Patologia e biologia molecolare
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Patologia e biologia molecolare
Patologia e biologia molecolare dei Tumori Stromali Gastrointestinali Christopher L. Corless (1) e Michael C. Heinrich (2) University Cancer Institute, Oregon Health & Science University, Portland, Oregon, Usa (1) Reparto di Patologia (2) Divisione di Ematologia e Oncologia Annu. Rev. Pathol. Mech. Dis. 2008. 3:557–86 Documento tradotto in italiano e adattato per A.I.G. Associazione Italiana GIST (giugno 2008) Introduzione Durante l’ultimo decennio, le conoscenze sui GIST sono enormemente cambiate, cioè da quando sono state simultaneamente scoperte nei GIST le mutazioni a carico di oncogeni, e sono state inoltre introdotte terapie geniche volte ad inibire l’attività di tali chinasi; ciò ci ha portato a comprendere meglio questi tumori e a definirne la loro biologia. Il ritmo di questi sviluppi è stato enormemente accelerato dall’interazione tra ricerca scientifica e studi condotti su pazienti. Questo articolo vuole riassumere tutti i risultati derivanti da studi interdisciplinari che hanno portato a comprendere meglio i GIST (patologia, farmacologia e oncologia). Una particolare attenzione è rivolta alle mutazioni degli oncogeni che portano allo sviluppo dei GIST, e la relazione esistente tra queste mutazioni e la risposta a nuovi target terapeutici. Caratteristiche morfologiche e immunofenotipiche dei GIST I GIST sono neoplasie mesenchimali che si sviluppano nella parete del tratto gastrointestinale, normalmente stomaco o piccolo intestino, e possono attraversare la superficie sierosa dell’addome e/o dare così metastasi nel fegato. Le dimensioni variano da un minimo di 1 cm ad un massimo di 40 cm, con una media di 5 cm. Essi sono generalmente ben circoscritti, e talvolta possono mostrare aree di necrosi emorragica e degenerazione cistica. La morfologia dei GIST è alquanto variegata tanto che agli inizi degli anni ‘50 essi venivano inclusi in una famiglia di tumori del muscolo liscio. Grazie all’introduzione della microscopia elettronica e conseguentemente dell’immunoistochimica, le conoscenze sui GIST sono cambiate, tanto da considerarli tumori ben distinti, fino a giungere alla unanime constatazione che molti tumori del tratto Gastrointestinale presentano una immunopositività per il CD34. Questo ha portato ad una nuova classificazione dei tumori stromali. Agli inizi degli anni ’90 un gruppo di ricercatori ha notato una somiglianza tra i GIST e una piccola popolazione di cellule, note come cellule interstiziali di Cajal (ICC), che fungono da pacemakers per la contrazione peristaltica del tratto Gastrointestinale. Numerosi studi hanno dimostrato che le ICC esprimono un recettore tirosin-chinasico KIT (CD117) e tali cellule sono evolutivamente dipendenti da un fattore di crescita delle cellule staminali, il cui segnale è mediato da questa chinasi. Oggi è ormai accertato che il 95% dei GIST sono positivi al CD117, e questo rimane tuttora l’unico marker specifico per questi tumori. Il KIT è un recettore glicoproteico tirosin-chinasico che normalmente è presente sulla superficie cellulare. In alcuni GIST questo recettore è presente nel citoplasma (anziché sulla membrana cellulare), e questo preclude la diagnosi, poiché questi tumori istologicamente 1 risultano negativi per l’espressione del CD117. Tale tipologia di GIST viene chiamata KITnegativa. Il CD117 contribuisce a definire una accurata diagnosi dei GIST, anche se attualmente sono stati identificati nuovi immunomarkers; uno di questi è il PKCθ, un membro delle proteinchinasi C, espresso nei GIST e in pochi altri tipi cellulari, principalmente le cellule T (cellule del sistema immunitario). Un altro marker immunoistochimico dei GIST è il PDGFRA, un recettore tirosin-chinasico strettamente legato al KIT, e solitamente usato per diagnosticare i GIST KIT-negativi. Caratteristiche cliniche I GIST solitamente si presentano nello stomaco (60%) e nel piccolo intestino (25%), ma possono presentarsi anche nel colon, retto, esofago, mesentere e omento (15%). Raramente si possono presentare nella colecisti, appendice, retro-peritoneo, e tessuti paravaginali e paraprostatici. Non si sviluppano al di fuori della cavità addominale. I più comuni sintomi clinici associati con il GIST sono fatica, dolore addominale, disfagia, sazietà, ostruzione e anemia. Dopo resezione, i GIST si possono localmente ripresentare, per diffusione attraverso la superficie dell’addome e/o metastatizzare al fegato. Un avanzamento della malattia è associato con metastasi a distanza. Metastasi al cervello, ossa e polmone sono rare . Mutazioni oncogenetiche di KIT nel GIST Circa il 60-80% dei GIST presenta delle mutazioni a livello del gene KIT. Tali mutazioni portano ad una costante attivazione di questa proteina; attualmente sono proprio queste mutazioni a rappresentare il bersaglio molecolare per la terapia del tumore. Analizziamo le caratteristiche più importanti di queste mutazioni. Kit è un recettore tirosin-chinasico di tipo III, strettamente associato ad altri due recettori, PDGFRA e PDGFRB, come anche al recettore per il fattore di stimolazione dei macrofagi (CSF1R) e al recettore per la citochina F1. Questi recettori hanno tutti la stessa struttura: un dominio extracellulare comprendente 5 strutture immunoglobuliniche ripetute, una sequenza transmembrana, un dominio justamembrana e un dominio citoplasmatico, che nel caso del KIT è formato da 80 amminoacidi. Le più comuni mutazioni del KIT colpiscono il dominio justamembrana, codificato dall’ esone 11: le mutazioni comprendono delezioni, inserzioni o sostituzioni. (fig. 3). Approssimativamente il 10% dei Gist presenta mutazioni a livello del dominio exracellulare codificato dall’esone 9. Più rare sono le mutazioni che insorgono nel dominio chinasico I (esone 13), o chinasico II (esone 17). La grande varietà di mutazioni che possono colpire KIT, presentano proprietà oncogenetiche peculiari, ed appaiono essere differenti nel loro meccanismo di attivazione. Il dominio justamembranoso di KIT stabilizza il dominio chinasico in uno stato inattivo. Le mutazioni a livello dell’esone 11 e quindi a livello di questo dominio, annullano l’effetto inibitore di questa porzione di recettore. Poco si sa delle mutazioni che insorgono a livello dell’esone 9, cioè del dominio extracellulare. Probabilmente queste mutazioni mimano un cambiamento conformazionale nel dominio extracellulare, incluso il legame con il ligando. 2 Immunoistochimicamente, il KIT (CD117), è identificato sulla superficie cellulare. Mutazioni di PDGFRA nei GIST Nei Gist nei quali compare una mutazione di KIT, è stato studiato un altro recettore tirosinchinasico che risulta fosforilato. Questo recettore è il PDGFRA, strutturalmente simile al KIT, in quanto presenta un dominio extracellulare ed uno citoplasmatico. I Gist nei quali è presente la fosforilazione di PDGFRA, hanno una mutazione a livello del dominio justamembrana (esone 12 e 18). Rare sono le mutazioni a livello del dominio chinasico I (esone 14). Circa il 12-15% dei Gist invece non presenta alcuna mutazione a livello di KIT o di PDGFRA. Ciò che guida la crescita di questi Gist wild-type rimane ancora sconosciuto, ma è interessante notare che comunque è presente una costante attivazione di KIT, e ciò implica un suo coinvolgimento. Si è visto come le mutazioni che colpiscono KIT e PDGFRA correlano con particolari localizzazioni anatomiche (tabella 1). Queste mutazioni possono anche essere ereditabili, e in questo caso si parla di GIST familiari. Solitamente sono singole sostituzioni di nucleotidi a livello dell’esone 11 di KIT. Circa 1-2% dei GIST compare in età pediatrica. Solitamente questa forma di GIST compare nello stomaco sotto forma di formazioni epiteliodi multinodulari; a progressione lenta, tuttavia possono metastatizzare e a differenza dei GIST degli adulti, possono coinvolgere anche i linfonodi. Si presentano più frequentemente nelle donne piuttosto che negli uomini (9:1), e non presentano mutazioni di KIT e PDGFRA. Spesso i GIST pediatrici sono associati a condroma polmonare e/o paraganglioma, come riferito nella triade di Carney. Non è ancora ben conosciuta invece l’associazione tra GIST e neurofibromatosi di tipo I. circa il 7% di pazienti con questa patologia sviluppa uno o più GIST, i quali tendono ad insorgere nell’intestino e solitamente non metastatizzano. Come i GIST pediatrici non presentano mutazioni a livello di KIT e PDGFRA. GIST KIT negativi Circa il 5% dei GIST è immunoistochimicamente negativo al CD117, rendendo la diagnosi estremamente difficile. Tuttavia più della metà dei GIST CD117 negativi, presentano delle mutazioni a livello di KIT, solitamente a livello dell’esone 11. Pare che l’immunoistochimica non sia sufficientemente sensibile per rivelare la piccola quantità di mutazioni chinasiche. Sviluppo e prognosi dei GIST Il primo stadio dello sviluppo dei GIST è rappresentato da proliferazioni multifocali morfologicamente benigne, CD117 positive. La frequenza di mutazioni a livello di KIT nella maggior parte di queste lesioni è statisticamente bassa. Questo indica che le mutazioni a livello degli oncogeni possono contribuire allo sviluppo del tumore. Uno studio retrospettivo ha dimostrato che i GIST che presentano una mutazione a livello dell’esone 11 di KIT, correlano con una maggiore aggressività. Viceversa i GIST che presentano mutazioni a livello di PDGFRA appaiono essere meno aggressivi dei GIST con mutazioni di KIT. 3 La prognosi peggiore sembra essere correlata con l’insorgenza di ulteriori mutazioni, e sfortunatamente si conosce poco riguardo questi ulteriori eventi genetici. Tuttavia la diagnosi primaria di GIST è basata su tre semplici parametri: sede del tumore, dimensioni e indice mitotico (mitosi su 50 HFR). (vedi tabella 2). Trattamento dei GIST Il trattamento primario per i GIST operabili è la chirurgia, che cura molti pazienti con tumori a rischio basso e intermedio. Le lesioni dovrebbero essere rimosse intatte, con margini di resezione liberi. L’asportazione dei linfonodi non è necessaria, salvo che per i GIST pediatrici. La chemioterapia e la radioterapia sono inefficaci. L’introduzione di inibitori tirosin-chinasici (Glivec) è stata una delle maggiori scoperte che ha rivoluzionato la terapia dei GIST. L’imatinib, il principio attivo del Glivec, è già noto fin dagli anni ’90, perché impiegato nel trattamento della leucemia mieloide cronica. L’imatinib inibisce l’attività tirosin-chinasica nei GIST che presentano una mutazione a livello di KIT, e ciò lo ha portato all’impiego del trattamento di tumori in fase avanzata, dimostrando una riduzione della massa tumorale nei casi di GIST inoperabile. Due studi clinici nella fase III hanno paragonato l’efficacia relativa delle somministrazioni di due dosi differenti di farmaco, 400 e 800 mg/die ai fini della sopravvivenza globale e non è stata notata una significativa differenza nei due gruppi, mentre è stato osservato che 800 mg/die hanno migliorato la sopravvivenza libera da malattia. Inoltre la somministrazione di una dose pari a 800 mg/die ha mostrato migliore efficacia, in termini di sopravvivenza libera da malattia, nel caso di mutazioni a livello dell’esone 9 di KIT. La tabella 3 mette in relazione il genotipo del tumore e la risposta obiettiva al trattamento farmacologico in 4 trials (fase I-III). Le risposte al trattamento per GIST che presentano mutazioni di KIT a livello dell’esone 11, 9 e W.T. sono state rispettivamente del 71%, 38% e 28%. Le osservazioni riportate in questo studio dimostrano come il genotipo è strettamente correlato con la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da malattia, con il miglior risultato ottenuto da pazienti che presentano una mutazione a livello dell’esone 11. In questo studio i pazienti ricevevano una dose di imatinib variabile da 400 a 800 mg/die. Soltanto una piccola parte dei pazienti che presentavano una mutazione a livello del PDGFRA è stata arruolata in questo studio clinico, perché si è visto in vitro che questo genotipo è generalmente resistente al trattamento farmacologico. Il genotipo riveste un ruolo importante nel predire la risposta al trattamento. Nei pazienti con GIST avanzato il pre e post-trattamento con Glivec ha dimostrato una significativa diminuzione della fosforilazione di KIT già dopo 5 giorni l’inizio del trattamento. Ciò dimostra come l’imatinib inibisce l’attività tirosin-chinasica delle cellule in vivo. Questo è supportato anche dal fatto che i tumori che non rispondono al trattamento presentano ancora la fosforilazione di KIT. Tuttavia anche nei pazienti che presentano una parziale risposta al trattamento farmacologico, nei primi sei mesi, si nota una diminuzione della massa, dimostrato anche dalla PET. Ciò che accade precisamente da un punto di vista metabolico quando il segnale è soppresso dal trattamento farmacologico non è ancora chiaro, ma dai dati raccolti nei nostri laboratori, probabilmente si ha che: 4 a) le cellule vanno incontro ad apoptosi (morte cellulare programmata); b) le cellule potrebbero abbandonare il ciclo cellulare; c) le cellule acquisiscono resistenza nei confronti del farmaco. Resta comunque accertato che la maggior parte dei tumori risponde molto bene alla terapia; alcune lesioni mostrano addirittura una completa perdita delle cellule tumorali. Nella restante parte di tumori si è visto che il 75% delle cellule sono quiescenti e si osserva una diminuzione delle mitosi e una riduzione dell’indice proliferativo (Ki-67). Queste cellule continuano ad essere positive per il CD117, ma mostrano una trans-differenziazione verso un fenotipo simile a quello delle cellule muscolari liscie. Resistenza al trattamento farmacologico La resistenza al trattamento varia da paziente a paziente. In alcuni casi si ha una rapida risposta evidenziabile da una attenuazione del tumore (TAC e RMN); in altri casi il tumore mostra solo piccoli cambiamenti radiografici, ma la crescita si blocca per molti mesi; in altri pazienti si osserva la crescita continua del tumore (resistenza primaria). Accanto ad una resistenza primaria verso il trattamento farmacologico, esiste una resistenza secondaria osservabile in quei pazienti che beneficiano solo nei primi mesi del trattamento, per poi osservare una ripresa dalla malattia nei successivi mesi. Le basi molecolari di questa resistenza secondaria non sono tuttora note, ciò che è chiaro, è l’insorgenza di ulteriori mutazioni. La resistenza si può manifestare in numerosi modi, inclusa la crescita di uno o più noduli, o l’espansione di lesioni attraverso il fegato o la cavità addominale. Nei pazienti con resistenza primaria non si nota l’insorgenza di alcuna altra mutazione. Una ulteriore speranza è offerta dal sunitinib, impiegato nel trattamento del tumore in pazienti intolleranti o resistenti all’imatinib. Sulla base di un trial in fase II, si è visto che la migliore risposta si ha nei pazienti con mutazioni di KIT a livello dell’esone 9 o nei tumori wild-type. Molto ancora non si conosce sull’insorgenza e sulla progressione di questa classe di tumori, ma grazie alla ricerca scientifica si stanno comprendendo molti meccanismi. §§§ 5