ABUSO DI EPO E MIDOLLO OSSEO: I DANNI SONO REVERSIBILI

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ABUSO DI EPO E MIDOLLO OSSEO: I DANNI SONO REVERSIBILI
Nota storica
L’uso di sostanze o metodi per aumentare il rendimento fisico non è recente in quanto
già nell’ antica Grecia venivano usate erbe e funghi ritenuti capaci di far aumentare il
rendimento fisco e capacità atletiche; gli Aztechi mangiavano il cuore delle vittime
sacrificali per assimilarne la forza e conoscevano le proprietà di aumentare la resistenza
allo sforzo fisico possedute da una sostanza estratta da un cactus. Agli inizi del secolo si
passò dall’uso di zollette di zucchero imbevute di etere alle più "moderne" miscele di
stricnina e brandy e vino in cui erano state fatte macerare foglie di coca; per arrivare agli
anni ‘50 in cui fecero la loro comparsa le amfetamine,i primi stimolanti di sintesi. In
passato, tuttavia, queste pratiche sleali erano circoscritte alla sola cerchia degli atleti
professionisti, e per lo più limitate al giorno prima della gara, oggi il doping è diventato
un fenomeno preoccupante che interessa vasti strati della popolazione sportiva.
Indipendentemente dal tipo di sostanza utilizzata e dall’esito finale, il doping rappresenta
prima di tutto un fatto di coscienza. E’ fraudolento l’intento stesso di migliorare le
proprie capacità atletiche, contravvenendo alle regole di correttezza, lealtà e rispetto per
gli altri che sono il fondamento di qualsiasi attività sportiva. Il doping è un fenomeno
complesso alla cui diffusione hanno contribuito alcuni fattori "sociali" e motivazioni
individuali più profonde e inconsce.
Il DOPING EMATICO, PRESENTE E FUTURO: L'INCUBO
DELLA GENETICA
Dal dott. Benedetto Ronci, eminente ematologo clinico dell'Azienda Ospedaliera S. Giovanni Addolorata di
Roma, riceviamo e pubblichiamo volentieri questo interessante contributo sul doping ematico e sui rischi
dell'ormai imminente doping genetico legato proprio al sangue. Nell'articolo si fa giustizia di tante inesattezze
pseudo-scientifiche e di tanti pregiudizi e preconcetti, come, ad esempio l'opinione diffusa che l'abuso di epo
esogena debba per forza lasciare segni indelebili sul fisico (ad esempio sul midollo osseo), o tracce rilevabili sotto
il profilo anatomo-patologico. Da cui l'idea, scientificamente infondata, che un atleta che non presentasse tali
tracce fosse automaticamente esente da pratiche dopanti. Ma si sottolinea anche il rischio più che concreto che le
pratiche del doping genetico ormai alla portata (anche economica) di molti costituiscano una sorta di "nuova
frontiera" di fronte alla quale tutto il sistema dell'antidoping ufficiale risulta fermo, in "surplace". L'atleta
geneticamente modificato è ormai una drammatica possibilità, molto reale, con rischi (leucemia, tumori, ecc.) a
medio e lungo termine ancora tutti da chiarire e scoprire. Occorre fare presto, perchè la scienza non resti come è
già accaduto per tante sostanze doping, drammaticamente al palo, con conseguenze sulla salute facilmente
immaginabili.
ABUSO DI EPO E MIDOLLO OSSEO: I DANNI SONO
REVERSIBILI IN POCHI GIORNI
di Benedetto Ronci
Ematologo-clinico
Azienda ospedaliera S. Giovanni-Addolorata
Roma
ROMA - Continuamente dai mass-media viene affrontato, a vari livelli, il problema del
doping dando seguito a polemiche sulla obbligatorietà o meno dei test sul sangue cui
dovrebbero essere sottoposti gli atleti. In qualità di ematologo-clinico ho sentito la
necessità di esprimere la mia opinione che non nasce da intuizioni di ordine puramente
emotivo, ma da un mio preciso impegno professionale nel fare chiarezza sul fenomeno
doping e soprattutto di chiarire, ai non tecnici del campo, la problematica assai complessa
del doping in generale e di quello ematico in particolare. E’ fondamentale, in special modo
da parte di coloro che si occupano di informazione/formazione a tutti i livelli (giornali,
televisione, radio, internet, etc.), che il problema venga espresso in termini chiari e
soprattutto scientificamente corretti, in modo da non creare spettacolarmente "vittime",
addirittura qualche volta "eroi" da emulare (gli atleti) da una parte e "persecutori" (le
autorità preposte ai controlli anti-doping) dall’altra. In primo luogo, è necessario tenere
sempre presente il duplice obiettivo della lotta contro il fenomeno doping: garantire
correttezza agonistica nella pratica dei vari sport e, soprattutto, tutelare la salute
degli atleti. Infatti, questi sono spesso poco istruiti sulle conseguenze pericolose
dell’utilizzo di sostanze o di metodi per aumentare lo propria prestazione se non addirittura
inconsapevoli vittime, per non dire cavie, di pratiche farmacologiche con effetti a medio e a
lungo termine poco conosciuti. Spesso si genera anche molta confusione sui tempi dei
controlli sul sangue che solo se fatti immediatamente prima o dopo la gara possono
essere, per la ricerca di alcune sostanze, sufficientemente indicativi, come cercherò di
spiegare più avanti.
La definizione di doping ematico è stata introdotta negli anni ’70 per indicare l’uso delle
trasfusioni di globuli rossi (autologhi od omologhi) al fine di aumentare il trasporto di
ossigeno nel sangue, la cosiddetta "capacità aerobica", e quindi la performance negli sport
soprattutto di "resistenza" (ciclismo su strada, sci di fondo, nuoto, canottaggio etc.). In
realtà anche sulla base di diverse segnalazioni ed osservazioni da parte del CONI, il
doping ematico è praticato anche in altre discipline. Basti pensare, per esempio, che
l’incremento della concentrazione di ossigeno ematico accelera il recupero muscolare
dopo esercizi di allenamento. E’ prudente quindi considerare la maggior parte degli sport
(sia individuali che di squadra) a rischio di doping ematico. Alla fine degli anni ’80 con
l’introduzione sul mercato, grazie alle tecniche di ingegneria genetica, dell’eritropoietina
ricombinante (rHuEPO) e, successivamente, di sostanze "affini" capaci di stimolare
l’eritropoiesi (la produzione dei globuli rossi), la pratica trasfusionale è stata sostituita
dall’uso ed abuso di rHuEPO e sostanze analoghe tanto che, anche oggi , il doping
ematico viene identificato, specialmente da parte dei mass-media, con l’EPO-doping.
Questo è in parte giustificato dal fatto che dei 500 miliardi di vecchie lire che in Italia
vengono spesi l’anno per i medicinali a scopo dopante oltre un terzo (187 miliardi di
vecchie lire) riguardano proprio l’eritropoietina. Epo e sostanze affini, sono dunque il
demonio assoluto? Ritengo che questo modo di pensare sia sostanzialmente errato per
almeno due motivi:
In primo luogo, l’eritropoietina ricombinante e i prodotti "affini" sono sostanze ad attività
ormonale in grado di stimolare potentemente la produzione di globuli rossi, che hanno una
enorme importanza sotto il profilo terapeutico. Sono infatti oltre 500.000 i pazienti nel
mondo che utilizzano l’EPO per il trattamento dell’anemia in corso di insufficienza renale
cronica, con netto miglioramento della "quantità" e "qualità" della loro vita ed anche con un
rapporto costo/beneficio vantaggioso. Negli ultimi anni, inoltre, le indicazioni e
l’autorizzazioni all’impiego di questi ormoni a scopo terapeutico si sono estese al
trattamento, per esempio, di alcune forme di anemia "refrattaria" altrimenti trasfusionedipendenti e per il trattamento dell’anemia post-chemioterapia in corso di neoplasie
ematologiche e non ematologiche con il duplice obiettivo di ridurre o prevenire le
trasfusioni di sangue e di migliorare la qualità di vita del malato affetto da tumore maligno.
Pertanto il "farmaco" eritropoietina non deve essere demonizzato ma, piuttosto, è
indispensabile una razionalizzazione dell’impiego terapeutico da parte dei medici ed una
attenta azione di sorveglianza sulla catena di produzione, distribuzione ed utilizzo del
farmaco che soltanto una stretta collaborazione tra autorità sanitarie e compagnie
farmaceutiche produttrici può efficacemente garantire.
In secondo luogo, nella realtà esistono altre forme di doping ematico, meno conosciute e
meno pubblicizzate, che però devono essere tenute presenti soprattutto se si voglia
pianificare una strategia anti-doping la più esaustiva possibile. Infatti è oggi possibile
aumentare la concentrazione o la disponibilità di ossigeno arterioso per i muscoli, senza
aumentare la concentrazione di emoglobina (la proteina che trasporta il 97% dell’ossigeno
del sangue) e/o il numero dei globuli rossi circolanti (senza quindi nessuna modifica del
famigerato ematocrito!!), attraverso, per esempio, la somministrazione dei cosiddetti
trasportatori di ossigeno come i perfluorocarburi (PFC) piccole particelle inerti disponibili
sotto forma di emulsioni che, somministrate per via venosa, sono capaci di aumentare la
concentrazione di ossigeno disciolto come gas (senza quindi utilizzare l’emoglobina
dell’organismo) con effetto praticamente immediato dopo la somministrazione e con
successiva rapida eliminazione per via respiratoria: una unità di PFC (circa 100 ml di
emulsione) libera una quantità di ossigeno pari ad 1-2 unità di sangue. Ma con
controindicazioni e rischi certi e ancora sconosciuti. Poco si sa, infatti, circa gli effetti
collaterali che possono derivare da un uso sconsiderato di queste sostanze. Poi, esistono
le cosiddette soluzioni di emoglobina che sono delle vere e proprie emoglobine di varia
origine (umana, bovina, prodotta attraverso tecniche di ingegneria genetica) variamente
modificate per renderle più stabili e meno tossiche, che possono essere conservate, a
differenza del sangue, per un lungo periodo. Queste emoglobine di sintesi non sono
rintracciabili nelle urine, ma sono identificabili esclusivamente nel sangue, purché il
prelievo del campione venga effettuato praticamente a ridosso della gara (poche ore prima
o poche ore dopo). Si tratta infatti di sostanze che vengono rapidamente eliminate dal
circolo sanguigno entro 12-24 ore al massimo.
Un’altra sostanza di cui si parlò (impropriamente) al Giro d’Italia 2001 (ma le fialette
sequestrate ad un corridore rivelarono all’analisi contenere solo acqua e sale...), è
rappresentata da una piccola molecola siglata RSR-13. Somministrata per via venosa (ma
esistono anche formulazioni in compresse), è capace di liberare una maggiore quantità di
ossigeno dall’emoglobina circolante ai muscoli con effetto immediato dopo la sua
somministrazione ed anche in questo caso senza modificare l’ematocrito o la
concentrazione di emoglobina. E’ evidente, pertanto, come le attuali strategie antidoping siano ancora lontane dall’essere sufficientemente idonee per
l’identificazione della sostanza o del metodo dopante e come, nello stesso tempo,
l’esame del sangue sia irrinunciabile attualmente come indagine antidoping
obbligatoria. Nel 1999, su iniziativa del Comitato Olimpico Internazionale, è nata la Word
Anti-Doping Agency (WADA) un organismo internazionale che si avvale della
collaborazione dell’Autorità sportive e politiche di tutti i Paesi con la finalità di unire le forze
ed unificare gli interventi antidoping attraverso la discussione, l’approvazione e la messa in
atto dei test diretti ed indiretti per la rilevazione delle sostanze o metodi dopanti insieme ad
un accurata campagna educazionale rivolta soprattutto agli atleti iscritti nelle varie
federazioni sportive (per coloro che vogliano approfondire, le iniziative e gli aggiornamenti
della WADA sono facilmente accessibili sul sito www.wada-ama.org). La lista
internazionale delle sostanze e metodi proibiti nello sport ed approvata dalla WADA con
effetto dal 1 gennaio 2005 elenca tra i metodi oggi proibiti nell’ambito del doping ematico,
non solo L’Epo e, naturalmente, le trasfusioni di globuli rossi, ma anche l’impiego di tutte
quelle sostanze alle quali ho accennato e che, in realtà, non sono state in passato oggetto
di sistematica ricerca come sostanze dopanti, nonostante fossero già disponibili alla fine
degli anni ’90 e per le quali, pur esistendo dei facili sistemi di rilevazione, ancora mancano
di una precisa regolamentazione e standardizzazione delle metodiche da applicare come
test.
Ma il dato a mio avviso preoccupante è che la WADA nell’elaborazione della lista dei
metodi proibiti nella pratica sportiva ha inserito anche il cosiddetto gene-doping, cioè il
doping genetico, ovvero "…l’uso non terapeutico di cellule, geni, elementi genetici o
della modulazione dell’espressione dei geni, aventi la capacità di aumentare la
performance atletica". E’ oggi infatti tecnicamente possibile manipolare - ad esempio - il
gene dell’eritropoietina e trasferirlo in un individuo attraverso un vettore virale
(generalmente un adenovirus) capace di integrarsi con il genoma della cellula che
"infetta", rendendola capace di produrre un maggiore quantità di eritropoietina "endogena".
Già alla fine degli anni ’90 diversi ricercatori hanno dimostrato la fattibilità della tecnica di
trasferimento genico ed oggi si deve prendere coscienza che accanto alla medicina
tradizionale si sta ormai sempre più sviluppando quella che è stata definita la Genedicina.
Grazie agli enormi progressi della biologia molecolare che ha permesso di individuare in
molte malattie acquisite (non solo ereditarie e, quindi per definizione geneticamente
determinate), specialmente tumorali, gli intimi meccanismi genetici e/o alcuni
riarrangiamenti genetici responsabili in gran parte della patologia, è possibile sotto il profilo
terapeutico avere come "target" proprio il/i gene/i coinvolto/i. Desta una certa impressione,
ma anche una certa preoccupazione, la notizia dell’autorizzazione in Cina da parte delle
Autorità competenti della terapia genetica per il trattamento del carcinoma a cellule
squamose della testa e del collo che rappresenta un enorme problema socio-sanitario
soprattutto nel sud del Paese. La tecnica, relativamente semplice, è stata approntata dalla
SiBiono Genetech che utilizza un adenovirus che transfetta le cellule cancerose con un
gene capace di limitare la loro crescita, senza tansfettare il genoma delle cellule sane
minimizzando il rischio di un potenziale effetto leucemogeno. Oltre che semplice la tecnica
è di basso costo (circa 360 dollari/dose) e di facile somministrazione (via intramuscolare)
tanto che virtualmente qualsiasi medico può somministrarla. Dall’utilizzo terapeutico della
tecnica di trasferimento genico al suo impiego come metodo dopante il passo è assai
breve. Infatti da molto tempo è noto che differenze genetiche tra gli atleti possono essere
responsabili di differenti prestazioni e possono risultare in un significativo aumento della
performance. Nel 1964 ai Giochi Olimpici invernali di Innsbruck il finnico Eero Mäntyranta
vinse due medaglie d’oro nello sci di fondo mostrando un enorme vantaggio rispetto ai
suoi rivali. In realtà l’atleta Mantyranta era affetto da una condizione di poliglobulia
familiare quindi ereditaria, determinata da una mutazione del gene che codifica il recettore
per l’eritropoietina, che in parte normalmente svolge la funzione di interrompere lo stimolo
eritropoietinico. La mancanza di questa funzione può portare ad uno stimolo
eritropoietinico persistente con aumento della capacità di trasporto dell’ossigeno con gli
eritrociti del 25-50%. Questa condizione naturalmente occorsa nell’atleta Mäntyranta, può
essere riprodotta artificialmente utilizzando la tecnica di trasferimento genico, ma con tutti i
rischi connessi sia alla terapia genetica, ancora non del tutto noti (oltre il possibile
rischio di sviluppare leucemie acute, sono stati riportati delle morti inspiegabili per
insufficienza epatica grave in soggetti trattati con terapia genica), sia agli effetti
pericolosi per la salute a causa di uno stimolo eritropoietinico protratto e non fisiologico
(trombosi, danni irreversibili a carico del midollo osseo etc.).
A tal proposito è utile sottolineare che non esistono però dei danni specifici a carico
del midollo osseo indotti dall’abuso di eritropoietina. L’effetto è quello di una aumento
della matrice del midollo osseo preposta alla produzione dei globuli rossi, reversibile
dopo alcuni giorni od al massimo dopo alcune settimane dalla interruzione dalla
somministrazione dell’Epo e non rilevabile sotto il profilo anatomo-patologico.
Quando si parla di danni irreversibili mi riferisco ai possibili effetti patologici sul midollo
osseo quali lo sviluppo di aplasia della serie rossa ovvero di processi proliferativi maligni
indotti direttamente od indirettamente dall’assunzione di EPO. Se, come è possibile se non
probabile, la tecnologia del trasferimento genico pervaderà lo sport, sarà molto difficile la
sua individuazione ed al momento è molto difficile solo ipotizzare delle tecniche di
rilevazione sicure ed affidabili dato che i prodotti dei geni sono indistinguibili da quelli
naturali (per esempio, il test francese per l’individuazione dell’eritropoietina ricombinante
nelle urine non sarebbe utile anche se effettuato nei tempi giusti). Personalmente, non
credo che il futuro dei test per la rilevazione del doping ematico sia quello della ricerca ad
ogni costo della metodica di rilevazione diretta della sostanza, sia essa nelle urine che nel
sangue. Ritengo invece che la conoscenza del significato e delle basi scientifiche delle
varie tecniche di doping ematico ed un intelligente ed attento esame delle conseguenze
sulla variazione di alcuni parametri, non solo dell’ematocrito!!, a carico del sangue, (il
campione ematico quindi rappresenta un test irrinunciabile!) dell’individuo che possono
essere persistenti ma che non possono essere ritenute compatibili con una fisiologica
variabilità, potranno costituire il vero deterrente per evitare od almeno limitare lo
sconsiderato utilizzo del doping ematico.
Dr. Benedetto Ronci