori 2.4 Ftalati 2.5 Il PVC 2.6 Cibo ed etica alimentare
2.7 Cibo e nutrizione 2.8 I cibi che inquinano per l’emissione di gas serra 2.9 Allarme OGM Capitolo 3
Condizionamenti sociali, economici, ambientali e alimentari.
Deriva dell’essere umano 3.1 Come la società modifica e condiziona
la nostra salute fisica, spirituale e mentale 115
115
124
129
137
141
149
156
163
164
177
178
Capitolo 4
L’Ambiente spaziale bene comune 191
4.1. Trasporti e viabilità 192
4.2. Maggiore qualità degli alimenti e maggiore sicurezza alimentare 192
4.3. Migliorare la nostra rete di comunicazioni 193
4.4. Ambiente spaziale, fonte di ricchezza e sviluppo 193
4.5. Maggiore sicurezza interna 193
4.6 Inquinamento dello spazio e strumenti giuridici
esistenti per la difesa dello spazio extra-atmosferico 201
4.7 Rifiuti spaziali 205
Capitolo 5
La visione olistica come prospettiva di un mondo migliore 5.1 La visione Olistica e l’ecologia profonda:
la svolta per un mondo migliore 5.2. I fondamenti giuridici del principio Olistico 5.3 L’organizzazione globale del Movimento Olistico 207
207
210
211
5.4 Le basi del Movimento Olistico 5.5 Il Movimento Olistico per un mondo migliore 5.6 Prospettive ambientali per il futuro 5.7 Mettersi in gioco 211
212
216
217
Capitolo 6
Cambiare il pianeta e la nostra vita 219
6.1 Soluzioni urbane per un pianeta vivente 220
6.1.1 Soluzioni inquinamento dell’aria 222
6.1.2 Soluzioni inquinamento acqua 223
6.1.3 Soluzioni per una produzione alimentare più intelligente 224
6.1.4 Smaltimento dei rifiuti 225
6.2 Energie rinnovabili e possibili soluzioni 226
6.3 Ulteriori soluzioni per un miglioramento
del clima e dell’am­biente. 228
6.4 Riciclare è possibile 229
6.5 Invertire la tendenza 230
6.6. Governance e territorio 233
6.7. Illuminazione intelligente. Le città intelligenti 242
6.8 È davvero l’ora di cambiare 243
Capitolo 7
Malattie ambientali e inquinanti 7.1. Malattie ambientali 7.2 Multiterapia Biologica ed Energetica nella prevenzione
e nel trattamento del­le patologie neoplastiche 7.3 Protocollo terapeutico per la cura e la prevenzione
delle malattie ambientali Prospettive per il futuro affinché i buoni propositi
diventino realtà 249
249
250
254
256
“I Comandamenti verdi” di Papa Francesco
258
Nota conclusiva del Prof. Gustavo Velis 260
Post-prefazione della D.ssa Carla Martins e del Dott. Leo Da Silva Alves 261
Posfácio de juristas Brasileiros 261
Fonti Bibliografiche
273
Siti Web consultati
275
Ringraziamenti276
Scritti di Domenico Scilipoti Isgrò
277
Stampato in Italia/Printed in Italy
nel mese di marzo 2016
per Laruffa Editore s.r.l.