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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO ITALIANO E COMPARATO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PRIVATO COMPARATO E DIRITTO PRIVATO DELL’UNIONE EUROPEA CICLO XXV TITOLO DELLA TESI “DISTRIBUTION AGREEMENTS” NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI TRA AUTONOMIA PRIVATA ED ISTANZE DI PROTEZIONE DEL “CONTRAENTE DEBOLE” TUTOR DOTTORANDA Chiar.ma Prof.ssa Anna VENEZIANO Dott.ssa Alessandra DE MARCO COORDINATORE Chiar.mo Prof. Ermanno CALZOLAIO ANNO 2013 1 “DISTRIBUTION AGREEMENTS” NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI TRA AUTONOMIA NEGOZIALE ED ISTANZE DI PROTEZIONE DEL “CONTRAENTE DEBOLE” INDICE INTRODUZIONE Obiettivi, metodo e struttura della ricerca 5 CAPITOLO I LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE IN EUROPA: ORIGINE E DEFINIZIONE DELLA CATEGORIA 1.1 Il fenomeno della distribuzione commerciale in Europa: tra regole di concorrenza e diritto dei contratti 9 1.2 Il trittico: agenzia commerciale, concessione di vendita e franchising nell’esperienza giuridica degli Stati Membri 19 1.3. La dimensione normativa degli accordi di distribuzione nello spazio giuridico europeo: carenze e inefficienze del sistema attuale 24 CAPITOLO II LO “EUROPEAN LEGAL FRAMEWORK” IN MATERIA DI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE 1.1 I contratti di distribuzione nel processo di armonizzazione del diritto privato europeo 1.1.1 Il Draft Common Frame of Reference (DCFR): tra disciplina della parte generale del contratto e norme di settore 30 1.1.2 I contratti di distribuzione nel disegno sistematico del DCFR 38 1.1.3 Le origini della disciplina europea sui Distribution Agreements: i Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) 41 1.2 Verso un strumento di diritto opzionale per i contratti di distribuzione? 1.2.1. Il diritto europeo dei contratti nel passaggio dal DCFR alla Common European Sales Law (CESL) 2 44 1.2.2 Il recupero dei PEL CAFDC per uno strumento di diritto opzionale in materia di contratti di distribuzione: “the way forward” 49 CAPITOLO III I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE NEI “PRINCIPLES OF EUROPEAN LAW ON COMMERCIAL AGENCY, FRANCHISE AND DISTRIBUTION CONTRACTS (PEL CAFDC)” 1.1 “Disclosure” e “co-operation” nel sistema dei PEL CAFDC 1.1.1. Gli obblighi di informazione tra “general provisions” e norme speciali 57 1.1.2. La “co-operation” come criterio generale di disciplina 65 1.1.3 Alcuni spunti per un’indagine comparatistica sulle “disclosure clauses” 69 1.2 “Unilateral Ending”: un passo in avanti verso la “legal certainty” 1.2.1 Recesso unilaterale e contratti di durata nella prassi del commercio internazionale 80 1.2.2 Il recesso unilaterale nei contratti a tempo indeterminato: tra default rules e norme imperative 84 1.2.3 Primo esempio di applicazione pratica del DCFR. La sentenza della Corte Suprema di Svezia sul “reasonable period of notice” 89 1.3 Anomalie e rimedi nei rapporti di distribuzione: “damages”, “indemnity of goodwill” e obbligo di riacquisto delle scorte invendute 91 CAPITOLO IV IL “CONTRAENTE DEBOLE” NELLA PROSPETTIVA DEL DIRITTO EUROPEO 1.1. L’ imprenditore “debole” nel diritto europeo: cenni ricostruttivi della disciplina 1.1.1 L’imprenditore “debole” nel diritto internazionale privato europeo: gli esempi specifici dell’agente, del franchisee e del distributore 100 3 1.1.2 Le ultime frontiere del diritto contrattuale europeo: verso la formazione di un “Business to Business Acquis” in materia di contratti 106 1.2 Fondamento e limiti della tutela dell’imprenditore “debole” nel diritto europeo: il ruolo della buona fede oggettiva 118 1.3 Prime aperture verso una disciplina sostanziale dei rapporti commerciali “B2B”. 1.3.1 L’approccio generale del Draft Common Frame of Reference (DCFR) 127 1.3.2 I contratti “B2B” nella Common European Sales Law (CESL): profili e limiti della disciplina 129 CAPITOLO V ALCUNI SPUNTI PER UNA DISCIPLINA GENERALE DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE E TUTELA DEL “CONTRAENTE DEBOLE” 1.1 Gli obblighi di informazione nella fase precontrattuale: tra regole di validità e norme di comportamento 133 1.2 Esecuzione del contratto e tutela del “contraente debole”: rimedi contro l’“unfair exploitation” 141 1.3 La patologia del contratto: risoluzione del contratto per inadempimento del franchisee o del distributore 145 1.4 Dalla tutela del consumatore a quella dell’imprenditore “debole”: “Unfair Terms in contracts between traders” e potenziali effetti sulla rete distributiva 151 BIBLIOGRAFIA 158 4 INTRODUZIONE Obiettivi, metodo e struttura della ricerca L’obiettivo della presente ricerca è di verificare se ed in quale misura sia possibile affermare l’esistenza, nell’attuale quadro del diritto europeo dei contratti, di regole sufficientemente coerenti in grado di soddisfare le istanze di protezione del contraente debole all’interno della dinamica negoziale propria dei contratti di distribuzione commerciale. E’ noto come la crescente attenzione mostrata dal diritto contrattuale europeo verso il raggiungimento di una giustizia contrattuale sostanziale abbia indotto a riflettere sulla possibilità di estendere i meccanismi analoghi a quelli predisposti a tutela del consumatore anche a tutti coloro che, nei rapporti di mercato, si trovano a dover subire gli effetti negativi di un’asimmetria di potere contrattuale. Questo partendo dalla premessa che la disparità di bargaining power, come osserva la scienza economica, costituisce un fattore fisiologico insito nella natura dei rapporti di distribuzione commerciale dove gli agenti, i concessionari o i franchisees si inseriscono come intermediari integrati all’interno di una struttura organizzativa governata e diretta dall’impresa affiliante, potenzialmente in grado di abusare della sua posizione imponendo condizioni contrattuali oggettivamente inique. D’altro canto, non si può non rilevare la difficoltà insita nell’attribuire rilevanza allo status dei soggetti, contemperando le istanze protezionistiche di derivazione comunitaria con il diritto generale dei contratti che risulta ancora oggi primariamente ispirato al principio dell’eguaglianza giuridica dei contraenti. In tale contesto, le iniziative di armonizzazione ed uniformazione del diritto promosse a livello internazionale ed europeo costituiscono l’espressione più compiuta di un approccio complessivo alla problematica, ponendo le premesse metodo- 5 logiche e sostanziali per un possibile futuro intervento nel settore specifico della distribuzione commerciale. Sulla scia della recente tendenza all’elaborazione di strumenti non vincolanti di origine accademica in materia di diritto contrattuale europeo, la proposta di lavoro, che i successivi capitoli intendono sostenere, è della opportunità di partire da uno strumento specifico per i contratti di distribuzione quali i Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) elaborati all’interno dello Study Group on a European Civil Code per giungere ad uno strumento opzionale di regolamentazione della materia. Si osserva infatti che, qualora dovesse essere recepita come oggetto di un regime opzionale, la disciplina prevista nei PEL CAFDC verrebbe a rappresentare un’alternativa molto attraente per gli operatori economici, realizzando un efficiente bilanciamento tra il principio di “freedom of contract” e le istanze di “weaker party protection”. A tali conclusioni si potrà pervenire attraverso una compiuta disamina delle soluzioni proposte con riguardo alle fasi cruciali che scandiscono il life-cycle dei contratti di distribuzione ed una successiva comparazione tra il livello di protezione raggiunto dal diritto europeo e quello generalmente assicurato dai diritti nazionali. Il lavoro di ricerca è strutturato secondo il metodo tradizionale della scienza comparatistica, vale a dire, attraverso l’analisi sistematica di un “selected core” di obbligazioni secondo l’approccio funzionale indicato dai due massimi esponenti del metodo, i professori K. Zweigert e H. Kötz1. Inoltre, limitatamente ad alcuni aspetti specifici, si farà ricorso ai contributi dell’analisi economica come ulteriore fonte di dati a completamento del quadro normativo di riferimento. Nel Capitolo I, La distribuzione commerciale in Europa: origini e definizione della categoria, si cercherà di ricostruire le origini della disciplina dei contratti di di- 1 K. ZWEIGERT – H. KÖTZ, Introduction to Comparative Law, 3 ed., Oxford, 1998. 6 stribuzione, individuando le caratteristiche di un sistema evolutosi a partire da una considerazione del fenomeno in chiave esclusivamente concorrenziale. La matrice economica prima che giuridica della categoria ha reso tradizionalmente incerta l’individuazione di un vero e proprio “tipo” contrattuale e, di conseguenza, l’enucleazione di una disciplina sostanziale volta all’inquadramento sistematico dei modelli negoziali singolarmente riferibili alla formula della distribuzione integrata. Nel Capitolo II, Lo “European Legal Framework” in materia di contratti di distribuzione, si pongono le premesse per la successiva ricerca, anticipandone in parte alcuni risultati. In particolare, si procederà ad inquadrare la disciplina dei contratti di distribuzione attraverso la ricostruzione delle più recenti vicende del diritto europeo dei contratti, sottolineando il difficile rapporto tra regole di parte generale e regole speciali. Soffermando l’attenzione sulla disamina della natura e degli obiettivi dei PEL CAFDC verranno illustrate le ragioni per le quali si ritiene che detti principi soddisfino l’esigenza di tutela del contraente “debole” in misura maggiore e più esaustiva rispetto alle analoghe regole che sono confluite nel DCFR (Libro IV Parte E.). Nel Capitolo III, I contratti di distribuzione nei “Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC)” saranno analizzati gli aspetti essenziali dei contrati di distribuzione, assumendo ad oggetto della comparazione le Rules ed i Principles dei PEL CADFC con riguardo specifico ai seguenti profili: doveri di informazione, co-operation, recesso unilaterale, invalidità, damages e protezione dell’avviamento commerciale. Per ciascuno degli aspetti considerati si procederà ad una descrizione della disciplina offerta dai PEL CAFDC seguita dall’immediata disamina delle tendenze prevalenti negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri, allo scopo di segnalare con maggiore evidenza le differenze tra i vari sistemi. 7 Nel Capitolo IV, Il “contraente debole” nella prospettiva del diritto europeo, saranno esaminati gli aspetti della disciplina europea che hanno ad oggetto di specifica regolamentazione anche (e soprattutto) le relazioni contrattuali tra imprese, chiedendosi se sia possibile affermare la tendenza verso la formazione di un “B2B Acquis” in materia di contratti. In tale prospettiva, sarà passata in rassegna tutta la normativa comunitaria rilevante sul punto, prendendo in considerazione le indicazioni fornite dal diritto internazionale privato così come dal diritto derivato e dalle proposte di soft law relative al diritto comune dei contratti. Nel Capitolo V, Premesse per una disciplina generale dei contratti di distribuzione e tutela del “contraente debole”, verranno individuati i tratti fondamentali del quadro normativo che sarà possibile delineare a seguito dell’entrata in vigore della proposta di Regolamento per un diritto comune della vendita (CESL). In conclusione, si vorranno esaminare quegli aspetti per cui si riterrà opportuno integrare la disciplina di parte generale regolata nella CESL mediante il ricorso ad un eventuale regime opzionale in materia di contratti di distribuzione commerciale. 8 CAPITOLO I LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE IN EUROPA: ORIGINE E DEFINIZIONE DELLA CATEGORIA 1.1. Il fenomeno della distribuzione commerciale in Europa: tra regole di concorrenza e diritto dei contratti Com’ è noto, il fenomeno di progressiva armonizzazione del diritto privato europeo si è imposto di pari passo all’obiettivo originario della realizzazione di uno “spazio economico” destinato alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Pertanto, l’azione legislativa dell’Unione si è da sempre attestata su di una stretta correlazione tra attività economica e forme giuridiche, chiamate ad adattarsi alle esigenze del mercato nell’ambito delle specifiche competenze previste dal Trattato. L’adozione di un tale “functional approach” nello sviluppo dei temi del diritto privato ha contraddistinto ogni area di intervento ivi compresa quella relativa alla definizione dei rapporti tipici della distribuzione commerciale, i quali hanno storicamente costituito il banco di prova per l’attuazione della legislazione antitrust europea2. Sin dai primi anni sessanta, infatti, le specificità riscontrabili nei rapporti tra produttori e distributori hanno assunto rilevanza sul piano normativo esclusivamente sotto il profilo della compatibilità di tali accordi con il divieto di intese restrittive della concorrenza di cui all’art. 101 del TFUE e sulla loro esentabilità ai sensi dell’art. 101 § 33. Ne è derivata una disciplina di settore che qualifica indistintamente i contratti di distribuzione come “accordi verticali” e che assume ad oggetto della propria 2 Una raffinata analisi del fenomeno della correlazione tra attività economica e forme giuridiche è presente in J. BASEDOW, Codification of Private Law in the European Union. The Making of a Hybrid, in European Rev. of Private L., 2001, 35 ss.; U. DROBNING, Un droit commun de contracts pour le Marché Commun, in Rev. int. dr. comp., 1998, 26 ss. 3 Per una visione d’insieme della politica europea della concorrenza si vedano, tra gli altri, D. GOYER, EC Competition Law, Oxford, 1998; C. BELLAMY – G. CHILD, European Community Law of Competition, London, 2001. Nella dottrina italiana si segnalano i contributi di F. DENOZZA, La disciplina della concorrenza e del mercato, in Giur. Comm., I, 1988, 366 ss.; R. PARDOLESI, Intese restrittive della libertà di concorrenza, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, L. C. UBERTAZZI, vol. I, Bologna, 1993. 9 regolamentazione le sole clausole che ricadono sotto il divieto di cui all’art. 101 § 1 TFUE4 . In particolare, per accordi di distribuzione commerciale devono intendersi quei contratti che danno luogo un rapporto di collaborazione stabile fra i contraenti dei quali, l’uno, il distributore, si obbliga a promuovere la conclusione di contratti per conto dell’altro, assumendo in tutto o in parte i rischi connessi alla distribuzione a seconda che lo stesso acquisti la proprietà (concessionario di vendita) o entri solo nella disponibilità dei beni del produttore/fornitore (agente di commercio)5. I tratti comuni più significativi di siffatta categoria sono da ricercarsi in sostanza nel carattere duraturo della relazione contrattuale e nella natura fiduciaria del vincolo contraddistinto dall’obbligo del distributore di promuovere le vendite del produttore e dalla condotta collaborativa dei contraenti; un ulteriore fattore di caratterizzazione è rappresentato dall’attribuzione, in favore del medesimo, di una posizione di privilegio rispetto alla generalità dei concorrenti che può tradursi, a seconda dei casi, nel riconoscimento di un’esclusiva territoriale di vendita, di un’esclusiva di acquisto ai fini della rivendita e/o di una licenza di know-how e del diritto all’uso dei segni distintivi6. 4 Per una più attenta disamina dei rapporti tra funzione distributiva e possibili effetti anticoncorrenziali degli accordi di distribuzione, si veda, R. PARDOLESI, Regole antimonopolistiche del Tratto C.E.E. e contratti di distribuzione: tutela della concorrenza o dei concorrenti?, in Foro It., IV, 1978, 83 ss; R. BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa comunitaria, Padova, 1984; R. LINDA, La distribuzione commerciale in Europa. Scenari e prospettive per il mercato unico, Milano, 1989; M. TUPPONI – E. GHIROTTI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa comunitaria, Milano, 2000; F. BORTOLOTTI, Manuale di Diritto Commerciale Internazionale, Vol. III, La distribuzione internazionale, CEDAM, 2002; R. GUIDOTTI – N. SOLDATI, (a cura di), Contratti d’impresa e restrizioni verticali, Milano, 2004. 5 Il presente lavoro muove dall’impostazione metodologica condivisa dalla maggior parte della dottrina italiana ed internazionale che ha cercato di definire i contorni di una categoria giuridica unitaria attraverso l’individuazione dei tratti comuni che caratterizzano i diversi e variegati assetti negoziali relativi alla distribuzione integrata. Così, R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979; R. BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa comunitaria, op. cit, secondo il quale oggi può parlarsi di “diritto della distribuzione commerciale” come materia a sé stante. Analogamente in Germania, questa impostazione è accolta da M. MARTINEK – F.J. SEMLER, Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 1996 ed in Francia da D. FERRIER, Droit de la Distribution, Parigi, 2006. 6 Sulla natura e sul contenuto delle clausole di esclusiva che accedono ai singoli accordi di distribuzione, si veda l’analisi condotta da R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il 10 Trattandosi di accordi intercorrenti tra due o più soggetti che occupano stadi diversi del processo tecnico di produzione e di commercializzazione di un determinato prodotto, i contratti di distribuzione producono sul piano economico effetti di natura ambivalente, incidendo sulla funzionalità dei mercati in termini spesso contraddittori. Gli studi della scienza economica moderna enfatizzano i risultati derivanti dal ricorso alla formula commerciale della distribuzione giacché, se coerentemente e opportunamente utilizzata, garantisce una maggiore efficienza del processo distributivo ed una migliore ottimizzazione degli investimenti. Nello specifico, i vari schemi pattizi di integrazione verticale consentono ai distributori di massimizzare le opportunità di guadagno collegate alla commercializzazione delle merci mediante l’abbattimento dei costi iniziali di esercizio e ai produttori di penetrare stabilmente all’interno di nuovi mercati attraverso una politica distributiva specificamente ritagliata in base alle strategie imprenditoriali rispettivamente adottate7. Sotto diverso profilo, l’osservazione empirica del fenomeno mostra che, in presenza di determinate condizioni, l’operatività delle clausole di esclusiva è di ostacolo alla realizzazione di una workable competition8 all’interno del mercato rilevante cagionando, a seconda dei casi, l’esclusione dell’accesso al mercato di altri franchising, Milano, 2001, 63-76, 133-134, 145-148; F. BORTOLOTTI, Manuale di Diritto Commerciale Internazionale, Vol. III, La distribuzione internazionale, op. cit., 115-123, 268-273, 328-337; 7 In proposito, si segnalano le intuizioni di R. COASE, The Nature of the Firm, in 4 Economics, 386, 1937 e di O. E. WILLIAMSON, Markets and Hierachies: Analysis and Antitrust Implications, New York 1975. In sintesi, entrambi hanno evidenziato che le intese verticali rappresentano un’alternativa economicamente efficiente all’integrazione strutturale dell’impresa. Con la “disintegrazione” del ciclo produttivo mediante la devoluzione della fase distributiva ad altro imprenditore ed il mantenimento della direzione strategica da parte del produttore, si eliminano i costi legati al passaggio di informazioni caratteristiche sul prodotto, evitando che la concorrenza possa venirne a conoscenza e trarne vantaggio. In particolare, il § 116 delle Guidelines individua alcune situazioni di efficienza delle restrizioni verticali: superamento del parassitismo tra imprenditori; maggiore facilità nell’accesso ai nuovi mercati; aumento degli incentivi per investimenti specifici; trasferimento know-how; migliore sfruttamento delle economie di scala; maggiore uniformità e standardizzazione della qualità. 8 L’origine del concetto di “workable competition” si deve a CLARK, Towards a concept of workable competition, in The American Review, 1940 ed è entrato successivamente nell’esperienza europea a seguito della sentenza Metro, Corte di Giust. CE, 13 gennaio, 1994, C-376/92. 11 fornitori o di altri acquirenti attraverso l’innalzamento di barriere all’entrata, la riduzione dell’intrabrand competition fra i distributori appartenenti alla medesima rete ovvero la limitazione della libertà dei consumatori di acquisire beni e servizi in qualsiasi Stato membro dell’Unione9. In tale prospettiva, la politica antitrust europea si caratterizzava originariamente per il suo approccio estremamente rigoroso in quanto, spinta dall’assoluta necessità di promuovere l’integrazione dei mercati, sanzionava indistintamente tutti i comportamenti imprenditoriali in grado di pregiudicare in modo sensibile il commercio intra-comunitario10. Tenendo conto della possibile incidenza negativa sugli obiettivi di integrazione economica, il diritto europeo della distribuzione si è sviluppato tra il 1965 ed il 1988 attraverso una pluralità di regolamenti aventi ad oggetto la mera definizione di clausole contrattuali assolutamente vietate riferibili agli accordi di distribuzione selettiva, di acquisto in esclusiva ai fini della rivendita (specie di birra e di benzina), di franchising e di vendita di autoveicoli11. 9 Sull’argomento, tra gli altri, V. KORAH, An Introductory Guide to EC Competition Law and Practice, London, 1994; A. FRIGNANI – M. WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, Torino, 1996; J. FAULL – A. NIKPAY, The EC Law of Competition, Oxford, 1999; C. BELLAMY – G. CHILD, European Community Law of Competition, op. cit. 10 Il principio dell’irrilevanza degli accordi che non incidono in misura sensibile sul mercato è stato accolto dalla Corte di Giustizia con la sentenza Völk-Vervaecke del 9 luglio 1969, in Racc., 1969, 295, con riferimento ad un accordo avente un oggetto inequivocabilmente restrittivo della concorrenza. In particolare, la Corte affermava che “… L’accordo non ricade sotto il divieto dell’art. 85 qualora, tenuto conto della debole posizione dei partecipanti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, esso non pregiudichi il mercato in misura rilevante.” A partire dalla comunicazione sui c.d. “accordi di importanza minore” del 27.5.1970, in GUCE del 2.6.1970, 1 ss., la Commissione europea ha ulteriormente precisato tale principio attraverso la fissazione di quote di mercato al di sotto delle quali il divieto dell’art. 101 del TFUE deve considerarsi inapplicabile. Da ultimo, si veda il Regolamento/UE 330/2010 del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, GUE del 23.4.2010, L 102/1, il cui art. 3: Soglia della quota di mercato prevede che “L’esenzione di cui all’articolo 2 si applica a condizione che la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall'acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto.” 11 Cfr. Regolamento CEE 1983/83, del 22 giugno 1983, relativo agli accordi di distribuzione esclusiva; Regolamento CEE 1984/83 del 22 giugno 1983, relativo agli accordi di acquisto in esclusiva ai fini della rivendita, entrambi pubblicati in GUCE L 173 del 30 giugno 1983; Regolamento 123/85, sugli 12 Sennonché l’eccessiva rigidità del sistema normativo e l’assenza di norme atte a consentire l’individuazione di univoci criteri di collegamento tra ciascun tipo contrattuale ed il Regolamento ad esso pertinente introduceva livelli di incertezza giuridica che collidevano macroscopicamente con lo spirito dell’esenzione per categoria, determinandone l’ingestibilità e lo scollamento progressivo dall’analisi economica e dalla realtà contrattuale12. Spinte dunque dalla necessità di operare una revisione globale della propria politica della concorrenza, le istituzioni dell’Unione hanno optato per l’adozione di un approccio più organico alla materia dapprima con la pubblicazione del Libro Verde del 1997 sulle restrizioni verticali13 e poi con l’entrata in vigore del Regolamento 2790/99/CE14 ora sostituito, con poche varianti, dal Regolamento 330/2010 (UE)15. accordi di distribuzione degli autoveicoli ed i servizi di assistenza alla clientela, in GUCE L 15 del 18 gennaio 1985; Regolamento 4087/88 del 30 dicembre 1988, sugli accordi di franchising in GUCE L 359 del 28 dicembre 1988. 12 Sotto il regime previgente, infatti, nulla veniva precisato in merito all’eventualità di possibili conflitti fra l’uno e l’altro Regolamento, pur considerando le zone grigie e le sovrapposizioni riscontrabili ogni volta che le varie forme di distribuzione assumevano indifferentemente i tratti di diverse tipologie contrattuali. Del resto, la possibilità di ricondurre gli accordi ai Regolamenti “pertinenti”, prescindendo dalla circostanza che l’oggetto degli stessi costituisse materia di specifici Regolamenti di esenzione per categoria, è stata esplicitamente affermata dalla stessa Commissione nella XVIII Relazione sulla politica della concorrenza, Lussemburgo, 1989, 39, nella quale si affermava che il Regolamento 4087/88 assumeva il ruolo di legge quadro nella cui cornice si collocavano gli ulteriori Regolamenti relativi ai contratti di distribuzione commerciale. Così, in particolare, C. VACCA’, Gli accordi di franchising, il controllo sulla formazione del contratto e le condizioni di fine rapporto, in Riv. dir. comm. int., 1990, 247-248. 13 Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica della concorrenza comunitaria, doc. COM (96) fin. In dottrina, si veda, M. V. LEONE, Il Libro Verde sulle restrizioni verticali: una nuova politica della concorrenza?, in Contr. Impr./Eur., 1997, 783 ss.; R. RINALDI – R. RAPUANO, La politica comunitaria della concorrenza e le intese verticali: un nuovo approccio, in Dir. comm. int., 1999, 423 ss.; I. VAN BAEL, Antitrust e distribuzione in Europa – una nuova politica per il prossimo secolo?, in Concorrenza e mercato, 1997, 231 ss. 14 Regolamento CEE 2790/1999 della Commissione del 22 dicembre 1999 relativo all’applicazione dell’art. 81 paragrafo 3 del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, pubblicato in GU L 336 del 29 dicembre 1999. In proposito, si vedano i contributi raccolti nel dibattito all’indomani della sua entrata in vigore, F. BORTOLOTTI, Il problema delle soglie di mercato nel nuovo regolamento di esenzione sulle restrizioni verticali. Osservazioni critiche e proposte, in Contr. Impr. /Eu, 1999, 535 ss.; R. RINALDI, Il nuovo regolamento della Commissione europea sugli accordi verticali, in Dir. comm. int., 2000, 479 ss.; A. VENEZIA, La nuova politica comunitaria in materia di restrizioni verticali ed il regolamento 2790/1999, in I Contratti, 2000, 1042 ss. 15 Regolamento UE 330/2010 del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in GUE L 102/1 del 22 aprile 2010. 13 Il processo di modernizzazione del diritto europeo della concorrenza appare dunque contrassegnato da una svolta metodologica fondamentale nella determinazione dello strumentario giuridico a disposizione, dando atto della necessità di richiamare una maggiore attenzione sui profili economici delle intese restrittive. In particolare, indicando la rule of reason delle restrizioni verticali nell’attitudine ad incrementare l’efficienza economica della filiera produttivo-distributiva16, il regolamento 2790/99 contiene il riferimento ad una nozione omnicomprensiva di “accordi verticali” nel cui contesto si è affermata la regola generale secondo cui tutto ciò che non è espressamente vietato è implicitamente autorizzato17. La matrice economica prima che giuridica della categoria dei contratti di distribuzione ha reso tradizionalmente incerta l’individuazione di un vero e proprio “tipo” contrattuale e, di conseguenza, l’enucleazione di una disciplina sostanziale volta all’inquadramento sistematico dei modelli negoziali singolarmente riferibili alla formula della distribuzione integrata. Gli studi nel settore del commercio nazionale ed internazionale evidenziano infatti una tipologia diversificata e non completamente esaustiva poiché la nozione 16 Cfr. Considerando (6) e (7) del Regolamento UE 330/2010 “Alcuni tipi di accordi verticali possono incrementare l’efficienza economica nell’ambito di una catena produttiva o distributiva permettendo un migliore coordinamento tra le imprese partecipanti. In particolare, essi possono contribuire a ridurre i costi delle transazioni commerciali ed i costi di distribuzione delle parti e possono altresì consentire un livello ottimale dei loro investimenti e delle loro vendite.” “La probabilità che tali incrementi di efficienza possano controbilanciare gli eventuali effetti anticoncorrenziali derivanti dalle restrizioni contenute negli accordi verticali dipende dal grado di potere di mercato delle parti dell’accordo e pertanto dalla misura in cui tali imprese sono esposte alla concorrenza di altri fornitori di beni o servizi che siano considerati intercambiabili o sostituibili dai loro clienti, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati.” 17 Nel contesto del nuovo Regolamento sono automaticamente esentate tutte le clausole restrittive, con la sola eccezione di un numero limitato di pattuizioni inammissibili, previste dall’art. 4 (prezzi imposti, restrizioni alla libertà dell’acquirente relative alla rivendita dei prodotti, etc.) e dall’art. 5 (obblighi di non concorrenza eccedenti i cinque anni). In senso opposto, la disciplina contenuta nei regolamenti precedenti, come ad esempio il Regolamento CE 1983/83 ovvero 1984/83, in base alla quale era sufficiente la presenza di una sola clausola restrittiva non espressamente autorizzata dal regolamento per far perdere il beneficio dell’esenzione ad un accordo per il resto conforme all’esenzione per categoria. Per un’analisi approfondita delle nuove tendenze, si veda E. GENTILE, La svolta di inizio millennio del diritto comunitario della concorrenza: il nuovo approccio economico, la semplificazione delle norme, la cooperazione internazionale e la modifica del regolamento 17/62, in Contr. Impr./Eu., 2000, 557 ss. 14 di distribuzione talvolta è intesa in senso ampio, ricomprendendo tutti quei “complessi meccanismi rivolti a colmare le distanze tra produzione e consumo”18, talaltra è interpretata in senso restrittivo, escludendo dal relativo ambito sia i contratti di agenzia sia quelli di franchising19. Né è possibile rinvenire criteri interpretativi utili nella giurisprudenza consolidatasi sotto la vigenza della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili20 dove la nozione di contratti di distribuzione è considerata solo in opposizione a quella di “compravendita” per escluderla dal campo di applicazione ratione materiae del testo uniforme, senza tuttavia individuarne gli elementi di tipizzazione21. L’attuale quadro normativo europeo affronta dunque la disciplina delle restrizioni verticali in modo globale, dettando regole applicabili in via generale a tutti i tipi di accordi ed assumendo come punto di partenza della disciplina il tipo di restrizione della concorrenza piuttosto che la qualificazione del modello negoziale da cui originano gli effetti discorsivi del mercato. 18 Così G. SANTINI, Il commercio. Saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, 117 ss. Si collocano nella medesima direzione, le ricostruzioni di R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., che approfondisce in una prospettiva comparatistica gli aspetti più rilevanti delle tipologie negoziali rientranti nella categoria in esame; G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983; A. BALDASSARRI, I contratti di distribuzione, Agenzia - Mediazione – Concessione di vendita - Franchising, Padova, 1989. 19 E’ questo il caso del Regolamento CE 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), pubblicato in GU L 176 del 4 luglio 2008, per il cui art. 4.1 il contratto di distribuzione non comprende il contratto di franchising a cui è specificamente dedicato il paragrafo successivo. 20 Convenzioni delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di merci dell’11.4.1980. La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con L. dell’11.12.1985, n. 765 ed è entrata in vigore l’1.1.1988. Per una disamina della disciplina della CISG e del suo impatto sulla prassi del commercio internazionale si vedano, tra gli altri, P. SCHLECHTRIEM – I. SCHWENZER, Commentary on the UN Convention on the International Sale of Goods (CISG), Oxford, 2010; C. WITZ, Droit uniforme de la vente international de merchandises, Paris, 2010; H. BERNSTEIN - J. LOOKOFSKY, Understanding the CISG in Europe, The Hague/ London/ New York, 2 ed., 2002; M. J. BONELL, UNILEX on CISG & UNIDROIT Principles - International Case Law & Bibliography, Center for Comparative and Foreign Law Studies, in www.unilex.info. 21 Un esempio, tra tutti, la sentenza di Cass. sez. un. 14 dicembre 1999, n. 895, Sanitari Pozzi S.p.a. c. Imperial Bathroom Company, (nel caso specifico la società inglese si era obbligata ad acquistare e distribuire sul mercato inglese tre linee di prodotti, ad acquistare una quantità minima di prodotti ogni anno e a pagare la merce ordinata entro i termini previsti dal contratto), in ELF, 2000/01, 10 ss., in nota F. FERRARI, Il contratto di distribuzione quale contratto (non) contemplato dalla Convenzione di Vienna. Nel senso del testo la giurisprudenza di molti tribunali europei e di arbitrati internazionali. 15 Tale impostazione se da un lato è in grado di favorire una maggiore uniformità di trattamento delle restrizioni simili all’interno di accordi di tipo diverso, dall’altro, rende più difficoltosa l’esatta individuazione delle regole applicabili a ciascun tipo di accordo, essendo necessario verificare, per ciascuno di essi, quali disposizioni del regolamento pertinente siano in concreto applicabili. Si pensi, ad esempio, agli effetti derivanti dalla stipulazione di un contratto di franchising finalizzato alla costituzione di un sistema di distribuzione selettiva ossia di una rete in cui i prodotti possono essere commercializzati solo da rivenditori accuratamente selezionati e numericamente individuati in base alle scelte discrezionali del franchisor. In tale circostanza, la tenuta del tipo contrattuale sotto il profilo della conformità del regolamento negoziale alla disciplina antitrust vigente presuppone l’esatta individuazione “a monte” anche dei divieti propriamente riferibili agli accordi di distribuzione selettiva22. Inoltre, la rigidità di un sistema basato sulla mera enunciazione di clausole restrittive vietate (quali quelle di cui agli artt. 4 e 5 del Reg. 330/2010) e del tutto svincolate da ogni riferimento all’oggetto e alla causa delle singole operazioni negoziali non appare sempre compatibile con l’assetto di interessi di volta in volta divisato dai contraenti, introducendo così una certa indeterminatezza all’interno del meccanismo europeo di public enforcement. A titolo esemplificativo vengono in rilievo le sorti antitetiche cui incorre una clausola di non concorrenza di durata superiore a cinque anni a seconda che essa venga inserita nel contesto di un contratto di distribuzione esclusiva ovvero di franchising. Nel primo caso, il dato normativo di riferimento è senz’altro rappresentato dall’art. 5 lett. a) del Regolamento 330/2010 che esclude l’applicazione 22 Cfr. art. 4 lett. c) e d) e art. 5 lett. c) del Regolamento UE 330/2010. In linea di massima, l’esigenza di ricorrere a canali di distribuzione specializzata è legittimamente giustificata a condizione che sia garantita la particolare natura tecnica del prodotto e la libertà dei distributori autorizzati di effettuare vendite attive e passive agli utenti finali di qualsiasi territorio, di eseguire le forniture incrociate tra i membri della rete e di vendere marche di particolari fornitori concorrenti. 16 dell’esenzione per categoria ad un accordo contenente un obbligo di non concorrenza, diretto o indiretto, di durata indeterminata o superiore a cinque anni23; nel secondo caso, viceversa, la giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce espressamente la validità della medesima clausola, rinvenendone la rule of reason nelle esigenze di protezione del know-how sostanziale e di conservazione dell’uniformità e della reputazione della rete24. E’ possibile ravvisare ulteriori elementi di contraddittorietà della normativa antitrust anche in riferimento alla disciplina di cui all’art.5 lett. b) del Reg. 330/2010 che, in deroga alla regola generale, estende il beneficio dell’esenzione al patto di non concorrenza post-contrattuale a condizione che abbia una durata annuale, sia relativo alla sola commercializzazione dei prodotti venduti nei “locali e nei terreni da cui l’acquirente ha operato durante il periodo contrattuale” e risulti indispensabile per proteggere il know how trasferito dal fornitore all’acquirente25. Diversamente, aderendo ad un’impostazione più permissiva, la Corte di Giustizia ha escluso l’applicabilità del divieto di cui all’art. 101 §1 del TFUE alla clausola che vieta al franchisee, “durante un adeguato periodo dopo la scadenza” di aprire negozi per l’esercizio di “attività identiche o simili nelle zone in cui (l’ex affiliato) possa trovarsi in concorrenza con commercianti aderenti alla rete di distribuzione”26. 23 Cfr. art. 5 (a) Regolamento UE 330/2010. Sotto tale profilo, si rinvia al testo della sentenza Pronuptia dalla Corte di Giustizia europea del 28.1.1986 (causa 161/1984), in Racc. giur. Corte, 1986, 394 ss nonché alla nota di R. BALDI, La sentenza Pronuptia della Corte ed il franchising in Europa, in Riv. dir. ind., 1987, II, 277 ss. 25 Cfr. art. 5 (b) Regolamento UE 330/2010. 26 Cfr. § 15 della sentenza Pronuptia Paris (1986). Il ragionamento seguito dalla Corte si basa sul presupposto che, nella misura in cui il franchising “consente ai commercianti sprovvisti dell’esperienza necessaria di avvalersi di metodi che essi avrebbero dovuto acquisire solo dopo una lunga e laboriosa ricerca e di giovarsi della reputazione del segno distintivo del concedente”, esso non arreca pregiudizio per sé alla concorrenza e non cade, dunque, sotto il divieto dell’art. 101 §1 del TFUE. In questo modo la Corte, facendo ampio ricorso allo strumento della rule of reason, effettua un bilanciamento tra aspetti positivi e negativi di una restrizione concorrenziale, sottraendola “a monte” al divieto dell’art. 101 §1 del TFUE, senza necessità di essere esentate (in via individuale o per categoria) ai sensi del § 3. 24 17 In via generale, si osserva come i vari schemi della distribuzione integrata siano generalmente inclini ad operare una reciproca sovrapposizione delle principali clausole restrittive, così confermando le difficoltà relative ad una ricostruzione organica del disegno normativo europeo; per di più, si rileva che i medesimi vincoli di esclusiva, considerati con estremo rigore dal Regolamento 330/2010/UE in riferimento alla generalità dei rapporti di distribuzione, incontrano spesso un terreno più permissivo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che ne afferma la piena validità qualora gli stessi siano inseriti nel contesto di un contratto di distribuzione con caratteristiche particolari qual è quello di franchising. In tale prospettiva, è ragionevole ritenere che le incongruenze riconducibili all’adozione di un approccio strettamente funzionale alla regolamentazione degli accordi verticali possano trovare opportuno temperamento attraverso un più compiuto coordinamento fra la disciplina sostanziale dei singoli modelli contrattuali e l’applicazione delle norme antitrust che colpiscono con la sanzione della nullità di pieno diritto situazioni di forza non tollerate dalla disciplina pubblicistica del mercato. La presenza di una disciplina uniforme dei principali modelli della distribuzione integrata, infatti, consentirebbe di individuare più facilmente e con maggior grado di certezza le clausole tipicamente restrittive del regolamento negoziale al fine di agevolare il vaglio di compatibilità con la disciplina antitrust. Inoltre, una più chiara determinazione dei diritti e degli obblighi delle parti nonché dei relativi rischi economici e finanziari avrebbe l’effetto di rafforzare l’incidenza del public enforcement, con notevole semplificazione dell’istruttoria relativa all’accertamento dei presupposti alla base dell’illecito anticoncorrenziale. Più nel dettaglio, V. KORAH, Pronuptia Franchising: The Marriage of Reason and the ECC Competition Rules, in EIPR, 1986, 99 ss.; M. C. MALAGUTTI, Il franchising davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1988, 605 ss. 18 1.2 Il trittico: agenzia commerciale, concessione di vendita e franchising nell’esperienza giuridica degli Stati membri La carenza di fonti europee attinenti ai profili sostanziali degli accordi di distribuzione commerciale sconta anzitutto le incertezze derivanti dalla mancata tipizzazione del fenomeno all’interno degli ordinamenti nazionali nel cui contesto la relativa disciplina assume contorni particolarmente evanescenti. La capillare diffusione della formula della distribuzione commerciale ha di fatto determinato la progressiva affermazione di nuove tipologie contrattuali, le quali costituiscono un’immediata risposta di adeguamento di istituti giuridici preesistenti alle nuove e mutevoli esigenze del mercato. Tuttavia, ad una tipizzazione ampiamente consolidatasi sul fronte socio-economico non è corrisposto un pari e tempestivo riconoscimento della tipicità sul piano del diritto, essendosi privilegiato sino ad ora un approccio pragmatico incentrato sulla disamina delle finalità economicosociali divisate dai contraenti e sulle obbligazioni di volta in volta assunte dalle parti27. Sotto il profilo dogmatico, voci autorevoli della dottrina italiana28 ed europea29 hanno optato per il riconoscimento del carattere autonomo ed unitario della categoria, individuando i tratti fisionomici principali di ciascuna figura: a) nella me- 27 In generale, sull’argomento G. DE NOVA, I nuovi contratti, Torino, 1994; A. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, in Tratt. dir. priv., Milano, 1995. 28 Nella dottrina italiana, si vedano, tra gli altri, le ricostruzioni di G. SANTINI, Il commercio – Saggio di economia del diritto, op. cit.; R. PARDOLESI, Distribuzione (contratti di), in Digesto delle discipline privatistiche, sez. commerciale, vol. V, Torino, 1990, 66 ss.; R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, op. cit.; O. CAGNASSO – G. COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale, vol. IX, Milano, 2000; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. II, in Le obbligazioni e i contratti, Padova, 2004. 29 Nel panorama europeo si segnalano i contributi di A. GEORGIADIS, New contractual forms of the modern economy, Leasing/Factoring/Forfaiting/Franchising, Athina, 1998; E. GUARDIOLA SACARRERA, Contratos de Collaboration en el Commercio International, Barcelona, 1998; J. HUET, Les principaux contracts spéciaux, in Traité de droit civil sous la direction de Jacques Ghestin, in LGDJ, Paris, 2001; J. M. MOUSSERON – J. RAYNARD – R. FABRE – J. L. PIERRE, Droit du commerce international, Paris, 2003; A. JAUSAS, International Encyclopedia of Agency and Distribution Agreements, The Hague, 2009; M. MARTINEK - F. SEMLER – S. HABERMEIER – E. FLOHR (a cura di), Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 2010. 19 desimezza della destinazione funzionale; b) nella stabilità e nella continuità del vincolo negoziale; c) ed infine, nel “privilegio” generalmente concesso all’intermediario autonomo che si traduce nell’inserimento di quest’ultimo all’interno della filiera distributiva e nella sua tendenziale “soggezione” economica e giuridica nei confronti del committente/produttore. Alla luce di tale ricostruzione, si ritiene che i tratti di differenziazione tra l’uno e l’altro strumento contrattuale (agenzia, franchising e distribuzione) debbano misurarsi sulla base di fattori quantitativi piuttosto che qualitativi giacché essi riflettono la trasposizione giuridica di una diversificazione rilevante sotto il profilo dell’organizzazione aziendale ed economica del committente/produttore30. In via esemplificativa, si osserva che nel contratto di agenzia commerciale l’attività dell’agente si sostanzia nel promuovere in una zona determinata la conclusione di contratti di vendita dal preponente direttamente a terzi mentre nella concessione di vendita l’attività dell’intermediario si concretizza nell’acquisto e nella successiva rivendita, in nome e per conto proprio, dei beni oggetto del contratto. Rispetto all’agente di commercio, dunque, il concessionario di vendita in esclusiva si accorda per una maggiore intensificazione degli obblighi nei confronti della controparte a cui corrisponde una collaborazione economica caratterizzata da più marcati elementi fiduciari e che acquista rilevanza giuridica in funzione delle clausole volte ad incrementare la commercializzazione dei prodotti31. La suddetta ricostruzione, pur accentuando i tratti unitari della categoria, tiene opportunamente in considerazione le specificità proprie di ciascuna figura contrattuale, ritenute di per sé sufficienti ad attribuire ad ognuna una posizione di completa autonomia. Allo stesso tempo, la reciproca affinità di tali modelli consente 30 Così R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit.; A. FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, 2004. 31 I caratteri differenziali e comuni tra agenzia e concessione di vendita sono posti in evidenza da A. BALDASSARRI, I contratti di distribuzione, op. cit., 2142 ss.; in generale, si veda O. CAGNASSO – G. COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di Diritto Commerciale, Milano, 2000. 20 la sovrapponibilità dell’uno e l’altro schema negoziale, facendo sì che diritti ed obbligazioni tipicamente riconducibili ad un dato contratto possano riferirsi anche ad un altro contratto della medesima categoria32. Nei contratti internazionali di agenzia, infatti, è piuttosto frequente la clausola con cui è data all’agente la facoltà di acquistare merce, per rivederla in forma capillare a clienti le cui strutture e dimensioni sono particolarmente limitate. Parimenti, nel contratto di concessione di vendita in esclusiva si verifica spesso la cessione, a favore del concessionario, della licenza di marchi e brevetti del concedente: cessione (di diritti di proprietà intellettuale) che è fisiologicamente intrinseca nella struttura del contratto di franchising33. In tale prospettiva, l’esigenza unanimemente avvertita di regolare tali figure atipiche di distribuzione ha diversamente indirizzato i legislatori nazionali e soprattutto l’attività esegetica della giurisprudenza domestica nella costruzione giuridica delle singole fattispecie, caratterizzando ciascuna esperienza nazionale per la sua specificità. Allo stato attuale, infatti, soltanto il contratto di agenzia commerciale, già da tempo introdotto nei sistemi codificati degli Stati Membri, gode di uno status normativo oggetto di un tentativo di armonizzazione minima a seguito della trasposizione della Dir. CE 86/65334 mentre in materia di contratti di franchising e di concessione di vendita sussiste un vero e proprio vuoto sostanziale. 32 Così, R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, op. cit., 78-79; A. FRIGNANI - M. TORSELLO, Il contratto internazionale, Torino, 2010, 543 – 544, il quale si richiama alla prassi che consente o impone all’agente commerciale di svolgere funzioni tipiche del concessionario come, ad esempio, gli obblighi di tenere la merce in deposito, di fornire assistenza ai clienti, di trasportare della merce e così via. 33 Sulla definizione di franchising come modalità di sfruttamento economico di un patrimonio di conoscenze piuttosto che come metodo della distribuzione, si veda Corte Giust. CE, 20 gennaio 1986, causa 161/84, in Foro it., IV, 1987, 400 ss.; G. DE NOVA, Franchising, in Digesto comm., VI, Torino, 1991, 297. 34 Dir. 86/653/CEE del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti del 18 dicembre 1986, in GUCE L 382 del 31 dicembre 1986, a cui è stata data attuazione in Italia con il D.lgs. 10 settembre 1991, n. 303 e successivamente con il D. lgs. 15 febbraio 1999, n. 65 a modifica degli artt. 1742-1753 Codice civile. 21 Soltanto il Belgio, infatti, prevede una disciplina materiale applicabile alle concessioni di vendita35 mentre l’Italia36 e la Lituania37 costituiscono gli unici due Paesi che hanno adottato una regolamentazione ad hoc in materia di franchising. In entrambi casi, le legislazioni statali hanno inteso svolgere una duplice funzione di connotazione della fattispecie negoziale, riducendo il grado di incertezza sussistente tra gli operatori economici, e di protezione della parte presunta “debole” soprattutto attraverso la definizione di disclosure clauses. Parziali eccezioni sono rappresentate, altresì, dal Belgio38, dalla Francia39 e dalla Spagna40 che prevedono specifiche norme relative alla definizione degli obblighi pre-contrattuali e contrattuali di comportamento tralasciando, tuttavia, la regolamentazione dei rapporti interni tra le parti. In gran parte degli ordinamenti degli Stati membri, i rapporti tipici della distribuzione commerciale sono regolati prevalentemente dai principi giurisprudenziali del Paese la cui legge è applicabile al contratto, definendo i contorni di un quadro normativo lacunoso oltre che, in alcuni casi, fortemente disomogeneo sul piano delle soluzioni ritenute applicabili ai singoli casi concreti. In tale ambito è possibile distinguere, da un lato, i Paesi la cui disciplina si sostanzia nell’elaborazione a livello giurisprudenziale di forme specifiche di protezione 35 Legge 27 luglio 1961, modificata nel 1971, relative a la résiliation unilatèrale de concessions de vente exclusive à durée indéterminée. 36 Legge 6 maggio 2004 n. 129, Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale. In generale, F. BORTOLOTTI, La nuova legge sul franchising: prime impressioni, in Contr. Impr. Eur., 2004, 91 ss.; ID., Il contratto di franchising. La nuova legge sull’affiliazione commerciale. Le norme antitrust europee, Padova, 2004; G. DE NOVA, La nuova legge sul franchising, in Contr., 2004, 761 ss. Da ultimo, un’ampia ed approfondita analisi della disciplina del contratto di franchising in Italia è stata condotta da A. FICI, Il franchising, in Trattato dei contratti, 2011, 955 ss. 37 Capitolo XXXVIII del codice civile della Lituania entrato in vigore il 1 luglio 2001. Per maggiori informazioni sul franchising nel diritto lituano, si veda http://www.unidroit.org. 38 Legge 19 dicembre 1995, così come modificata dalla legge 25 dicembre 2005, pubblicata su Moniteure Belge del 18 gennaio 2006. In dottrina, G. BRICMONT – J. M. PHILIPS, Commentaire des dispositions de droit belge et communautaire applicable aux concessions de vente en Belgique, Bruxelles, 1977; M. WILLEMART, La concession de vente et l’agence commercial. Elements de droit positif, de doctrine et de jurisprudence, Bruxelles, 1995. 39 Legge “Doubin” 31 dicembre 1989 n. 89-1008 “relative au développement des entreprises commerciales et artisanales et à l’amélioration de leur environnement économique, juridique et social”, JCP, 1990, III, 63449 che ha modificato l’art. 3-330 Code Civil.\ 40 Art. 62 della legge 15 gennaio 1996 n° 7/1996 (Ley de Ordenaciòn del Comercio Minorista), RCL, 1196/148. 22 del distributore integrato generalmente in posizione di inferiorità economica rispetto al fornitore e, dall’altro, i Paesi in cui la disciplina della materia si esaurisce nell’applicazione in favore del concessionario dei principi derivanti dal diritto comune dei contratti41. In Austria ed in Germania, ad esempio, le corti applicano analogicamente ai rapporti di concessione di vendita le norme in materia di indennità previste per gli agenti di commercio, a condizione che il concessionario sia stabilmente integrato nella rete di vendita del concedente e sia contrattualmente tenuto a trasferire alla fine del rapporto la clientela al concedente42. Analogamente, in Francia la giurisprudenza ha elaborato alcune regole a protezione del concessionario per quanto riguarda l’osservanza dei termini di preavviso, l’indennità di fine rapporto e la restituzione dello stock nei casi di rapture abusive del contratto43. Diversamente, vi sono Paesi come l’Italia o l’Inghilterra che riconoscono al concessionario specifiche forme di tutela solo nella misura in cui ciò discenda dalle norme applicabili in via generale ai contratti. Pertanto, qualora i contraenti abbiano stipulato un vero e proprio contratto di concessione di vendita, il concessionario potrà vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno solo quando la risoluzione del contratto sia imputabile ad un inadempimento grave del concedente44. 41 Per un’analisi comparativa di ampio respiro, si veda A. SAYAG, Le contrat cadre. 2. Exploration comparative, CREDA, 1995; A. RONZANO, La distribution en Europe. Les exemples français, allemand, anglais et italien, in Revue international de droit comparé, vol. 47 n. 2, 1995, 413-419. 42 Così, T. MANDERLA, Der Vertragshandlervertrag, in M. MARTINEK – F. J. SEMLER, Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 1996, 286 e ss. 43 Cfr. Cass. comm., 10 giugno 1986, in Bull. Civ., 123, 104; Cass. comm., 9 marzo 1976, in Recueil Dalloz Sirey, 1976, 388; Court d’Appel d’Amiens, 29 novembre 1973, in Gazette du Palais, 1974, I, 190, con nota di J. GUYENOT, che ha condannato al risarcimento del danno il concedente che aveva risolto il rapporto di concessione dopo 18 anni ed aveva poi concluso un nuovo contratto di concessione con un altro concessionario a condizioni più favorevoli. In dottrina, J. AZEMA, Le droit français de la concurrence, Paris, 1989. 44 Cfr. in Italia, Cass. 21 giugno 1974, n. 1888, in Giur. It., 1975, I, col. 1290, che ha respinto la richiesta di compenso avanzata dal gestore di un impianto di distribuzione del carburante per la perdita dell’avviamento, sottolineando l’inesistenza di norme legislative sul compenso per il gestore alla fine del rapporto; nel Regno Unito, Court of Appeal, Decro Wall International v. Practitioners in Marketing Ltd, in 1 W.L.R., 1971, 18 ss; Court of Appeal, Evans Marhall v. Bertola (1975), in 2 Lloyds Law reports, 1975, 373 ss. 23 1.3 La dimensione normativa degli accordi di distribuzione nello spazio giuridico europeo: carenze e inefficienze del sistema attuale Gli obiettivi rivolti alla normalizzazione delle transazioni commerciali crossborder all’interno dello spazio giuridico europeo sono alla base delle principali iniziative di unificazione del diritto promosse nella direzione di una più efficiente integrazione dei mercati. Costituisce, infatti, un dato circostanziale ormai pacificamente acquisito quello secondo cui quanto maggiore è la distanza tra la regolamentazione giuridica messa a disposizione degli operatori economici e le esigenze del mondo degli affari, tanto più forte sarà la spinta delle imprese nel rinunciare a penetrare nuovi mercati, con seguenti ripercussioni negative sullo sviluppo degli indici di crescita e di competitività. In tale prospettiva, si ritiene che l’esigenza di intervenire all’interno di un quadro normativo segnato da un elevato grado di “legal diversity” appaia di particolare urgenza in riferimento al settore della distribuzione commerciale che, in ragione delle dimensioni e dell’estremo dinamismo del fenomeno, ha assunto un ruolo strategico come fattore trainante della produttività nel settore industriale. All’interno dell’Euro zona, infatti, appartengono al segmento distributivo circa il 30% delle imprese non agricole e non finanziarie, che impiegano il 24% degli addetti e producono circa il 20% del valore aggiunto45. Ad oggi, l’approccio dell’Unione Europea al tema dell’uniformazione giuridica del settore della distribuzione appare attestatosi su due diverse forme di intervento, l’una rivolta all’armonizzazione minima di alcuni segmenti del settore mediante il ricorso allo strumento della direttiva, l’altra incline a demandare alla prassi del commercio internazionale la definizione delle principali questioni di diritto sostanziale. 45 Per un’analisi ancor più dettagliata, si vedano i dati pubblicati da VIVIANO E. - L. AIMONE GIGIO– E. CIAPANNA ed altri, La grande distribuzione organizzata e l’industria alimentare in Italia, in Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers), n. 119, Marzo 2012, Banca d’Italia Eurosistema. 24 In particolare, il processo europeo di ravvicinamento delle legislazioni che ha investito la gestione dei rapporti di agenzia commerciale sconta le inefficienze correlate alle limitazioni intrinseche di uno strumento di armonizzazione minima, qual è appunto la direttiva, consistenti nella specificità delle questioni trattate e nella discrezionalità riconosciuta agli Stati membri in termini di scelta opzionale tra più soluzioni proposte46. In primo luogo, si sottolinea che la Dir. 86/653/CEE affronta soltanto alcuni aspetti della disciplina del contratto di agenzia, tralasciandone altri che, per la loro importanza, avrebbero certamente meritato di essere presi in considerazione. Un esempio evidente in tal senso è costituito dalla disciplina dello star del credere totalmente estromessa dall’ambito di applicazione della direttiva47. Parallelamente, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri in merito alla facoltà di scelta tra diverse opzioni alternative non contribuisce neppure indirettamente a raggiungere gli auspicati obiettivi di uniformazione, tanto più che il ricorso ad una scelta opzionale è evidentemente espressione dell’impossibilità di pervenire ad una soluzione di compromesso. L’esempio più macroscopico è costituito dall’art. 17 sull’indennità di clientela in rifermento alla quale i redattori della direttiva hanno recepito sia il modello tedesco, che prevede il pagamento di un’indennità di clientela, sia quello francese consistente nella riparazione del pregiudizio arrecato, offrendo agli Stati la facoltà di scegliere tra l’uno o l’altro modello48. Nella stessa prospettiva, si colloca la decisione di 46 Sui problemi di armonizzazione del diritto collegati allo strumento della direttiva, cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “on European Contract Law and the revision of the acquis: the way forward” dell’11.10.2004, COM (2004) 651 def.; Comunicazione della Commissione europea “Prima Relazione annuale sullo stato di avanzamento dei lavori in materia di diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis”, del 23.9.2005, COM (2005), 456 def. 47 Così, le considerazioni riportate da F. BORTOLOTTI – G. BANDANINI, Il contratto di agenzia commerciale, Milano, 2003. 48 In generale sull’argomento si veda, N. ALESSANDRI – G. BARBIERI, Il contratto di agenzia nel commercio internazionale, in Giur. sist. dir. civ. e comm., a cura di G. ALPA – M. BESSONE, Torino, 1991, 259 ss.; N. TELLIS, The compensation for goodwill in commercial agency, Athina, 1997. In particolare, si noti che la rinuncia a dare attuazione ad un regime uniforme consente di mantenere inalte- 25 lasciare libero ciascuno Stato membro di adottare eventuali soluzioni più favorevoli all’agente e di definire la nozione rispettivamente di lavoratore autonomo e di lavoratore subordinato49. In definitiva, il mero ravvicinamento delle legislazioni nazionali, sebbene costituisca un primo passo verso l’unificazione, non è sufficiente ad eliminare gli ostacoli derivanti dalle divergenze laddove ancora persistenti. In tali ipotesi, infatti, l’onere giuridico ed economico connesso all’accertamento delle differenze tra la legge regolatrice del contratto e quella altrimenti applicabile rimane sostanzialmente inalterato fintantoché le stesse continuino a presentare divergenze di cui occorra di volta in volta verificare preventivamente la portata50. Sotto diverso profilo, stante l’estrema lacunosità dei diritti statali, la regolamentazione dei contratti di concessione di vendita e di franchising è demandata in gran parte alle clausole dei modelli di contratti-tipo maggiormente utilizzati nell’ambito del commercio internazionale51. E’ noto, infatti, che il ricorso agli standard forms abitualmente adottati nella prassi degli affari dia luogo, soprattutto per quanto riguarda i contratti atipici, alla circolazione internazionale di schemi contrattuali omogenei le cui clausole danno consistenza ad una disciplina sufficientemente dettagliata dei contratti in questione52. rato il diverso sistema di calcolo vigente nei vari sistemi con la conseguenza che in Francia il tetto massimo dell’indennità può raggiungere l’ammontare di due provvigioni mentre nei paesi che adottano il sistema tedesco sussiste il massimale di un anno. 49 Si confronti, ad esempio, la disciplina belga dei “répresentants de commerce”, introdotta con la L del 30.7.1963 ed ora inserita nella legge sui contratti di lavoro del 3.7.1978 che presume in ogni caso un rapporto di lavoro subordinato con l’agente persona fisica. 50 In proposito, F. BORTOLOTTI, Verso una nuova lex mercatoria dell’agenzia commerciale internazionale? Il modello di contratto di agenzia della CCI, in Contr. Impr./Eur., 813. 51 Cfr. ICC Model Commercial Agency Contract, pubblicazione 446 della CCI; ICC Model Distributorship Contract, pubblicazione 518; ICC Model International Sale Contract, pubblicazione 556; ICC International Franchising Contract, pubblicazione 557. In generale sui modelli di contratti tipo, si veda F. BORTOLOTTI, The ICC Model Contracts: an Essential Tool for International Trade, in New Trends in Internationa Trade Law. Contribution on the Occasion of the 10th Anniversary of the International Trade Law Course, Torino, 2000. 81-97. 52 Ampiamente sull’argomento, si veda F. BORTOLOTTI, Formazione e gestione dei rapporti negoziali: la prassi contrattuale internazionale tra standard forms, imitazione e creatività, in Fonti e tipi 26 Occorre, tuttavia, precisare che nella stragrande maggioranza dei casi gli standard forms rappresentino solo un modello-guida di cui i redattori possono tener conto nella determinazione del contenuto del contratto, destinato a rispecchiare di volta in volta i rapporti di forza tra le parti e le esigenze particolari del caso di specie. Pertanto, nell’impossibilità di attribuire a tali modelli il valore di veri e propri usi del commercio53, il ricorso a siffatti strumenti lascia aperte le principali problematiche correlate alla scelta della legge applicabile anche laddove le parti decidano di assoggettare il contratto “ai principi generalmente riconosciuti nel commercio internazionale”54. In tale ultima ipotesi, infatti, sebbene la riconosciuta facoltà di richiamare strumenti “privati” di unificazione del diritto come, ad esempio i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali55, consenta di operare la “delocalizzazione” della disciplina applicabile attraverso un sistema uniforme di diritto generale dei del contratto internazionale, a cura di U. DRAETTA – C. VACCA’, Milano, 1991, 229 ss.; C. VACCA’, Internazionalizzazione dell’impresa. Prassi contrattuale e standard forms, ivi, 251 ss. 53 Così, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, Diritto dei contratti internazionali, Torino, 2001, 29 ss.. Contra A. FRIGNANI, Gli usi del commercio e la loro rilevanza giuridica, in Fonti e tipi del commercio internazionale, op. cit., 95; A. CRIVELLARO, in Contratti internazionali: tipi e autonomia negoziale, ivi, 10 secondo cui “il contratto tipo rappresenta il comune sentire della generalità degli operatori nel settore della specifica negoziazione”. 54 Per un elenco esaustivo dei principi costitutivi della “lex mercatoria, si veda M. MUSTILL, The New Lex Mercatoria: the First Twenty-Five Years, in Liber Amicorum Lord Wilberforce, Oxford, 1987, 149 ss.; A. TARAMASSO, Lex mercatoria. Rassegna di giurisprudenza arbitrale della CCI, in Nuova giur. civ. comm., 1995, II, 191 ss. In dottrina, tra i tanti, si segnalano O. LANDO, The Lex Mercatoria in International Commercial Arbitration, in 34 I.C.L.Q., 1985, 747; F. OSMAN, Les principes generaux de la lex mercatoria, Paris, 1992; M. J. BONELL, La moderna lex mercatoria tra mito e realtà, in Dir. comm. int., 1992, 315 ss.; A. GIARDINA, La lex mercatoria e la certezza del diritto nei commerci e negli investimenti internazionali, in Dir. comm. int., 1992, 461 ss. 55 I Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali sono stati pubblicati per la prima volta nel 1994, mentre una seconda, ampliata edizione è stata adottata nel 2004 ed una terza edizione, ulteriormente arricchita di nuovi capitoli, è stata pubblicata nel 2010. Per un’introduzione ed un commento generale dei Principi UNIDROIT, si veda M. J. BONELL, Un “Codice” internazionale del diritto dei contratti, II ed., Milano, 2006; ID., The UNIDROIT Principles in practice. International Case Law and Bibliography on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, 2 ed., Transnational Publishers, 2006. Per un commento analitico delle singole disposizioni dei Principi UNIDROIT, si veda S. VOGENAUER – J. KLEINHEISTERKAMP (eds), Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (PICC), Oxford, 2009. 27 contratti, tuttavia, l’applicabilità dello strumento presuppone a monte la scelta di ricorrere allo all’arbitrato come soluzione alternativa alla giurisdizione ordinaria56. Il riferimento obbligatorio all’arbitrato, quale condizione in presenza della quale gli ordinamenti nazionali accettano di sottoporre il contratto ad un regime di norme extrastatali, costituisce di fatto un ostacolo allo sviluppo delle tendenze di unificazione, soprattutto con riguardo alla disciplina dei rapporti di distribuzione all’interno dell’area geografica dell’Unione. In primo luogo, viene in rilievo il limite derivante dal modesto valore economico delle controversie che in genere coinvolgono la stragrande maggioranza delle imprese europee per le quali gli strumenti arbitrali normalmente utilizzati a livello internazionale appaiono eccessivamente complessi e costosi57. La popolazione imprenditoriale europea infatti è composta per il 99% da piccole e medie imprese con volumi d’affari relativamente modesti e senza il supporto di un’assistenza legale particolarmente specializzata58. In secondo luogo, il ricorso all’arbitrato non appare risolutivo per quelle materie che siano considerate non arbitrabili dalla legge dei Paesi interessati. In base all’art. V paragrafo 2 della Convenzione di New York sul riconoscimento dei lodi stranieri59, infatti, il giudice del Paese in cui la materia oggetto di controversia non è assoggettabile ad arbitrato è competente a decidere a dispetto di quanto previsto 56 Si veda M. J. BONELL, An International Restatement on Contract Law, New York, 2005; M. SCHERER, in S. Vogenauer – J. Kleinheisterkamp, Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, Oxford, 2009, 82 ss.; O. LANDO, Some Features of the Law of Contract in the Third Millennium, in 40 Scandinavian Studies in Law Stockholm, 2000, 343 ss. Tale orientamento è espressamente riconosciuto anche dai critici della lex mercatoria. Cfr. P. LAGARDE, Nota ad Appello Parigi, 13 luglio 1989, Companìa Valenciana de Cementos Portland c. Primary Coal, in Rev. Arb., 1990, 669. 57 Così, F. BORTOLOTTi, Manuale di diritto commerciale internazionale, Diritto dei contratti internazionali, op. cit., 415-416. 58 Cfr. le stime pubblicate nella Comunicazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 25 giugno 2008, COM (2008), 394 def. (Small Business Act). 59 Convenzione di New YorK del 10.6.1968 sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere. Essa è stata resa esecutiva in Italia con legge 19.1.1968, n. 62 ed è entrata in vigore il 1.5.1969. 28 dalla clausola compromissoria e, conseguentemente, potrà rifiutare il riconoscimento dell’eventuale lodo arbitrale reso su tale oggetto. Tale circostanza è destinata ad incidere in modo massiccio sulla possibilità di raggiungere l’uniformità nel settore della distribuzione commerciale, atteso che segmenti importanti della relativa disciplina, laddove espressamente codificati, sono sottratti alla materia arbitrale. Nello specifico, si osserva che la legge belga sulla concessione di vendita riserva al giudice nazionale la competenza esclusiva in materia, per il che eventuali controversie tra un esportatore italiano ed il suo concessionario belga potranno essere decise in sede di giurisdizione ordinaria mentre, nonostante la clausola compromissoria, l’eventuale lodo arbitrale potrà non trovare riconoscimento nel territorio nazionale60. In ipotesi di questo tipo, dunque, appare preferibile per il concedente italiano optare per la giurisdizione ordinaria con scelta del foro in Italia, atteso che una clausola di proroga di competenza conforme all’art. 23 del Regolamento CE 44/2001 è valida anche per materie per le quali gli Stati Membri attribuiscono competenze esclusive ai propri giudici61. In conclusione, si osserva come l’attuale quadro normativo incentivi gli attori della scena economica europea a prediligere la scelta del diritto nazionale come lex contractus nonostante la frammentarietà e le notevoli divergenze tra l’una e l’altra disciplina, considerata la scarsa vis attractiva di un articolato meccanismo che ricollega necessariamente la scelta in favore della lex mercatoria all’opportunità giuridica ed economica di un arbitrato internazionale. 60 Cfr. art. 1 della L. 27.7.1961, modificata con L. 13.4.1971. Conformemente App. Liegi 12.5.1977, in Yearbook Commercial Arbitration, vol. IV, 1979, 254 ss. e confermato da Cass. 28.6.1979, in Yearbook Commercial Arbitration, vol. V, (1980), 257 ss. che hanno rifiutato l’esecuzione di un lodo arbitrale reso all’estero nei confronti di un concessionario belga, considerando nulla la clausola compromissoria contenuta nel contratto e giudicando l’eventuale riconoscimento del lodo contrario all’ordine pubblico belga. 61 Cfr. art. 23 del Regolamento CE 44/2001 (Bruxelles I) del Consiglio del 22.12.2000 concernente la competenza , il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, pubblicato in GUCE del 16.1.2001 L 012. 29 CAPITOLO II LO “EUROPEAN LEGAL FRAMEWORK” IN MATERIA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE 1.1 I contratti di distribuzione nel processo di armonizzazione del diritto privato europeo 1.1.1 Il Draft Common Frame of Reference (DCFR): tra disciplina della parte generale del contratto e norme di settore Allo stato attuale il diritto europeo dei contratti appare in generale come un mosaico frammentario e disorganico che, in quanto frutto della stratificazione successiva di direttive di armonizzazione minima, è insufficiente ad assicurare coerenza ed organicità alle varie discipline di settore62. In tale contesto, la “specifica settorialità”63 dell’acquis communautaire e la persistente legal diversity tra i diritti nazionali, in quanto percepiti come un ostacolo al raggiungimento degli auspicati obiettivi di efficienza e di competitività del mercato interno64, hanno spinto l’attenzione delle istituzioni europee verso la progettazione di un’azione più decisa per “il ravvicinamento del diritto civile e commerciale degli Stati membri”65. Tale azione, inaugurata dalle due risoluzioni del Parlamento Europeo del 198966 e del 199467, è stata definitivamente intrapresa dalla Commissione con la Comunicazione del 200168 a seguito della quale si è avviata un’ampia 62 Sulle criticità derivanti da un approccio graduale agli obiettivi di armonizzazione, si veda la Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo “on European Contract Law”, dell’11.7.2001, [COM (2001) 368 def.] punti 35-40. In dottrina, si vedano i contributi di G. BETLEM - E. HONDIUS, European Private Law after the Treaty of Amsterdam, in European Rev. of Private Law, ; J. SMITS, Diversity of Contract Law and European Internal Market, in J. SMITS et als., The Need for a European Contract Law, Groningen, 2005, 164. 63 L’espressione è stata usata per la prima volta dalla Commissione europea, First Annual Progress Report on European Contract Law and the Acquis Review del 23.9.2005, COM(2005), 456 def., para 1. 64 In generale, sulle divergenze dei diritti statali come fattori di restrizione del mercato si veda, tra gli altri, J. BASEDOW, Codification of Private Law in the European Union. The Making of a Hybrid, in European Rev. of Private Law, 2001, 35 ss. 65 Così il titolo della Risoluzione del Parlamento europeo del 15.11.2001, C 140E/538 (A50384/2001). 66 Risoluzione del Parlamento europeo del 1989 “on acting to bring into line the private law of Member States”, C 158/400 (A2-157/89). 67 Risoluzione del Parlamento europeo del 1994 “on the harmonization of certain sectors of the private law of the Member States, C 205/518 (A3-0329/94). 68 Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento europeo “on European Contract Law”, cit. 30 consultazione pubblica sui problemi derivanti dalla diversità del diritto contrattuale degli Stati membri e sulle possibili azioni da intraprendere in questo campo. In esito alla fase consultiva, la Commissione ha lanciato un Piano d'azione che poneva al centro del programma la realizzazione di un “common frame of reference” assunto primariamente quale strumento di semplificazione e di miglioramento della coerenza e della qualità dell’acquis attraverso la predisposizione di un corredo terminologico volto all’identificazione di principi e di regole modello comuni ai sistemi giuridici degli Stati membri69. La spinta definitiva alla stesura di un nucleo di Common Principles of European Contract Law (COPECL) è stata ufficialmente sancita dalla Comunicazione del 200470 con cui si è disposto il finanziamento di un piano di ricerca triennale diretto alla costituzione di un CFR-network basato sulla stretta collaborazione tra legal experts ed esponenti delle varie categorie interessate71. Attualmente il Draft Common Frame of Reference (di seguito DCFR), la cui versione definitiva è stata pubblicata nell’ottobre del 200972, costituisce il risultato accademico dell’attività di ricerca condotta dai due più noti gruppi di esperti di estrazione pan-europea, lo Study Group on a European Civil Code73 ed il Research Group on the Existing EC Private Law (Acquis Group)74, i cui lavori si inseriscono a pieno ti- 69 Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento europeo ed al Consiglio “on a more coherent European Contract Law. An Action Plan” del 12.2.2003, [COM (2003) 68 def.]. 70 Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo ed al Consiglio “on European Contract Law and the revision of the acquis: the way forward” dell’11.10.2004, COM (2004) 651 def. 71 Http://www.copecl.org/. 72 C. VON BAR - E. CLIVE – H. SCHULTE-NÖLKE et al. (eds.), Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), Final Edition, Sellier European Law Publishers, Munich, 2009. 73 Http://www.sgecc.net/. In particolare, si vedano, C. VON BAR, Le Group d’Études sur un Code Civil Européen, in Revue Internationale de Droit Comparé (RIDC) 2001, 127-139; C. VON BAR – O. LANDO, Communication on European Contract Law: joint response of the Commission on European Contract Law and the Study Group on a European Civil Code, in European Review of Private Law, 10, 2002, p. 183 ss. 74 Http://www.acquisgroup.org/; in particolare, tra i lavori pubblicati si vedano Principles of the Existing EC Contract law: Contract I: Pre-contractual Obligations, Conclusion of Contracts, Unfair Terms, Sellier European Law Publishers, Munich, 2007; Contract II: General Provisions, Delivery Goods, Package Travel and Payment Services, Sellier European Law Publishers, Munich, 2009. 31 tolo nel solco delle attività di ricerca già intraprese, a partire dal 1982, dalla Commission on European Contract Law e culminate nella pubblicazione dei Principles on European Contract Law (PECL)75. Nello specifico, le iniziative dei due gruppi di studio sono state coordinate all’interno del Joint Network of European Contract Law – Network of Excellence - al quale ha partecipato, altresì, il Project Group on a Restatement of European Insurance Contract Law76. In funzione di valutazione, hanno contribuito ai lavori l’Association Henry Capitant insieme alla Société de Législation Comparée77, gli studiosi raccolti intorno al progetto The Common Core of European Private Law78 nonché il Research Group on the Economic Assessment of Contract Law Rules (TILEC)79, il Database Group e l’Academy of European Law – ERA80. In linea con le indicazioni delle istituzioni politiche, la comunità accademica enfatizza la qualificazione del Draft in termini di un “multifunctional tool81” destinato ad operare nella duplice direzione di una maggiore razionalizzazione del quadro normativo esistente e di una più efficiente armonizzazione del diritto82. 75 Principles on European Contract Law (PECL). O. LANDO - H. BEALE (eds.), Principles of European Contract Law Parts I and II, The Hague, 1999; O. LANDO, E. CLIVE, A. PRÜM, R. ZIMMERMANN (eds.), Principles of European Contract Law, Part III, The Hague, London, Boston 2003. 76 Principles of European Insurance Contract Law (PEICL), Sellier European Law Publishers, Munich, 2009. 77 Principes contractuels commun. Projet de cadre commun de reference, Société de Législation Comparée, Paris, 2008. 78 Http://www.iuctorino.it; http://www.jus.unitn.it/dsg/common-core/html. In particolare, si vedaANTONIOLLI L. – F. FIORENTINI, A Factual Assessment of the Draft Common Frame of Reference, prepared by Common Core Evaluating Group, Sellier European Law Publishers, 2011; M. BUSSANI – U. MATTEI, The Common Core Approach to the European Private Law, in Journal of European Law, 1997/98, 339 e ss. 79 Http://www.tilbutrguniversity.nl/tilec/. Sul punto, si segnala, LAROUCHE P. – CHIRICO F., Economic Analysis of the DCFR, Research Group on the Economic Assessment of Contract Law Rules, Sellier European Law Publishers, Munich, 2009. 80 Sulle iniziative e le pubblicazioni dell’Academy of European Law è possibile consultare il sito www.era.int. 81 Così, espressamente, H. SCHULTE-NÖLKE, Contract Law or Law of Obligations? – The Draft Common Frame of Reference (DCFR) as a multifunction tool, in R. SCHULZE (Ed.), Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, Sellier European Law Publishers, Munich, 2008, 47 e ss; per una compiuta indicazione dei possibili futuri impieghi del DCFR si veda H. BEALE, Unfair Contract Terms in the Common Frame of Reference, in Private Law Beyond the National Sistems. Liber Amicorum G. ALPA, a cura di M. ANDENAS ed altri, BIICL, London, 2007, 187 e ss. 82 Comunicazione della Commissione Europea “European contract law and the revision of the acquis: the way forward” dell’11.10.2004, COM (2004) 651 def. In dottrina, sul punto, M. HESSELINK, 32 Sotto il profilo della semplificazione legislativa, infatti, il DCFR si presenta come un vasto “armamentario concettuale-normativo83” che si presta ad essere assunto come modello sia per i legislatori nazionali all’atto di recepimento delle direttive comunitarie sia per la Corte di Giustizia ed i giudici statali come strumento di interpretazione rispettivamente del diritto comunitario e del diritto nazionale84. A tale funzione si accompagna quella di guida per la parallela attività di revisione dell’Acquis comunitario85, in vista della realizzazione di un mercato interno efficiente che raggiunga il giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela dei consumatori e la competitività delle imprese nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà86. Sul versante del diritto sostanziale, si auspica l’impiego del progetto come punto di partenza per l’adozione di un “optional instrument” che può essere scelto dalle parti come legge regolatrice dei contratti transnazionali, offrendo così una soluzione proporzionata agli ostacoli derivanti dalle divergenze tra gli ordinamenti statali87. Parallelamente, si è ipotizzata la configurabilità del Draft alla stregua di un “common core” a cui gli arbitri possono attingere per risolvere “in modo equilibrato ed equo” le controversie insorte tra i contraenti. Inoltre, il DCFR, in quanto fondato The European Commission’s Action Plan: Towards a more coherent European contract law?, in ERCL, 2004, 404 ss. 83 In questi termini, G. ALPA – G. CONTE, Dal progetto generale di Common Frame of Reference alla revisione dell’Acquis Communautaire, in Il diritto europeo dei contratti tra parte generale e norme di settore, Giuffrè, 2007, 650 e ss. 84 Sull’importanza del DCFR come strumento di interpretazione del diritto statale, M. MELI, The Common Frame of Reference and the Relationship between National Law and European Law, in ERCL, 2/2011, 231-233. 85 Il processo di revisione dell’Acquis relativo ai consumatori è stato ufficialmente intrapreso nel 2004 con la Comunicazione della Commissione Europea del 20.1.2005 COM (2004) 651 def. ed ha assunto un carattere programmatico a seguito della pubblicazione del Libro Verde sulla revisione dell’acquis relativo ai consumatori dell’8.2.2007 COM (2006) 744 def. 86 In dottrina, si veda N. JANSEN - R. ZIMMERMANN, Restating the Acquis comunautaire? A critical Examination of the Principles of the Existing EC Contract Law, in M.L.R., 2008, 55 ss.; M. B. M. LOOS, Review of the European Consumer Acquis, Sellier European Law Publishers, Munich, 2008; in particolare, sui rapporti tra il DCFR e l’attività di revisione dell’acquis, si veda R. SCHULZE, The Academic Draft of the CFR and the EC Contract Law, in R. SCHULZE (Ed.), Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, op. cit., 3 ss.; 87 Cfr. H. SCHULTE-NÖLKE, Scope and Function of the Optional Instrument on European Contract Law, in R. SCHULZE- J. STUYCK (eds.), Towards a European Contract Law, Sellier European Law Publishers, Munich, 2011, 23 ss. 33 sull’acquis comunitario e sulle best solutions condivise dal diritto contrattuale, si pone come modello per la promozione di un corpo di clausole standard da mettere a disposizione degli operatori del diritto nell’intera area dell’Unione88. Tra le molteplici iniziative di armonizzazione e di unificazione del diritto promosse a livello comunitario ed internazionale il DCFR rappresenta senza dubbio un esempio unico nel suo genere, segnalandosi sia sul piano dell’approccio metodologico adottato nell’elaborazione delle “rules” sia sotto il profilo dell’organizzazione sistematica del materiale a disposizione89. ll working programme previsto dal Piano d’azione ha assunto come base di partenza tre distinte tipologie di fonti: da un lato, le common rules derivanti dai contributi della comparazione giuridica di cui i PECL della Commissione Lando costituiscono l’espressione più compiuta; dall’altro, i principi di matrice strettamente comunitaria che emergono dall’attività di revisione dell’acquis90; ed infine, le regole del diritto del commercio internazionale consolidatesi soprattutto sotto la vigenza della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili91, così come interpretata ed integrata alla luce dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali92. 88 Cfr. punti 2.1.1 e 2.1.3 della Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul diritto contrattuale europeo e sulla revisione dell’acquis: prospettive per il futuro dell’11.10.2004, [COM (2004) 651 def.]. In generale, si veda DCFR, Introduzione, 6-7. 89 Sul punto, cfr. C. von BAR, Coverage and Structure of the Academic Common Frame of Reference, in ERCL, 3/2007, 281 ss.; S. GRUNDMANN, The Structure of the DCFR – Which Approach for Today’s Contract Law?, in ERCL, 3/2008, 225 ss.; M. HESSELINK, The Common Frame of Reference as a Source of European Private Law, in Tulane Law Review, 2009, 919 ss. 90 Principles of the Existing EC Contact Law - Contract I, Munich, Sellier European Law Publishers, 2007. 91 Cfr. nota 19. 92 Per un’introduzione ed un commento generale dei Principi UNIDROIT, si veda M.J. BONELL, Un “Codice” internazionale del diritto dei contratti, II ed., Milano, 2006; ID., The UNIDROIT Principles in practice. International Case Law and Bibliography on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, 2 ed., Transnational Publishers, 2006. Per un commento analitico delle singole disposizioni dei Principi UNIDROIT, si veda S. VOGENAUER – J. KLEINHEISTERKAMP (eds), Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (PICC), Oxford, 2009. 34 La disciplina sostanziale che trova diritto di cittadinanza nel DCFR costituisce, dunque, il frutto della convergenza di tali “basic sources”, concorrendo così alla formazione di un diritto contrattuale europeo dotato di una propria identità e di un’autonoma valenza assiologica93. In particolare, la reciproca interazione tra il diritto derivato dell’Unione ed i principi ricavati dal metodo della comparazione ha condotto all’affermazione di un numero rilevante di “substantive links” alcuni dei quali totalmente estranei alle esperienze giuridiche degli Stati membri. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla stretta correlazione tra la violazione dei pre-contractual information duties mutuati dall’Acquis ed la disciplina sulla (in)validità del contratto siglata dai PECL. Tale rapporto è particolarmente evidente ove si consideri l’art. II. – 3:107 para (4) del DCFR laddove, a fronte della violazione degli obblighi di informazione nella fase delle trattative, fa salva l’applicazione della disciplina sull’invalidità negoziale in caso di errore essenziale della controparte94. Prospettiva, questa, assolutamente innovativa rispetto alle esperienze giuridiche nazionali che definiscono la categoria dell’invalidità come un vizio esclusivo dell’atto, in quanto inerente agli elementi strutturali dello stesso95. Analogamente, la disciplina del Libro II relativa alla materia dei “Contracts and other juridical acts”, pur risolvendosi nei suoi contenuti nella trasposizione dei Principles of European Contract Law della Commissione Lando, è stata resa oggetto di vistose manipolazioni attraverso l’introduzione dei principi mutuati dall’Acquis 93 Così, in sintesi, R. SCHULTZE, The Academic Draft of the CFR and the EC Contract Law, in Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, in R. SCHULZE, Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, op. cit., 9. 94 DCFR, Art. II. 3:107 (4) “The remedies provided under this Article are without prejudice to any remedy which may be available under II. – 7:201 (Mistake)”. In dottrina, T. WILHELMSSON – C. TWIGG-FLESNER, Pre-contractual information duties in the acquis communautaire, in ERCL, 2006, 441 ss. 95 Sull’argomento, si veda G. DE CRISTOFARO, “Invalidity” of Contracts and Contract Terms in the Feasibility Study on a Future Instrument for European Contract Law, in R. SCHULZE – J. STUYCK (eds.), Towards a European Contract Law, op. cit., 97-120. 35 communautaire come, ad esempio, il divieto di discriminazione, gli obblighi di informazione precontrattuale e lo ius poenitendi che hanno così acquistato dignità di norme di parte generale96. Le ragioni alla base delle esigenze di armonizzazione del diritto, infatti, muovono dalla consapevolezza che le peculiarità proprie di ciascun settore di mercato influiscono sull’individuazione della disciplina del contratto e viceversa. In tale direzione, si profila la necessità di ripensare il tradizionale modo di regolare i rapporti tra parte generale e parte speciale, tra diritto dei contratti e regole di mercato. In ragione di ciò, l’approccio seguito dai gruppi di lavoro sembra aver inquadrato le norme di parte generale e quelle di parte speciale non già come microsistemi autonomi ed indipendenti bensì in un rapporto di reciproca complementarietà, inducendo l’interprete a cogliere di volta in volta la disciplina più adeguata alla regolamentazione dello specifico conflitto di interessi in base al contesto economico di riferimento. A conferma di tale rinnovata impostazione è utile richiamare il contenuto del Libro IV del DCFR dedicato ai “Specific contracts and the rights and obligations arising from them” ed i suoi rapporti con la disciplina generale del contratto e delle obbligazioni di cui rispettivamente ai Libri II e III del DCFR. Le norme di parte generale, infatti, si applicano trasversalmente ad ogni fattispecie negoziale, ancorché compiutamente regolata in sede di parte speciale, ogniqualvolta le prime offrano una tutela più incisiva del contraente debole. Parallelamente, anche nell’ambito della disciplina tipica di ciascun tipo contrattuale è possibile rinvenire norme di carattere generale suscettibili di essere applicate in modo ampio ed estensivo. Si pensi, ad esempio, alla prevista applicabilità dell’ “unfairness 96 Sul punto, si veda S. GRUNDMANN, The Optional European Code on the basis of the Acquis Communautaire, in European Law Journal, 2004, 678-711; T. WILHELMSSON - C. TWIGG-FLESNER, Pre-contractual information duties in the acquis communautaire, in ERCL, 2006, 441-470. Più in generale, cfr. S. PATTI, Parte generale del contratto e norme di settore nelle codificazioni, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Giuffrè, Milano, 2007, 547-564. 36 test” di cui all’Art. III. – 3:105 (2)97 anche ai contratti business to business ovvero alla naturale vocazione degli obblighi di “co-operation”98 e di “confidentiality”99 dettati specificamente per i contratti di agenzia commerciale, di franchising e di concessione di vendita a trovare applicazione in riferimento all’intera categoria dei “relational contracts”. Aspetti di evidente originalità si segnalano, altresì, sul piano della disciplina giuridica di taluni istituti, atteso che alcune delle soluzioni adottate nel Libro IV non sempre possono considerarsi come rappresentative di un reale “european common core” in materia di diritto contrattuale. In determinati casi, infatti, i componenti dello Study Group hanno optato per soluzioni innovative rispetto ai risultati emergenti dalla comparazione tout court, talvolta procedendo alla tipizzazione di rapporti contrattuali che non ricevono un’espressa qualificazione legale negli ordinamenti degli Stati Membri talaltra mostrando di aderire alle soluzioni adottate dalle leggi o dalla prassi giurisprudenziale di alcuni paesi piuttosto che di altri100. In tale prospettiva, dunque, trovano giustificazione alcune scelte di notevole impatto sistematico come, ad esempio, quelle riguardanti rispettivamente l’avvenuta tipizzazione dei service contracts101 e la definitiva formalizzazione del le- 97 DCFR, Art. III. 3:105: Term excluding or restricting remedies (2) “A term excluding or restricting a remedy for non-performance of an obligation, even if valid and otherwise effective, having regard in particular to the rules on unfair contract terms in Book II, Chapter 9, Section 4, may nevertheless not be invoked if it would be contrary to good faith and fair dealing to do so.” 98 DCFR, Art. IV.E. - 2:201: Cooperation “The parties to a contract within the scope of this Part of Book IV must collaborate actively and loyally and co-ordinate their respective efforts in order to achieve the objectives of the contract.” 99 DCFR, Art. IV.E. – 2:203: Confidentiality (1) “A party who receives confidential information from the other must keep such information confidential and must not disclose the information to third parties either during or after the period of the contractual relationship.” 100 Alcune perplessità su alcune delle soluzioni accolte nel DCFR sono espresse da R. ZIMMERMANN, The Present State of European Private Law, in 57 Am. J. Comp. L., 2009, 479 ss. 101 Principles of European Law on Service Contracts (PEL SC), prepared by M. BARENDRECHT - C. JANSEN - M. LOOS – A. PINNA – R. CASCAO – S. van GULIJK successivamente confluiti, con alcune modifiche, nel DCFR, Libro IV, Parte C. Per un’accurata comparazione tra i due strumenti, si veda M. LOOS, Service Contracts, Working Paper Series, 26.1.2010, consultabile in www.ssrn.com. 37 ase of goods il quale, ad esempio, nel diritto inglese non è qualificato come un tipo di contratto102. 1.1.2 I contratti di distribuzione commerciale nel disegno sistematico del DCFR Gli obiettivi perseguiti dal DCFR nella direzione di una maggiore formalizzazione di taluni istituti del diritto civile si giustificano soprattutto in un’ottica di semplificazione degli scambi così da consentire agli operatori economici di orientarsi alla luce di criteri-guida uniformi, a garanzia della certezza del diritto e dell’equilibrio delle relazioni commerciali. Tali considerazioni sono alla base della decisione di intervenire ufficialmente anche in riferimento alla complessa materia dei contratti di distribuzione commerciale, ponendo così le premesse per la definizione di una normativa sostanziale uniforme in un’area del diritto contrattuale che si è tradizionalmente caratterizzata per l’estrema lacunosità della materia sia a livello europeo che nazionale. Nel sistema del DCFR il coordinamento delle norme di parte generale dei contratti con la specifica disciplina dei modelli della distribuzione commerciale è siglato dalle General Provisions di cui al Capitolo 1 della Parte E del Libro IV le quali riflettono l’approccio universale accolto dai redattori nella risoluzione delle problematiche in comune ai tre tipi di contratto oggetto di regolamentazione: agenzia commerciale, franchising e distribuzione. Nella prospettiva di razionalizzazione del quadro normativo esistente, infatti, l’Art. 1:101: Contracts Covered103 definisce l’ambito di applicazione della disciplina 102 DCFR, Libro IV, Parte B. Sul punto, cfr. L. ANTONIOLLI – F. FIORENTINI, A Factual Assessment of the Draft Common Frame of Reference, prepared by Common Core Evaluating Group, Sellier European Law Publishers, Munich, 2011, Introduction, 13 ss., e nello specifico da 143 ss. 103 DCFR, Art. IV.E. – 1:101: Contracts Covered: (1) “This part of Book IV applies to contracts for the establishment and regulation of a commercial agency, franchise or distributorship and with appropriate adaptations to other contracts under which a party engaged in business independently is to use skills and efforts to bring another’s party products on the market.” 38 mediante un duplice criterio di qualificazione della fattispecie sia di natura legale, riferendosi specificamente ai tipi dell’agenzia, dell’affiliazione commerciale e della distribuzione sia di carattere funzionale, includendo genericamente tutti gli accordi in forza dei quali una parte, autonomamente dedita all’esercizio di un’attività, utilizza le proprie capacità ed i propri sforzi per commercializzare sul mercato i prodotti della controparte. In primo luogo, l’enfatizzazione del criterio funzionale, quale parametro discretivo tra contratti con funzione distributiva e tutti gli altri contratti, è diretto ad impedire ai contraenti la possibilità di eludere l’applicazione delle norme, specie quelle di carattere imperativo, attraverso una diversa qualificazione formale della fattispecie legale. L’obbligo assunto dall’intermediario di commercializzare beni o servizi della controparte attraverso un’organizzazione autonomamente gestita costituisce, dunque, condizione necessaria e sufficiente ai fini dell’immediata applicabilità della disciplina in esame, a nulla rilevando una diversa connotazione del rapporto negoziale ad opera dei contraenti104. In secondo luogo, la consacrazione della formula dell’indipendenza giuridica ed economica viene altresì in rilievo quale requisito costitutivo del tipo contrattuale, essendo diretta a condizionare l’individuazione degli accordi di distribuzione all’inesistenza di un vincolo di subordinazione tra le parti. Requisito, quest’ultimo, di notevole rilevanza pratica ove si consideri che tali accordi generalmente attribuiscono rispettivamente al preponente, all’affiliante ed al distributore più o meno ampi poteri di direzione e di coordinamento dell’attività economica della controparte, sollevando così il dubbio che la conclusione dello stesso sia diretta alla realizzazione di uno scopo economico unitario, ossia del c.d. interesse di gruppo, anziché al conseguimento del profitto individuale dei singoli operatori professionali. 104 Così nei Commenti all’Art. IV.E. - 1:101: Contracts Covered. 39 La formula del “business independetly engaged” rileva, dunque, non solo a priori come criterio meramente descrittivo ma anche a posteriori come requisito di classificazione delle fattispecie all’interno della categoria generale dei “contratti tra imprese”, giacché l’attività posta in essere del distributore non può che essere esercitata attraverso un’organizzazione autonomamente gestita secondo i criteri di professionalità e di economicità. In linea con una visione coerente ed organica dell’intero sistema di diritto contrattuale, i rapporti tra il DCFR ed i Principi europei dei contratti (PECL) sono regolati alla luce dell’ordinario criterio di specialità. In particolare, alla luce di quanto previsto dall’Art. IV.E. – 1:201: Priority Rules l’eventuale concorso tra le norme sull’agenzia commerciale e quelle sul mandato deve risolversi in favore dell’applicazione delle prime ogniqualvolta esse regolino una situazione più specificamente connessa alla relazione agente/preponente ovvero siano idonee ad assicurare un livello di protezione più elevato. Parallelamente, le norme di parte speciale contenute nelle sezioni rispettivamente dedicate ai modelli tipizzati della distribuzione prevalgono, in generale, sulle Rules applicabili ai contratti di durata aventi caratteristiche analoghe mentre ogni altra questione non espressamente regolata si inquadra all’interno della disciplina generale dei PECL che, a sua volta, rappresenta il punto di partenza da cui prende le mosse ciascuna iniziativa europea di armonizzazione del diritto. Un esempio evidente delle modalità attraverso cui si articola l’impianto sistematico del DCFR con specifico riguardo alla disciplina sostanziale dei contratti di distribuzione viene in rilievo dal confronto del Capitolo 2 sulle “Rules applying to all contracts within the scope of this Part” con le corrispondenti norme di parte generale dedicate rispettivamente agli obblighi di informazione, di cooperazione e di riservatezza. 40 Le “General Provisions” di cui al Capitolo 2, infatti, nell’individuare i profili di disciplina attraverso i quali i redattori del DCFR hanno inteso dare risposta alle specifiche esigenze di protezione del contraente più debole, definiscono un sistema di obblighi in grado di soddisfare in maggior misura gli interessi generalmente sottesi ai tipi contrattuali in esame. Tale obiettivo è stato raggiunto ora attraverso una definizione più puntuale e rigorosa dei relativi contenuti, com’è avvenuto, ad esempio, con riguardo ai pre-contractual information duties e all’obbligo di cooperation, ora optando per l’integrale sostituzione di alcuni segmenti di disciplina di parte generale con norme di carattere speciale, come nell’ipotesi prevista dall’art. IV.E. – 2:302: Contract for an indefinite period paragrafo (7) relativamente all’esercizio del recesso unilaterale nei contratti a tempo indeterminato. Sotto diverso profilo, la ricostruzione in chiave sostanziale di ciò che può essere considerato come l’“hard core” della regolamentazione europea dei contratti di distribuzione commerciale presuppone inevitabilmente un’attenta disamina dei Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Agreements, (PEL CAFDC)105 i cui contenuti sono stati in gran parte recepiti dai drafters in sede di preparazione del Libro IV Parte E del DCFR. 1.1.3 Le origini della disciplina europea sui Distribution Agreements: i Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) I Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Agreements, (PEL CAFDC)106 sono il risultato delle attività di studio e di ricerca 105 M.W. HESSELINK, J.W. RUTGERS, O. BUENO DIAZ, M. SCOTTON, M. VELDMAN, Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC), Sellier European Law Publishers, Munich, 2006. 106 Cfr. nota 55. In generale, si rinvia sull’argomento a O. BUENO DIAZ, Franchising in European Contract Law. A comparison between the main obligations of the contracting parties in the Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC), French and Spanish Law. Sellier, European Law Publishers, Munich, 2008; ID., Commercial Agency, Franchise 41 condotte dal Dutch Working Team107 istituito su iniziativa dello Study Group on a European Civil Code in vista della preparazione di una proposta di regolamento per una disciplina europea dei contratti di distribuzione108. In questa prospettiva, i “national reporters”, chiamati a dare risposta ai vari “questionnaires” sulle principali problematiche giuridiche attinenti ai modelli della distribuzione commerciale, hanno provveduto alla formalizzazione del materiale complessivamente raccolto, recependo la struttura sistematica standard adottata dalla Commissione Lando nella redazione dei PECL: alla formulazione delle black letter rules seguono, in via consequenziale, il commento esplicativo di ciascuna norma e le “National Notes” volte a descrivere in sintesi le specificità dei diritti statali in riferimento agli aspetti di volta in volta regolati. Le ragioni che nel 2006 hanno spinto i membri dello Study Group alla pubblicazione dei PEL CAFDC si iscrivono inevitabilmente all’interno degli obiettivi di integrazione e di sviluppo del mercato interno e, pertanto, devono ricercarsi nel carattere essenziale della funzione economica svolta da tali modelli in termini di riduzione dei costi di commercializzazione in capo ai produttori e di aumento della competitività tra gli intermediari integrati. I PEL CAFDC, infatti, costituiscono l’oggetto di una proposta di regolamento diretta ad assicurare ai contraenti un “reasonable degree of legal certainty”, dato che le sole norme di parte generale del contratto e delle obbligazioni non sempre appaiono sufficienti a risolvere tutte le potenziali questioni oggetto di controversia tra le parti109. Per espressa dichiarazione dei redattori, dunque, i Principi sono prio- and Distribution, in V. SAGAERT, M. E. STORME, E. TERRYN (eds), The Draft Common Frame of Reference: national and comparative perspective, Intersentia, 2012, 387 ss. 107 I membri del gruppo di studio olandese era composto da ricercatori provenienti da ogni parte d’Europa chiamati a dare risposta alle domande del questionario riguardanti le specificità dei rispettivi diritti nazionali. 108 Per un’indicazione dei volumi pubblicati dallo Study Group, cfr. DCFR, Outline Edition, Introduction, para 41-46 e 54. 109 Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, III, 92. 42 ritariamente diretti a svolgere una funzione di carattere dispositivo attraverso la previsione di soluzioni idonee a regolare le fasi più critiche della dinamica contrattuale senza porsi, tuttavia, una dichiarata finalità di protezione del contraente debole110. L’ambito materiale di applicazione dei PEL CAFDC si esaurisce nella puntuale determinazione dei diritti e degli obblighi delle parti con l’obiettivo di assicurare “a proper balance” nella composizione dei diversi interessi in gioco. In particolare, a garanzia della giustizia normativa dell’accordo è prevista l’operatività di un fitto sistema di disclosure clauses il cui contenuto è rivolto a colmare il deficit informativo di base che generalmente caratterizza lo stato di dipendenza economica degli intermediari integrati. Nel sistema dei Principi resta, così, esclusa la regolamentazione dei rapporti con i soggetti terzi. Di conseguenza, eventuali questioni sui vizi di conformità ovvero sui danni derivanti da prodotti difettosi dovranno essere risolte facendo ricorso alle norme generali sulle vendite ai consumatori mentre gli aspetti concernenti i rapporti tra l’agente ed il cliente saranno regolati dalle norme sulla rappresentanza. Parimenti restano al di fuori dell’ambito di applicazione dei Principi i rapporti tra gli operatori professionali che agiscono all’interno della medesima rete distributiva ai quali deve ritenersi applicabile la disciplina di diritto comune dei contratti111. Sul piano sistematico, la struttura dei PEL CAFDC riflette la natura e la funzione degli schemi contrattuali tipici del commercio integrato: i tratti caratteristici comuni, riassumibili nella matrice economica unitaria e nel carattere strettamente relazionale del vincolo negoziale, giustificano la presenza delle norme generali sui doveri di informazione pre-contrattuale e sugli obblighi di cooperazione e di segretezza che, per loro natura, si prestano ad un’applicazione ampia ed estensiva112. Diver110 Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, V, 93. Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, VII, 96. 112 DCFR, Book IV, Part E, Chapter 2: Rules applying to all contracts within the scope of this Part. 111 43 samente, le specificità proprie di ciascuna tipologia contrattuale trovano puntuale regolamentazione all’interno di un capitolo ad hoc, ciascuno dei quali si articola in tre Sezioni dedicate rispettivamente alla definizione della fattispecie negoziale ed alla determinazione delle obbligazioni gravanti sul preponente e l’agente, il franchisor ed il franchisee, il produttore ed il distributore113. La strategia perseguita è chiaramente conformativa in quanto rivolta alla predisposizione di statuti normativi differenziati a seconda della natura effettiva degli interessi perseguiti e dei soggetti coinvolti, allo scopo di determinare la composizione di un quadro coerente di regole il più possibile adeguate e congrue all’operazione negoziale avuta di mira. Sul fronte opposto, la scelta di formulare norme comuni di carattere generale in riferimento a modelli contrattuali affini trova il proprio fondamento nell’esigenza di ridurre i problemi di qualificazione e di successiva regolamentazione delle diverse fattispecie negoziali, posto che l’elevato grado di incertezza riferibile alle divergenze tuttora esistenti tra i diritti statali rappresenta un notevole ostacolo allo sviluppo transnazionale di una rete distributiva efficiente114. 1.2 Verso un strumento di diritto opzionale per i contratti di distribuzione? 1.2.1. Il diritto europeo dei contratti nel passaggio dal DCFR alla Common European Sales Law (CESL) Le più recenti iniziative promosse dalla Commissione Europea in merito alla possibile adozione di un strumento opzionale in materia contrattuale offrono 113 In particolare, il Capitolo 3 è dedicato al contratto di agenzia commerciale, il Capitolo 4 al contratto di affiliazione commerciale ed il Capitolo 5 al contratto di distribuzione esaminato nelle due forme della distribuzione esclusiva e selettiva. 114 Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, VI, 95, dove si legge “…in many European jurisdictions today there are high stakes at issues as to whether a certain contract can be qualified as a commercial agency contract, since if it does a whole range of statutory rules apply which are both protective of the agent and mandatory.” 44 l’occasione di riflettere sull’attuale rilevanza del DCFR come principale fattore di armonizzazione nel panorama del diritto privato europeo.115 In seguito alla pubblicazione dei risultati del Feasibility Study on European Contract Law116 e della proposta di Regolamento “on a Common European Sales Law”117 (di seguito CESL), il DCFR è stato reso oggetto di un vasto processo di “recontractualisation”118 con riguardo sia alla sua struttura sia alla terminologia complessiva, tenendo conto altresì dell’acquis e degli strumenti di diritto uniforme già esistenti come i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali e la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG)119. In particolare, le risposte agli interrogativi sull’attuale definizione dei rapporti tra il DCFR, da un lato, e la CESL, dall’altro, possono agevolmente ricercarsi nella disamina dei criteri metodologici adottati dall’Expert Group in fase di preparazione 115 Libro Verde della Commissione sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese dell’1.7.2010, COM (2010), 348 def. Commissione Europea, D-G. Justice, “Expert Group on a Common frame of Reference in European Contract Law, Synthesis of te Fifth Meeting”, 1 September – 1 October 2010, consultabile in http://ec.europa.eu/justice/policies/consumers. 116 I risultati del Feasibility Study for a Future Instrument in European Contract Law” sono stati resi noti il 3 maggio 2011. Per una disamina completa del testo, si veda “A European contract law for consumers and businesses: Publication of the results of the feasibility study carried out by the Expert Group on European contract law for stakeholders’ and legal practitioners’ feedback” in ec.europa.eu/contract/feasibility_study_ 117 Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio “on a Common European Sales Law” COM (2011) 635 (def.) dell’11.10.2011 di cui è pubblicato online il testo in inglese in ec.europa.eu/justice/contract/files. L’obiettivo complessivo del Regolamento è quello di migliorare il funzionamento del mercato interno, favorendo l’espansione degli scambi transfrontalieri a sostegno delle piccole e medie imprese ed assicurando un elevato livello di protezione ai consumatori attraverso la predisposizione di una disciplina uniforme in materia di vendita in tutta l’area dell’Unione. 118 Di “recontractualization” del diritto privato europeo parla espressamente R. Schulze nella sua “Introduction” in R. SCHULZE – J. STUYCK, Towards a European Contract Law, Sellier European Law Publishers, 2011, p. 5; con riferimento specifico alla CESL, il concetto è stato ripreso da A. VENEZIANO, Conclusion of the contract, ivi, 81-95, in particolare 86. 119 Per un’ampia riflessione sugli standards linguistici e terminologici adottati nel DCFR alla luce dei modelli attuali di unificazione del diritto, si veda lo studio di S. VOGENAUER, Elaborare il diritto europeo dei contratti, in Contr. Impr./Eur., 1/2012, 125 ss. 45 dello strumento conformemente alle indicazioni impartite dalla Commissione stessa120. Specificamente, il mandato conferito a tale consesso di esperti è consistito in un’attività di selezione, semplificazione, riorganizzazione ed aggiornamento di quelle parti del DCFR aventi “direct relevance to contract law” in vista della predisposizione di uno strumento opzionale (set of legal rules) di agevole consultazione (userfriendliness and clarity) da parte degli operatori. Il punto di partenza è, dunque, rappresentato dall’immenso lavoro di ricerca comparativa svolto nei Libri da I a III del DCFR del quale è espressamente confermata la vocazione originaria a porsi come “building block” rispetto alle iniziative promosse dalle istituzioni politiche dell’Unione verso il conseguimento di un diritto uniforme dei contratti. Il prodotto finale derivante dal lavoro svolto dai membri dell’Expert Group risulta, tuttavia, molto meno ambizioso rispetto al progetto originario non solo se confrontato con l’impianto monumentale del DCFR ma anche se paragonato all’ampiezza del mandato di cui gli Experts erano stati inizialmente investiti121. Nella Relazione illustrativa dei lavori si legge, infatti, che la Commissione invitava ad elaborare “a self-standing instrument of European contract law” mentre il progetto definitivo appare espressamente riferito alla “Common European Sales Law”, con notevole ridimensionamento della portata armonizzatrice dello strumento. 120 L’Expert Group è stato istituito dalla Commissione Europea con la decisione 2010/233/EU del 26 aprile 2010, p. 109-111, con l’esplicito compito di realizzare “further progress” nello sviluppo di un futuro strumento di diritto contrattuale europeo. 121 In senso critico sul ridimensionamento dell’ambito di applicazione nel passaggio dal DCFR alla CESL, O. LANDO, On a European Contract Law for Consumers and Businesses, in R. SCHULZE – J. STUYCK (eds.), Towards a European Contract Law, op. cit., 203; C. CASTRONOVO, La Proposta per un diritto comune europeo della vendita: quesiti fondamentali, Audizione del Parlamento europeo, Commissione per gli affari giuridici, 1.3.2012; ID., L’utopia della codificazione europea e l’oscura Realpolitik di Bruxelles, in Europa dir. priv., 2011, 837 ss.; R. ZIMMERMANN, Diritto privato europeo: “Smarrimenti, Disordini”, in Contr. Impr./Eur., 1/2012, 7 ss. 46 La versione definitiva della CESL appare, infatti, manifestamente più circoscritta sotto il duplice profilo oggettivo, limitandosi a regolare le sole vendite di beni mobili e di contenuto digitale nonché alcuni contratti di servizi direttamente collegati; e soggettivo, riferendosi alle sole transazioni cross-border i cui protagonisti siano un professionista ed un consumatore ovvero due professionisti, di cui uno almeno con la qualifica di imprenditore medio-piccolo. Le indicate esigenze di semplificazione unitamente allo scarso tempo a disposizione per il completamento dei lavori (all’incirca un anno) e all’incidenza di alcune valutazioni di natura strettamente politica hanno generato ciò che un autorevole studioso ha definito come “strange combination of general contract law and sales law”122. La struttura applicativa della CESL, infatti, in quanto preordinata a regolare il life cycle of the contract123 ossia le questioni strettamente collegate all’evolversi naturale del rapporto contrattuale, si riferisce soltanto ad alcuni aspetti specifici del diritto generale dei contratti e del diritto delle vendite, trascurando di regolare alcune questioni di parte generale che pur trovano compiuta regolamentazione all’interno del DCFR. Il riferimento è in particolare agli aspetti attinenti alla capacità giuridica e alla capacità di agire, alla rappresentanza, alla cessione, alle obbligazioni 122 O. LANDO, Comments and Questions Relating to the European Commission’s Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law, in ERPL, 2011, 718. Di questa strana integrazione della parte generale e della disciplina della vendita, Hugh Beale, membro autorevole del Gruppo di esperti che ha elaborato lo studio di fattibilità diventato, con qualche variazione, l’allegato I alla Proposta di regolamento, ha ritenuto responsabile la pressante sollecitazione provenienti dagli stakeholders (cfr. E. HONDIUS, Presentation, of the Book Towards an optional Contract Law, in ERPL, 2011, 1034. 123 Espressione che si ritrova in D. STAUDENMAYER, Introduction, in Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on a Common European Sales Law, Verlag C.H. Beck, 2012, XXII; A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line (anche) tra imprese, in Contr. Impr./Eur., 1/2012, 455. Nello specifico, con riguardo alla struttura della CESL, si osserva che una serie di regole potrebbe essere riferita ai contratti in generale, disciplina cioè la parte essenziale comune a tutti i contratti sia nella parte I, dedicata ai principi generali, sia nelle parti II e III, riguardanti rispettivamente la conclusione e il contenuto del contratto; le parti IV e V riguardano il rapporto obbligatorio che si instaura tra venditore e compratore, e perciò sono più specificamente riferite alla vendita; ma infine le parti VI, VII e VIII, rispettivamente sul risarcimento del danno, sulle restituzioni e sulla prescrizione sono di nuovo relative ai contratti e alle obbligazioni in generale. 47 soggettivamente complesse e ai modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’inadempimento che, in quanto questioni espressamente escluse,124 hanno determinato un notevole restringimento del diritto di parte generale non solo rispetto ai contenuti del DCFR ma anche se confrontato con altri strumenti di unificazione del diritto come i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali ed i PECL, originariamente rivolti alla generalizzazione delle regole contenute nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG)125. Occorre tuttavia osservare che, se si muove dalla valutazione dell’attuale stato di evoluzione del diritto europeo dei contratti, per tale intendendosi il coacervo disorganico delle direttive attualmente vigenti in materia contrattuale, la CESL costituisce senza dubbio uno strumento sufficientemente esaustivo ed appetibile, atteso che la stessa introduce per la prima volta una disciplina organica e razionalmente organizzata che consente di superare la specifica settorialità dell’acquis communautaire in riferimento ad un cospicuo segmento del diritto europeo dei contratti.126 Inoltre, il ridimensionamento dell’ambito dedicato al diritto generale trova una ragionevole giustificazione nella considerazione secondo cui un diritto di parte generale dal carattere più onnicomprensivo sarebbe apparso eccessivamente sproporzionato rispetto alla drastica riduzione della sfera oggettiva di applicazione dello strumento ai soli contratti di vendita. 124 Cfr. Considerando 27 della proposta di Regolamento “on a Common European Sales Law” in cui si legge “ (…) These issues include legal personality, the invalidity of a contract arising from lack of capacity, illegality or immorality, the determination of the language of the contract, matters of nondiscrimination, representation, plurality of debtors and creditors, change of parties including assignment, set-off and merger, property law including the transfer of ownership, intellectual property law and the law of torts. Furthermore, the issue of whether concurrent contractual and noncontractual liability claims can be pursued together falls outside the scope of the Common European Sales Law. 125 Così, A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line (anche) tra imprese, op. cit., 456. 126 G. DE CRISTOFARO, Il futuro “Diritto comune europeo” della vendita mobiliare: profili problematici della Proposta di Regolamento presentata dalla Commissione UE, in Contr. Impr./Eur., 1/2012, 358. 48 E’ altrettanto ragionevole immaginare che in futuro si registri una più ampia adesione verso l’adozione di un “pragmatic approach”127 alle questioni di armonizzazione del diritto dei contratti, consentendo di valutare con più cautela sia gli interessi dei contraenti rispetto all’efficienza delle soluzioni proposte sia la risposta del mercato di fronte all’impiego pratico dello strumento. In tale prospettiva, è auspicabile che la CESL venga a rappresentare in futuro un modello di riferimento per l’adozione di una serie di strumenti analoghi che, sia pure destinati a regolare altri contratti e diversi rapporti obbligatori, potrebbero ricollegarsi alle norme di parte generale ivi contenute128. 1.2.2 Il recupero dei PEL CAFDC per uno strumento di diritto opzionale in materia di contratti di distribuzione: “the way forward” Attualmente, benché si possa agevolmente ritenere che lo European Legal Framework in materia di distribuzione commerciale abbia raggiunto sul piano teorico un sufficiente grado di completezza ed esaustività, non è dato rinvenire alcun meccanismo normativo in grado di legittimare l’operatività della clausola che individua nel DCFR o in parti di esso, la legge applicabile al contratto. In questa direzione, la “grande occasione perduta”129 è rappresentata dalla presa di posizione di netta chiusura assunta dal legislatore europeo con l’adozione del Regolamento 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali130 127 Così D. STAUDENMAYER, Introduction, op. cit., XXII. Cfr., C. CASTRONOVO, La Proposta per un Diritto comune europeo della vendita: alcuni quesiti fondamentali, nella Relazione tra la Proposta e le norme di diritto internazionale privato. Interazione tra le leggi nazionali esistenti e gli strumenti internazionali ed europei, tenuta in occasione dell’Audizione del Parlamento europeo, Commissione affari giuridici, 1 marzo 2012, secondo il quale “Questa impostazione consentirebbe di adottare, quando i tempi fossero maturi, le discipline specifiche di altri contratti ed altri rapporti obbligatori, ricollegandole a loro volta alla parte generale che sarebbe già stata adottata nel Regolamento del quale qui discutiamo la Proposta”; A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line (anche) tra imprese, op. cit., 457. 129 Così, testualmente, M. J. BONELL, Il Regolamento CE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (“ROMA I”) – ovverosia una grande occasione perduta, in Bocconi Legal Papers, 2/2011, www.bocconilegalpapers.org. 130 Regolamento CE 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), pubblicato in GU L 176 del 4 luglio 2008. 128 49 che ha escluso in capo ai contraenti la facoltà di scegliere quale lex contractus anche i principi e le regole non statuali, quali, per l’appunto, il DCFR o alcune sue parti (in attesa dell’eventuale trasformazione dello stesso o di singole sue parti in uno strumento normativo vincolante) ovvero i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali131. A causa delle numerose resistenze opposte dagli ambienti più strenuamente legati ad una concezione statualistica del diritto, è naufragato il progetto originario di inserire nell’art. 3 un nuovo secondo paragrafo che individua come diritto eleggibile “i principi e le norme di diritto sostanziale dei contratti, riconosciuti a livello internazionale o comunitario”132, mentre si è riconosciuta la facoltà di optare per un qualsiasi altro diritto statale benché privo di qualsiasi collegamento con il rapporto contrattuale133. La definitiva formulazione dell’art. 3 del Reg. CE 593/2008, sebbene criticabile sotto molteplici profili134, non è comunque tale da ostacolare tout court l’implementazione degli strumenti soft law sia perché è pur sempre praticabile la via della giustizia arbitrale che garantisce piena esplicazione al principio di autonomia negoziale135 sia perché è lo stesso legislatore europeo che non esclude l’eleggibilità del DCFR a lex contractus allorché in futuro le relative rules siano incor- 131 Cfr. nota 26. Proposta di Regolamento CE del Parlamento e del Consiglio 15 Dicembre 2005 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), COM(2005) 650 def. Precisamente, come sottolineato nel Rapporto esplicativo, “[l]a formulazione adottata è intesa ad autorizzare la scelta dei Principi UNIDROIT, dei Principi Europei o di un eventuale futuro strumento comunitario facoltativo, vietando invece la scelta della lex mercatoria in quanto troppo imprecisa, o di codificazioni private non sufficientemente riconosciute dalla comunità internazionale”. 133 In proposito, cfr. art. 2 laddove prevede espressamente che “La legge designata dal presente regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro” e art. 3 co. 1 che si preoccupa unicamente delle modalità in cui deve avvenire la scelta del diritto applicabile ad opera delle parti, non prevedendo alcuna limitazione circa l’oggetto della scelta, purché si tratti di un diritto statale. 134 Sul carattere contraddittorio e poco convincente degli effetti derivanti dall’attuale formulazione dell’art. 3 del Regolamento Roma I, si veda M. J. BONELL, Il Regolamento CE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (“ROMA I”) – ovverosia una grande occasione perduta, op. cit., 5-7. 135 Cfr. infra nota 55. 132 50 porate “in un idoneo strumento giuridico” con possibilità per le parti di optare per la relativa applicazione136. Il grado di effettività del diritto europeo dei contratti risulterebbe, infatti, ulteriormente potenziato qualora lo strumento adottando, anziché qualificarsi semplicemente come diritto applicabile individuato secondo i criteri tradizionali del diritto internazionale privato, regolasse al suo interno un meccanismo di opt-in. In forza del principio di specialità, infatti, le norme del testo uniforme sarebbero tali da prevalere sulle norme di conflitto di cui al Regolamento 593/2008 (Roma I) e, conseguentemente, verrebbe esclusa l’applicabilità delle limitazioni che in genere circoscrivono l’operatività di una choice of law clause137. In tale prospettiva, i meccanismi del diritto internazionale privato assumerebbero rilevanza solo in relazione agli aspetti non espressamente regolati mentre l’ambito materiale di applicazione del testo uniforme verrebbe a determinarsi indipendentemente da quello del Regolamento 593/2008 potendo, se del caso, estendersi anche ad alcune questioni disciplinate dal Regolamento 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II), come ad esempio, all’area della responsabilità precontrattuale138. Sulla scorta di tali indicazioni, la Commissione europea, nel promuovere l’introduzione di un regime di diritto opzionale in materia di vendita, ha deciso infatti di non intervenire sul paino del diritto internazionale privato, configurando la scelta della CESL non come scelta assimilabile a quella in favore di una legge nazio- 136 Cfr. Considerando no. 14 “Qualora la Comunità dovesse adottare in un idoneo strumento giuridico norme di diritto sostanziale dei contratti, comprendenti clausole e condizioni generali, tale strumento può prevedere la possibilità per le parti di scegliere l’applicazione di tali norme”. 137 Nella specie vengono in rilievo i limiti alla scelta della legge applicabile previsti dall’art. 6 del Regolamento CE 593/2008 (Roma I) con riguardo ai contratti conclusi con il consumatore. 138 Cfr. Regolamento CE 864/2007 del Parlamento e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sul diritto applicabile alle obbligazioni extra-contrattuali, (Roma II), pubblicato in GU L del 31 luglio 2007. 51 nale ma come “secondo regime” relativo ad un diritto direttamente applicabile allo Stato del contraente che lo sceglie139. L’adozione di uno strumento opzionale appare desiderabile soprattutto se si considera che ogniqualvolta le parti avranno optato a monte per l’applicabilità del testo di diritto europeo uniforme, le esigenze di certezza del diritto sottese al potenziamento dei traffici commerciali transfrontalieri dovrebbero far decidere in ordine all’inammissibilità del c.d depeçage, ossia della volontà di sottoporre diverse parti del contratto a leggi differenti con l’effetto di costruire una disciplina contrattuale composta da norme appartenenti ad una pluralità di ordinamenti140. In tale direzione, l’art. 8 della CESL, sia pure limitatamente ai soli rapporti tra professionista e consumatore, ha escluso l’ammissibilità di un’applicazione parziale dello strumento141. Nella stessa prospettiva, appare lecito dare una soluzione di segno negativo all’annosa questione riguardante la possibilità per le parti di neutralizzare gli effetti delle disposizioni imperative dell’ordinamento prescelto. L’esperienza dei contratti internazionali dimostra, infatti, come la legge richiamata possa essere anche una 139 Considerando (19) della Proposta di Regolamento “on a Common European Sales Law” in cui si legge che “The agreement to use the Common European Sales Law should be a choice exercised within the scope of the respective national law which is applicable pursuant to Regulation (EC) No 593/2008 or, in relation to pre-contractual information duties, pursuant to Regulation (EC) No 864/2007 of the European Parliament and of the Council of 11 July 2007 on the law applicable to non-contractual obligations (Regulation (EC) No 864/2007)20, or any other relevant conflict of law rule. The agreement to use the Common European Sales Law should therefore not amount to, and not be confused with, a choice of the applicable law within the meaning of the conflict-of-law rules and should be without prejudice to them. This Regulation will therefore not affect any of the existing conflict of law rules.” 140 Sull’inammissibilità del “cherry picking method” in vista del possibile futuro impiego dell’Optional Instrument come legge applicabile al contratto, H. SCHULTE-NÖLKE, Scope and Function of the Optional Instrument on European Contract Law, op. cit., 43. Più in generale, sui limiti all’ammissibilità dell’uso del depeçage in campo internazionale, si vedano S. M. CARBONE – R. LUZZATTO, Il contratto internazionale, Torino, 1994; T. BALLARINO, Diritto internazionale privato, 3 ed., con la collaborazione di A. BONOMI, Padova, 1999; F. BORTOLOTTI, Diritto dei contratti internazionali, 2 ed., vol. I, Torino, 2001. 141 Cfr. art. 8 para 3 della CESL “In relations between a trader and a consumer the Common European Sales Law may not be chosen partially, but only in its entirety.” 52 normativa uniforme non altrimenti applicabile ma che, qualora richiamata su volontà delle parti, debba trovare applicazione in tutta la sua interezza142. Per di più, la necessità di garantire ampi margini di effettività alla policy europea di protezione del c.d. “contraente debole” è tale da escludere la possibilità di annullare gli effetti delle mandatory provisions, in quanto espressione di un livello di protezione più elevato rispetto a quello garantito dai singoli diritti statali143. Coerentemente, questa è la prospettiva aperta con la proposta di Regolamento UE per le vendite transfrontaliere tra un professionista ed un consumatore nonché con la scelta operata dalla Direttiva 2011/83/UE con la quale si vuole uniformare il settore dei contratti dei consumatori144. Ciò premesso, considerando che l’attuale trend evolutivo del diritto privato europeo si muove con una certa predilezione verso l’adozione di Regolamenti facoltativi, non appare azzardato avanzare alcune proposte di lavoro in vista di una piena ed efficace armonizzazione del settore della distribuzione commerciale. Sull’esempio delle iniziative già promosse in materia di vendita, è auspicabile che le autorità istituzionali europee accolgano nel breve periodo la proposta di re142 Così, S. M. CARBONE, L’autonomia privata nei rapporti economici internazionali e i suoi limiti, in Atti del Convegno di studi di Milano, 9 giugno 2007, il quale adduce a sostegno della sua ricostruzione l’esempio delle paramount clauses nei contratti di charter-parties. Conformemente, V. ROPPO, I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e di clausole vietate: a proposito di armonizzazione del diritto europeo dei contratti, in Il diritto europeo dei contratti tra parte generale e norme di settore, op. cit. 143 Cfr. l’Explanatory Memorandum della proposta di Regolamento CE del Parlamento Europeo e del Consiglio “on a Common European Sales Law” COM (2011) 635 (def.) dell’11.10.2011. Sulla necessità di intervenire più chiaramente nell’affermazione del suddetto principio anche nei rapporti BtoB, si vedano le considerazioni espresse nello Statement of the European Law Institute on the Proposal for a Regulation on a Common European Sale Law, COM (2011) 635 final, dove, in riferimento alle possibili modifiche all’art. 3, si legge che: “(3) There is a contradiction between allowing partial choice in B2B contracts and having mandatory rules for B2B contracts. ELI Article 3(4) therefore clarifies that you cannot, by way of partial choice, escape the application of mandatory rules.” 144 Cfr. art. 25 della Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25.10.2011 sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE e della direttiva 1999/44/CE e che abroga la direttiva 85/5777/CE e la direttiva 97/7/CE, pubblicata in GUE del 22.11.2011, L 304/64 dove si legge che “Se il diritto applicabile al contratto è quello di uno Stato membro, i consumatori non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle misure nazionali di recepimento della stessa direttiva.” In particolare sull’argomento, M. FRANZONI, Dal codice europeo dei contratti al regolamento sulla vendita, in Cont. Impr./Eu, 1/2012, 350 ss. 53 cepire il medesimo impianto metodologico anche con riguardo alla definizione di discipline materiali riferibili ad altri contratti, occupandosi con assoluta priorità dei modelli commerciali della distribuzione. Il percorso relativo alla realizzazione di siffatta iniziativa avrebbe l’opportunità di godere di una corsia preferenziale o “fast track” considerando che, come già anticipato, i membri dello Study Group si sono dedicati in modo accurato alla regolamentazione della materia attraverso la stesura dei Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts. In particolare si ritiene che, qualora dovesse essere recepita come oggetto di un regime opzionale, la disciplina prevista nei Principi assumerebbe un peso specifico molto più rilevante rispetto alla corrispondente regolamentazione confluita successivamente nel Libro IV Parte E del DCFR. Il superiore grado di fruibilità della stessa troverebbe giustificazione nella maggiore capacità di far fronte alle pressanti esigenze di certezza del diritto e alle sempre più avvertite istanze di protezione del “contraente debole”. A differenza di quanto previsto nel Libro IV del DCFR, infatti, le corrispondenti general provisions contenute nei PEL CAFDC sui doveri di informazione precontrattuale (art. 1:201), sull’obbligo di cooperazione (art. 1:202) e sul dovere di informazione durante l’esecuzione del contratto (art. 1:203) hanno carattere imperativo e, pertanto, la relativa regolamentazione è sottratta alla facoltà di deroga per volontà delle parti. La scelta operata dai PEL CAFDC attraverso la predisposizione in alcuni casi di una “mandatory protection” appare più coerente con il sistema di valori posti alla base dell’architettura normativa del DCFR dove eventuali restrizioni al principio fondamentale della freedom of contract trovano giustificazione nella necessità di ri- 54 stabilizzare posizioni originariamente squilibrate145. Si ritiene, dunque, che il carattere imperativo attribuito alle general provisions sia il risultato di un opportuno bilanciamento tra il principio dell’autonomia negoziale e le esigenze di protezione del contraente debole, avendo cura di dare il medesimo risalto all’elemento della cooperazione come fattore di caratterizzazione dell’intera categoria dei contratti di durata146. La mancata trasposizione nel Libro IV del DCFR del carattere imperativo delle norme generali sugli obblighi di informazione e di cooperazione, oltre a non trovare ragionevole giustificazione sul piano delle policies proclamate nel DCFR, è foriera di marcate incoerenze all’interno della disciplina stessa. In primo luogo, si segnala la contraddittorietà destinata a caratterizzare i rapporti tra il franchising ed i contratti di acquisto esclusivo. Nel primo caso, infatti, l’obbligo di cooperazione è mandatory in ragione della natura strettamente collaborativa del rapporto mentre il riconoscimento di tale imperatività è assente con riguardo ai contratti di acquisto esclusivo, ancorché ne siano espressamente affermate le relative analogie con il franchising. Tale circostanza produrrà l’effetto di incrementare le controversie sulla qualificazione legale delle singole fattispecie, contrav- 145 Cfr. DCFR, Introduction, 25. Freedom of contract; 26. Restriction on freedom to contract; 27. Restriction to determine contents of contract dove, infatti, si legge “Similarly, restrictions on the parties’ freedom to fix the terms of their contract may be justified even outside the classic cases of procedural unfairness such as mistake, fraud, duress and the exploitation of a party’s circumstances to obtain an excessive advantage. Grounds on which restrictions might be justified include inequality of information (about either the facts, such as the characteristics of the goods or services to be supplied, or the terms of the contract, or both); and lack of bargaining power. Such problems are most common when a consumer is dealing with a business, but can also occur in contracts between businesses, particularly when one party is a small business that lacks expertise.” 146 PEL CAFDC, Introduzione, 95. L’applicazione del principio dell’autonomia negoziale è particolarmente importante in riferimento ai contratti di distribuzione atteso che, come si legge nell’Introduzione ai PEL CAFDC “most such contracts are in practice governed by carefully drawn up contract terms”. In generale sull’argomento, O. BUENO DIAZ, Commercial Agency, Franchise and Distribution, in V. SAGAERT, M. E. STORME, E. TERRYN (eds), The Draft Common Frame of Reference: national and comparative perspective, Intersentia, 2012, 413. 55 venendo alle esigenze di certezza e di prevedibilità del diritto che hanno spinto i redattori del DCFR a voler regolare in modo eguale situazioni analoghe. La preferenza per l’applicabilità della disciplina dei PEL CAFDC sarebbe da accordarsi, altresì, in considerazione della necessità di superare alcuni profili di irragionevolezza presenti invece nella versione confluita nel DCFR. In generale si osserva che se, da un lato, il minor grado di intensità del vincolo di collaborazione caratterizzante i contratti di distribuzione esclusiva o selettiva è tale da giustificare il carattere default della norma speciale sugli obblighi di informazione pre-contrattuale, dall’altro, le caratteristiche aventi in comune con il franchising sotto il profilo della dipendenza economica e della continuità del rapporto, non è tale da giustificare una significativa diminuzione del livello di protezione nelle fasi che precedono o seguono la conclusione del contratto, considerando che il distributore potrebbe subire la mancata osservanza degli standards generali di correttezza di cui agli artt. IV.E 2:101: Pre-contractual information duty e 2:202: Information during the performance del DCFR. 56 CAPITOLO III I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE NEI “PRINCIPLES OF EUROPEAN LAW ON COMMERCIAL AGENCY, FRANCHISE AND DISTRIBUTION CONTRACTS (PEL CAFDC)” 1.1 “Disclosure” e “co-operation” nel sistema dei PEL CAFDC 1.1.1 Gli obblighi di informazione tra “general provisions” e norme speciali L’evoluzione dell’industria moderna verso forme di aggregazione imprenditoriale ha incoraggiato il diritto privato europeo al riconoscimento, sia pure implicito, della categoria dei relational contracts, di cui gli accordi di distribuzione commerciale costituiscono una delle principali manifestazioni tipologiche147. La rilevanza socioeconomica del modello dei contratti relazionali, infatti, ha inciso direttamente sul processo di armonizzazione del diritto soprattutto attraverso la standardizzazione di un cospicuo numero di norme di relazione volte a dare effettività alle aspettative degli operatori professionali in ordine al conseguimento del risultato economico desiderato, oltre che attraverso il perfezionamento di rimedi contrattuali intesi ad assicurare stabilità e continuità al rapporto148. Muovendo dall’idea secondo cui il mercato europeo costituisce anzitutto un obiettivo da costruire normativamente, i PEL CAFDC riconoscono una certa evidenza sistematica alla categoria dei relational contracts facendo ampio ricorso a norme imperative di principio. Queste, poiché dirette ad arginare l’adozione in concreto di comportamenti opportunistici dei contraenti indipendentemente da una situazione di egemonia sul mercato trovano nel canone della buona fede oggettiva e, dunque, 147 Per riferimenti bibliografici essenziali, si veda M. EISENBERG, Relational Contracts, in Good Faith and Fault in Contract Law, Oxford, 1995; A. SCHWARTZ, Relational Contracts in the Courts: An Analysis of Incomplete Agreements and Judicial Strategies, in 21 L. Legal Studies, 1992, 271; R. E. SPEIDEL, The Characteristics and Challenges of Relational Contracts, in 94 N. W. U. L. Rev., 2000, 823; O. WILLIAMSON, Market and Hierarchies: Analysis and Antitrust Implications, New York, 1975. 148 Tra i principali contributi della dottrina europea sull’argomento, si veda F. CAFAGGI (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, Bologna, 2004; F. CAFAGGI – P. IAMICELI, Reti di imprese tra crescita ed innovazione organizzativa. Riflessioni di una ricerca sul campo, Bologna, 2007; A. LOPES – F. MACARIO – P. MASTROBERARDINO (a cura di), Reti di imprese. Scenari economici e giuridici, Torino, 2007; D. G. BAIRD, Self-interest and Co-operation in Long-Term Contracts, in Journal of Legal studies, 1990, 583 ss. 57 nel good commercial practice il fondamento giuridico originario149. In tale contesto, la clausola generale svolge una funzione di integrazione del contratto con finalità prevalentemente distributive, essendo volta ad individuare la parte tenuta a farsi carico dei costi connessi all’adempimento degli obblighi strumentali alla realizzazione del risultato economico desiderato. Sotto diverso profilo, l’imperatività delle norme su talune obbligazioni accessorie trova la propria giustificazione nell’esigenza di garantire un più elevato livello di protezione del contraente debole, sottraendo parti del regolamento negoziale alla disponibilità delle parti e, dunque, alla possibilità di abusi da parte del contraente assistito da una posizione di preminenza economica150. L’originalità delle general provisions contenute nei PEL CAFDC non risiede tanto nella formalizzazione tout court degli obblighi di disclosure, co-operation e confidentiality, già ampiamente consacrati dal diritto positivo europeo con riguardo alle discrete transactions151 bensì nell’aver garantito una maggiore effettività a tali principi, piegando il relativo contenuto alle specificità delle logiche regolatorie che caratterizzano il segmento di mercato di volta in volta considerato. Sul piano morfologico, la formula negoziale tipica dei contratti di distribuzione appare contraddistinta da tre elementi fondamentali: il carattere necessariamente duraturo del rapporto contrattuale; l’elevata specificità delle prestazioni oggetto 149 In proposito, tra i tanti, si vedano i contributi di R. ZIMMERMANN – S. WHITTAKER, (a cura di), Good Faith in European Contract Law, Cambridge, 2000; S. GRUNDMANN - D. MAZEAUD, General Clauses and Standards in European Contract Law, The Hague, 2006; E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo in Eu. e dir. priv, 2012, 593 ss. 150 Sull’argomento, oggi al centro di un intenso dibattito, si veda, tra i tanti, G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, 21 ss.; ID., Diritto dei contratti e “Costituzione” europea. Regole e principi ordinanti, Milano, 2005; H. COLLINS, La giustizia contrattuale in Europa, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 659. In particolare si segnalano i contributi di R. SACCO – F. GALGANO – D. J. GERBER – E. MOSCATI – V. ROPPO – G. VETTORI – M. COSTANZA – U. MORELLO, raccolti sotto il titolo Giustizia contrattuale e libertà economiche: verso una revisione della teoria del contratto? nel libro su Il ruolo della civilistica italiana nel processo di costruzione della nuova Europa, Milano, 2007. 151 Termine coniato dalla dottrina americana in contrapposizione alla nozione di relational contracts. Le discrete transactions, infatti, sono transazioni commerciali isolate, normalmente ad efficacia istantanea, che presuppongono l’inesistenza di rapporti precedenti o successivi tra i contraenti e che, pertanto, esauriscono i relativi effetti nell’operazione economica isolatamente considerata. 58 dello scambio da cui derivano costi di commutazione altissimi; ed infine, un deficit informativo di base e, dunque, una strutturale incompletezza contrattuale, intesa come impossibilità di regolare a priori l’incidenza delle sopravvenienze sull’assetto negoziale originario. Tali requisiti denotano un modello contrattuale che vede una della parti in una posizione di tendenziale dipendenza economica rispetto all’altra, essendo la prima chiamata a coordinare la propria attività di impresa conformemente alle esigenze di marketing della seconda ed in vista della realizzazione di un’operazione economica complessa e proiettata nel tempo. Ciò considerato, un corretto ed efficiente svolgimento delle relazioni riconducibili al genus in esame presuppone che l’atteggiamento di entrambi i contraenti si conformi ai principi di reciprocità e di solidarietà: individuandosi, la prima, nella consapevolezza che gli sforzi rivolti a beneficio della controparte produrranno nel lungo termine un ritorno vantaggioso; la seconda, nella disponibilità di una parte a fare affidamento sul comportamento cooperativo dell’altra, nella misura in cui ciò sia necessario per garantire la stabilità del vincolo negoziale152. In tale prospettiva, i PEL CAFDC intendono conseguire l’obiettivo di un mercato fortemente competitivo ispirato ai principi di correttezza e di leale collaborazione tutelando i valori della trasparenza e della tempestività nella gestione delle informazioni che qualificano l’intera vicenda negoziale sia nella fase iniziale delle trattative sia in quella successiva dell’esecuzione. E’, pertanto, agevole riconoscere nella relativa disciplina la spinta verso il conseguimento di forme di “cooperazione efficiente”, posto che la condotta di ciascun contraente, accuratamente informato sui termini del contratto e sulla durata del rapporto, costituisce elemento decisivo per l’ottimizzazione dell’utilità congiunta nel pieno rispetto della libertà negoziale. 152 Sui doveri di solidarietà quali criteri conformativi dell’autonomia negoziale, si vedano N. IRTI, Persona e mercato, in ID., L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998; C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 32 ss. 59 Durante la fase delle trattative, il corretto assolvimento degli oneri di informazione è subordinato anzitutto ad un fattore di carattere temporale laddove all’art. 1:201: Pre-contractual information153 si stabilisce che le informazioni debbano pervenire alla controparte within a reasonable time prima della conclusione del contratto. La previsione di un termine ragionevole è funzionale ad assicurare ai contraenti la possibilità di ponderare in modo accurato l’opportunità di vincolarsi nel lungo periodo conformemente ai termini contrattuali proposti, senza scartare nessuna delle possibili alternative presenti sul mercato. In particolare, l’autonomia negoziale delle parti può ritenersi efficacemente esercitata soltanto qualora gli oneri informativi siano adempiuti in osservanza del criterio oggettivo del good commercial practice154 e la determinazione negoziale definitiva sia maturata alla luce di una reasonably informed basis. Il canone del good commercial practice ha l’effetto di individuare il contenuto degli obblighi di informazione in base agli standards generalmente ritenuti rilevanti nel contesto economico-commerciale in cui si svolge l’affare, in modo che ciascun operatore professionale sia in grado di proporre consapevolmente le soluzioni giuridiche più idonee alle proprie esigenze commerciali155. Allo stesso tempo, il ricorso a standards oggettivamente rilevanti consente di circoscrivere i confini dello sforzo normalmente esigibile da ciascuna delle parti. Infatti, delimitando la tipologia e la natura dei dati di cui si richiede la relativa divulgazione, si intende preservare la stabilità del contratto contro l’eventualità che una 153 PEL CAFDC, IV. E. – 2:101: Pre-contractual information duty: A party who is engaged in negotiations for a contract within the scope of this Part has a duty to provide the other party, a reasonable time before the contract is concluded and so far as required by good commercial practice, with such information as is sufficient to enable the other party to decide on a reasonably informed basis whether or not to enter into a contract of the type and on the terms under consideration. 154 Il riferimento al criterio di “good commercial practice” richiama espressamente la regola sui doveri di informazione precontrattuale prevista per i business to business contracts sulla fornitura di beni e servizi di cui all’art. II. 3:101: Duty to disclose information about goods, other assets and services. 155 In generale, si veda F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, Vol. I, op. cit., 99 ss. 60 delle parti possa eccepire la mancata comunicazione di notizie che, di fatto, non sono in grado di influire sulla valida formazione del consenso negoziale. Inoltre, una consapevole decisione sull’an della stipulazione presuppone che l’informazione trasmessa, oltre ad essere pertinente, sia anche effettiva, ossia ragionevolmente in grado di incidere sul contenuto del contratto in quanto espressa in modo chiaro, completo e trasparente. Tuttavia, la reciproca combinazione di tali criteri impedisce di attribuire al precetto del clare loqui un contenuto unitario determinabile a priori, posto che la congruità dei dati forniti dovrà essere valutata sulla base di circostanze di fatto che variano a secondo del tipo contrattuale considerato e che, secondo una valutazione sociale media, sia ragionevole attendersi156. Sul piano generale soccorrono in aiuto dell’interprete le indicazioni di cui all’art. II.-7:205: Fraud157 del DCFR che, nell’ambito della disciplina del dolo, individuano la presenza degli obblighi di disclosure in funzione di una serie di circostanze fattuali quali il grado di competenza e di specializzazione della parte, i costi necessari per l’acquisto delle informazioni rilevanti, la possibilità per la parte di ricercare fonti alternative e, da ultimo, l’apparente rilevanza delle informazioni per la controparte. Nella medesima prospettiva, vengono in rilievo rispettivamente l’art. II.3:301: (Negotiations contrary to good faith)158 e l’art. II.-7:201: (Mistake)159 del DCFR. 156 Sul punto, G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione commerciale, Milano, 1983, 98 ss. 157 DCFR, II.-7:205: Fraud (1) A party may avoid a contract when the other party has induced the conclusion of the contract by fraudulent misrepresentation, whether by words or conduct, or fraudulent non-disclosure of any information (1) A party may avoid a contract when the other party has induced the conclusion of the contract by fraudulent misrepresentation, whether by words or conduct, or fraudulent non-disclosure of any information (a) whether the party had special expertise; (b) the cost to the party of acquiring the relevant information; (c) whether the other party could reasonably acquire the information by other means; and b(d) the apparent importance of the information to the other party. 158 DCFR, II. – 3:301: Negotiations contrary to good faith and fair dealing: (1) A person is free to negotiate and is not liable for failure to reach an agreement. (2) A person who is engaged in negotiations has a duty to negotiate in accordance with good faith and fair dealing. This duty may not be ex- 61 Il contenuto degli obblighi di informazione è determinato in modo più dettagliato con riguardo ai contratti di franchising. Infatti, a causa della penetrante ingerenza del franchisor nella sfera decisionale dei propri franchisee e del loro coordinamento unitario a garanzia dell’immagine comune della rete distributiva, il futuro franchisee deve essere accuratamente messo al corrente di una serie di informazioni il cui contenuto minimo inderogabile è tassativamente individuato dall’art. 3:102: Pre-contractual information dei PEL CAFDC160. Nello specifico, le informazioni riguardanti le condizioni patrimoniali del franchisor, gli estremi identificativi del marchio e le caratteristiche strutturali della rete sono rivolte a consentire al futuro franchisee di avvedersi in anticipo delle criticità che l’offerta di adesione al network potrebbe eventualmente sollevare a discapito della sua stessa sopravvivenza economica. Il pericolo maggiore, infatti, è rappresentato dalla potenziale inidoneità della formula commerciale allo svolgimento cluded or limited by contract. (3) A person who has negotiated or broken off negotiations contrary to good faith and fair dealing is liable for any loss caused to the other party to the negotiations. (4) It is contrary to good faith and fair dealing, in particular, for a person to enter into or continue negotiations with no real intention of reaching an agreement with the other party. 159 DCFR, II. – 7:201: Mistake: (1) A party may avoid a contract for mistake of fact or law existing when the contract was concluded if: (a) the party, but for the mistake, would not have concluded the contract or would have done so only on fundamentally different terms and the other party knew or could reasonably be expected to have known this; and (b) the other party; (i) caused the mistake; (ii) caused the contract to be concluded in mistake by leaving the mistaken party in error, contrary to good faith and fair dealing, when the other party knew or could reasonably be expected to have known of the mistake; (iii) caused the contract to be concluded in mistake by failing to comply with a pre-contractual information duty or a duty to make available a means of correcting input errors; or (iv) made the same mistake. (2) However a party may not avoid the contract for mistake if: (a) the mistake was inexcusable in the circumstances; or (b) the risk of the mistake was assumed, or in the circumstances should be borne, by that party. 160 PEL CAFDC 3:102: Pre-contractual information: (1) The duty under IV. E. – 2:101 (Precontractual information duty) requires the franchisor in particular to provide the franchisee with adequate and timely information concerning: (a) the franchisor’s company and experience; (b) the relevant intellectual property rights; (c) the characteristics of the relevant know-how; (d) the commercial sector and the market conditions; (e) the particular franchise method and its operation; (f) the structure and extent of the franchise network; (g) the fees, royalties or any other periodical payments; and (h) the terms of the contract.(2) Even if the franchisor’s non-compliance with paragraph (1) does not give rise to a mistake for which the contract could be avoided under II. – 7:201 (Mistake), the franchisee may recover damages in accordance with paragraphs (2) and (3) of II. – 7:214 (Damages for loss), unless the franchisor had reason to believe that the information was adequate or had been given in reasonable time. (3) The parties may not exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects. 62 dell’attività di impresa161 ovvero dal rischio di inserimento all’interno di una rete distributiva di dimensioni talmente ridotte da costringere il franchisee ad affrontare investimenti aggiuntivi non previamente calcolati. L’esigenza di ottenere in anticipo tutte le informazioni inerenti ai termini dell’operazione negoziale si spiega, altresì, a fronte della prassi largamente diffusa di concludere i contratti di franchising facendo ricorso alle condizioni generali di contratto unilateralmente predisposte dal franchisor a garanzia dell’uniformità dei suoi rapporti con tutti gli affiliati. In questo caso, essendo normalmente esclusa la possibilità di negoziare il contenuto del regolamento contrattuale, si vuole assicurare all’aderente, a cui è riservata la sola facoltà di decidere se concludere o meno l’affare secondo la logica del “take it or leave it”, di prestare il proprio consenso avendo cognizione completa dei termini negoziali. L’art. 1:203: Information during Perfomance162 scolpisce in termini generali il principio secondo cui ciascun contraente è tenuto a fornire tempestivamente alla controparte le informazioni necessarie in ordine al conseguimento dello scopo del contratto. La formalizzazione del canone della buona fede oggettiva attraverso l’implementazione degli obblighi di informazione durante la fase esecutiva è volta ad orientare la condotta delle parti verso un risultato efficiente a salvaguardia dell’interesse sostanziale di ciascuna di esse e nei limiti di un sacrificio economico non apprezzabile163. La valenza precettiva della norma si estende, infatti, alle sole 161 PEL CAFDC, 3:102, Comment B. PEL CAFDC, 1:203: Information during Performance: During the period of the contractual relationship each party must provide the other in due time with all the information which the first party has and the second party needs in order to achieve the objectives of the contract. 163 Per una disamina completa delle peculiarità della buona fede nella prospettiva europea, si vedano, tra i tanti, M. AUER, Good Faith: A Semeiotic Approach, in European Private Law, 2002, 279 ss.; M. HOCH, Is fair dealing a workable concept for European Contract Law?, in Global Jurist Topics, 2005, 5 ss.; R. ZIMMERMANN – S. WHITTAKER (a cura di), Good faith in European Contract Law, op. cit., 8 ss.; O. LANDO, Is Good Faith an Over - Arching General Clause in the Principles of European Contract law, in ERPL, 2007, 841 ss. 162 63 informazioni di cui ciascun contraente è normalmente in possesso in ragione della propria attività, evitando di imporre a carico delle parti un obbligo aggiuntivo di investigazione e limitando il dovere di comunicazione alle sole notizie rilevanti ai fini del conseguimento dei risultato economico desiderato. Il carattere generale della disposizione, infatti, assume connotazioni più specifiche in corrispondenza della disciplina di ciascun tipo contrattuale, definendo il contenuto degli obblighi informativi a seconda delle caratteristiche strutturali del modello negoziale di riferimento. In materia di agenzia commerciale, l’art. 2:203: Information by agent during the performance164 impone all’agente la comunicazione di tutti i dati riguardanti i contratti negoziati o conclusi, le caratteristiche del mercato di riferimento e lo stato di solvibilità dei clienti mentre il preponente ha il dovere di informare la controparte delle caratteristiche dei beni e dei servizi offerti, dei prezzi nonché delle condizioni di vendita e di acquisto, quali ad esempio, i modi di pagamento, i termini della consegna ovvero le caratteristiche della politica commerciale promossa. Nella medesima prospettiva, vengono in rilievo in materia di franchising gli artt. PEL CAFDC 3:205: Information during the performance165 e 4:302: Information by franchisee during the perfomance166 nonchè gli artt. IV.E. 4:202: Information by 164 PEL CAFDC, 2:203: Information during Performance: The obligation to inform requires the commercial agent in particular to provide the principal with information concerning; (a) contracts negotiated or concluded;(b) market conditions; (c) the solvency of and other characteristics relating to clients. 165 PEL CAFDC, 3:205: Information during Performance: The obligation to inform requires the franchisor in particular to provide the franchisee with information concerning: (a) market conditions; (b) commercial results of the franchise network; (c) characteristics of the products; (d) prices and terms for the supply of products;(e) any recommended prices and terms for the re-supply of products to customers; (f) relevant communication between the franchisor and customers in the territory; and (g) advertising campaigns. 166 PEL CAFDC, 4:302: Information by franchisee during the performance: The obligation under IV. E. – 2:202 (Information during Performance) requires the franchisee in particular to provide the franchisor with information concerning: (a) claims brought or threatened by third parties in relation to the franchisor’s intellectual property rights; and (b) infringements by third parties of the franchisor’s intellectual property rights. 64 supplier during the performance167 e IV.E. 4:302: Information by distributor during the performance168 con riguardo ai contratti di distribuzione. In particolare, individuando nello sfruttamento della formula commerciale e nelle clausole di esclusiva reciproca alcuni tra i principali fattori di tipizzazione dei modelli in esame, gran parte delle informazioni dovute dal franchisor/fornitore riguardano i dati relativi alle modalità operative e al mantenimento della reputazione del network169 mentre le informazioni del franchisee/distributore si limitano a riguardare le eventuali azioni giudiziarie intentate da terzi contro i diritti di proprietà intellettuale o alla possibile violazione degli stessi. 1.1.2 La “co-operation” come criterio generale di disciplina L’adempimento dei doveri di informazione durante la fase di esecuzione del contratto costituisce al tempo stesso una delle possibili estrinsecazioni dell’obbligo di collaborazione previsto in via generale dall’art. 1:202: Co-operation170 unitamente al concetto di lealtà nell’esecuzione delle prestazioni. Stante la natura di long term contracts, infatti, gli accordi di distribuzione richiedono un grado di collaborazione particolarmente intenso che non si limita ad 167 PEL CAFDC, 4:202: Information during the performance: The obligation under 1:203 (Information during the performance) requires the supplier to provide the distributor with information concerning: (a) the characteristics of the products; (b) the prices and terms for the supply of the products; (c) any recommended prices and terms for the re-supply of the products to customers; (d) any relevant communication between the supplier and customers; and (e) any advertising campaigns relevant to the operation of the business. 168 PEL CAFDC, 4:302: Information during the performance: In exclusive distribution contracts and selective distribution contracts, the obligation under 1:203 requires the distributor to provide the supplier with information concerning: (a) claims brought or threatened by third parties in relation to the supplier’s intellectual property rights; and (b) infringements by third parties of the supplier’s intellectual property rights. 169 Il termine “network” è utilizzato nel solo capitolo sul franchising. Sul significato della categoria dei contractual networks e sulla loro incidenza nel diritto europeo, si veda ampiamente, F. CAFAGGI, Contractual Networks and the Small Business Act: Towards European Principles?, in EUI Working Papers, Law n. 2008/15, 2 ss. 170 PEL CAFDC, 1:202: Co-operation: The parties to a contract within the scope of this Part of Book IV must collaborate actively and loyally and co-ordinate their respective efforts in order to achieve the objectives of the contract. 65 esigere dalle parti un mero comportamento passivo atto a scongiurare gli effetti della mora credendi bensì impone una condotta attiva diretta a preservare solidaristicamente l’interesse sostanziale della controparte ed, in definitiva, a consentire la realizzazione dello scopo della transazione171. Nella parte dei PEL CAFDC dedicata ai singoli contratti vengono in rilievo molteplici previsioni normative che formalizzano una serie di condotte doverose a carattere collaborativo. Così, infatti, l’art. 3:202: Know-how172 sull’obbligo di trasmissione del know-how necessario nel corso dell’intera durata del contratto; l’art. 3:203: Assistance173 sui doveri di assistenza ai propri franchisee in termini di organizzazione di corsi di formazione, di aggiornamento professionale e di progettazione; ed infine, l’art. 3:207: Reputation of network and advertising174 che pone a carico del franchisor il compimento di tutti gli sforzi necessari ad affermare la buona reputazione del network ed a promuovere campagne pubblicitarie volte a rafforzare l’immagine della rete. Sul fronte opposto, si collocano i doveri di collaborazione a carico dei franchisees previsti dagli artt. 3:303: Business method and instructions175 e 3:304: Inspec171 Cfr. artt. 2 e 3 dell’IFA, International Franchise Association Code of Ethics, 1999, dove si legge “(…) the success of franchise systems depends on upon both franchisors and franchisees attaining their goals. (…) Nowhere else in the world does there exist a business relationship that embodies such a significant degree of mutual interdependence (…). 172 PEL CAFDC, 3:202: Know-how: (1) Throughout the duration of the contractual relationship the franchisor must provide the franchisee with the know-how which is necessary to operate the franchise business. (2) The parties may not exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects. 173 PEL CAFDC, 3:203: Assistance: (1) The franchisor must provide the franchisee with assistance in the form of training courses, guidance and advice, in so far as necessary for the operation of the franchise business, without additional charge for the franchisee. (2) The franchisor must provide further assistance, in so far as reasonably requested by the franchisee, at a reasonable cost. 174 PEL CAFDC, 3:207: Reputation of network and advertising: (1) The franchisor must make reasonable efforts to promote and maintain the reputation of the franchise network. (2) In particular, the franchisor must design and co-ordinate the appropriate advertising campaigns aiming at the promotion of the franchise network. (3) The activities of promotion and maintenance of the reputation of the franchise network are to be carried out without additional charge to the franchisee. 175 PEL CAFDC, 3:303: Business method and instructions: (1) The franchisee must make reasonable efforts to operate the franchise business according to the business method of the franchisor. (2) The franchisee must follow the franchisor’s reasonable instructions in relation to the business method and the maintenance of the reputation of the network. (3) The franchisee must take reasonable care 66 tion176 che obbligano questi ultimi ad eseguire correttamente le istruzioni impartite dal franchisor in merito allo svolgimento dell’attività di commercializzazione nonché a prestare il proprio consenso all’espletamento di controlli ispettivi nei propri locali commerciali. Norme dello stesso tenore sono previste anche in materia di contratti di distribuzione strettamente intesi177. Gli obblighi di collaborazione reciproca, oltre che diretti a massimizzare l’utilità congiunta avuta di mira dai contraenti, si pongono a garanzia della stabilità e della continuità del vincolo negoziale. Essi, infatti, consentono di rispondere in termini di efficienza ai problemi legati alla gestione dei contratti di durata, in particolare con riguardo alla necessità di un adeguamento del rapporto in caso di sopravvenienze o di modificazione delle circostanze originarie. Qualora siffatti accadimenti non siano comunque tali da giustificare il ricorso ai rimedi manutentivi ovvero risolutori del contratto come, ad esempio, quelli previsti dai PECL nel caso di un mutamento delle circostanze178, è possibile fare applicazione delle regole di condotta previste dagli artt. 2:309: Warning of decreased vo- not to harm the franchise network. (4) The parties may not exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects. 176 PEL CAFDC, 3:304: Inspection: (1) The franchisee must grant the franchisor reasonable access to the franchisee’s premises to enable the franchisor to check that the franchisee is complying with the franchisor’s business method and instructions. (2) The franchise must grant the franchisor reasonable access to the accounting books of the franchisee. 177 PEL CAFDC, 4:304: Instructions: In exclusive distribution contracts and selective distribution contracts, the distributor must follow reasonable instructions from the supplier which are designed to secure the proper distribution of the products or to maintain the reputation or the distinctiveness of the products; PEL CAFDC, 4:305: Inspections: In exclusive distribution contracts and selective distribution contracts, the distributor must provide the supplier with reasonable access to the distributor’s premises to enable the supplier to check that the distributor is com plying with the standards agreed upon in the contract and with reasonable instructions given. 178 PECL, 6:111: Change of circumstances: An obligation must be performed even if performance has become more onerous, whether because the cost of performance has increased or because the value of what is to be received in return has diminished. (2) If, however, performance of a contractual obligation becomes so onerous because of an exceptional change of circumstances the parties are bound to enter into negotiations with a view to adapting the contract or ending it, provided that: (a) the change of circumstances occurred after the time when the obligation was incurred,(b) the debtor did not at that time take into account, and could not reasonably be expected to have taken into account, the possibility or scale of that change of circumstances; (c) the debtor did not assume, and cannot reasonably be regarded as having assumed, the risk of that change of circumstances(…). 67 lume of contracts179 per il contratto di agenzia, 3:206: Warning of decreased supply capacity180 per il contratto di franchising e 4:303: Warning of decreased requirement181 per il contratto di distribuzione. Esse, infatti, riconoscono a carico del preponente, del franchisor e del distributore l’obbligo di dare tempestiva notizia della presumibile diminuzione delle rispettive capacità di fornitura laddove il volume d’affari divenga significativamente inferiore rispetto a quello che la controparte avrebbe ragionevolmente motivo di attendersi. Inoltre, con specifico riguardo ai contratti di franchising e di distribuzione, la norma ha opportunamente equiparato la circostanza in cui le parti abbiano espressamente convenuto una clausola di acquisto esclusivo al caso in cui, pur in assenza di un’esclusiva, il franchisee/distributore si trova di fatto nell’impossibilità di approvvigionarsi presso altri fornitori. Il contenuto di siffatti avvisi mira a garantire la stabilità del vincolo negoziale, da un lato, mettendo il franchisee/distributore nella condizione di adeguare tempestivamente i volumi di fornitura alla domanda dei propri clienti, senza subire pregiudizi economici di sorta, e dall’altro, consentendo al franchisor/fornitore di salva- 179 PEL CAFDC, 3:309: Warning of decreased volume of contracts: (1) The principal must warn the commercial agent within a reasonable time when the principal foresees that the volume of contracts that the principal will be able to conclude will be significantly lower than the commercial agent could reasonably have expected. (2) For the purpose of paragraph (1) the principal is presumed to foresee what the principal could reasonably be expected to foresee. (3) The parties may not, to the detriment of the commercial agent, exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects. 180 PEL CAFDC, 3:206: Warning of decreased supply capacity: (1) When the franchisee is obliged to obtain the products from the franchisor, or from a supplier designated by the franchisor, the franchisor must warn the franchisee within a reasonable time when the franchisor foresees that the franchisor’s supply capacity or the supply capacity of the designated suppliers will be significantly less than the franchisee had reason to expect. (2) For the purpose of paragraph (1) the franchisor is presumed to foresee what the franchisor could reasonably be expected to foresee. (3) Paragraph (1) also applies to cases where the franchisee, although not legally obliged to obtain the products from the franchisor or from a supplier designated by the franchisor, is in fact required to do so. (4) The parties may not, to the detriment of the franchisee, exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects. 181 PEL CAFDC, 4:303: Warning of decreased requirement: (1) In exclusive distribution contracts and selective distribution contracts, the distributor must warn the supplier within a reasonable time when the distributor foresees that the distributor’s requirements will be significantly less than the supplier had reason to expect. (2) For the purpose of paragraph (1) the distributor is presumed to foresee what the distributor could reasonably be expected to foresee. 68 guardare la reputazione della rete, confidando sulle capacità di adattamento della controparte alle mutate condizioni di mercato182. Tuttavia, anche laddove le sopravvenienze dovessero giustificare l’applicazione dell’art. III.-1:110 Variation or termination by court in a change of circumstances, il dovere di cooperazione viene parimenti in rilievo quale criterio fondamentale in base a cui orientare la scelta tra la manutenzione del contratto o la risoluzione dello stesso, inducendo a privilegiare la prima soluzione quando le condizioni di mercato rendano l’uscita troppo costosa oppure gli investimenti specifici siano molto elevati ovvero non siano presenti sul mercato alternative sufficientemente valide183. 1.1.3 Brevi spunti per un’indagine comparatistica sulle “disclosure clauses” La presente indagine comparatistica assume come oggetto del confronto la disciplina degli obblighi di disclosure nei contratti di distribuzione. L’obiettivo principale è di instaurare una rapida comparazione tra i sistemi giuridici europei che si sono dotati di una specifica legislazione in materia e la common law inglese, tradizionalmente dominata da una visione del contratto di ispirazione liberista184. I risultati dell’indagine saranno poi utili per misurare le rispettive differenze rispetto alla disciplina dei PEL CAFDC, consentendo di formulare un giudizio di valore sulla preferibilità o meno dello strumento rispetto alle soluzioni offerte da diritti statali. 182 Ampiamente sul tema, F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Jovene, Napoli, 1996, 147 ss. 183 Sul tema, nella prospettiva dei networks, F. CAFAGGI, I doveri di cooperazione nei contratti: un’agenda di ricerca, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. IAMICELI, Giappichelli Editore, Torino, 2009, 363 ss. 184 R. BROWNSWORD, Positive, Negative, Neutral: the Reception of Good Faith in English Contract Law, in Good Faith in Contract. Concept and Context, (a cura di) R. Brownsword – N.J Hird – G. Howells, Ashgate – Dartmouth, 1998. 69 Nei diversi ordinamenti nazionali europei, la definizione degli obblighi di comportamento delle parti nelle fasi prodromiche alla conclusione dei contratti di distribuzione scontava in passato le difficoltà derivanti da un’incerta formalizzazione “a monte” della categoria generale dei “contratti di impresa” e dalla laconica presenza “a valle” di una disciplina positiva dedicata ai singoli tipi negoziali185. Cionondimeno, nell’ambito della legislazione extra-codicistica che più di recente ha investito Paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna, hanno assunto particolare risalto gli interventi normativi riferibili all’agire negoziale degli operatori professionali, così inducendo gran parte della dottrina a riconoscere un certo valore normativo ordinante alla contrattazione d’impresa, rectius, fra imprese. Tra le disposizioni in tal senso più significative vengono in rilievo soprattutto i provvedimenti relativi ai rapporti di integrazione commerciale attuati mediante i contratti di subfornitura industriale186 e di affiliazione commerciale187 mentre la disciplina relativa al contratto di agenzia trova un’espressa regolamentazione nei codici nazionali così come modificati in esito al recepimento della direttiva CE 86/653188. 185 Tra i principali teorici dell’autonomia concettuale e normativa della categoria dei contratti di impresa, in Italia, A. DALMARTELLO, voce Contratti d’impresa, in Enc. Giur., IX, Roma, 1988, 1 ss.; V. BUONOCORE, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000; G. OPPO, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, 629 ss.; ID., I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Riv. dir. civ., 2004, I, 841 ss.; V. ZENO-ZENCOVICH, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione tra “contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”, in Giur. It., 1993, IV, 57 ss; in Spagna, G. J. JIMENEZ SANCHEZ, Derecho Mercantil, Barcelona, 2003; in Francia, J. MESTRE, Obligations et contrats speciaux, in RTD civ., 1996, 603 ss.; 186 In Italia, cfr. L. 18 giugno 1998, n. 192, Disciplina della subfornitura nelle attività produttive. Sull’argomento in generale, si veda F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica, Napoli, 2002, 269 ss.; R. CASO, Subfornitura industriale: analisi giuseconomica delle situazioni di disparità di potere contrattuale, in Riv. crit. dir. privato, 1998, 268 ss; in Francia, G. J. VIRASSAMY, Les contrats de dépendance. Essai sur les activités professionnelles exercées dans une dépendance économique, Paris, 1986. 187 Cfr. in Italia, L. 6 maggio 2004 n. 129, Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale; in Francia L. 89-1008 del 31 dicembre 1989 (loi Doubin); in Spagna L. 7/1996 sul “Comercio Minorista” (LOCM). 188 Per una visione di insieme delle singole leggi nazionali di recepimento della Direttiva, si veda S. CAMPANILE, Dieci Anni di Agenzia: dove la 653/1986 fa ancora la differenza, in Comm. intern., 1997, 437. Per la disamina delle singole leggi nazionali, si veda C. COSTA, Contratto di agenzia la legge francese, in Comm. intern., 1991, 1403 ss; D. CENA – C. MARTINETTI, Contratto di agenzia: al traguardo la legge spagnola, in Comm. intern., 1992, 1063 ss; O. LANDO, The ECC Draft Derective relating to self –employed commercial agents, The English Law Commission versus the EC Commission, in Rabels, 1980, 1 ss. 70 Un contributo parimenti rilevante nella direzione del riconoscimento della categoria è data dall’azione della giurisprudenza che, da un lato, ha siglato in termini positivi il controllo di meritevolezza esercitato sugli schemi negoziali atipici della distribuzione commerciale189 e, dall’altro, ha provveduto ad una ricostruzione parziale degli istituti attingendo alla disciplina di taluni contratti nominati: agenzia, mandato e somministrazione, nei limiti della loro compatibilità con i caratteri strutturali propri degli schemi della distribuzione190. Nella determinazione degli obblighi pre-contrattuali e contrattuali della categoria in esame, il criterio di riferimento è rappresentato per tutti gli ordinamenti giuridici in esame dalla clausola generale di buona fede che assume rilevanza nella trama del codice civile come regola generale di condotta che presiede ad ogni fase della vicenda negoziale: trattative, esecuzione, interpretazione ed integrazione del contratto191. Storicamente, la portata precettiva della buona fede ha rivestito un’importanza sempre crescente nel dibattito giurisprudenziale, conoscendo una progressiva evoluzione. In particolare, si è assistito alla trasformazione della clausola generale da mero criterio per la valutazione delle condotte a fonte di integrazione 189 Così, in Italia, Cass. 17 settembre 1990, n. 11960, in Giur. it., 1991, I, 1 ss.; Cass. 20 maggio 1994, n. 4976, in Foro it., 1995, I, 893; in Francia, Tribunal de commerce de Parigi, 28 settembre 1994, Sofomar c. Prim, in CJFE, 2/1995, 393; in Spagna, STS 17 maggio 1999, in RJ, 1999/4046. 190 R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, 268 ss.; O. CAGNASSO, Concessione di vendita, in Dig. disc. priv., sez comm., III, Torino, 1988, 227 ss; in Francia, J. HUET, Les principaux contats spéciaux, in Traité de droit civil sous la direction de Jacques Ghestin, in LGDJ, Paris, 2001; in Spagna, M. A. DOMINGUEZ GARCIA, Los contratos de distributiòn: Agentia Mercantil y Cocesiòn Comercial, in Contratos Internacionales, Madrid, 1997. 191 Si evidenzia l’affermazione in Europa del modello cooperativo di contratto nei contributi di T. WILHELMSSON, Good Faith and the Duty of Disclosure in Commercial Contracting, in Good Faith in Contract. Concept and Context, op. cit., 181 ss.; M. E. STORME, Good Faith and the Contents of Contracts in Europe, in European Private Law, 2003, 13 ss; R. ZIMMERMANN – S. WHITTAKER, (a cura di), Good Faith in European Contract Law, Cambrige, 2000; M. HOCH, Is fair dealing a workable concept for European Contract Law, in Global Jourist Topics, 2005, 5 ss. 71 degli obblighi discendenti dal contratto tramite la determinazione e l’individuazione di condotte ulteriori rispetto a quelle espressamente previste192. In Italia, infatti, è diventata sempre più nitida nell’evoluzione giurisprudenziale la simbiosi dell’art. 1374 c.c. con l’art. 1375 c.c. in quanto la buona fede, letta alla luce del principio costituzionale di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., impone alle parti non solo di eseguire ciò che è previsto nel contratto ed a tenere comportamenti imposti in via integrativa dalla legge, dagli usi e dall’equità ma anche a porre in essere ai sensi dell’art. 1375 c.c. quelle condotte che, in base a correttezza, siano necessarie per preservare in modo solidale l’utilità e l’interesse della controparte, nei limiti di un sacrificio economico non apprezzabile: adempimento dei doveri di avviso ed informazione; modificazioni delle proprie prestazioni ove necessario; tollerabilità delle modificazioni delle prestazioni altrui che non incidono significativamente sul proprio interesse193. Ad offrire contorni maggiormente definiti al quadro normativo in questione concorrono anzitutto le norme dettate in materia di agenzia in attuazione della direttiva europea 86/563194. In ottemperanza alle istanze protezionistiche indicate dalla direttiva, infatti, è previsto l’obbligo del preponente di agire con lealtà e buona fede, mettendo a disposizione dell’agente la documentazione necessaria relativa ai beni ed ai servizi trattati e fornendo tutte le informazioni necessarie all’esecuzione del contratto, ivi compresa la comunicazione tempestiva della presumibile diminu- 192 Cfr. in Italia, il leading case è rappresentato da Cass. S.U., 15 novembre 2007, n. 23726; in Spagna, SAP Valentia 17 gennaio 2001, in AC 2000/1269; in Francia, Cass. 4 dicembre 1990, in JCP, 199121725, 305 ss. 193 In dottrina si vedano per l’Italia il contributo di C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. IV, L’obbligazione, Milano, 1993; per la Francia, G. J. VIRASSAMY, La moralisation des contrats de distribution par la loi Doubin du 31 decémbre 1989, in JCP, 1990, 413 ss; per la Spagna, L. DĺEZ PICAZO – A. GULLÓN, Sistema de Derecho Civil, Madrid, 2000. 194 Si veda in proposito, S. SAINTIER, Commercial Agency Law: a comparative analysis, Ashgate, 2002. 72 zione del volume delle operazioni commerciali qualora dovesse risultare notevolmente inferiore a quello che l’agente potrebbe ragionevolmente attendersi195. Più in generale, la legislazione extra-codicistica che negli ultimi anni ha interessato la contrattazione di impresa ha eletto la fase delle trattative quale elemento centrale di disciplina allo scopo di valorizzare modelli relazionali incentrati sulla consapevole e trasparente negoziazione dell’accordo piuttosto che su meccanismi di mera adesione196. In questa logica devono essere lette le norme integranti le normative nazionali adottate in materia di affiliazione commerciale, le quali sono state introdotte al fine di predisporre strumenti di tutela in favore degli affiliati, soprattutto attraverso forme di disclosure che consentano ai potenziali franchisees di effettuare una valutazione accurata della proposta di entrare a far parte di una rete di franchising197. Sullo sfondo della previsione degli obblighi generali di comportamento incombenti sulle parti nella fase precontrattuale si collocano le disposizioni che impongono all’affiliante l’adempimento di stringenti doveri di informazione nei confronti dell’affiliato, al quale va consegnata la copia completa del contratto da consegnare nei venti - trenta giorni precedenti la conclusione dell’accordo unitamente 195 In Italia, ad esempio, l’art. 1746 c.c. pone in capo all’agente l’obbligo di tutelare gli interessi del preponente agendo con lealtà e buona fede. In particolare, questi è tenuto ad adempiere l’incarico affidatogli in conformità alle istruzioni ricevute, a fornire all’agente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli ed ogni altra notizia utile per valutare la convenienza dei singoli affari. Cfr. in giurisprudenza, Cass., sez. lav., 16 febbraio 1993, n. 1907; Cass., sez. lav., 19 agosto 1996, n. 7644; Cass., sez. lav., 10 maggio 2006, n. 10728. Analogamente, in Spagna l’art. 10 Ley de Contrato de Agencia ed in Germania il § 86 HGB prevedono contengono un’elencazione puntuale dei contenuti del dovere di informazione a carico del preponente. 196 Per considerazioni di carattere generale sul tema, si veda G. CAPO, voce Contratti di impresa (evoluzione recente), in Enc. Giur., IX, Roma, 2008, 1 ss. Per la Francia, si veda, J. GHESTIN, Le Traité de Droit Civil, la formation du contrat, in LGDJ, 1993; per la Spagna, J. A. ECHEBARRĺA, El contrato de franchigia.Definition y conflictos en las relaciones internas, Madrid, 1995. 197 Cfr. in Italia, art. 6 L. 129/2004; in Francia, L 330-3 Code de Commerce; in Spagna, art. 62 Ley de Ordenaciòn del Comercio Minorista. 73 ad una serie copiosa di allegati il cui contenuto è puntualmente determinato dalla legge198. Tuttavia, la legge italiana prevede che l’affiliante, quand’anche l’aspirante affiliato richiedesse dati ed informazioni utili ai fini della stipulazione del contratto, può rifiutarsi qualora ritenga che si tratti di informazioni “oggettivamente riservate o la cui divulgazione costituirebbe violazione dei diritti dei terzi” mentre a carico del franchisee è istituito un indeterminato ed illimitato obbligo di disclosure, da ottemperare anche se espressamente richiesto dal franchisor. Nella stessa prospettiva, l’art. 4 al primo comma precisa che la copia completa del contratto può essere priva degli allegati “per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza” mentre i libri contabili sono resi disponibili soltanto su richiesta dell’aspirante affiliato. Al contrario, nel diritto inglese non esiste alcun obbligo generale di disclosure nel corso delle trattative.199 Più in particolare, a garanzia della procedural fairness nel corso dei negoziati viene in rilievo l’istituto della misrepresentation che in sostanza impone alle parti un obbligo di veridicità della dichiarazioni reciprocamente scambiate alla vigilia della conclusione di un contratto, operando sul piano dei vizi del consenso anziché su quello del fair dealing.200 La misrepresentation, infatti, deve riguardare uno statement of fact, ossia l’affermazione esplicita o implicita di un elemento di fatto 198 Per tutti e tre i modelli in esame, tali allegati devono riguardare, in via approssimativa: i principali dati relativi all’affiliante, tra cui la ragione ed il capitale sociale (lett. (a)); l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema (lett. (b)); una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’attività di affiliazione commerciale (lett. (c)); una lista degli affiliati operanti nel sistema e dei punti vendita (lett. (d)); l’indicazione della variazione annuale del numero degli affiliati (lett. (e)); ed infine, l’indicazione di eventuali procedimenti giudiziari promossi contro l’affiliante in riferimento al sistema di affiliazione commerciale (lett.(f)). 199 Keats v. Earl of Cadogan, (1851), 10 CB 591, 138 ER, 234; Walford v. Miles, (1992), 2 AC 128. 200 In dottrina, P. S. ATIYAH, An Introduction to the Law of Contract, , Oxford, 1995.; G. H. TREITEL, The Law of Contract, Londra, 1995; ID., An Outline Edition of the Law of Contract, Londra, 1995; in italiano, è possible consultare il saggio di G. ALPA - R. DELFINO (a cura di), Il contratto nel common law inglese, CEDAM, 2005. 74 che ingenera nella controparte un legittimo affidamento circa la sua autenticità, non essendo rilevante a tal fine l’errore che incide su uno statement of opinion ovvero su uno statement of law201 . Inoltre, vi sono ipotesi rispetto alle quali anche il concealment di uno dei contraenti è idoneo a fondare un’azione per misrepresentation . Si tratta delle relazioni contrattuali a carattere fiduciario in forza delle quali una parte si impegna ad agire a beneficio dell’altra, ragione per cui la prima deve essere messa a conoscenza di ogni elemento di fatto anche se non espressamente richiesto nonché dei contratti uberrimae fidei ossia dei rapporti caratterizzati da “utmost good faith” dal momento che soltanto una delle parti dispone di informazioni rilevanti ai fini della stipulazione ed alle quali la controparte non ha accesso202. Parimenti, costituisce un caso di reticenza idonea a fondare una responsabilità per misrepresentation il silenzio serbato dalla parte che, a causa di un mutamento successivo delle circostanze, si avveda della falsità dello statement of fact originariamente rappresentato e ciononostante non provveda ad informarne la controparte203. L’esame della casistica giudiziaria relativa ai contratti di distribuzione commerciale conferma la netta propensione a privilegiare il principio del freedom of contract e ad escludere l’intrusione degli obblighi morali e di equità ivi compresi quelli di disclosure204 nella fase delle trattative. Nel caso Williams v. Natural Life Health Foods Ltd. (1998), la House of Lords ha escluso che la brochure informativa contenente i dati relativi alle financial projections trasmessa nel corso dei negoziati al potenziale franchisee, Mr. Williams, fosse 201 Bisset v. Wilkinson, (1927), AC 177; Derry v. Peek (1889), 14 App. Cas. 337 (fraudulent misrepresentation); Davies v. London & Provincial Marine Insurance Co. (1878), 8 Ch. D. 469, 474 in cui si legge che “they can only contract after the most ample disclosure of everything…” (innocent misrepresentation). 202 Brownlie v. Cambel,l (1880), 5 App. Cas. 925. 203 With v. O’Flanagan (1936), CH 575. 204 Banque Keyser Ullmann S.A. v. Skandia (U.K.) Insurance Co. Ltd. [1991] 2 A.C. 249; Bank of Nova Scotia v. Hellenic Mutual War Risks Association (Bermuda) Ltd. [1991] 2 W.L.R. 1279. 75 tale da creare un legittimo affidamento sulla correttezza e la veridicità dei dati in essa contenuti. Analogamente nel caso ANC Ltd. v. Clark Goldring & Page Ltd. (2001)205, la Chancery Division della High Court ha ritenuto “inconceivable” equiparare il business plan trasmesso durante le trattative ad una “guaranteed promise of a profit figure”, così rigettando la domanda di risarcimento del danno per “breach of warranty”. Tuttavia, a garanzia della fairness, la House of Lords con la decisione Peart Stevenson Associates Ltd. v. Holland (2008)206 ha negato l’ammissibilità delle c.d. “non reliance-clauses”, poiché trattandosi di clausole di esonero della responsabilità per fraudolent misrepresentation appaiono in contrasto con il principio di reasonableness and fair dealing in commercial practice. Nella common law inglese, il dovere di co-operation nella fase di esecuzione del contratto discende dal principio generale posto a salvaguardia dell’effettività delle legittime aspettative generate dalla promessa. Tuttavia, nella redazione dei contratti standard è d’uso introdurre express terms che stabiliscono ongoing-cooperation a carico dei contraenti207 e con riguardo specifico al contratto di franchising, il British Franchising Association stabilisce che il franchisor è obbligato ad assicurare all’altra parte gli strumenti necessari alla conduzione dell’attività commerciale in riferimento alla preparazione dello staff, al merchandising e all’organizzazione manageriale. Uniche eccezioni all’impostazione classica di common law sono rappresentate dagli artt. 3 e 4 della Commercial Agents (Council Directive) Regulations del 1993208 che stabiliscono espressamente il canone generale della buona fede nell’esecuzione del contratto come strumento di controllo del comportamento (fair dealing) delle 205 ANC Ltd. v. Clark Goldring & Page Ltd., (2001), ER 353. Peart Stevenson Associates Ltd. V. Holland (2008), EWHC 1868 (QB). 207 J. ADAMS, J. HICKEY, K.V. PRICHARD JONES, Franchising, United Kingdom, 2006, para. 1.102. 208 Il Commercial Agents Regulations è stato adottato in attuazione della Direttiva CE 86/563. In proposito, cfr. nota 38. 206 76 parti nonché dall’Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations (1994)209 che introduce la buona fede come criterio di validità delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.210 Tra i diversi ordinamenti giuridici presi in considerazione, italiano, francese, spagnolo ed inglese, soltanto i primi tre si sono dotati di un impianto dispositivo ad hoc sugli obblighi di disclosure, sia pure limitatamente al solo contratto di franchising mentre, in generale, la fonte dei doveri di informazione è da ricercarsi nell’applicazione pratica della clausola generale della buona fede. Ad un’analisi più accurata, si rileva che nel diritto italiano, francese e spagnolo la formulazione degli obblighi di disclosure si sostanziano nel dovere di informare per iscritto la controparte di una serie di dati puntualmente individuati e da allegare alla copia del contratto entro il termine di vento o trenta giorni prima dalla conclusione dello stesso. Sotto questo profilo il regime dei PEL CAFDC appare più flessibile considerato che né stabilisce la forma dell’adempimento né prescrive un termine preciso, richiamando in proposito i criteri più elastici della ragionevolezza e della tempestività né individua puntualmente i dati che devono essere allegati, facendo invece ricorso a locuzioni generiche che determinano in linea di principio la tipologia delle informazioni che devono essere scambiate. 209 Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations (1994) adottato in attuazione della Direttiva CE 93/13 sulle clausole abusive contenute nei contratti con i consumatori ed entrato in vigore il 10 luglio 1995. 210 Sulla disciplina delle clausole abusive nei contratti con i consumatori a seguito dell’entrata in vigore dell’UTCR, si veda G. HOWELLS – S. WHEATHERILL, Consumer Protection Law, 1995, London, 305 ss; A. DE MOOR, Common Law and Civil Law Conceptions of Contract and a European Law of Contract: the case of the Directive on Unfair Terms in Consumer Contracts, in ERCL, 1995, 257 ss.; M. WHINCUP, La trasposizione nel diritto inglese della Direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori in C.M. BIANCA – G. ALPA, Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. L’attuazione della direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, Padova, 1996, 103 ss; S. WHITTAKER, Form and Substance in the Reception of EC Directives into English Contract Law, in Il diritto europeo dei contratti tra parte generale e norme di settore, op. cit., 415 ss. 77 Tuttavia, la maggiore flessibilità nelle modalità dell’adempimento non si traduce in un minore grado di incisività degli obblighi di disclosure, ponendosi piuttosto perfettamente in linea con le indicazioni provenienti dalla prassi commerciale internazionale. Infatti, a differenza di quanto previsto dall’art. 6 co. 1 e 3 della legge italiana, ad esempio, i PEL CAFDC, da un lato, hanno escluso la facoltà del franchisor di rifiutarsi di rispondere alla richiesta di informazioni adducendo il carattere “oggettivamente riservato” delle stesse, dall’altro, hanno optato per l’eliminazione di ogni vincolo di disclosure in capo al franchisee, giacché l’esperienza e l’organizzazione aziendale del franchisor consentono agevolmente a quest’ultimo di reperire ogni informazione rilevante, selezionando anche tramite professionisti i candidati più idonei211. Inoltre, l’indirizzo seguito dal legislatore italiano, francese e spagnolo non prevede l’obbligo di consegna dei prospetti di bilancio, operando in palese contrasto con le soluzioni accolte dal commercio internazionale secondo cui ogni prospettazione volta a rappresentare al franchisee potenziali volumi d’affari sarebbe idonea di per sé a suscitare affidamenti vincolanti212. La Model Franchise Disclosure Law, infatti, ascrive espressamente alla misrepresentation i vizi del contratto stipulato sulla base delle rappresentazioni erronee o fraudolente, con il conseguente diritto 211 Cfr. le considerazioni riportate al § 33 dell’Explanatory Report del Model Franchise Disclosure Law preparato dal Committee of Gonernmental Experts promosso dall’UNIDROIT, Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, dove al si legge: “The Model Law does not require disclosure on the part of the franchisee, only on the part of the franchisor. The reason for this is that the experience and economic size of franchisor, which permit them to have access to legal counsel, do not make it necessary to provide franchisors with the same degree of protection of franchisees. Furthermore, as is the case with other entrepreneurs, it is normal business practice for franchisors to ask prospective franchisees for information. Franchisor will naturally want to be able to assess the capabilities and reliability, as well as the financial conditions of prospective franchisees before entrusting them with the development of a business that carries their trade names.” 212 L’approntamento di affidabili business plans e di validi manuali operativi è considerato essenziale dalla dottrina aziendalistica per l’organizzazione dell’affiliato e, quindi, per la replicabilità della formula commerciale ed il successo della rete. Così, C. PAOLINI, Diventare imprenditori. Dal business plan all’avvio di una nuova impresa, Milano 1991, in particolare, 65 ss.; M. DAVIES, How to applie for a Legal Aid Franchise, London, 1996. 78 dell’affiliato di ottenere la risoluzione o il risarcimento dei danni subiti. Le medesime conseguenze si associano alle omissioni nelle quali il franchisor sia incorso per colpa o dolo della controparte213. Diversamente, l’atteggiamento comunemente adottato dalla giurisprudenza delle corti statali è nel senso di attribuire rilevanza alle previsioni di bilancio solo quando la falsità ovvero l’incompletezza delle stesse siano tali da integrare un vizio della volontà, orientando così a carico del danneggiato l’onere della prova214. Più opportunamente, il richiamo operato dall’art. 3:102 dei PEL CAFDC a “the particular franchise method and its operation” quale oggetto delle informazioni la cui trasmissione è doverosa consente implicitamente di estendere la portata applicativa dell’obbligo anche alla consegna di “business plans”, “sales forecasts” ovvero “traiding results” che, una volta trasmessi alla controparte, sono suscettibili di ingenerare affidamenti vincolanti per il franchisor la cui successiva violazione può costituire fonte di responsabilità per inadempimento contrattuale. In netto contrasto con l’impostazione accolta dai sistemi di civil law, il diritto inglese si rifiuta espressamente di accogliere sia “a duty to negotiate in good faith” sia “a general duty to disclose essential information”215, limitandosi a tutelare la procedural fairness durante la fase delle trattative solo sul piano della validità dell’atto negoziale. 213 Cfr. § 60 dell’Explanatory Report del Model Franchise Disclosure Law predisposto dall’UNIDROIT dove si legge che “any representation that suggests a specific level or range of historical, potential or actual sales or profits will be considered a claim. Earning claims include projections, pro formas, statements actual or average historical performance and cost estimates at arbitrary sales level.” In dottrina, N. D. AXELARD - L. RUDNICK, Franchising. A Planning and Sales Compliance Guide, Chicago, 2007. 214 In Spagna cfr. SAP Valentia, 17 gennaio, 2001, in AC 2001/1269; SAP Teruel 24 ottobre 2001, in AC 2001/1931; SAP Burgos, 11 febbraio 2002, in AC 2002/892; in Francia, cfr. CA Paris, 9 settembre 1997, in Lettre distrib., 1997-12; Cass. comm. 19 maggio 1992, in JCP, 1993, 387 « il ne suffit pas que les prévisions contenues dans les études préalables faites par le franchiseur ne se réalisent pas une fois le contrat conclu, pour que sa responsabilité être engagée. Encore faut –il que l’auteure des études ait manqué de diligence dans leur confection ». 215 Walford v. Miles, (1992), 2 AC 128, in cui si legge l’opinion di Lord Ackner: “A duty to negotiate in good faith is as unworkable in practice as it is inherently inconsistent with the position of a negotiating party.” 79 Il mancato accoglimento di un “general duty of disclosure” impedisce, dunque, di operare qualsiasi tipo di comparazione sotto il profilo della portata applicativa e dell’intensità degli obblighi di informazione atteso che l’intero sistema è rivolto a regolamentare non già l’an dell’obbligazione, la cui esistenza è rimessa alla libera discrezionalità delle parti, bensì il quomodo della stessa, poiché solo qualora ciascuna delle parti dovesse determinarsi in ordine alla rappresentazione, orale o scritta, di un qualsiasi elemento di fatto, questa dovrà rivelarsi veridica e corretta. Tuttavia, anche sotto tale profilo la giurisprudenza delle corti inglesi sembra ancora poco sensibile ad attribuire rilievo giuridico alle conseguenze della financial misrepresentation durante la fase delle trattative216. 1.2 “Unilateral Ending”: un passo in avanti verso la “legal certainty” 1.2.1 Recesso unilaterale e contratti di durata nella prassi del commercio internazionale Dall’esame delle esperienze maturate nei Paesi in cui i meccanismi della distribuzione integrata hanno conosciuto il maggiore sviluppo emerge che le delicate problematiche sottese alla risoluzione dei rapporti di durata sono state variamente risolte dalla prassi in base all’applicazione analogica della disciplina sul recesso in materia di contratti di agenzia217, di somministrazione a tempo indeterminato218 216 Cfr. note 124 e 125. L’unica eccezione è rappresentata dal precedente giudiziale Esso Petroleum Co. Ltd. v. Mardon (1976) 2 W.L.R. 583 incentrato sul giudizio di negligence a carico dell’impresa poichè come efficacemente sottolineato da Lord Dennig “… It seems to me that if such a person makes a forecast – intending that the other should act on it and he does act on it – it can well be interpreted as a warranty that the forecast is sound and reliable in this sense that they made it with reasonable care and skill. (…) If the forecast turned out to be an unsound forecast, such as a person of skill or experience should have made, there is a breach of warranty.” 217 Così P. KINDLER, L’indennità di fine rapporto spettante all’agente di commercio nel diritto tedesco, in Giur. comm., 1995, 806 ss.; B. SPIEGELFELD, The termination of franchise and distribution agreements in Austria, in Journal of Int’l Franchising and Distribution Law, 1993, 136 ss. 218 Si veda R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 328 ss. In giurisprudenza, App. Milano, 30 ottobre 1959, in Foro it., 1960, I, p. 476; Cass. 16 maggio 1968, n. 1542, in Foro it. 1968, I, 2160. 80 nonché, talvolta, attraverso il ricorso a principi di carattere generale quale il principio di buona fede219. Nell’ordinamento giuridico comunitario, una disciplina del recesso nei rapporti professionali tra imprese è prevista solo nel settore della distribuzione automobilistica con specifico riguardo ai quei meccanismi dello schema contrattuale che influiscono sull’attuazione delle politiche antitrust. Nello specifico, si segnala l’art. 3 del Reg. CE 1400/02, che prevede l’obbligo del concedente che intende recedere da un accordo di darne notifica per iscritto, specificando “i motivi particolareggiati, obiettivi e trasparenti del recesso, onde evitare che il fornitore receda da un accordo verticale con un distributore a causa di pratiche che non possono costituire oggetto di restrizione in virtù del presente regolamento”220. Tuttavia, nonostante l’estrema frammentarietà delle coordinate normative di riferimento, può ritenersi ormai pacificamente condiviso il principio generale in forza del quale gli accordi di distribuzione a tempo indeterminato possono essere risolti ad nutum, salvo, in ogni caso, l’obbligo di dare un congruo periodo di preavviso221. Nel settore del commercio internazionale, infatti, i principali modelli di contratti internazionali di distribuzione prevedono l’inserimento di una clausola standard che prescrive l’osservanza di un fixed notice period nei casi di recesso unilaterale222. Prescrizioni dello stesso tenore trovano, altresì, espresso riconoscimento nei 219 Cfr. L. ANSTETT GARDEA, Frankreich, in M. MARTINEK – F.J. SEMLER, op. cit., 1140 ss. Regolamento CE 1400/2002 del 31 luglio 2002 relativo all’applicazione dell’art. 81, paragrafo 3, del trattato alle categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, pubblicato in GU L 203/30 dell’1.08.2002. 221 Cfr. art. 15 della Dir. CE 86/653; art. 1750 co. 2 del Codice civile; § 89 Handelgesetzbuch; art. L.134-11 Code de commerce; art. 24 (1) Ley del Contrato de Agencia; § 24 (2) Lag om handelsagentur; art.178/86 Còdigo comercial; art. 15 Commercial Agents (Council directive) Regulations 1993. In generale, H.H. EDLUND, Termination of commercial contracts by giving notice, in ERCL, 2008, 15 ss. 222 Cfr. la clausola standard n. 18, Durata del contratto, inserita nel Modello di contratto internazionale di concessione esclusiva di vendita, a cura della CCI, pubblicato nel 1994 nonché la clausola sulla durata del contratto inserita nel Modello di contratto internazionale di agenzia commerciale e nel Modello di franchising internazionale, a cura della CCI. 220 81 Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali223 oltre che nelle soluzioni accolte dalla prassi arbitrale tendenti ad individuare un’obbligazione risarcitoria in capo a chiunque si avvalga della facoltà di recesso in assenza di un preavviso of reasonable length224. L’esame dei forms contrattuali più diffusi consente di rilevare che l’esercizio della termination è condizionato altresì alla sussistenza di una “giusta” o “ragionevole” (good reason, just cause) causa di risoluzione del rapporto per fatto imputabile all’affiliato, anche se non è sempre facile per l’interprete determinare l’esatto contenuto di tali espressioni. In tale contesto, infatti, occorre precisare che nella prassi del commercio internazionale la just cause rilevante ai fini della risoluzione unilaterale dei rapporti di durata non si sovrappone né al concetto di hardship, che invece attiene ad una valutazione in merito alla sopravvenuta onerosità della prestazione promessa né a quello di force majeure, che riguarda la sopravvenuta impossibilità di eseguire la prestazione a causa di un impedimento non imputabile né prevedibile al momento della conclusione dell’accordo. Il test di valutazione della giusta causa, infatti, si fonda su criteri del tutto autonomi in quanto riferibili all’attitudine del contraente di continuare a fare affidamento sulle abilità tecnicooperative della controparte a seguito di un mutamento delle circostanze, non prevedibile al momento della conclusione dell’accordo225. 223 In via generale, l’art. 5.1.8 dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, 2010, stabilisce che “se un contratto è concluso a tempo indeterminato ciascuna parte può recedere dallo stesso, dandone preavviso con un anticipo ragionevole”. A tale previsione si riconosce espressamente una funzione di gap-filling, consentendo l’integrazione di eventuali lacune ogniqualvolta le parti abbiano omesso di specificare la durata del contratto. Sul punto, si veda il contributo di S. Vogenauer in S. VOGENAUER - J. KLEINHEISTERKAMP, Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (PICC), Oxford University Press, New York, 2009, 566 ss. Approfonditamente, sulla natura e l’ambito di applicazione dei Principi, M.J. BONELL, I Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali: origini, natura e finalità, in Dir. comm. intern, 1995, p. 8 ss.; ID., Un “Codice” internazionale del diritto dei contratti. I principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, II ed., Milano, 2006. 224 Sent. arb. CCI 8362/95, in Yearbook, XXII-1997, p. 164 ss.; Sent. Arb. 10021/00, in www.unilex.info.org.;, in www.unilex. Sent. Arb. 9479/99info.org. 225 Cfr. Draft Chapter on Termination of Long Term Contracts for Just Cause, prepared by the Working Group for the preparation of Principles of International Commercial Contracts (3rd), Revised 82 In via strettamente consequenziale, si pone la questione interpretativa incentrata sul significato da attribuire alla nozione di “congruità” o di “ragionevolezza” del preavviso, ove il relativo termine non sia stato espressamente pattuito dalle parti. Siffatta problematica che, come noto, costituisce tra gli operatori economici uno dei principali motivi di contenzioso, è variamente risolta dalla giurisprudenza avendo riguardo alle specificità caratterizzanti il vincolo di collaborazione economica tra le parti, le quali sono tenute a conformare le rispettive condotte ai reciproci doveri di lealtà e di cooperazione. Nella prassi commerciale la tendenza prevalente si è, dunque, consolidata nel senso di riconoscere un termine di preavviso oscillante tra periodi di tre, quattro o sei mesi, tenendo conto della durata complessiva del rapporto, della portata degli investimenti effettuati medio tempore dal concessionario in termini di capitale fisso e circolante ovvero dell’incremento degli affari apportato al fornitore/concedente, etc.226 Per quanto concerne i contratti di agenzia commerciale a tempo indeterminato, ad esempio, la Dir. CE 86/653 fissa un termine di preavviso minimo assolutamente inderogabile di un mese per il primo anno di vigenza del contratto, di due mesi per il secondo e di tre mesi a partire dal terzo, riconoscendo agli Stati membri la facoltà di prevedere termini più lunghi sia con norme inderogabili sia con norme meramente dispositive227. draft rules with explanatory notes prepared by Professor François Dessemontet in the light of the discussions of the Working Group at its 3rd session held in Rome, 26-29 May 2008, Contents, IV, Notion of Just Cause. 226 Sent. Arb., CCI 1250/64 in S. JARVIN – Y. DERAINS – J. J ARNALDEZ, ICC Awards 1974-1985, 32 ss; Sent. Arb. CCI 5073/86 in S. JARVIN – Y. DERAINS – J. J.ARNALDEZ, ICC Awards 1986-1990, 85 ss.; Sent. Arb. CCI 6752/91, Yearbook, XVIII-1993, 54 ss. 227 Cfr. art. 1750 co. III Codice civile; art. L. 134-11 Code de commerce; art. 15 co. II Commercial Agents (Council Directive) Regulations 1993). Per un confronto delle soluzioni adottate, si veda, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op. cit., 171 ss. 83 1.2.2 Il recesso unilaterale nei contratti a tempo indeterminato: tra “default rules” e norme imperative L’assetto fondamentale dei PEL CAFDC costruito sui principi generali dell’autonomia negoziale e del dovere di collaborazione tra le parti trova compiuta espressione nella disciplina dello “Unilateral Ending” dei contratti di durata. Recependo le indicazioni provenienti dall’esperienza nordamericana228, i PEL CAFDC affrontano il problema della termination in modo globale, comprendendo sia il mancato rinnovo del contratto alla scadenza sia il recesso unilaterale, nell’ottica di tutelare gli interessi del contraente che si trova a dover “subire” l’interruzione della relazione commerciale. Secondo quanto previsto dall’art. 1:301: Contract for a definite period, il rinnovo del contratto è condizionato al mancato rifiuto della proroga tempestivamente richiesta dalla controparte, così determinando la trasformazione dell’accordo originario in un rapporto a tempo indeterminato secondo il principio generale di cui all’art. II. – 1:111: Tacit prolongation229 del DCFR. Viceversa, gli effetti del contratto cessano alla scadenza del termine a fronte di una mancata richiesta di rinnovo ovvero in presenza di un rifiuto tempestivo della stessa. L’apposizione di un termine ai contratti di franchising o di distribuzione si giustifica, infatti, da un lato, per questioni di opportunità economica allorché ciascun contraente voglia preservare l’elasticità sul mercato del proprio apparato distributivo, dall’altro, per ragioni di carattere più spiccatamente giuridico volte a legittimare la presenza di “non compete obligations” che generalmente costituiscono parte in- 228 Una dettagliata rassegna delle leggi che disciplinano negli Stati Uniti la “Termination” nei contratti di franchising è riportata da R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 433-435. Più in generale, si veda il contributo di M.D. FERRI – P.I. KLEIN, Restrictions on Termination and Non-renewal of Franchises: A Policy Analysis, in Bus. Lawyer, 36, 1982, 1041 ss. 229 DCFR, III. – 1:111: Tacit prolongation: Where a contract provides for continuous or repeated performance of obligations for a definite period and the obligations continue to be performed by both parties after that period has expired, the contract becomes a contract for an indefinite period, unless the circumstances are inconsistent with the tacit consent of the parties to such prolongation. 84 tegrante di tali accordi. In tale direttiva, la previsione di un meccanismo basato sullo scambio reciproco e tempestivo del notice of renewal e del counter notice è volto ad assicurare l’effettiva esplicazione dell’autonomia negoziale, condizionando la prosecuzione del rapporto ad una reale e manifesta volontà di entrambi i contraenti. La regola che prevede la trasformazione automatica dell’accordo originario in un contratto a tempo indeterminato costituisce una novità nel settore della distribuzione commerciale, non essendo possibile ravvisare negli ordinamenti degli Stati membri la tendenza ad un’applicazione in via analogica di detto principio anche ai contratti di franchising o di concessione di vendita. Nello specifico, la prassi dei contratti di distribuzione commerciale mostra che, di regola, la cessazione anticipata delle relazioni contrattuali sottoposte a termine è limitata alle sole cause patologiche addebitabili all’affiliato/concessionario mentre allo spirare del termine di scadenza non consegue in genere alcun rinnovo automatico del contratto, con conseguente interruzione delle relazioni senza alcuna formalità, né indennità di avviamento in favore dell’affilato230. Sul piano più generale, le ragioni a fondamento dello statuto della “termination” così come disegnato dai PEL CAFDC risiedono nella necessità di informare le transazioni commerciali ai canoni di certezza e di trasparenza giuridica nonché ai criteri di efficienza economica ogniqualvolta per l’impresa concedente sia possibile il conseguimento di un profitto maggiore mediante l’instaurazione di rapporti commerciali con un nuovo contraente. In tale prospettiva, i paragrafi (1) e (2) dell’art. 1:302: Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period affermano il principio generale secondo cui ciascuna parte può liberamente recedere da un contratto a tempo indeterminato (con- 230 Così, A. R. CARNEGIE, Terminability of contracts of unspecified duration, in LQR, 1969, 392 ss.C. VACCA’, Gli accordi di franchising, il controllo sulla formazione del contratto e le condizioni di fine rapporto, in Riv. dir. comm. intern., 1990, 253. 85 tracts for an indefinite period) mediante l’osservanza di un ragionevole termine di preavviso (period of reasonable length). La ratio della regola generale poggia su una serie di considerazioni di carattere giuseconomico. In primo luogo, prevale la necessità di controbilanciare gli interessi che inevitabilmente vengono in rilevo nella fase di cessazione del rapporto: da un lato, l’interesse del franchisor/concedente che, attraverso il mancato rinnovo ovvero il recesso dal contratto, intende preservare l’elasticità e la sicurezza del proprio apparato distributivo; dall’altro, le legittime aspettative del concessionario che, mediante la prosecuzione del rapporto contrattuale, mira alla conservazione della propria clientela ed al recupero degli investimenti effettuati. Pertanto, l’obbligo di osservare un termine ragionevole o, in alternativa, l’obbligo di risarcire il danno nel caso di mancato preavviso sono ritenute misure idonee ad attenuare gli effetti pregiudizievoli che l’esercizio del bargaining power di una parte può cagionare a danno della controparte più debole231. Per quanto concerne le modalità di esercizio del recesso, il paragrafo (3) definisce puntualmente la nozione di “termine ragionevole” entro il quale deve essere comunicato il preavviso di disdetta individuando, in via esemplificativa, una serie di fattori che di regola incidono significativamente sugli aspetti economici del contratto. In tale direttiva, le circostanze indicate nell’Art. IV. E. - 2:302 e puntualmente identificate nella durata residua del rapporto contrattuale232, nell’importanza degli investimenti effettuati233, nel tempo stimato come necessario per la ricerca di una 231 Si veda A. DE GUTTRY, Il problema della “termination” nel contratto di “franchising”, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, 1983, 81. 232 Cfr. il Commento a DCFR, IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of the period of notice, a) The time the contract has lasted nonché all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period. 233 Così, il Commento a DCFR, IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of the period of notice, b) Reasonable investments made nonchè all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period. 86 valida alternativa234 nonché negli usi invalsi nello specifico settore commerciale235 costituiscono criteri-guida fondamentali nella determinazione in concreto della durata ragionevole del preavviso. L’esistenza di rapporti contrattuali di durata determinano, per loro stessa natura, reciproci affidamenti e giustificano investimenti specifici sul presupposto della continuità della relazione commerciale. La circostanza che tali investimenti siano stati o meno effettivamente ammortizzati dal contraente che li ha sopportati incide significativamente sulla determinazione del termine di preavviso. Infatti, a fronte di un recesso unilaterale quanto più la durata residua del contratto è maggiore, tanto più potrebbe essere difficoltoso per la parte adattarsi alla nuova situazione e, conseguentemente, tanto più ingente potrà risultare il danno dalla stessa subito a causa del recesso ingiustificato della controparte. Viceversa, qualora il contratto sia in esecuzione già da tempo, tale situazione potrebbe rivelarsi sufficiente per il recupero totale degli investimenti e, dunque, a giustificare un termine di preavviso più breve, considerando, altresì, che ai fini della determinazione dello stesso, assumono rilevanza i soli investimenti che appaiono ragionevolmente idonei a soddisfare le specifiche contingenze caratterizzanti il rapporto contrattuale in corso e non anche gli investimenti genericamente riferibili all’attività commerciale in senso lato. La previsione di un ragionevole termine di preavviso, inoltre, è diretto ad assicurare all’altro contraente un periodo sufficiente entro cui ricercare una valida e reale alternativa sul mercato. In tale prospettiva, assume notevole importanza la valutazione di eventuali clausole di non concorrenza post-contrattuale inserite nel regolamento negoziale, le quali, rendendo di fatto più difficoltosa la ricerca di 234 Cfr. il Commento a DCFR, IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of the period of notice, c) The time it will take to find a reasonable alternative nonchè all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period. 235 Così, nei Comments all’Art. IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of the period of notice, d) Usages nonché all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period. 87 un’alternativa adeguata, presuppongono la determinazione di un termine di preavviso più lungo. Infine, il termine di preavviso può assumere, altresì, una durata ragionevolmente diversa a seconda dello schema negoziale prescelto (contratto di agenzia, concessione di vendita, franchising) ovvero del settore merceologico interessato (automobili, birra, combustibili, etc.) secondo quando prescritto, ad esempio, dai codici di condotta presenti in un dato segmento di mercato. Le su menzionate esigenze di trasparenza e di certezza giuridica hanno indotto i redattori dei PEL CAFDC, da un lato, a svincolare l’esercizio del diritto di recesso dalla valutazione di una “giusta causa” rilevante ai fini della risoluzione del rapporto, dall’altro, a prevedere la fissazione di termini minimi di preavviso per tutti i tipi negoziali che rientrano nella categoria dei contratti in esame, senza prevedere regimi differenziati. Infatti, qualora all’interno della dinamica contrattuale dovessero insorgere eventuali dubbi nella valutazione dell’incidenza di tali fattori nella determinazione del termine, i PEL CAFDC prevedono l’operatività di un sistema di presunzioni legali. Nello specifico, il canone della ragionevolezza si presume integrato nella misura in cui il termine di preavviso sia pari ad un mese per ciascun anno di vigenza del contratto sino ad un massimo di trentasei mesi. Il carattere imperativo di siffatti principi (mandatory rules) esclude l’efficacia di clausole contrattuali che prevedono un termine inferiore fermo restando che, in nome del principio di autonomia negoziale, le parti possono fissare periodi più lunghi purché, in tali casi, il termine previsto in favore del concedente non sia inferiore a quello previsto per il concessionario e non risulti in definitiva ad esclusivo vantaggio del primo. Il nesso di continuità tra i progetti di armonizzazione piena attualmente in corso di realizzazione suggerisce di operare un confronto tra l’art. 1:302 dei PEL 88 CAFDC e l’art. 77 della CESL che ha accolto in via generale il principio del ragionevole termine di preavviso per la risoluzione unilaterale dei contratti a tempo indeterminato236. A differenza dei PEL CAFDC, la disciplina della CESL appare molto meno incisiva sul fronte delle esigenze di protezione del professionista più debole. Benché nella Proposta il reasonable period of notice costituisca un requisito indispensabile affinché la parte che intenda risolvere unilateralmente il contratto vada esente da ogni forma di responsabilità per danni, tuttavia, si stabilisce un termine durata massima del termine di preavviso, pari ad un massimo di due mesi, limitando espressamente l’inderogabilità della regola ai soli rapporti “business to consumer”.237 1.2.3 Primo esempio di applicazione pratica del DCFR. La sentenza della Corte Suprema di Svezia sul “reasonable period of notice” A riprova della sempre più avvertita esigenza di reperire nel settore dei contratti di distribuzione soluzioni uniformi a tutela dei reciproci interessi dei contraenti, si osserva che il primo ed embrionale esempio di applicazione pratica del DCFR, quale strumento predisposto a dare effettività alle istanze di armonizzazione del diritto contrattuale europeo, è dato da una sentenza della Corte Suprema di Svezia (Högsta Domstolens) del 3 novembre 2009 intervenuta sul fronte dell’esercizio unilaterale della facoltà di recesso ad nutum238. 236 CESL, art. 77: Contracts of indeterminate duration 1. Where, in a case involving continuous or repeated performance of a contractual obligation, the contract terms do not stipulate when the contractual relationship is to end or provide for it to be terminated upon giving notice to that effect, it may be terminated by either party by giving a reasonable period of notice not exceeding two months. 2. In relations between a trader and a consumer the parties may not, to the detriment of the consumer, exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects. 237 In ragione dei profili di contraddittorietà, l’attuale formulazione della norma è stata oggetto di rivisitazione da parte dello European Law Institute che nello Statement on the Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law sottolinea: “It is inappropriate to bind any party, including traders, to a contract for a period without any temporal limitation. The two month period should, however, only apply to consumer contracts.” 238 Högsta Domstolens Dom 3 November 2009 Mål nr. T 3-08, in www.domstol.se/Domstolar/hogstadomstolen/Avgoranden/2009. Sul punto, A. DE MARCO, Alcune 89 Il nodo centrale della controversia riguardava l’an ed il quantum di una domanda di risarcimento danni proposta da un venditore al dettaglio/concessionario di prodotti da forno nei confronti di un fornitore locale il quale si era avvalso della facoltà di recesso ad nutum, senza l’osservanza di un congruo termine di preavviso. In particolare, la cessazione del rapporto contrattuale per volontà unilaterale del concedente era intervenuta a distanza di sette anni dalla conclusione orale di un contratto di concessione di vendita stipulato a tempo indeterminato tra un produttore ed un distributore entrambi svedesi. La Corte, pertanto, dopo aver passato in rassegna i principi vigenti nell’ordinamento statale ed internazionale con riguardo agli aspetti più rilevanti del contratto di concessione di vendita, ha dimostrato una spiccata sensibilità nei confronti delle avvertite esigenze di armonizzazione laddove, derogando espressamente all’unico precedente giudiziario sussistente in materia239, ha assunto i Principles di derivazione comunitaria come parametri normativi di riferimento per la soluzione della controversia di cui era stata investita. In applicazione del DCFR, infatti, il giudice svedese ha accolto la domanda di risarcimento del danno proposta dal concessionario, affermando il principio generale secondo cui nei contratti a tempo indeterminato ciascuna parte è tenuta ad osservare un ragionevole termine di preavviso. Nella specie, considerando che il contratto era stato bruscamente interrotto dopo sette anni di vigenza, il giudice, anziché optare per la determinazione di un termine minimo astrattamente prefissato, ha ritenuto come ragionevole un preavviso di almeno tre mesi, tenendo conto che il riflessioni a margine della sentenza 3 novembre 2009 della Corte Suprema di Svezia: un primo esempio applicativo del Draft Common Frame of Reference on European Contract Law, in Dir. comm. intern., 2012, 141 ss. 239 In una precedente controversia del 1987, concernente un contratto di concessione di vendita, la Corte Suprema svedese aveva statuito in ordine all’ammissibilità del recesso unilaterale esercitato senza preavviso, mancando la prova che, con riguardo a tale fattispecie negoziale, gli usi richiedessero l’osservanza di un congruo termine. 90 fornitore era una società di piccole dimensioni e che l’attività imprenditoriale del distributore locale non era limitata alla vendita dei soli prodotti del concedente. Nella specie, la valutazione dei criteri esemplificati nell’Art. IV. E. - 2:302 paragrafo (3) del DCFR hanno assunto una portata decisiva nella determinazione di un ragionevole termine di preavviso, così realizzando un equo contemperamento tra le esigenze di efficienza del mercato e le istanze di “business fairness”. Nell’attuale panorama giudiziario europeo il carattere originale ed innovativo della sentenza svedese assume pertanto una notevole rilevanza pratica atteso che, nel contrassegnare il battesimo giurisprudenziale del DCFR, interviene in un’area del diritto contrattuale che solo in rarissimi casi riceve una specifica regolamentazione positiva a livello di legislazione nazionale. 1.3 Anomalie e rimedi nei rapporti di distribuzione: “damages”, “indemnity of goodwill” e obbligo di riacquisto delle scorte invendute La pretesa esaustività della disciplina dei PEL CAFDC trova ulteriore conferma nella definizione del sistema rimediale previsto per i contratti di distribuzione che si articola sul duplice versante dell’invalidità negoziale e della responsabilità contrattuale. In particolare, la tendenza ad una ricostruzione in chiave funzionale dei rimedi definisce nel complesso una disciplina calibrata in rapporto ai molteplici interessi emergenti dall’attività economica delle imprese, operando su un piano di compatibilità con i principi fondamentali della libertà negoziale, della tutela dell’affidamento dei terzi e della certezza delle situazioni giuridiche interessate. In tale direttiva, viene anzitutto in rilievo l’art. 1:201: Pre-contractual information duty che di fatto instaura un collegamento virtuale ma obbligato con l’art. II.7:201: Mistake paragrafo (1)(b)(iii) in forza del quale la violazione della regola di buona fede informativa costituisce una delle possibili cause di annullabilità per erro- 91 re della controparte, incidendo essa sul procedimento di formazione della volontà negoziale. Ciò precisato, si osserva che l’intero sistema appare interamente incentrato sull’istituto del compensation che assume rilevanza sia come rimedio esclusivo a fronte della violazione delle norme che presiedono al corretto esercizio delle condizioni di fine rapporto sia come rimedio di carattere residuale laddove a fronte della violazione degli obblighi di informazione non siano integrati gli estremi del fundamental mistake. In quest’ultimo caso, nell’ambito dei contratti di franchising si prefigura un regime di strict liability, atteso che il franchisee è dispensato dall’onere di dimostrare il nesso causale tra l’inadempimento dei doveri di informazione e l’errore della parte, essendo a carico del franchisor la prova della correttezza e dell’adeguatezza dell’informazione divulgata, qualora questi voglia andare esente da ogni forma di responsabilità. In generale, l’art. 1:303: Damages for Non-Observance of Notice Period prevede che il mancato preavviso ovvero l’inosservanza di un termine congruo determinano l’insorgenza di un’obbligazione risarcitoria per i danni subiti dalla controparte. Nello specifico, il paragrafo (2) prevede che la somma dovuta a titolo di risarcimento è pari al profitto che la parte avrebbe ottenuto nelle more del preavviso, precisando che lo stesso dovrà essere calcolato in base al profitto medio ricavato negli ultimi tre anni ovvero, se il contratto ha avuto un durata inferiore, a quello maturato nel corso di detto periodo. Nella specie, si richiama implicitamente l’art. 9:502 PECL (General Measure of Damages)240 che, in via generale, identifica i parametri di quantificazione delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno rispettivamente nella perdita (the loss) sofferta dalla parte e nel guadagno (the gain) 240 Cfr. PECL, 9:502: General Measure of Damages: The general measure of damages for loss caused by non-performance of an obligation is such sum as will put the creditor as nearly as possible into the position in which the creditor would have been if the obligation had been duly performed. Such damages cover loss which the creditor has suffered and gain of which the creditor has been deprived. 92 che avrebbe conseguito ove il contratto fosse stato duly performed. Ne consegue che il danno risarcibile derivante dal recesso ingiustificato è, di regola, pari all’expectation interest che si calcola sulla base dei guadagni presumibilmente realizzati dal concessionario nella durata residua del contratto nonché dell’ammontare delle spese sostenute dallo stesso per l’organizzazione e la promozione delle vendite in previsione della maggiore durata della collaborazione professionale241. L’istituto generale della “compensation after termination” così come regolato nei PEL CAFDC affonda le sue radici nei principi dell’acquis communautaire ed, in particolare, nell’articolato normativo di cui alla Dir. CE 86/653 che affronta analiticamente le questioni correlate alla “termination” del contratto di agenzia, riconoscendo in capo all’agente non solo la “riparazione del pregiudizio causatogli dalla cessazione dei suoi rapporti con il proponente” ma anche il diritto a ricevere in pagamento un’indennità di fine rapporto che prescinde dall’inadempimento della controparte242. L’art. 1:305: Indemnity of goodwill stabilisce, infatti, che in ogni caso di cessazione del rapporto contrattuale, ivi compreso per inadempimento, ciascuna delle parti ha il diritto di richiedere il pagamento di un’indennità di clientela (indemnity for goodwill) se e nella misura in cui la stessa abbia contribuito ad incrementare in modo significativo il volume d’affari della controparte ed il pagamento dell’indennità risulti ad essa ragionevolmente dovuto. Nello specifico, si tratta di un rimedio a carattere restitutorio di portata generale atteso che il pagamento dell’indennità prevista in riferimento a qualsivoglia contratto a lungo termine si aggiunge eventualmente al diritto di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla 241 Com’è stato correttamente osservato il recesso deve sempre garantire “la possibilità di ammortizzare gli investimenti che lo scioglimento del rapporto rende irrecuperabili”. Così, infatti, R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, p. 328. 242 Così, ampiamente, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op. cit., p. 191 ss; N. TELLIS, The compensation for goodwill in commercial agency, Athina, 1997. 93 mancata osservanza del termine di preavviso ed a prescindere dalle cause che hanno portato alla cessazione degli effetti del contratto. Il diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità di fine rapporto costituisce, infatti, una delle molteplici applicazioni della regola generale sull’Unjustified Enrichment (art. VII. - 1:101 del DCFR) e dalla quale è lecito coniare il principio secondo cui è da ritenersi in ogni caso precluso il conseguimento di un arricchimento ingiustificato derivante dalla cessata esecuzione di un rapporto contrattuale di durata243. La disposizione di cui all’art. 1:305: Indemnity of goodwill rappresenta il risultato di una netto passo in avanti compiuto dai redattori dei PEL CAFDC rispetto alle soluzioni variamente accolte dalle legislazioni nazionali soprattutto in sede di recepimento della Direttiva comunitaria in materia di agenzia commerciale244. Da un lato, infatti, si assiste alla generalizzazione dell’istituto a tutti i tipi che rientrano nella categoria dei contratti di distribuzione, rafforzando così la posizione dei franchisees/concessionari che svolgono la loro attività principale in uno degli Stati in cui non è prevista il pagamento di siffatta indennità come, ad esempio, l’Italia, la Francia ed il Regno Unito. Dall’altro, si prevede un nuovo ed autonomo sistema di calcolo dell’indennità di clientela basato sulla valutazione di un triplice elemento: l’incremento significativo del volume degli affari, il persistente godimento nel tempo di “substantial benefits” derivanti dagli affari precedentemente procurati ed, infine, il reasonablness test quale parametro circostanziale che deve orientare l’interprete nella determinazione dell’an e del quantum dell’indennità. Ad esempio, per stabilire se l’indennità sia ragionevolmente dovuta occorre considerare 243 DCFR, VII. – 1:101: Basic rule: (1) A person who obtains an unjustified enrichment which is attributable to another’s disadvantage is obliged to that other to reverse the enrichment. (2) This rule applies only in accordance with the following provisions of this Book. In dottrina, P. GALLO, Unjust Enrichment: A Comparative Analysis, in 40 Am. J. Com. L., 1992, 431 ss.; ID., Arricchimento senza causa, Torino, 2008. 244 Sugli errori compiuti, ad esempio, dal legislatore italiano in sede di recepimento della Direttiva, si veda, R. BALDI, Il contratto di agenzia, op. cit., 263; A. VENEZIA, La risoluzione ed il recesso nel contratto di agenzia, in Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di G. De Nova, Milano, 1994, 711 ss. 94 l’eventuale risarcimento del danno subito per la violazione delle condizioni di fine rapporto ovvero per inadempimento atteso che, in tali ipotesi, la voce di danno pari all’“expectation interest” non potrà essere riconsiderata ai fini della quantificazione dell’indennità, a pena di un’inammissibile duplicazione risarcitoria. Una speciale previsione normativa sull’indennità di clientela è previsto per i contratti di agenzia dall’art. 2:312: Amount of indemnity che innova completamente rispetto ai meccanismi recepiti negli ordinamenti degli Stati membri. Tale indennità si determina attraverso un complesso sistema di calcolo che tiene opportunamente in considerazione l’ammontare medio delle provvigioni percepite in riferimento ai contratti conclusi con i nuovi clienti e l’incremento di volume degli affari procurati con i clienti preesistenti, considerando, altresì, il numero di anni in cui il preponente presumibilmente godrà dei vantaggi derivanti da tali contratti. In ogni caso, l’ammontare dell’indennità non potrà essere superiore alla retribuzione media annuale percepita dall’agente negli ultimi cinque anni di attività. La norma è posta nell’interesse di entrambi i contraenti dal momento che assicura maggiore trasparenza nella determinazione del quantum, abbattendo i costi di transazione e riducendo le ipotesi di contenzioso. Gli interessi dell’agente sono tutelati mediante il riferimento a criteri di calcolo sufficientemente determinati mentre la posizione del preponente è ragionevolmente salvaguardata dalla previsione di un coefficiente che tiene conto del numero limitato di anni nel corso dei quali lo stesso potrà godere dell’avviamento generato dalla precedente attività dell’agente nonché dalla previsione di un tetto massimo quanto all’ammontare complessivo dell’indennità. Il sistema previsto dai PEL CAFDC, dunque, qualora prescelto come legge regolatrice del contratto, consentirebbe di ovviare alle numerose incertezze derivanti dalla varietà dei criteri adottati negli orientamenti nazionali, i quali sono attualmen- 95 te orientati, in parte, sul modello alla “tedesca” che limita il diritto all’indennità ai soli casi in cui l’agente abbia procacciato nuovi clienti245, ed in parte, sul modello alla “francese” che prevede il calcolo dell’indennità attraverso un sistema automatico basato sulle provvigioni potenzialmente percepite in caso di prosecuzione del rapporto246. Unitamente alle condizioni poste a presidio della fase di risoluzione del contratto, appaiono non meno rilevanti le regole volte a disciplinare le conseguenze strettamente patrimoniali della frattura. A tale riguardo si coglie un’evidente lacuna del sistema sia all’interno degli ordinamenti nazionali sia nella disciplina antitrust europea, nonostante le dirette implicazioni sugli assetti concorrenziali derivanti dai possibili effetti della crisi della relazione contrattuale. La cessazione anticipata del contratto, infatti, pone a carico dei concessionari/franchisees il problema relativo allo smaltimento delle scorte invendute, dato che in presenza di una valida clausola di non-concorrenza post-contrattuale verrebbe ad essi preclusa la possibilità di ricollocare le merci sul mercato, accentuando gli effetti negativi di un eventuale hold up monopolistico247. Sul fronte dei rimedi, dunque, il panorama offerto dalla prassi commerciale è estremamente variegato, atteso che si registrano profonde divergenze sui presupposti che giustificano il sorgere di tale obbligo, sui criteri di determinazione del 245 Cfr. § 89 HGB. In generale sull’opzione tedesca come metodo standard, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, op. cit. 191 ss. M. BRIDGE, Compensation for Commercial Agents in the House of Lords, in ERCL; 2008, 31 ss. 246 Cfr. Art. 12 co. 1 della legge 25 giugno 1995 che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 86/653. In generale, D. FERRIER, Droit de la distribution, Paris, 1995, 71; J.M. LELOUP, Les agents commerciaux, Paris, 1998, 211. 247 Il riferimento è a R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 300, “ (…) Per comune ammissione, l’idea di un contraente inchiodato alla sua scelta dalla carenza di “sostituti” e perciò esposto all’altrui “leverage” monopolistico trova riscontro paradigmatico proprio nel franchisee che abbia impegnato capitali senza possibilità di riconversione: la necessità di ammortizzare gli investimenti lo renderà più che mai reattivo allo spettro del recesso unilaterale (o mancato rinnovo) del produttore (…).” In generale, sulle origini della nozione di “hold up” monopolistico, si veda B. KLEIN – R. G. CRAWFORD – A. A. ALCHIAN, Vertical Integration, Appropriable Rents and the Competitive Contracting Process, in 21 J. Law & Econm., 1978, 297 ss. 96 prezzo e, soprattutto, sull’eventualità che il riacquisto delle giacenze riguardi le ipotesi di risoluzione anticipata del contratto per fatto imputabile al solo concedente ovvero ad entrambi i contraenti248. In Francia, ad esempio, la giurisprudenza della Court de Cassation ammette in via generale l’obbligo di riacquisto solo nei casi di rupture abusive del contratto249; diversamente in Italia250 e Germania251, le corti riconoscono l’obbligo di riconsegna delle giacenze di magazzino in nome del principio generale di buona fede, sempre che la risoluzione anticipata del contratto sia imputabile ad una fatto del concedente/franchisor. In Spagna, il prezzo per il riacquisto delle scorte è generalmente pari all’ammontare originariamente pagato dal concessionario, al netto della diminuzione di valore dovuta all’obsolescenza dei prodotti252. Negli altri Paesi europei, invece, non è dato registrare alcuna applicazione della regola. In via generale, si osserva che gli strumenti giuridici rivolti a paralizzare gli effetti dell’hold up monopolistico, trovando giustificazione nella clausola generale sulla buona fede contrattuale, più spesso si manifestano nella prassi attraverso una peculiare applicazione della liability rule ossia mediante l’imposizione di un’obbligazione risarcitoria commisurata alla perdita subita in termini di spese complessivamente sostenute in previsione della maggiore durata del rapporto253. 248 In generale, sui profili relativi all’indennità di clientela, al riacquisto degli stocks, al fallimento delle parti e alla cessione del contratto, si veda M. G. DI LIDDO, “Le vicende dei contratti di franchising, in Contr., 1994, 473 ss.. 249 Cfr. Cass. comm., 13 maggio 1975, in JCP, 1975, 211; Cass. comm., 26 ottobre 1982, in Bull. Civ., IV, 275. 250 Cfr. Pretore di Roma, 11 giugno 1984, Sangemini e Soc. Acqua Minerale Ferrarelle c. Schweppes Int. Ltd. e Soc. Acqua Minerale San Benedetto, in Foro it., 1984, I, 2909, con nota di R. PARDOLESI. 251 Cfr. § 242 BGB, M. MARTINEK – F. J. SEMLER, Handbuch des Vertriebsrechts, § 21, 56-60, op. cit. 252 Si veda, F. SANCHEZ CALERO, Institutiones de Derecho Mercantil, Madrid, 2000, 178 ss. ; M. DOMINGUEZ GARCIA, Los contratos de distribución: agentia mercantil y concession comercial, op. cit., 1372 ss. 253 A tale conclusione si è giunti attraverso una compiuta disamina della prassi arbitrale internazionale. In particolare, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale. La distribuzione internazionale, op. cit., 263-268. 97 Tuttavia, la determinazione di un rimedio tipicamente risarcitorio si rivela palesemente inefficiente ogniqualvolta, intervenuta la cessazione degli effetti del contratto, il concedente/franchisor conservi l’interesse ad ottenere la riconsegna delle merci per farne direttamente uso ovvero per rivenderle agli altri distributori della rete. In tale prospettiva, l’art. 1:306: Stocks, spare parts and materials254 interviene in modo decisamente innovativo sul punto sia attraverso l’estensione della regola ai contratti di agenzia commerciale, riferendosi implicitamente alle ipotesi in cui l’agente si impegnato ad acquistare materiale pubblicitario ovvero pezzi di ricambio, sia generalizzandone la portata a tutti i casi di cessazione degli effetti del contratto, richiamando espressamente i casi di annullamento, risoluzione per inadempimento e scadenza naturale dello stesso. Sotto il profilo sostanziale, i redattori dei PEL CAFDC eleggono lo standard di ragionevolezza a principio cardine della disciplina255. Tale standard, infatti, sotto il duplice profilo di criterio principale in base al quale procedere alla determinazione del prezzo di rivendita delle giacenze di magazzino e di principio attraverso cui determinare l’an dell’obbligo di riacquisto a carico del concedente/franchisor. Nel primo caso, il richiamo implicito agli usi e alla prassi rilevante in considerazione delle circostanze concrete, evita possibili speculazioni da parte del concedente/franchisor, imponendo, nel caso, la valutazione del grado di obsolescenza delle 254 PEL CAFDC, art. 1:306: Stock, spare parts and materials: If the contract is avoided, or the contractual relationship terminated, by either party, the party whose products are being brought on to the market must repurchase the other party’s remaining stock, spare parts and materials at a reasonable price, unless the other party can reasonably resell them. 255 Sull’ascesa dello standard di ragionevolezza nel diritto privato europeo, si veda G. CRISCUOLI, Buona fede e ragionevolezza, in Riv,. dir. civ., 1984, I, 752 ss.; G. WEISZBERG, Le “raisonnable” en Droit du Commerce International, Paris, 2003; E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Eu. e dir. priv., 2012, 953 ss., la quale, in particolare, osserva che: “nella prospettiva europea si dilegua la netta differenza funzionale tra la clausola di buona fede, chiamata a conferire un margine di flessibilità ad un sistema di impostazione normativa, e lo standard di ragionevolezza, che opera quale criterio orientativo del giudice di common law nell’applicazione dello stare decisis.” 98 merce, della presenza o meno dell’obbligo di acquisto di quantitativi minimi di merce e della relativa portata ovvero dell’adeguatezza del termine di preavviso in ordine alla rivendita delle scorte256. Nel contempo, la valutazione dei dati circostanziali che assistono l’operazione negoziale nel suo complesso potrebbe portare ad escludere la sussistenza dell’obbligo di riacquisto, qualora sia presumibile che il concessionario si trovi nella posizione di poter rivendere a terzi ad un prezzo ragionevole ed entro un termine ragionevolmente breve. In tale contesto, l’efficienza della regola sul piano economico e, allo stesso tempo, l’equilibrio contrattuale sono garantiti dall’allocazione dell’onere delle prova a carico del concedente/franchisor, il quale potrà ritenersi esonerato dall’obbligo solo a fronte dell’avvenuta dimostrazione dei dati circostanziali in suo favore257. 256 257 Cfr. PEL CAFDC, Comment B. Cfr. PEL CAFDC, Comment D. 99 CAPITOLO IV IL “CONTRAENTE DEBOLE” NEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: LA PROSPETTIVA DEL DIRITTO EUROPEO 1.1. L’ imprenditore “debole” nel diritto europeo: cenni ricostruttivi della disciplina 1.1.1 L’imprenditore “debole” nel diritto internazionale privato europeo: gli esempi specifici dell’agente, del franchisee e del distributore Nei sistemi di diritto internazionale privato, la protezione del contraente “debole” nei contratti con uno o più caratteri di transnazionalità si realizza efficacemente attraverso l’applicazione della legge, fra quelle in conflitto, che sia sostanzialmente la più favorevole e l’attribuzione della competenza giurisdizionale ad un giudice fisicamente prossimo alla stessa258. In tale prospettiva, il tradizionale criterio di collegamento basato sulla mera localizzazione del rapporto contrattuale appare palesemente inidoneo ad assecondare le finalità di tutela sostanziale della parte debole, dato che esso prescinde dalle necessità derivanti dallo status soggettivo del contraente nonché dal contenuto e dal grado di conoscenza che lo stesso potrebbe avere del diritto applicabile. Senza contare, inoltre, che le principali criticità in questo campo sorgono in riferimento alla presenza di una choice of law clause atteso che il contraente più forte potrebbe imporre la scelta di una legge che preveda uno standard di tutela inferiore rispetto a quello garantito dalla legge di localizzazione del rapporto essendo carente delle norme imperative previste invece dalla legge altrimenti applicabile. Sul fronte internazional-privatistico, la policy europea di protezione del contraente debole è intervenuta agendo sotto un duplice profilo: da un lato, attraverso la proliferazione di norme di norme di conflitto a carattere materiale, dall’altro at- 258 In generale sull’argomento si veda, tra gli altri, F. POCAR, La protection de la partie faible en droit International privé, in Recueil des cours de l’Académie de droit international, 1984, tomo 188, 339; F. LECLERC, La protection de la partie faible dans les contrats internationaux, 1996, Bruxelles, 406; P. MAYER, La protection de la partie faible en droit International privé, in La protection de la partie faible dans les rapports contractuels, a cura di G. GHESTIN, M. FONTAINE, 1996, Paris, 528. 100 traverso la previsione di limiti all’autonomia delle parti nella scelta del diritto applicabile259. Specificamente, una norma di conflitto a carattere materiale si configura alla stregua di una disposizione normativa che prevede al suo interno molteplici criteri di collegamento autonomi, la cui applicazione è subordinata al verificarsi di una o più condizioni poste dal legislatore. In base al suddetto meccanismo risulterà applicabile la legge che, nel caso di specie, prevede la disciplina più idonea al conseguimento dell’obiettivo sostanziale avuto di mira260. Un esempio evidente è rappresentato dal funzionamento dell’art. 6 del Regolamento Roma I261 il quale individua come la legge applicabile ai contratti conclusi con il consumatore la legge di residenza abituale del consumatore purché il professionista svolga le sue attività commerciali in tale paese ovvero ivi vi diriga tali attività. In mancanza di siffatti requisiti, potranno trovare applicazione i criteri generali di cui rispettivamente agli artt. 3 e 4 del Regolamento. Tuttavia, qualora la scelta operata dai contraenti ricada altrove, essa non vale a privare il consumatore della protezione assicuratagli dalla legge che risulterebbe altrimenti applicabile. Sennonché il Regolamento in esame, testimoniando il progressivo affermarsi di un modello di regolazione dei rapporti di mercato asimmetrici che non si limita alle sole relazioni B2C ma copre anche le relazioni B2B, introduce per la prima volta altre due figure di contraenti deboli. 259 In tal senso, espressamente, il punto 18 della sentenza della Corte di giustizia del 19 gennaio 1993, causa C-89/91, Shearson Lehmann Hutton, in Racc. I-139, nel quale si legge “va (…) osservato che la particolare disciplina istituita dagli articoli 13 e seguenti della Convenzione [di Roma del 1980] mira a proteggere il consumatore, in quanto parte contraente considerata economicamente più debole e meno esperta sul piano giuridico della controparte. Bisogna quindi evitare che detta parte contraente, essendo costretta a proporre l’azione dinanzi ai giudici dello Stato sul cui territorio è domiciliata la controparte, si senta scoraggiata dall’adire le vie legali”. 260 S. VRELLIS, La justice «materielle» dans une codification du droit international privé, in E pluribus unum: liber amicorum Georges A. L. Droz, 1996, The Hague, 541. 261 Regolamento CE 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) in GUCE L 177/6 del 4 luglio 2008. 101 All’art. 4 paragrafo 1 lett. e) ed f) viene, infatti, richiamato come criterio di collegamento la legge della residenza abituale, rispettivamente, del franchisee e del distributori, così sottraendo la relativa disciplina dall’incertezza e dalla imprevedibilità che hanno tradizionalmente accompagnato l’applicazione del principio di prossimità, sub specie di criterio del luogo di esecuzione della prestazione caratteristica262. In passato, infatti, a fronte dell’atipicità della maggior parte dei contratti di distribuzione e delle conseguenti difficoltà insite nella definizione dei rapporti tra il contatto quadro di distribuzione ed i singoli contratti di vendita conclusi in esecuzione del primo, il criterio della prestazione caratteristica ha condotto a risultati tra loro eterogenei. Sebbene si sia registrata come prevalente la tendenza a qualificare in termini di prestazione caratteristica quella del concessionario263, tuttavia, altrettanto numerose risultano le soluzioni giurisprudenziali che, ponendo l’accento sul rapporto di fornitura, abbiano individuato come tipizzante la prestazione del concedentevenditore264, individuando come applicabile il diritto del Paese di quest’ultimo. Allo scopo di evitare ogni incertezza, il nuovo criterio di collegamento individuato dal regolamento Roma I è ulteriormente precisato dall’art. 19 laddove si stabilisce che per residenza abituale di società, associazioni e persone giuridiche deve intendersi il luogo in cui si trova la loro amministrazione centrale; invece, qualora il 262 In generale, sulla rilevanza del criterio di proximité, si veda, tra gli altri, P. LAGARDE, Le principe de proximité dans le droit International privé contemporain, in Recueil de cours, Académie de droit International de La Haye, 1986, 9ss.; O. LOPES PEGNA, Il rilievo del collegamento più stretto dalla Convenzione di Roma alla proposta di regolamento “Roma I” in Riv. dir. int. priv. e proc., 2006, 756. 263 Sul punto, ampiamente, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op. cit., 351-353; S. TONOLO, La legge applicabile ai nuovi contratti: i casi del factoring e del franchising, in Contr. Imp./Eu., 2003, 542 ss. In particolare, per l’applicazione della legge del concedente/franchisor, T. BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova, 1999, 631 ss; per l’applicazione della legge del franchisee, R. BALDI, Il contratto di agenzia, op. cit., 179 ss.; M. MAGAGNI, La prestazione caratteristica nella Convenzione di Roma del 19 giugno del 1980, Milano, 1989, 340 ss. 264 Ad esempio, in Francia sembra prevalente l’orientamento che individua come prestazione caratteristica la fornitura della merce. Così, Cour de Cassation, 1er Ch. Civ., 25 novembre 2003, in Journal de droit international, 2004, 1179; recentemente, anche in Italia, Corte Cass. 4 maggio 2006, n. 10223, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2007, 194, ha affermato che: “nei contratti di distribuzione commerciale, la prestazione caratteristica va identificata(per il suo carattere specifico) nella fornitura della merce, da cui dipende la successiva attività di distribuzione del prodotto.” 102 contratto sia concluso da una persona fisica nell’esercizio della propria attività professionale, la residenza abituale coincide con il luogo di attività principale. In definitiva, la legge così individuata è quella che, con maggiori probabilità, è conosciuta dalla parte considerata debole, non diversamente da quanto accade per il consumatore. In particolare, qualora il franchisee ed il distributore siano persone fisiche, risulterà applicabile la legge del luogo in cui essi svolgono la loro attività principale. Diversamente, qualora essi siano organizzati in forma associativa, la circostanza che gli stessi possano ignorare la legge del luogo in cui hanno deciso di stabilire l’amministrazione centrale non è ritenuta, nelle valutazioni del legislatore europeo, un fattore idoneo a determinare una situazione di asimmetria informativa contrattualmente rilevante e, pertanto, meritevole di particolare protezione265. Si ritiene, infatti, che anche in una tale condizione di ignoranza, risulterebbe più semplice per tali soggetti conoscerne il contenuto rispetto ad altre leggi potenzialmente in conflitto, giacché avendo stabilito la sede legale in quello Stato, essi potranno agevolmente avere accesso alle conoscenze di esperti del settore senza incorrere in spese legali eccessivamente elevate. In via generale, nel diritto comunitario una persona giuridica è considerata meno bisognosa di tutela per cui, anche se appartenente a una categoria debole, non appare necessario apprestare i medesimi meccanismi di protezione previsti per le persone fisiche come, ad esempio, l’applicazione della legge più prossima alla parte debole266. 265 Basti qui pensare alla fattispecie nel caso Centros della Corte di giustizia del 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros, Racc. I-1495 dove l’attività imprenditoriale di una società registrata nel Regno Unito era svolta esclusivamente in Danimarca. La Corte di giustizia ha affermato che simili situazioni sono ammissibili e che costituiscono la logica conseguenza dell’esercizio dalla libertà di stabilimento garantita dal Trattato. Si può, più facilmente, pensare al caso di un distributore operante in più Stati membri, con sede in uno solo di questi. 266 In proposito, si rinvia alla sentenza della Corte di Giustizia, sez. III, n. 541 del 22 novembre 2001, cit. 103 Tale impostazione è espressamente confermata dalla disciplina prevista dal regolamento a fronte dell’operatività di una choice of law clause la quale, in riferimento ai contratti di franchising e di distribuzione, non è sottoposta ad alcuna limitazione mentre è rigidamente condizionata al non pregiudizio delle disposizioni imperative della legge altrimenti applicabile per i contratti di consumo. Optando per tale distinzione, il legislatore europeo sembra aver perso l’occasione di coordinare in modo uniforme alcune tendenze già affermatesi sul fronte internazional-privatistico nella direzione di una più efficace tutela materiale dell’imprenditore debole nell’ambito dei contratti di distribuzione commerciale. In particolare, si osserva che in riferimento al contratto di agenzia commerciale la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha riconosciuto il carattere internazionalmente inderogabile delle norme della direttiva 86/653 in materia di indennità di fine rapporto267. Il contenuto essenziale della sentenza Ingmar è costituito dall’affermazione secondo cui le norme sull’indennità devono trovare applicazione quando l’agente operi in un paese comunitario e le parti abbiano sottoposto il loro rapporto alla legge di un paese terzo. In tale prospettiva, si deve ritenere che le norme nazionali attuano correttamente gli artt. 17 e 18 della direttiva solo a condizione che esse abbiano efficacia di norme internazionalmente imperative, ossia di norme che non consentano ai preponenti di sottrarsi alla loro applicazione attraverso la scelta della legge di uno Stato terzo. Pertanto, non è da escludersi che, a fronte della sostanziale fungibilità sotto il profilo economico dello stato di dipendenza che caratterizza rispettivamente gli agenti commerciali, i franchisees ed i distributori, possa legittimamente riconoscersi carattere internazionalmente imperativo alle norme nazionali di attuazione della direttiva anche laddove applicate in via analogica ai contratti di distribuzione. Tanto 267 Sentenza della Corte di Giustizia del 9 novembre 2000, Ingmar Ltd c. Eaton Leonard Technologyes, in Mass. Giur. Lav., 2001, con nota di F. BORTOLOTTI, Inderogabilità delle norme della direttiva europea sugli agenti nei rapporti con i preponenti di Paesi terzi, ibid., 411-422. 104 più che nel ragionamento della Corte di Giustizia l’elemento fondamentale per individuare quali siano le norme convenzionalmente inderogabili è dato dal loro carattere funzionale all’esercizio delle libertà di circolazione e allo sviluppo di una concorrenza non falsata all’interno dello spazio unico europeo. Sennonché l’estrema lacunosità delle discipline nazionali e, dunque, la carenza di una ricostruzione sistematica della categoria dei contratti di distribuzione commerciale costituiscono un ostacolo all’affermazione di standards di protezione omogenei considerato, altresì, che il giudice nazionale sarà chiamato di volta in volta a stabilire la natura e l’oggetto delle norme invocate nonché le conseguenze derivanti dalla loro applicazione a fronte dei principi giuridici posti a fondamento dell’ordinamento di appartenenza. Non è affatto scontato, infatti, che il giudice dinanzi al quale venga fatta valere la norma belga che prevede il diritto del concessionario ad un’indennità di clientela ritenga opportuno “dare efficacia” a tale norma quando il contratto con il concessionario belga sia sottoposto alla legge di un Paese terzo, che provveda diversamente sulla questione. Parimenti, non è detto che il giudice italiano debba dare efficacia a tutte le norme considerate di applicazione necessaria nel paese dell’agente, considerando che la legge italiana rispetta comunque il livello minimo di protezione garantito dalla direttiva europea268. A ciò si aggiunge che, fermo restando la loro inderogabilità, la determinazione dell’ambito di applicazione delle norme di protezione contemplate dalla direttiva è rimessa in sostanza alla discrezionalità di ciascuno Stato Membro. In Gran Bretagna, ad esempio, l’art. 2 del Commercial Agent Regulations del 1993 prevede che le norme di attuazione della direttiva si applichino ai soli rapporti con agenti che operano all’interno del territorio dell’Unione, rinviando alla normativa preesiste di common law per la regolamentazione dei rapporti con agenti che volgono altrove la 268 Le suddette perplessità sono avanzate da F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op. cit., 354. 105 propria attività. In presenza dei medesimi presupposti territoriali, il § 92 c. 1 del HGB tedesco ammette espressamente la derogabilità di tutte le norme comunitarie a carattere imperativo. Più in generale, si osserva che a fronte dell’omessa trasposizione normativa della giurisprudenza Ingmar, è dubbio che il giudice di uno Stato membro possa dare rilevanza al diritto comunitario al di fuori della particolare ipotesi prevista dall’art. 3 paragrafi 3 e 4 del regolamento Roma I che, ai fini del rinvio alle norme imperative della legge altrimenti applicabile, richiede l’ubicazione nel territorio comunitario di tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione dedotta in giudizio. 1.1.2 Le ultime frontiere del diritto contrattuale europeo: verso la formazione di un “Business to Business Acquis” in materia di contratti A seguito della pubblicazione della Proposta di Regolamento per un diritto comune della vendita, la questione relativa alla regolamentazione diretta di alcuni aspetti sostanziali inerenti alla contrattazione di impresa è ufficialmente sul tavolo delle proposte legislative in discussione in seno alle istituzioni dell’Unione269. Tenendo conto delle modeste dimensioni giuridico-economiche caratterizzanti la stragrande maggioranza delle realtà imprenditoriali operanti all’interno del mercato europeo, i membri dell’Expert Group hanno ritenuto opportuno inserire nella proposta di regolamento per una disciplina uniforme del contratto di vendita alcune previsioni normative volte ad assicurare ai professionisti “a certain degree of protection” in presenza di determinate presupposti270. 269 Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio on a Common European Sales Law, dell’11.10.2011, (COM 2011) 635 final. 270 Cfr. art. 85 della proposta di Regolamento on a Common European Sales Law (CESL) ai sensi del quale “in contracts between businesses a non individually-negotiated term is unfair only if it is significantly disadvantages the other party and is of such a nature that its use grossly deviates from good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing”. 106 In generale, l’impulso decisivo alla predisposizione di forme di tutela dell’imprenditore inteso come soggetto debole della dinamica negoziale si iscrive nella più generale policy europea di sostegno alle small and medium sized enterprises (di seguito SMEs) sfociata formalmente nell’adozione nel 2008 dello Small Business Act, allo scopo di rafforzare la crescita e la competitività delle SMEs attraverso l’adeguamento del mercato unico alle loro specifiche esigenze271. Benché il documento non individui espressamente, tra gli obiettivi dell’azione dell’Unione, lo sviluppo di una legislazione che assicuri la protezione dell’impresa più debole, tuttavia, tale obiettivo si legge in trasparenza dietro alcune delle politiche prefigurate in attuazione dei dieci principi che costituiscono il fondamento del programma. Detti principi, infatti, in quanto diretti a creare condizioni di mercato paritarie ed a migliorare il quadro economico ed amministrativo dello spazio europeo si specificano, tra gli altri, nell’obiettivo di sviluppare un sistema giuridico volto a favorire la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali272 e nelle iniziative rivolte ad agevolare la partecipazione delle SMEs alle catene globali di fornitura, migliorando la governance ed il loro accesso alle informazioni sulle opportunità commerciali all’interno del mercato unico273. L’inquadramento delle istanze di protezione dei soggetti imprenditoriali più deboli all’interno della politica di sostegno delle SMEs consente ancora una volta di ancorare il fondamento giuridico dell’azione legislativa dell’Unione agli obiettivi di 271 Comunicazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 25 giugno 2008, COM (2008), 394 def. 272 Cfr. VI Principio dello Small and Business Act: Facilitate SMEs’ access to finance and develop a legal and business environment supportive to timely payments in commercial transactions. L’attuazione di tale principio è da ultimo sfociato nella Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.2.2011, (rifusione), in GUCE L 48/1 del 23.2.2011, che modifica in termini di maggiore efficacia per le imprese la disciplina della Direttiva 2000/35/UE sulla lotta contro i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. 273 Cfr. VII Principio dello Small and Business Act: Help SMEs to benefit more from the opportunities offered by the Single Market. 107 crescita e di integrazione del mercato interno, giustificando i relativi interventi in una logica puramente economica di superamento delle market failures274. Nello specifico, si osserva che la letteratura giuridica tradizionale fa risalire le origini delle istanze di tutela dell’imprenditore debole nel diritto antitrust europeo. Le regole di concorrenza, infatti, poiché dirette a tutelare il mercato dalle distorsioni che possono derivare da accordi anticoncorrenziali, tutelano indirettamente anche l’imprenditore che, a causa delle suddette distorsioni, viene a trovarsi in una posizione di debolezza. L’architettura complessiva della disciplina, in quanto fondata sulla sanzione della nullità di pieno diritto dei patti conclusi in violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza e di abuso di posizione dominante, consente di creare o di mantenere una situazione di mercato che garantisce la partecipazione del maggior numero possibile di imprenditori per l’acquisizione della clientela, premessa fondamentale per l’offerta ai consumatori di condizioni più vantaggiose275. Tali forme di tutela incontrano, tuttavia, il limite di poter trovare applicazione solo in presenza di un’alterazione sensibile del normale gioco della concorrenza accertata con riguardo al mercato geografico e merceologico di riferimento, non assumendo alcuna importanza sul piano negoziale la debolezza giuridicamente rilevante dell’impresa. Considerazioni dello stesso tenore possono essere avanzate anche in riferimento all’applicazione della Direttiva CE 2005/20 sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno276 la quale, sensibilizzando la classe 274 Così, M. W. HESSELINK, SMEs in European Contract Law, Background note for the European Parliament on the position of small and medium-sized enterprises (SMEs) in a future Common Frame of Reference (CFR) and in the review of the consumer law acquis, in Centre for the Study of European Contract Law Working Paper Series, 2007/03, 19-20, il quale ricostruisce il fondamento giuridico della competenza dell’Unione in materia di SMEs a partire dagli artt. 94 e 95 ora 114 e 115 del TFUE. 275 A. CATAUDELLA, La giustizia del contratto, in Studi in onore di Davide Messinetti, Napoli, 2008, 266; A. GIANOLA, Autonomia privata e terzo contratto, in Autonomia privata e collettiva, a cura di P. Rescigno, Napoli-Roma, 2006, 131. 276 Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno dell’11 maggio 2005 che modifica la direttiva 84/450 del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 2002/65/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio ed il 108 imprenditoriale al rispetto leale delle regole di mercato, ha rinsaldato la convinzione, ormai divenuta patrimonio comune dell’Unione e degli Stati membri, secondo cui il buon funzionamento della dinamica competitiva è strettamente dipendente dal soddisfacimento delle esigenze dei consumatori. Pertanto, anche in questo caso la tutela degli interessi economici dei concorrenti legittimi è solo indirettamente realizzata a fronte del previo accertamento di una condotta sleale in grado di falsare il comportamento economico del consumatore medio277. Come già anticipato, la più recente evoluzione del diritto contrattuale europeo sembra mostrare una nuova tendenza a considerare come oggetto di regolazione diretta da parte delle autorità istituzionali anche le relazioni contrattuali tra imprese ed, in particolare, quelle caratterizzate da uno squilibrio di potere negoziale tra le parti. Già nelle prime Comunicazioni sul diritto contrattuale europeo278, la Commissione segnalava le profonde difficoltà a cui vanno incontro le piccole e medie imprese nella conduzione delle cross border transactions all’interno dello spazio economico europeo, soprattutto in termini di aumento dei costi di transazione a causa degli ostacoli frapposti dalle divergenze nei diritti statali. Regolamento (CE) 2006/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio, pubblicata in GU L 149/22 dell’11 giugno 2005. 277 Cfr. Direttiva CE 2005/29/CE, Considerando (6) dove si legge che:“ La presente direttiva ravvicina pertanto le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che lede direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi.(…) Esistono altre pratiche commerciali che, per quanto non lesive per i consumatori possono danneggiare i … clienti. [Pertanto] (…) la Commissione dovrebbe valutare accuratamente la necessità di un’azione comunitaria al di là delle finalità della presente direttiva e, ove necessario, presentare una proposta legislativa che contempli questi altri aspetti.” 278 Comunicazione della Commissione on A More Coherent European Contract Law. An Action Plan, del 12 febbraio 2003, COM (2003) 68 def., in GUCE 2003/C63/01, 30, dove si legge “for consumers and SMEs in particular, not knowing other contract law regimes may be a disincentive against undertaking cross-border transactions. (...) Suppliers of goods and services may even therefore regard offering their goods and services to consumers in other countries as economically unviable and refrain from doing so. (...) Moreover, disparate national law rules may lead to higher transaction costs, especially information and possible litigation costs for enterprises in general and SMEs and consumers in particular.” 109 Nello specifico, a partire dalle linee programmatiche contenute nel Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori emergeva, in modo più o meno implicito, l’opportunità di un intervento normativo in materia di SMEs279. Anzitutto si evidenziava la necessità di predisporre per le piccole e medie imprese un quadro normativo più prevedibile e semplificato al fine di ridurre i costi transattivi e di agevolare il commercio transfrontaliero, con argomentazioni non troppo dissimili da quelle poste alla base delle esigenze di revisione dell’acquis dei consumatori280. In secondo luogo, in riferimento alla definizione delle nozioni rispettivamente di “consumatore” e di “professionista” si denunciavano le profonde divergenze che ancora oggi caratterizzano la legislazione degli Stati Membri, in conseguenza di una terminologia spesso poco chiara utilizzata dalle direttive europee281. Di qui, l’auspicio di un intervento rivolto ad una definizione unitaria della nozione di “professionista” in grado di appianare ogni incertezza soprattutto in riferimento alla conclusione dei c.d. contratti misti ovverosia dei contratti stipulati da un soggetto per soddisfare esigenze, al contempo, di carattere personale e professionale282. In terzo luogo, si riproponeva la questione circa l’opportunità di estendere la disciplina riservata ai consumatori anche alle piccole imprese che, in determinate situazioni, vengono a trovarsi nella medesima posizione di un privato acquirente283. 279 Comunicazione della Commissione, Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori, dell’8 febbraio 2007, COM (2006), 744 def.. 280 Cfr. Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori, 5, cit.: “We must also make sure that businesses, not least SMEs, may benefit from a more predictable regulatory environment and simpler EU rules in order to decrease their compliance costs and more generally to allow them to trade more easily across the EU, irrespective of where they are established”. 281 Ad esempio, la direttiva CE 97/7 sulle vendite a distanza definisce “the seller” come “any natural or legal person who … is acting in his commercial or professional capacity” mentre la direttiva CE 93/13 sulle clausole abusive definisce in modo indifferenziato “seller” o “supplier” come “ any natural or legal person who is acting for the purpose relating to his trade, business or profession, whether publicly or privately owned.” 282 Cfr. punto B1 del questionario per la consultazione allegato al Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori, cit. 283 Cfr. Punto 4.1. del questionario per la consultazione allegato al Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori, cit. 110 Tale specifica istanza di politica legislativa ha trovato una prima ed espressa attuazione ad opera della direttiva CE 2007/64 sui servizi di pagamento284, atteso che al suo interno trovano regolamentazione tre distinte classi di norme sui rapporti contrattuali fra i prestatori dei servizi di pagamento e gli utenti di tali servizi, ciascuna delle quali si definisce in base agli ambiti soggettivi di applicazione delle norme in esse ricomprese. Il primo complesso di disposizioni, che rappresenta il nucleo centrale dei diritti e degli obblighi delle parti, si applica indistintamente a tutti gli utenti, indipendentemente dalla qualifica dagli stessi posseduta, siano essi consumatori, microimprese ovvero large enterprises285. Il secondo gruppo ricomprende le norme sulla trasparenza delle condizioni e dei requisiti informativi che, in quanto tali, si applicano inderogabilmente ai contratti conclusi con i consumatori ed, in assenza di una deroga convenzionalmente stabilita dai contraenti, anche ai contratti business to business (di seguito B2B)286. Da ultimo, si colloca la norma in materia di procedure stragiudiziali per la risoluzione delle controversie che autorizza ciascuno Stati Membro a riservarne l’applicazione ai soli rapporti con i consumatori ma che, in caso di mancato esercizio dell’autorizzazione, si pone come norma di applicazione generale287. In dottrina, H. BEALE, Ius Commune casebooks on the common law of Europe: Cases, Materials and Text on Contract Law, Oxford, 2002, 527, il quale afferma: “whilst consumers may require particular protection, a small business may also find itself dealing with a more powerful and experienced party, as where the manager of a petrol station deals with an oil company. These small businessmen arguably need the same protection as consumers.” 284 Direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno che abroga la direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri, in GUCE L 319 del 5 dicembre 2007. In particolare nel Considerando (20) si legge: “(…) Mentre è importante garantire i diritti dei consumatori con disposizioni cui non si può derogare per contratto, è ragionevole far sì che le imprese e le organizzazioni stabiliscano diversamente. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter stabilire che le microimprese, debbano essere trattate al pari dei consumatori. In ogni caso alcune disposizioni centrali della presente direttiva dovrebbero essere sempre applicabili a prescindere dallo status dell’utente.” 285 Cfr. Titolo V della direttiva norme su “diritti e obblighi relativi alla prestazione e all’uso di servizi di pagamento”. 286 Cfr. Titolo III della direttiva 2007/64/CE norme su “trasparenza delle condizioni e requisiti informativi per i servizi di pagamento”. In particolare, gli artt. 30 co. 1 e 51 co. 1 autorizzano le parti a derogare a tali norme quando l’utente non è un consumatore. 287 Cfr. Art. 51. co. 2 della direttiva 2007/64/CE ai sensi del quale: “Gli Stati membri possono prevedere che l’art. 83 non si applica se l’utente dei servizi di pagamento non è un consumatore.” 111 Alla luce di siffatto impianto normativo si evidenzia, dunque, come in alcuni casi il medesimo trattamento riservato di regola ai contratti conclusi con i consumatori possa considerarsi direttamente applicabile anche ai contratti in cui il contraente sia una microimpresa sul presupposto che, al pari dei consumatori, esse appaiono ugualmente bisognose di protezione nel loro rapporto asimmetrico con gli operatori che offrono i servizi di pagamento. Tracciato il quadro politico-istituzionale di riferimento, occorre individuare se ed in che misura il diritto contrattuale europeo consenta oggi di affermare in modo ragionevolmente certo la sussistenza di uno strumentario giuridico a disposizione dell’imprenditore debole confermando, dunque, la sussistenza a monte di un B2B acquis in materia di contratti. In via preliminare, l’analisi ricognitiva dei dati raccolti ed esaminati muove da una duplice osservazione di partenza: - la comunanza della ratio sottesa ai vari interventi normativi di settore, da identificare nella volontà di neutralizzazione delle asimmetrie informative, degli squilibri negoziali e di ogni altra market failure in grado di minacciare l’efficienza delle relazioni tra le imprese; - la profonda eterogeneità strutturale delle situazioni oggetto di regolamentazione, tale da rendere difficoltosa una ricostruzione unitaria del fenomeno e la definizione di un corpus normativo omogeneo ed indifferenziato. In tale prospettiva, appare utile fare ricorso a quella suddivisione di carattere descrittivo proposta da un’autorevole voce della dottrina italiana288 che ha distinto in via generale due distinte famiglie di direttive: da un lato, la categoria delle direttive che tutelano come contraente debole l’impresa che sul mercato si trova sul lato dell’offerta, assumendo su di sé gli oneri connessi all’esecuzione della prestazione 288 Cfr., in proposito la classificazione proposta da V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, in Corr. Giur., 2/2009, 267-282. 112 caratteristica; dall’altro, il complesso delle direttive che assicurano forme di protezione all’impresa-cliente che, in quanto destinataria della prestazione caratteristica, è estranea al segmento del mercato di riferimento. Rientra certamente nella prima categoria la direttiva 86/653/CEE289 sui contratti di agenzia commerciale laddove indica espressamente tra le sue finalità quella di predisporre strumenti di tutela a favore dell’agente come soggetto che frequentemente si trova posizione di inferiorità dal momento che, pur essendo formalmente indipendente rispetto al preponente, non sempre gode della medesima autonomia: occorre considerare, infatti, che l’agente svolge stabilmente e, di regola, in via esclusiva, un’attività in vista della quale affronta molto spesso investimenti specifici che lo pongono in una posizione di sostanziale dipendenza economica dal preponente290. Sullo stesso piano, le piccole e medie imprese appaiono fortemente vulnerabili di fronte agli eccessivi ritardi nella riscossione dei pagamenti dei crediti commerciali e, pertanto, hanno ricevuta una particolare attenzione ad opera della direttiva 2000/35/CE291, di recente modificata dalla Direttiva 2011/7/UE, che riguarda i rapporti tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni aventi ad oggetto “la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento il un prezzo”. In riferimento a tali rapporti, l’asimmetria di mercato e, dunque, le ragioni alla base della protezione dell’impresa fornitrice, sono da ricercarsi nell’assunzione a suo carico di una forma di finanziamento surrettizio in favore della controparte la cui ec289 Direttiva 1986/653/CEE del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti del 18 dicembre 1986, in GUCE L 382 del 31 dicembre 1986. 290 Cfr. Direttiva1986/653/CEE, Considerando (2), “(…) le differenze tra le legislazioni nazionali in materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all’interno della Comunità le condizioni di concorrenza e l’esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione degli agenti commerciali nelle loro relazioni con il preponente.” 291 Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali del 29 giugno 2000, in GUCE L 200/35 dell’8 agosto 2000 oggi modificata dalla Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.2.2011, (rifusione), in GUCE L 48/1 del 23.2.2011. 113 cessiva durata la esporrebbe ad “heavy administrative and financial burdens”, in grado di minarne la stessa sopravvivenza economica292. Il secondo sistema di direttive ricomprende nel complesso tutte le attività economiche rispetto alle quali la posizione di debolezza è riconducibile alla carenza di informazioni delle imprese destinatarie dei servizi (bancari, finanziari, assicurativi) rispetto all’esperienza ed al grado di specializzazione della controparte, insider di un determinato mercato293. Tale circostanza consente evidentemente di accumunare il modello normativo riservato ai contratti con i consumatori anche ai contratti B2B, aprendo all’eventualità di una futura estensione a tale genere di rapporti delle regole di protezione originariamente pensate per la tutela consumeristica. Attualmente, la direttiva 2006/123/CE sui servizi294 individua in modo puntuale all’art. 7 il contenuto del “diritto all’informazione” che si riconosce in capo a “qualunque persona fisica o giuridica (…) che, per scopi professionali o non professionali, utilizza o intenda utilizzare il servizio”. La medesima linea di tendenza si coglie nella regolamentazione di taluni aspetti giuridici del commercio elettronico (ecommerce) introdotta dalla direttiva 2000/31/CE295 che prevede l’applicazione di parte sostanziale della disciplina contrattuale di protezione a tutti i clienti, ivi compresi i soggetti che operano nel quadro della propria attività imprenditoriale296. Non 292 Cfr. Direttiva 2000/35/CE, Considerando (7),“Heavy administrative and financial burdens are placed on businesses, particularly small and medium-sized ones, as a result of excessive payment periods and late payment. Moreover, these problems are a major cause of insolvencies threatening the survival of businesses and result in numerous job losses”. 293 In generale, sul punto M. SCHAUER, Contract Law of Services Directive, in ERCL, 2008, 1 ss. In particolare, V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, op. cit., 272, precisa che “le direttive che rientrano in questo modello riguardano rapporti contrattuali caratterizzati come segue: i) sono rapporti soggettivamente neutri, nel senso che possono essere sia B2B sia B2C (…); ii) la parte protetta è la parte che si colloca sul lato della domanda e risulta quindi destinataria della prestazione caratteristica; (…). 294 Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno del 12 dicembre 2006, in GUCE L 376/36 del 27 dicembre 2006. 295 Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul commercio elettronico dell’8 giugno 2000, in GUCE L 178/1 del 17 luglio 2000. 296 Cfr. Direttiva 2000/31/CE, art. 2 lett. d) dove il cliente è definito come “qualsiasi persona fisica o giuridica che, a scopi professionali o non, utilizza un servizio della società dell’informazione.” 114 diversamente, la Direttiva Mifid sui servizi di investimento297 prevede al suo interno una disciplina modulare il cui livello di protezione si differenzia in relazione al grado di asimmetria con l’impresa di investimento, prevedendo standards meno rigorosi per i “clienti professionali” o gli “operatori qualificati” e discipline più protettive per i “clienti al dettaglio”. Alla luce di quanto premesso, è possibile riscontrare nel quadro giuridico europeo la presenza di indici normativi sufficienti ad affermare l’esistenza di un effettivo B2B acquis in materia di contratti all’interno del quale la figura dell’imprenditore debole si configura alla stregua di un fenotipo giuridicamente rilevante. Tuttavia, tale riconoscimento legale non trova corrispondenza sul piano sistematico nell’individuazione di una categoria giuridica unitaria, al pari di quanto è accaduto in riferimento al riconoscimento dello status giuridico di consumatore298. In primo luogo, si prende atto dell’impossibilità di pervenire ad una definizione unitaria ed ex ante della nozione di imprenditore debole, dal momento che la posizione di inferiorità che giustifica la previsione di forme particolari di protezione sono dovute a fattori momentanei e contingibili, riferibili allo specifico rapporto con l’altro contraente. Di talché non è da escludersi che lo stesso imprenditore in altre situazioni possa rivestire lo status di contraente forte299. Trattandosi, infatti, di una disciplina oggettiva delle relazioni tra imprese posta a garanzia della struttura concorrenziale, si deve riconoscere che le condizioni che 297 La materia dei servizi di investimento si articola nella direttiva di primo livello 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio ed in una direttiva di secondo livello 2006/73/CE di attuazione della MiFID. 298 Così, V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv, 2001, 760 ss.; M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in Giur. Merito, 2004, 2624 ss., dove viene sottolineato che, nonostante la frammentarietà e la sistematicità degli interventi in materia di contratti con i consumatori, si assiste alla nascita di questo status che determina il diffondersi di un nuovo modello contrattuale caratterizzato da un sistema di regole e principi differente rispetto alla disciplina generale dei contratti. 299 E. MINERVINI, Status delle parti e disciplina del contratto, in Obbligazioni e contratti, 2008, 8 ss. 115 determinano la debolezza di un imprenditore possono essere le più diverse come ad esempio, la dipendenza tecnologica, gli elevati costi di commutazione, i rischi di opportunismo post-contrattuale e gli altri fattori endogeni derivanti dalle condizioni di mercato che caratterizzano un dato momento storico300. Inoltre, si osserva che, pur essendo costanti nella legislazione relativa ai singoli contratti tra imprese alcune linee tendenziali comuni alla disciplina dei consumatori come, ad esempio, il neoformalismo negoziale, il controllo dell’equilibrio contrattuale, il sistema delle nullità di protezione e di taluni meccanismi rimediali301, tuttavia, è prevalsa l’opinione che rifiuta di applicare direttamente, tramite l’assunzione di una nozione ampia di consumatore, la disciplina prevista per la tutela di quest’ultimo302. Tale possibilità è stata espressamente esclusa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, la quale pronunciandosi ripetutamente sulla definizione della nozione di consumatore, ha sostenuto che debba essere adottata un’interpretazione restrittiva, all’interno della quale non appare possibile ricomprendere la figura del piccolo imprenditore o della persona giuridica che agisca per 300 F. CAFAGGI, Contratti tra imprese nei gruppi e nelle reti: prime riflessioni, in Studi in onore di D. Messinetti, Napoli, 2008, 170. 301 Si pensi all’ art . 37 del codice del consumo, che attribuisce la legittimazione per esercitare l’azione inibitoria contro i professionisti o le associazioni di professionisti che utilizzano o che raccomandano l ’utilizzo di condizioni generali vessatorie anche alle associazioni rappresentative dei professionisti e alle camere di commercio. Oppure all’art. 36 comma 4, che prevede che il venditore ha diritto di regresso nei confronti del fornitore per danni che ha subito in conseguenza della declaratoria di nullità del le clausole dichiarate abusive. Inoltre, all’art. 131 che prevede che quando il venditore finale è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore del la catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto al regresso nei confronti del soggetto responsabile . 302 Corte di Giustizia, 17.07.98, causa C- 291/96, in Foro it . , 1999, IV, c . 129; Corte di Giustizia, 22.11.01, C – 541/99 e C – 542/99, in Giust. it., 2002, 543; Corte di Giustizia, 3.07.97, causa C269/95, in Giust. civ., 1999, 13; Corte di Giustizia, 17.07.98, causa C- 291/96, in Foro. it., 1999, IV, c . 129. In senso critico sulla distinzione tra contratti commerciali e contratti del consumatore, G. BENACCHIO, Il diritto privato della comunità europea, Padova, 2004, 326. 116 scopi estranei alla propria attività303. Tuttavia, una certa tendenza in senso contrario sembrerebbe provenire dalla giurisprudenza francese304 ed inglese305 che ha ritenuto applicabile la disciplina consumeristica all’imprenditore che stipula un contratto il cui oggetto è estraneo alla propria sfera di competenza professionale. Nella medesima prospettiva, si è cercato di capire se fosse possibile procedere ad un’applicazione della disciplina consumeristica in via analogica, trattandosi in entrambi i casi di contraenti deboli306. Nondimeno, questa possibilità è stata ugualmente esclusa, essendo diverse le cause che determinano la debolezza di questi soggetti e le ragioni che ne giustificano una correlata protezione. In particolare, il consumatore appartiene ad una categoria strutturalmente priva di un particolare potere contrattuale atteso che la sempre più diffusa standardizzazione dei contratti impedisce di fatto la trattativa individuale sia sul contenuto del contratto sia sulle singole clausole. Il sistema di protezione del consumatore, ispirato da una logica di tutela dell’autonomia negoziale poggia, dunque, su meccanismi presuntivi di inefficacia delle clausole abusive, circoscrivendo la rilevanza dello squilibrio contrattuale sul fronte dell’aspetto normativo307. Diversamente, in un sistema economico basato sul principio del libero mercato e della concorrenza non è possibile considerare meritevole di tutela l’imprenditore in quanto tale bensì solo l’eventuale approfittamento della situazione di dipendenza economica in cui si trova rispetto all’altro. In questo caso, lo stru- 303 Corte di Giustizia, sez. III, sentenza n. 541 del 22 novembre 2001, nei procedimenti riuniti C541/1999 e C-542/1999, aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sull’art. 2 lett. b) della direttiva Ce 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con il consumatore. 304 Cass. civ. I, 24 January 1995, D. 1995, 327. 305 Court of Appeal, R&B Customs Brokers Ltd. v United Dominions Trust Ltd [1988] 1 All ER 847. 306 In generale, si veda M.W. HESSELINK, European Contract Law: A Matter of Consumer Protection, Citizenship, or Justice?”, in 15 European Review of Private Law, 2007, 323-348. 307 G. BENACCHIO, Il diritto privato della comunità europea, Padova, 2004, 322; G. AMADIO, Il terzo contratto. Il problema, in AA.VV., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Villa, Bologna, 2008, 20, il quale sottolinea che il consumatore appartiene ad una categoria strutturalmente priva di un paritario potere contrattuale. Non si può invece escludere che il professionista debole non abbia tali conoscenze. 117 mentario giuridico a disposizione del contraente debole introduce rimedi diretti ad assicurare l’equilibrio contrattuale non solo dal punto di vista normativo ma anche e soprattutto dal punto di vista economico, previo accertamento in concreto del conseguimento di un ingiustificato vantaggio in favore della controparte308. 1.2 Fondamento e limiti della tutela dell’imprenditore “debole” nel diritto europeo: il ruolo della buona fede oggettiva Una corretta ricostruzione del paradigma socio-economico dell’imprenditore debole all’interno del quadro giuridico dell’Unione Europea non può prescindere da alcune considerazioni preliminari che ne definiscono le specificità in coerenza con gli obiettivi di politica economica prefigurati nei Trattati. Il diritto comunitario ha adottato una nozione autonoma di impresa decisamente più ampia di quella accolta all’interno dei singoli Stati membri in quanto volta a ricomprendere qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento. In particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia, nella sua attività di controllo sul rispetto delle norme in materia di concorrenza, è pervenuta ad una definizione di impresa come attività economica diretta all’attività di produzione di beni e servizi per il mercato, senza alcun riferimento alla necessità dello scopo di lucro, così allargando indistintamente la relativa nozione sino a ricomprendere gli imprenditori agricoli e industriali, gli artigiani ed i commercianti, i professionisti ed i gruppi associativi309. 308 In definitiva, il diverso trattamento riservato al consumatore e all’imprenditore debole si giustifica sulla base del principio di eguaglianza sostanziale secondo cui devono essere trattate in modo ragionevolmente diverso situazioni diseguali. Così L. DELLI PRISCOLI, “Consumatore”, ”imprenditore debole” e principio di uguaglianza, in Contr. e impr. eur., 2003, 753 ss. 309 Sulla nozione di imprenditore che caratterizza il diritto comunitario, si rimanda a F. GALGANO, Le professioni intellettuali e il concetto comunitario di impresa, in Contr. e impr. eu., 1997, 14 ss., il quale afferma che se nell’ambito del nostro ordinamento si esclude che gli esercenti professioni intellettuali possano essere considerati imprenditori, diversamente sembrerebbe avvenire in ambito comunitario, in particolare nell’ambito del diritto della concorrenza. In particolare, l’A. richiama alcune decisioni della Commissione (quella del 30 gennaio 1995 e quella del 16 novembre 1995) dalle 118 Nel contesto in esame, tale soluzione consente di non escludere irragionevolmente alcune categorie di soggetti come le imprese familiari ovvero le organizzazioni no profit, che pur agiscono all’interno dei mercati intermedi, dall’applicazione delle norme di protezione, controbilanciando il deficit di tutela derivante dall’accoglimento di una nozione restrittiva di consumatore. Nella definizione degli indici rilevatori dello status di debolezza di un imprenditore, il diritto europeo attribuisce, altresì, una notevole rilevanza al requisito dimensionale. Nella Raccomandazione del 2003 la Commissione ha definito come piccole e medie imprese “entità che occupano un numero di dipendenti inferiore a 250 e che hanno un fatturato annuo inferiore a 50 milioni e/o un bilancio annuale complessivo che non supera i 43 milioni”. Trattasi di una definizione ad ampio spettro all’interno della quale è possibile operare un’ulteriore suddivisione, distinguendo tra microimprese (con meno di dieci dipendenti(MiE)), imprese di piccole dimensioni (con un numero di dipendenti ricompreso tra i 10 ed i 50 (SE)), ed infine, imprese di medie dimensioni (con meno di 250 dipendenti (MeE)310. Stando agli accertamenti compiuti dalla Commissione, il 99% delle realtà imprenditoriali presenti sul mercato europeo rientrano all’interno della categoria311, mettendo così in evidenza la pervasività del fenomeno e l’ineluttabilità di una disciplina appositamente studiata per andare incontro alle specifiche esigenze di tali realtà imprenditoriali. Allo stato nessuna legislazione statale contiene una regolamentazione sui contratti che attribuisca rilevanza al requisito dimensionale. Unica eccezione è quella del diritto olandese che nel dare attuazione alla direttiva sulle clausole abusive ha quali emergerebbe una definizione di impresa volta a ricomprendere qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento. 310 Cfr. artt. 1 e 2, para 1, Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 sulla definizione di micro, small and medium-sized enterprises, GUCE, L 124/36, 2003, Annex. 311 Cfr. ‘A comprehensive policy to support SMEs’ in europa.eu/enterprise/entrepreneurship/smepolicy and ‘Facts and figures - SMEs in Europe’ in europa.eu/enterprise/entrepreneurship/facts_figures. 119 previsto un sistema che prevede l’operatività di una presunzione di vessatorietà di determinate clausole in favore sia dei consumatori sia delle piccole imprese, definendo come tali quelle che occupano meno di 50 dipendenti312. Nella stessa direzione sembra muoversi la proposta avanzata dalle Law Commissions per l’Inghilterra e la Scozia che introduce un controllo sulle clausole abusive sottratte alla trattativa individuale nei contratti stipulati con le piccole e medie imprese313. Tuttavia, come è già stato rilevato dalla dottrina europea314, l’adozione di un categorical approach diretto ad estendere una disciplina di protezione in base al solo requisito dimensionale così come definito dalla Commissione risulterebbe oltremodo fuorviante. Anzitutto si potrebbe opporre il carattere arbitrario della definizione poiché, in riferimento ai casi limite, il fondamento della stessa non sarebbe adeguatamente suffragato sul piano dell’opportunità legislativa. Infatti, la presenza o meno di una sola unità lavorativa aggiuntiva impiegata nell’impresa sarebbe decisiva per far scattare l’applicabilità della disciplina più favorevole ovvero quella di diritto comune. Si pensi, ad esempio, alla disparità di trattamento in cui verrebbero a trovarsi rispettivamente un’impresa di 249 dipendenti ed una di 250 dipendenti. Inoltre, una rigida applicazione del dato dimensionale si risolverebbe in un’eccessiva valorizzazione del requisito formale della struttura organizzativa dell’impresa. Circostanza quest’ultima che non solo potrebbe dare adito a comportamenti strategici indesiderati ma, prescindendo da ogni accertamento in concreto delle condizioni di mercato, potrebbe comportare un’estensione delle formule protezionistiche anche alle realtà imprenditoriali per le quali non sussiste alcuna esigenza di tutela. Viceversa, la disciplina più favorevole non troverebbe applicazione con riguardo ai rapporti tra una microimpresa ed un’impresa di medie dimensioni 312 Cfr. Art. 6:235(1) BW. Nel diritto olandese la definizione di impresa di grandi dimensioni è decisamente più estesa, ricomprendendo, imprese con più di 50 dipendenti. 313 Cfr. la lettera del 24 luglio 2006 che il Minister of State for Trade, Investment and Foreign Affairs ha inviato alla Law Commission consultabile su http://www.dti.gov.uk/files/file34128.pdf. 314 Ampiamente sul punto M. W. HESSELINK, SMEs in European Contract Law, op. cit., 17-18. 120 quand’anche tra le stesse si riscontri la presenza di un’asimmetria di mercato al pari di quella che generalmente caratterizza i rapporti tra una SME ed una large enterprise. Per di più, la difficoltà di pervenire nello svolgimento delle contrattazioni al riconoscimento in capo ad ogni imprenditore dell’attributo della debolezza solleva questioni di prevedibilità e di certezza del diritto, atteso che la grande impresa interessata a concludere un contratto con una SME non sarebbe facilmente in grado di stabilire a priori se sia o meno applicabile la disciplina protezionistica. Coerentemente, nella versione definitiva del DCFR non vi sono previsioni normative specificamente dedicate alle SMEs in quanto tali. E’, tuttavia, possibile riscontrare fattispecie normative a struttura aperta che consentono all’interprete di optare per un approccio sostanziale in sede di qualificazione della posizione contrattuale dei contraenti. Esempi evidenti in questa direzione sono rappresentati dalle general provisions come quelle sui doveri di informazione precontrattuale e sulla determinazione del significato di “unfair” nell’ambito delle relazioni B2B, le quali, in virtù del loro diretto collegamento con la clausola generale di buona fede, si prestano ad un’applicazione generale e ritagliata caso per caso. Tali considerazioni inducono a ritenere indispensabile nella valutazione dello stato di dipendenza della controparte una pluralità di fattori, i più importanti dei quali sono emersi in esito agli studi comparativi basati sull’analisi economica degli accordi di integrazione verticale tra imprese. Dagli studi della scienza economica emerge, infatti, che gli elementi caratterizzanti l’esistenza di una situazione di dipendenza siano fisiologicamente annidati all’interno delle relazioni verticali tra imprese di cui i contratti di distribuzione commerciale costituiscono la principale manifestazione tipologica315. 315 Studi approfonditi sugli aspetti giuridici ed economici dei contratti di distribuzione sono stati compiuti da R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Jovene, Napoli, 1979; G. VETTORI, Anomalie e tutela nei rapporti di distribuzione tra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Milano, 121 Trattandosi di accordi diretti a realizzare forme di intermediazione economica consistenti nella commercializzazione di beni e servizi conformemente alle politiche di marketing decise dal produttore, il primo dato che qualifica tali relazioni contrattuali è rappresentato dall’elevato grado di specificità dell’attività posta in essere dall’intermediario da cui conseguono, da un lato, costi di commutazione altissimi in proporzione diretta all’ammontare degli investimenti da affidamento e, dall’altro, forme più o meno penetranti di ingerenza nella sfera decisionale della controparte. Inoltre, poiché nella maggior parte delle ipotesi la causa di tali contratti si specifica altresì nella concessione in godimento della formula commerciale, il controllo contrattuale assume connotazioni ancora più stringenti sino al punto da determinare la totale scomparsa dell’identità commerciale dell’affiliato dietro l’immagine comune ed unitaria della filiera distributiva. Sotto questo profilo, è possibile specificare il contenuto del concetto di dipendenza economica, distinguendone quattro diverse formule: 1) la dipendenza da rapporti commerciali, che si ha quando nei rapporti di lunga durata l’impresa ha concentrato la propria attività in funzione di un unico partner negoziale realizzando investimenti non ammortizzabili nel breve periodo né facilmente convertibili; 2) la dipendenza da assortimento, che si verifica nei confronti di un’impresa che produce o distribuisce prodotti di monomarca per cui il solo fatto di non avere a disposizione partite di tali prodotti costituisce un danno per l’impresa dipendente; 3) la dipendenza da c.d. penuria, che si ha quando l’impresa dipenda da una sola fonte di rifornimento che non può sostituire in tempi brevi ed in modo economicamente con- 1983. In una prospettiva del tutto nuova ed originale, il tema è trattato da F. CAFAGGI, Il governo della rete: modelli organizzativi del coordinamento inter-imprenditoriale, in F. CAFAGGi (a cura di) Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, P. IAMICELI, Le reti di impresa: modelli contrattuali di coordinamento, ibid., 125 ss. 122 veniente; 4) la dipendenza del fornitore, che si ha quando il fornitore riserva percentuali rilevanti del proprio fatturato annuale ad un unico committente.316 Tali condizioni di dipendenza sono, pertanto, agevolmente riconoscibili nella posizione dell’agente che, obbligato a svolgere attività promozionale nell’interesse del preponente ed in osservanza delle istruzione da lui impartite, vedrebbe vanificare ogni suo sforzo e preclusa ogni possibilità di guadagno a fronte del rifiuto sistematico del preponente di accettare gli ordini trasmessi. Analogamente, si segnala la situazione di dipendenza del franchisee che dopo aver affrontato investimenti idiosincratici in vista dello svolgimento di una determinata prestazione in conformità alle istruzioni dettate dal manuale operativo, vedrebbe compromessa la sua stessa sopravvivenza economica nel caso in cui il franchisor proceda all’interruzione arbitraria del rapporto quando sia decorso un lasso di tempo che non gli consenta di ammortizzare i propri investimenti o di convertire adeguatamente la propria attività ovvero di reperire tempestivamente alternative soddisfacenti sul mercato. Nella medesima posizione si trovano anche i concessionari in esclusiva le cui relazioni con il concedente siano improntate a forme di dipendenza tecnologica e progettuale. In definitiva, il fulcro del concetto di dipendenza economica risiede nell’impossibilità per l’impresa dipendente di instaurare rapporti contrattuali con imprese diverse da quella “relativamente” dominante, senza subire uno svantaggio eccessivo rispetto ai propri concorrenti: in tale direttiva, costituiscono indici sintomatici dello stato di dipendenza le pattuizioni reiterate di esclusiva ovvero di minimi di acquisto particolarmente elevati, la specificità dell’attività oggetto della prestazione caratteristica, gli elevati livelli di affidamento ingenerati nell’affiliato, la lunga 316 A. DE NICOLA – L. COLOMBO, La subfornitura nelle attività produttive, Milano 1998, A. FRIGNANI, Abuso di posizione dominante, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, A. PATRONI GRIFFI, l. C. UBERTAZZI, Bologna, 1995. Per una sintetica descrizione del fenomeno, si veda R. CASO, Subfornitura industriale: analisi giuseconomica delle situazioni di disparità di potere contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 243 ss. 123 durata delle relazioni commerciali ed, in generale, ogni altro fattore idoneo a produrre gli effetti di una tipica situazione di hold up monopolistico317. L’altro risvolto tipizzante nei rapporti contrattuali della distribuzione è rappresentato dalla carenza delle informazioni e, quindi, dalla strutturale ed ineliminabile incompletezza del contratto dal punto di vista economico. Nel quadro dei rapporti di lunga durata, incentrati su una logica di fiducia e di cooperazione reciproca, l’incompletezza del contratto deve intendersi come mancata regolamentazione di aspetti lacunosi ex ante in quanto riferibili a sopravvenienze non prevedibili al momento della conclusione di un accordo già completo giuridicamente al momento della stipulazione318. Se dal punto di vista dell’analisi economica, l’incompletezza si spiega in termini di efficienza giacché eviterebbe alle parti di incorrere in costi transattivi troppo onerosi in riferimento alla regolamentazione di eventi solo prevedibili319, non è da escludersi che successivamente tale deficit informativo di base potrebbe prestare il destro a comportamenti opportunistici della controparte che, sfruttando la relativa posizione di superiorità, verrebbe ad imporre condizioni contrattuali eccessivamente gravose o discriminatorie, non diversamente dal monopolista nei confronti di tutti i clienti o fornitori operanti sul mercato320. 317 Nella definizione di R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 322, la situazione di hold up monopolistico si rinviene in “ipotesi in cui l’elasticità della domanda (dell’offerta) di una parte subisce un brusca contrazione per effetto della stipulazione del contratto; al punto che all’altro contraente si offre, col semplice ventilare la minaccia di por fine al rapporto, l’opportunità di ottenere una modificazione a suo favore dei termini dell’accordo originario.” Sulla definizione in generale della nozione di “hold up”, si veda B. KLEIN - R. G. CRAWFORD - A.A. ALCHIAN, Integrazione verticale, rendite appropriabili ed il processo di contrattazione competitiva, op.cit. 318 Sulla nozione di incompletezza contrattuale, G. BELLANTUONO, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000; A. FICI, Il contratto incompleto, Torino, 2005. Per la letteratura straniera, si rinvia a A. SCHWARTZ, Incomplete contracts, in AA.VV., The New Palgrave Dictionary of Economics and Law, London-New York, 1998; I. AYRES, Default rules for incomplete contract, in AA. VV., Ibid. 319 R. PARDOLESI, Regole di default e razionalità limitata: per un (diverso) approccio di analisi economica al diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 456. 320 Così, A. FICI, Il contratto incompleto, op. cit., 195. 124 Alla luce di tali considerazioni si osserva che, in un sistema di libero mercato dove l’esistenza di una disparità di potere contrattuale è fenomeno endemico della contrattazione commerciale, la deriva protezionistica della disciplina europea nei confronti delle imprese più deboli si fonda sulla necessità di neutralizzare gli effetti negativi dei fenomeni di abuso di potere negoziale che, in definiva, si traducono in fallimenti del mercato. Nel quadro giuridico europeo tale indirizzo di politica del diritto è stata opportunamente condotto attraverso la valorizzazione operativa della clausola generale di buona fede che nei suoi sviluppi più recenti si è attestata apertamente come strumento di efficienza nel governo del mercato321. Già in seguito al consolidamento della disciplina consumeristica, il canone della buona fede oggettiva ha assunto centralità come criterio ermeneutico attraverso cui sindacare la giustizia normativa dell’accordo e colpire con l’inefficacia le clausole vessatorie presuntivamente accettate dal consumatore in assenza di una trattativa individuale322. In modo più incisivo, le iniziative di armonizzazione del diritto europeo dei contratti di impresa hanno compiuto un ulteriore passo in avanti qualificando la buona fede come limite funzionale alla libertà di determinare il contenuto economi- 321 Cfr. G. A. AKERLOF, The market for “Lemons”? Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in Quarterly Journal of Economics, 1970, 488; A. T. KRONMANN, Paternalism and the Law of Contracts, in The Yale Law Journal, 1983, 763 ss.; R. POSNER, Economic Analysis of Contract law after Three Decades: Success or Failure?, in Yale Law Journal, 2003, 822. In Italia, si segnalano gli scritti di V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti di impresa, in Riv. dir. Priv., 1995, I, 5 ss.; E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo,in Riv. dir. priv, 2005, 507 ss.; M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e diritto europeo, Torino, 2006. 322 A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto privato europeo a cura di N. LIPARI, Padova, 1997, 531 ss.; G. LENER, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, 152; L. BIGLIAZZI GERI, Art. 1469-bis, Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore, in Commentario al Capo XIV bis del Codice civile: dei contratti del consumatore, in Le Nuove Leggi civili commentate, Padova, 1997, 801 ss. 125 co dello scambio e, dunque, come canone di accertamento in concreto dell’abuso dell’autonomia negoziale323. Tale tendenza trova espresso riscontro nei modelli normativi offerti dall’art. 7 della direttiva Ce 2000/35 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, dall’art. II. 7:207 del DCFR (art. 4:109 PECL) sull’unfair exploitation e, da ultimo, dall’art. II. 9:406 DCFR sugli unfair terms nei contratti B2B. In tutti e tre i casi, infatti, l’accertamento rispettivamente della grave iniquità, dell’eccessivo vantaggio e del significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti viene saldamente ancorato alla valutazione degli aspetti circostanzianti il segmento di mercato entro cui si svolgono le relazioni contrattuali, confermando l’idea secondo cui l’ingiustizia giuridicamente rilevante non può che realizzarsi sul terreno delle condizioni economiche del rapporto, a nulla rilevando che la clausola mediante la quale si sia consumato l’abuso sia stata oggetto di trattative324. In tal modo, si configura la duplice natura della buona fede come canone di interpretazione che accerta l’abuso nella determinazione del contenuto del contratto e criterio di identificazione dei risvolti patologici derivanti dalla disparità di potere contrattuale325. 323 Sul punto, C. M. BIANCA, Buona fede e diritto privato europeo, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Burdense, Padova, 2003, 201 ss.; G. VETTORI, Buona fede e diritto europeo dei contratti, in Europa e diritto privato, 2002, 5 ss, che richiama l’opinione espressa da O. LANDO, Lo spirito dei principi del diritto contrattuale europeo, in Il codice civile europeo, Materiali dei seminari 1999-2000, a cura di G. ALPA e BUCICCO, Milano, 2001, 41 ss. Ampiamente sul punto, il contributo di M. W. HESSELINK, CFR and Social Justice. A short study for the European Parliament on the values of underlying the Draft Common Frame of Reference for European Private Law, in Working Papers, 2008/08, consultabile sul sito http://ssrn.com. 324 Così, F. PROSPERI, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela della concorrenza: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ, 1999, 654, in riferimento ai presupposti applicativi dell’art. 3.2.7 (Gross disparity) dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali (2010); G. D’AMICO, La formazione del contratto, in G. GITTI – G. VILLA Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008. 325 In base alla raffinata classificazione di T. Wilhelmsson, alla buona fede compete il duplice obiettivo di razionalizzare e di correggere il mercato: Market-Rational Regulation e Market Rectifying Regulation. La prima implica una risposta di tipo sostanziale alle asimmetrie informative alla luce affidata al principio di solidarietà mentre la seconda tende alla correzione delle asimmetrie di potere di mercato a garanzia di una compenetrazione tra autonomia privata e uguaglianza sostanziale. Così, in sintesi, T. WILHELMSSON, Varieties of Welfarism in European Contract Law, in European Law Journal, 2004, 718 ss. 126 1.3 Prime aperture verso una disciplina sostanziale dei rapporti commerciali “B2B” 1.3.1 L’approccio generale del Draft Common Frame of Reference (DCFR) In un orizzonte più vasto, il diritto europeo dei contratti si compone in misura rilevante anche delle soluzioni proposte all’interno del DCFR che inquadra la regolazione dei rapporti business to business (B2B) in una prospettiva del tutto originale. L’opportunità di procedere ad una “sharp distinction” tra B2C contracts e B2B contracts è stata da sempre alla base delle iniziative intraprese dall’Unione nel campo della tutela normativa delle piccole e medie imprese326. Già nel 2005 in occasione del Report annuale sui lavori di preparazione del Common Frame of Reference, infatti, la Commissione Europea suggellava come di primaria importanza l’affermazione di un’“appropriate distinction” tra le due categorie contrattuali. Tale impostazione è stata successivamente confermata sia dal Consiglio327 sia dal Parlamento Europeo che nella risoluzione del 2006328 invitava la Commissione a separare le due discipline sul piano sistematico adducendo ragioni di coerenza normativa. Le principali novità attengono ad un approccio decisamente più generalizzato verso la policy di protezione del contraente debole e, dunque, verso la definizione degli interessi socialmente rilevanti e meritevoli di protezione. Infatti, nel definire il modello socio-economico in cui si inserisce la disciplina nel suo complesso, i redattori del Draft sottolineano la reciproca interazione delle istanze provenienti dal libero mercato e dalle regole della concorrenza con le esigenze di tutela dei consumatori, delle piccole e medie imprese ed, in generale, di tutte le possibili figure di con326 M. W. HESSELINK, Towards a sharp distinction between B2B and B2C? On consumer, commercial and general contract law after the consumer rights directive, in Working Paper Series No. 2009/6, Centre for the Study of European Contract Law. 327 Risoluzione del Consiglio europeo sul primo Report annuale della Commissione, del 28-29 novembre 2005, n. 13 in cui si enfatizza “(...) the need to acknowledge the distinction between business-to-consumer and business-to-business contracts.” 328 Risoluzione del Parlamento europeo del 23 marzo 2006 on European contract law and the revision of the acquis: the way forward (P6_TA(2006)0109), 6: “Calls on the Commission to distinguish, where necessary, between legal provisions applicable to the business-to-business sector and those applicable to the business to-consumer sector, and to separate the two systematically”. 127 traente debole nella società. Nella stessa direzione, il fondamento delle deroghe al principio fondamentale dell’autonomia negoziale è individuato rispettivamente nel deficit informativo e nell’inequality of bargaining power quali fattori caratterizzanti non solo i rapporti tra professionisti e consumatori ma anche le relazioni tra imprese, quando il contraente è un piccolo professionista che manca di esperienza nel settore329. Il carattere “costituzionale” assunto dalle istanze di protezione dell’imprenditore debole trova rispondenza all’interno del DCFR nel riconoscimento di una certa evidenza sistematica alla categoria dei rapporti B2B. Benché siano molteplici le norme specificamente rivolte ai rapporti contrattuali “between businesses”330, la più significativa tra tutte è quella di cui art. II.-9:406: Meaning of “unfair” in contracts between businesses che introduce anche nei rapporti tra imprenditori il concetto di “unfairness”, individuando come criterio che deve guidare l’interprete nell’accertamento della vessatorietà della clausola la “grossly deviation from good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing”331. La soluzione accolta dal DCFR è il risultato di un compromesso tra quanti auspicano l’introduzione di un concetto di unfairness identico a quello utilizzato nella 329 Cfr. DCFR, Introduction, (20) “Model of society and economic system” laddove stabilisce che “The formulation of core aims and fundamental principles reveals the underlying model of society and of the economic system more directly than does the formulation of individual rules. It helps to clarify the position of the DCFR (and, eventually, the CFR) in the spectrum between free market and fair competition theories and more invasive approaches in favor of consumers, victims of discrimination, small and medium sized enterprises and the many other possibly weaker parties to contracts and members of society.” Cfr., altresì, DCFR, Introduction, (27) “Restrictions on freedom to determine contents of contract” dove si legge che “Grounds on which restrictions might be justified include inequality of information and lack of bargaining power. Such problems are most common when a consumer is dealing with a business, but can also occur in contracts between businesses, particularly when one party is a small business that lacks expertise.” 330 Cfr. DCFR, artt. II.-3:101: Duty to disclose information about goods and services; II.-4:210: Formal confirmation of contract between businesses; II.-9:406: Meaning of “unfair” in contracts between businesses; IV. A.-4:302: Notification of lack of conformity; IV.C.- 4:108: Limitation of liability. 331 Analogo è il significato di “unfair” riportato negli artt. 86 e 170 Annex I della proposta di Regolamento on a Common European Sales Law con riferimento rispettivamente ai contratti asimmetrici fra imprenditori e agli interessi di mora, laddove stabiliscono che le relative clausole sono vessatorie se si discostano “manifestamente dalle buone pratiche commerciali, in contrasto con la buona fede e correttezza”. 128 disciplina consumeristica e quanti, invece, al contrario, non ritengono opportuno procedere ad una siffatta omologazione, enfatizzando la diversa natura delle dinamiche caratterizzanti le relazioni tra operatori professionali. In definitiva, si è deciso di optare per un sistema di tipo misto teso a coniugare quanto più possibile le istanze di protezione del contraente debole con il principio dell’autonomia negoziale332. 1.3.2 I contratti “B2B” nella Common European Sales Law (CESL): profili e limiti della disciplina La policy di tutela dell’imprenditore “debole” ha attinto un primo livello di formalizzazione legislativa in seguito alla pubblicazione della CESL che ha spostato definitivamente i termini del dibattito dal mondo accademico al quadro politicoistituzionale dell’Unione. Già nel Feasibility Study, la Commissione giustificava un intervento normativo in materia di rapporti B2B allo scopo di introdurre un regime di tutela per le SMEs per taluni aspetti simile a quello previsto per i consumatori dal momento che, in alcune circostanze, le stesse possono trovarsi svantaggiate nei confronti di una controparte professionale di maggiore esperienza nel settore ovvero più forte dal punto di vista economico. Sulla scorta delle medesime indicazioni, le ragioni giustificatrici poste dalla Commissione alla base della creazione di un diritto comune della vendita sono state individuate nell’esigenza di potenziare la tutela normativa degli operatori professionali, in un’ottica strumentale al rafforzamento di un mercato concorrenziale unico 332 In senso critico sulla contestuale presenza nel DCFR di tre diversi standards di “unfairness”, H. B. SCHÄFER & P. C. LEYENS, Judicial Control of Standard Terms and European Private Law in P. LAROUCHE & F. CHIRICO, Economic Analysis of the DCFR, Sellier European Law Publishers, Munich, 2010, 97-119; D. MAZEAUD, Unfairness and Non-negotiated Terms, in R. SCHULZE – J. STUYCK, Towards a European Contract Law, op. cit., 123-129; T. PFEIFFER, Non Negotiated-Terms, in R. SCHULZE, Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, op. cit., 177 ss. In generale sul punto, M. W. HESSELINK, Unfair Terms in contracts between businesses, in R. SCHULZE – J. STUYCK Towards a European Contract Law, op. cit., 131 ss. 129 più competitivo. Allo stato, infatti, la specifica frammentarietà del sistema normativo in materia di vendita costituisce un ostacolo al funzionamento del mercato, disincentivando soprattutto gli scambi transfrontalieri delle piccole e medie imprese. In molti casi, i costi aggiuntivi che le SMEs sono tenute ad affrontare allo scopo di informarsi e di apprendere il contenuto della legge applicabile possono rivelarsi eccessivamente sproporzionati rispetto al valore della transazione commerciale in corso333. I risultati di tali osservazioni sono alla base di talune scelte presenti nella CESL come, ad esempio, l’introduzione di norme sui doveri di informazione precontrattuale (art. 23) la cui violazione è sanzionata mediante un apposito sistema rimediale (art. 29); la definizione dell’errore e del dolo anche con riferimento ai doveri di informazione pre-contrattuale; la previsione di un meccanismo per il quale le dichiarazioni pre-contrattuali sono considerate come contenuto implicito del contratto (art. 69); ed, infine, l’introduzione del controllo delle clausole abusive non negoziate anche nei contratti tra imprese (art. 86). Ciò premesso, è ragionevole prevedere che la scelta di optare per l’applicazione dello strumento opzionale sarà tanto più allettante per le SMEs quanto più si riducano i costi aggiuntivi connessi alle operazioni transfrontaliere rispetto agli oneri generalmente connessi allo svolgimento del domestic trade. In questa prospettiva, la natura “opzionale” dello strumento, lungi dal costituire un elemento di debolezza del futuro Regolamento334, ha il “valore aggiunto”335 333 Cfr. Preambolo della CESL (1) e (2) dove si legge “Contract-law-related barriers are thus a major contributing factor in dissuading a considerable number of export-oriented traders from entering cross-border trade or expanding their operations into more Member States. Their deterrent effect is particularly strong for small and medium-sized enterprises (SME) for which the costs of entering multiple foreign markets are often particularly high in relation to their turnover.” 334 Perplessità in ordine all’adozione del meccanismo dell’opting in, sono state avanzate da O. LANDO, Questions and Comments, op. cit. 719. Nella stessa direzione, G. DE CRISTOFARO, Il (futuro) “Diritto Comune Europeo” della vendita mobiliare: profili problematici della Proposta di regolamento presentata dalla Commissione UE, op. cit., 366. 335 Così A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line tra imprese?, op. cit., 458. 130 di consentire ai contraenti di optare per l’applicazione di un insieme di regole self standing di carattere neutro, senza correre il rischio di subire gli effetti svantaggiosi derivanti dall’accettazione del diritto altrimenti applicabile al contratto ovvero della legge nazionale imposta dal contraente più forte. La strategia di protezione delle SMEs, così come prefigurata dalla CESL, tuttavia, non va esente da alcune incongruenze che sotto alcuni aspetti pongono la disciplina in contraddizione con gli obiettivi dalla stessa prefissati. In primo luogo, viene in rilievo la formale limitazione dell’ambito soggettivo di applicazione ai soli contratti di vendita a carattere transfrontaliero. A tale restrizione, poco confacente alle complessive esigenze di sviluppo della competitività nel mercato, si aggiunge il limite derivante dal requisito dimensionale che deve necessariamente interessare una delle due imprese, essendo almeno una di esse tenuta a rispettare i parametri quantitativi a cui la Commissione ricollega la qualificazione di impresa medio-piccola. Il perseguimento di un’effettiva policy di protezione dell’impresa debole mal si concilia infatti con l’imposizione di limiti formali che non trovano alcuna giustificazione né in ragioni di carattere sostanziale né in specifiche logiche di organizzazione sistematica della materia. Non è da escludersi, pertanto, che il carattere arbitrario e strettamente materiale del requisito possa introdurre ingiustificatamente a carico delle parti elevati costi di accertamento della precisa natura del contraente336. 336 In senso critico sulla scelta di ancorare la definizione di SME a rigidi criteri formali, si sono espressi altresì i membri dello European Law Institute che nello Statement sulla proposta di Regolamento sul diritto comune europeo della vendita osservano “(9) The working party does not believe that this restriction is required by the principles of subsidiarity and proportionality, as these principles, in accordance with well-established CJEU case law, do not require (or even allow) the restriction of a legislative measure in a way that seriously calls into question its suitability to attain the aim pursued. In particular as more than 90% of all businesses in the EU qualify as SMEs, the working party strongly recommends the formal restriction to SMEs be abandoned. It would be sufficient to state simply in the introductory Article that the instrument is designed to serve the interests of SMEs.” 131 In tale contesto, dunque, la scelta di riservare alla facoltà degli Stati la decisione di estendere la disciplina anche ai rapporti tra imprese con sedi di affari nel medesimo Stato Membro ovvero ai contratti stipulati tra professionisti di cui nessuno di essi è una SME si prefigura come uno dei punti più controversi di un progetto di sviluppo del diritto contrattuale orientato verso un’effettiva politica di protezione del “contraente debole”337. A ciò si aggiunge che la disamina degli aspetti più rilevanti della disciplina riservata ai rapporti commerciali “B2B” ha indotto parte della dottrina europea a ritenere che la CESL non verrebbe a configurarsi nei termini di una “viable alternative” rispetto all’applicazione della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili338. Tale presa di posizione poggerebbe sulla scelta effettuata dalla CESL di affidare gran parte della regolamentazione dei rapporti tra imprese alle clausole generali di “good faith and fair dealing” che, stante la loro intrinseca vaghezza ed ambiguità, mal si adattano di fronte alle esigenze di certezza e di prevedibilità del commercio internazionale. 337 Cfr. artt. 4: Cross-border contracts e 13: Member States' options della CESL. In senso critico sulle limitazioni all’ambito soggettivo di applicazione della CESL, B. FAUVARQUE-COSSON, Le droit commun europeén de la vente e la technique des instruments optionnels, in Le droit commun europeén de la vente. Examen de la Proposition de Règlement du 11 octobre 2011, vol. VI, Société de Législation comparée, 2012, 13 ss; O. LANDO, Comments and Questions, op. cit., 721. Analogamente critici anche i redattori dello Statement sulla proposta di Regolamento sul diritto comune europeo della vendita predisposto dallo European Law Institute, dove si legge: “(13) (…) Large enterprises will usually be established in more than one country and can thus easily redirect contracts particularly in respect of E-commerce, to an establishment in another Member State. They can thus ensure that all their contracts have a cross-border element and thereby trade within the whole EU/EEA under one and the same legal regime. An SME situate in a single Member State which has not made use of the option in Article 13(a) of the Regulation to extend the CESL to its domestic contracts cannot operate in such fashion. It will have to cope with two legal regimes, and thus it is placed at a serious disadvantage(…).” 338 Così I. SCHWENZER, The Proposed Common European Sale Law and the Convention on the International Sales of Goods, in UCC Law Journal, 2012, 476 ss., il quale riassume, altresì, le posizioni di H. W. MICKLITZ - N. REICH, The Commission Proposal for a “Regulation on a Common European Sales Law (CESL)”—Too Broad or Not Broad Enough?, in EUI Working Paper Law, 2012/04, European University Institute, 2012 e di H. EIDENMÜLLER, Der Vorschlag für eine Verordnung über ein Gemeinsames Europäisches Kaufrecht, in Juristen Zeitung, Vol. 67, 2012, 273 ss. 132 CAPITOLO V: ALCUNI SPUNTI PER UNA DISCIPLINA GENERALE DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE E TUTELA DEL “CONTRAENTE DEBOLE” 1.1 Gli obblighi di informazione nella fase precontrattuale: tra regole di validità e norme di comportamento Nell’ambito della disciplina europea dei rapporti di distribuzione commerciale, e più in generale della contrattazione di impresa, la strategia normativa prevista a tutela del contraente debole nella fase precontrattuale è calibrata su modelli relazionali basati sulla negoziazione dell’accordo, piuttosto che su meccanismi di mera adesione (c.d. economie di scala). Il diverso approccio generalmente adottato nella regolamentazione degli obblighi di informazione precontrattuale rispettivamente nell’ambito delle relazioni B2C e B2B si spiega ancora una volta in ragione delle divergenze strutturali che caratterizzano la posizione del consumatore e dell’imprenditore debole dinanzi alla controparte professionale: nel primo caso l’asimmetria informativa è presunta o implicita in ragione dell’oggetto delle operazioni negoziali – si pensi ai contratti del mercato finanziario - ovvero delle tecniche di contrattazione utilizzate – come nel caso delle negoziazioni off-premises; nel secondo caso, invece, il deficit informativo di partenza assume connotazioni così peculiari da richiedere un approccio protettivo attivabile solo sulla base di accertamenti in concreto. Alla luce di tali considerazioni, è possibile riscontrare un quadro normativo polarizzato su due diversi livelli di tutela: da un lato, operano a vantaggio dei consumatori numerose mandatory disclosure clauses il cui contenuto è rigorosamente determinato in relazione alle diverse modalità di conclusione del contratto (ad esempio, distance o off-premises contract)339, dall’altro, la correttezza della fase delle negoziazioni tra businesses è demandata all’osservanza di general provisions che rin339 Cfr. artt. 19 e 20 della CESL. In dottrina, T. WILHELMSSON – C. TWIGG-FLESNER, Precontractual Information Duties in the Acquis Communautaire, in ERCL, 2006, 448. 133 viano, ai fini della relativa applicazione, allo standard oggettivo del good commercial practice operante nel settore di riferimento340. Tuttavia, i contorni della dicotomia che nell’ambito delle discrete transactions distinguono la disciplina della fase precontrattuale nei rapporti tra professionisti e consumatori, da un lato, e tra professionisti, dall’altro, assumono connotazioni meno nette se confrontati con la disciplina generale riservata ai distribution agreements. In riferimento a tali accordi, infatti, la regolamentazione degli obblighi di informazione presenta maggiori affinità rispetto a quella prevista per i consumatori in ragione della strutturale disparità informativa insita nella genesi delle fattispecie contrattuali in esame. Il dato più evidente, infatti, emerge già dalla disamina dell’art 1:201: Precontractual information duty dei PEL CAFDC che fonda l’operatività della clausola generale su parametri ben più rigorosi di quelli di cui all’art. II.- 3:101: Duty to disclose information about goods, other assets and services del DCFR, introducendo, in via aggiuntiva, il requisito della tempestività dell’adempimento degli obblighi di informazione rispetto alla conclusione del contratto ed, inoltre, uno standard qualitativo più elevato in termini di correttezza, completezza e trasparenza delle informazioni di cui deve essere curata la trasmissione341. Nello specifico, le distanze tra la norma sulle informazioni pre-contrattuali prevista nei PEL CAFDC e quella corrispondente della disciplina generale risultano altresì evidenti se si assume come parametro di confronto l’art. 23 della CESL, stante la sua vocazione a porsi nel prossimo futuro come disciplina generale comune del contratto. 340 Per un approfondita analisi del tema, si veda B. FAGES, Pre-contractual duties in the Draft Common Frame of Reference – What Relevance for the Negotiation of Commercial Contracts?, in ERCL, 2008, 304 – 316; H. BEALE – G. HOWELLS, Pre-contractual Information Duties in the Optional Instrument, in R. SCHULTZE – J. STUYCK, Towards a European Contract law, op. cit., 49-62. 341 Cfr. PEL CAFDC, Comments C, D ed E. 134 In particolare, l’art. 23 circoscrive il contenuto delle informazioni doverose a “the main characteristics of any good and services” la cui mancata disclosure risulterebbe contraria ai principi di “good faith and fair dealing”. A definizione della sua portata precettiva, la norma contiene l’elencazione di una serie di circostanze rivolte a guidare l’interprete nella valutazione dell’esistenza dell’obbligo di informare tra cui compare, da ultimo, il criterio del good commercial practice in the situation concerned”342. A differenza dell’art. II. – 3:101 del DCFR, l’art. 23 della CESL individua come test generale volto ad individuare la sussistenza dell’obbligo di disclosure nel criterio di good faith and fair dealing. Modificando l’approccio precedente, la mancata ottemperanza ai doveri di informazione costituisce nella CESL una deviazione dal good commercial practice, rappresentando solo uno dei possibili casi di violazione del criterio di good faith and fair dealing mentre nel DCFR il criterio di correttezza si pone come standard la cui violazione è fonte di responsabilità tout court 343. La maggiore indeterminatezza della nuova disposizione, della quale si è molto discusso nel corso dei lavori preparatori dell’Expert Group, vuole proporsi come duttile strumento volto a controbilanciare il principio della freedom of contract, con le specifiche esigenze di protezione delle SMEs, rimettendo in sostanza alla prassi giurisprudenziale il compito di attribuire alla norma un maggior grado di concretezza344. Di conseguenza, la scelta di limitare la portata dell’obbligo di disclosure alle sole informazioni delle quali la controparte più forte si ritiene ragionevolmente in possesso esclude che l’obbligo di informazione sia stato esclusivamente imposto a 342 Cfr. CESL, art. 23 paragrafo (2). In dottrina, A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of Article 23, in ERPL, 6-2011, 787 ss. 343 Così, H. BEALE – G. HOWELLS, Pre-contractual Information Duties in the Optional Instruments, in Towards a European Contract Law, op. cit., 52. 344 Per un’attenta disamina dell’art. 23 CESL, si veda A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of art. 23, in ERPL, 787 ss. Più in generale, S. WHITTAKER, The Optional Instrument of European Contract Law and Freedom of Contract, in ERCL, 2011, 378-380. 135 suo carico. Inoltre, l’indicazione di parametri circostanziali alla stregua dei quali occorre valutare la sussistenza di un obbligo di disclosure può produrre l’effetto di spostare una parte del carico probatorio anche in capo all’impresa più debole, qualora, ad esempio, essa sia dotata di una particolare specializzazione nel settore di riferimento345. L’effettività degli obblighi di disclosure è però rafforzata dall’art. 28 CESL che sancisce l’obbligo di dare informazioni corrette ed, in particolare, dall’art. 69 che prevede l’inclusione nel contenuto del contratto di tutte le dichiarazioni che durante le negoziazioni sono rese in merito alle caratteristiche della fornitura. E’opportuno osservare tuttavia che, anche qualora la proposta di regolamento venisse formalmente adottata, la relativa disciplina generale non sembrerebbe offrire garanzie di maggiore protezione nei confronti dei piccoli franchisees o distributori. In virtù del riferimento al solo criterio di good faith and fair dealing è presumibile che l’interpretazione dell’art. 23 della CESL sarà tale da vincolare il contraente all’obbligo di comunicare le circostanze di rilievo attinenti all’affare, ma non anche le circostanze relative alla valutazione della convenienza dell’operazione negoziale nel suo complesso346. Pertanto, come già anticipato, è auspicabile che sul fronte della distribuzione commerciale si proceda nel breve periodo all’adozione di una regolamentazione specifica, valorizzando disciplina sostanziale contenuta nei PEL CAFDC. Detti Principi, infatti, in riferimento alla disciplina degli obblighi di informazione precontrattuale, assumono un peso specifico molto più rilevante anche rispetto alla corrispondente disciplina riportata nel DCFR. 345 Così, A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of Article 23, op.cit, 6-2011, 792. 346 Sulla natura del contenuto dei doveri di informazione precontrattuale nei rapporti B2B, si veda A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of Article 23, op. cit., 794. 136 A differenza della norma confluita nell’art. IV. E. – 2:101 del DCFR, la general provision di cui all’art. 1:201 dei PEL CAFDC acquisisce il carattere di mandatory rule, determinando nel corso delle trattative un notevole innalzamento del livello di tutela non solo sul piano del contenuto degli obblighi di disclosure ma anche soprattutto su quello della loro effettività. Inoltre, come esaminato in precedenza, la disciplina dei Principles assume connotazioni più stringenti e rigorose in riferimento alla conclusione di un contratto di franchising. Infatti, l’art. 3:103 dei PEL CAFDC (cui corrisponde integralmente l’art. IV.E – 4:102: Pre-contractual information) non solo ripropone la medesima architettura normativa utilizzata nei rapporti B2C per assicurare al consumatore la conoscenza dei requisiti minimi essenziali dell’affare attraverso una lista dettagliata da dati da trasmettere ma, a garanzia dell’effettività della norma, ricollega automaticamente alla violazione di tali doveri l’obbligo della controparte di risarcire il danno arrecato, salvo che il franchisor dimostri la tempestività ovvero l’idoneità delle informazioni comunicate347. In via generale, sia i PEL CAFDC sia il DCFR pongono al centro del sistema rimediale l’avoidability del contratto per defects in consent ed in via solo collaterale il rimedio risarcitorio. Sotto questo profilo, vengono contestualmente in rilievo l’art. II.- 7:202 del DCFR che individua la violazione degli obblighi di informazione precontrattuale come requisito che legittima la controparte a richiedere l’annullamento del contratto in caso di fundamental mistake e l’art. II. – 7:205 che prevede espressamente la “fraudolent no disclosure of any pre-contractual information duty” come causa di annullamento del contratto per fraud. La scelta di inquadrare la violazione dei doveri di informazione precontrattuale nell’ambito della disciplina dei vizi del consenso condiziona la fruttuosa 347 Sulla maggiore facilità di accesso al rimedio risarcitorio garantita dai PEL CAFDC in materia di franchising, si veda O. BUENO DIAZ, Franchising in European Contract Law, op. cit., 227-230. 137 esperibilità dell’azione di annullamento alla dimostrazione da parte del distributore dell’essenzialità e della riconoscibilità dell’errore (fundamental mistake) ovvero dell’intenzione dolosa della controparte (fraud), circoscrivendo contestualmente l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno alla circostanza che la controparte conoscesse o avrebbe dovuto conoscere il motivo dell’annullamento. In applicazione dei principi generali, inoltre, l’eventuale prosecuzione del rapporto contrattuale è rimessa esclusivamente alla facoltà del franchisor, il quale potrebbe richiedere, in alternativa all’annullamento, l’adattamento del contratto solo qualora si dichiari disposto ad eseguire l’accordo nei diversi termini erroneamente supposti dal franchisee a causa della mancata disclosure. Le cause di annullabilità così tipizzate, venendo in rilievo nel procedimento di formazione del contratto, evidenziano una contaminazione tra regole di validità e regole comportamentali. In particolare, per il franchisee o il distributore che nel corso delle trattative sia stato colposamente o dolosamente indotto in errore a causa della mancata disclosure, l’azione di annullamento costituisce lo strumento attraverso il quale intende tutelare la corretta esplicazione dell’autonomia negoziale in modo che possa pervenire alla stipula del contratto in modo libero e consapevole. Tuttavia, la ricostruzione in chiave funzionale dei rimedi invalidanti non sempre opera su un piano di perfetta coerenza e compatibilità con i principi quali la tutela dell’affidamento dei terzi e la certezza delle situazioni giuridiche che pure per le “imprese assumono una centralità marcatissima”348. Ciò premesso, nella ridefinizione della disciplina dei remedies for breach of information duties, i membri del Gruppo di esperti chiamati ad elaborare la disciplina comune europea dei contratti ha optato per la predisposizione di uno strumentario giuridico che valorizza la centralità degli interventi a carattere risarcitorio. 348 Si veda in generale sull’argomento, V. BUONOCORE, Le nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, 2006. 138 Fermo restando la possibilità di fare ricorso alla disciplina dell’invalidità ove ne ricorrano i relativi presupposti, l’art. 29 della CESL prevede che il contraente che subisce gli effetti negativi della mancata disclosure ha diritto al risarcimento integrale del danno subito, dettando una regola generale molto più confacente alle esigenze degli operatori del mercato349. In un’ottica di semplificazione e di razionalizzazione degli scambi commerciali, infatti, la possibilità di ricorrere a strumenti di carattere conformativo-risarcitorio consente di ovviare agli aggravi probatori ed alle incertezze derivanti rispettivamente dalla prova dei presupposti dell’azione di annullamento e dalla produzione degli effetti restitutori anche con riguardo ai contratti stipulati a valle. In conseguenza dell’avvenuto mutamento di prospettiva, dunque, il sistema di commisurazione del danno risarcibile ha assunto una fisionomia completamente autonoma rispetto a quella collaterale all’azione di annullamento350. Svincolando la fruttuosità dell’azione risarcitoria dalla circostanza che il contraente conosca o avrebbe potuto conoscere il motivo dell’annullamento, il risarcimento del pregiudizio economico subito non è limitato al negative interest in damages ma si estende all’interesse positivo differenziale tra i vantaggi e le conseguenze economiche che il contratto stipulato produce e quelli che avrebbe prodotto in assenza del fattore che ha alterato la formazione del consenso. Ciò premesso, è lecito ritenere la futura adozione della proposta di regolamento avrebbe nell’immediato l’effetto di introdurre maggiore certezza e prevedibilità nella realizzazione degli scambi transfrontalieri specie nei rapporti tra businesses. Qualora le parti dovessero optare per la relativa applicazione, infatti, il contraente che subisce gli effetti della mancata disclosure, sia essa un franchisee, un con349 E. MONSEN, Disgorgement Damages Breach of Pre-contractual Obligation and Contract, in ERPL, 799 ss. 350 Sui rapporto tra doveri di informazione e annullabilità del contratto, H. BEALE, The Draft Common Frame of Reference: Mistake and Duties of Discosure, in ERCL, 2008, 333. 139 cessionario ovvero un agente di commercio, potrebbe accedere più agevolmente al meccanismo risarcitorio con maggiori probabilità di recuperare in misura più efficiente i propri investimenti da affidamento. E’opportuno osservare, tuttavia, che una tutela ancora più effettiva sarebbe stata raggiunta ove nella CESL si fosse inserita una disposizione analoga a quella dell’art. II. – 3:109 del DCFR che, accanto al rimedio risarcitorio, prevede l’operatività di un meccanismo di carattere conformativo. Nello specifico l’art. II. 3:109 modula la tipologia dei rimedi a disposizione del contraente a seconda che, a causa della violazione dei doveri di informazione, lo stesso abbia erroneamente supposto la conclusione di un contratto che di fatto non è stato stipulato ovvero abbia stipulato un contratto che non avrebbe altrimenti concluso o avrebbe concluso in termini diversi. Nel primo caso, il contratto si ha per concluso, vincolando conseguentemente la controparte all’esecuzione della prestazione erroneamente ipotizzata, nel secondo caso, qualora la trattativa abbia prodotto i suoi frutti, il contraente che ha subito gli effetti negativi derivanti dalla mancata disclosure ha diritto al risarcimento integrale del danno subito. In una prospettiva di sviluppo della competitività e di efficienza dei mercati, il favor verso la stabilizzazione del vincolo negoziale si traduce in un ottimo incentivo per le SMEs che vogliano entrare nei mercati della distribuzione. Pertanto la mancata previsione di strumenti di enforcement degli obblighi di informazione precontrattuale per il caso di una mancata ovvero di un’erronea supposizione incolpevole della conclusione del contratto costituisce nel quadro dell’attuale policy di protezione delle SMEs un vero e proprio “non-sense”351 a cui occorre rimediare nel più breve tempo possibile352. 351 Espressione usata da C. CRAVETTO – B. PASA, The “Non-sense” of Pre-contractual Information Duties in Case of Non concluded Contracts, in ERPL, 6-2011, 759 ss. 352 Una tempestiva e puntuale proposta di superamento di tale punctum dolens è stata avanzata dallo European Law Institute a seguito della pubblicazione dello Statement on The Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law. In particolare, si veda Parte A, III, (3). 140 1.2 L’“Unfair exploitation” del contraente debole: prospettive di tutela per i franchisees, i concessionari in esclusiva, etc. Nell’ottica di offrire risposte adeguate alle istanze di maggiore efficienza e di funzionalità del mercato, le più recenti iniziative di armonizzazione del diritto europeo dei contratti si muovono in modo sempre più deciso verso l’adozione di misure di contrasto e di repressione dei fenomeni di abuso di potere negoziale anche nei rapporti merchant to merchant. Nel quadro dell’acquis comunitario, l’unico riferimento normativo diretto ed immediato è dato senza dubbio dall’art. 7 della Direttiva 2011/7/UE che, nel rafforzare la tutela delle SMEs contro i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, sancisce l’inopponibilità della clausola contrattuale relativa alla data di pagamento o al tasso di interesse di mora che risulti “gravemente” iniqua in danno del creditore, avendo riguardo alla corretta prassi commerciale ed alla natura o del servizio353. Attraverso l’introduzione del concetto di grave iniquità delle clausole si è legittimato a livello europeo un sindacato non solo sullo squilibrio giuridico dei diritti e degli obblighi delle parti ma anche sull’eccessiva disparità economica delle prestazioni. La diretta attinenza dell’iniquità al contenuto del regolamento negoziale trova conferma nel riferimento della Direttiva all’“abus manifeste”354, il quale, affinché sia sanzionato, deve tradursi in un’ingiustizia connotata da una “significativa rilevanza sperequativa”355. Inoltre, l’espresso riferimento alla correttezza della prassi commerciale ed, in generale, alle dinamiche correnti del mercato in termini valutativi 353 Cfr. nota 200. Procede ad una ricostruzione della disciplina attraverso il dato terminologico, G. SALVI , “Accordo gravemente iniquo” e “riconduzione ad equità” nell ’art . 7, d.l g s. n. 231 del 2002, in Contr. e impr., 2006, 176. 355 Sull’argomento V. SCALISI, Giustizia contrattuale e rimedi: fondamento e limiti di un controverso principio, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, op. cit., 273 354 141 rende chiaro che la grave iniquità debba essere valutata soprattutto sul terreno delle condizioni economiche dell’assetto contrattuale considerato. In via generale, la tendenza del diritto europeo verso la previsione di forme di controllo del contenuto del contratto è destinata ad assumere connotazioni decisamente più omnicomprensive nell’ambito della disciplina del DCFR. Infatti, l’art. II. – 7:207 del DCFR sull’Unfair exploitation costituisce il punto di emersione più evidente di un’idea di giustizia contrattuale rivolta a colpire tutte quelle situazioni in cui, al momento della conclusione del contratto, l’eccessivo squilibrio tra le prestazioni sfocia nell’attribuzione ad una parte di un “excessive benefit” oppure di un “grossly unfair advantage”. Sul piano sistematico la norma riveste un’importanza fondamentale soprattutto a seguito dell’avvenuto inserimento di una previsione analoga nella parte della proposta di Regolamento per un diritto comune della vendita dedicata alla disciplina generale del contratto356. La scelta operata dall’Expert Group, infatti, oltre ad investire ufficialmente le istituzioni dell’Unione di una politica del diritto contrattuale protesa a garantire l’oggettività degli scambi e la congruità delle prestazioni357, si rivela particolarmente significativa in quanto si inserisce all’interno di un contesto normativo chiaramente orientato a proteggere e favorire la competitività delle SMEs. Tale circostanza pone le basi per una riflessione generale sull’opportunità di considerare la previsione sull’unfair expoitation come un segmento fondamentale della disciplina generale comune tra imprese, soprattutto qualora la proposta di regolamento venisse formalmente adottata. 356 Cfr. art. 51 Annex I della proposta di Regolamento sul diritto comune europeo della vendita. Così F. GALGANO, Dai Principi UNIDROIT al Regolamento europeo sulla vendita, in Cont. Impr./Eu., 12012, 1 ss.; E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, op. cit., 973 secondo cui la norma sull’unfair exploitation “estende il vaglio dell’ingiustizia contrattuale dalle asimmetrie prodotte dalla struttura del mercato, c.d. asimmetrie macroeconomiche, alle asimmetrie legate a fattori contingenti, c.d. asimmetrie microeconomiche.” 357 Tali considerazioni si trovano altresì in G. VETTORI, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv, 2005,270 ss. 142 Secondo quanto stabilito dall’art. 51 della CESL, il vantaggio di una parte a danno dell’altra si considera ingiustificato ogniqualvolta sia stato ottenuto sfruttando una posizione di debolezza originaria dell’altra parte o comunque sia privo di una qualsiasi giustificazione tenuto conto della natura e dello scopo del contratto. In particolare, lo sfruttamento della situazione di debolezza si configura nei casi in cui una parte abbia conseguito un ingiusto vantaggio approfittando dello stato di dipendenza, delle difficoltà economiche o delle necessità immediate dell’altra parte oppure dell’imperizia, ignoranza, inesperienza o mancanza di abilità a trattare358. L’indicazione dei dati, oggettivi e soggettivi, che qualificano tali condizioni di inferiorità costituiscono elementi idonei a rendere ragionevolmente certa e logicamente controllabile l’opera di concretizzazione del divieto di sfruttamento abusivo affidata al giudice. La valutazione del carattere eccessivo dello squilibrio non è ancorata a parametri di tipo quantitativo ma è affidata all’apprezzamento dell’interprete ed inquadrata nell’ottica di un’alterazione qualitativa del sinallagma contrattuale. In particolare, una volta definito il quadro dell’operazione economica a cui il contratto attribuisce veste giuridica, occorre considerare la logica interna del regolamento negoziale per valutare l’eventuale anomalia della clausola in riferimento agli standards di correttezza del segmento di mercato considerato359. La parte che ha subito lo svantaggio ingiusto ha diritto all’annullamento del contratto che esercita mediante dichiarazione all’altra parte in via stragiudiziale. 358 Cfr. Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, art. 3.2.7 (Gross disparity). Per una disamina dei presupposti di applicazione si veda, M. J. BONELL, Un “Codice”internazionale del diritto dei contratti, II ed., Milano, 2006; U. DROBNIG, Protection of the Weaker Party, in Contratti commerciali internazionali e Principi UNIDROIT, Milano, 1997, 215 ss. L. PONTIROLI, La protezione del “contraente debole” nei Principles of International Commercial Contracts di UNIDROIT: much ado about nothing?, in Giur. Comm., I. 1997, 567; TIMOTEO M., Nuove Regole in materia di squilibrio contrattuale: l’art. 3.10 dei principi Unidroit, in Contr. Impr./Eur., 1997, 141. 359 Sul punto si veda, G. ALPA, La protezione della parte debole di origine internazionale (con particolare riguardo al diritto uniforme), in Contratti commerciali internazionali e Principi UNIDROIT, op. cit., 225 ss. 143 Il trattamento normativo che l’art. 51 riserva al contratto gravemente sperequato presuppone, dunque, la sussistenza di tre requisiti: la condizione di inferiorità di una parte, l’approfittamento consapevole dell’altra e lo squilibrio tra le prestazioni da cui consegue un beneficio eccessivo ovvero un vantaggio ingiusto. A fronte di tale ricostruzione, è ragionevole ritenere che uno dei principali settori rispetto ai quali la previsione normativa è destinata a trovare maggiore applicazione sarà soprattutto quello dei contratti di distribuzione commerciale ogniqualvolta il franchisee, o il distributore si ritrovino vincolati ad un regolamento contrattuale il cui contenuto risulti ingiustificatamente squilibrato. Come già esaminato in precedenza, lo stato originario di dipendenza economica rappresenta, infatti, un aspetto fisiologico della genesi e dell’esecuzione dei rapporti di franchising: il franchesee, infatti, è il tipico esempio di soggetto privo di alternative soddisfacenti sul mercato, essendo chiamato a sostenere investimenti non riconvertibili per poter entrare nella rete e svolgere la sua attività. Ma la medesima situazione caratterizza anche altre tipologie contrattuali come, ad esempio, la concessione di vendita con patto di esclusiva ovvero, più in generale, tutti i casi in cui l’inesperienza e le ridotte dimensioni imprenditoriali del potenziale intermediario integrato impediscano allo stesso di effettuare una valutazione sufficientemente approfondita circa il risultato economico che riuscirà ad ottenere. Nel quadro di tali rapporti, lo sfruttamento della posizione di dipendenza economica si concretizza generalmente nell’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose o discriminatorie che, in condizioni di parità, la controparte non avrebbe altrimenti accettato. In tale prospettiva, il rimedio dell’annullabilità della clausola ovvero dell’adattamento del contratto ad opera del giudice/arbitro può essere richiesto dal franchisee al fine di limitare gli effetti di una clausola di rifornimento esclusivo che, 144 in ragione della natura o delle caratteristiche del prodotto, precludono ogni possibilità di approvvigionamento presso soggetti terzi, arrecando così un ingiusto vantaggio alla controparte. Parimenti, in determinate situazioni potrebbe risultare eccessivamente gravosa e, dunque, suscettibile di revisione, l’inserimento di una clausola di esclusiva territoriale a carico del solo franchisee o concessionario da cui deriva correlativamente la facoltà del franchisor di istituire ulteriori affiliazioni o di organizzare vendite dirette nello stesso territorio di competenza del franchisee. Sotto tale profilo,infatti, occorre considerare che sia la giurisprudenza del caso Pronuptia sia i successivi regolamenti di esenzione di categoria hanno affrontato le questioni inerenti alla concessione delle esclusive territoriali sempre dal prevalente punto di vista dell’obbligo di non ingerenza dei franchisee o dei distributori nell’attività del franchisor o del produttore; mentre, il caso inverso relativo all’interferenza del franchisor con le attività dei franchisees non sembra aver goduto di adeguata considerazione360. In presenza di determinate condizione di mercato ed in ragione della qualità del prodotto, si prefigura altresì come ingiustamente gravosa e, pertanto, oggetto di una richiesta di annullamento, la clausola che legittima un recesso senza congruo preavviso il cui effetto sarebbe quello di vanificare di fatto gli investimenti del franchisee, il quale, nella vigenza della clausola di non concorrenza post-contrattuale, si troverebbe, peraltro, nell’impossibilità di reperire un nuovo partner commerciale nello stesso settore. Il grado di effettività dell’apparato rimediale contro gli effetti dell’unfair exploitation risulta fortemente attenuato nel sistema della CESL che, a differenza di quanto previsto dalla corrispondente norma del DCFR, ha espunto dal sistema 360 L. DI LIDDO, I contratti di franchising: punto cruciale dei rapporti tra franchisors e franchisees, in Liuc Papers, Serie Impresa e Istituzioni, 1994, 11. 145 l’alternativa per il contraente di richiedere l’adattamento del contratto361. Tale scelta si giustifica, da un lato, nella volontà di enfatizzare l’enforcement degli obblighi di informazione pre-contrattuale sul fronte della validità del consenso e, dunque, sul piano della conformità del contenuto del contratto all’effettiva volontà dei contraenti e, dall’altra, nella difficoltà per i giudici o gli arbitri di individuare obiettivi criteri di revisione del contratto nelle ipotesi di squilibrio originario soprattutto a fronte di rapporti contrattuali a carattere istantaneo piuttosto che di durata. Sotto tale ultimo profilo, si ritiene che l’avviato processo di oggettivizzazione della tutela contro lo squilibrio eccessivo delle condizioni contrattuali, da un lato, e le sempre più avvertite esigenze di stabilizzazione dei contratti di durata, dall’altro, consentirebbero di superare facilmente tutte le obiezioni che un sindacato giudiziale sul contenuto del contratto potrebbe sollevare, tanto più che in Europa numerosi ordinamenti giuridici nazionali hanno ormai preso dimestichezza con il concetto di sfruttamento abusivo dello stato di dipendenza economica e l’accertamento dei relativi presupposti362. 1.3 La patologia del contratto: la risoluzione del contratto per inadempimento del franchisee o del distributore L’istituto generale dell’inadempimento è destinato ad assumere connotazioni del tutto peculiari in riferimento allo svolgimento dei rapporti di distribuzione. 361 Come rimedio alternativo, l’art. II.-7:207: Unfair Exploitation del DCFR prevede l’adattamento del Regolamento contrattuale o delle singole clausole inique alla stregua dei medesimi criteri di reasonableness e di fairness attraverso cui si è identificata la situazione di eccessivo squilibrio. La scelta di procedere alla revisione del contratto in luogo dell’annullamento è riservata ad entrambe le parti e solo qualora vi sia disaccordo sulla procedura da seguire, spetterà al giudice o all’arbitro decidere per l’annullamento o l’adattamento del contratto. In generale, sull’esercizio dei due rimedi dell’avoidance e dell’adaptation, si veda M. J. BONELL, “Policing” the contract against unfairness under the UNIDROIT Principles for International Commercial Contracts, in Tulane, J. Int. and Comp. Law, 1991, 73 ss. 362 Cfr. in Francia art. 8 dell’ordonnance m. 86 – 1243 del 1 dicembre 1986 relativa alla “libertè des prix et de la concurrence”; in Spagna art. 16 comma 2 ley 3/1991 relativa alla concorrenza sleale rubricato Discriminatiòn y dependencia econòmica; in Germania art. 26, comma 2, del GWB, del 27 luglio 1957; in Italia, art. 9 della legge 192 del 1998 sulla subfornitura industriale. 146 In presenza di un eventuale sviluppo patologico della relazione commerciale, infatti, la particolare intensità del vincolo giuridico che caratterizza i rapporti di distribuzione impone la necessità di procedere ad un’accurata valutazione degli opposti interessi in gioco. Da un lato, vi è l’esigenza del franchisee o del produttore di conservare in ogni caso la buona reputazione e, dunque, di tutelare l’immagine della rete distributiva nel suo complesso, dall’altro, si contrappone l’interesse del franchisee a non vedere vanificati gli investimenti specifici a fronte di un inadempimento che, benché gli sia imputabile, risulti di scarsa importanza rispetto all’economia generale del contratto363. A fronte del rischio per il contraente più forte di subire i riflessi negativi derivanti da fatti riferibili alla condotta inadempiente dei singoli operatori, la disciplina contrattuale dei rapporti di distribuzione si mostra particolarmente reattiva di fronte alle ipotesi di inadempimento addebitabile alla controparte. Dall’esame dei modelli più diffusi nella contrattualistica internazionale364, infatti, è possibile rilevare che la regolamentazione dei rapporti sia limitata alle sole giuste cause di risoluzione per fatto imputabile ai franchisees o ai distributori i quali abbiano omesso di pagare le royalties o il canone ovvero abbiano arrecato discredito all’immagine della rete. Poco o nulla invece è generalmente previsto in ordine agli inadempimenti dei franchisors o dei concessionari, che pur sono suscettibili di assumere connotazioni particolarmente gravi per le rispettive controparti contrattuali. In un’ottica generale di protezione del contraente debole, la latitudine applicativa dei principi di fairness e di good commercial practice non può non considerar363 In generale sull’argomento, L. DELLI PRISCOLI, Franchising e tutela dell’affiliato, Milano, 2000, 40 ss.; DE GUTTRY A., La “termination” nel franchising, Tipicità e atipicità nei contratti, in Quaderni di Giur. Comm., Milano, 1983; C. VACCA’, La “Termination”: problemi sul tappeto, in I contratti di franchising. Organizzazione e controllo di rete, a cura di L. Pilotti – R. Pozzana, Milano, 1990. 364 M. D. FERRI – P. I. KLEIN, Restrictions on Termination and Nonrenewal of Franchises: A Policy Analysis, in Bus. Lawyer, 1982, 1041 ss. In particolare, si confronti, The ICC Model International Franchising contract, a cura della ICC, Paris, 2003. 147 si estesa anche alle vicende patologiche della relazione contrattuale allo scopo di evitare un utilizzo abusivo dei meccanismi rimediali ad esse correlate. Nello specifico, di fronte all’eventuale mancata o inesatta esecuzione delle prestazioni da parte degli agenti, dei franchisees e dei distributori si pone l’esigenza di qualificare in termini qualitativo e/o quantitativi l’intensità della violazione degli obblighi contrattuali, al fine di impedire che il contraente più forte possa strumentalizzare un inadempimento di scarsa importanza dietro il reale interesse di sciogliere unilateralmente il vincolo negoziale senza dare un congruo preavviso365. Il pericolo che si verifichi tale eventualità è opportunamente scongiurato dall’art. 1:304: Termination for Non-Performance dei PEL CAFDC366 che, in deroga alla disciplina generale prevista dall’art. III. – 1:109 Variation of Termination by notice, esclude ogni efficacia alle clausole che prevedono la risoluzione del contratto a fronte di un inadempimento di scarsa importanza. L’effettività della norma, che riproduce in sostanza il contenuto dell’art. IV. E. – 2:304 del DCFR: Termination for non performace, è assicurata dal carattere mandatory della disposizione. L’introduzione della previsione normativa assume una valenza altamente significativa sotto un duplice profilo. In primo luogo si osserva che la norma, introducendo una deroga al principio generale che riserva all’autonomia negoziale delle parti la regolamentazione della cessazione degli effetti del contratto, afferma il favor del diritto europeo per la stabilizzazione di tutti i contratti che in via generale realizzano una funzione di distribuzione. Trattasi di una general provision destinata ad assumere una funzione molto rilevante sul piano sistematico atteso che, collocandosi all’interno di una policy di 365 Così, L. DELLI PRISCOLI, Franchising e tutela dell’affiliato, in Quaderni di Giur. Comm., 2000, 117 ss. 366 Cfr. PECL CAFDC, 1:304 (1) Any term of a contract within the scope of this Part whereby a party may terminate the contractual relationship for non-performance which is not fundamental is without effect. (2) The parties may not exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects 148 protezione del contraente debole, costituisce un nuovo tassello verso la costruzione di una disciplina generale dei contratti tra imprese. In secondo luogo, attraverso il riferimento più o meno esplicito al concetto di “fundamental non-performance”, la scelta dei PEL CAFDC si muove chiaramente nel senso di circoscrivere la possibilità di fare legittimamente ricorso al rimedio della risoluzione nei soli casi in cui la violazione degli obblighi contrattuali sia tale da menomare irreversibilmente la fiducia della controparte circa la regolarità degli adempimenti futuri. Il riferimento dell’art. III.-3:502: Termination for Fundamental NonPerfomance367 del DCFR al pregiudizio cagionato alle legittime aspettative del creditore “as applied to the whole or relevant part of the performance”, spinge a valutare l’inadempimento sia in riferimento all’entità degli investimenti effettuati dal contraente sia con riguardo alla rilevanza della prestazione rimasta inadempiuta rispetto all’economia complessiva del contratto. Nella stessa logica, il riferimento dell’art. III.-3:502 del DCFR all’intenzionalità e alla noncuranza, quali elementi soggettivi alla base della condotta inadempiente, richiede una valutazione che tenga conto dell’esistenza dei presupposti che giustificano la perdita di fiducia nei confronti dei franchisees o dei concessionari e che sia tale da giustificare il venir meno da parte degli stessi del ragionevole affidamento in ordine alla continuazione del rapporto contrattuale. A livello internazionale, tale impostazione è pienamente accolta dalla giurisprudenza resa in applicazione dell’art. 25 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili che, supportata da autorevole dottrina, sembra co367 Cfr. DCFR, III. – 3:502: Termination for fundamental non-performance: (1) A creditor may terminate if the debtor’s non-performance of a contractual obligation is fundamental. (2) A nonperformance of a contractual obligation is fundamental if: (a) it substantially deprives the creditor of what the creditor was entitled to expect under the contract, as applied to the whole or relevant part of the performance, unless at the time of conclusion of the contract the debtor did not foresee and could not reasonably be expected to have foreseen that result; or (b) it is intentional or reckless and gives the creditor reason to believe that the debtor’s future performance cannot be relied on. 149 stante nell’affermare che anche il più grave dei vizi non dà luogo ad un inadempimento essenziale (fundamental breach) se il vizio è oggettivamente eliminabile e vi sia una disponibilità oggettiva del debitore ad intervenire368. Sulla base di indicazioni normative, è lecito ritenere che la presenza di una clausola risolutiva all’interno di un contratto di concessione di vendita o di franchising costituisca potenzialmente una clausola vessatoria che, in quanto tale, richiede una specifica approvazione per iscritto nella fase di formazione del contratto. Assumendo un determinato adempimento a condizione risolutiva del contratto, essa infatti finirebbe in taluni casi a conferire al creditore un potere illimitato in quanto, svincolando la valutazione dell’inadempimento dal requisito della gravità, consentirebbe lo scioglimento immediato del contratto senza l’osservanza di un ragionevole termine di preavviso369. Più in generale, si osserva che anche nella disciplina della Proposta di Regolamento sul diritto comune della vendita è prevalsa l’idea di ancorare la “termination” alla “fundamental non-performance of the buyer”, confermando la lettura in chiave protezionistica del requisito della gravità dell’inadempimento rispetto al soddisfacimento dell’interesse creditorio370. Alla luce di quanto premesso, è possibile affermare che nel contesto giuridico dell’Unione Europea sussistono le basi per l’affermazione di una disciplina generale 368 F. FERRARI, L’inadempimento essenziale nella vendita internazionale. 25 anni di art. 25 della Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale, in Dir. comm. int., 2005, 61 ss. il quale precisa “La delimitazione di conseguenze giuridiche particolarmente gravi ai casi in cui l’inadempimento è essenziale, ha come scopo, da un lato, quello di garantire, nonostante l’inadempimento (non essenziale) la prosecuzione del contratto, e, di conseguenza, di evitare elevati costi, come ad esempio, quelli per la rispedizione delle merci al venditore e la conservazione delle stesse, che una risoluzione del contratto comporta.” Più in generale sul punto si veda, U. G. SCHROETER, in P. SCHLECHTRIEM – I. SCHWENZER, Commentary on the UN Convention on the International Sales of Goods, (CISG), Oxford, 2010, 747 ss; P. SCHLECHTRIEM – C. WITZ, Convention de Vienne sur les contrats de vente internationale de marchandise, Paris, 2008, 176 ss. 369 Così C. M. BIANCA, Diritto civile, La responsabilità, IV, Milano, 1994, 314-315. 370 Cfr. CESL, art. 134 Annex I. In particolare, A. PLAIA, I rimedi nella vendita transfrontaliera, in Europa e dir. priv., 2012, 981 ss., dove si legge “Anche nel diritto europeo della vendita al consumo il rimedio negativo della risoluzione è, in qualche modo, subalterno a quello conservativo e specifico della riparazione e della sostituzione.” 150 dei contratti più confacente alle esigenze di protezione dell’imprenditore più debole nel settore degli accordi di distribuzione, attestando un livello di tutela senza eguali anche in riferimento alla fase critica dello scioglimento del rapporto. 1.4 Dalla tutela del consumatore a quella dell’imprenditore “debole”: “Unfair Terms in contracts between traders” e potenziali effetti sulla rete distributiva L’idea di introdurre nella CESL un controllo generale sugli unfair terms nei B2B contracts non costituisce una novità assoluta nel quadro dell’evoluzione del diritto europeo dei contratti. La disciplina attualmente contenuta nell’art. 86 della CESL trova il suo antecedente storico nell’art. 4:110 dei PECL che, attraverso un singolo enunciato normativo, individua i tre punti cardine su cui ancora oggi si sviluppa l’intero sistema: l’assenza di negoziazione quale indice tout court dell’unfairness; il significativo squilibrio del contratto quale risultato degli effetti della clausola; ed infine, l’inefficacia della clausola come rimedio generale per neutralizzare gli effetti dello squilibrio. Il contenuto della disposizione dei PECL, oltre a segnalarsi per l’elevato grado di chiarezza e di accessibilità del linguaggio, sottende un’unica medesima logica di fondo371: dinanzi al fenomeno dilagante della standardizzazione dei contratti tanto il consumatore quanto la piccola-media impresa vis à vis rispettivamente il professionista e la large company si trovano nella stessa condizione di asimmetria informativa che, in quanto tale, giustifica sia il medesimo tipo di controllo sia la medesima natura delle conseguenze derivanti dallo stesso372. In generale, si osserva che le esigenze di protezione del “contraente debole” nella fase delicata della formazione del contratto trovano di norma tra le sue princi- 371 Si esprime in termini di elogio sulla tecnica redazionale utilizzata D. MAZEAUD, Unfairness and Non-negotiated Terms, in Towards a European Contract Law, op. cit., 123 ss. 372 Sull’argomento, si veda, T. PFEIFFER, Non negotiated Terms, in Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, op. cit., 183-191. 151 pali manifestazioni gli artt. 2.1.19, 2.1.20 e 2.1.21 dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali che di fatto subordinano l’efficacia delle condizioni generali di contratto all’effettiva conoscenza e alla specifica accettazione delle stesse ad opera del contraente nei confronti del quale esse sono fatte valere373. Quest’ultima è l’impostazione tradizionalmente accolta dalla maggior parte degli ordinamenti degli Stati Membri che, in una prospettiva più formalista e conforme al principio della libertà contrattuale, rispondono tipicamente ad una logica di “prevention of oppression and unfair surprise”374 piuttosto che di riequilibrio del contenuto del contratto. In tali Paesi, infatti, prevale l’opinione seconda la quale l’unfair contracts terms review è questione specificamente attinente al solo diritto dei consumatori375. Cionondimeno in altri Stati dell’Unione la relativa legislazione non distingue tra le diverse categorie di contraenti, prevedendo meccanismi di controllo sull’unfairness attraverso il riferimento ai principi del diritto generale dei contratti376. In questa prospettiva, appare piuttosto problematico far discendere dai tradizionali metodi della comparazione giuridica soluzioni normative sul controllo delle clausole vessatorie nei rapporti B2B soprattutto ragionando in termini di “common core” o di “ius commune”.377 373 Così, L. PONTIROLI, La protezione del contraente debole nei “Principles of International Commercial Contracts” di UNIDROIT: much ado about nothing?, in Giur. Comm., I, 1997, 566 ss. Più ampiamente sugli standard terms of contract, si veda M. J. BONELL, Un codice internazionale del diritto dei contratti, Milano, 2004; F. FERRARI, I Principi dei contratti commerciali internazionali dell’UNIDROIT ed il loro ambito di applicazione, in Contr. Impr./Eu., 1996, 300 ss.; G. ALPA, Prime note di raffronto tra i principi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, ivi, 316 ss. 374 Così J. D. CALAMARI - J. M. PERILLO, Contracts, III ed., 1987, 399. 375 Secondo C. VON BAR - E. CLIVE – H. SCHULTE-NÖLKE et al. (eds.), Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), op. cit, 645, questi Paesi sono Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Polonia, Slovacchia e Spagna. 376 Cfr. art. 36 dello Scandinavian Contract Act; § 305 del BGB tedesco; Unfair Contract Terms Act (1977) del Regno Unito. 377 Il punto è efficacemente riassunto da M. W. HESSELINK, Unfair Terms in Contracts between Businesses, in Towards a European Contract Law, op. cit., 143 152 Occorre pertanto ricercare il fondamento della disciplina all’interno degli specifici obiettivi di politica commerciale dell’Unione Europea ed, in particolare all’interno delle indicazioni programmatiche contenute nel Libro Verde sulle possibili opzioni per un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese. Nel sancire il definitivo superamento del paradigma contrattuale classico fondato sulla parità formale dei contraenti, la disciplina delle clausole abusive nei rapporti B2B trova compiuta regolamentazione nella CESL attraverso il coordinamento delle norme generali di cui agli artt. 79-81, relative rispettivamente agli effetti, al campo di applicazione ed alla natura degli unfair terms e dell’art. 86 che definisce specificamente il significato di unfairness nei contratti B2B. In particolare, si definisce unfair la clausola contrattuale che non è stata oggetto di trattativa individuale ovvero quella che si presenta tale da determinare “a grossly deviation form good commercial practice” in contrasto con il canone di “good faith and fair dealing”.378 Ad ulteriore definizione del significato di unfairness soccorrono i criteri oggettivi che, in base a quanto stabilito dal paragrafo 2, devono guidare l’interprete nella valutazione complessiva della clausola: la natura del contenuto del contratto, le circostanze prevalenti al momento della conclusione, le altre clausole presenti nel medesimo contratto o negli altri contratti da cui lo stesso dipende379. In tale contesto, lo standard di ragionevolezza espresso nel criterio del good commercial practice 378 Cfr. CESL, art. 86: Meaning of unfair in contracts between businesses: (1) In a contract between traders, a contract term is unfair for the purposes of this Section only if: (a) it forms part of not individually negotiated terms within the meaning of Article 7; and (b) it is of such a nature that its use grossly deviates from good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing. Per completezza, si confronti anche DCFR, II. – 9:405: Meaning of “unfair” in contracts between businesses: A term in a contract between businesses is unfair for the purposes of this Section only if it is a term forming part of standard terms supplied by one party and of such a nature that its use grossly deviates from good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing; art. 7 paragrafo (1) della Direttiva 2011/7 sui ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. 379 Cfr. CESL, art. 86: Meaning of “unfair” in contracts between traders: (2) When assessing the unfairness of a contract term for the purposes of this Section, regard is to be had to: (a) the nature of what is to be provided under the contract; (b) the circumstances prevailing during the conclusion of the contract; (c) the other contract terms; and (d) the terms of any other contract on which the contract depends. 153 viene in rilievo nel suo duplice ruolo di misura di conoscibilità del volere dell’altra parte e di determinazione del significato oggettivamente ricostruibile da qualsiasi persona ragionevole380. La disciplina sull’unfairness test review è infine completata dall’art. 70 che stabilisce la regola secondo cui gli standard terms e le condizioni generali di contratto possono essere invocati dal predisponente soltanto se posti accuratamente all’attenzione della controparte381. Tuttavia, la CESL nulla dice in merito alle condizioni in presenza delle quali una clausola standard debba ritenersi incorporata all’interno del contratto. Il mancato recepimento del contenuto dell’art. 87 del Feasibility Study382 sugli effetti delle c.d. clausole a sorpresa comporta inevitabilmente la necessità di richiamare le norme generali sulla formazione del contratto le quali, in attesa di un intervento chiarificatore da parte della Corte di Giustizia, non è da escludersi possano far addivenire in concreto ad applicazioni divergenti. Inoltre, si rileva che il mancato riferimento dell’obbligo di transparency anche ai rapporti B2B è destinato a mitigare notevolmente la portata precettiva dell’art. 70 giacché in tali casi l’onere di portare all’attenzione della controparte gli standard terms potrebbe ritenersi soddisfatto anche mediante il mero riferimento ai documenti allegati al contratto383. 380 Suggestiva è la ricostruzione del significato del criterio di ragionevolezza nel diritto europeo operata da E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Eu. e dir. priv., 2012, 953 ss., la quale afferma che “Quando la ragionevolezza è utilizzata quale misura che un soggetto può conoscere, o può attendersi o può prevedere o, a fortiori, quale misura di ciò che si può pretendere o è dovuto o è esigibile, essa porta a ricostruire un modello di agente plasmato sulle circostanze del caso, comprese le condizioni in cui si trovava il medesimo agente, il quale deve tener conto delle ragioni che rendono accettabile la sua scelta.” 381 Cfr. CESL, art. 70: Duty to raise awareness of not individually negotiated contract terms: (1) Contract terms supplied by one party and not individually negotiated within the meaning of Article 7 may be invoked against the other party only if the other party was aware of them, or if the party supplying them took reasonable steps to draw the other party's attention to them, before or when the contract was concluded. 382 Cfr. CESL, art. 87: Surprising terms included in standard terms: “A term contained in standard terms supplied by one party which is of such a surprising nature that the other party could not have expected it is unfair for the purposes of this Section unless it was expressly accepted.” 383 Cfr. CESL, art. 70: Duty to raise awareness of not individually negotiated contract terms: 1. Contract terms supplied by one party and not individually negotiated within the meaning of Article 7 154 L’effettività del meccanismo di controllo complessivamente predisposto contro l’inserimento delle clausole abusive è demandato al carattere mandatory delle disposizioni anche se, in base all’attuale formulazione dell’art. 8 (3), non è precluso alle imprese che avranno optato per l’applicazione dello strumento opzionale di escludere parti dello stesso e, dunque, di estromettere dal relativo ambito di applicazione il riferimento alle rules sull’unfairness test review.384 Tuttavia, anche laddove le parti avranno optato per l’applicazione integrale della disciplina, il livello di protezione risulterebbe fortemente attenuato a causa della prevista esclusione dell’unfairness test agli “unclear core terms” inseriti nei B2B contracts385. La scelta dei redattori di stabilire un sistema di controllo diverso da quello previsto per i contratti del consumatore e, dunque, il distacco dall’impostazione precedentemente accolta nei PECL, sembra trovare il proprio fondamento nella profonda diversità dei presupposti che contrassegnano la qualità di imprenditore debole rispetto a quella di consumatore oltre che nell’esigenza di assicurare un più ampio margine di autonomia in sede di contrattazione tra imprese. Più precisamente, la diversa incisività del test di vessatorietà troverebbe spiegazione nel fatto che detto controllo si fonda non già sull’assunto generale che fa leva sulla “unequal bargai- may be invoked against the other party only if the other party was aware of them, or if the party supplying them took reasonable steps to draw the other party's attention to them, before or when the contract was concluded. 2. For the purposes of this Article, in relations between a trader and a consumer contract terms are not sufficiently brought to the consumer's attention by a mere reference to them in a contract document, even if the consumer signs the document. Sul punto, anche con riferimenti di carattere comparatistico, si veda M. B. M. LOOS, Standard Contract Terms Regulation in the Proposal for a Common European Sales Law, in Centre for the Study of European Contract Law Working Paper, 2012-04, consultabile sul sito www.ssnr.com. 384 La previsione normativa in esame è tra quelle di cui lo European Law Institute ritiene necessaria la modifica. In particolare, si veda lo Statement on the Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law, Part. A, III, (24) dove si legge che “Article 8(3) of the Regulation renders partial choice of the CESL possible in B2B contracts. There is however a contradiction between allowing partial choice in B2B contracts and the rule in Article 1(1) of the CESL according to which parties may not derogate from mandatory rules. The working group therefore recommends that the position is clarified in the text to make it clear that parties cannot, by way of partial choice, escape the application of mandatory rules (see ELI Article 3(4)).” 385 Cfr. CESL, art. 80 (3): “Section 3 (Unfair contract terms in contracts between traders) does not apply to the definition of the main subject matter of the contract or to the appropriateness of the price to be paid.” 155 ning position” bensì sulla necessità di garantire la libera esplicazione dell’autonomia negoziale del contraente386. A valle delle considerazioni di carattere generale sin qui compiute, si pone la questione sui potenziali effetti che l’applicazione della disciplina di parte generale della CESL potrebbe avere sui contratti di distribuzione i quali, per loro natura, tendono ad organizzarsi come nodi di un’unica supply chain. Molteplici, infatti, sono le situazioni che si potrebbero profilarsi a fronte della declaratoria di inefficacia della clausola vessatoria inserita nel contratto stipulato tra il franchisor ed uno dei suoi franchisees. In questi casi, infatti, posto che la creazione della rete distributiva è principalmente fondata su contratti standardizzati, verrebbe da chiedersi se l’inefficacia della clausola inerente ad un determinato contratto possa ritenersi automaticamente estesa anche alla medesima clausola contenuta negli stessi modelli contrattuali stipulati dal franchisor con tutti gli altri suoi franchisees. Tale soluzione, oltre ad essere coerente con le esigenze di semplificazione e di alleggerimento degli oneri a carico delle SMEs, apparirebbe particolarmente incisiva sul piano della policy di protezione del “contraente debole”. Inoltre, la percorribilità di tale opzione sarebbe resa possibile sul piano tecnico-giuridico attraverso il ricorso allo strumento dell’inibitoria già sperimentato con riguardo alla tutela degli interessi collettivi dei consumatori387. L’effettività del meccanismo complessivamente congegnato dipenderà, tra le altre cose, anche dall’approccio seguito dalla Corte di Giustizia in merito al controllo di vessatorietà, atteso che solo attraverso l’abbandono dell’attuale atteggiamento 386 Così, M. B. M. LOOS, Standard Contract Terms Regulation in the Proposal for a Common European Sales Law, op. cit., www.ssnr.com. 387 In generale, sul punto, si veda E. MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 1999; G. ALPA, Repertorio di giurisprudenza sulle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Milano, 2004; R. CONTI, Codice del Consumo. Una pagina nuova nella tutela consumeristica. Prime riflessioni sulla tutela in materia di clausole abusive, in Corr. Giur., 2005, 1749 ss.; 156 di ritrosia di fronte alla possibilità di un tale sindacato potrà prospettarsi un’applicazione realmente uniforme delle clausole contrattuali standard388. Nella stessa direzione, è auspicabile immaginare che alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 79, il ragionamento accolto dalla Corte in favore della rilevabilità d’ufficio del carattere vessatorio di una clausola nei contratti con i consumatori potrà ritenersi validamente applicabile anche in riferimento ai contratti commerciali di cui almeno una parte sia una SME, poiché solo in tal modo sarà possibile garantire l’effetto utile della tutela cui mira la disposizione di cui è stata espressamente riconosciuta natura imperativa389. 388 Cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell’1 aprile 2004, caso C-237/02 Freiburger Kommunalbauten Baugesellschaft/Hofstetter, [2004] ECR I-3403 laddove la Corte ha espressamente rifiutato di compiere il controllo di vessatorietà delle clausole previsto dalla Direttiva 93/13 sulle clausole abusive affermando che una tale valutazione è strettamente legata a quanto previsto dal diritto nazionale applicabile. 389 Cfr. Sentenza della Corte di Giustizia, del 26 ottobre 2006, case C-168/05, Mostaza Claro/Centro Móvil Milenium, [2006] in ECR, 10421 ss.; conformemente, sentenza della Corte di Giustizia del 4 giugno 2009, case C-243/08 (Pannon/ Györfi) [2009], in ECRI, 4713 ss. 157 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Contratti d’impresa e restrizioni verticali. Agenzia, franchising, commissione, mediazione, spedizione, a cura di R. Guidotti e N. Soldati, Milano, 2004; AA.VV., I contratti di distribuzione commerciale. La disciplina comunitaria, l’ordinamento interno, Milano, 1993; AA.VV., Il diritto europeo dei contratti tra parte generale e norme di settore, a cura di E. Navarretta, Milano, 2007; AA.VV., Fonti e tipi del contratto internazionale, a cura di U. Draetta – C. Vaccà, Milano, 1991; AA.VV., Le droit commun européen de la vente. Examen de la pro position de Réglement du 11 octobre 2011, Paris, 2012; AA.VV., Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. 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