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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA
DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO ITALIANO E COMPARATO
CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN
DIRITTO PRIVATO COMPARATO E DIRITTO PRIVATO DELL’UNIONE EUROPEA
CICLO XXV
TITOLO DELLA TESI
“DISTRIBUTION AGREEMENTS” NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI
TRA AUTONOMIA PRIVATA ED ISTANZE DI PROTEZIONE DEL “CONTRAENTE DEBOLE”
TUTOR
DOTTORANDA
Chiar.ma Prof.ssa Anna VENEZIANO
Dott.ssa Alessandra DE MARCO
COORDINATORE
Chiar.mo Prof. Ermanno CALZOLAIO
ANNO 2013
1
“DISTRIBUTION AGREEMENTS” NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI
TRA AUTONOMIA NEGOZIALE ED ISTANZE DI PROTEZIONE DEL “CONTRAENTE DEBOLE”
INDICE
INTRODUZIONE
Obiettivi, metodo e struttura della ricerca
5
CAPITOLO I
LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE IN EUROPA: ORIGINE E DEFINIZIONE DELLA CATEGORIA
1.1 Il fenomeno della distribuzione commerciale in Europa: tra regole di concorrenza e diritto dei contratti
9
1.2 Il trittico: agenzia commerciale, concessione di vendita e franchising
nell’esperienza giuridica degli Stati Membri
19
1.3. La dimensione normativa degli accordi di distribuzione nello spazio giuridico europeo: carenze e inefficienze del sistema attuale
24
CAPITOLO II
LO “EUROPEAN LEGAL FRAMEWORK” IN MATERIA DI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE
1.1 I contratti di distribuzione nel processo di armonizzazione del diritto privato europeo
1.1.1 Il Draft Common Frame of Reference (DCFR): tra disciplina della parte
generale del contratto e norme di settore
30
1.1.2 I contratti di distribuzione nel disegno sistematico del DCFR
38
1.1.3 Le origini della disciplina europea sui Distribution Agreements: i Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution
Contracts (PEL CAFDC)
41
1.2 Verso un strumento di diritto opzionale per i contratti di distribuzione?
1.2.1. Il diritto europeo dei contratti nel passaggio dal DCFR alla Common European Sales Law (CESL)
2
44
1.2.2 Il recupero dei PEL CAFDC per uno strumento di diritto opzionale in materia di contratti di distribuzione: “the way forward”
49
CAPITOLO III
I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE NEI “PRINCIPLES OF EUROPEAN LAW ON COMMERCIAL AGENCY, FRANCHISE AND DISTRIBUTION CONTRACTS (PEL CAFDC)”
1.1 “Disclosure” e “co-operation” nel sistema dei PEL CAFDC
1.1.1. Gli obblighi di informazione tra “general provisions” e norme speciali
57
1.1.2. La “co-operation” come criterio generale di disciplina
65
1.1.3 Alcuni spunti per un’indagine comparatistica sulle “disclosure clauses”
69
1.2 “Unilateral Ending”: un passo in avanti verso la “legal certainty”
1.2.1 Recesso unilaterale e contratti di durata nella prassi del commercio internazionale
80
1.2.2 Il recesso unilaterale nei contratti a tempo indeterminato: tra default rules e norme imperative
84
1.2.3 Primo esempio di applicazione pratica del DCFR. La sentenza della Corte
Suprema di Svezia sul “reasonable period of notice”
89
1.3 Anomalie e rimedi nei rapporti di distribuzione: “damages”, “indemnity of goodwill” e obbligo di riacquisto delle scorte invendute
91
CAPITOLO IV
IL “CONTRAENTE DEBOLE” NELLA PROSPETTIVA DEL DIRITTO EUROPEO
1.1. L’ imprenditore “debole” nel diritto europeo: cenni ricostruttivi della disciplina
1.1.1 L’imprenditore “debole” nel diritto internazionale privato europeo: gli
esempi specifici dell’agente, del franchisee e del distributore
100
3
1.1.2 Le ultime frontiere del diritto contrattuale europeo: verso la formazione
di un “Business to Business Acquis” in materia di contratti
106
1.2 Fondamento e limiti della tutela dell’imprenditore “debole” nel diritto europeo:
il ruolo della buona fede oggettiva
118
1.3 Prime aperture verso una disciplina sostanziale dei rapporti commerciali “B2B”.
1.3.1 L’approccio generale del Draft Common Frame of Reference (DCFR)
127
1.3.2 I contratti “B2B” nella Common European Sales Law (CESL): profili e limiti
della disciplina
129
CAPITOLO V
ALCUNI SPUNTI PER UNA DISCIPLINA GENERALE DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE E TUTELA
DEL “CONTRAENTE DEBOLE”
1.1 Gli obblighi di informazione nella fase precontrattuale: tra regole di validità e
norme di comportamento
133
1.2 Esecuzione del contratto e tutela del “contraente debole”: rimedi contro
l’“unfair exploitation”
141
1.3 La patologia del contratto: risoluzione del contratto per inadempimento del
franchisee o del distributore
145
1.4 Dalla tutela del consumatore a quella dell’imprenditore “debole”: “Unfair Terms
in contracts between traders” e potenziali effetti sulla rete distributiva
151
BIBLIOGRAFIA
158
4
INTRODUZIONE
Obiettivi, metodo e struttura della ricerca
L’obiettivo della presente ricerca è di verificare se ed in quale misura sia possibile affermare l’esistenza, nell’attuale quadro del diritto europeo dei contratti, di
regole sufficientemente coerenti in grado di soddisfare le istanze di protezione del
contraente debole all’interno della dinamica negoziale propria dei contratti di distribuzione commerciale.
E’ noto come la crescente attenzione mostrata dal diritto contrattuale europeo verso il raggiungimento di una giustizia contrattuale sostanziale abbia indotto a
riflettere sulla possibilità di estendere i meccanismi analoghi a quelli predisposti a
tutela del consumatore anche a tutti coloro che, nei rapporti di mercato, si trovano
a dover subire gli effetti negativi di un’asimmetria di potere contrattuale. Questo
partendo dalla premessa che la disparità di bargaining power, come osserva la
scienza economica, costituisce un fattore fisiologico insito nella natura dei rapporti
di distribuzione commerciale dove gli agenti, i concessionari o i franchisees si inseriscono come intermediari integrati all’interno di una struttura organizzativa governata e diretta dall’impresa affiliante, potenzialmente in grado di abusare della sua posizione imponendo condizioni contrattuali oggettivamente inique.
D’altro canto, non si può non rilevare la difficoltà insita nell’attribuire rilevanza allo status dei soggetti, contemperando le istanze protezionistiche di derivazione
comunitaria con il diritto generale dei contratti che risulta ancora oggi primariamente ispirato al principio dell’eguaglianza giuridica dei contraenti.
In tale contesto, le iniziative di armonizzazione ed uniformazione del diritto
promosse a livello internazionale ed europeo costituiscono l’espressione più compiuta di un approccio complessivo alla problematica, ponendo le premesse metodo-
5
logiche e sostanziali per un possibile futuro intervento nel settore specifico della distribuzione commerciale.
Sulla scia della recente tendenza all’elaborazione di strumenti non vincolanti
di origine accademica in materia di diritto contrattuale europeo, la proposta di lavoro, che i successivi capitoli intendono sostenere, è della opportunità di partire da
uno strumento specifico per i contratti di distribuzione quali i Principles of European
Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) elaborati all’interno dello Study Group on a European Civil Code per giungere ad uno
strumento opzionale di regolamentazione della materia. Si osserva infatti che, qualora dovesse essere recepita come oggetto di un regime opzionale, la disciplina prevista nei PEL CAFDC verrebbe a rappresentare un’alternativa molto attraente per gli
operatori economici, realizzando un efficiente bilanciamento tra il principio di “freedom of contract” e le istanze di “weaker party protection”.
A tali conclusioni si potrà pervenire attraverso una compiuta disamina delle
soluzioni proposte con riguardo alle fasi cruciali che scandiscono il life-cycle dei contratti di distribuzione ed una successiva comparazione tra il livello di protezione
raggiunto dal diritto europeo e quello generalmente assicurato dai diritti nazionali.
Il lavoro di ricerca è strutturato secondo il metodo tradizionale della scienza
comparatistica, vale a dire, attraverso l’analisi sistematica di un “selected core” di
obbligazioni secondo l’approccio funzionale indicato dai due massimi esponenti del
metodo, i professori K. Zweigert e H. Kötz1. Inoltre, limitatamente ad alcuni aspetti
specifici, si farà ricorso ai contributi dell’analisi economica come ulteriore fonte di
dati a completamento del quadro normativo di riferimento.
Nel Capitolo I, La distribuzione commerciale in Europa: origini e definizione
della categoria, si cercherà di ricostruire le origini della disciplina dei contratti di di-
1
K. ZWEIGERT – H. KÖTZ, Introduction to Comparative Law, 3 ed., Oxford, 1998.
6
stribuzione, individuando le caratteristiche di un sistema evolutosi a partire da una
considerazione del fenomeno in chiave esclusivamente concorrenziale.
La matrice economica prima che giuridica della categoria ha reso tradizionalmente incerta l’individuazione di un vero e proprio “tipo” contrattuale e, di conseguenza, l’enucleazione di una disciplina sostanziale volta all’inquadramento sistematico dei modelli negoziali singolarmente riferibili alla formula della distribuzione
integrata.
Nel Capitolo II, Lo “European Legal Framework” in materia di contratti di distribuzione, si pongono le premesse per la successiva ricerca, anticipandone in parte
alcuni risultati. In particolare, si procederà ad inquadrare la disciplina dei contratti
di distribuzione attraverso la ricostruzione delle più recenti vicende del diritto europeo dei contratti, sottolineando il difficile rapporto tra regole di parte generale e
regole speciali. Soffermando l’attenzione sulla disamina della natura e degli obiettivi
dei PEL CAFDC verranno illustrate le ragioni per le quali si ritiene che detti principi
soddisfino l’esigenza di tutela del contraente “debole” in misura maggiore e più esaustiva rispetto alle analoghe regole che sono confluite nel DCFR (Libro IV Parte E.).
Nel Capitolo III, I contratti di distribuzione nei “Principles of European Law on
Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC)” saranno
analizzati gli aspetti essenziali dei contrati di distribuzione, assumendo ad oggetto
della comparazione le Rules ed i Principles dei PEL CADFC con riguardo specifico ai
seguenti profili: doveri di informazione, co-operation, recesso unilaterale, invalidità,
damages e protezione dell’avviamento commerciale. Per ciascuno degli aspetti considerati si procederà ad una descrizione della disciplina offerta dai PEL CAFDC seguita dall’immediata disamina delle tendenze prevalenti negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri, allo scopo di segnalare con maggiore evidenza le differenze tra i
vari sistemi.
7
Nel Capitolo IV, Il “contraente debole” nella prospettiva del diritto europeo,
saranno esaminati gli aspetti della disciplina europea che hanno ad oggetto di specifica regolamentazione anche (e soprattutto) le relazioni contrattuali tra imprese,
chiedendosi se sia possibile affermare la tendenza verso la formazione di un “B2B
Acquis” in materia di contratti. In tale prospettiva, sarà passata in rassegna tutta la
normativa comunitaria rilevante sul punto, prendendo in considerazione le indicazioni fornite dal diritto internazionale privato così come dal diritto derivato e dalle
proposte di soft law relative al diritto comune dei contratti.
Nel Capitolo V, Premesse per una disciplina generale dei contratti di distribuzione e tutela del “contraente debole”, verranno individuati i tratti fondamentali del
quadro normativo che sarà possibile delineare a seguito dell’entrata in vigore della
proposta di Regolamento per un diritto comune della vendita (CESL). In conclusione,
si vorranno esaminare quegli aspetti per cui si riterrà opportuno integrare la disciplina di parte generale regolata nella CESL mediante il ricorso ad un eventuale regime opzionale in materia di contratti di distribuzione commerciale.
8
CAPITOLO I
LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE IN EUROPA: ORIGINE E DEFINIZIONE DELLA CATEGORIA
1.1. Il fenomeno della distribuzione commerciale in Europa: tra regole di concorrenza e diritto dei contratti
Com’ è noto, il fenomeno di progressiva armonizzazione del diritto privato europeo si è imposto di pari passo all’obiettivo originario della realizzazione di uno
“spazio economico” destinato alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Pertanto, l’azione legislativa dell’Unione si è da sempre attestata su di una
stretta correlazione tra attività economica e forme giuridiche, chiamate ad adattarsi
alle esigenze del mercato nell’ambito delle specifiche competenze previste dal Trattato.
L’adozione di un tale “functional approach” nello sviluppo dei temi del diritto
privato ha contraddistinto ogni area di intervento ivi compresa quella relativa alla
definizione dei rapporti tipici della distribuzione commerciale, i quali hanno storicamente costituito il banco di prova per l’attuazione della legislazione antitrust europea2. Sin dai primi anni sessanta, infatti, le specificità riscontrabili nei rapporti tra
produttori e distributori hanno assunto rilevanza sul piano normativo esclusivamente sotto il profilo della compatibilità di tali accordi con il divieto di intese restrittive
della concorrenza di cui all’art. 101 del TFUE e sulla loro esentabilità ai sensi dell’art.
101 § 33. Ne è derivata una disciplina di settore che qualifica indistintamente i contratti di distribuzione come “accordi verticali” e che assume ad oggetto della propria
2
Una raffinata analisi del fenomeno della correlazione tra attività economica e forme giuridiche è
presente in J. BASEDOW, Codification of Private Law in the European Union. The Making of a Hybrid,
in European Rev. of Private L., 2001, 35 ss.; U. DROBNING, Un droit commun de contracts pour le
Marché Commun, in Rev. int. dr. comp., 1998, 26 ss.
3
Per una visione d’insieme della politica europea della concorrenza si vedano, tra gli altri, D. GOYER, EC Competition Law, Oxford, 1998; C. BELLAMY – G. CHILD, European Community Law of Competition, London, 2001. Nella dottrina italiana si segnalano i contributi di F. DENOZZA, La disciplina
della concorrenza e del mercato, in Giur. Comm., I, 1988, 366 ss.; R. PARDOLESI, Intese restrittive della libertà di concorrenza, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, L. C. UBERTAZZI, vol. I, Bologna, 1993.
9
regolamentazione le sole clausole che ricadono sotto il divieto di cui all’art. 101 § 1
TFUE4 .
In particolare, per accordi di distribuzione commerciale devono intendersi
quei contratti che danno luogo un rapporto di collaborazione stabile fra i contraenti
dei quali, l’uno, il distributore, si obbliga a promuovere la conclusione di contratti
per conto dell’altro, assumendo in tutto o in parte i rischi connessi alla distribuzione
a seconda che lo stesso acquisti la proprietà (concessionario di vendita) o entri solo
nella disponibilità dei beni del produttore/fornitore (agente di commercio)5.
I tratti comuni più significativi di siffatta categoria sono da ricercarsi in sostanza nel carattere duraturo della relazione contrattuale e nella natura fiduciaria del
vincolo contraddistinto dall’obbligo del distributore di promuovere le vendite del
produttore e dalla condotta collaborativa dei contraenti; un ulteriore fattore di caratterizzazione è rappresentato dall’attribuzione, in favore del medesimo, di una
posizione di privilegio rispetto alla generalità dei concorrenti che può tradursi, a seconda dei casi, nel riconoscimento di un’esclusiva territoriale di vendita, di
un’esclusiva di acquisto ai fini della rivendita e/o di una licenza di know-how e del
diritto all’uso dei segni distintivi6.
4
Per una più attenta disamina dei rapporti tra funzione distributiva e possibili effetti anticoncorrenziali degli accordi di distribuzione, si veda, R. PARDOLESI, Regole antimonopolistiche del Tratto
C.E.E. e contratti di distribuzione: tutela della concorrenza o dei concorrenti?, in Foro It., IV, 1978, 83
ss; R. BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa comunitaria, Padova, 1984; R. LINDA, La distribuzione commerciale in Europa. Scenari e prospettive per il mercato unico, Milano, 1989;
M. TUPPONI – E. GHIROTTI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa comunitaria, Milano, 2000; F. BORTOLOTTI, Manuale di Diritto Commerciale Internazionale, Vol. III, La distribuzione
internazionale, CEDAM, 2002; R. GUIDOTTI – N. SOLDATI, (a cura di), Contratti d’impresa e restrizioni
verticali, Milano, 2004.
5
Il presente lavoro muove dall’impostazione metodologica condivisa dalla maggior parte della
dottrina italiana ed internazionale che ha cercato di definire i contorni di una categoria giuridica unitaria attraverso l’individuazione dei tratti comuni che caratterizzano i diversi e variegati assetti negoziali relativi alla distribuzione integrata. Così, R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979;
R. BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell’Europa comunitaria, op. cit, secondo il quale
oggi può parlarsi di “diritto della distribuzione commerciale” come materia a sé stante. Analogamente in Germania, questa impostazione è accolta da M. MARTINEK – F.J. SEMLER, Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 1996 ed in Francia da D. FERRIER, Droit de la Distribution, Parigi, 2006.
6
Sulla natura e sul contenuto delle clausole di esclusiva che accedono ai singoli accordi di distribuzione, si veda l’analisi condotta da R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il
10
Trattandosi di accordi intercorrenti tra due o più soggetti che occupano stadi
diversi del processo tecnico di produzione e di commercializzazione di un determinato prodotto, i contratti di distribuzione producono sul piano economico effetti di
natura ambivalente, incidendo sulla funzionalità dei mercati in termini spesso contraddittori.
Gli studi della scienza economica moderna enfatizzano i risultati derivanti dal
ricorso alla formula commerciale della distribuzione giacché, se coerentemente e
opportunamente utilizzata, garantisce una maggiore efficienza del processo distributivo ed una migliore ottimizzazione degli investimenti. Nello specifico, i vari
schemi pattizi di integrazione verticale consentono ai distributori di massimizzare le
opportunità di guadagno collegate alla commercializzazione delle merci mediante
l’abbattimento dei costi iniziali di esercizio e ai produttori di penetrare stabilmente
all’interno di nuovi mercati attraverso una politica distributiva specificamente ritagliata in base alle strategie imprenditoriali rispettivamente adottate7.
Sotto diverso profilo, l’osservazione empirica del fenomeno mostra che, in
presenza di determinate condizioni, l’operatività delle clausole di esclusiva è di ostacolo alla realizzazione di una workable competition8 all’interno del mercato rilevante cagionando, a seconda dei casi, l’esclusione dell’accesso al mercato di altri
franchising, Milano, 2001, 63-76, 133-134, 145-148; F. BORTOLOTTI, Manuale di Diritto Commerciale
Internazionale, Vol. III, La distribuzione internazionale, op. cit., 115-123, 268-273, 328-337;
7
In proposito, si segnalano le intuizioni di R. COASE, The Nature of the Firm, in 4 Economics, 386,
1937 e di O. E. WILLIAMSON, Markets and Hierachies: Analysis and Antitrust Implications, New York
1975. In sintesi, entrambi hanno evidenziato che le intese verticali rappresentano un’alternativa economicamente efficiente all’integrazione strutturale dell’impresa. Con la “disintegrazione” del ciclo
produttivo mediante la devoluzione della fase distributiva ad altro imprenditore ed il mantenimento
della direzione strategica da parte del produttore, si eliminano i costi legati al passaggio di informazioni caratteristiche sul prodotto, evitando che la concorrenza possa venirne a conoscenza e trarne
vantaggio.
In particolare, il § 116 delle Guidelines individua alcune situazioni di efficienza delle restrizioni
verticali: superamento del parassitismo tra imprenditori; maggiore facilità nell’accesso ai nuovi mercati; aumento degli incentivi per investimenti specifici; trasferimento know-how; migliore sfruttamento delle economie di scala; maggiore uniformità e standardizzazione della qualità.
8
L’origine del concetto di “workable competition” si deve a CLARK, Towards a concept of workable competition, in The American Review, 1940 ed è entrato successivamente nell’esperienza europea a seguito della sentenza Metro, Corte di Giust. CE, 13 gennaio, 1994, C-376/92.
11
fornitori o di altri acquirenti attraverso l’innalzamento di barriere all’entrata, la riduzione dell’intrabrand competition fra i distributori appartenenti alla medesima rete ovvero la limitazione della libertà dei consumatori di acquisire beni e servizi in
qualsiasi Stato membro dell’Unione9.
In tale prospettiva, la politica antitrust europea si caratterizzava originariamente per il suo approccio estremamente rigoroso in quanto, spinta dall’assoluta
necessità di promuovere l’integrazione dei mercati, sanzionava indistintamente tutti
i comportamenti imprenditoriali in grado di pregiudicare in modo sensibile il commercio intra-comunitario10.
Tenendo conto della possibile incidenza negativa sugli obiettivi di integrazione
economica, il diritto europeo della distribuzione si è sviluppato tra il 1965 ed il 1988
attraverso una pluralità di regolamenti aventi ad oggetto la mera definizione di
clausole contrattuali assolutamente vietate riferibili agli accordi di distribuzione selettiva, di acquisto in esclusiva ai fini della rivendita (specie di birra e di benzina), di
franchising e di vendita di autoveicoli11.
9
Sull’argomento, tra gli altri, V. KORAH, An Introductory Guide to EC Competition Law and Practice, London, 1994; A. FRIGNANI – M. WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, Torino,
1996; J. FAULL – A. NIKPAY, The EC Law of Competition, Oxford, 1999; C. BELLAMY – G. CHILD, European Community Law of Competition, op. cit.
10
Il principio dell’irrilevanza degli accordi che non incidono in misura sensibile sul mercato è stato
accolto dalla Corte di Giustizia con la sentenza Völk-Vervaecke del 9 luglio 1969, in Racc., 1969, 295,
con riferimento ad un accordo avente un oggetto inequivocabilmente restrittivo della concorrenza.
In particolare, la Corte affermava che “… L’accordo non ricade sotto il divieto dell’art. 85 qualora, tenuto conto della debole posizione dei partecipanti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, esso non
pregiudichi il mercato in misura rilevante.”
A partire dalla comunicazione sui c.d. “accordi di importanza minore” del 27.5.1970, in GUCE del
2.6.1970, 1 ss., la Commissione europea ha ulteriormente precisato tale principio attraverso la fissazione di quote di mercato al di sotto delle quali il divieto dell’art. 101 del TFUE deve considerarsi inapplicabile.
Da ultimo, si veda il Regolamento/UE 330/2010 del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione
dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, GUE del 23.4.2010, L 102/1, il cui art. 3: Soglia della quota di
mercato prevede che “L’esenzione di cui all’articolo 2 si applica a condizione che la quota di mercato
detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall'acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto.”
11
Cfr. Regolamento CEE 1983/83, del 22 giugno 1983, relativo agli accordi di distribuzione esclusiva; Regolamento CEE 1984/83 del 22 giugno 1983, relativo agli accordi di acquisto in esclusiva ai
fini della rivendita, entrambi pubblicati in GUCE L 173 del 30 giugno 1983; Regolamento 123/85, sugli
12
Sennonché l’eccessiva rigidità del sistema normativo e l’assenza di norme atte
a consentire l’individuazione di univoci criteri di collegamento tra ciascun tipo contrattuale ed il Regolamento ad esso pertinente introduceva livelli di incertezza giuridica che collidevano macroscopicamente con lo spirito dell’esenzione per categoria, determinandone l’ingestibilità e lo scollamento progressivo dall’analisi economica e dalla realtà contrattuale12.
Spinte dunque dalla necessità di operare una revisione globale della propria
politica della concorrenza, le istituzioni dell’Unione hanno optato per l’adozione di
un approccio più organico alla materia dapprima con la pubblicazione del Libro Verde del 1997 sulle restrizioni verticali13 e poi con l’entrata in vigore del Regolamento
2790/99/CE14 ora sostituito, con poche varianti, dal Regolamento 330/2010 (UE)15.
accordi di distribuzione degli autoveicoli ed i servizi di assistenza alla clientela, in GUCE L 15 del 18
gennaio 1985; Regolamento 4087/88 del 30 dicembre 1988, sugli accordi di franchising in GUCE L
359 del 28 dicembre 1988.
12
Sotto il regime previgente, infatti, nulla veniva precisato in merito all’eventualità di possibili
conflitti fra l’uno e l’altro Regolamento, pur considerando le zone grigie e le sovrapposizioni riscontrabili ogni volta che le varie forme di distribuzione assumevano indifferentemente i tratti di diverse
tipologie contrattuali. Del resto, la possibilità di ricondurre gli accordi ai Regolamenti “pertinenti”,
prescindendo dalla circostanza che l’oggetto degli stessi costituisse materia di specifici Regolamenti
di esenzione per categoria, è stata esplicitamente affermata dalla stessa Commissione nella XVIII Relazione sulla politica della concorrenza, Lussemburgo, 1989, 39, nella quale si affermava che il Regolamento 4087/88 assumeva il ruolo di legge quadro nella cui cornice si collocavano gli ulteriori Regolamenti relativi ai contratti di distribuzione commerciale. Così, in particolare, C. VACCA’, Gli accordi di
franchising, il controllo sulla formazione del contratto e le condizioni di fine rapporto, in Riv. dir.
comm. int., 1990, 247-248.
13
Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica della concorrenza comunitaria, doc. COM
(96) fin. In dottrina, si veda, M. V. LEONE, Il Libro Verde sulle restrizioni verticali: una nuova politica
della concorrenza?, in Contr. Impr./Eur., 1997, 783 ss.; R. RINALDI – R. RAPUANO, La politica comunitaria della concorrenza e le intese verticali: un nuovo approccio, in Dir. comm. int., 1999, 423 ss.; I.
VAN BAEL, Antitrust e distribuzione in Europa – una nuova politica per il prossimo secolo?, in Concorrenza e mercato, 1997, 231 ss.
14
Regolamento CEE 2790/1999 della Commissione del 22 dicembre 1999 relativo all’applicazione
dell’art. 81 paragrafo 3 del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, pubblicato in GU L 336 del 29 dicembre 1999. In proposito, si vedano i contributi raccolti nel dibattito
all’indomani della sua entrata in vigore, F. BORTOLOTTI, Il problema delle soglie di mercato nel nuovo
regolamento di esenzione sulle restrizioni verticali. Osservazioni critiche e proposte, in Contr. Impr.
/Eu, 1999, 535 ss.; R. RINALDI, Il nuovo regolamento della Commissione europea sugli accordi verticali, in Dir. comm. int., 2000, 479 ss.; A. VENEZIA, La nuova politica comunitaria in materia di restrizioni
verticali ed il regolamento 2790/1999, in I Contratti, 2000, 1042 ss.
15
Regolamento UE 330/2010 del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in GUE L 102/1 del 22 aprile 2010.
13
Il processo di modernizzazione del diritto europeo della concorrenza appare
dunque contrassegnato da una svolta metodologica fondamentale nella determinazione dello strumentario giuridico a disposizione, dando atto della necessità di richiamare una maggiore attenzione sui profili economici delle intese restrittive. In
particolare, indicando la rule of reason delle restrizioni verticali nell’attitudine ad incrementare l’efficienza economica della filiera produttivo-distributiva16, il regolamento 2790/99 contiene il riferimento ad una nozione omnicomprensiva di “accordi
verticali” nel cui contesto si è affermata la regola generale secondo cui tutto ciò che
non è espressamente vietato è implicitamente autorizzato17.
La matrice economica prima che giuridica della categoria dei contratti di distribuzione ha reso tradizionalmente incerta l’individuazione di un vero e proprio
“tipo” contrattuale e, di conseguenza, l’enucleazione di una disciplina sostanziale
volta all’inquadramento sistematico dei modelli negoziali singolarmente riferibili alla formula della distribuzione integrata.
Gli studi nel settore del commercio nazionale ed internazionale evidenziano
infatti una tipologia diversificata e non completamente esaustiva poiché la nozione
16
Cfr. Considerando (6) e (7) del Regolamento UE 330/2010 “Alcuni tipi di accordi verticali possono incrementare l’efficienza economica nell’ambito di una catena produttiva o distributiva permettendo un migliore coordinamento tra le imprese partecipanti. In particolare, essi possono contribuire a ridurre i costi delle transazioni commerciali ed i costi di distribuzione delle parti e possono
altresì consentire un livello ottimale dei loro investimenti e delle loro vendite.” “La probabilità che
tali incrementi di efficienza possano controbilanciare gli eventuali effetti anticoncorrenziali derivanti
dalle restrizioni contenute negli accordi verticali dipende dal grado di potere di mercato delle parti
dell’accordo e pertanto dalla misura in cui tali imprese sono esposte alla concorrenza di altri fornitori
di beni o servizi che siano considerati intercambiabili o sostituibili dai loro clienti, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati.”
17
Nel contesto del nuovo Regolamento sono automaticamente esentate tutte le clausole restrittive, con la sola eccezione di un numero limitato di pattuizioni inammissibili, previste dall’art. 4
(prezzi imposti, restrizioni alla libertà dell’acquirente relative alla rivendita dei prodotti, etc.) e
dall’art. 5 (obblighi di non concorrenza eccedenti i cinque anni). In senso opposto, la disciplina contenuta nei regolamenti precedenti, come ad esempio il Regolamento CE 1983/83 ovvero 1984/83, in
base alla quale era sufficiente la presenza di una sola clausola restrittiva non espressamente autorizzata dal regolamento per far perdere il beneficio dell’esenzione ad un accordo per il resto conforme
all’esenzione per categoria.
Per un’analisi approfondita delle nuove tendenze, si veda E. GENTILE, La svolta di inizio millennio
del diritto comunitario della concorrenza: il nuovo approccio economico, la semplificazione delle
norme, la cooperazione internazionale e la modifica del regolamento 17/62, in Contr. Impr./Eu.,
2000, 557 ss.
14
di distribuzione talvolta è intesa in senso ampio, ricomprendendo tutti quei “complessi meccanismi rivolti a colmare le distanze tra produzione e consumo”18, talaltra
è interpretata in senso restrittivo, escludendo dal relativo ambito sia i contratti di
agenzia sia quelli di franchising19. Né è possibile rinvenire criteri interpretativi utili
nella giurisprudenza consolidatasi sotto la vigenza della Convenzione di Vienna del
1980 sulla vendita internazionale di beni mobili20 dove la nozione di contratti di distribuzione è considerata solo in opposizione a quella di “compravendita” per escluderla dal campo di applicazione ratione materiae del testo uniforme, senza tuttavia individuarne gli elementi di tipizzazione21.
L’attuale quadro normativo europeo affronta dunque la disciplina delle restrizioni verticali in modo globale, dettando regole applicabili in via generale a tutti i tipi di accordi ed assumendo come punto di partenza della disciplina il tipo di restrizione della concorrenza piuttosto che la qualificazione del modello negoziale da cui
originano gli effetti discorsivi del mercato.
18
Così G. SANTINI, Il commercio. Saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, 117 ss. Si collocano nella medesima direzione, le ricostruzioni di R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., che
approfondisce in una prospettiva comparatistica gli aspetti più rilevanti delle tipologie negoziali rientranti nella categoria in esame; G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983; A. BALDASSARRI, I contratti di distribuzione, Agenzia - Mediazione – Concessione di
vendita - Franchising, Padova, 1989.
19
E’ questo il caso del Regolamento CE 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali (Roma I), pubblicato in GU L 176 del 4 luglio 2008, per il cui art. 4.1 il contratto di distribuzione non comprende il contratto di franchising a cui è specificamente dedicato il
paragrafo successivo.
20
Convenzioni delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di merci dell’11.4.1980.
La Convenzione è stata ratificata dall’Italia con L. dell’11.12.1985, n. 765 ed è entrata in vigore
l’1.1.1988. Per una disamina della disciplina della CISG e del suo impatto sulla prassi del commercio
internazionale si vedano, tra gli altri, P. SCHLECHTRIEM – I. SCHWENZER, Commentary on the UN
Convention on the International Sale of Goods (CISG), Oxford, 2010; C. WITZ, Droit uniforme de la
vente international de merchandises, Paris, 2010; H. BERNSTEIN - J. LOOKOFSKY, Understanding the
CISG in Europe, The Hague/ London/ New York, 2 ed., 2002; M. J. BONELL, UNILEX on CISG & UNIDROIT Principles - International Case Law & Bibliography, Center for Comparative and Foreign Law
Studies, in www.unilex.info.
21
Un esempio, tra tutti, la sentenza di Cass. sez. un. 14 dicembre 1999, n. 895, Sanitari Pozzi
S.p.a. c. Imperial Bathroom Company, (nel caso specifico la società inglese si era obbligata ad acquistare e distribuire sul mercato inglese tre linee di prodotti, ad acquistare una quantità minima di
prodotti ogni anno e a pagare la merce ordinata entro i termini previsti dal contratto), in ELF,
2000/01, 10 ss., in nota F. FERRARI, Il contratto di distribuzione quale contratto (non) contemplato
dalla Convenzione di Vienna. Nel senso del testo la giurisprudenza di molti tribunali europei e di arbitrati internazionali.
15
Tale impostazione se da un lato è in grado di favorire una maggiore uniformità
di trattamento delle restrizioni simili all’interno di accordi di tipo diverso, dall’altro,
rende più difficoltosa l’esatta individuazione delle regole applicabili a ciascun tipo di
accordo, essendo necessario verificare, per ciascuno di essi, quali disposizioni del
regolamento pertinente siano in concreto applicabili.
Si pensi, ad esempio, agli effetti derivanti dalla stipulazione di un contratto di
franchising finalizzato alla costituzione di un sistema di distribuzione selettiva ossia
di una rete in cui i prodotti possono essere commercializzati solo da rivenditori accuratamente selezionati e numericamente individuati in base alle scelte discrezionali del franchisor. In tale circostanza, la tenuta del tipo contrattuale sotto il profilo
della conformità del regolamento negoziale alla disciplina antitrust vigente presuppone l’esatta individuazione “a monte” anche dei divieti propriamente riferibili agli
accordi di distribuzione selettiva22.
Inoltre, la rigidità di un sistema basato sulla mera enunciazione di clausole restrittive vietate (quali quelle di cui agli artt. 4 e 5 del Reg. 330/2010) e del tutto
svincolate da ogni riferimento all’oggetto e alla causa delle singole operazioni negoziali non appare sempre compatibile con l’assetto di interessi di volta in volta divisato dai contraenti, introducendo così una certa indeterminatezza all’interno del meccanismo europeo di public enforcement.
A titolo esemplificativo vengono in rilievo le sorti antitetiche cui incorre una
clausola di non concorrenza di durata superiore a cinque anni a seconda che essa
venga inserita nel contesto di un contratto di distribuzione esclusiva ovvero di franchising. Nel primo caso, il dato normativo di riferimento è senz’altro rappresentato
dall’art. 5 lett. a) del Regolamento 330/2010 che esclude l’applicazione
22
Cfr. art. 4 lett. c) e d) e art. 5 lett. c) del Regolamento UE 330/2010. In linea di massima,
l’esigenza di ricorrere a canali di distribuzione specializzata è legittimamente giustificata a condizione
che sia garantita la particolare natura tecnica del prodotto e la libertà dei distributori autorizzati di
effettuare vendite attive e passive agli utenti finali di qualsiasi territorio, di eseguire le forniture incrociate tra i membri della rete e di vendere marche di particolari fornitori concorrenti.
16
dell’esenzione per categoria ad un accordo contenente un obbligo di non concorrenza, diretto o indiretto, di durata indeterminata o superiore a cinque anni23; nel
secondo caso, viceversa, la giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce espressamente la validità della medesima clausola, rinvenendone la rule of reason nelle
esigenze di protezione del know-how sostanziale e di conservazione dell’uniformità
e della reputazione della rete24.
E’ possibile ravvisare ulteriori elementi di contraddittorietà della normativa
antitrust anche in riferimento alla disciplina di cui all’art.5 lett. b) del Reg. 330/2010
che, in deroga alla regola generale, estende il beneficio dell’esenzione al patto di
non concorrenza post-contrattuale a condizione che abbia una durata annuale, sia
relativo alla sola commercializzazione dei prodotti venduti nei “locali e nei terreni
da cui l’acquirente ha operato durante il periodo contrattuale” e risulti indispensabile per proteggere il know how trasferito dal fornitore all’acquirente25.
Diversamente, aderendo ad un’impostazione più permissiva, la Corte di Giustizia ha escluso l’applicabilità del divieto di cui all’art. 101 §1 del TFUE alla clausola
che vieta al franchisee, “durante un adeguato periodo dopo la scadenza” di aprire
negozi per l’esercizio di “attività identiche o simili nelle zone in cui (l’ex affiliato)
possa trovarsi in concorrenza con commercianti aderenti alla rete di distribuzione”26.
23
Cfr. art. 5 (a) Regolamento UE 330/2010.
Sotto tale profilo, si rinvia al testo della sentenza Pronuptia dalla Corte di Giustizia europea del
28.1.1986 (causa 161/1984), in Racc. giur. Corte, 1986, 394 ss nonché alla nota di R. BALDI, La sentenza Pronuptia della Corte ed il franchising in Europa, in Riv. dir. ind., 1987, II, 277 ss.
25
Cfr. art. 5 (b) Regolamento UE 330/2010.
26
Cfr. § 15 della sentenza Pronuptia Paris (1986). Il ragionamento seguito dalla Corte si basa sul
presupposto che, nella misura in cui il franchising “consente ai commercianti sprovvisti
dell’esperienza necessaria di avvalersi di metodi che essi avrebbero dovuto acquisire solo dopo una
lunga e laboriosa ricerca e di giovarsi della reputazione del segno distintivo del concedente”, esso
non arreca pregiudizio per sé alla concorrenza e non cade, dunque, sotto il divieto dell’art. 101 §1
del TFUE. In questo modo la Corte, facendo ampio ricorso allo strumento della rule of reason, effettua un bilanciamento tra aspetti positivi e negativi di una restrizione concorrenziale, sottraendola “a
monte” al divieto dell’art. 101 §1 del TFUE, senza necessità di essere esentate (in via individuale o
per categoria) ai sensi del § 3.
24
17
In via generale, si osserva come i vari schemi della distribuzione integrata siano generalmente inclini ad operare una reciproca sovrapposizione delle principali
clausole restrittive, così confermando le difficoltà relative ad una ricostruzione organica del disegno normativo europeo; per di più, si rileva che i medesimi vincoli di
esclusiva, considerati con estremo rigore dal Regolamento 330/2010/UE in riferimento alla generalità dei rapporti di distribuzione, incontrano spesso un terreno più
permissivo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che ne afferma la piena validità qualora gli stessi siano inseriti nel contesto di un contratto di distribuzione con
caratteristiche particolari qual è quello di franchising.
In tale prospettiva, è ragionevole ritenere che le incongruenze riconducibili
all’adozione di un approccio strettamente funzionale alla regolamentazione degli
accordi verticali possano trovare opportuno temperamento attraverso un più compiuto coordinamento fra la disciplina sostanziale dei singoli modelli contrattuali e
l’applicazione delle norme antitrust che colpiscono con la sanzione della nullità di
pieno diritto situazioni di forza non tollerate dalla disciplina pubblicistica del mercato.
La presenza di una disciplina uniforme dei principali modelli della distribuzione integrata, infatti, consentirebbe di individuare più facilmente e con maggior grado di certezza le clausole tipicamente restrittive del regolamento negoziale al fine di
agevolare il vaglio di compatibilità con la disciplina antitrust. Inoltre, una più chiara
determinazione dei diritti e degli obblighi delle parti nonché dei relativi rischi economici e finanziari avrebbe l’effetto di rafforzare l’incidenza del public enforcement,
con notevole semplificazione dell’istruttoria relativa all’accertamento dei presupposti alla base dell’illecito anticoncorrenziale.
Più nel dettaglio, V. KORAH, Pronuptia Franchising: The Marriage of Reason and the ECC Competition Rules, in EIPR, 1986, 99 ss.; M. C. MALAGUTTI, Il franchising davanti alla Corte di Giustizia delle
Comunità europee, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1988, 605 ss.
18
1.2 Il trittico: agenzia commerciale, concessione di vendita e franchising
nell’esperienza giuridica degli Stati membri
La carenza di fonti europee attinenti ai profili sostanziali degli accordi di distribuzione commerciale sconta anzitutto le incertezze derivanti dalla mancata tipizzazione del fenomeno all’interno degli ordinamenti nazionali nel cui contesto la relativa disciplina assume contorni particolarmente evanescenti.
La capillare diffusione della formula della distribuzione commerciale ha di fatto determinato la progressiva affermazione di nuove tipologie contrattuali, le quali
costituiscono un’immediata risposta di adeguamento di istituti giuridici preesistenti
alle nuove e mutevoli esigenze del mercato. Tuttavia, ad una tipizzazione ampiamente consolidatasi sul fronte socio-economico non è corrisposto un pari e tempestivo riconoscimento della tipicità sul piano del diritto, essendosi privilegiato sino ad
ora un approccio pragmatico incentrato sulla disamina delle finalità economicosociali divisate dai contraenti e sulle obbligazioni di volta in volta assunte dalle parti27.
Sotto il profilo dogmatico, voci autorevoli della dottrina italiana28 ed europea29 hanno optato per il riconoscimento del carattere autonomo ed unitario della
categoria, individuando i tratti fisionomici principali di ciascuna figura: a) nella me-
27
In generale, sull’argomento G. DE NOVA, I nuovi contratti, Torino, 1994; A. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, in Tratt. dir. priv., Milano, 1995.
28
Nella dottrina italiana, si vedano, tra gli altri, le ricostruzioni di G. SANTINI, Il commercio – Saggio di economia del diritto, op. cit.; R. PARDOLESI, Distribuzione (contratti di), in Digesto delle discipline privatistiche, sez. commerciale, vol. V, Torino, 1990, 66 ss.; R. BALDI, Il contratto di agenzia. La
concessione di vendita. Il franchising, op. cit.; O. CAGNASSO – G. COTTINO, Contratti commerciali, in
Trattato di diritto commerciale, vol. IX, Milano, 2000; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol.
II, in Le obbligazioni e i contratti, Padova, 2004.
29
Nel panorama europeo si segnalano i contributi di A. GEORGIADIS, New contractual forms of
the modern economy, Leasing/Factoring/Forfaiting/Franchising, Athina, 1998; E. GUARDIOLA SACARRERA, Contratos de Collaboration en el Commercio International, Barcelona, 1998; J. HUET, Les
principaux contracts spéciaux, in Traité de droit civil sous la direction de Jacques Ghestin, in LGDJ, Paris, 2001; J. M. MOUSSERON – J. RAYNARD – R. FABRE – J. L. PIERRE, Droit du commerce international, Paris, 2003; A. JAUSAS, International Encyclopedia of Agency and Distribution Agreements, The
Hague, 2009; M. MARTINEK - F. SEMLER – S. HABERMEIER – E. FLOHR (a cura di), Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 2010.
19
desimezza della destinazione funzionale; b) nella stabilità e nella continuità del vincolo negoziale; c) ed infine, nel “privilegio” generalmente concesso all’intermediario
autonomo che si traduce nell’inserimento di quest’ultimo all’interno della filiera distributiva e nella sua tendenziale “soggezione” economica e giuridica nei confronti
del committente/produttore.
Alla luce di tale ricostruzione, si ritiene che i tratti di differenziazione tra l’uno
e l’altro strumento contrattuale (agenzia, franchising e distribuzione) debbano misurarsi sulla base di fattori quantitativi piuttosto che qualitativi giacché essi riflettono la trasposizione giuridica di una diversificazione rilevante sotto il profilo
dell’organizzazione aziendale ed economica del committente/produttore30.
In via esemplificativa, si osserva che nel contratto di agenzia commerciale
l’attività dell’agente si sostanzia nel promuovere in una zona determinata la conclusione di contratti di vendita dal preponente direttamente a terzi mentre nella concessione di vendita l’attività dell’intermediario si concretizza nell’acquisto e nella
successiva rivendita, in nome e per conto proprio, dei beni oggetto del contratto.
Rispetto all’agente di commercio, dunque, il concessionario di vendita in esclusiva si
accorda per una maggiore intensificazione degli obblighi nei confronti della controparte a cui corrisponde una collaborazione economica caratterizzata da più marcati
elementi fiduciari e che acquista rilevanza giuridica in funzione delle clausole volte
ad incrementare la commercializzazione dei prodotti31.
La suddetta ricostruzione, pur accentuando i tratti unitari della categoria, tiene opportunamente in considerazione le specificità proprie di ciascuna figura contrattuale, ritenute di per sé sufficienti ad attribuire ad ognuna una posizione di
completa autonomia. Allo stesso tempo, la reciproca affinità di tali modelli consente
30
Così R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit.; A. FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, 2004.
31
I caratteri differenziali e comuni tra agenzia e concessione di vendita sono posti in evidenza da
A. BALDASSARRI, I contratti di distribuzione, op. cit., 2142 ss.; in generale, si veda O. CAGNASSO – G.
COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di Diritto Commerciale, Milano, 2000.
20
la sovrapponibilità dell’uno e l’altro schema negoziale, facendo sì che diritti ed obbligazioni tipicamente riconducibili ad un dato contratto possano riferirsi anche ad
un altro contratto della medesima categoria32.
Nei contratti internazionali di agenzia, infatti, è piuttosto frequente la clausola
con cui è data all’agente la facoltà di acquistare merce, per rivederla in forma capillare a clienti le cui strutture e dimensioni sono particolarmente limitate. Parimenti,
nel contratto di concessione di vendita in esclusiva si verifica spesso la cessione, a
favore del concessionario, della licenza di marchi e brevetti del concedente: cessione (di diritti di proprietà intellettuale) che è fisiologicamente intrinseca nella struttura del contratto di franchising33.
In tale prospettiva, l’esigenza unanimemente avvertita di regolare tali figure
atipiche di distribuzione ha diversamente indirizzato i legislatori nazionali e soprattutto l’attività esegetica della giurisprudenza domestica nella costruzione giuridica
delle singole fattispecie, caratterizzando ciascuna esperienza nazionale per la sua
specificità.
Allo stato attuale, infatti, soltanto il contratto di agenzia commerciale, già da
tempo introdotto nei sistemi codificati degli Stati Membri, gode di uno status normativo oggetto di un tentativo di armonizzazione minima a seguito della trasposizione della Dir. CE 86/65334 mentre in materia di contratti di franchising e di concessione di vendita sussiste un vero e proprio vuoto sostanziale.
32
Così, R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, op. cit., 78-79;
A. FRIGNANI - M. TORSELLO, Il contratto internazionale, Torino, 2010, 543 – 544, il quale si richiama
alla prassi che consente o impone all’agente commerciale di svolgere funzioni tipiche del concessionario come, ad esempio, gli obblighi di tenere la merce in deposito, di fornire assistenza ai clienti, di
trasportare della merce e così via.
33
Sulla definizione di franchising come modalità di sfruttamento economico di un patrimonio di
conoscenze piuttosto che come metodo della distribuzione, si veda Corte Giust. CE, 20 gennaio 1986,
causa 161/84, in Foro it., IV, 1987, 400 ss.; G. DE NOVA, Franchising, in Digesto comm., VI, Torino,
1991, 297.
34
Dir. 86/653/CEE del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti del 18 dicembre 1986, in GUCE L 382 del 31 dicembre
1986, a cui è stata data attuazione in Italia con il D.lgs. 10 settembre 1991, n. 303 e successivamente
con il D. lgs. 15 febbraio 1999, n. 65 a modifica degli artt. 1742-1753 Codice civile.
21
Soltanto il Belgio, infatti, prevede una disciplina materiale applicabile alle concessioni di vendita35 mentre l’Italia36 e la Lituania37 costituiscono gli unici due Paesi
che hanno adottato una regolamentazione ad hoc in materia di franchising. In entrambi casi, le legislazioni statali hanno inteso svolgere una duplice funzione di connotazione della fattispecie negoziale, riducendo il grado di incertezza sussistente tra
gli operatori economici, e di protezione della parte presunta “debole” soprattutto
attraverso la definizione di disclosure clauses. Parziali eccezioni sono rappresentate,
altresì, dal Belgio38, dalla Francia39 e dalla Spagna40 che prevedono specifiche norme
relative alla definizione degli obblighi pre-contrattuali e contrattuali di comportamento tralasciando, tuttavia, la regolamentazione dei rapporti interni tra le parti.
In gran parte degli ordinamenti degli Stati membri, i rapporti tipici della distribuzione commerciale sono regolati prevalentemente dai principi giurisprudenziali
del Paese la cui legge è applicabile al contratto, definendo i contorni di un quadro
normativo lacunoso oltre che, in alcuni casi, fortemente disomogeneo sul piano delle soluzioni ritenute applicabili ai singoli casi concreti.
In tale ambito è possibile distinguere, da un lato, i Paesi la cui disciplina si sostanzia nell’elaborazione a livello giurisprudenziale di forme specifiche di protezione
35
Legge 27 luglio 1961, modificata nel 1971, relative a la résiliation unilatèrale de concessions de
vente exclusive à durée indéterminée.
36
Legge 6 maggio 2004 n. 129, Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale. In generale,
F. BORTOLOTTI, La nuova legge sul franchising: prime impressioni, in Contr. Impr. Eur., 2004, 91 ss.;
ID., Il contratto di franchising. La nuova legge sull’affiliazione commerciale. Le norme antitrust europee, Padova, 2004; G. DE NOVA, La nuova legge sul franchising, in Contr., 2004, 761 ss. Da ultimo,
un’ampia ed approfondita analisi della disciplina del contratto di franchising in Italia è stata condotta
da A. FICI, Il franchising, in Trattato dei contratti, 2011, 955 ss.
37
Capitolo XXXVIII del codice civile della Lituania entrato in vigore il 1 luglio 2001. Per maggiori informazioni sul franchising nel diritto lituano, si veda http://www.unidroit.org.
38
Legge 19 dicembre 1995, così come modificata dalla legge 25 dicembre 2005, pubblicata su
Moniteure Belge del 18 gennaio 2006. In dottrina, G. BRICMONT – J. M. PHILIPS, Commentaire des
dispositions de droit belge et communautaire applicable aux concessions de vente en Belgique,
Bruxelles, 1977; M. WILLEMART, La concession de vente et l’agence commercial. Elements de droit
positif, de doctrine et de jurisprudence, Bruxelles, 1995.
39
Legge “Doubin” 31 dicembre 1989 n. 89-1008 “relative au développement des entreprises
commerciales et artisanales et à l’amélioration de leur environnement économique, juridique et social”, JCP, 1990, III, 63449 che ha modificato l’art. 3-330 Code Civil.\
40
Art. 62 della legge 15 gennaio 1996 n° 7/1996 (Ley de Ordenaciòn del Comercio Minorista), RCL,
1196/148.
22
del distributore integrato generalmente in posizione di inferiorità economica rispetto al fornitore e, dall’altro, i Paesi in cui la disciplina della materia si esaurisce
nell’applicazione in favore del concessionario dei principi derivanti dal diritto comune dei contratti41.
In Austria ed in Germania, ad esempio, le corti applicano analogicamente ai
rapporti di concessione di vendita le norme in materia di indennità previste per gli
agenti di commercio, a condizione che il concessionario sia stabilmente integrato
nella rete di vendita del concedente e sia contrattualmente tenuto a trasferire alla
fine del rapporto la clientela al concedente42. Analogamente, in Francia la giurisprudenza ha elaborato alcune regole a protezione del concessionario per quanto riguarda l’osservanza dei termini di preavviso, l’indennità di fine rapporto e la restituzione dello stock nei casi di rapture abusive del contratto43.
Diversamente, vi sono Paesi come l’Italia o l’Inghilterra che riconoscono al
concessionario specifiche forme di tutela solo nella misura in cui ciò discenda dalle
norme applicabili in via generale ai contratti. Pertanto, qualora i contraenti abbiano
stipulato un vero e proprio contratto di concessione di vendita, il concessionario potrà vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno solo quando la risoluzione
del contratto sia imputabile ad un inadempimento grave del concedente44.
41
Per un’analisi comparativa di ampio respiro, si veda A. SAYAG, Le contrat cadre. 2. Exploration
comparative, CREDA, 1995; A. RONZANO, La distribution en Europe. Les exemples français, allemand,
anglais et italien, in Revue international de droit comparé, vol. 47 n. 2, 1995, 413-419.
42
Così, T. MANDERLA, Der Vertragshandlervertrag, in M. MARTINEK – F. J. SEMLER, Handbuch
des Vertriebsrechts, Munchen, 1996, 286 e ss.
43
Cfr. Cass. comm., 10 giugno 1986, in Bull. Civ., 123, 104; Cass. comm., 9 marzo 1976, in Recueil
Dalloz Sirey, 1976, 388; Court d’Appel d’Amiens, 29 novembre 1973, in Gazette du Palais, 1974, I,
190, con nota di J. GUYENOT, che ha condannato al risarcimento del danno il concedente che aveva
risolto il rapporto di concessione dopo 18 anni ed aveva poi concluso un nuovo contratto di concessione con un altro concessionario a condizioni più favorevoli. In dottrina, J. AZEMA, Le droit français
de la concurrence, Paris, 1989.
44
Cfr. in Italia, Cass. 21 giugno 1974, n. 1888, in Giur. It., 1975, I, col. 1290, che ha respinto la richiesta di compenso avanzata dal gestore di un impianto di distribuzione del carburante per la perdita dell’avviamento, sottolineando l’inesistenza di norme legislative sul compenso per il gestore alla
fine del rapporto; nel Regno Unito, Court of Appeal, Decro Wall International v. Practitioners in Marketing Ltd, in 1 W.L.R., 1971, 18 ss; Court of Appeal, Evans Marhall v. Bertola (1975), in 2 Lloyds Law
reports, 1975, 373 ss.
23
1.3 La dimensione normativa degli accordi di distribuzione nello spazio giuridico
europeo: carenze e inefficienze del sistema attuale
Gli obiettivi rivolti alla normalizzazione delle transazioni commerciali crossborder all’interno dello spazio giuridico europeo sono alla base delle principali iniziative di unificazione del diritto promosse nella direzione di una più efficiente integrazione dei mercati. Costituisce, infatti, un dato circostanziale ormai pacificamente
acquisito quello secondo cui quanto maggiore è la distanza tra la regolamentazione
giuridica messa a disposizione degli operatori economici e le esigenze del mondo
degli affari, tanto più forte sarà la spinta delle imprese nel rinunciare a penetrare
nuovi mercati, con seguenti ripercussioni negative sullo sviluppo degli indici di crescita e di competitività.
In tale prospettiva, si ritiene che l’esigenza di intervenire all’interno di un
quadro normativo segnato da un elevato grado di “legal diversity” appaia di particolare urgenza in riferimento al settore della distribuzione commerciale che, in ragione delle dimensioni e dell’estremo dinamismo del fenomeno, ha assunto un ruolo
strategico come fattore trainante della produttività nel settore industriale.
All’interno dell’Euro zona, infatti, appartengono al segmento distributivo circa il
30% delle imprese non agricole e non finanziarie, che impiegano il 24% degli addetti
e producono circa il 20% del valore aggiunto45.
Ad oggi, l’approccio dell’Unione Europea al tema dell’uniformazione giuridica
del settore della distribuzione appare attestatosi su due diverse forme di intervento, l’una rivolta all’armonizzazione minima di alcuni segmenti del settore mediante
il ricorso allo strumento della direttiva, l’altra incline a demandare alla prassi del
commercio internazionale la definizione delle principali questioni di diritto sostanziale.
45
Per un’analisi ancor più dettagliata, si vedano i dati pubblicati da VIVIANO E. - L. AIMONE GIGIO– E. CIAPANNA ed altri, La grande distribuzione organizzata e l’industria alimentare in Italia, in
Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers), n. 119, Marzo 2012, Banca d’Italia Eurosistema.
24
In particolare, il processo europeo di ravvicinamento delle legislazioni che ha
investito la gestione dei rapporti di agenzia commerciale sconta le inefficienze correlate alle limitazioni intrinseche di uno strumento di armonizzazione minima, qual
è appunto la direttiva, consistenti nella specificità delle questioni trattate e nella discrezionalità riconosciuta agli Stati membri in termini di scelta opzionale tra più soluzioni proposte46.
In primo luogo, si sottolinea che la Dir. 86/653/CEE affronta soltanto alcuni aspetti della disciplina del contratto di agenzia, tralasciandone altri che, per la loro
importanza, avrebbero certamente meritato di essere presi in considerazione. Un
esempio evidente in tal senso è costituito dalla disciplina dello star del credere totalmente estromessa dall’ambito di applicazione della direttiva47.
Parallelamente, il margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri in
merito alla facoltà di scelta tra diverse opzioni alternative non contribuisce neppure
indirettamente a raggiungere gli auspicati obiettivi di uniformazione, tanto più che il
ricorso ad una scelta opzionale è evidentemente espressione dell’impossibilità di
pervenire ad una soluzione di compromesso.
L’esempio più macroscopico è costituito dall’art. 17 sull’indennità di clientela
in rifermento alla quale i redattori della direttiva hanno recepito sia il modello tedesco, che prevede il pagamento di un’indennità di clientela, sia quello francese consistente nella riparazione del pregiudizio arrecato, offrendo agli Stati la facoltà di scegliere tra l’uno o l’altro modello48. Nella stessa prospettiva, si colloca la decisione di
46
Sui problemi di armonizzazione del diritto collegati allo strumento della direttiva, cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio “on European Contract Law and the
revision of the acquis: the way forward” dell’11.10.2004, COM (2004) 651 def.; Comunicazione della
Commissione europea “Prima Relazione annuale sullo stato di avanzamento dei lavori in materia di
diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis”, del 23.9.2005, COM (2005), 456 def.
47
Così, le considerazioni riportate da F. BORTOLOTTI – G. BANDANINI, Il contratto di agenzia
commerciale, Milano, 2003.
48
In generale sull’argomento si veda, N. ALESSANDRI – G. BARBIERI, Il contratto di agenzia nel
commercio internazionale, in Giur. sist. dir. civ. e comm., a cura di G. ALPA – M. BESSONE, Torino,
1991, 259 ss.; N. TELLIS, The compensation for goodwill in commercial agency, Athina, 1997. In particolare, si noti che la rinuncia a dare attuazione ad un regime uniforme consente di mantenere inalte-
25
lasciare libero ciascuno Stato membro di adottare eventuali soluzioni più favorevoli
all’agente e di definire la nozione rispettivamente di lavoratore autonomo e di lavoratore subordinato49.
In definitiva, il mero ravvicinamento delle legislazioni nazionali, sebbene costituisca un primo passo verso l’unificazione, non è sufficiente ad eliminare gli ostacoli
derivanti dalle divergenze laddove ancora persistenti. In tali ipotesi, infatti, l’onere
giuridico ed economico connesso all’accertamento delle differenze tra la legge regolatrice del contratto e quella altrimenti applicabile rimane sostanzialmente inalterato fintantoché le stesse continuino a presentare divergenze di cui occorra di volta in
volta verificare preventivamente la portata50.
Sotto diverso profilo, stante l’estrema lacunosità dei diritti statali, la regolamentazione dei contratti di concessione di vendita e di franchising è demandata in
gran parte alle clausole dei modelli di contratti-tipo maggiormente utilizzati
nell’ambito del commercio internazionale51. E’ noto, infatti, che il ricorso agli standard forms abitualmente adottati nella prassi degli affari dia luogo, soprattutto per
quanto riguarda i contratti atipici, alla circolazione internazionale di schemi contrattuali omogenei le cui clausole danno consistenza ad una disciplina sufficientemente
dettagliata dei contratti in questione52.
rato il diverso sistema di calcolo vigente nei vari sistemi con la conseguenza che in Francia il tetto
massimo dell’indennità può raggiungere l’ammontare di due provvigioni mentre nei paesi che adottano il sistema tedesco sussiste il massimale di un anno.
49
Si confronti, ad esempio, la disciplina belga dei “répresentants de commerce”, introdotta con la
L del 30.7.1963 ed ora inserita nella legge sui contratti di lavoro del 3.7.1978 che presume in ogni caso un rapporto di lavoro subordinato con l’agente persona fisica.
50
In proposito, F. BORTOLOTTI, Verso una nuova lex mercatoria dell’agenzia commerciale internazionale? Il modello di contratto di agenzia della CCI, in Contr. Impr./Eur., 813.
51
Cfr. ICC Model Commercial Agency Contract, pubblicazione 446 della CCI; ICC Model Distributorship Contract, pubblicazione 518; ICC Model International Sale Contract, pubblicazione 556; ICC
International Franchising Contract, pubblicazione 557. In generale sui modelli di contratti tipo, si veda F. BORTOLOTTI, The ICC Model Contracts: an Essential Tool for International Trade, in New Trends
in Internationa Trade Law. Contribution on the Occasion of the 10th Anniversary of the International
Trade Law Course, Torino, 2000. 81-97.
52
Ampiamente sull’argomento, si veda F. BORTOLOTTI, Formazione e gestione dei rapporti negoziali: la prassi contrattuale internazionale tra standard forms, imitazione e creatività, in Fonti e tipi
26
Occorre, tuttavia, precisare che nella stragrande maggioranza dei casi gli standard forms rappresentino solo un modello-guida di cui i redattori possono tener
conto nella determinazione del contenuto del contratto, destinato a rispecchiare di
volta in volta i rapporti di forza tra le parti e le esigenze particolari del caso di specie. Pertanto, nell’impossibilità di attribuire a tali modelli il valore di veri e propri usi
del commercio53, il ricorso a siffatti strumenti lascia aperte le principali problematiche correlate alla scelta della legge applicabile anche laddove le parti decidano di
assoggettare il contratto “ai principi generalmente riconosciuti nel commercio internazionale”54.
In tale ultima ipotesi, infatti, sebbene la riconosciuta facoltà di richiamare
strumenti “privati” di unificazione del diritto come, ad esempio i Principi UNIDROIT
dei contratti commerciali internazionali55, consenta di operare la “delocalizzazione”
della disciplina applicabile attraverso un sistema uniforme di diritto generale dei
del contratto internazionale, a cura di U. DRAETTA – C. VACCA’, Milano, 1991, 229 ss.; C. VACCA’, Internazionalizzazione dell’impresa. Prassi contrattuale e standard forms, ivi, 251 ss.
53
Così, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, Diritto dei contratti internazionali, Torino, 2001, 29 ss.. Contra A. FRIGNANI, Gli usi del commercio e la loro rilevanza giuridica,
in Fonti e tipi del commercio internazionale, op. cit., 95; A. CRIVELLARO, in Contratti internazionali:
tipi e autonomia negoziale, ivi, 10 secondo cui “il contratto tipo rappresenta il comune sentire della
generalità degli operatori nel settore della specifica negoziazione”.
54
Per un elenco esaustivo dei principi costitutivi della “lex mercatoria, si veda M. MUSTILL, The
New Lex Mercatoria: the First Twenty-Five Years, in Liber Amicorum Lord Wilberforce, Oxford, 1987,
149 ss.; A. TARAMASSO, Lex mercatoria. Rassegna di giurisprudenza arbitrale della CCI, in Nuova
giur. civ. comm., 1995, II, 191 ss. In dottrina, tra i tanti, si segnalano O. LANDO, The Lex Mercatoria in
International Commercial Arbitration, in 34 I.C.L.Q., 1985, 747; F. OSMAN, Les principes generaux de
la lex mercatoria, Paris, 1992; M. J. BONELL, La moderna lex mercatoria tra mito e realtà, in Dir.
comm. int., 1992, 315 ss.; A. GIARDINA, La lex mercatoria e la certezza del diritto nei commerci e negli investimenti internazionali, in Dir. comm. int., 1992, 461 ss.
55
I Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali sono stati pubblicati per la prima
volta nel 1994, mentre una seconda, ampliata edizione è stata adottata nel 2004 ed una terza edizione, ulteriormente arricchita di nuovi capitoli, è stata pubblicata nel 2010.
Per un’introduzione ed un commento generale dei Principi UNIDROIT, si veda M. J. BONELL, Un
“Codice” internazionale del diritto dei contratti, II ed., Milano, 2006; ID., The UNIDROIT Principles in
practice. International Case Law and Bibliography on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, 2 ed., Transnational Publishers, 2006. Per un commento analitico delle singole disposizioni dei Principi UNIDROIT, si veda S. VOGENAUER – J. KLEINHEISTERKAMP (eds), Commentary
on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (PICC), Oxford, 2009.
27
contratti, tuttavia, l’applicabilità dello strumento presuppone a monte la scelta di
ricorrere allo all’arbitrato come soluzione alternativa alla giurisdizione ordinaria56.
Il riferimento obbligatorio all’arbitrato, quale condizione in presenza della
quale gli ordinamenti nazionali accettano di sottoporre il contratto ad un regime di
norme extrastatali, costituisce di fatto un ostacolo allo sviluppo delle tendenze di
unificazione, soprattutto con riguardo alla disciplina dei rapporti di distribuzione
all’interno dell’area geografica dell’Unione.
In primo luogo, viene in rilievo il limite derivante dal modesto valore economico delle controversie che in genere coinvolgono la stragrande maggioranza delle
imprese europee per le quali gli strumenti arbitrali normalmente utilizzati a livello
internazionale appaiono eccessivamente complessi e costosi57. La popolazione imprenditoriale europea infatti è composta per il 99% da piccole e medie imprese con
volumi d’affari relativamente modesti e senza il supporto di un’assistenza legale
particolarmente specializzata58.
In secondo luogo, il ricorso all’arbitrato non appare risolutivo per quelle materie che siano considerate non arbitrabili dalla legge dei Paesi interessati. In base
all’art. V paragrafo 2 della Convenzione di New York sul riconoscimento dei lodi
stranieri59, infatti, il giudice del Paese in cui la materia oggetto di controversia non è
assoggettabile ad arbitrato è competente a decidere a dispetto di quanto previsto
56
Si veda M. J. BONELL, An International Restatement on Contract Law, New York, 2005; M.
SCHERER, in S. Vogenauer – J. Kleinheisterkamp, Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, Oxford, 2009, 82 ss.; O. LANDO, Some Features of the Law of Contract
in the Third Millennium, in 40 Scandinavian Studies in Law Stockholm, 2000, 343 ss.
Tale orientamento è espressamente riconosciuto anche dai critici della lex mercatoria. Cfr. P. LAGARDE, Nota ad Appello Parigi, 13 luglio 1989, Companìa Valenciana de Cementos Portland c. Primary Coal, in Rev. Arb., 1990, 669.
57
Così, F. BORTOLOTTi, Manuale di diritto commerciale internazionale, Diritto dei contratti internazionali, op. cit., 415-416.
58
Cfr. le stime pubblicate nella Comunicazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 25 giugno
2008, COM (2008), 394 def. (Small Business Act).
59
Convenzione di New YorK del 10.6.1968 sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere. Essa è stata resa esecutiva in Italia con legge 19.1.1968, n. 62 ed è entrata in vigore il
1.5.1969.
28
dalla clausola compromissoria e, conseguentemente, potrà rifiutare il riconoscimento dell’eventuale lodo arbitrale reso su tale oggetto.
Tale circostanza è destinata ad incidere in modo massiccio sulla possibilità di
raggiungere l’uniformità nel settore della distribuzione commerciale, atteso che
segmenti importanti della relativa disciplina, laddove espressamente codificati, sono sottratti alla materia arbitrale.
Nello specifico, si osserva che la legge belga sulla concessione di vendita riserva al giudice nazionale la competenza esclusiva in materia, per il che eventuali controversie tra un esportatore italiano ed il suo concessionario belga potranno essere
decise in sede di giurisdizione ordinaria mentre, nonostante la clausola compromissoria, l’eventuale lodo arbitrale potrà non trovare riconoscimento nel territorio nazionale60. In ipotesi di questo tipo, dunque, appare preferibile per il concedente italiano optare per la giurisdizione ordinaria con scelta del foro in Italia, atteso che una
clausola di proroga di competenza conforme all’art. 23 del Regolamento CE 44/2001
è valida anche per materie per le quali gli Stati Membri attribuiscono competenze
esclusive ai propri giudici61.
In conclusione, si osserva come l’attuale quadro normativo incentivi gli attori
della scena economica europea a prediligere la scelta del diritto nazionale come lex
contractus nonostante la frammentarietà e le notevoli divergenze tra l’una e l’altra
disciplina, considerata la scarsa vis attractiva di un articolato meccanismo che ricollega necessariamente la scelta in favore della lex mercatoria all’opportunità giuridica ed economica di un arbitrato internazionale.
60
Cfr. art. 1 della L. 27.7.1961, modificata con L. 13.4.1971. Conformemente App. Liegi 12.5.1977,
in Yearbook Commercial Arbitration, vol. IV, 1979, 254 ss. e confermato da Cass. 28.6.1979, in Yearbook Commercial Arbitration, vol. V, (1980), 257 ss. che hanno rifiutato l’esecuzione di un lodo arbitrale reso all’estero nei confronti di un concessionario belga, considerando nulla la clausola compromissoria contenuta nel contratto e giudicando l’eventuale riconoscimento del lodo contrario
all’ordine pubblico belga.
61
Cfr. art. 23 del Regolamento CE 44/2001 (Bruxelles I) del Consiglio del 22.12.2000 concernente
la competenza , il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, pubblicato in GUCE del 16.1.2001 L 012.
29
CAPITOLO II
LO “EUROPEAN LEGAL FRAMEWORK” IN MATERIA DI DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
1.1 I contratti di distribuzione nel processo di armonizzazione del diritto privato europeo
1.1.1 Il Draft Common Frame of Reference (DCFR): tra disciplina della parte generale
del contratto e norme di settore
Allo stato attuale il diritto europeo dei contratti appare in generale come un
mosaico frammentario e disorganico che, in quanto frutto della stratificazione successiva di direttive di armonizzazione minima, è insufficiente ad assicurare coerenza
ed organicità alle varie discipline di settore62.
In tale contesto, la “specifica settorialità”63 dell’acquis communautaire e la
persistente legal diversity tra i diritti nazionali, in quanto percepiti come un ostacolo
al raggiungimento degli auspicati obiettivi di efficienza e di competitività del mercato interno64, hanno spinto l’attenzione delle istituzioni europee verso la progettazione di un’azione più decisa per “il ravvicinamento del diritto civile e commerciale
degli Stati membri”65. Tale azione, inaugurata dalle due risoluzioni del Parlamento
Europeo del 198966 e del 199467, è stata definitivamente intrapresa dalla Commissione con la Comunicazione del 200168 a seguito della quale si è avviata un’ampia
62
Sulle criticità derivanti da un approccio graduale agli obiettivi di armonizzazione, si veda la Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo “on European Contract Law”, dell’11.7.2001, [COM (2001) 368 def.] punti 35-40. In dottrina, si vedano i contributi di G.
BETLEM - E. HONDIUS, European Private Law after the Treaty of Amsterdam, in European Rev. of
Private Law, ; J. SMITS, Diversity of Contract Law and European Internal Market, in J. SMITS et als.,
The Need for a European Contract Law, Groningen, 2005, 164.
63
L’espressione è stata usata per la prima volta dalla Commissione europea, First Annual Progress
Report on European Contract Law and the Acquis Review del 23.9.2005, COM(2005), 456 def., para 1.
64
In generale, sulle divergenze dei diritti statali come fattori di restrizione del mercato si veda,
tra gli altri, J. BASEDOW, Codification of Private Law in the European Union. The Making of a Hybrid,
in European Rev. of Private Law, 2001, 35 ss.
65
Così il titolo della Risoluzione del Parlamento europeo del 15.11.2001, C 140E/538 (A50384/2001).
66
Risoluzione del Parlamento europeo del 1989 “on acting to bring into line the private law of
Member States”, C 158/400 (A2-157/89).
67
Risoluzione del Parlamento europeo del 1994 “on the harmonization of certain sectors of the
private law of the Member States, C 205/518 (A3-0329/94).
68
Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento europeo “on European Contract
Law”, cit.
30
consultazione pubblica sui problemi derivanti dalla diversità del diritto contrattuale
degli Stati membri e sulle possibili azioni da intraprendere in questo campo. In esito
alla fase consultiva, la Commissione ha lanciato un Piano d'azione che poneva al
centro del programma la realizzazione di un “common frame of reference” assunto
primariamente quale strumento di semplificazione e di miglioramento della coerenza e della qualità dell’acquis attraverso la predisposizione di un corredo terminologico volto all’identificazione di principi e di regole modello comuni ai sistemi giuridici degli Stati membri69. La spinta definitiva alla stesura di un nucleo di Common
Principles of European Contract Law (COPECL) è stata ufficialmente sancita dalla
Comunicazione del 200470 con cui si è disposto il finanziamento di un piano di ricerca triennale diretto alla costituzione di un CFR-network basato sulla stretta collaborazione tra legal experts ed esponenti delle varie categorie interessate71.
Attualmente il Draft Common Frame of Reference (di seguito DCFR), la cui versione definitiva è stata pubblicata nell’ottobre del 200972, costituisce il risultato accademico dell’attività di ricerca condotta dai due più noti gruppi di esperti di estrazione pan-europea, lo Study Group on a European Civil Code73 ed il Research Group
on the Existing EC Private Law (Acquis Group)74, i cui lavori si inseriscono a pieno ti-
69
Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento europeo ed al Consiglio “on a more
coherent European Contract Law. An Action Plan” del 12.2.2003, [COM (2003) 68 def.].
70
Comunicazione della Commissione Europea al Parlamento Europeo ed al Consiglio “on European Contract Law and the revision of the acquis: the way forward” dell’11.10.2004, COM (2004) 651
def.
71
Http://www.copecl.org/.
72
C. VON BAR - E. CLIVE – H. SCHULTE-NÖLKE et al. (eds.), Principles, Definitions and Model Rules
of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), Final Edition, Sellier European
Law Publishers, Munich, 2009.
73
Http://www.sgecc.net/. In particolare, si vedano, C. VON BAR, Le Group d’Études sur un Code
Civil Européen, in Revue Internationale de Droit Comparé (RIDC) 2001, 127-139; C. VON BAR – O.
LANDO, Communication on European Contract Law: joint response of the Commission on European
Contract Law and the Study Group on a European Civil Code, in European Review of Private Law, 10,
2002, p. 183 ss.
74
Http://www.acquisgroup.org/; in particolare, tra i lavori pubblicati si vedano Principles of the
Existing EC Contract law: Contract I: Pre-contractual Obligations, Conclusion of Contracts, Unfair
Terms, Sellier European Law Publishers, Munich, 2007; Contract II: General Provisions, Delivery
Goods, Package Travel and Payment Services, Sellier European Law Publishers, Munich, 2009.
31
tolo nel solco delle attività di ricerca già intraprese, a partire dal 1982, dalla Commission on European Contract Law e culminate nella pubblicazione dei Principles on
European Contract Law (PECL)75. Nello specifico, le iniziative dei due gruppi di studio
sono state coordinate all’interno del Joint Network of European Contract Law –
Network of Excellence - al quale ha partecipato, altresì, il Project Group on a Restatement of European Insurance Contract Law76. In funzione di valutazione, hanno
contribuito ai lavori l’Association Henry Capitant insieme alla Société de Législation
Comparée77, gli studiosi raccolti intorno al progetto The Common Core of European
Private Law78 nonché il Research Group on the Economic Assessment of Contract
Law Rules (TILEC)79, il Database Group e l’Academy of European Law – ERA80.
In linea con le indicazioni delle istituzioni politiche, la comunità accademica
enfatizza la qualificazione del Draft in termini di un “multifunctional tool81” destinato ad operare nella duplice direzione di una maggiore razionalizzazione del quadro
normativo esistente e di una più efficiente armonizzazione del diritto82.
75
Principles on European Contract Law (PECL). O. LANDO - H. BEALE (eds.), Principles of European
Contract Law Parts I and II, The Hague, 1999; O. LANDO, E. CLIVE, A. PRÜM, R. ZIMMERMANN (eds.),
Principles of European Contract Law, Part III, The Hague, London, Boston 2003.
76
Principles of European Insurance Contract Law (PEICL), Sellier European Law Publishers,
Munich, 2009.
77
Principes contractuels commun. Projet de cadre commun de reference, Société de Législation
Comparée, Paris, 2008.
78
Http://www.iuctorino.it; http://www.jus.unitn.it/dsg/common-core/html. In particolare, si
vedaANTONIOLLI L. – F. FIORENTINI, A Factual Assessment of the Draft Common Frame of Reference,
prepared by Common Core Evaluating Group, Sellier European Law Publishers, 2011; M. BUSSANI –
U. MATTEI, The Common Core Approach to the European Private Law, in Journal of European Law,
1997/98, 339 e ss.
79
Http://www.tilbutrguniversity.nl/tilec/. Sul punto, si segnala, LAROUCHE P. – CHIRICO F., Economic Analysis of the DCFR, Research Group on the Economic Assessment of Contract Law Rules,
Sellier European Law Publishers, Munich, 2009.
80
Sulle iniziative e le pubblicazioni dell’Academy of European Law è possibile consultare il sito
www.era.int.
81
Così, espressamente, H. SCHULTE-NÖLKE, Contract Law or Law of Obligations? – The Draft
Common Frame of Reference (DCFR) as a multifunction tool, in R. SCHULZE (Ed.), Common Frame of
Reference and Existing EC Contract Law, Sellier European Law Publishers, Munich, 2008, 47 e ss; per
una compiuta indicazione dei possibili futuri impieghi del DCFR si veda H. BEALE, Unfair Contract
Terms in the Common Frame of Reference, in Private Law Beyond the National Sistems. Liber
Amicorum G. ALPA, a cura di M. ANDENAS ed altri, BIICL, London, 2007, 187 e ss.
82
Comunicazione della Commissione Europea “European contract law and the revision of the
acquis: the way forward” dell’11.10.2004, COM (2004) 651 def. In dottrina, sul punto, M. HESSELINK,
32
Sotto il profilo della semplificazione legislativa, infatti, il DCFR si presenta come un vasto “armamentario concettuale-normativo83” che si presta ad essere assunto come modello sia per i legislatori nazionali all’atto di recepimento delle direttive comunitarie sia per la Corte di Giustizia ed i giudici statali come strumento di
interpretazione rispettivamente del diritto comunitario e del diritto nazionale84. A
tale funzione si accompagna quella di guida per la parallela attività di revisione
dell’Acquis comunitario85, in vista della realizzazione di un mercato interno efficiente che raggiunga il giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela dei consumatori e
la competitività delle imprese nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà86.
Sul versante del diritto sostanziale, si auspica l’impiego del progetto come
punto di partenza per l’adozione di un “optional instrument” che può essere scelto
dalle parti come legge regolatrice dei contratti transnazionali, offrendo così una soluzione proporzionata agli ostacoli derivanti dalle divergenze tra gli ordinamenti statali87. Parallelamente, si è ipotizzata la configurabilità del Draft alla stregua di un
“common core” a cui gli arbitri possono attingere per risolvere “in modo equilibrato
ed equo” le controversie insorte tra i contraenti. Inoltre, il DCFR, in quanto fondato
The European Commission’s Action Plan: Towards a more coherent European contract law?, in ERCL,
2004, 404 ss.
83
In questi termini, G. ALPA – G. CONTE, Dal progetto generale di Common Frame of Reference
alla revisione dell’Acquis Communautaire, in Il diritto europeo dei contratti tra parte generale e norme di settore, Giuffrè, 2007, 650 e ss.
84
Sull’importanza del DCFR come strumento di interpretazione del diritto statale, M. MELI, The
Common Frame of Reference and the Relationship between National Law and European Law, in ERCL,
2/2011, 231-233.
85
Il processo di revisione dell’Acquis relativo ai consumatori è stato ufficialmente intrapreso nel
2004 con la Comunicazione della Commissione Europea del 20.1.2005 COM (2004) 651 def. ed ha
assunto un carattere programmatico a seguito della pubblicazione del Libro Verde sulla revisione
dell’acquis relativo ai consumatori dell’8.2.2007 COM (2006) 744 def.
86
In dottrina, si veda N. JANSEN - R. ZIMMERMANN, Restating the Acquis comunautaire? A critical
Examination of the Principles of the Existing EC Contract Law, in M.L.R., 2008, 55 ss.; M. B. M. LOOS,
Review of the European Consumer Acquis, Sellier European Law Publishers, Munich, 2008; in
particolare, sui rapporti tra il DCFR e l’attività di revisione dell’acquis, si veda R. SCHULZE, The Academic Draft of the CFR and the EC Contract Law, in R. SCHULZE (Ed.), Common Frame of Reference
and Existing EC Contract Law, op. cit., 3 ss.;
87
Cfr. H. SCHULTE-NÖLKE, Scope and Function of the Optional Instrument on European Contract
Law, in R. SCHULZE- J. STUYCK (eds.), Towards a European Contract Law, Sellier European Law Publishers, Munich, 2011, 23 ss.
33
sull’acquis comunitario e sulle best solutions condivise dal diritto contrattuale, si
pone come modello per la promozione di un corpo di clausole standard da mettere
a disposizione degli operatori del diritto nell’intera area dell’Unione88.
Tra le molteplici iniziative di armonizzazione e di unificazione del diritto promosse a livello comunitario ed internazionale il DCFR rappresenta senza dubbio un
esempio unico nel suo genere, segnalandosi sia sul piano dell’approccio metodologico adottato nell’elaborazione delle “rules” sia sotto il profilo dell’organizzazione
sistematica del materiale a disposizione89.
ll working programme previsto dal Piano d’azione ha assunto come base di
partenza tre distinte tipologie di fonti: da un lato, le common rules derivanti dai
contributi della comparazione giuridica di cui i PECL della Commissione Lando costituiscono l’espressione più compiuta; dall’altro, i principi di matrice strettamente
comunitaria che emergono dall’attività di revisione dell’acquis90; ed infine, le regole
del diritto del commercio internazionale consolidatesi soprattutto sotto la vigenza
della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili91,
così come interpretata ed integrata alla luce dei Principi UNIDROIT dei contratti
commerciali internazionali92.
88
Cfr. punti 2.1.1 e 2.1.3 della Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul diritto contrattuale europeo e sulla revisione dell’acquis: prospettive per il futuro
dell’11.10.2004, [COM (2004) 651 def.]. In generale, si veda DCFR, Introduzione, 6-7.
89
Sul punto, cfr. C. von BAR, Coverage and Structure of the Academic Common Frame of Reference, in ERCL, 3/2007, 281 ss.; S. GRUNDMANN, The Structure of the DCFR – Which Approach for Today’s Contract Law?, in ERCL, 3/2008, 225 ss.; M. HESSELINK, The Common Frame of Reference as a
Source of European Private Law, in Tulane Law Review, 2009, 919 ss.
90
Principles of the Existing EC Contact Law - Contract I, Munich, Sellier European Law Publishers,
2007.
91
Cfr. nota 19.
92
Per un’introduzione ed un commento generale dei Principi UNIDROIT, si veda M.J. BONELL, Un
“Codice” internazionale del diritto dei contratti, II ed., Milano, 2006; ID., The UNIDROIT Principles in
practice. International Case Law and Bibliography on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts, 2 ed., Transnational Publishers, 2006. Per un commento analitico delle singole disposizioni dei Principi UNIDROIT, si veda S. VOGENAUER – J. KLEINHEISTERKAMP (eds), Commentary
on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (PICC), Oxford, 2009.
34
La disciplina sostanziale che trova diritto di cittadinanza nel DCFR costituisce,
dunque, il frutto della convergenza di tali “basic sources”, concorrendo così alla
formazione di un diritto contrattuale europeo dotato di una propria identità e di
un’autonoma valenza assiologica93.
In particolare, la reciproca interazione tra il diritto derivato dell’Unione ed i
principi ricavati dal metodo della comparazione ha condotto all’affermazione di un
numero rilevante di “substantive links” alcuni dei quali totalmente estranei alle esperienze giuridiche degli Stati membri. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla stretta
correlazione tra la violazione dei pre-contractual information duties mutuati
dall’Acquis ed la disciplina sulla (in)validità del contratto siglata dai PECL. Tale rapporto è particolarmente evidente ove si consideri l’art. II. – 3:107 para (4) del DCFR
laddove, a fronte della violazione degli obblighi di informazione nella fase delle trattative, fa salva l’applicazione della disciplina sull’invalidità negoziale in caso di errore essenziale della controparte94. Prospettiva, questa, assolutamente innovativa rispetto alle esperienze giuridiche nazionali che definiscono la categoria dell’invalidità
come un vizio esclusivo dell’atto, in quanto inerente agli elementi strutturali dello
stesso95.
Analogamente, la disciplina del Libro II relativa alla materia dei “Contracts and
other juridical acts”, pur risolvendosi nei suoi contenuti nella trasposizione dei Principles of European Contract Law della Commissione Lando, è stata resa oggetto di
vistose manipolazioni attraverso l’introduzione dei principi mutuati dall’Acquis
93
Così, in sintesi, R. SCHULTZE, The Academic Draft of the CFR and the EC Contract Law, in Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, in R. SCHULZE, Common Frame of Reference
and Existing EC Contract Law, op. cit., 9.
94
DCFR, Art. II. 3:107 (4) “The remedies provided under this Article are without prejudice to any
remedy which may be available under II. – 7:201 (Mistake)”.
In dottrina, T. WILHELMSSON – C. TWIGG-FLESNER, Pre-contractual information duties in the
acquis communautaire, in ERCL, 2006, 441 ss.
95
Sull’argomento, si veda G. DE CRISTOFARO, “Invalidity” of Contracts and Contract Terms in the
Feasibility Study on a Future Instrument for European Contract Law, in R. SCHULZE – J. STUYCK (eds.),
Towards a European Contract Law, op. cit., 97-120.
35
communautaire come, ad esempio, il divieto di discriminazione, gli obblighi di informazione precontrattuale e lo ius poenitendi che hanno così acquistato dignità di
norme di parte generale96.
Le ragioni alla base delle esigenze di armonizzazione del diritto, infatti, muovono dalla consapevolezza che le peculiarità proprie di ciascun settore di mercato
influiscono sull’individuazione della disciplina del contratto e viceversa. In tale direzione, si profila la necessità di ripensare il tradizionale modo di regolare i rapporti
tra parte generale e parte speciale, tra diritto dei contratti e regole di mercato. In
ragione di ciò, l’approccio seguito dai gruppi di lavoro sembra aver inquadrato le
norme di parte generale e quelle di parte speciale non già come microsistemi autonomi ed indipendenti bensì in un rapporto di reciproca complementarietà, inducendo l’interprete a cogliere di volta in volta la disciplina più adeguata alla regolamentazione dello specifico conflitto di interessi in base al contesto economico di riferimento.
A conferma di tale rinnovata impostazione è utile richiamare il contenuto del
Libro IV del DCFR dedicato ai “Specific contracts and the rights and obligations arising from them” ed i suoi rapporti con la disciplina generale del contratto e delle
obbligazioni di cui rispettivamente ai Libri II e III del DCFR.
Le norme di parte generale, infatti, si applicano trasversalmente ad ogni fattispecie negoziale, ancorché compiutamente regolata in sede di parte speciale, ogniqualvolta le prime offrano una tutela più incisiva del contraente debole. Parallelamente, anche nell’ambito della disciplina tipica di ciascun tipo contrattuale è possibile rinvenire norme di carattere generale suscettibili di essere applicate in modo
ampio ed estensivo. Si pensi, ad esempio, alla prevista applicabilità dell’ “unfairness
96
Sul punto, si veda S. GRUNDMANN, The Optional European Code on the basis of the Acquis
Communautaire, in European Law Journal, 2004, 678-711; T. WILHELMSSON - C. TWIGG-FLESNER,
Pre-contractual information duties in the acquis communautaire, in ERCL, 2006, 441-470. Più in generale, cfr. S. PATTI, Parte generale del contratto e norme di settore nelle codificazioni, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Giuffrè, Milano, 2007, 547-564.
36
test” di cui all’Art. III. – 3:105 (2)97 anche ai contratti business to business ovvero alla
naturale vocazione degli obblighi di “co-operation”98 e di “confidentiality”99 dettati
specificamente per i contratti di agenzia commerciale, di franchising e di concessione di vendita a trovare applicazione in riferimento all’intera categoria dei “relational
contracts”.
Aspetti di evidente originalità si segnalano, altresì, sul piano della disciplina
giuridica di taluni istituti, atteso che alcune delle soluzioni adottate nel Libro IV non
sempre possono considerarsi come rappresentative di un reale “european common
core” in materia di diritto contrattuale. In determinati casi, infatti, i componenti dello Study Group hanno optato per soluzioni innovative rispetto ai risultati emergenti
dalla comparazione tout court, talvolta procedendo alla tipizzazione di rapporti contrattuali che non ricevono un’espressa qualificazione legale negli ordinamenti degli
Stati Membri talaltra mostrando di aderire alle soluzioni adottate dalle leggi o dalla
prassi giurisprudenziale di alcuni paesi piuttosto che di altri100.
In tale prospettiva, dunque, trovano giustificazione alcune scelte di notevole
impatto sistematico come, ad esempio, quelle riguardanti rispettivamente
l’avvenuta tipizzazione dei service contracts101 e la definitiva formalizzazione del le-
97
DCFR, Art. III. 3:105: Term excluding or restricting remedies (2) “A term excluding or restricting
a remedy for non-performance of an obligation, even if valid and otherwise effective, having regard
in particular to the rules on unfair contract terms in Book II, Chapter 9, Section 4, may nevertheless
not be invoked if it would be contrary to good faith and fair dealing to do so.”
98
DCFR, Art. IV.E. - 2:201: Cooperation “The parties to a contract within the scope of this Part of
Book IV must collaborate actively and loyally and co-ordinate their respective efforts in order to
achieve the objectives of the contract.”
99
DCFR, Art. IV.E. – 2:203: Confidentiality (1) “A party who receives confidential information from
the other must keep such information confidential and must not disclose the information to third
parties either during or after the period of the contractual relationship.”
100
Alcune perplessità su alcune delle soluzioni accolte nel DCFR sono espresse da R. ZIMMERMANN, The Present State of European Private Law, in 57 Am. J. Comp. L., 2009, 479 ss.
101
Principles of European Law on Service Contracts (PEL SC), prepared by M. BARENDRECHT - C.
JANSEN - M. LOOS – A. PINNA – R. CASCAO – S. van GULIJK successivamente confluiti, con alcune
modifiche, nel DCFR, Libro IV, Parte C. Per un’accurata comparazione tra i due strumenti, si veda M.
LOOS, Service Contracts, Working Paper Series, 26.1.2010, consultabile in www.ssrn.com.
37
ase of goods il quale, ad esempio, nel diritto inglese non è qualificato come un tipo
di contratto102.
1.1.2 I contratti di distribuzione commerciale nel disegno sistematico del DCFR
Gli obiettivi perseguiti dal DCFR nella direzione di una maggiore formalizzazione di taluni istituti del diritto civile si giustificano soprattutto in un’ottica di semplificazione degli scambi così da consentire agli operatori economici di orientarsi alla luce di criteri-guida uniformi, a garanzia della certezza del diritto e dell’equilibrio delle
relazioni commerciali.
Tali considerazioni sono alla base della decisione di intervenire ufficialmente
anche in riferimento alla complessa materia dei contratti di distribuzione commerciale, ponendo così le premesse per la definizione di una normativa sostanziale uniforme in un’area del diritto contrattuale che si è tradizionalmente caratterizzata per
l’estrema lacunosità della materia sia a livello europeo che nazionale.
Nel sistema del DCFR il coordinamento delle norme di parte generale dei contratti con la specifica disciplina dei modelli della distribuzione commerciale è siglato
dalle General Provisions di cui al Capitolo 1 della Parte E del Libro IV le quali riflettono l’approccio universale accolto dai redattori nella risoluzione delle problematiche
in comune ai tre tipi di contratto oggetto di regolamentazione: agenzia commerciale, franchising e distribuzione.
Nella prospettiva di razionalizzazione del quadro normativo esistente, infatti,
l’Art. 1:101: Contracts Covered103 definisce l’ambito di applicazione della disciplina
102
DCFR, Libro IV, Parte B. Sul punto, cfr. L. ANTONIOLLI – F. FIORENTINI, A Factual Assessment of
the Draft Common Frame of Reference, prepared by Common Core Evaluating Group, Sellier European Law Publishers, Munich, 2011, Introduction, 13 ss., e nello specifico da 143 ss.
103
DCFR, Art. IV.E. – 1:101: Contracts Covered: (1) “This part of Book IV applies to contracts for
the establishment and regulation of a commercial agency, franchise or distributorship and with appropriate adaptations to other contracts under which a party engaged in business independently is
to use skills and efforts to bring another’s party products on the market.”
38
mediante un duplice criterio di qualificazione della fattispecie sia di natura legale,
riferendosi specificamente ai tipi dell’agenzia, dell’affiliazione commerciale e della
distribuzione sia di carattere funzionale, includendo genericamente tutti gli accordi
in forza dei quali una parte, autonomamente dedita all’esercizio di un’attività, utilizza le proprie capacità ed i propri sforzi per commercializzare sul mercato i prodotti
della controparte.
In primo luogo, l’enfatizzazione del criterio funzionale, quale parametro discretivo tra contratti con funzione distributiva e tutti gli altri contratti, è diretto ad
impedire ai contraenti la possibilità di eludere l’applicazione delle norme, specie
quelle di carattere imperativo, attraverso una diversa qualificazione formale della
fattispecie legale. L’obbligo assunto dall’intermediario di commercializzare beni o
servizi della controparte attraverso un’organizzazione autonomamente gestita costituisce, dunque, condizione necessaria e sufficiente ai fini dell’immediata applicabilità della disciplina in esame, a nulla rilevando una diversa connotazione del rapporto negoziale ad opera dei contraenti104.
In secondo luogo, la consacrazione della formula dell’indipendenza giuridica
ed economica viene altresì in rilievo quale requisito costitutivo del tipo contrattuale, essendo diretta a condizionare l’individuazione degli accordi di distribuzione
all’inesistenza di un vincolo di subordinazione tra le parti. Requisito, quest’ultimo, di
notevole rilevanza pratica ove si consideri che tali accordi generalmente attribuiscono rispettivamente al preponente, all’affiliante ed al distributore più o meno
ampi poteri di direzione e di coordinamento dell’attività economica della controparte, sollevando così il dubbio che la conclusione dello stesso sia diretta alla realizzazione di uno scopo economico unitario, ossia del c.d. interesse di gruppo, anziché al
conseguimento del profitto individuale dei singoli operatori professionali.
104
Così nei Commenti all’Art. IV.E. - 1:101: Contracts Covered.
39
La formula del “business independetly engaged” rileva, dunque, non solo a
priori come criterio meramente descrittivo ma anche a posteriori come requisito di
classificazione delle fattispecie all’interno della categoria generale dei “contratti tra
imprese”, giacché l’attività posta in essere del distributore non può che essere esercitata attraverso un’organizzazione autonomamente gestita secondo i criteri di professionalità e di economicità.
In linea con una visione coerente ed organica dell’intero sistema di diritto contrattuale, i rapporti tra il DCFR ed i Principi europei dei contratti (PECL) sono regolati
alla luce dell’ordinario criterio di specialità. In particolare, alla luce di quanto previsto dall’Art. IV.E. – 1:201: Priority Rules l’eventuale concorso tra le norme
sull’agenzia commerciale e quelle sul mandato deve risolversi in favore
dell’applicazione delle prime ogniqualvolta esse regolino una situazione più specificamente connessa alla relazione agente/preponente ovvero siano idonee ad assicurare un livello di protezione più elevato. Parallelamente, le norme di parte speciale
contenute nelle sezioni rispettivamente dedicate ai modelli tipizzati della distribuzione prevalgono, in generale, sulle Rules applicabili ai contratti di durata aventi caratteristiche analoghe mentre ogni altra questione non espressamente regolata si
inquadra all’interno della disciplina generale dei PECL che, a sua volta, rappresenta
il punto di partenza da cui prende le mosse ciascuna iniziativa europea di armonizzazione del diritto.
Un esempio evidente delle modalità attraverso cui si articola l’impianto sistematico del DCFR con specifico riguardo alla disciplina sostanziale dei contratti di distribuzione viene in rilievo dal confronto del Capitolo 2 sulle “Rules applying to all
contracts within the scope of this Part” con le corrispondenti norme di parte generale dedicate rispettivamente agli obblighi di informazione, di cooperazione e di riservatezza.
40
Le “General Provisions” di cui al Capitolo 2, infatti, nell’individuare i profili di
disciplina attraverso i quali i redattori del DCFR hanno inteso dare risposta alle specifiche esigenze di protezione del contraente più debole, definiscono un sistema di
obblighi in grado di soddisfare in maggior misura gli interessi generalmente sottesi
ai tipi contrattuali in esame. Tale obiettivo è stato raggiunto ora attraverso una definizione più puntuale e rigorosa dei relativi contenuti, com’è avvenuto, ad esempio,
con riguardo ai pre-contractual information duties e all’obbligo di cooperation, ora
optando per l’integrale sostituzione di alcuni segmenti di disciplina di parte generale
con norme di carattere speciale, come nell’ipotesi prevista dall’art. IV.E. – 2:302:
Contract for an indefinite period paragrafo (7) relativamente all’esercizio del recesso
unilaterale nei contratti a tempo indeterminato.
Sotto diverso profilo, la ricostruzione in chiave sostanziale di ciò che può essere considerato come l’“hard core” della regolamentazione europea dei contratti di
distribuzione commerciale presuppone inevitabilmente un’attenta disamina dei
Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Agreements, (PEL CAFDC)105 i cui contenuti sono stati in gran parte recepiti dai drafters
in sede di preparazione del Libro IV Parte E del DCFR.
1.1.3 Le origini della disciplina europea sui Distribution Agreements: i Principles of
European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL
CAFDC)
I Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Agreements, (PEL CAFDC)106 sono il risultato delle attività di studio e di ricerca
105
M.W. HESSELINK, J.W. RUTGERS, O. BUENO DIAZ, M. SCOTTON, M. VELDMAN, Principles of
European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC), Sellier
European Law Publishers, Munich, 2006.
106
Cfr. nota 55. In generale, si rinvia sull’argomento a O. BUENO DIAZ, Franchising in European
Contract Law. A comparison between the main obligations of the contracting parties in the Principles
of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC), French
and Spanish Law. Sellier, European Law Publishers, Munich, 2008; ID., Commercial Agency, Franchise
41
condotte dal Dutch Working Team107 istituito su iniziativa dello Study Group on a
European Civil Code in vista della preparazione di una proposta di regolamento per
una disciplina europea dei contratti di distribuzione108.
In questa prospettiva, i “national reporters”, chiamati a dare risposta ai vari
“questionnaires” sulle principali problematiche giuridiche attinenti ai modelli della
distribuzione commerciale, hanno provveduto alla formalizzazione del materiale
complessivamente raccolto, recependo la struttura sistematica standard adottata
dalla Commissione Lando nella redazione dei PECL: alla formulazione delle black letter rules seguono, in via consequenziale, il commento esplicativo di ciascuna norma
e le “National Notes” volte a descrivere in sintesi le specificità dei diritti statali in riferimento agli aspetti di volta in volta regolati.
Le ragioni che nel 2006 hanno spinto i membri dello Study Group alla pubblicazione dei PEL CAFDC si iscrivono inevitabilmente all’interno degli obiettivi di integrazione e di sviluppo del mercato interno e, pertanto, devono ricercarsi nel carattere essenziale della funzione economica svolta da tali modelli in termini di riduzione dei costi di commercializzazione in capo ai produttori e di aumento della competitività tra gli intermediari integrati.
I PEL CAFDC, infatti, costituiscono l’oggetto di una proposta di regolamento
diretta ad assicurare ai contraenti un “reasonable degree of legal certainty”, dato
che le sole norme di parte generale del contratto e delle obbligazioni non sempre
appaiono sufficienti a risolvere tutte le potenziali questioni oggetto di controversia
tra le parti109. Per espressa dichiarazione dei redattori, dunque, i Principi sono prio-
and Distribution, in V. SAGAERT, M. E. STORME, E. TERRYN (eds), The Draft Common Frame of Reference: national and comparative perspective, Intersentia, 2012, 387 ss.
107
I membri del gruppo di studio olandese era composto da ricercatori provenienti da ogni parte
d’Europa chiamati a dare risposta alle domande del questionario riguardanti le specificità dei rispettivi diritti nazionali.
108
Per un’indicazione dei volumi pubblicati dallo Study Group, cfr. DCFR, Outline Edition, Introduction, para 41-46 e 54.
109
Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, III, 92.
42
ritariamente diretti a svolgere una funzione di carattere dispositivo attraverso la
previsione di soluzioni idonee a regolare le fasi più critiche della dinamica contrattuale senza porsi, tuttavia, una dichiarata finalità di protezione del contraente debole110.
L’ambito materiale di applicazione dei PEL CAFDC si esaurisce nella puntuale
determinazione dei diritti e degli obblighi delle parti con l’obiettivo di assicurare “a
proper balance” nella composizione dei diversi interessi in gioco. In particolare, a
garanzia della giustizia normativa dell’accordo è prevista l’operatività di un fitto sistema di disclosure clauses il cui contenuto è rivolto a colmare il deficit informativo
di base che generalmente caratterizza lo stato di dipendenza economica degli intermediari integrati.
Nel sistema dei Principi resta, così, esclusa la regolamentazione dei rapporti
con i soggetti terzi. Di conseguenza, eventuali questioni sui vizi di conformità ovvero
sui danni derivanti da prodotti difettosi dovranno essere risolte facendo ricorso alle
norme generali sulle vendite ai consumatori mentre gli aspetti concernenti i rapporti tra l’agente ed il cliente saranno regolati dalle norme sulla rappresentanza. Parimenti restano al di fuori dell’ambito di applicazione dei Principi i rapporti tra gli operatori professionali che agiscono all’interno della medesima rete distributiva ai
quali deve ritenersi applicabile la disciplina di diritto comune dei contratti111.
Sul piano sistematico, la struttura dei PEL CAFDC riflette la natura e la funzione degli schemi contrattuali tipici del commercio integrato: i tratti caratteristici comuni, riassumibili nella matrice economica unitaria e nel carattere strettamente relazionale del vincolo negoziale, giustificano la presenza delle norme generali sui doveri di informazione pre-contrattuale e sugli obblighi di cooperazione e di segretezza che, per loro natura, si prestano ad un’applicazione ampia ed estensiva112. Diver110
Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, V, 93.
Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, VII, 96.
112
DCFR, Book IV, Part E, Chapter 2: Rules applying to all contracts within the scope of this Part.
111
43
samente, le specificità proprie di ciascuna tipologia contrattuale trovano puntuale
regolamentazione all’interno di un capitolo ad hoc, ciascuno dei quali si articola in
tre Sezioni dedicate rispettivamente alla definizione della fattispecie negoziale ed
alla determinazione delle obbligazioni gravanti sul preponente e l’agente, il franchisor ed il franchisee, il produttore ed il distributore113.
La strategia perseguita è chiaramente conformativa in quanto rivolta alla predisposizione di statuti normativi differenziati a seconda della natura effettiva degli
interessi perseguiti e dei soggetti coinvolti, allo scopo di determinare la composizione di un quadro coerente di regole il più possibile adeguate e congrue
all’operazione negoziale avuta di mira.
Sul fronte opposto, la scelta di formulare norme comuni di carattere generale
in riferimento a modelli contrattuali affini trova il proprio fondamento nell’esigenza
di ridurre i problemi di qualificazione e di successiva regolamentazione delle diverse
fattispecie negoziali, posto che l’elevato grado di incertezza riferibile alle divergenze
tuttora esistenti tra i diritti statali rappresenta un notevole ostacolo allo sviluppo
transnazionale di una rete distributiva efficiente114.
1.2 Verso un strumento di diritto opzionale per i contratti di distribuzione?
1.2.1. Il diritto europeo dei contratti nel passaggio dal DCFR alla Common European
Sales Law (CESL)
Le più recenti iniziative promosse dalla Commissione Europea in merito alla
possibile adozione di un strumento opzionale in materia contrattuale offrono
113
In particolare, il Capitolo 3 è dedicato al contratto di agenzia commerciale, il Capitolo 4 al contratto di affiliazione commerciale ed il Capitolo 5 al contratto di distribuzione esaminato nelle due
forme della distribuzione esclusiva e selettiva.
114
Introduzione ai PEL CAFDC, 2006, VI, 95, dove si legge “…in many European jurisdictions today
there are high stakes at issues as to whether a certain contract can be qualified as a commercial
agency contract, since if it does a whole range of statutory rules apply which are both protective of
the agent and mandatory.”
44
l’occasione di riflettere sull’attuale rilevanza del DCFR come principale fattore di
armonizzazione nel panorama del diritto privato europeo.115
In seguito alla pubblicazione dei risultati del Feasibility Study on European
Contract Law116 e della proposta di Regolamento “on a Common European Sales
Law”117 (di seguito CESL), il DCFR è stato reso oggetto di un vasto processo di “recontractualisation”118 con riguardo sia alla sua struttura sia alla terminologia complessiva, tenendo conto altresì dell’acquis e degli strumenti di diritto uniforme già
esistenti come i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali e la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG)119.
In particolare, le risposte agli interrogativi sull’attuale definizione dei rapporti
tra il DCFR, da un lato, e la CESL, dall’altro, possono agevolmente ricercarsi nella disamina dei criteri metodologici adottati dall’Expert Group in fase di preparazione
115
Libro Verde della Commissione sulle opzioni possibili in vista di un diritto europeo dei contratti
per i consumatori e le imprese dell’1.7.2010, COM (2010), 348 def.
Commissione Europea, D-G. Justice, “Expert Group on a Common frame of Reference in European Contract Law, Synthesis of te Fifth Meeting”, 1 September – 1 October 2010, consultabile in
http://ec.europa.eu/justice/policies/consumers.
116
I risultati del Feasibility Study for a Future Instrument in European Contract Law” sono stati resi noti il 3 maggio 2011. Per una disamina completa del testo, si veda “A European contract law for
consumers and businesses: Publication of the results of the feasibility study carried out by the Expert
Group on European contract law for stakeholders’ and legal practitioners’ feedback” in
ec.europa.eu/contract/feasibility_study_
117
Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio “on a Common European Sales Law” COM (2011) 635 (def.) dell’11.10.2011 di cui è pubblicato online il testo in inglese in
ec.europa.eu/justice/contract/files.
L’obiettivo complessivo del Regolamento è quello di migliorare il funzionamento del mercato interno, favorendo l’espansione degli scambi transfrontalieri a sostegno delle piccole e medie imprese
ed assicurando un elevato livello di protezione ai consumatori attraverso la predisposizione di una
disciplina uniforme in materia di vendita in tutta l’area dell’Unione.
118
Di “recontractualization” del diritto privato europeo parla espressamente R. Schulze nella sua
“Introduction” in R. SCHULZE – J. STUYCK, Towards a European Contract Law, Sellier European Law
Publishers, 2011, p. 5; con riferimento specifico alla CESL, il concetto è stato ripreso da A. VENEZIANO, Conclusion of the contract, ivi, 81-95, in particolare 86.
119
Per un’ampia riflessione sugli standards linguistici e terminologici adottati nel DCFR alla luce
dei modelli attuali di unificazione del diritto, si veda lo studio di S. VOGENAUER, Elaborare il diritto
europeo dei contratti, in Contr. Impr./Eur., 1/2012, 125 ss.
45
dello strumento conformemente alle indicazioni impartite dalla Commissione stessa120.
Specificamente, il mandato conferito a tale consesso di esperti è consistito in
un’attività di selezione, semplificazione, riorganizzazione ed aggiornamento di quelle parti del DCFR aventi “direct relevance to contract law” in vista della predisposizione di uno strumento opzionale (set of legal rules) di agevole consultazione (userfriendliness and clarity) da parte degli operatori.
Il punto di partenza è, dunque, rappresentato dall’immenso lavoro di ricerca
comparativa svolto nei Libri da I a III del DCFR del quale è espressamente confermata la vocazione originaria a porsi come “building block” rispetto alle iniziative promosse dalle istituzioni politiche dell’Unione verso il conseguimento di un diritto uniforme dei contratti.
Il prodotto finale derivante dal lavoro svolto dai membri dell’Expert Group risulta, tuttavia, molto meno ambizioso rispetto al progetto originario non solo se
confrontato con l’impianto monumentale del DCFR ma anche se paragonato
all’ampiezza del mandato di cui gli Experts erano stati inizialmente investiti121. Nella
Relazione illustrativa dei lavori si legge, infatti, che la Commissione invitava ad elaborare “a self-standing instrument of European contract law” mentre il progetto definitivo appare espressamente riferito alla “Common European Sales Law”, con notevole ridimensionamento della portata armonizzatrice dello strumento.
120
L’Expert Group è stato istituito dalla Commissione Europea con la decisione 2010/233/EU del
26 aprile 2010, p. 109-111, con l’esplicito compito di realizzare “further progress” nello sviluppo di
un futuro strumento di diritto contrattuale europeo.
121
In senso critico sul ridimensionamento dell’ambito di applicazione nel passaggio dal DCFR alla
CESL, O. LANDO, On a European Contract Law for Consumers and Businesses, in R. SCHULZE – J.
STUYCK (eds.), Towards a European Contract Law, op. cit., 203; C. CASTRONOVO, La Proposta per un
diritto comune europeo della vendita: quesiti fondamentali, Audizione del Parlamento europeo,
Commissione per gli affari giuridici, 1.3.2012; ID., L’utopia della codificazione europea e l’oscura Realpolitik di Bruxelles, in Europa dir. priv., 2011, 837 ss.; R. ZIMMERMANN, Diritto privato europeo:
“Smarrimenti, Disordini”, in Contr. Impr./Eur., 1/2012, 7 ss.
46
La versione definitiva della CESL appare, infatti, manifestamente più circoscritta sotto il duplice profilo oggettivo, limitandosi a regolare le sole vendite di beni
mobili e di contenuto digitale nonché alcuni contratti di servizi direttamente collegati; e soggettivo, riferendosi alle sole transazioni cross-border i cui protagonisti
siano un professionista ed un consumatore ovvero due professionisti, di cui uno almeno con la qualifica di imprenditore medio-piccolo.
Le indicate esigenze di semplificazione unitamente allo scarso tempo a disposizione per il completamento dei lavori (all’incirca un anno) e all’incidenza di alcune
valutazioni di natura strettamente politica hanno generato ciò che un autorevole
studioso ha definito come “strange combination of general contract law and sales
law”122.
La struttura applicativa della CESL, infatti, in quanto preordinata a regolare il
life cycle of the contract123 ossia le questioni strettamente collegate all’evolversi naturale del rapporto contrattuale, si riferisce soltanto ad alcuni aspetti specifici del
diritto generale dei contratti e del diritto delle vendite, trascurando di regolare alcune questioni di parte generale che pur trovano compiuta regolamentazione
all’interno del DCFR. Il riferimento è in particolare agli aspetti attinenti alla capacità
giuridica e alla capacità di agire, alla rappresentanza, alla cessione, alle obbligazioni
122
O. LANDO, Comments and Questions Relating to the European Commission’s Proposal for a
Regulation on a Common European Sales Law, in ERPL, 2011, 718. Di questa strana integrazione della
parte generale e della disciplina della vendita, Hugh Beale, membro autorevole del Gruppo di esperti
che ha elaborato lo studio di fattibilità diventato, con qualche variazione, l’allegato I alla Proposta di
regolamento, ha ritenuto responsabile la pressante sollecitazione provenienti dagli stakeholders (cfr.
E. HONDIUS, Presentation, of the Book Towards an optional Contract Law, in ERPL, 2011, 1034.
123
Espressione che si ritrova in D. STAUDENMAYER, Introduction, in Proposal for a Regulation of
the European Parliament and of the Council on a Common European Sales Law, Verlag C.H. Beck,
2012, XXII; A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line (anche) tra imprese, in
Contr. Impr./Eur., 1/2012, 455.
Nello specifico, con riguardo alla struttura della CESL, si osserva che una serie di regole potrebbe
essere riferita ai contratti in generale, disciplina cioè la parte essenziale comune a tutti i contratti sia
nella parte I, dedicata ai principi generali, sia nelle parti II e III, riguardanti rispettivamente la conclusione e il contenuto del contratto; le parti IV e V riguardano il rapporto obbligatorio che si instaura
tra venditore e compratore, e perciò sono più specificamente riferite alla vendita; ma infine le parti
VI, VII e VIII, rispettivamente sul risarcimento del danno, sulle restituzioni e sulla prescrizione sono di
nuovo relative ai contratti e alle obbligazioni in generale.
47
soggettivamente complesse e ai modi di estinzione delle obbligazioni diversi
dall’inadempimento che, in quanto questioni espressamente escluse,124 hanno determinato un notevole restringimento del diritto di parte generale non solo rispetto
ai contenuti del DCFR ma anche se confrontato con altri strumenti di unificazione
del diritto come i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali ed i
PECL, originariamente rivolti alla generalizzazione delle regole contenute nella Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili (CISG)125.
Occorre tuttavia osservare che, se si muove dalla valutazione dell’attuale stato di evoluzione del diritto europeo dei contratti, per tale intendendosi il coacervo
disorganico delle direttive attualmente vigenti in materia contrattuale, la CESL costituisce senza dubbio uno strumento sufficientemente esaustivo ed appetibile, atteso
che la stessa introduce per la prima volta una disciplina organica e razionalmente
organizzata che consente di superare la specifica settorialità dell’acquis communautaire in riferimento ad un cospicuo segmento del diritto europeo dei contratti.126
Inoltre, il ridimensionamento dell’ambito dedicato al diritto generale trova
una ragionevole giustificazione nella considerazione secondo cui un diritto di parte
generale dal carattere più onnicomprensivo sarebbe apparso eccessivamente sproporzionato rispetto alla drastica riduzione della sfera oggettiva di applicazione dello
strumento ai soli contratti di vendita.
124
Cfr. Considerando 27 della proposta di Regolamento “on a Common European Sales Law” in
cui si legge “ (…) These issues include legal personality, the invalidity of a contract arising from lack of
capacity, illegality or immorality, the determination of the language of the contract, matters of nondiscrimination, representation, plurality of debtors and creditors, change of parties including assignment, set-off and merger, property law including the transfer of ownership, intellectual property
law and the law of torts. Furthermore, the issue of whether concurrent contractual and noncontractual liability claims can be pursued together falls outside the scope of the Common European
Sales Law.
125
Così, A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line (anche) tra imprese, op.
cit., 456.
126
G. DE CRISTOFARO, Il futuro “Diritto comune europeo” della vendita mobiliare: profili problematici della Proposta di Regolamento presentata dalla Commissione UE, in Contr. Impr./Eur., 1/2012,
358.
48
E’ altrettanto ragionevole immaginare che in futuro si registri una più ampia
adesione verso l’adozione di un “pragmatic approach”127 alle questioni di armonizzazione del diritto dei contratti, consentendo di valutare con più cautela sia gli interessi dei contraenti rispetto all’efficienza delle soluzioni proposte sia la risposta del
mercato di fronte all’impiego pratico dello strumento.
In tale prospettiva, è auspicabile che la CESL venga a rappresentare in futuro
un modello di riferimento per l’adozione di una serie di strumenti analoghi che, sia
pure destinati a regolare altri contratti e diversi rapporti obbligatori, potrebbero ricollegarsi alle norme di parte generale ivi contenute128.
1.2.2 Il recupero dei PEL CAFDC per uno strumento di diritto opzionale in materia
di contratti di distribuzione: “the way forward”
Attualmente, benché si possa agevolmente ritenere che lo European Legal
Framework in materia di distribuzione commerciale abbia raggiunto sul piano teorico un sufficiente grado di completezza ed esaustività, non è dato rinvenire alcun
meccanismo normativo in grado di legittimare l’operatività della clausola che individua nel DCFR o in parti di esso, la legge applicabile al contratto.
In questa direzione, la “grande occasione perduta”129 è rappresentata dalla
presa di posizione di netta chiusura assunta dal legislatore europeo con l’adozione
del Regolamento 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali130
127
Così D. STAUDENMAYER, Introduction, op. cit., XXII.
Cfr., C. CASTRONOVO, La Proposta per un Diritto comune europeo della vendita: alcuni quesiti
fondamentali, nella Relazione tra la Proposta e le norme di diritto internazionale privato. Interazione
tra le leggi nazionali esistenti e gli strumenti internazionali ed europei, tenuta in occasione
dell’Audizione del Parlamento europeo, Commissione affari giuridici, 1 marzo 2012, secondo il quale
“Questa impostazione consentirebbe di adottare, quando i tempi fossero maturi, le discipline specifiche di altri contratti ed altri rapporti obbligatori, ricollegandole a loro volta alla parte generale che
sarebbe già stata adottata nel Regolamento del quale qui discutiamo la Proposta”; A. VENEZIANO,
Un diritto europeo per le contrattazioni on-line (anche) tra imprese, op. cit., 457.
129
Così, testualmente, M. J. BONELL, Il Regolamento CE 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (“ROMA I”) – ovverosia una grande occasione perduta, in Bocconi Legal Papers, 2/2011, www.bocconilegalpapers.org.
130
Regolamento CE 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), pubblicato in GU L 176 del 4 luglio 2008.
128
49
che ha escluso in capo ai contraenti la facoltà di scegliere quale lex contractus anche
i principi e le regole non statuali, quali, per l’appunto, il DCFR o alcune sue parti (in
attesa dell’eventuale trasformazione dello stesso o di singole sue parti in uno strumento normativo vincolante) ovvero i Principi UNIDROIT dei contratti commerciali
internazionali131. A causa delle numerose resistenze opposte dagli ambienti più
strenuamente legati ad una concezione statualistica del diritto, è naufragato il progetto originario di inserire nell’art. 3 un nuovo secondo paragrafo che individua come diritto eleggibile “i principi e le norme di diritto sostanziale dei contratti, riconosciuti a livello internazionale o comunitario”132, mentre si è riconosciuta la facoltà di
optare per un qualsiasi altro diritto statale benché privo di qualsiasi collegamento
con il rapporto contrattuale133.
La definitiva formulazione dell’art. 3 del Reg. CE 593/2008, sebbene criticabile
sotto molteplici profili134, non è comunque tale da ostacolare tout court
l’implementazione degli strumenti soft law sia perché è pur sempre praticabile la
via della giustizia arbitrale che garantisce piena esplicazione al principio di autonomia negoziale135 sia perché è lo stesso legislatore europeo che non esclude
l’eleggibilità del DCFR a lex contractus allorché in futuro le relative rules siano incor-
131
Cfr. nota 26.
Proposta di Regolamento CE del Parlamento e del Consiglio 15 Dicembre 2005 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), COM(2005) 650 def.
Precisamente, come sottolineato nel Rapporto esplicativo, “[l]a formulazione adottata è intesa ad
autorizzare la scelta dei Principi UNIDROIT, dei Principi Europei o di un eventuale futuro strumento
comunitario facoltativo, vietando invece la scelta della lex mercatoria in quanto troppo imprecisa, o
di codificazioni private non sufficientemente riconosciute dalla comunità internazionale”.
133
In proposito, cfr. art. 2 laddove prevede espressamente che “La legge designata dal presente
regolamento si applica anche ove non sia quella di uno Stato membro” e art. 3 co. 1 che si preoccupa
unicamente delle modalità in cui deve avvenire la scelta del diritto applicabile ad opera delle parti,
non prevedendo alcuna limitazione circa l’oggetto della scelta, purché si tratti di un diritto statale.
134
Sul carattere contraddittorio e poco convincente degli effetti derivanti dall’attuale formulazione dell’art. 3 del Regolamento Roma I, si veda M. J. BONELL, Il Regolamento CE 593/2008 sulla legge
applicabile alle obbligazioni contrattuali (“ROMA I”) – ovverosia una grande occasione perduta, op.
cit., 5-7.
135
Cfr. infra nota 55.
132
50
porate “in un idoneo strumento giuridico” con possibilità per le parti di optare per
la relativa applicazione136.
Il grado di effettività del diritto europeo dei contratti risulterebbe, infatti, ulteriormente potenziato qualora lo strumento adottando, anziché qualificarsi semplicemente come diritto applicabile individuato secondo i criteri tradizionali del diritto internazionale privato, regolasse al suo interno un meccanismo di opt-in. In
forza del principio di specialità, infatti, le norme del testo uniforme sarebbero tali
da prevalere sulle norme di conflitto di cui al Regolamento 593/2008 (Roma I) e,
conseguentemente, verrebbe esclusa l’applicabilità delle limitazioni che in genere
circoscrivono l’operatività di una choice of law clause137. In tale prospettiva, i meccanismi del diritto internazionale privato assumerebbero rilevanza solo in relazione
agli aspetti non espressamente regolati mentre l’ambito materiale di applicazione
del testo uniforme verrebbe a determinarsi indipendentemente da quello del Regolamento 593/2008 potendo, se del caso, estendersi anche ad alcune questioni disciplinate dal Regolamento 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II), come ad esempio, all’area della responsabilità precontrattuale138.
Sulla scorta di tali indicazioni, la Commissione europea, nel promuovere
l’introduzione di un regime di diritto opzionale in materia di vendita, ha deciso infatti di non intervenire sul paino del diritto internazionale privato, configurando la
scelta della CESL non come scelta assimilabile a quella in favore di una legge nazio-
136
Cfr. Considerando no. 14 “Qualora la Comunità dovesse adottare in un idoneo strumento giuridico norme di diritto sostanziale dei contratti, comprendenti clausole e condizioni generali, tale
strumento può prevedere la possibilità per le parti di scegliere l’applicazione di tali norme”.
137
Nella specie vengono in rilievo i limiti alla scelta della legge applicabile previsti dall’art. 6 del
Regolamento CE 593/2008 (Roma I) con riguardo ai contratti conclusi con il consumatore.
138
Cfr. Regolamento CE 864/2007 del Parlamento e del Consiglio dell’11 luglio 2007 sul diritto
applicabile alle obbligazioni extra-contrattuali, (Roma II), pubblicato in GU L del 31 luglio 2007.
51
nale ma come “secondo regime” relativo ad un diritto direttamente applicabile allo
Stato del contraente che lo sceglie139.
L’adozione di uno strumento opzionale appare desiderabile soprattutto se si
considera che ogniqualvolta le parti avranno optato a monte per l’applicabilità del
testo di diritto europeo uniforme, le esigenze di certezza del diritto sottese al potenziamento dei traffici commerciali transfrontalieri dovrebbero far decidere in ordine all’inammissibilità del c.d depeçage, ossia della volontà di sottoporre diverse
parti del contratto a leggi differenti con l’effetto di costruire una disciplina contrattuale composta da norme appartenenti ad una pluralità di ordinamenti140. In tale direzione, l’art. 8 della CESL, sia pure limitatamente ai soli rapporti tra professionista
e consumatore, ha escluso l’ammissibilità di un’applicazione parziale dello strumento141.
Nella stessa prospettiva, appare lecito dare una soluzione di segno negativo
all’annosa questione riguardante la possibilità per le parti di neutralizzare gli effetti
delle disposizioni imperative dell’ordinamento prescelto. L’esperienza dei contratti
internazionali dimostra, infatti, come la legge richiamata possa essere anche una
139
Considerando (19) della Proposta di Regolamento “on a Common European Sales Law” in cui si
legge che “The agreement to use the Common European Sales Law should be a choice exercised
within the scope of the respective national law which is applicable pursuant to Regulation (EC) No
593/2008 or, in relation to pre-contractual information duties, pursuant to Regulation (EC) No
864/2007 of the European Parliament and of the Council of 11 July 2007 on the law applicable to
non-contractual obligations (Regulation (EC) No 864/2007)20, or any other relevant conflict of law
rule. The agreement to use the Common European Sales Law should therefore not amount to, and
not be confused with, a choice of the applicable law within the meaning of the conflict-of-law rules
and should be without prejudice to them. This Regulation will therefore not affect any of the existing
conflict of law rules.”
140
Sull’inammissibilità del “cherry picking method” in vista del possibile futuro impiego
dell’Optional Instrument come legge applicabile al contratto, H. SCHULTE-NÖLKE, Scope and Function
of the Optional Instrument on European Contract Law, op. cit., 43. Più in generale, sui limiti
all’ammissibilità dell’uso del depeçage in campo internazionale, si vedano S. M. CARBONE – R. LUZZATTO, Il contratto internazionale, Torino, 1994; T. BALLARINO, Diritto internazionale privato, 3 ed.,
con la collaborazione di A. BONOMI, Padova, 1999; F. BORTOLOTTI, Diritto dei contratti internazionali, 2 ed., vol. I, Torino, 2001.
141
Cfr. art. 8 para 3 della CESL “In relations between a trader and a consumer the Common European Sales Law may not be chosen partially, but only in its entirety.”
52
normativa uniforme non altrimenti applicabile ma che, qualora richiamata su volontà delle parti, debba trovare applicazione in tutta la sua interezza142.
Per di più, la necessità di garantire ampi margini di effettività alla policy europea di protezione del c.d. “contraente debole” è tale da escludere la possibilità di
annullare gli effetti delle mandatory provisions, in quanto espressione di un livello di
protezione più elevato rispetto a quello garantito dai singoli diritti statali143. Coerentemente, questa è la prospettiva aperta con la proposta di Regolamento UE per le
vendite transfrontaliere tra un professionista ed un consumatore nonché con la
scelta operata dalla Direttiva 2011/83/UE con la quale si vuole uniformare il settore
dei contratti dei consumatori144.
Ciò premesso, considerando che l’attuale trend evolutivo del diritto privato
europeo si muove con una certa predilezione verso l’adozione di Regolamenti facoltativi, non appare azzardato avanzare alcune proposte di lavoro in vista di una piena
ed efficace armonizzazione del settore della distribuzione commerciale.
Sull’esempio delle iniziative già promosse in materia di vendita, è auspicabile
che le autorità istituzionali europee accolgano nel breve periodo la proposta di re142
Così, S. M. CARBONE, L’autonomia privata nei rapporti economici internazionali e i suoi limiti,
in Atti del Convegno di studi di Milano, 9 giugno 2007, il quale adduce a sostegno della sua ricostruzione l’esempio delle paramount clauses nei contratti di charter-parties. Conformemente, V. ROPPO,
I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e di clausole vietate: a proposito di
armonizzazione del diritto europeo dei contratti, in Il diritto europeo dei contratti tra parte generale e
norme di settore, op. cit.
143
Cfr. l’Explanatory Memorandum della proposta di Regolamento CE del Parlamento Europeo e
del Consiglio “on a Common European Sales Law” COM (2011) 635 (def.) dell’11.10.2011.
Sulla necessità di intervenire più chiaramente nell’affermazione del suddetto principio anche nei
rapporti BtoB, si vedano le considerazioni espresse nello Statement of the European Law Institute on
the Proposal for a Regulation on a Common European Sale Law, COM (2011) 635 final, dove, in riferimento alle possibili modifiche all’art. 3, si legge che: “(3) There is a contradiction between allowing
partial choice in B2B contracts and having mandatory rules for B2B contracts. ELI Article 3(4) therefore clarifies that you cannot, by way of partial choice, escape the application of mandatory rules.”
144
Cfr. art. 25 della Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25.10.2011
sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE e della direttiva 1999/44/CE e
che abroga la direttiva 85/5777/CE e la direttiva 97/7/CE, pubblicata in GUE del 22.11.2011, L 304/64
dove si legge che “Se il diritto applicabile al contratto è quello di uno Stato membro, i consumatori
non possono rinunciare ai diritti conferiti loro dalle misure nazionali di recepimento della stessa direttiva.” In particolare sull’argomento, M. FRANZONI, Dal codice europeo dei contratti al regolamento sulla vendita, in Cont. Impr./Eu, 1/2012, 350 ss.
53
cepire il medesimo impianto metodologico anche con riguardo alla definizione di discipline materiali riferibili ad altri contratti, occupandosi con assoluta priorità dei
modelli commerciali della distribuzione.
Il percorso relativo alla realizzazione di siffatta iniziativa avrebbe l’opportunità
di godere di una corsia preferenziale o “fast track” considerando che, come già anticipato, i membri dello Study Group si sono dedicati in modo accurato alla regolamentazione della materia attraverso la stesura dei Principles of European Law on
Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts.
In particolare si ritiene che, qualora dovesse essere recepita come oggetto di
un regime opzionale, la disciplina prevista nei Principi assumerebbe un peso specifico molto più rilevante rispetto alla corrispondente regolamentazione confluita successivamente nel Libro IV Parte E del DCFR. Il superiore grado di fruibilità della stessa troverebbe giustificazione nella maggiore capacità di far fronte alle pressanti esigenze di certezza del diritto e alle sempre più avvertite istanze di protezione del
“contraente debole”.
A differenza di quanto previsto nel Libro IV del DCFR, infatti, le corrispondenti
general provisions contenute nei PEL CAFDC sui doveri di informazione precontrattuale (art. 1:201), sull’obbligo di cooperazione (art. 1:202) e sul dovere di informazione durante l’esecuzione del contratto (art. 1:203) hanno carattere imperativo e, pertanto, la relativa regolamentazione è sottratta alla facoltà di deroga per
volontà delle parti.
La scelta operata dai PEL CAFDC attraverso la predisposizione in alcuni casi di
una “mandatory protection” appare più coerente con il sistema di valori posti alla
base dell’architettura normativa del DCFR dove eventuali restrizioni al principio
fondamentale della freedom of contract trovano giustificazione nella necessità di ri-
54
stabilizzare posizioni originariamente squilibrate145. Si ritiene, dunque, che il carattere imperativo attribuito alle general provisions sia il risultato di un opportuno bilanciamento tra il principio dell’autonomia negoziale e le esigenze di protezione del
contraente debole, avendo cura di dare il medesimo risalto all’elemento della cooperazione come fattore di caratterizzazione dell’intera categoria dei contratti di durata146.
La mancata trasposizione nel Libro IV del DCFR del carattere imperativo delle
norme generali sugli obblighi di informazione e di cooperazione, oltre a non trovare
ragionevole giustificazione sul piano delle policies proclamate nel DCFR, è foriera di
marcate incoerenze all’interno della disciplina stessa.
In primo luogo, si segnala la contraddittorietà destinata a caratterizzare i rapporti tra il franchising ed i contratti di acquisto esclusivo. Nel primo caso, infatti,
l’obbligo di cooperazione è mandatory in ragione della natura strettamente collaborativa del rapporto mentre il riconoscimento di tale imperatività è assente con riguardo ai contratti di acquisto esclusivo, ancorché ne siano espressamente affermate le relative analogie con il franchising. Tale circostanza produrrà l’effetto di incrementare le controversie sulla qualificazione legale delle singole fattispecie, contrav-
145
Cfr. DCFR, Introduction, 25. Freedom of contract; 26. Restriction on freedom to contract; 27.
Restriction to determine contents of contract dove, infatti, si legge “Similarly, restrictions on the parties’ freedom to fix the terms of their contract may be justified even outside the classic cases of procedural unfairness such as mistake, fraud, duress and the exploitation of a party’s circumstances to
obtain an excessive advantage. Grounds on which restrictions might be justified include inequality of
information (about either the facts, such as the characteristics of the goods or services to be supplied, or the terms of the contract, or both); and lack of bargaining power. Such problems are most
common when a consumer is dealing with a business, but can also occur in contracts between businesses, particularly when one party is a small business that lacks expertise.”
146
PEL CAFDC, Introduzione, 95.
L’applicazione del principio dell’autonomia negoziale è particolarmente importante in riferimento
ai contratti di distribuzione atteso che, come si legge nell’Introduzione ai PEL CAFDC “most such contracts are in practice governed by carefully drawn up contract terms”. In generale sull’argomento, O.
BUENO DIAZ, Commercial Agency, Franchise and Distribution, in V. SAGAERT, M. E. STORME, E.
TERRYN (eds), The Draft Common Frame of Reference: national and comparative perspective,
Intersentia, 2012, 413.
55
venendo alle esigenze di certezza e di prevedibilità del diritto che hanno spinto i redattori del DCFR a voler regolare in modo eguale situazioni analoghe.
La preferenza per l’applicabilità della disciplina dei PEL CAFDC sarebbe da accordarsi, altresì, in considerazione della necessità di superare alcuni profili di irragionevolezza presenti invece nella versione confluita nel DCFR. In generale si osserva che se, da un lato, il minor grado di intensità del vincolo di collaborazione caratterizzante i contratti di distribuzione esclusiva o selettiva è tale da giustificare il carattere default della norma speciale sugli obblighi di informazione pre-contrattuale,
dall’altro, le caratteristiche aventi in comune con il franchising sotto il profilo della
dipendenza economica e della continuità del rapporto, non è tale da giustificare una
significativa diminuzione del livello di protezione nelle fasi che precedono o seguono la conclusione del contratto, considerando che il distributore potrebbe subire la
mancata osservanza degli standards generali di correttezza di cui agli artt. IV.E
2:101: Pre-contractual information duty e 2:202: Information during the performance del DCFR.
56
CAPITOLO III
I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE NEI “PRINCIPLES OF EUROPEAN LAW ON COMMERCIAL
AGENCY, FRANCHISE AND DISTRIBUTION CONTRACTS (PEL CAFDC)”
1.1 “Disclosure” e “co-operation” nel sistema dei PEL CAFDC
1.1.1 Gli obblighi di informazione tra “general provisions” e norme speciali
L’evoluzione dell’industria moderna verso forme di aggregazione imprenditoriale ha incoraggiato il diritto privato europeo al riconoscimento, sia pure implicito,
della categoria dei relational contracts, di cui gli accordi di distribuzione commerciale costituiscono una delle principali manifestazioni tipologiche147. La rilevanza socioeconomica del modello dei contratti relazionali, infatti, ha inciso direttamente sul
processo di armonizzazione del diritto soprattutto attraverso la standardizzazione di
un cospicuo numero di norme di relazione volte a dare effettività alle aspettative
degli operatori professionali in ordine al conseguimento del risultato economico desiderato, oltre che attraverso il perfezionamento di rimedi contrattuali intesi ad assicurare stabilità e continuità al rapporto148.
Muovendo dall’idea secondo cui il mercato europeo costituisce anzitutto un
obiettivo da costruire normativamente, i PEL CAFDC riconoscono una certa evidenza
sistematica alla categoria dei relational contracts facendo ampio ricorso a norme
imperative di principio. Queste, poiché dirette ad arginare l’adozione in concreto di
comportamenti opportunistici dei contraenti indipendentemente da una situazione
di egemonia sul mercato trovano nel canone della buona fede oggettiva e, dunque,
147
Per riferimenti bibliografici essenziali, si veda M. EISENBERG, Relational Contracts, in Good
Faith and Fault in Contract Law, Oxford, 1995; A. SCHWARTZ, Relational Contracts in the Courts: An
Analysis of Incomplete Agreements and Judicial Strategies, in 21 L. Legal Studies, 1992, 271; R. E.
SPEIDEL, The Characteristics and Challenges of Relational Contracts, in 94 N. W. U. L. Rev., 2000, 823;
O. WILLIAMSON, Market and Hierarchies: Analysis and Antitrust Implications, New York, 1975.
148
Tra i principali contributi della dottrina europea sull’argomento, si veda F. CAFAGGI (a cura di)
Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, Bologna, 2004; F.
CAFAGGI – P. IAMICELI, Reti di imprese tra crescita ed innovazione organizzativa. Riflessioni di una
ricerca sul campo, Bologna, 2007; A. LOPES – F. MACARIO – P. MASTROBERARDINO (a cura di), Reti di
imprese. Scenari economici e giuridici, Torino, 2007; D. G. BAIRD, Self-interest and Co-operation in
Long-Term Contracts, in Journal of Legal studies, 1990, 583 ss.
57
nel good commercial practice il fondamento giuridico originario149. In tale contesto,
la clausola generale svolge una funzione di integrazione del contratto con finalità
prevalentemente distributive, essendo volta ad individuare la parte tenuta a farsi
carico dei costi connessi all’adempimento degli obblighi strumentali alla realizzazione del risultato economico desiderato. Sotto diverso profilo, l’imperatività delle
norme su talune obbligazioni accessorie trova la propria giustificazione nell’esigenza
di garantire un più elevato livello di protezione del contraente debole, sottraendo
parti del regolamento negoziale alla disponibilità delle parti e, dunque, alla possibilità di abusi da parte del contraente assistito da una posizione di preminenza economica150.
L’originalità delle general provisions contenute nei PEL CAFDC non risiede tanto nella formalizzazione tout court degli obblighi di disclosure, co-operation e confidentiality, già ampiamente consacrati dal diritto positivo europeo con riguardo alle
discrete transactions151 bensì nell’aver garantito una maggiore effettività a tali principi, piegando il relativo contenuto alle specificità delle logiche regolatorie che caratterizzano il segmento di mercato di volta in volta considerato.
Sul piano morfologico, la formula negoziale tipica dei contratti di distribuzione
appare contraddistinta da tre elementi fondamentali: il carattere necessariamente
duraturo del rapporto contrattuale; l’elevata specificità delle prestazioni oggetto
149
In proposito, tra i tanti, si vedano i contributi di R. ZIMMERMANN – S. WHITTAKER, (a cura di),
Good Faith in European Contract Law, Cambridge, 2000; S. GRUNDMANN - D. MAZEAUD, General
Clauses and Standards in European Contract Law, The Hague, 2006; E. NAVARRETTA, Buona fede e
ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo in Eu. e dir. priv, 2012, 593 ss.
150
Sull’argomento, oggi al centro di un intenso dibattito, si veda, tra i tanti, G. VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, 21 ss.; ID., Diritto dei contratti e “Costituzione”
europea. Regole e principi ordinanti, Milano, 2005; H. COLLINS, La giustizia contrattuale in Europa, in
Riv. crit. dir. priv., 2003, 659. In particolare si segnalano i contributi di R. SACCO – F. GALGANO – D. J.
GERBER – E. MOSCATI – V. ROPPO – G. VETTORI – M. COSTANZA – U. MORELLO, raccolti sotto il titolo Giustizia contrattuale e libertà economiche: verso una revisione della teoria del contratto? nel libro
su Il ruolo della civilistica italiana nel processo di costruzione della nuova Europa, Milano, 2007.
151
Termine coniato dalla dottrina americana in contrapposizione alla nozione di relational contracts. Le discrete transactions, infatti, sono transazioni commerciali isolate, normalmente ad efficacia istantanea, che presuppongono l’inesistenza di rapporti precedenti o successivi tra i contraenti e
che, pertanto, esauriscono i relativi effetti nell’operazione economica isolatamente considerata.
58
dello scambio da cui derivano costi di commutazione altissimi; ed infine, un deficit
informativo di base e, dunque, una strutturale incompletezza contrattuale, intesa
come impossibilità di regolare a priori l’incidenza delle sopravvenienze sull’assetto
negoziale originario. Tali requisiti denotano un modello contrattuale che vede una
della parti in una posizione di tendenziale dipendenza economica rispetto all’altra,
essendo la prima chiamata a coordinare la propria attività di impresa conformemente alle esigenze di marketing della seconda ed in vista della realizzazione di
un’operazione economica complessa e proiettata nel tempo.
Ciò considerato, un corretto ed efficiente svolgimento delle relazioni riconducibili al genus in esame presuppone che l’atteggiamento di entrambi i contraenti si
conformi ai principi di reciprocità e di solidarietà: individuandosi, la prima, nella
consapevolezza che gli sforzi rivolti a beneficio della controparte produrranno nel
lungo termine un ritorno vantaggioso; la seconda, nella disponibilità di una parte a
fare affidamento sul comportamento cooperativo dell’altra, nella misura in cui ciò
sia necessario per garantire la stabilità del vincolo negoziale152.
In tale prospettiva, i PEL CAFDC intendono conseguire l’obiettivo di un mercato fortemente competitivo ispirato ai principi di correttezza e di leale collaborazione
tutelando i valori della trasparenza e della tempestività nella gestione delle informazioni che qualificano l’intera vicenda negoziale sia nella fase iniziale delle trattative sia in quella successiva dell’esecuzione. E’, pertanto, agevole riconoscere nella
relativa disciplina la spinta verso il conseguimento di forme di “cooperazione efficiente”, posto che la condotta di ciascun contraente, accuratamente informato sui
termini del contratto e sulla durata del rapporto, costituisce elemento decisivo per
l’ottimizzazione dell’utilità congiunta nel pieno rispetto della libertà negoziale.
152
Sui doveri di solidarietà quali criteri conformativi dell’autonomia negoziale, si vedano N. IRTI,
Persona e mercato, in ID., L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, 1998; C. M. BIANCA, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 2000, 32 ss.
59
Durante la fase delle trattative, il corretto assolvimento degli oneri di informazione è subordinato anzitutto ad un fattore di carattere temporale laddove all’art.
1:201: Pre-contractual information153 si stabilisce che le informazioni debbano pervenire alla controparte within a reasonable time prima della conclusione del contratto. La previsione di un termine ragionevole è funzionale ad assicurare ai contraenti la possibilità di ponderare in modo accurato l’opportunità di vincolarsi nel lungo periodo conformemente ai termini contrattuali proposti, senza scartare nessuna
delle possibili alternative presenti sul mercato.
In particolare, l’autonomia negoziale delle parti può ritenersi efficacemente
esercitata soltanto qualora gli oneri informativi siano adempiuti in osservanza del
criterio oggettivo del good commercial practice154 e la determinazione negoziale definitiva sia maturata alla luce di una reasonably informed basis.
Il canone del good commercial practice ha l’effetto di individuare il contenuto
degli obblighi di informazione in base agli standards generalmente ritenuti rilevanti
nel contesto economico-commerciale in cui si svolge l’affare, in modo che ciascun
operatore professionale sia in grado di proporre consapevolmente le soluzioni giuridiche più idonee alle proprie esigenze commerciali155.
Allo stesso tempo, il ricorso a standards oggettivamente rilevanti consente di
circoscrivere i confini dello sforzo normalmente esigibile da ciascuna delle parti. Infatti, delimitando la tipologia e la natura dei dati di cui si richiede la relativa divulgazione, si intende preservare la stabilità del contratto contro l’eventualità che una
153
PEL CAFDC, IV. E. – 2:101: Pre-contractual information duty: A party who is engaged in negotiations for a contract within the scope of this Part has a duty to provide the other party, a reasonable
time before the contract is concluded and so far as required by good commercial practice, with such
information as is sufficient to enable the other party to decide on a reasonably informed basis
whether or not to enter into a contract of the type and on the terms under consideration.
154
Il riferimento al criterio di “good commercial practice” richiama espressamente la regola sui
doveri di informazione precontrattuale prevista per i business to business contracts sulla fornitura di
beni e servizi di cui all’art. II. 3:101: Duty to disclose information about goods, other assets and services.
155
In generale, si veda F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, Vol. I, op.
cit., 99 ss.
60
delle parti possa eccepire la mancata comunicazione di notizie che, di fatto, non sono in grado di influire sulla valida formazione del consenso negoziale. Inoltre, una
consapevole decisione sull’an della stipulazione presuppone che l’informazione trasmessa, oltre ad essere pertinente, sia anche effettiva, ossia ragionevolmente in
grado di incidere sul contenuto del contratto in quanto espressa in modo chiaro,
completo e trasparente.
Tuttavia, la reciproca combinazione di tali criteri impedisce di attribuire al
precetto del clare loqui un contenuto unitario determinabile a priori, posto che la
congruità dei dati forniti dovrà essere valutata sulla base di circostanze di fatto che
variano a secondo del tipo contrattuale considerato e che, secondo una valutazione
sociale media, sia ragionevole attendersi156.
Sul piano generale soccorrono in aiuto dell’interprete le indicazioni di cui
all’art. II.-7:205: Fraud157 del DCFR che, nell’ambito della disciplina del dolo, individuano la presenza degli obblighi di disclosure in funzione di una serie di circostanze
fattuali quali il grado di competenza e di specializzazione della parte, i costi necessari per l’acquisto delle informazioni rilevanti, la possibilità per la parte di ricercare
fonti alternative e, da ultimo, l’apparente rilevanza delle informazioni per la controparte. Nella medesima prospettiva, vengono in rilievo rispettivamente l’art. II.3:301: (Negotiations contrary to good faith)158 e l’art. II.-7:201: (Mistake)159 del
DCFR.
156
Sul punto, G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione commerciale, Milano,
1983, 98 ss.
157
DCFR, II.-7:205: Fraud (1) A party may avoid a contract when the other party has induced the
conclusion of the contract by fraudulent misrepresentation, whether by words or conduct, or fraudulent non-disclosure of any information (1) A party may avoid a contract when the other party has induced the conclusion of the contract by fraudulent misrepresentation, whether by words or conduct,
or fraudulent non-disclosure of any information (a) whether the party had special expertise; (b) the
cost to the party of acquiring the relevant information; (c) whether the other party could reasonably
acquire the information by other means; and b(d) the apparent importance of the information to the
other party.
158
DCFR, II. – 3:301: Negotiations contrary to good faith and fair dealing: (1) A person is free to
negotiate and is not liable for failure to reach an agreement. (2) A person who is engaged in negotiations has a duty to negotiate in accordance with good faith and fair dealing. This duty may not be ex-
61
Il contenuto degli obblighi di informazione è determinato in modo più dettagliato con riguardo ai contratti di franchising. Infatti, a causa della penetrante ingerenza del franchisor nella sfera decisionale dei propri franchisee e del loro coordinamento unitario a garanzia dell’immagine comune della rete distributiva, il futuro
franchisee deve essere accuratamente messo al corrente di una serie di informazioni il cui contenuto minimo inderogabile è tassativamente individuato dall’art. 3:102:
Pre-contractual information dei PEL CAFDC160.
Nello specifico, le informazioni riguardanti le condizioni patrimoniali del franchisor, gli estremi identificativi del marchio e le caratteristiche strutturali della rete
sono rivolte a consentire al futuro franchisee di avvedersi in anticipo delle criticità
che l’offerta di adesione al network potrebbe eventualmente sollevare a discapito
della sua stessa sopravvivenza economica. Il pericolo maggiore, infatti, è rappresentato dalla potenziale inidoneità della formula commerciale allo svolgimento
cluded or limited by contract. (3) A person who has negotiated or broken off negotiations contrary to
good faith and fair dealing is liable for any loss caused to the other party to the negotiations. (4) It is
contrary to good faith and fair dealing, in particular, for a person to enter into or continue negotiations with no real intention of reaching an agreement with the other party.
159
DCFR, II. – 7:201: Mistake: (1) A party may avoid a contract for mistake of fact or law existing
when the contract was concluded if: (a) the party, but for the mistake, would not have concluded the
contract or would have done so only on fundamentally different terms and the other party knew or
could reasonably be expected to have known this; and (b) the other party; (i) caused the mistake; (ii)
caused the contract to be concluded in mistake by leaving the mistaken party in error, contrary to
good faith and fair dealing, when the other party knew or could reasonably be expected to have
known of the mistake; (iii) caused the contract to be concluded in mistake by failing to comply with a
pre-contractual information duty or a duty to make available a means of correcting input errors; or
(iv) made the same mistake. (2) However a party may not avoid the contract for mistake if: (a) the
mistake was inexcusable in the circumstances; or (b) the risk of the mistake was assumed, or in the
circumstances should be borne, by that party.
160
PEL CAFDC 3:102: Pre-contractual information: (1) The duty under IV. E. – 2:101 (Precontractual information duty) requires the franchisor in particular to provide the franchisee with adequate and timely information concerning: (a) the franchisor’s company and experience; (b) the relevant intellectual property rights; (c) the characteristics of the relevant know-how; (d) the commercial sector and the market conditions; (e) the particular franchise method and its operation; (f) the
structure and extent of the franchise network; (g) the fees, royalties or any other periodical payments; and (h) the terms of the contract.(2) Even if the franchisor’s non-compliance with paragraph
(1) does not give rise to a mistake for which the contract could be avoided under II. – 7:201 (Mistake), the franchisee may recover damages in accordance with paragraphs (2) and (3) of II. – 7:214
(Damages for loss), unless the franchisor had reason to believe that the information was adequate or
had been given in reasonable time. (3) The parties may not exclude the application of this Article or
derogate from or vary its effects.
62
dell’attività di impresa161 ovvero dal rischio di inserimento all’interno di una rete distributiva di dimensioni talmente ridotte da costringere il franchisee ad affrontare
investimenti aggiuntivi non previamente calcolati.
L’esigenza di ottenere in anticipo tutte le informazioni inerenti ai termini
dell’operazione negoziale si spiega, altresì, a fronte della prassi largamente diffusa
di concludere i contratti di franchising facendo ricorso alle condizioni generali di
contratto unilateralmente predisposte dal franchisor a garanzia dell’uniformità dei
suoi rapporti con tutti gli affiliati. In questo caso, essendo normalmente esclusa la
possibilità di negoziare il contenuto del regolamento contrattuale, si vuole assicurare all’aderente, a cui è riservata la sola facoltà di decidere se concludere o meno
l’affare secondo la logica del “take it or leave it”, di prestare il proprio consenso avendo cognizione completa dei termini negoziali.
L’art. 1:203: Information during Perfomance162 scolpisce in termini generali il
principio secondo cui ciascun contraente è tenuto a fornire tempestivamente alla
controparte le informazioni necessarie in ordine al conseguimento dello scopo del
contratto.
La formalizzazione del canone della buona fede oggettiva attraverso
l’implementazione degli obblighi di informazione durante la fase esecutiva è volta
ad orientare la condotta delle parti verso un risultato efficiente a salvaguardia
dell’interesse sostanziale di ciascuna di esse e nei limiti di un sacrificio economico
non apprezzabile163. La valenza precettiva della norma si estende, infatti, alle sole
161
PEL CAFDC, 3:102, Comment B.
PEL CAFDC, 1:203: Information during Performance: During the period of the contractual relationship each party must provide the other in due time with all the information which the first party
has and the second party needs in order to achieve the objectives of the contract.
163
Per una disamina completa delle peculiarità della buona fede nella prospettiva europea, si
vedano, tra i tanti, M. AUER, Good Faith: A Semeiotic Approach, in European Private Law, 2002, 279
ss.; M. HOCH, Is fair dealing a workable concept for European Contract Law?, in Global Jurist Topics,
2005, 5 ss.; R. ZIMMERMANN – S. WHITTAKER (a cura di), Good faith in European Contract Law, op.
cit., 8 ss.; O. LANDO, Is Good Faith an Over - Arching General Clause in the Principles of European
Contract law, in ERPL, 2007, 841 ss.
162
63
informazioni di cui ciascun contraente è normalmente in possesso in ragione della
propria attività, evitando di imporre a carico delle parti un obbligo aggiuntivo di investigazione e limitando il dovere di comunicazione alle sole notizie rilevanti ai fini
del conseguimento dei risultato economico desiderato. Il carattere generale della
disposizione, infatti, assume connotazioni più specifiche in corrispondenza della disciplina di ciascun tipo contrattuale, definendo il contenuto degli obblighi informativi a seconda delle caratteristiche strutturali del modello negoziale di riferimento.
In materia di agenzia commerciale, l’art. 2:203: Information by agent during
the performance164 impone all’agente la comunicazione di tutti i dati riguardanti i
contratti negoziati o conclusi, le caratteristiche del mercato di riferimento e lo stato
di solvibilità dei clienti mentre il preponente ha il dovere di informare la controparte
delle caratteristiche dei beni e dei servizi offerti, dei prezzi nonché delle condizioni
di vendita e di acquisto, quali ad esempio, i modi di pagamento, i termini della consegna ovvero le caratteristiche della politica commerciale promossa.
Nella medesima prospettiva, vengono in rilievo in materia di franchising gli
artt. PEL CAFDC 3:205: Information during the performance165 e 4:302: Information
by franchisee during the perfomance166 nonchè gli artt. IV.E. 4:202: Information by
164
PEL CAFDC, 2:203: Information during Performance: The obligation to inform requires the
commercial agent in particular to provide the principal with information concerning; (a) contracts
negotiated or concluded;(b) market conditions; (c) the solvency of and other characteristics relating
to clients.
165
PEL CAFDC, 3:205: Information during Performance: The obligation to inform requires the
franchisor in particular to provide the franchisee with information concerning: (a) market conditions;
(b) commercial results of the franchise network; (c) characteristics of the products; (d) prices and
terms for the supply of products;(e) any recommended prices and terms for the re-supply of products to customers; (f) relevant communication between the franchisor and customers in the territory; and (g) advertising campaigns.
166
PEL CAFDC, 4:302: Information by franchisee during the performance: The obligation under IV.
E. – 2:202 (Information during Performance) requires the franchisee in particular to provide the franchisor with information concerning: (a) claims brought or threatened by third parties in relation to
the franchisor’s intellectual property rights; and (b) infringements by third parties of the franchisor’s
intellectual property rights.
64
supplier during the performance167 e IV.E. 4:302: Information by distributor during
the performance168 con riguardo ai contratti di distribuzione.
In particolare, individuando nello sfruttamento della formula commerciale e
nelle clausole di esclusiva reciproca alcuni tra i principali fattori di tipizzazione dei
modelli in esame, gran parte delle informazioni dovute dal franchisor/fornitore riguardano i dati relativi alle modalità operative e al mantenimento della reputazione
del network169 mentre le informazioni del franchisee/distributore si limitano a riguardare le eventuali azioni giudiziarie intentate da terzi contro i diritti di proprietà
intellettuale o alla possibile violazione degli stessi.
1.1.2 La “co-operation” come criterio generale di disciplina
L’adempimento dei doveri di informazione durante la fase di esecuzione del
contratto costituisce al tempo stesso una delle possibili estrinsecazioni dell’obbligo
di collaborazione previsto in via generale dall’art. 1:202: Co-operation170 unitamente
al concetto di lealtà nell’esecuzione delle prestazioni.
Stante la natura di long term contracts, infatti, gli accordi di distribuzione richiedono un grado di collaborazione particolarmente intenso che non si limita ad
167
PEL CAFDC, 4:202: Information during the performance: The obligation under 1:203 (Information during the performance) requires the supplier to provide the distributor with information
concerning: (a) the characteristics of the products; (b) the prices and terms for the supply of the
products; (c) any recommended prices and terms for the re-supply of the products to customers; (d)
any relevant communication between the supplier and customers; and (e) any advertising campaigns
relevant to the operation of the business.
168
PEL CAFDC, 4:302: Information during the performance: In exclusive distribution contracts and
selective distribution contracts, the obligation under 1:203 requires the distributor to provide the
supplier with information concerning: (a) claims brought or threatened by third parties in relation to
the supplier’s intellectual property rights; and (b) infringements by third parties of the supplier’s intellectual property rights.
169
Il termine “network” è utilizzato nel solo capitolo sul franchising. Sul significato della categoria
dei contractual networks e sulla loro incidenza nel diritto europeo, si veda ampiamente, F. CAFAGGI,
Contractual Networks and the Small Business Act: Towards European Principles?, in EUI Working Papers, Law n. 2008/15, 2 ss.
170
PEL CAFDC, 1:202: Co-operation: The parties to a contract within the scope of this Part of Book
IV must collaborate actively and loyally and co-ordinate their respective efforts in order to achieve
the objectives of the contract.
65
esigere dalle parti un mero comportamento passivo atto a scongiurare gli effetti
della mora credendi bensì impone una condotta attiva diretta a preservare solidaristicamente l’interesse sostanziale della controparte ed, in definitiva, a consentire la
realizzazione dello scopo della transazione171.
Nella parte dei PEL CAFDC dedicata ai singoli contratti vengono in rilievo molteplici previsioni normative che formalizzano una serie di condotte doverose a carattere collaborativo. Così, infatti, l’art. 3:202: Know-how172 sull’obbligo di trasmissione del know-how necessario nel corso dell’intera durata del contratto; l’art.
3:203: Assistance173 sui doveri di assistenza ai propri franchisee in termini di organizzazione di corsi di formazione, di aggiornamento professionale e di progettazione; ed infine, l’art. 3:207: Reputation of network and advertising174 che pone a carico del franchisor il compimento di tutti gli sforzi necessari ad affermare la buona reputazione del network ed a promuovere campagne pubblicitarie volte a rafforzare
l’immagine della rete.
Sul fronte opposto, si collocano i doveri di collaborazione a carico dei franchisees previsti dagli artt. 3:303: Business method and instructions175 e 3:304: Inspec171
Cfr. artt. 2 e 3 dell’IFA, International Franchise Association Code of Ethics, 1999, dove si legge
“(…) the success of franchise systems depends on upon both franchisors and franchisees attaining
their goals. (…) Nowhere else in the world does there exist a business relationship that embodies
such a significant degree of mutual interdependence (…).
172
PEL CAFDC, 3:202: Know-how: (1) Throughout the duration of the contractual relationship the
franchisor must provide the franchisee with the know-how which is necessary to operate the franchise business. (2) The parties may not exclude the application of this Article or derogate from or
vary its effects.
173
PEL CAFDC, 3:203: Assistance: (1) The franchisor must provide the franchisee with assistance
in the form of training courses, guidance and advice, in so far as necessary for the operation of the
franchise business, without additional charge for the franchisee. (2) The franchisor must provide further assistance, in so far as reasonably requested by the franchisee, at a reasonable cost.
174
PEL CAFDC, 3:207: Reputation of network and advertising: (1) The franchisor must make reasonable efforts to promote and maintain the reputation of the franchise network. (2) In particular,
the franchisor must design and co-ordinate the appropriate advertising campaigns aiming at the
promotion of the franchise network. (3) The activities of promotion and maintenance of the reputation of the franchise network are to be carried out without additional charge to the franchisee.
175
PEL CAFDC, 3:303: Business method and instructions: (1) The franchisee must make reasonable
efforts to operate the franchise business according to the business method of the franchisor. (2) The
franchisee must follow the franchisor’s reasonable instructions in relation to the business method
and the maintenance of the reputation of the network. (3) The franchisee must take reasonable care
66
tion176 che obbligano questi ultimi ad eseguire correttamente le istruzioni impartite
dal franchisor in merito allo svolgimento dell’attività di commercializzazione nonché
a prestare il proprio consenso all’espletamento di controlli ispettivi nei propri locali
commerciali. Norme dello stesso tenore sono previste anche in materia di contratti
di distribuzione strettamente intesi177.
Gli obblighi di collaborazione reciproca, oltre che diretti a massimizzare
l’utilità congiunta avuta di mira dai contraenti, si pongono a garanzia della stabilità e
della continuità del vincolo negoziale. Essi, infatti, consentono di rispondere in termini di efficienza ai problemi legati alla gestione dei contratti di durata, in particolare con riguardo alla necessità di un adeguamento del rapporto in caso di sopravvenienze o di modificazione delle circostanze originarie.
Qualora siffatti accadimenti non siano comunque tali da giustificare il ricorso
ai rimedi manutentivi ovvero risolutori del contratto come, ad esempio, quelli previsti dai PECL nel caso di un mutamento delle circostanze178, è possibile fare applicazione delle regole di condotta previste dagli artt. 2:309: Warning of decreased vo-
not to harm the franchise network. (4) The parties may not exclude the application of this Article or
derogate from or vary its effects.
176
PEL CAFDC, 3:304: Inspection: (1) The franchisee must grant the franchisor reasonable access
to the franchisee’s premises to enable the franchisor to check that the franchisee is complying with
the franchisor’s business method and instructions. (2) The franchise must grant the franchisor reasonable access to the accounting books of the franchisee.
177
PEL CAFDC, 4:304: Instructions: In exclusive distribution contracts and selective distribution
contracts, the distributor must follow reasonable instructions from the supplier which are designed
to secure the proper distribution of the products or to maintain the reputation or the distinctiveness
of the products; PEL CAFDC, 4:305: Inspections: In exclusive distribution contracts and selective distribution contracts, the distributor must provide the supplier with reasonable access to the distributor’s premises to enable the supplier to check that the distributor is com plying with the standards
agreed upon in the contract and with reasonable instructions given.
178
PECL, 6:111: Change of circumstances: An obligation must be performed even if performance
has become more onerous, whether because the cost of performance has increased or because the
value of what is to be received in return has diminished. (2) If, however, performance of a contractual obligation becomes so onerous because of an exceptional change of circumstances the parties are
bound to enter into negotiations with a view to adapting the contract or ending it, provided that: (a)
the change of circumstances occurred after the time when the obligation was incurred,(b) the debtor
did not at that time take into account, and could not reasonably be expected to have taken into account, the possibility or scale of that change of circumstances; (c) the debtor did not assume, and
cannot reasonably be regarded as having assumed, the risk of that change of circumstances(…).
67
lume of contracts179 per il contratto di agenzia, 3:206: Warning of decreased supply
capacity180 per il contratto di franchising e 4:303: Warning of decreased requirement181 per il contratto di distribuzione. Esse, infatti, riconoscono a carico del preponente, del franchisor e del distributore l’obbligo di dare tempestiva notizia della
presumibile diminuzione delle rispettive capacità di fornitura laddove il volume
d’affari divenga significativamente inferiore rispetto a quello che la controparte avrebbe ragionevolmente motivo di attendersi. Inoltre, con specifico riguardo ai contratti di franchising e di distribuzione, la norma ha opportunamente equiparato la
circostanza in cui le parti abbiano espressamente convenuto una clausola di acquisto esclusivo al caso in cui, pur in assenza di un’esclusiva, il franchisee/distributore
si trova di fatto nell’impossibilità di approvvigionarsi presso altri fornitori.
Il contenuto di siffatti avvisi mira a garantire la stabilità del vincolo negoziale,
da un lato, mettendo il franchisee/distributore nella condizione di adeguare tempestivamente i volumi di fornitura alla domanda dei propri clienti, senza subire pregiudizi economici di sorta, e dall’altro, consentendo al franchisor/fornitore di salva-
179
PEL CAFDC, 3:309: Warning of decreased volume of contracts: (1) The principal must warn the
commercial agent within a reasonable time when the principal foresees that the volume of contracts
that the principal will be able to conclude will be significantly lower than the commercial agent could
reasonably have expected. (2) For the purpose of paragraph (1) the principal is presumed to foresee
what the principal could reasonably be expected to foresee. (3) The parties may not, to the detriment of the commercial agent, exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects.
180
PEL CAFDC, 3:206: Warning of decreased supply capacity: (1) When the franchisee is obliged to
obtain the products from the franchisor, or from a supplier designated by the franchisor, the franchisor must warn the franchisee within a reasonable time when the franchisor foresees that the franchisor’s supply capacity or the supply capacity of the designated suppliers will be significantly less
than the franchisee had reason to expect. (2) For the purpose of paragraph (1) the franchisor is presumed to foresee what the franchisor could reasonably be expected to foresee. (3) Paragraph (1) also applies to cases where the franchisee, although not legally obliged to obtain the products from
the franchisor or from a supplier designated by the franchisor, is in fact required to do so. (4) The
parties may not, to the detriment of the franchisee, exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects.
181
PEL CAFDC, 4:303: Warning of decreased requirement: (1) In exclusive distribution contracts
and selective distribution contracts, the distributor must warn the supplier within a reasonable time
when the distributor foresees that the distributor’s requirements will be significantly less than the
supplier had reason to expect. (2) For the purpose of paragraph (1) the distributor is presumed to
foresee what the distributor could reasonably be expected to foresee.
68
guardare la reputazione della rete, confidando sulle capacità di adattamento della
controparte alle mutate condizioni di mercato182.
Tuttavia,
anche
laddove
le
sopravvenienze
dovessero
giustificare
l’applicazione dell’art. III.-1:110 Variation or termination by court in a change of circumstances, il dovere di cooperazione viene parimenti in rilievo quale criterio fondamentale in base a cui orientare la scelta tra la manutenzione del contratto o la risoluzione dello stesso, inducendo a privilegiare la prima soluzione quando le condizioni di mercato rendano l’uscita troppo costosa oppure gli investimenti specifici
siano molto elevati ovvero non siano presenti sul mercato alternative sufficientemente valide183.
1.1.3 Brevi spunti per un’indagine comparatistica sulle “disclosure clauses”
La presente indagine comparatistica assume come oggetto del confronto la
disciplina degli obblighi di disclosure nei contratti di distribuzione. L’obiettivo principale è di instaurare una rapida comparazione tra i sistemi giuridici europei che si
sono dotati di una specifica legislazione in materia e la common law inglese, tradizionalmente dominata da una visione del contratto di ispirazione liberista184.
I risultati dell’indagine saranno poi utili per misurare le rispettive differenze rispetto alla disciplina dei PEL CAFDC, consentendo di formulare un giudizio di valore
sulla preferibilità o meno dello strumento rispetto alle soluzioni offerte da diritti
statali.
182
Ampiamente sul tema, F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Jovene, Napoli, 1996, 147 ss.
183
Sul tema, nella prospettiva dei networks, F. CAFAGGI, I doveri di cooperazione nei contratti:
un’agenda di ricerca, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. IAMICELI, Giappichelli Editore, Torino, 2009, 363 ss.
184
R. BROWNSWORD, Positive, Negative, Neutral: the Reception of Good Faith in English Contract
Law, in Good Faith in Contract. Concept and Context, (a cura di) R. Brownsword – N.J Hird – G. Howells, Ashgate – Dartmouth, 1998.
69
Nei diversi ordinamenti nazionali europei, la definizione degli obblighi di comportamento delle parti nelle fasi prodromiche alla conclusione dei contratti di distribuzione scontava in passato le difficoltà derivanti da un’incerta formalizzazione
“a monte” della categoria generale dei “contratti di impresa” e dalla laconica presenza “a valle” di una disciplina positiva dedicata ai singoli tipi negoziali185.
Cionondimeno, nell’ambito della legislazione extra-codicistica che più di recente ha investito Paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna, hanno assunto particolare risalto gli interventi normativi riferibili all’agire negoziale degli operatori professionali, così inducendo gran parte della dottrina a riconoscere un certo valore normativo ordinante alla contrattazione d’impresa, rectius, fra imprese. Tra le disposizioni in tal senso più significative vengono in rilievo soprattutto i provvedimenti relativi ai rapporti di integrazione commerciale attuati mediante i contratti di subfornitura industriale186 e di affiliazione commerciale187 mentre la disciplina relativa al
contratto di agenzia trova un’espressa regolamentazione nei codici nazionali così
come modificati in esito al recepimento della direttiva CE 86/653188.
185
Tra i principali teorici dell’autonomia concettuale e normativa della categoria dei contratti di
impresa, in Italia, A. DALMARTELLO, voce Contratti d’impresa, in Enc. Giur., IX, Roma, 1988, 1 ss.; V.
BUONOCORE, Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 2000; G. OPPO, Note
sulla contrattazione d’impresa, in Riv. dir. civ., 1995, I, 629 ss.; ID., I contratti d’impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Riv. dir. civ., 2004, I, 841 ss.; V. ZENO-ZENCOVICH, Il diritto europeo dei
contratti (verso la distinzione tra “contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”, in Giur. It.,
1993, IV, 57 ss; in Spagna, G. J. JIMENEZ SANCHEZ, Derecho Mercantil, Barcelona, 2003; in Francia, J.
MESTRE, Obligations et contrats speciaux, in RTD civ., 1996, 603 ss.;
186
In Italia, cfr. L. 18 giugno 1998, n. 192, Disciplina della subfornitura nelle attività produttive.
Sull’argomento in generale, si veda F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza
economica, Napoli, 2002, 269 ss.; R. CASO, Subfornitura industriale: analisi giuseconomica delle situazioni di disparità di potere contrattuale, in Riv. crit. dir. privato, 1998, 268 ss; in Francia, G. J. VIRASSAMY, Les contrats de dépendance. Essai sur les activités professionnelles exercées dans une dépendance économique, Paris, 1986.
187
Cfr. in Italia, L. 6 maggio 2004 n. 129, Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale; in
Francia L. 89-1008 del 31 dicembre 1989 (loi Doubin); in Spagna L. 7/1996 sul “Comercio Minorista”
(LOCM).
188
Per una visione di insieme delle singole leggi nazionali di recepimento della Direttiva, si veda S.
CAMPANILE, Dieci Anni di Agenzia: dove la 653/1986 fa ancora la differenza, in Comm. intern., 1997,
437. Per la disamina delle singole leggi nazionali, si veda C. COSTA, Contratto di agenzia la legge
francese, in Comm. intern., 1991, 1403 ss; D. CENA – C. MARTINETTI, Contratto di agenzia: al traguardo la legge spagnola, in Comm. intern., 1992, 1063 ss; O. LANDO, The ECC Draft Derective relating to self –employed commercial agents, The English Law Commission versus the EC Commission, in
Rabels, 1980, 1 ss.
70
Un contributo parimenti rilevante nella direzione del riconoscimento della categoria è data dall’azione della giurisprudenza che, da un lato, ha siglato in termini
positivi il controllo di meritevolezza esercitato sugli schemi negoziali atipici della distribuzione commerciale189 e, dall’altro, ha provveduto ad una ricostruzione parziale
degli istituti attingendo alla disciplina di taluni contratti nominati: agenzia, mandato
e somministrazione, nei limiti della loro compatibilità con i caratteri strutturali propri degli schemi della distribuzione190.
Nella determinazione degli obblighi pre-contrattuali e contrattuali della categoria in esame, il criterio di riferimento è rappresentato per tutti gli ordinamenti
giuridici in esame dalla clausola generale di buona fede che assume rilevanza nella
trama del codice civile come regola generale di condotta che presiede ad ogni fase
della vicenda negoziale: trattative, esecuzione, interpretazione ed integrazione del
contratto191.
Storicamente, la portata precettiva della buona fede ha rivestito
un’importanza sempre crescente nel dibattito giurisprudenziale, conoscendo una
progressiva evoluzione. In particolare, si è assistito alla trasformazione della clausola generale da mero criterio per la valutazione delle condotte a fonte di integrazione
189
Così, in Italia, Cass. 17 settembre 1990, n. 11960, in Giur. it., 1991, I, 1 ss.; Cass. 20 maggio
1994, n. 4976, in Foro it., 1995, I, 893; in Francia, Tribunal de commerce de Parigi, 28 settembre
1994, Sofomar c. Prim, in CJFE, 2/1995, 393; in Spagna, STS 17 maggio 1999, in RJ, 1999/4046.
190
R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, 268 ss.; O. CAGNASSO, Concessione di
vendita, in Dig. disc. priv., sez comm., III, Torino, 1988, 227 ss; in Francia, J. HUET, Les principaux contats spéciaux, in Traité de droit civil sous la direction de Jacques Ghestin, in LGDJ, Paris, 2001; in Spagna, M. A. DOMINGUEZ GARCIA, Los contratos de distributiòn: Agentia Mercantil y Cocesiòn Comercial, in Contratos Internacionales, Madrid, 1997.
191
Si evidenzia l’affermazione in Europa del modello cooperativo di contratto nei contributi di T.
WILHELMSSON, Good Faith and the Duty of Disclosure in Commercial Contracting, in Good Faith in
Contract. Concept and Context, op. cit., 181 ss.; M. E. STORME, Good Faith and the Contents of Contracts in Europe, in European Private Law, 2003, 13 ss; R. ZIMMERMANN – S. WHITTAKER, (a cura di),
Good Faith in European Contract Law, Cambrige, 2000; M. HOCH, Is fair dealing a workable concept
for European Contract Law, in Global Jourist Topics, 2005, 5 ss.
71
degli obblighi discendenti dal contratto tramite la determinazione e l’individuazione
di condotte ulteriori rispetto a quelle espressamente previste192.
In Italia, infatti, è diventata sempre più nitida nell’evoluzione giurisprudenziale
la simbiosi dell’art. 1374 c.c. con l’art. 1375 c.c. in quanto la buona fede, letta alla
luce del principio costituzionale di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost., impone
alle parti non solo di eseguire ciò che è previsto nel contratto ed a tenere comportamenti imposti in via integrativa dalla legge, dagli usi e dall’equità ma anche a porre in essere ai sensi dell’art. 1375 c.c. quelle condotte che, in base a correttezza,
siano necessarie per preservare in modo solidale l’utilità e l’interesse della controparte, nei limiti di un sacrificio economico non apprezzabile: adempimento dei doveri di avviso ed informazione; modificazioni delle proprie prestazioni ove necessario; tollerabilità delle modificazioni delle prestazioni altrui che non incidono significativamente sul proprio interesse193.
Ad offrire contorni maggiormente definiti al quadro normativo in questione
concorrono anzitutto le norme dettate in materia di agenzia in attuazione della direttiva europea 86/563194. In ottemperanza alle istanze protezionistiche indicate
dalla direttiva, infatti, è previsto l’obbligo del preponente di agire con lealtà e buona
fede, mettendo a disposizione dell’agente la documentazione necessaria relativa ai
beni ed ai servizi trattati e fornendo tutte le informazioni necessarie all’esecuzione
del contratto, ivi compresa la comunicazione tempestiva della presumibile diminu-
192
Cfr. in Italia, il leading case è rappresentato da Cass. S.U., 15 novembre 2007, n. 23726; in
Spagna, SAP Valentia 17 gennaio 2001, in AC 2000/1269; in Francia, Cass. 4 dicembre 1990, in JCP,
199121725, 305 ss.
193
In dottrina si vedano per l’Italia il contributo di C.M. BIANCA, Diritto civile, vol. IV,
L’obbligazione, Milano, 1993; per la Francia, G. J. VIRASSAMY, La moralisation des contrats de distribution par la loi Doubin du 31 decémbre 1989, in JCP, 1990, 413 ss; per la Spagna, L. DĺEZ PICAZO – A.
GULLÓN, Sistema de Derecho Civil, Madrid, 2000.
194
Si veda in proposito, S. SAINTIER, Commercial Agency Law: a comparative analysis, Ashgate,
2002.
72
zione del volume delle operazioni commerciali qualora dovesse risultare notevolmente inferiore a quello che l’agente potrebbe ragionevolmente attendersi195.
Più in generale, la legislazione extra-codicistica che negli ultimi anni ha interessato la contrattazione di impresa ha eletto la fase delle trattative quale elemento
centrale di disciplina allo scopo di valorizzare modelli relazionali incentrati sulla consapevole e trasparente negoziazione dell’accordo piuttosto che su meccanismi di
mera adesione196.
In questa logica devono essere lette le norme integranti le normative nazionali adottate in materia di affiliazione commerciale, le quali sono state introdotte al
fine di predisporre strumenti di tutela in favore degli affiliati, soprattutto attraverso
forme di disclosure che consentano ai potenziali franchisees di effettuare una valutazione accurata della proposta di entrare a far parte di una rete di franchising197.
Sullo sfondo della previsione degli obblighi generali di comportamento incombenti sulle parti nella fase precontrattuale si collocano le disposizioni che impongono all’affiliante l’adempimento di stringenti doveri di informazione nei confronti dell’affiliato, al quale va consegnata la copia completa del contratto da consegnare nei venti - trenta giorni precedenti la conclusione dell’accordo unitamente
195
In Italia, ad esempio, l’art. 1746 c.c. pone in capo all’agente l’obbligo di tutelare gli interessi
del preponente agendo con lealtà e buona fede. In particolare, questi è tenuto ad adempiere
l’incarico affidatogli in conformità alle istruzioni ricevute, a fornire all’agente le informazioni riguardanti le condizioni del mercato nella zona assegnatagli ed ogni altra notizia utile per valutare la convenienza dei singoli affari. Cfr. in giurisprudenza, Cass., sez. lav., 16 febbraio 1993, n. 1907; Cass.,
sez. lav., 19 agosto 1996, n. 7644; Cass., sez. lav., 10 maggio 2006, n. 10728.
Analogamente, in Spagna l’art. 10 Ley de Contrato de Agencia ed in Germania il § 86 HGB prevedono contengono un’elencazione puntuale dei contenuti del dovere di informazione a carico del
preponente.
196
Per considerazioni di carattere generale sul tema, si veda G. CAPO, voce Contratti di impresa
(evoluzione recente), in Enc. Giur., IX, Roma, 2008, 1 ss. Per la Francia, si veda, J. GHESTIN, Le Traité
de Droit Civil, la formation du contrat, in LGDJ, 1993; per la Spagna, J. A. ECHEBARRĺA, El contrato de
franchigia.Definition y conflictos en las relaciones internas, Madrid, 1995.
197
Cfr. in Italia, art. 6 L. 129/2004; in Francia, L 330-3 Code de Commerce; in Spagna, art. 62 Ley
de Ordenaciòn del Comercio Minorista.
73
ad una serie copiosa di allegati il cui contenuto è puntualmente determinato dalla
legge198.
Tuttavia, la legge italiana prevede che l’affiliante, quand’anche l’aspirante affiliato richiedesse dati ed informazioni utili ai fini della stipulazione del contratto, può
rifiutarsi qualora ritenga che si tratti di informazioni “oggettivamente riservate o la
cui divulgazione costituirebbe violazione dei diritti dei terzi” mentre a carico del
franchisee è istituito un indeterminato ed illimitato obbligo di disclosure, da ottemperare anche se espressamente richiesto dal franchisor. Nella stessa prospettiva,
l’art. 4 al primo comma precisa che la copia completa del contratto può essere priva
degli allegati “per i quali sussistano obiettive e specifiche esigenze di riservatezza”
mentre i libri contabili sono resi disponibili soltanto su richiesta dell’aspirante affiliato.
Al contrario, nel diritto inglese non esiste alcun obbligo generale di disclosure
nel corso delle trattative.199
Più in particolare, a garanzia della procedural fairness nel corso dei negoziati
viene in rilievo l’istituto della misrepresentation che in sostanza impone alle parti un
obbligo di veridicità della dichiarazioni reciprocamente scambiate alla vigilia della
conclusione di un contratto, operando sul piano dei vizi del consenso anziché su
quello del fair dealing.200 La misrepresentation, infatti, deve riguardare uno
statement of fact, ossia l’affermazione esplicita o implicita di un elemento di fatto
198
Per tutti e tre i modelli in esame, tali allegati devono riguardare, in via approssimativa: i principali dati relativi all’affiliante, tra cui la ragione ed il capitale sociale (lett. (a)); l’indicazione dei marchi utilizzati nel sistema (lett. (b)); una sintetica illustrazione degli elementi caratterizzanti l’attività
oggetto dell’attività di affiliazione commerciale (lett. (c)); una lista degli affiliati operanti nel sistema
e dei punti vendita (lett. (d)); l’indicazione della variazione annuale del numero degli affiliati (lett.
(e)); ed infine, l’indicazione di eventuali procedimenti giudiziari promossi contro l’affiliante in riferimento al sistema di affiliazione commerciale (lett.(f)).
199
Keats v. Earl of Cadogan, (1851), 10 CB 591, 138 ER, 234; Walford v. Miles, (1992), 2 AC 128.
200
In dottrina, P. S. ATIYAH, An Introduction to the Law of Contract, , Oxford, 1995.; G. H. TREITEL,
The Law of Contract, Londra, 1995; ID., An Outline Edition of the Law of Contract, Londra, 1995; in
italiano, è possible consultare il saggio di G. ALPA - R. DELFINO (a cura di), Il contratto nel common
law inglese, CEDAM, 2005.
74
che ingenera nella controparte un legittimo affidamento circa la sua autenticità,
non essendo rilevante a tal fine l’errore che incide su uno statement of opinion ovvero su uno statement of law201 .
Inoltre, vi sono ipotesi rispetto alle quali anche il concealment di uno dei contraenti è idoneo a fondare un’azione per misrepresentation . Si tratta delle relazioni
contrattuali a carattere fiduciario in forza delle quali una parte si impegna ad agire a
beneficio dell’altra, ragione per cui la prima deve essere messa a conoscenza di ogni
elemento di fatto anche se non espressamente richiesto nonché dei contratti uberrimae fidei ossia dei rapporti caratterizzati da “utmost good faith” dal momento che
soltanto una delle parti dispone di informazioni rilevanti ai fini della stipulazione ed
alle quali la controparte non ha accesso202. Parimenti, costituisce un caso di reticenza idonea a fondare una responsabilità per misrepresentation il silenzio serbato dalla parte che, a causa di un mutamento successivo delle circostanze, si avveda della
falsità dello statement of fact originariamente rappresentato e ciononostante non
provveda ad informarne la controparte203.
L’esame della casistica giudiziaria relativa ai contratti di distribuzione commerciale conferma la netta propensione a privilegiare il principio del freedom of
contract e ad escludere l’intrusione degli obblighi morali e di equità ivi compresi
quelli di disclosure204 nella fase delle trattative.
Nel caso Williams v. Natural Life Health Foods Ltd. (1998), la House of Lords
ha escluso che la brochure informativa contenente i dati relativi alle financial projections trasmessa nel corso dei negoziati al potenziale franchisee, Mr. Williams, fosse
201
Bisset v. Wilkinson, (1927), AC 177; Derry v. Peek (1889), 14 App. Cas. 337 (fraudulent misrepresentation); Davies v. London & Provincial Marine Insurance Co. (1878), 8 Ch. D. 469, 474 in cui si
legge che “they can only contract after the most ample disclosure of everything…” (innocent misrepresentation).
202
Brownlie v. Cambel,l (1880), 5 App. Cas. 925.
203
With v. O’Flanagan (1936), CH 575.
204
Banque Keyser Ullmann S.A. v. Skandia (U.K.) Insurance Co. Ltd. [1991] 2 A.C. 249; Bank of Nova Scotia v. Hellenic Mutual War Risks Association (Bermuda) Ltd. [1991] 2 W.L.R. 1279.
75
tale da creare un legittimo affidamento sulla correttezza e la veridicità dei dati in
essa contenuti. Analogamente nel caso ANC Ltd. v. Clark Goldring & Page Ltd.
(2001)205, la Chancery Division della High Court ha ritenuto “inconceivable” equiparare il business plan trasmesso durante le trattative ad una “guaranteed promise of
a profit figure”, così rigettando la domanda di risarcimento del danno per “breach
of warranty”.
Tuttavia, a garanzia della fairness, la House of Lords con la decisione Peart
Stevenson Associates Ltd. v. Holland (2008)206 ha negato l’ammissibilità delle c.d.
“non reliance-clauses”, poiché trattandosi di clausole di esonero della responsabilità
per fraudolent misrepresentation appaiono in contrasto con il principio di reasonableness and fair dealing in commercial practice.
Nella common law inglese, il dovere di co-operation nella fase di esecuzione
del contratto discende dal principio generale posto a salvaguardia dell’effettività
delle legittime aspettative generate dalla promessa. Tuttavia, nella redazione dei
contratti standard è d’uso introdurre express terms che stabiliscono ongoing-cooperation a carico dei contraenti207 e con riguardo specifico al contratto di franchising, il British Franchising Association stabilisce che il franchisor è obbligato ad assicurare all’altra parte gli strumenti necessari alla conduzione dell’attività commerciale in riferimento alla preparazione dello staff, al merchandising e all’organizzazione
manageriale.
Uniche eccezioni all’impostazione classica di common law sono rappresentate
dagli artt. 3 e 4 della Commercial Agents (Council Directive) Regulations del 1993208
che stabiliscono espressamente il canone generale della buona fede nell’esecuzione
del contratto come strumento di controllo del comportamento (fair dealing) delle
205
ANC Ltd. v. Clark Goldring & Page Ltd., (2001), ER 353.
Peart Stevenson Associates Ltd. V. Holland (2008), EWHC 1868 (QB).
207
J. ADAMS, J. HICKEY, K.V. PRICHARD JONES, Franchising, United Kingdom, 2006, para. 1.102.
208
Il Commercial Agents Regulations è stato adottato in attuazione della Direttiva CE 86/563. In
proposito, cfr. nota 38.
206
76
parti nonché dall’Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations (1994)209 che introduce la buona fede come criterio di validità delle clausole abusive nei contratti
stipulati con i consumatori.210
Tra i diversi ordinamenti giuridici presi in considerazione, italiano, francese,
spagnolo ed inglese, soltanto i primi tre si sono dotati di un impianto dispositivo ad
hoc sugli obblighi di disclosure, sia pure limitatamente al solo contratto di franchising mentre, in generale, la fonte dei doveri di informazione è da ricercarsi
nell’applicazione pratica della clausola generale della buona fede.
Ad un’analisi più accurata, si rileva che nel diritto italiano, francese e spagnolo
la formulazione degli obblighi di disclosure si sostanziano nel dovere di informare
per iscritto la controparte di una serie di dati puntualmente individuati e da allegare
alla copia del contratto entro il termine di vento o trenta giorni prima dalla conclusione dello stesso.
Sotto questo profilo il regime dei PEL CAFDC appare più flessibile considerato
che né stabilisce la forma dell’adempimento né prescrive un termine preciso, richiamando in proposito i criteri più elastici della ragionevolezza e della tempestività
né individua puntualmente i dati che devono essere allegati, facendo invece ricorso
a locuzioni generiche che determinano in linea di principio la tipologia delle informazioni che devono essere scambiate.
209
Unfair Terms in Consumer Contracts Regulations (1994) adottato in attuazione della Direttiva
CE 93/13 sulle clausole abusive contenute nei contratti con i consumatori ed entrato in vigore il 10
luglio 1995.
210
Sulla disciplina delle clausole abusive nei contratti con i consumatori a seguito dell’entrata in
vigore dell’UTCR, si veda G. HOWELLS – S. WHEATHERILL, Consumer Protection Law, 1995, London,
305 ss; A. DE MOOR, Common Law and Civil Law Conceptions of Contract and a European Law of
Contract: the case of the Directive on Unfair Terms in Consumer Contracts, in ERCL, 1995, 257 ss.; M.
WHINCUP, La trasposizione nel diritto inglese della Direttiva sulle clausole abusive nei contratti con i
consumatori in C.M. BIANCA – G. ALPA, Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
L’attuazione della direttiva comunitaria del 5 aprile 1993, Padova, 1996, 103 ss; S. WHITTAKER, Form
and Substance in the Reception of EC Directives into English Contract Law, in Il diritto europeo dei
contratti tra parte generale e norme di settore, op. cit., 415 ss.
77
Tuttavia, la maggiore flessibilità nelle modalità dell’adempimento non si traduce in un minore grado di incisività degli obblighi di disclosure, ponendosi piuttosto perfettamente in linea con le indicazioni provenienti dalla prassi commerciale
internazionale.
Infatti, a differenza di quanto previsto dall’art. 6 co. 1 e 3 della legge italiana,
ad esempio, i PEL CAFDC, da un lato, hanno escluso la facoltà del franchisor di rifiutarsi di rispondere alla richiesta di informazioni adducendo il carattere “oggettivamente riservato” delle stesse, dall’altro, hanno optato per l’eliminazione di ogni vincolo di disclosure in capo al franchisee, giacché l’esperienza e l’organizzazione aziendale del franchisor consentono agevolmente a quest’ultimo di reperire ogni informazione rilevante, selezionando anche tramite professionisti i candidati più idonei211.
Inoltre, l’indirizzo seguito dal legislatore italiano, francese e spagnolo non prevede l’obbligo di consegna dei prospetti di bilancio, operando in palese contrasto
con le soluzioni accolte dal commercio internazionale secondo cui ogni prospettazione volta a rappresentare al franchisee potenziali volumi d’affari sarebbe idonea
di per sé a suscitare affidamenti vincolanti212. La Model Franchise Disclosure Law,
infatti, ascrive espressamente alla misrepresentation i vizi del contratto stipulato
sulla base delle rappresentazioni erronee o fraudolente, con il conseguente diritto
211
Cfr. le considerazioni riportate al § 33 dell’Explanatory Report del Model Franchise Disclosure
Law preparato dal Committee of Gonernmental Experts promosso dall’UNIDROIT, Istituto internazionale per l’unificazione del diritto privato, dove al si legge: “The Model Law does not require disclosure on the part of the franchisee, only on the part of the franchisor. The reason for this is that the experience and economic size of franchisor, which permit them to have access to legal counsel, do not
make it necessary to provide franchisors with the same degree of protection of franchisees. Furthermore, as is the case with other entrepreneurs, it is normal business practice for franchisors to
ask prospective franchisees for information. Franchisor will naturally want to be able to assess the
capabilities and reliability, as well as the financial conditions of prospective franchisees before entrusting them with the development of a business that carries their trade names.”
212
L’approntamento di affidabili business plans e di validi manuali operativi è considerato essenziale dalla dottrina aziendalistica per l’organizzazione dell’affiliato e, quindi, per la replicabilità della
formula commerciale ed il successo della rete. Così, C. PAOLINI, Diventare imprenditori. Dal business
plan all’avvio di una nuova impresa, Milano 1991, in particolare, 65 ss.; M. DAVIES, How to applie for
a Legal Aid Franchise, London, 1996.
78
dell’affiliato di ottenere la risoluzione o il risarcimento dei danni subiti. Le medesime conseguenze si associano alle omissioni nelle quali il franchisor sia incorso per
colpa o dolo della controparte213.
Diversamente, l’atteggiamento comunemente adottato dalla giurisprudenza
delle corti statali è nel senso di attribuire rilevanza alle previsioni di bilancio solo
quando la falsità ovvero l’incompletezza delle stesse siano tali da integrare un vizio
della volontà, orientando così a carico del danneggiato l’onere della prova214.
Più opportunamente, il richiamo operato dall’art. 3:102 dei PEL CAFDC a “the
particular franchise method and its operation” quale oggetto delle informazioni la
cui trasmissione è doverosa consente implicitamente di estendere la portata applicativa dell’obbligo anche alla consegna di “business plans”, “sales forecasts” ovvero
“traiding results” che, una volta trasmessi alla controparte, sono suscettibili di ingenerare affidamenti vincolanti per il franchisor la cui successiva violazione può costituire fonte di responsabilità per inadempimento contrattuale.
In netto contrasto con l’impostazione accolta dai sistemi di civil law, il diritto
inglese si rifiuta espressamente di accogliere sia “a duty to negotiate in good faith”
sia “a general duty to disclose essential information”215, limitandosi a tutelare la
procedural fairness durante la fase delle trattative solo sul piano della validità
dell’atto negoziale.
213
Cfr. § 60 dell’Explanatory Report del Model Franchise Disclosure Law predisposto
dall’UNIDROIT dove si legge che “any representation that suggests a specific level or range of historical, potential or actual sales or profits will be considered a claim. Earning claims include projections,
pro formas, statements actual or average historical performance and cost estimates at arbitrary sales
level.” In dottrina, N. D. AXELARD - L. RUDNICK, Franchising. A Planning and Sales Compliance Guide,
Chicago, 2007.
214
In Spagna cfr. SAP Valentia, 17 gennaio, 2001, in AC 2001/1269; SAP Teruel 24 ottobre 2001, in
AC 2001/1931; SAP Burgos, 11 febbraio 2002, in AC 2002/892; in Francia, cfr. CA Paris, 9 settembre
1997, in Lettre distrib., 1997-12; Cass. comm. 19 maggio 1992, in JCP, 1993, 387 « il ne suffit pas que
les prévisions contenues dans les études préalables faites par le franchiseur ne se réalisent pas une
fois le contrat conclu, pour que sa responsabilité être engagée. Encore faut –il que l’auteure des
études ait manqué de diligence dans leur confection ».
215
Walford v. Miles, (1992), 2 AC 128, in cui si legge l’opinion di Lord Ackner: “A duty to negotiate
in good faith is as unworkable in practice as it is inherently inconsistent with the position of a negotiating party.”
79
Il mancato accoglimento di un “general duty of disclosure” impedisce, dunque,
di operare qualsiasi tipo di comparazione sotto il profilo della portata applicativa e
dell’intensità degli obblighi di informazione atteso che l’intero sistema è rivolto a
regolamentare non già l’an dell’obbligazione, la cui esistenza è rimessa alla libera
discrezionalità delle parti, bensì il quomodo della stessa, poiché solo qualora ciascuna delle parti dovesse determinarsi in ordine alla rappresentazione, orale o scritta,
di un qualsiasi elemento di fatto, questa dovrà rivelarsi veridica e corretta. Tuttavia,
anche sotto tale profilo la giurisprudenza delle corti inglesi sembra ancora poco
sensibile ad attribuire rilievo giuridico alle conseguenze della financial misrepresentation durante la fase delle trattative216.
1.2 “Unilateral Ending”: un passo in avanti verso la “legal certainty”
1.2.1 Recesso unilaterale e contratti di durata nella prassi del commercio internazionale
Dall’esame delle esperienze maturate nei Paesi in cui i meccanismi della distribuzione integrata hanno conosciuto il maggiore sviluppo emerge che le delicate
problematiche sottese alla risoluzione dei rapporti di durata sono state variamente
risolte dalla prassi in base all’applicazione analogica della disciplina sul recesso in
materia di contratti di agenzia217, di somministrazione a tempo indeterminato218
216
Cfr. note 124 e 125. L’unica eccezione è rappresentata dal precedente giudiziale Esso Petroleum Co. Ltd. v. Mardon (1976) 2 W.L.R. 583 incentrato sul giudizio di negligence a carico
dell’impresa poichè come efficacemente sottolineato da Lord Dennig “… It seems to me that if such a
person makes a forecast – intending that the other should act on it and he does act on it – it can well
be interpreted as a warranty that the forecast is sound and reliable in this sense that they made it
with reasonable care and skill. (…) If the forecast turned out to be an unsound forecast, such as a
person of skill or experience should have made, there is a breach of warranty.”
217
Così P. KINDLER, L’indennità di fine rapporto spettante all’agente di commercio nel diritto
tedesco, in Giur. comm., 1995, 806 ss.; B. SPIEGELFELD, The termination of franchise and distribution
agreements in Austria, in Journal of Int’l Franchising and Distribution Law, 1993, 136 ss.
218
Si veda R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 328 ss. In giurisprudenza, App. Milano, 30 ottobre 1959, in Foro it., 1960, I, p. 476; Cass. 16 maggio 1968, n. 1542, in Foro it. 1968, I,
2160.
80
nonché, talvolta, attraverso il ricorso a principi di carattere generale quale il principio di buona fede219.
Nell’ordinamento giuridico comunitario, una disciplina del recesso nei rapporti professionali tra imprese è prevista solo nel settore della distribuzione automobilistica con specifico riguardo ai quei meccanismi dello schema contrattuale che influiscono sull’attuazione delle politiche antitrust. Nello specifico, si segnala l’art. 3
del Reg. CE 1400/02, che prevede l’obbligo del concedente che intende recedere da
un accordo di darne notifica per iscritto, specificando “i motivi particolareggiati, obiettivi e trasparenti del recesso, onde evitare che il fornitore receda da un accordo
verticale con un distributore a causa di pratiche che non possono costituire oggetto
di restrizione in virtù del presente regolamento”220.
Tuttavia, nonostante l’estrema frammentarietà delle coordinate normative di
riferimento, può ritenersi ormai pacificamente condiviso il principio generale in forza del quale gli accordi di distribuzione a tempo indeterminato possono essere risolti ad nutum, salvo, in ogni caso, l’obbligo di dare un congruo periodo di preavviso221.
Nel settore del commercio internazionale, infatti, i principali modelli di contratti internazionali di distribuzione prevedono l’inserimento di una clausola standard che prescrive l’osservanza di un fixed notice period nei casi di recesso unilaterale222. Prescrizioni dello stesso tenore trovano, altresì, espresso riconoscimento nei
219
Cfr. L. ANSTETT GARDEA, Frankreich, in M. MARTINEK – F.J. SEMLER, op. cit., 1140 ss.
Regolamento CE 1400/2002 del 31 luglio 2002 relativo all’applicazione dell’art. 81, paragrafo
3, del trattato alle categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico,
pubblicato in GU L 203/30 dell’1.08.2002.
221
Cfr. art. 15 della Dir. CE 86/653; art. 1750 co. 2 del Codice civile; § 89 Handelgesetzbuch; art.
L.134-11 Code de commerce; art. 24 (1) Ley del Contrato de Agencia; § 24 (2) Lag om handelsagentur; art.178/86 Còdigo comercial; art. 15 Commercial Agents (Council directive) Regulations 1993. In
generale, H.H. EDLUND, Termination of commercial contracts by giving notice, in ERCL, 2008, 15 ss.
222
Cfr. la clausola standard n. 18, Durata del contratto, inserita nel Modello di contratto internazionale di concessione esclusiva di vendita, a cura della CCI, pubblicato nel 1994 nonché la clausola
sulla durata del contratto inserita nel Modello di contratto internazionale di agenzia commerciale e
nel Modello di franchising internazionale, a cura della CCI.
220
81
Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali223 oltre che nelle soluzioni accolte dalla prassi arbitrale tendenti ad individuare un’obbligazione risarcitoria
in capo a chiunque si avvalga della facoltà di recesso in assenza di un preavviso of
reasonable length224.
L’esame dei forms contrattuali più diffusi consente di rilevare che l’esercizio
della termination è condizionato altresì alla sussistenza di una “giusta” o “ragionevole” (good reason, just cause) causa di risoluzione del rapporto per fatto imputabile all’affiliato, anche se non è sempre facile per l’interprete determinare l’esatto
contenuto di tali espressioni. In tale contesto, infatti, occorre precisare che nella
prassi del commercio internazionale la just cause rilevante ai fini della risoluzione
unilaterale dei rapporti di durata non si sovrappone né al concetto di hardship, che
invece attiene ad una valutazione in merito alla sopravvenuta onerosità della prestazione promessa né a quello di force majeure, che riguarda la sopravvenuta impossibilità di eseguire la prestazione a causa di un impedimento non imputabile né
prevedibile al momento della conclusione dell’accordo. Il test di valutazione della
giusta causa, infatti, si fonda su criteri del tutto autonomi in quanto riferibili
all’attitudine del contraente di continuare a fare affidamento sulle abilità tecnicooperative della controparte a seguito di un mutamento delle circostanze, non prevedibile al momento della conclusione dell’accordo225.
223
In via generale, l’art. 5.1.8 dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali,
2010, stabilisce che “se un contratto è concluso a tempo indeterminato ciascuna parte può recedere
dallo stesso, dandone preavviso con un anticipo ragionevole”. A tale previsione si riconosce espressamente una funzione di gap-filling, consentendo l’integrazione di eventuali lacune ogniqualvolta le
parti abbiano omesso di specificare la durata del contratto. Sul punto, si veda il contributo di S. Vogenauer in S. VOGENAUER - J. KLEINHEISTERKAMP, Commentary on the UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts (PICC), Oxford University Press, New York, 2009, 566 ss. Approfonditamente, sulla natura e l’ambito di applicazione dei Principi, M.J. BONELL, I Principi UNIDROIT dei
contratti commerciali internazionali: origini, natura e finalità, in Dir. comm. intern, 1995, p. 8 ss.; ID.,
Un “Codice” internazionale del diritto dei contratti. I principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, II ed., Milano, 2006.
224
Sent. arb. CCI 8362/95, in Yearbook, XXII-1997, p. 164 ss.; Sent. Arb. 10021/00, in
www.unilex.info.org.;, in www.unilex. Sent. Arb. 9479/99info.org.
225
Cfr. Draft Chapter on Termination of Long Term Contracts for Just Cause, prepared by the
Working Group for the preparation of Principles of International Commercial Contracts (3rd), Revised
82
In via strettamente consequenziale, si pone la questione interpretativa incentrata sul significato da attribuire alla nozione di “congruità” o di “ragionevolezza”
del preavviso, ove il relativo termine non sia stato espressamente pattuito dalle parti. Siffatta problematica che, come noto, costituisce tra gli operatori economici uno
dei principali motivi di contenzioso, è variamente risolta dalla giurisprudenza avendo riguardo alle specificità caratterizzanti il vincolo di collaborazione economica tra
le parti, le quali sono tenute a conformare le rispettive condotte ai reciproci doveri
di lealtà e di cooperazione.
Nella prassi commerciale la tendenza prevalente si è, dunque, consolidata nel
senso di riconoscere un termine di preavviso oscillante tra periodi di tre, quattro o
sei mesi, tenendo conto della durata complessiva del rapporto, della portata degli
investimenti effettuati medio tempore dal concessionario in termini di capitale fisso
e circolante ovvero dell’incremento degli affari apportato al fornitore/concedente,
etc.226
Per quanto concerne i contratti di agenzia commerciale a tempo indeterminato, ad esempio, la Dir. CE 86/653 fissa un termine di preavviso minimo assolutamente inderogabile di un mese per il primo anno di vigenza del contratto, di due mesi
per il secondo e di tre mesi a partire dal terzo, riconoscendo agli Stati membri la facoltà di prevedere termini più lunghi sia con norme inderogabili sia con norme meramente dispositive227.
draft rules with explanatory notes prepared by Professor François Dessemontet in the light of the
discussions of the Working Group at its 3rd session held in Rome, 26-29 May 2008, Contents, IV, Notion of Just Cause.
226
Sent. Arb., CCI 1250/64 in S. JARVIN – Y. DERAINS – J. J ARNALDEZ, ICC Awards 1974-1985, 32
ss; Sent. Arb. CCI 5073/86 in S. JARVIN – Y. DERAINS – J. J.ARNALDEZ, ICC Awards 1986-1990, 85 ss.;
Sent. Arb. CCI 6752/91, Yearbook, XVIII-1993, 54 ss.
227
Cfr. art. 1750 co. III Codice civile; art. L. 134-11 Code de commerce; art. 15 co. II Commercial
Agents (Council Directive) Regulations 1993). Per un confronto delle soluzioni adottate, si veda, F.
BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op. cit., 171 ss.
83
1.2.2 Il recesso unilaterale nei contratti a tempo indeterminato: tra “default rules”
e norme imperative
L’assetto fondamentale dei PEL CAFDC costruito sui principi generali
dell’autonomia negoziale e del dovere di collaborazione tra le parti trova compiuta
espressione nella disciplina dello “Unilateral Ending” dei contratti di durata.
Recependo le indicazioni provenienti dall’esperienza nordamericana228, i PEL
CAFDC affrontano il problema della termination in modo globale, comprendendo sia
il mancato rinnovo del contratto alla scadenza sia il recesso unilaterale, nell’ottica di
tutelare gli interessi del contraente che si trova a dover “subire” l’interruzione della
relazione commerciale.
Secondo quanto previsto dall’art. 1:301: Contract for a definite period, il rinnovo del contratto è condizionato al mancato rifiuto della proroga tempestivamente richiesta dalla controparte, così determinando la trasformazione dell’accordo originario in un rapporto a tempo indeterminato secondo il principio generale di cui
all’art. II. – 1:111: Tacit prolongation229 del DCFR. Viceversa, gli effetti del contratto
cessano alla scadenza del termine a fronte di una mancata richiesta di rinnovo ovvero in presenza di un rifiuto tempestivo della stessa.
L’apposizione di un termine ai contratti di franchising o di distribuzione si giustifica, infatti, da un lato, per questioni di opportunità economica allorché ciascun
contraente voglia preservare l’elasticità sul mercato del proprio apparato distributivo, dall’altro, per ragioni di carattere più spiccatamente giuridico volte a legittimare
la presenza di “non compete obligations” che generalmente costituiscono parte in-
228
Una dettagliata rassegna delle leggi che disciplinano negli Stati Uniti la “Termination” nei contratti di franchising è riportata da R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 433-435. Più in
generale, si veda il contributo di M.D. FERRI – P.I. KLEIN, Restrictions on Termination and Non-renewal of Franchises: A Policy Analysis, in Bus. Lawyer, 36, 1982, 1041 ss.
229
DCFR, III. – 1:111: Tacit prolongation: Where a contract provides for continuous or repeated
performance of obligations for a definite period and the obligations continue to be performed by
both parties after that period has expired, the contract becomes a contract for an indefinite period,
unless the circumstances are inconsistent with the tacit consent of the parties to such prolongation.
84
tegrante di tali accordi. In tale direttiva, la previsione di un meccanismo basato sullo
scambio reciproco e tempestivo del notice of renewal e del counter notice è volto ad
assicurare l’effettiva esplicazione dell’autonomia negoziale, condizionando la prosecuzione del rapporto ad una reale e manifesta volontà di entrambi i contraenti.
La regola che prevede la trasformazione automatica dell’accordo originario in
un contratto a tempo indeterminato costituisce una novità nel settore della distribuzione commerciale, non essendo possibile ravvisare negli ordinamenti degli Stati
membri la tendenza ad un’applicazione in via analogica di detto principio anche ai
contratti di franchising o di concessione di vendita.
Nello specifico, la prassi dei contratti di distribuzione commerciale mostra
che, di regola, la cessazione anticipata delle relazioni contrattuali sottoposte a termine è limitata alle sole cause patologiche addebitabili all’affiliato/concessionario
mentre allo spirare del termine di scadenza non consegue in genere alcun rinnovo
automatico del contratto, con conseguente interruzione delle relazioni senza alcuna
formalità, né indennità di avviamento in favore dell’affilato230.
Sul piano più generale, le ragioni a fondamento dello statuto della “termination” così come disegnato dai PEL CAFDC risiedono nella necessità di informare le
transazioni commerciali ai canoni di certezza e di trasparenza giuridica nonché ai
criteri di efficienza economica ogniqualvolta per l’impresa concedente sia possibile
il conseguimento di un profitto maggiore mediante l’instaurazione di rapporti commerciali con un nuovo contraente.
In tale prospettiva, i paragrafi (1) e (2) dell’art. 1:302: Unilateral Ending of a
Contract for an Indefinite Period affermano il principio generale secondo cui ciascuna parte può liberamente recedere da un contratto a tempo indeterminato (con-
230
Così, A. R. CARNEGIE, Terminability of contracts of unspecified duration, in LQR, 1969, 392 ss.C.
VACCA’, Gli accordi di franchising, il controllo sulla formazione del contratto e le condizioni di fine
rapporto, in Riv. dir. comm. intern., 1990, 253.
85
tracts for an indefinite period) mediante l’osservanza di un ragionevole termine di
preavviso (period of reasonable length).
La ratio della regola generale poggia su una serie di considerazioni di carattere
giuseconomico. In primo luogo, prevale la necessità di controbilanciare gli interessi
che inevitabilmente vengono in rilevo nella fase di cessazione del rapporto: da un
lato, l’interesse del franchisor/concedente che, attraverso il mancato rinnovo ovvero il recesso dal contratto, intende preservare l’elasticità e la sicurezza del proprio
apparato distributivo; dall’altro, le legittime aspettative del concessionario che,
mediante la prosecuzione del rapporto contrattuale, mira alla conservazione della
propria clientela ed al recupero degli investimenti effettuati. Pertanto, l’obbligo di
osservare un termine ragionevole o, in alternativa, l’obbligo di risarcire il danno nel
caso di mancato preavviso sono ritenute misure idonee ad attenuare gli effetti pregiudizievoli che l’esercizio del bargaining power di una parte può cagionare a danno
della controparte più debole231.
Per quanto concerne le modalità di esercizio del recesso, il paragrafo (3) definisce puntualmente la nozione di “termine ragionevole” entro il quale deve essere
comunicato il preavviso di disdetta individuando, in via esemplificativa, una serie di
fattori che di regola incidono significativamente sugli aspetti economici del contratto. In tale direttiva, le circostanze indicate nell’Art. IV. E. - 2:302 e puntualmente identificate nella durata residua del rapporto contrattuale232, nell’importanza degli
investimenti effettuati233, nel tempo stimato come necessario per la ricerca di una
231
Si veda A. DE GUTTRY, Il problema della “termination” nel contratto di “franchising”, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, 1983, 81.
232
Cfr. il Commento a DCFR, IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of
the period of notice, a) The time the contract has lasted nonché all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period.
233
Così, il Commento a DCFR, IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of
the period of notice, b) Reasonable investments made nonchè all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral
Ending of a Contract for an Indefinite Period.
86
valida alternativa234 nonché negli usi invalsi nello specifico settore commerciale235
costituiscono criteri-guida fondamentali nella determinazione in concreto della durata ragionevole del preavviso.
L’esistenza di rapporti contrattuali di durata determinano, per loro stessa natura, reciproci affidamenti e giustificano investimenti specifici sul presupposto della
continuità della relazione commerciale. La circostanza che tali investimenti siano
stati o meno effettivamente ammortizzati dal contraente che li ha sopportati incide
significativamente sulla determinazione del termine di preavviso. Infatti, a fronte di
un recesso unilaterale quanto più la durata residua del contratto è maggiore, tanto
più potrebbe essere difficoltoso per la parte adattarsi alla nuova situazione e, conseguentemente, tanto più ingente potrà risultare il danno dalla stessa subito a causa del recesso ingiustificato della controparte. Viceversa, qualora il contratto sia in
esecuzione già da tempo, tale situazione potrebbe rivelarsi sufficiente per il recupero totale degli investimenti e, dunque, a giustificare un termine di preavviso più
breve, considerando, altresì, che ai fini della determinazione dello stesso, assumono
rilevanza i soli investimenti che appaiono ragionevolmente idonei a soddisfare le
specifiche contingenze caratterizzanti il rapporto contrattuale in corso e non anche
gli investimenti genericamente riferibili all’attività commerciale in senso lato.
La previsione di un ragionevole termine di preavviso, inoltre, è diretto ad assicurare all’altro contraente un periodo sufficiente entro cui ricercare una valida e reale alternativa sul mercato. In tale prospettiva, assume notevole importanza la valutazione di eventuali clausole di non concorrenza post-contrattuale inserite nel regolamento negoziale, le quali, rendendo di fatto più difficoltosa la ricerca di
234
Cfr. il Commento a DCFR, IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of the
period of notice, c) The time it will take to find a reasonable alternative nonchè all’Art. 1:302 dei PEL
CAFDC, Unilateral Ending of a Contract for an Indefinite Period.
235
Così, nei Comments all’Art. IV. E. - 2:302, Contract for an indefinite period, Reasonableness of
the period of notice, d) Usages nonché all’Art. 1:302 dei PEL CAFDC, Unilateral Ending of a Contract
for an Indefinite Period.
87
un’alternativa adeguata, presuppongono la determinazione di un termine di preavviso più lungo.
Infine, il termine di preavviso può assumere, altresì, una durata ragionevolmente diversa a seconda dello schema negoziale prescelto (contratto di agenzia,
concessione di vendita, franchising) ovvero del settore merceologico interessato
(automobili, birra, combustibili, etc.) secondo quando prescritto, ad esempio, dai
codici di condotta presenti in un dato segmento di mercato.
Le su menzionate esigenze di trasparenza e di certezza giuridica hanno indotto
i redattori dei PEL CAFDC, da un lato, a svincolare l’esercizio del diritto di recesso
dalla valutazione di una “giusta causa” rilevante ai fini della risoluzione del rapporto, dall’altro, a prevedere la fissazione di termini minimi di preavviso per tutti i tipi
negoziali che rientrano nella categoria dei contratti in esame, senza prevedere regimi differenziati.
Infatti, qualora all’interno della dinamica contrattuale dovessero insorgere
eventuali dubbi nella valutazione dell’incidenza di tali fattori nella determinazione
del termine, i PEL CAFDC prevedono l’operatività di un sistema di presunzioni legali.
Nello specifico, il canone della ragionevolezza si presume integrato nella misura in
cui il termine di preavviso sia pari ad un mese per ciascun anno di vigenza del contratto sino ad un massimo di trentasei mesi. Il carattere imperativo di siffatti principi (mandatory rules) esclude l’efficacia di clausole contrattuali che prevedono un
termine inferiore fermo restando che, in nome del principio di autonomia negoziale,
le parti possono fissare periodi più lunghi purché, in tali casi, il termine previsto in
favore del concedente non sia inferiore a quello previsto per il concessionario e non
risulti in definitiva ad esclusivo vantaggio del primo.
Il nesso di continuità tra i progetti di armonizzazione piena attualmente in
corso di realizzazione suggerisce di operare un confronto tra l’art. 1:302 dei PEL
88
CAFDC e l’art. 77 della CESL che ha accolto in via generale il principio del ragionevole termine di preavviso per la risoluzione unilaterale dei contratti a tempo indeterminato236.
A differenza dei PEL CAFDC, la disciplina della CESL appare molto meno incisiva sul fronte delle esigenze di protezione del professionista più debole. Benché nella
Proposta il reasonable period of notice costituisca un requisito indispensabile affinché la parte che intenda risolvere unilateralmente il contratto vada esente da ogni
forma di responsabilità per danni, tuttavia, si stabilisce un termine durata massima
del termine di preavviso, pari ad un massimo di due mesi, limitando espressamente
l’inderogabilità della regola ai soli rapporti “business to consumer”.237
1.2.3 Primo esempio di applicazione pratica del DCFR. La sentenza della Corte Suprema di Svezia sul “reasonable period of notice”
A riprova della sempre più avvertita esigenza di reperire nel settore dei contratti di distribuzione soluzioni uniformi a tutela dei reciproci interessi dei contraenti, si osserva che il primo ed embrionale esempio di applicazione pratica del DCFR,
quale strumento predisposto a dare effettività alle istanze di armonizzazione del diritto contrattuale europeo, è dato da una sentenza della Corte Suprema di Svezia
(Högsta Domstolens) del 3 novembre 2009 intervenuta sul fronte dell’esercizio unilaterale della facoltà di recesso ad nutum238.
236
CESL, art. 77: Contracts of indeterminate duration 1. Where, in a case involving continuous or
repeated performance of a contractual obligation, the contract terms do not stipulate when the contractual relationship is to end or provide for it to be terminated upon giving notice to that effect, it
may be terminated by either party by giving a reasonable period of notice not exceeding two
months. 2. In relations between a trader and a consumer the parties may not, to the detriment of
the consumer, exclude the application of this Article or derogate from or vary its effects.
237
In ragione dei profili di contraddittorietà, l’attuale formulazione della norma è stata oggetto di
rivisitazione da parte dello European Law Institute che nello Statement on the Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law sottolinea: “It is inappropriate to bind any party, including
traders, to a contract for a period without any temporal limitation. The two month period should,
however, only apply to consumer contracts.”
238
Högsta Domstolens Dom 3 November 2009 Mål nr. T 3-08, in
www.domstol.se/Domstolar/hogstadomstolen/Avgoranden/2009. Sul punto, A. DE MARCO, Alcune
89
Il nodo centrale della controversia riguardava l’an ed il quantum di una domanda di risarcimento danni proposta da un venditore al dettaglio/concessionario
di prodotti da forno nei confronti di un fornitore locale il quale si era avvalso della
facoltà di recesso ad nutum, senza l’osservanza di un congruo termine di preavviso.
In particolare, la cessazione del rapporto contrattuale per volontà unilaterale del
concedente era intervenuta a distanza di sette anni dalla conclusione orale di un
contratto di concessione di vendita stipulato a tempo indeterminato tra un produttore ed un distributore entrambi svedesi.
La Corte, pertanto, dopo aver passato in rassegna i principi vigenti
nell’ordinamento statale ed internazionale con riguardo agli aspetti più rilevanti del
contratto di concessione di vendita, ha dimostrato una spiccata sensibilità nei confronti delle avvertite esigenze di armonizzazione laddove, derogando espressamente all’unico precedente giudiziario sussistente in materia239, ha assunto i Principles
di derivazione comunitaria come parametri normativi di riferimento per la soluzione
della controversia di cui era stata investita.
In applicazione del DCFR, infatti, il giudice svedese ha accolto la domanda di
risarcimento del danno proposta dal concessionario, affermando il principio generale secondo cui nei contratti a tempo indeterminato ciascuna parte è tenuta ad osservare un ragionevole termine di preavviso. Nella specie, considerando che il contratto era stato bruscamente interrotto dopo sette anni di vigenza, il giudice, anziché optare per la determinazione di un termine minimo astrattamente prefissato,
ha ritenuto come ragionevole un preavviso di almeno tre mesi, tenendo conto che il
riflessioni a margine della sentenza 3 novembre 2009 della Corte Suprema di Svezia: un primo esempio applicativo del Draft Common Frame of Reference on European Contract Law, in Dir. comm. intern., 2012, 141 ss.
239
In una precedente controversia del 1987, concernente un contratto di concessione di vendita,
la Corte Suprema svedese aveva statuito in ordine all’ammissibilità del recesso unilaterale esercitato
senza preavviso, mancando la prova che, con riguardo a tale fattispecie negoziale, gli usi richiedessero l’osservanza di un congruo termine.
90
fornitore era una società di piccole dimensioni e che l’attività imprenditoriale del distributore locale non era limitata alla vendita dei soli prodotti del concedente.
Nella specie, la valutazione dei criteri esemplificati nell’Art. IV. E. - 2:302 paragrafo (3) del DCFR hanno assunto una portata decisiva nella determinazione di un
ragionevole termine di preavviso, così realizzando un equo contemperamento tra le
esigenze di efficienza del mercato e le istanze di “business fairness”.
Nell’attuale panorama giudiziario europeo il carattere originale ed innovativo
della sentenza svedese assume pertanto una notevole rilevanza pratica atteso che,
nel contrassegnare il battesimo giurisprudenziale del DCFR, interviene in un’area del
diritto contrattuale che solo in rarissimi casi riceve una specifica regolamentazione
positiva a livello di legislazione nazionale.
1.3 Anomalie e rimedi nei rapporti di distribuzione: “damages”, “indemnity of goodwill” e obbligo di riacquisto delle scorte invendute
La pretesa esaustività della disciplina dei PEL CAFDC trova ulteriore conferma
nella definizione del sistema rimediale previsto per i contratti di distribuzione che si
articola sul duplice versante dell’invalidità negoziale e della responsabilità contrattuale. In particolare, la tendenza ad una ricostruzione in chiave funzionale dei rimedi definisce nel complesso una disciplina calibrata in rapporto ai molteplici interessi
emergenti dall’attività economica delle imprese, operando su un piano di compatibilità con i principi fondamentali della libertà negoziale, della tutela
dell’affidamento dei terzi e della certezza delle situazioni giuridiche interessate.
In tale direttiva, viene anzitutto in rilievo l’art. 1:201: Pre-contractual information duty che di fatto instaura un collegamento virtuale ma obbligato con l’art. II.7:201: Mistake paragrafo (1)(b)(iii) in forza del quale la violazione della regola di
buona fede informativa costituisce una delle possibili cause di annullabilità per erro-
91
re della controparte, incidendo essa sul procedimento di formazione della volontà
negoziale.
Ciò precisato, si osserva che l’intero sistema appare interamente incentrato
sull’istituto del compensation che assume rilevanza sia come rimedio esclusivo a
fronte della violazione delle norme che presiedono al corretto esercizio delle condizioni di fine rapporto sia come rimedio di carattere residuale laddove a fronte della
violazione degli obblighi di informazione non siano integrati gli estremi del fundamental mistake. In quest’ultimo caso, nell’ambito dei contratti di franchising si prefigura un regime di strict liability, atteso che il franchisee è dispensato dall’onere di
dimostrare il nesso causale tra l’inadempimento dei doveri di informazione e
l’errore della parte, essendo a carico del franchisor la prova della correttezza e
dell’adeguatezza dell’informazione divulgata, qualora questi voglia andare esente
da ogni forma di responsabilità.
In generale, l’art. 1:303: Damages for Non-Observance of Notice Period prevede che il mancato preavviso ovvero l’inosservanza di un termine congruo determinano l’insorgenza di un’obbligazione risarcitoria per i danni subiti dalla controparte.
Nello specifico, il paragrafo (2) prevede che la somma dovuta a titolo di risarcimento è pari al profitto che la parte avrebbe ottenuto nelle more del preavviso,
precisando che lo stesso dovrà essere calcolato in base al profitto medio ricavato
negli ultimi tre anni ovvero, se il contratto ha avuto un durata inferiore, a quello
maturato nel corso di detto periodo. Nella specie, si richiama implicitamente l’art.
9:502 PECL (General Measure of Damages)240 che, in via generale, identifica i parametri di quantificazione delle somme dovute a titolo di risarcimento del danno rispettivamente nella perdita (the loss) sofferta dalla parte e nel guadagno (the gain)
240
Cfr. PECL, 9:502: General Measure of Damages: The general measure of damages for loss
caused by non-performance of an obligation is such sum as will put the creditor as nearly as possible
into the position in which the creditor would have been if the obligation had been duly performed.
Such damages cover loss which the creditor has suffered and gain of which the creditor has been deprived.
92
che avrebbe conseguito ove il contratto fosse stato duly performed. Ne consegue
che il danno risarcibile derivante dal recesso ingiustificato è, di regola, pari
all’expectation interest che si calcola sulla base dei guadagni presumibilmente realizzati dal concessionario nella durata residua del contratto nonché dell’ammontare
delle spese sostenute dallo stesso per l’organizzazione e la promozione delle vendite in previsione della maggiore durata della collaborazione professionale241.
L’istituto generale della “compensation after termination” così come regolato
nei PEL CAFDC affonda le sue radici nei principi dell’acquis communautaire ed, in
particolare, nell’articolato normativo di cui alla Dir. CE 86/653 che affronta analiticamente le questioni correlate alla “termination” del contratto di agenzia, riconoscendo in capo all’agente non solo la “riparazione del pregiudizio causatogli dalla
cessazione dei suoi rapporti con il proponente” ma anche il diritto a ricevere in pagamento un’indennità di fine rapporto che prescinde dall’inadempimento della controparte242.
L’art. 1:305: Indemnity of goodwill stabilisce, infatti, che in ogni caso di cessazione del rapporto contrattuale, ivi compreso per inadempimento, ciascuna delle
parti ha il diritto di richiedere il pagamento di un’indennità di clientela (indemnity
for goodwill) se e nella misura in cui la stessa abbia contribuito ad incrementare in
modo significativo il volume d’affari della controparte ed il pagamento
dell’indennità risulti ad essa ragionevolmente dovuto. Nello specifico, si tratta di un
rimedio a carattere restitutorio di portata generale atteso che il pagamento
dell’indennità prevista in riferimento a qualsivoglia contratto a lungo termine si aggiunge eventualmente al diritto di ottenere il risarcimento del danno derivante dalla
241
Com’è stato correttamente osservato il recesso deve sempre garantire “la possibilità di ammortizzare gli investimenti che lo scioglimento del rapporto rende irrecuperabili”. Così, infatti, R.
PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979, p. 328.
242
Così, ampiamente, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op.
cit., p. 191 ss; N. TELLIS, The compensation for goodwill in commercial agency, Athina, 1997.
93
mancata osservanza del termine di preavviso ed a prescindere dalle cause che hanno portato alla cessazione degli effetti del contratto.
Il diritto ad ottenere il pagamento dell’indennità di fine rapporto costituisce,
infatti, una delle molteplici applicazioni della regola generale sull’Unjustified Enrichment (art. VII. - 1:101 del DCFR) e dalla quale è lecito coniare il principio secondo
cui è da ritenersi in ogni caso precluso il conseguimento di un arricchimento ingiustificato derivante dalla cessata esecuzione di un rapporto contrattuale di durata243.
La disposizione di cui all’art. 1:305: Indemnity of goodwill rappresenta il risultato di una netto passo in avanti compiuto dai redattori dei PEL CAFDC rispetto alle
soluzioni variamente accolte dalle legislazioni nazionali soprattutto in sede di recepimento della Direttiva comunitaria in materia di agenzia commerciale244.
Da un lato, infatti, si assiste alla generalizzazione dell’istituto a tutti i tipi che
rientrano nella categoria dei contratti di distribuzione, rafforzando così la posizione
dei franchisees/concessionari che svolgono la loro attività principale in uno degli
Stati in cui non è prevista il pagamento di siffatta indennità come, ad esempio,
l’Italia, la Francia ed il Regno Unito. Dall’altro, si prevede un nuovo ed autonomo sistema di calcolo dell’indennità di clientela basato sulla valutazione di un triplice elemento: l’incremento significativo del volume degli affari, il persistente godimento
nel tempo di “substantial benefits” derivanti dagli affari precedentemente procurati
ed, infine, il reasonablness test quale parametro circostanziale che deve orientare
l’interprete nella determinazione dell’an e del quantum dell’indennità. Ad esempio,
per stabilire se l’indennità sia ragionevolmente dovuta occorre considerare
243
DCFR, VII. – 1:101: Basic rule: (1) A person who obtains an unjustified enrichment which is attributable to another’s disadvantage is obliged to that other to reverse the enrichment. (2) This rule
applies only in accordance with the following provisions of this Book. In dottrina, P. GALLO, Unjust
Enrichment: A Comparative Analysis, in 40 Am. J. Com. L., 1992, 431 ss.; ID., Arricchimento senza causa, Torino, 2008.
244
Sugli errori compiuti, ad esempio, dal legislatore italiano in sede di recepimento della Direttiva, si veda, R. BALDI, Il contratto di agenzia, op. cit., 263; A. VENEZIA, La risoluzione ed il recesso nel
contratto di agenzia, in Recesso e risoluzione nei contratti, a cura di G. De Nova, Milano, 1994, 711
ss.
94
l’eventuale risarcimento del danno subito per la violazione delle condizioni di fine
rapporto ovvero per inadempimento atteso che, in tali ipotesi, la voce di danno pari
all’“expectation interest” non potrà essere riconsiderata ai fini della quantificazione
dell’indennità, a pena di un’inammissibile duplicazione risarcitoria.
Una speciale previsione normativa sull’indennità di clientela è previsto per i
contratti di agenzia dall’art. 2:312: Amount of indemnity che innova completamente
rispetto ai meccanismi recepiti negli ordinamenti degli Stati membri. Tale indennità
si determina attraverso un complesso sistema di calcolo che tiene opportunamente
in considerazione l’ammontare medio delle provvigioni percepite in riferimento ai
contratti conclusi con i nuovi clienti e l’incremento di volume degli affari procurati
con i clienti preesistenti, considerando, altresì, il numero di anni in cui il preponente
presumibilmente godrà dei vantaggi derivanti da tali contratti. In ogni caso,
l’ammontare dell’indennità non potrà essere superiore alla retribuzione media annuale percepita dall’agente negli ultimi cinque anni di attività.
La norma è posta nell’interesse di entrambi i contraenti dal momento che assicura maggiore trasparenza nella determinazione del quantum, abbattendo i costi
di transazione e riducendo le ipotesi di contenzioso. Gli interessi dell’agente sono
tutelati mediante il riferimento a criteri di calcolo sufficientemente determinati
mentre la posizione del preponente è ragionevolmente salvaguardata dalla previsione di un coefficiente che tiene conto del numero limitato di anni nel corso dei
quali lo stesso potrà godere dell’avviamento generato dalla precedente attività
dell’agente nonché dalla previsione di un tetto massimo quanto all’ammontare
complessivo dell’indennità.
Il sistema previsto dai PEL CAFDC, dunque, qualora prescelto come legge regolatrice del contratto, consentirebbe di ovviare alle numerose incertezze derivanti
dalla varietà dei criteri adottati negli orientamenti nazionali, i quali sono attualmen-
95
te orientati, in parte, sul modello alla “tedesca” che limita il diritto all’indennità ai
soli casi in cui l’agente abbia procacciato nuovi clienti245, ed in parte, sul modello alla “francese” che prevede il calcolo dell’indennità attraverso un sistema automatico
basato sulle provvigioni potenzialmente percepite in caso di prosecuzione del rapporto246.
Unitamente alle condizioni poste a presidio della fase di risoluzione del contratto, appaiono non meno rilevanti le regole volte a disciplinare le conseguenze
strettamente patrimoniali della frattura. A tale riguardo si coglie un’evidente lacuna
del sistema sia all’interno degli ordinamenti nazionali sia nella disciplina antitrust
europea, nonostante le dirette implicazioni sugli assetti concorrenziali derivanti dai
possibili effetti della crisi della relazione contrattuale. La cessazione anticipata del
contratto, infatti, pone a carico dei concessionari/franchisees il problema relativo
allo smaltimento delle scorte invendute, dato che in presenza di una valida clausola
di non-concorrenza post-contrattuale verrebbe ad essi preclusa la possibilità di ricollocare le merci sul mercato, accentuando gli effetti negativi di un eventuale hold
up monopolistico247.
Sul fronte dei rimedi, dunque, il panorama offerto dalla prassi commerciale è
estremamente variegato, atteso che si registrano profonde divergenze sui presupposti che giustificano il sorgere di tale obbligo, sui criteri di determinazione del
245
Cfr. § 89 HGB. In generale sull’opzione tedesca come metodo standard, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, op. cit. 191 ss. M. BRIDGE, Compensation for Commercial
Agents in the House of Lords, in ERCL; 2008, 31 ss.
246
Cfr. Art. 12 co. 1 della legge 25 giugno 1995 che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria
86/653. In generale, D. FERRIER, Droit de la distribution, Paris, 1995, 71; J.M. LELOUP, Les agents
commerciaux, Paris, 1998, 211.
247
Il riferimento è a R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 300, “ (…) Per comune
ammissione, l’idea di un contraente inchiodato alla sua scelta dalla carenza di “sostituti” e perciò esposto all’altrui “leverage” monopolistico trova riscontro paradigmatico proprio nel franchisee che
abbia impegnato capitali senza possibilità di riconversione: la necessità di ammortizzare gli investimenti lo renderà più che mai reattivo allo spettro del recesso unilaterale (o mancato rinnovo) del
produttore (…).” In generale, sulle origini della nozione di “hold up” monopolistico, si veda B. KLEIN –
R. G. CRAWFORD – A. A. ALCHIAN, Vertical Integration, Appropriable Rents and the Competitive Contracting Process, in 21 J. Law & Econm., 1978, 297 ss.
96
prezzo e, soprattutto, sull’eventualità che il riacquisto delle giacenze riguardi le ipotesi di risoluzione anticipata del contratto per fatto imputabile al solo concedente
ovvero ad entrambi i contraenti248.
In Francia, ad esempio, la giurisprudenza della Court de Cassation ammette in
via generale l’obbligo di riacquisto solo nei casi di rupture abusive del contratto249;
diversamente in Italia250 e Germania251, le corti riconoscono l’obbligo di riconsegna
delle giacenze di magazzino in nome del principio generale di buona fede, sempre
che la risoluzione anticipata del contratto sia imputabile ad una fatto del concedente/franchisor. In Spagna, il prezzo per il riacquisto delle scorte è generalmente pari
all’ammontare originariamente pagato dal concessionario, al netto della diminuzione di valore dovuta all’obsolescenza dei prodotti252. Negli altri Paesi europei, invece,
non è dato registrare alcuna applicazione della regola.
In via generale, si osserva che gli strumenti giuridici rivolti a paralizzare gli effetti dell’hold up monopolistico, trovando giustificazione nella clausola generale sulla buona fede contrattuale, più spesso si manifestano nella prassi attraverso una
peculiare applicazione della liability rule ossia mediante l’imposizione di
un’obbligazione risarcitoria commisurata alla perdita subita in termini di spese
complessivamente sostenute in previsione della maggiore durata del rapporto253.
248
In generale, sui profili relativi all’indennità di clientela, al riacquisto degli stocks, al fallimento
delle parti e alla cessione del contratto, si veda M. G. DI LIDDO, “Le vicende dei contratti di franchising, in Contr., 1994, 473 ss..
249
Cfr. Cass. comm., 13 maggio 1975, in JCP, 1975, 211; Cass. comm., 26 ottobre 1982, in Bull.
Civ., IV, 275.
250
Cfr. Pretore di Roma, 11 giugno 1984, Sangemini e Soc. Acqua Minerale Ferrarelle c. Schweppes Int. Ltd. e Soc. Acqua Minerale San Benedetto, in Foro it., 1984, I, 2909, con nota di R. PARDOLESI.
251
Cfr. § 242 BGB, M. MARTINEK – F. J. SEMLER, Handbuch des Vertriebsrechts, § 21, 56-60, op.
cit.
252
Si veda, F. SANCHEZ CALERO, Institutiones de Derecho Mercantil, Madrid, 2000, 178 ss. ; M.
DOMINGUEZ GARCIA, Los contratos de distribución: agentia mercantil y concession comercial, op.
cit., 1372 ss.
253
A tale conclusione si è giunti attraverso una compiuta disamina della prassi arbitrale internazionale. In particolare, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale. La distribuzione internazionale, op. cit., 263-268.
97
Tuttavia, la determinazione di un rimedio tipicamente risarcitorio si rivela palesemente inefficiente ogniqualvolta, intervenuta la cessazione degli effetti del contratto, il concedente/franchisor conservi l’interesse ad ottenere la riconsegna delle
merci per farne direttamente uso ovvero per rivenderle agli altri distributori della
rete.
In tale prospettiva, l’art. 1:306: Stocks, spare parts and materials254 interviene
in modo decisamente innovativo sul punto sia attraverso l’estensione della regola ai
contratti di agenzia commerciale, riferendosi implicitamente alle ipotesi in cui
l’agente si impegnato ad acquistare materiale pubblicitario ovvero pezzi di ricambio,
sia generalizzandone la portata a tutti i casi di cessazione degli effetti del contratto,
richiamando espressamente i casi di annullamento, risoluzione per inadempimento
e scadenza naturale dello stesso.
Sotto il profilo sostanziale, i redattori dei PEL CAFDC eleggono lo standard di
ragionevolezza a principio cardine della disciplina255. Tale standard, infatti, sotto il
duplice profilo di criterio principale in base al quale procedere alla determinazione
del prezzo di rivendita delle giacenze di magazzino e di principio attraverso cui determinare l’an dell’obbligo di riacquisto a carico del concedente/franchisor.
Nel primo caso, il richiamo implicito agli usi e alla prassi rilevante in considerazione delle circostanze concrete, evita possibili speculazioni da parte del concedente/franchisor, imponendo, nel caso, la valutazione del grado di obsolescenza delle
254
PEL CAFDC, art. 1:306: Stock, spare parts and materials: If the contract is avoided, or the contractual relationship terminated, by either party, the party whose products are being brought on to
the market must repurchase the other party’s remaining stock, spare parts and materials at a reasonable price, unless the other party can reasonably resell them.
255
Sull’ascesa dello standard di ragionevolezza nel diritto privato europeo, si veda G. CRISCUOLI,
Buona fede e ragionevolezza, in Riv,. dir. civ., 1984, I, 752 ss.; G. WEISZBERG, Le “raisonnable” en
Droit du Commerce International, Paris, 2003; E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Eu. e dir. priv., 2012, 953 ss., la quale, in particolare, osserva che: “nella
prospettiva europea si dilegua la netta differenza funzionale tra la clausola di buona fede, chiamata a
conferire un margine di flessibilità ad un sistema di impostazione normativa, e lo standard di ragionevolezza, che opera quale criterio orientativo del giudice di common law nell’applicazione dello stare decisis.”
98
merce, della presenza o meno dell’obbligo di acquisto di quantitativi minimi di merce e della relativa portata ovvero dell’adeguatezza del termine di preavviso in ordine alla rivendita delle scorte256.
Nel contempo, la valutazione dei dati circostanziali che assistono l’operazione
negoziale nel suo complesso potrebbe portare ad escludere la sussistenza
dell’obbligo di riacquisto, qualora sia presumibile che il concessionario si trovi nella
posizione di poter rivendere a terzi ad un prezzo ragionevole ed entro un termine
ragionevolmente breve. In tale contesto, l’efficienza della regola sul piano economico e, allo stesso tempo, l’equilibrio contrattuale sono garantiti dall’allocazione
dell’onere delle prova a carico del concedente/franchisor, il quale potrà ritenersi
esonerato dall’obbligo solo a fronte dell’avvenuta dimostrazione dei dati circostanziali in suo favore257.
256
257
Cfr. PEL CAFDC, Comment B.
Cfr. PEL CAFDC, Comment D.
99
CAPITOLO IV
IL “CONTRAENTE DEBOLE” NEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE: LA PROSPETTIVA DEL
DIRITTO EUROPEO
1.1. L’ imprenditore “debole” nel diritto europeo: cenni ricostruttivi della disciplina
1.1.1 L’imprenditore “debole” nel diritto internazionale privato europeo: gli esempi
specifici dell’agente, del franchisee e del distributore
Nei sistemi di diritto internazionale privato, la protezione del contraente “debole” nei contratti con uno o più caratteri di transnazionalità si realizza efficacemente attraverso l’applicazione della legge, fra quelle in conflitto, che sia sostanzialmente la più favorevole e l’attribuzione della competenza giurisdizionale ad un
giudice fisicamente prossimo alla stessa258.
In tale prospettiva, il tradizionale criterio di collegamento basato sulla mera
localizzazione del rapporto contrattuale appare palesemente inidoneo ad assecondare le finalità di tutela sostanziale della parte debole, dato che esso prescinde dalle
necessità derivanti dallo status soggettivo del contraente nonché dal contenuto e
dal grado di conoscenza che lo stesso potrebbe avere del diritto applicabile. Senza
contare, inoltre, che le principali criticità in questo campo sorgono in riferimento alla presenza di una choice of law clause atteso che il contraente più forte potrebbe
imporre la scelta di una legge che preveda uno standard di tutela inferiore rispetto a
quello garantito dalla legge di localizzazione del rapporto essendo carente delle
norme imperative previste invece dalla legge altrimenti applicabile.
Sul fronte internazional-privatistico, la policy europea di protezione del contraente debole è intervenuta agendo sotto un duplice profilo: da un lato, attraverso
la proliferazione di norme di norme di conflitto a carattere materiale, dall’altro at-
258
In generale sull’argomento si veda, tra gli altri, F. POCAR, La protection de la partie faible en
droit International privé, in Recueil des cours de l’Académie de droit international, 1984, tomo 188,
339; F. LECLERC, La protection de la partie faible dans les contrats internationaux, 1996, Bruxelles,
406; P. MAYER, La protection de la partie faible en droit International privé, in La protection de la
partie faible dans les rapports contractuels, a cura di G. GHESTIN, M. FONTAINE, 1996, Paris, 528.
100
traverso la previsione di limiti all’autonomia delle parti nella scelta del diritto applicabile259.
Specificamente, una norma di conflitto a carattere materiale si configura alla
stregua di una disposizione normativa che prevede al suo interno molteplici criteri
di collegamento autonomi, la cui applicazione è subordinata al verificarsi di una o
più condizioni poste dal legislatore. In base al suddetto meccanismo risulterà applicabile la legge che, nel caso di specie, prevede la disciplina più idonea al conseguimento dell’obiettivo sostanziale avuto di mira260.
Un esempio evidente è rappresentato dal funzionamento dell’art. 6 del Regolamento Roma I261 il quale individua come la legge applicabile ai contratti conclusi
con il consumatore la legge di residenza abituale del consumatore purché il professionista svolga le sue attività commerciali in tale paese ovvero ivi vi diriga tali attività. In mancanza di siffatti requisiti, potranno trovare applicazione i criteri generali di
cui rispettivamente agli artt. 3 e 4 del Regolamento. Tuttavia, qualora la scelta operata dai contraenti ricada altrove, essa non vale a privare il consumatore della protezione assicuratagli dalla legge che risulterebbe altrimenti applicabile.
Sennonché il Regolamento in esame, testimoniando il progressivo affermarsi
di un modello di regolazione dei rapporti di mercato asimmetrici che non si limita
alle sole relazioni B2C ma copre anche le relazioni B2B, introduce per la prima volta
altre due figure di contraenti deboli.
259
In tal senso, espressamente, il punto 18 della sentenza della Corte di giustizia del 19 gennaio
1993, causa C-89/91, Shearson Lehmann Hutton, in Racc. I-139, nel quale si legge “va (…) osservato
che la particolare disciplina istituita dagli articoli 13 e seguenti della Convenzione [di Roma del 1980]
mira a proteggere il consumatore, in quanto parte contraente considerata economicamente più debole e meno esperta sul piano giuridico della controparte. Bisogna quindi evitare che detta parte
contraente, essendo costretta a proporre l’azione dinanzi ai giudici dello Stato sul cui territorio è
domiciliata la controparte, si senta scoraggiata dall’adire le vie legali”.
260
S. VRELLIS, La justice «materielle» dans une codification du droit international privé, in E pluribus unum: liber amicorum Georges A. L. Droz, 1996, The Hague, 541.
261
Regolamento CE 593/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla
legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I) in GUCE L 177/6 del 4 luglio 2008.
101
All’art. 4 paragrafo 1 lett. e) ed f) viene, infatti, richiamato come criterio di collegamento la legge della residenza abituale, rispettivamente, del franchisee e del distributori, così sottraendo la relativa disciplina dall’incertezza e dalla imprevedibilità
che hanno tradizionalmente accompagnato l’applicazione del principio di prossimità, sub specie di criterio del luogo di esecuzione della prestazione caratteristica262.
In passato, infatti, a fronte dell’atipicità della maggior parte dei contratti di distribuzione e delle conseguenti difficoltà insite nella definizione dei rapporti tra il contatto
quadro di distribuzione ed i singoli contratti di vendita conclusi in esecuzione del
primo, il criterio della prestazione caratteristica ha condotto a risultati tra loro eterogenei. Sebbene si sia registrata come prevalente la tendenza a qualificare in termini di prestazione caratteristica quella del concessionario263, tuttavia, altrettanto
numerose risultano le soluzioni giurisprudenziali che, ponendo l’accento sul rapporto di fornitura, abbiano individuato come tipizzante la prestazione del concedentevenditore264, individuando come applicabile il diritto del Paese di quest’ultimo.
Allo scopo di evitare ogni incertezza, il nuovo criterio di collegamento individuato dal regolamento Roma I è ulteriormente precisato dall’art. 19 laddove si stabilisce che per residenza abituale di società, associazioni e persone giuridiche deve
intendersi il luogo in cui si trova la loro amministrazione centrale; invece, qualora il
262
In generale, sulla rilevanza del criterio di proximité, si veda, tra gli altri, P. LAGARDE, Le principe de proximité dans le droit International privé contemporain, in Recueil de cours, Académie de droit
International de La Haye, 1986, 9ss.; O. LOPES PEGNA, Il rilievo del collegamento più stretto dalla
Convenzione di Roma alla proposta di regolamento “Roma I” in Riv. dir. int. priv. e proc., 2006, 756.
263
Sul punto, ampiamente, F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol.
III, op. cit., 351-353; S. TONOLO, La legge applicabile ai nuovi contratti: i casi del factoring e del franchising, in Contr. Imp./Eu., 2003, 542 ss. In particolare, per l’applicazione della legge del concedente/franchisor, T. BALLARINO, Diritto internazionale privato, Padova, 1999, 631 ss; per l’applicazione
della legge del franchisee, R. BALDI, Il contratto di agenzia, op. cit., 179 ss.; M. MAGAGNI, La prestazione caratteristica nella Convenzione di Roma del 19 giugno del 1980, Milano, 1989, 340 ss.
264
Ad esempio, in Francia sembra prevalente l’orientamento che individua come prestazione caratteristica la fornitura della merce. Così, Cour de Cassation, 1er Ch. Civ., 25 novembre 2003, in
Journal de droit international, 2004, 1179; recentemente, anche in Italia, Corte Cass. 4 maggio 2006,
n. 10223, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 2007, 194, ha affermato che: “nei
contratti di distribuzione commerciale, la prestazione caratteristica va identificata(per il suo carattere
specifico) nella fornitura della merce, da cui dipende la successiva attività di distribuzione del prodotto.”
102
contratto sia concluso da una persona fisica nell’esercizio della propria attività professionale, la residenza abituale coincide con il luogo di attività principale. In definitiva, la legge così individuata è quella che, con maggiori probabilità, è conosciuta
dalla parte considerata debole, non diversamente da quanto accade per il consumatore.
In particolare, qualora il franchisee ed il distributore siano persone fisiche, risulterà applicabile la legge del luogo in cui essi svolgono la loro attività principale.
Diversamente, qualora essi siano organizzati in forma associativa, la circostanza che
gli stessi possano ignorare la legge del luogo in cui hanno deciso di stabilire
l’amministrazione centrale non è ritenuta, nelle valutazioni del legislatore europeo,
un fattore idoneo a determinare una situazione di asimmetria informativa contrattualmente rilevante e, pertanto, meritevole di particolare protezione265.
Si ritiene, infatti, che anche in una tale condizione di ignoranza, risulterebbe
più semplice per tali soggetti conoscerne il contenuto rispetto ad altre leggi potenzialmente in conflitto, giacché avendo stabilito la sede legale in quello Stato, essi
potranno agevolmente avere accesso alle conoscenze di esperti del settore senza
incorrere in spese legali eccessivamente elevate.
In via generale, nel diritto comunitario una persona giuridica è considerata
meno bisognosa di tutela per cui, anche se appartenente a una categoria debole,
non appare necessario apprestare i medesimi meccanismi di protezione previsti per
le persone fisiche come, ad esempio, l’applicazione della legge più prossima alla
parte debole266.
265
Basti qui pensare alla fattispecie nel caso Centros della Corte di giustizia del 9 marzo 1999,
causa C-212/97, Centros, Racc. I-1495 dove l’attività imprenditoriale di una società registrata nel Regno Unito era svolta esclusivamente in Danimarca. La Corte di giustizia ha affermato che simili situazioni sono ammissibili e che costituiscono la logica conseguenza dell’esercizio dalla libertà di stabilimento garantita dal Trattato. Si può, più facilmente, pensare al caso di un distributore operante in
più Stati membri, con sede in uno solo di questi.
266
In proposito, si rinvia alla sentenza della Corte di Giustizia, sez. III, n. 541 del 22 novembre
2001, cit.
103
Tale impostazione è espressamente confermata dalla disciplina prevista dal
regolamento a fronte dell’operatività di una choice of law clause la quale, in riferimento ai contratti di franchising e di distribuzione, non è sottoposta ad alcuna limitazione mentre è rigidamente condizionata al non pregiudizio delle disposizioni imperative della legge altrimenti applicabile per i contratti di consumo.
Optando per tale distinzione, il legislatore europeo sembra aver perso
l’occasione di coordinare in modo uniforme alcune tendenze già affermatesi sul
fronte internazional-privatistico nella direzione di una più efficace tutela materiale
dell’imprenditore debole nell’ambito dei contratti di distribuzione commerciale.
In particolare, si osserva che in riferimento al contratto di agenzia commerciale la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha riconosciuto il carattere internazionalmente inderogabile delle norme della direttiva 86/653 in materia di indennità di
fine rapporto267. Il contenuto essenziale della sentenza Ingmar è costituito
dall’affermazione secondo cui le norme sull’indennità devono trovare applicazione
quando l’agente operi in un paese comunitario e le parti abbiano sottoposto il loro
rapporto alla legge di un paese terzo. In tale prospettiva, si deve ritenere che le
norme nazionali attuano correttamente gli artt. 17 e 18 della direttiva solo a condizione che esse abbiano efficacia di norme internazionalmente imperative, ossia di
norme che non consentano ai preponenti di sottrarsi alla loro applicazione attraverso la scelta della legge di uno Stato terzo.
Pertanto, non è da escludersi che, a fronte della sostanziale fungibilità sotto il
profilo economico dello stato di dipendenza che caratterizza rispettivamente gli agenti commerciali, i franchisees ed i distributori, possa legittimamente riconoscersi
carattere internazionalmente imperativo alle norme nazionali di attuazione della direttiva anche laddove applicate in via analogica ai contratti di distribuzione. Tanto
267
Sentenza della Corte di Giustizia del 9 novembre 2000, Ingmar Ltd c. Eaton Leonard Technologyes, in Mass. Giur. Lav., 2001, con nota di F. BORTOLOTTI, Inderogabilità delle norme della direttiva
europea sugli agenti nei rapporti con i preponenti di Paesi terzi, ibid., 411-422.
104
più che nel ragionamento della Corte di Giustizia l’elemento fondamentale per individuare quali siano le norme convenzionalmente inderogabili è dato dal loro carattere funzionale all’esercizio delle libertà di circolazione e allo sviluppo di una concorrenza non falsata all’interno dello spazio unico europeo.
Sennonché l’estrema lacunosità delle discipline nazionali e, dunque, la carenza di una ricostruzione sistematica della categoria dei contratti di distribuzione
commerciale costituiscono un ostacolo all’affermazione di standards di protezione
omogenei considerato, altresì, che il giudice nazionale sarà chiamato di volta in volta a stabilire la natura e l’oggetto delle norme invocate nonché le conseguenze derivanti dalla loro applicazione a fronte dei principi giuridici posti a fondamento
dell’ordinamento di appartenenza. Non è affatto scontato, infatti, che il giudice dinanzi al quale venga fatta valere la norma belga che prevede il diritto del concessionario ad un’indennità di clientela ritenga opportuno “dare efficacia” a tale norma
quando il contratto con il concessionario belga sia sottoposto alla legge di un Paese
terzo, che provveda diversamente sulla questione. Parimenti, non è detto che il giudice italiano debba dare efficacia a tutte le norme considerate di applicazione necessaria nel paese dell’agente, considerando che la legge italiana rispetta comunque
il livello minimo di protezione garantito dalla direttiva europea268.
A ciò si aggiunge che, fermo restando la loro inderogabilità, la determinazione
dell’ambito di applicazione delle norme di protezione contemplate dalla direttiva è
rimessa in sostanza alla discrezionalità di ciascuno Stato Membro. In Gran Bretagna,
ad esempio, l’art. 2 del Commercial Agent Regulations del 1993 prevede che le
norme di attuazione della direttiva si applichino ai soli rapporti con agenti che operano all’interno del territorio dell’Unione, rinviando alla normativa preesiste di
common law per la regolamentazione dei rapporti con agenti che volgono altrove la
268
Le suddette perplessità sono avanzate da F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, vol. III, op. cit., 354.
105
propria attività. In presenza dei medesimi presupposti territoriali, il § 92 c. 1 del
HGB tedesco ammette espressamente la derogabilità di tutte le norme comunitarie
a carattere imperativo.
Più in generale, si osserva che a fronte dell’omessa trasposizione normativa
della giurisprudenza Ingmar, è dubbio che il giudice di uno Stato membro possa dare rilevanza al diritto comunitario al di fuori della particolare ipotesi prevista
dall’art. 3 paragrafi 3 e 4 del regolamento Roma I che, ai fini del rinvio alle norme
imperative della legge altrimenti applicabile, richiede l’ubicazione nel territorio comunitario di tutti gli altri elementi pertinenti alla situazione dedotta in giudizio.
1.1.2 Le ultime frontiere del diritto contrattuale europeo: verso la formazione di
un “Business to Business Acquis” in materia di contratti
A seguito della pubblicazione della Proposta di Regolamento per un diritto
comune della vendita, la questione relativa alla regolamentazione diretta di alcuni
aspetti sostanziali inerenti alla contrattazione di impresa è ufficialmente sul tavolo
delle proposte legislative in discussione in seno alle istituzioni dell’Unione269. Tenendo conto delle modeste dimensioni giuridico-economiche caratterizzanti la stragrande maggioranza delle realtà imprenditoriali operanti all’interno del mercato europeo, i membri dell’Expert Group hanno ritenuto opportuno inserire nella proposta
di regolamento per una disciplina uniforme del contratto di vendita alcune previsioni normative volte ad assicurare ai professionisti “a certain degree of protection” in
presenza di determinate presupposti270.
269
Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio on a Common European Sales Law, dell’11.10.2011, (COM 2011) 635 final.
270
Cfr. art. 85 della proposta di Regolamento on a Common European Sales Law (CESL) ai sensi
del quale “in contracts between businesses a non individually-negotiated term is unfair only if it is
significantly disadvantages the other party and is of such a nature that its use grossly deviates from
good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing”.
106
In generale, l’impulso decisivo alla predisposizione di forme di tutela
dell’imprenditore inteso come soggetto debole della dinamica negoziale si iscrive
nella più generale policy europea di sostegno alle small and medium sized enterprises (di seguito SMEs) sfociata formalmente nell’adozione nel 2008 dello Small Business Act, allo scopo di rafforzare la crescita e la competitività delle SMEs attraverso
l’adeguamento del mercato unico alle loro specifiche esigenze271.
Benché il documento non individui espressamente, tra gli obiettivi dell’azione
dell’Unione, lo sviluppo di una legislazione che assicuri la protezione dell’impresa
più debole, tuttavia, tale obiettivo si legge in trasparenza dietro alcune delle politiche prefigurate in attuazione dei dieci principi che costituiscono il fondamento del
programma. Detti principi, infatti, in quanto diretti a creare condizioni di mercato
paritarie ed a migliorare il quadro economico ed amministrativo dello spazio europeo si specificano, tra gli altri, nell’obiettivo di sviluppare un sistema giuridico volto
a favorire la puntualità dei pagamenti nelle transazioni commerciali272 e nelle iniziative rivolte ad agevolare la partecipazione delle SMEs alle catene globali di fornitura,
migliorando la governance ed il loro accesso alle informazioni sulle opportunità
commerciali all’interno del mercato unico273.
L’inquadramento delle istanze di protezione dei soggetti imprenditoriali più
deboli all’interno della politica di sostegno delle SMEs consente ancora una volta di
ancorare il fondamento giuridico dell’azione legislativa dell’Unione agli obiettivi di
271
Comunicazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato
Economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni del 25 giugno 2008, COM (2008), 394 def.
272
Cfr. VI Principio dello Small and Business Act: Facilitate SMEs’ access to finance and develop a
legal and business environment supportive to timely payments in commercial transactions.
L’attuazione di tale principio è da ultimo sfociato nella Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio del 16.2.2011, (rifusione), in GUCE L 48/1 del 23.2.2011, che modifica in termini di
maggiore efficacia per le imprese la disciplina della Direttiva 2000/35/UE sulla lotta contro i ritardi
nei pagamenti delle transazioni commerciali.
273
Cfr. VII Principio dello Small and Business Act: Help SMEs to benefit more from the opportunities offered by the Single Market.
107
crescita e di integrazione del mercato interno, giustificando i relativi interventi in
una logica puramente economica di superamento delle market failures274.
Nello specifico, si osserva che la letteratura giuridica tradizionale fa risalire le
origini delle istanze di tutela dell’imprenditore debole nel diritto antitrust europeo.
Le regole di concorrenza, infatti, poiché dirette a tutelare il mercato dalle distorsioni
che possono derivare da accordi anticoncorrenziali, tutelano indirettamente anche
l’imprenditore che, a causa delle suddette distorsioni, viene a trovarsi in una posizione di debolezza. L’architettura complessiva della disciplina, in quanto fondata
sulla sanzione della nullità di pieno diritto dei patti conclusi in violazione del divieto
di intese restrittive della concorrenza e di abuso di posizione dominante, consente
di creare o di mantenere una situazione di mercato che garantisce la partecipazione
del maggior numero possibile di imprenditori per l’acquisizione della clientela, premessa fondamentale per l’offerta ai consumatori di condizioni più vantaggiose275.
Tali forme di tutela incontrano, tuttavia, il limite di poter trovare applicazione
solo in presenza di un’alterazione sensibile del normale gioco della concorrenza accertata con riguardo al mercato geografico e merceologico di riferimento, non assumendo alcuna importanza sul piano negoziale la debolezza giuridicamente rilevante dell’impresa.
Considerazioni dello stesso tenore possono essere avanzate anche in riferimento all’applicazione della Direttiva CE 2005/20 sulle pratiche commerciali sleali
tra imprese e consumatori nel mercato interno276 la quale, sensibilizzando la classe
274
Così, M. W. HESSELINK, SMEs in European Contract Law, Background note for the European
Parliament on the position of small and medium-sized enterprises (SMEs) in a future Common Frame
of Reference (CFR) and in the review of the consumer law acquis, in Centre for the Study of European
Contract Law Working Paper Series, 2007/03, 19-20, il quale ricostruisce il fondamento giuridico della competenza dell’Unione in materia di SMEs a partire dagli artt. 94 e 95 ora 114 e 115 del TFUE.
275
A. CATAUDELLA, La giustizia del contratto, in Studi in onore di Davide Messinetti, Napoli, 2008,
266; A. GIANOLA, Autonomia privata e terzo contratto, in Autonomia privata e collettiva, a cura di P.
Rescigno, Napoli-Roma, 2006, 131.
276
Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno dell’11 maggio 2005 che modifica la direttiva
84/450 del Consiglio e le direttive 97/7/CE e 2002/65/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio ed il
108
imprenditoriale al rispetto leale delle regole di mercato, ha rinsaldato la convinzione, ormai divenuta patrimonio comune dell’Unione e degli Stati membri, secondo
cui il buon funzionamento della dinamica competitiva è strettamente dipendente
dal soddisfacimento delle esigenze dei consumatori. Pertanto, anche in questo caso
la tutela degli interessi economici dei concorrenti legittimi è solo indirettamente realizzata a fronte del previo accertamento di una condotta sleale in grado di falsare il
comportamento economico del consumatore medio277.
Come già anticipato, la più recente evoluzione del diritto contrattuale europeo sembra mostrare una nuova tendenza a considerare come oggetto di regolazione diretta da parte delle autorità istituzionali anche le relazioni contrattuali tra
imprese ed, in particolare, quelle caratterizzate da uno squilibrio di potere negoziale
tra le parti.
Già nelle prime Comunicazioni sul diritto contrattuale europeo278, la Commissione segnalava le profonde difficoltà a cui vanno incontro le piccole e medie imprese nella conduzione delle cross border transactions all’interno dello spazio economico europeo, soprattutto in termini di aumento dei costi di transazione a causa degli
ostacoli frapposti dalle divergenze nei diritti statali.
Regolamento (CE) 2006/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio, pubblicata in GU L 149/22
dell’11 giugno 2005.
277
Cfr. Direttiva CE 2005/29/CE, Considerando (6) dove si legge che:“ La presente direttiva ravvicina pertanto le legislazioni degli Stati membri sulle pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità
sleale, che lede direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente gli interessi economici dei concorrenti legittimi.(…) Esistono altre pratiche commerciali che, per quanto
non lesive per i consumatori possono danneggiare i … clienti. [Pertanto] (…) la Commissione dovrebbe valutare accuratamente la necessità di un’azione comunitaria al di là delle finalità della presente
direttiva e, ove necessario, presentare una proposta legislativa che contempli questi altri aspetti.”
278
Comunicazione della Commissione on A More Coherent European Contract Law. An Action
Plan, del 12 febbraio 2003, COM (2003) 68 def., in GUCE 2003/C63/01, 30, dove si legge “for consumers and SMEs in particular, not knowing other contract law regimes may be a disincentive
against undertaking cross-border transactions. (...) Suppliers of goods and services may even therefore regard offering their goods and services to consumers in other countries as economically unviable and refrain from doing so. (...) Moreover, disparate national law rules may lead to higher transaction costs, especially information and possible litigation costs for enterprises in general and SMEs
and consumers in particular.”
109
Nello specifico, a partire dalle linee programmatiche contenute nel Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori emergeva, in modo più o meno implicito, l’opportunità di un intervento normativo in materia di SMEs279.
Anzitutto si evidenziava la necessità di predisporre per le piccole e medie imprese un quadro normativo più prevedibile e semplificato al fine di ridurre i costi
transattivi e di agevolare il commercio transfrontaliero, con argomentazioni non
troppo dissimili da quelle poste alla base delle esigenze di revisione dell’acquis dei
consumatori280.
In secondo luogo, in riferimento alla definizione delle nozioni rispettivamente
di “consumatore” e di “professionista” si denunciavano le profonde divergenze che
ancora oggi caratterizzano la legislazione degli Stati Membri, in conseguenza di una
terminologia spesso poco chiara utilizzata dalle direttive europee281. Di qui,
l’auspicio di un intervento rivolto ad una definizione unitaria della nozione di “professionista” in grado di appianare ogni incertezza soprattutto in riferimento alla
conclusione dei c.d. contratti misti ovverosia dei contratti stipulati da un soggetto
per soddisfare esigenze, al contempo, di carattere personale e professionale282.
In terzo luogo, si riproponeva la questione circa l’opportunità di estendere la
disciplina riservata ai consumatori anche alle piccole imprese che, in determinate
situazioni, vengono a trovarsi nella medesima posizione di un privato acquirente283.
279
Comunicazione della Commissione, Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori,
dell’8 febbraio 2007, COM (2006), 744 def..
280
Cfr. Libro Verde sulla revisione dell’acquis dei consumatori, 5, cit.: “We must also make sure
that businesses, not least SMEs, may benefit from a more predictable regulatory environment and
simpler EU rules in order to decrease their compliance costs and more generally to allow them to
trade more easily across the EU, irrespective of where they are established”.
281
Ad esempio, la direttiva CE 97/7 sulle vendite a distanza definisce “the seller” come “any natural or legal person who … is acting in his commercial or professional capacity” mentre la direttiva CE
93/13 sulle clausole abusive definisce in modo indifferenziato “seller” o “supplier” come “ any natural or legal person who is acting for the purpose relating to his trade, business or profession, whether
publicly or privately owned.”
282
Cfr. punto B1 del questionario per la consultazione allegato al Libro Verde sulla revisione
dell’acquis dei consumatori, cit.
283
Cfr. Punto 4.1. del questionario per la consultazione allegato al Libro Verde sulla revisione
dell’acquis dei consumatori, cit.
110
Tale specifica istanza di politica legislativa ha trovato una prima ed espressa
attuazione ad opera della direttiva CE 2007/64 sui servizi di pagamento284, atteso
che al suo interno trovano regolamentazione tre distinte classi di norme sui rapporti
contrattuali fra i prestatori dei servizi di pagamento e gli utenti di tali servizi, ciascuna delle quali si definisce in base agli ambiti soggettivi di applicazione delle norme in
esse ricomprese.
Il primo complesso di disposizioni, che rappresenta il nucleo centrale dei diritti
e degli obblighi delle parti, si applica indistintamente a tutti gli utenti, indipendentemente dalla qualifica dagli stessi posseduta, siano essi consumatori, microimprese
ovvero large enterprises285. Il secondo gruppo ricomprende le norme sulla trasparenza delle condizioni e dei requisiti informativi che, in quanto tali, si applicano inderogabilmente ai contratti conclusi con i consumatori ed, in assenza di una deroga
convenzionalmente stabilita dai contraenti, anche ai contratti business to business
(di seguito B2B)286. Da ultimo, si colloca la norma in materia di procedure stragiudiziali per la risoluzione delle controversie che autorizza ciascuno Stati Membro a riservarne l’applicazione ai soli rapporti con i consumatori ma che, in caso di mancato
esercizio dell’autorizzazione, si pone come norma di applicazione generale287.
In dottrina, H. BEALE, Ius Commune casebooks on the common law of Europe: Cases, Materials
and Text on Contract Law, Oxford, 2002, 527, il quale afferma: “whilst consumers may require particular protection, a small business may also find itself dealing with a more powerful and experienced party, as where the manager of a petrol station deals with an oil company. These small businessmen arguably need the same protection as consumers.”
284
Direttiva 2007/64/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi di pagamento
nel mercato interno che abroga la direttiva 97/5/CE sui bonifici transfrontalieri, in GUCE L 319 del 5
dicembre 2007. In particolare nel Considerando (20) si legge: “(…) Mentre è importante garantire i
diritti dei consumatori con disposizioni cui non si può derogare per contratto, è ragionevole far sì che
le imprese e le organizzazioni stabiliscano diversamente. Tuttavia, gli Stati membri dovrebbero poter
stabilire che le microimprese, debbano essere trattate al pari dei consumatori. In ogni caso alcune
disposizioni centrali della presente direttiva dovrebbero essere sempre applicabili a prescindere dallo status dell’utente.”
285
Cfr. Titolo V della direttiva norme su “diritti e obblighi relativi alla prestazione e all’uso di servizi di pagamento”.
286
Cfr. Titolo III della direttiva 2007/64/CE norme su “trasparenza delle condizioni e requisiti informativi per i servizi di pagamento”. In particolare, gli artt. 30 co. 1 e 51 co. 1 autorizzano le parti a
derogare a tali norme quando l’utente non è un consumatore.
287
Cfr. Art. 51. co. 2 della direttiva 2007/64/CE ai sensi del quale: “Gli Stati membri possono prevedere che l’art. 83 non si applica se l’utente dei servizi di pagamento non è un consumatore.”
111
Alla luce di siffatto impianto normativo si evidenzia, dunque, come in alcuni
casi il medesimo trattamento riservato di regola ai contratti conclusi con i consumatori possa considerarsi direttamente applicabile anche ai contratti in cui il contraente sia una microimpresa sul presupposto che, al pari dei consumatori, esse appaiono
ugualmente bisognose di protezione nel loro rapporto asimmetrico con gli operatori
che offrono i servizi di pagamento.
Tracciato il quadro politico-istituzionale di riferimento, occorre individuare se
ed in che misura il diritto contrattuale europeo consenta oggi di affermare in modo
ragionevolmente certo la sussistenza di uno strumentario giuridico a disposizione
dell’imprenditore debole confermando, dunque, la sussistenza a monte di un B2B
acquis in materia di contratti.
In via preliminare, l’analisi ricognitiva dei dati raccolti ed esaminati muove da
una duplice osservazione di partenza:
- la comunanza della ratio sottesa ai vari interventi normativi di settore, da identificare nella volontà di neutralizzazione delle asimmetrie informative, degli
squilibri negoziali e di ogni altra market failure in grado di minacciare l’efficienza
delle relazioni tra le imprese;
- la profonda eterogeneità strutturale delle situazioni oggetto di regolamentazione, tale da rendere difficoltosa una ricostruzione unitaria del fenomeno e la definizione di un corpus normativo omogeneo ed indifferenziato.
In tale prospettiva, appare utile fare ricorso a quella suddivisione di carattere
descrittivo proposta da un’autorevole voce della dottrina italiana288 che ha distinto
in via generale due distinte famiglie di direttive: da un lato, la categoria delle direttive che tutelano come contraente debole l’impresa che sul mercato si trova sul lato
dell’offerta, assumendo su di sé gli oneri connessi all’esecuzione della prestazione
288
Cfr., in proposito la classificazione proposta da V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale
europeo. Dal contratto del consumatore al contratto asimmetrico, in Corr. Giur., 2/2009, 267-282.
112
caratteristica; dall’altro, il complesso delle direttive che assicurano forme di protezione all’impresa-cliente che, in quanto destinataria della prestazione caratteristica,
è estranea al segmento del mercato di riferimento.
Rientra certamente nella prima categoria la direttiva 86/653/CEE289 sui contratti di agenzia commerciale laddove indica espressamente tra le sue finalità quella
di predisporre strumenti di tutela a favore dell’agente come soggetto che frequentemente si trova posizione di inferiorità dal momento che, pur essendo formalmente indipendente rispetto al preponente, non sempre gode della medesima autonomia: occorre considerare, infatti, che l’agente svolge stabilmente e, di regola, in via
esclusiva, un’attività in vista della quale affronta molto spesso investimenti specifici
che lo pongono in una posizione di sostanziale dipendenza economica dal preponente290.
Sullo stesso piano, le piccole e medie imprese appaiono fortemente vulnerabili di fronte agli eccessivi ritardi nella riscossione dei pagamenti dei crediti commerciali e, pertanto, hanno ricevuta una particolare attenzione ad opera della direttiva
2000/35/CE291, di recente modificata dalla Direttiva 2011/7/UE, che riguarda i rapporti tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni aventi ad oggetto
“la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento il un prezzo”.
In riferimento a tali rapporti, l’asimmetria di mercato e, dunque, le ragioni alla base
della protezione dell’impresa fornitrice, sono da ricercarsi nell’assunzione a suo carico di una forma di finanziamento surrettizio in favore della controparte la cui ec289
Direttiva 1986/653/CEE del Consiglio relativa al coordinamento dei diritti degli Stati Membri
concernenti gli agenti commerciali indipendenti del 18 dicembre 1986, in GUCE L 382 del 31 dicembre 1986.
290
Cfr. Direttiva1986/653/CEE, Considerando (2), “(…) le differenze tra le legislazioni nazionali in
materia di rappresentanza commerciale influenzano sensibilmente all’interno della Comunità le condizioni di concorrenza e l’esercizio della professione e possono pregiudicare il livello di protezione
degli agenti commerciali nelle loro relazioni con il preponente.”
291
Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro i ritardi
di pagamento nelle transazioni commerciali del 29 giugno 2000, in GUCE L 200/35 dell’8 agosto 2000
oggi modificata dalla Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16.2.2011, (rifusione), in GUCE L 48/1 del 23.2.2011.
113
cessiva durata la esporrebbe ad “heavy administrative and financial burdens”, in
grado di minarne la stessa sopravvivenza economica292.
Il secondo sistema di direttive ricomprende nel complesso tutte le attività economiche rispetto alle quali la posizione di debolezza è riconducibile alla carenza di
informazioni delle imprese destinatarie dei servizi (bancari, finanziari, assicurativi)
rispetto all’esperienza ed al grado di specializzazione della controparte, insider di un
determinato mercato293. Tale circostanza consente evidentemente di accumunare il
modello normativo riservato ai contratti con i consumatori anche ai contratti B2B,
aprendo all’eventualità di una futura estensione a tale genere di rapporti delle regole di protezione originariamente pensate per la tutela consumeristica.
Attualmente, la direttiva 2006/123/CE sui servizi294 individua in modo puntuale all’art. 7 il contenuto del “diritto all’informazione” che si riconosce in capo a
“qualunque persona fisica o giuridica (…) che, per scopi professionali o non professionali, utilizza o intenda utilizzare il servizio”. La medesima linea di tendenza si coglie nella regolamentazione di taluni aspetti giuridici del commercio elettronico (ecommerce) introdotta dalla direttiva 2000/31/CE295 che prevede l’applicazione di
parte sostanziale della disciplina contrattuale di protezione a tutti i clienti, ivi compresi i soggetti che operano nel quadro della propria attività imprenditoriale296. Non
292
Cfr. Direttiva 2000/35/CE, Considerando (7),“Heavy administrative and financial burdens are
placed on businesses, particularly small and medium-sized ones, as a result of excessive payment periods and late payment. Moreover, these problems are a major cause of insolvencies threatening the
survival of businesses and result in numerous job losses”.
293
In generale, sul punto M. SCHAUER, Contract Law of Services Directive, in ERCL, 2008, 1 ss. In
particolare, V. ROPPO, Prospettive del diritto contrattuale europeo. Dal contratto del consumatore al
contratto asimmetrico, op. cit., 272, precisa che “le direttive che rientrano in questo modello riguardano rapporti contrattuali caratterizzati come segue: i) sono rapporti soggettivamente neutri, nel
senso che possono essere sia B2B sia B2C (…); ii) la parte protetta è la parte che si colloca sul lato
della domanda e risulta quindi destinataria della prestazione caratteristica; (…).
294
Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato
interno del 12 dicembre 2006, in GUCE L 376/36 del 27 dicembre 2006.
295
Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sul commercio elettronico dell’8
giugno 2000, in GUCE L 178/1 del 17 luglio 2000.
296
Cfr. Direttiva 2000/31/CE, art. 2 lett. d) dove il cliente è definito come “qualsiasi persona fisica
o giuridica che, a scopi professionali o non, utilizza un servizio della società dell’informazione.”
114
diversamente, la Direttiva Mifid sui servizi di investimento297 prevede al suo interno
una disciplina modulare il cui livello di protezione si differenzia in relazione al grado
di asimmetria con l’impresa di investimento, prevedendo standards meno rigorosi
per i “clienti professionali” o gli “operatori qualificati” e discipline più protettive per
i “clienti al dettaglio”.
Alla luce di quanto premesso, è possibile riscontrare nel quadro giuridico europeo la presenza di indici normativi sufficienti ad affermare l’esistenza di un effettivo B2B acquis in materia di contratti all’interno del quale la figura
dell’imprenditore debole si configura alla stregua di un fenotipo giuridicamente rilevante. Tuttavia, tale riconoscimento legale non trova corrispondenza sul piano sistematico nell’individuazione di una categoria giuridica unitaria, al pari di quanto è
accaduto in riferimento al riconoscimento dello status giuridico di consumatore298.
In primo luogo, si prende atto dell’impossibilità di pervenire ad una definizione unitaria ed ex ante della nozione di imprenditore debole, dal momento che la
posizione di inferiorità che giustifica la previsione di forme particolari di protezione
sono dovute a fattori momentanei e contingibili, riferibili allo specifico rapporto con
l’altro contraente. Di talché non è da escludersi che lo stesso imprenditore in altre
situazioni possa rivestire lo status di contraente forte299.
Trattandosi, infatti, di una disciplina oggettiva delle relazioni tra imprese posta
a garanzia della struttura concorrenziale, si deve riconoscere che le condizioni che
297
La materia dei servizi di investimento si articola nella direttiva di primo livello 2004/39/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio ed in una direttiva di secondo livello 2006/73/CE di attuazione
della MiFID.
298
Così, V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv, 2001, 760 ss.;
M. GAMBINI, Il nuovo statuto del consumatore europeo: tecniche di tutela del contraente debole, in
Giur. Merito, 2004, 2624 ss., dove viene sottolineato che, nonostante la frammentarietà e la sistematicità degli interventi in materia di contratti con i consumatori, si assiste alla nascita di questo status
che determina il diffondersi di un nuovo modello contrattuale caratterizzato da un sistema di regole
e principi differente rispetto alla disciplina generale dei contratti.
299
E. MINERVINI, Status delle parti e disciplina del contratto, in Obbligazioni e contratti, 2008, 8
ss.
115
determinano la debolezza di un imprenditore possono essere le più diverse come ad
esempio, la dipendenza tecnologica, gli elevati costi di commutazione, i rischi di opportunismo post-contrattuale e gli altri fattori endogeni derivanti dalle condizioni di
mercato che caratterizzano un dato momento storico300.
Inoltre, si osserva che, pur essendo costanti nella legislazione relativa ai singoli
contratti tra imprese alcune linee tendenziali comuni alla disciplina dei consumatori
come, ad esempio, il neoformalismo negoziale, il controllo dell’equilibrio contrattuale, il sistema delle nullità di protezione e di taluni meccanismi rimediali301, tuttavia,
è prevalsa l’opinione che rifiuta di applicare direttamente, tramite l’assunzione di
una nozione ampia di consumatore, la disciplina prevista per la tutela di
quest’ultimo302.
Tale possibilità è stata espressamente esclusa dalla Corte di giustizia delle
Comunità europee, la quale pronunciandosi ripetutamente sulla definizione della
nozione
di
consumatore,
ha
sostenuto
che
debba
essere
adottata
un’interpretazione restrittiva, all’interno della quale non appare possibile ricomprendere la figura del piccolo imprenditore o della persona giuridica che agisca per
300
F. CAFAGGI, Contratti tra imprese nei gruppi e nelle reti: prime riflessioni, in Studi in onore di D.
Messinetti, Napoli, 2008, 170.
301
Si pensi all’ art . 37 del codice del consumo, che attribuisce la legittimazione per esercitare
l’azione inibitoria contro i professionisti o le associazioni di professionisti che utilizzano o che raccomandano l ’utilizzo di condizioni generali vessatorie anche alle associazioni rappresentative dei professionisti e alle camere di commercio. Oppure all’art. 36 comma 4, che prevede che il venditore ha
diritto di regresso nei confronti del fornitore per danni che ha subito in conseguenza della declaratoria di nullità del le clausole dichiarate abusive. Inoltre, all’art. 131 che prevede che quando il venditore finale è responsabile nei confronti del consumatore a causa di un difetto di conformità imputabile
ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore del la catena contrattuale distributiva o di qualsiasi altro intermediario, ha diritto al regresso nei confronti del soggetto responsabile .
302
Corte di Giustizia, 17.07.98, causa C- 291/96, in Foro it . , 1999, IV, c . 129; Corte di Giustizia,
22.11.01, C – 541/99 e C – 542/99, in Giust. it., 2002, 543; Corte di Giustizia, 3.07.97, causa C269/95, in Giust. civ., 1999, 13; Corte di Giustizia, 17.07.98, causa C- 291/96, in Foro. it., 1999, IV, c .
129.
In senso critico sulla distinzione tra contratti commerciali e contratti del consumatore, G. BENACCHIO, Il diritto privato della comunità europea, Padova, 2004, 326.
116
scopi estranei alla propria attività303. Tuttavia, una certa tendenza in senso contrario
sembrerebbe provenire dalla giurisprudenza francese304 ed inglese305 che ha ritenuto applicabile la disciplina consumeristica all’imprenditore che stipula un contratto il
cui oggetto è estraneo alla propria sfera di competenza professionale.
Nella medesima prospettiva, si è cercato di capire se fosse possibile procedere
ad un’applicazione della disciplina consumeristica in via analogica, trattandosi in entrambi i casi di contraenti deboli306. Nondimeno, questa possibilità è stata ugualmente esclusa, essendo diverse le cause che determinano la debolezza di questi
soggetti e le ragioni che ne giustificano una correlata protezione.
In particolare, il consumatore appartiene ad una categoria strutturalmente
priva di un particolare potere contrattuale atteso che la sempre più diffusa standardizzazione dei contratti impedisce di fatto la trattativa individuale sia sul contenuto
del contratto sia sulle singole clausole. Il sistema di protezione del consumatore, ispirato da una logica di tutela dell’autonomia negoziale poggia, dunque, su meccanismi presuntivi di inefficacia delle clausole abusive, circoscrivendo la rilevanza dello
squilibrio contrattuale sul fronte dell’aspetto normativo307.
Diversamente, in un sistema economico basato sul principio del libero mercato e della concorrenza non è possibile considerare meritevole di tutela
l’imprenditore in quanto tale bensì solo l’eventuale approfittamento della situazione di dipendenza economica in cui si trova rispetto all’altro. In questo caso, lo stru-
303
Corte di Giustizia, sez. III, sentenza n. 541 del 22 novembre 2001, nei procedimenti riuniti C541/1999 e C-542/1999, aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale vertenti sull’art. 2
lett. b) della direttiva Ce 93/13 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con il consumatore.
304
Cass. civ. I, 24 January 1995, D. 1995, 327.
305
Court of Appeal, R&B Customs Brokers Ltd. v United Dominions Trust Ltd [1988] 1 All ER 847.
306
In generale, si veda M.W. HESSELINK, European Contract Law: A Matter of Consumer Protection, Citizenship, or Justice?”, in 15 European Review of Private Law, 2007, 323-348.
307
G. BENACCHIO, Il diritto privato della comunità europea, Padova, 2004, 322; G. AMADIO, Il terzo contratto. Il problema, in AA.VV., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Villa, Bologna, 2008, 20,
il quale sottolinea che il consumatore appartiene ad una categoria strutturalmente priva di un paritario potere contrattuale. Non si può invece escludere che il professionista debole non abbia tali conoscenze.
117
mentario giuridico a disposizione del contraente debole introduce rimedi diretti ad
assicurare l’equilibrio contrattuale non solo dal punto di vista normativo ma anche e
soprattutto dal punto di vista economico, previo accertamento in concreto del conseguimento di un ingiustificato vantaggio in favore della controparte308.
1.2 Fondamento e limiti della tutela dell’imprenditore “debole” nel diritto europeo: il
ruolo della buona fede oggettiva
Una corretta ricostruzione del paradigma socio-economico dell’imprenditore
debole all’interno del quadro giuridico dell’Unione Europea non può prescindere da
alcune considerazioni preliminari che ne definiscono le specificità in coerenza con
gli obiettivi di politica economica prefigurati nei Trattati.
Il diritto comunitario ha adottato una nozione autonoma di impresa decisamente più ampia di quella accolta all’interno dei singoli Stati membri in quanto volta a ricomprendere qualsiasi entità che esercita un’attività economica a prescindere
dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento. In particolare, la giurisprudenza della Corte di Giustizia, nella sua attività di controllo sul rispetto delle
norme in materia di concorrenza, è pervenuta ad una definizione di impresa come
attività economica diretta all’attività di produzione di beni e servizi per il mercato,
senza alcun riferimento alla necessità dello scopo di lucro, così allargando indistintamente la relativa nozione sino a ricomprendere gli imprenditori agricoli e industriali, gli artigiani ed i commercianti, i professionisti ed i gruppi associativi309.
308
In definitiva, il diverso trattamento riservato al consumatore e all’imprenditore debole si giustifica sulla base del principio di eguaglianza sostanziale secondo cui devono essere trattate in modo
ragionevolmente diverso situazioni diseguali. Così L. DELLI PRISCOLI, “Consumatore”, ”imprenditore
debole” e principio di uguaglianza, in Contr. e impr. eur., 2003, 753 ss.
309
Sulla nozione di imprenditore che caratterizza il diritto comunitario, si rimanda a F. GALGANO,
Le professioni intellettuali e il concetto comunitario di impresa, in Contr. e impr. eu., 1997, 14 ss., il
quale afferma che se nell’ambito del nostro ordinamento si esclude che gli esercenti professioni intellettuali possano essere considerati imprenditori, diversamente sembrerebbe avvenire in ambito
comunitario, in particolare nell’ambito del diritto della concorrenza. In particolare, l’A. richiama alcune decisioni della Commissione (quella del 30 gennaio 1995 e quella del 16 novembre 1995) dalle
118
Nel contesto in esame, tale soluzione consente di non escludere irragionevolmente alcune categorie di soggetti come le imprese familiari ovvero le organizzazioni no profit, che pur agiscono all’interno dei mercati intermedi, dall’applicazione
delle norme di protezione, controbilanciando il deficit di tutela derivante
dall’accoglimento di una nozione restrittiva di consumatore.
Nella definizione degli indici rilevatori dello status di debolezza di un imprenditore, il diritto europeo attribuisce, altresì, una notevole rilevanza al requisito dimensionale. Nella Raccomandazione del 2003 la Commissione ha definito come piccole e medie imprese “entità che occupano un numero di dipendenti inferiore a 250
e che hanno un fatturato annuo inferiore a 50 milioni e/o un bilancio annuale complessivo che non supera i 43 milioni”. Trattasi di una definizione ad ampio spettro
all’interno della quale è possibile operare un’ulteriore suddivisione, distinguendo
tra microimprese (con meno di dieci dipendenti(MiE)), imprese di piccole dimensioni (con un numero di dipendenti ricompreso tra i 10 ed i 50 (SE)), ed infine, imprese
di medie dimensioni (con meno di 250 dipendenti (MeE)310.
Stando agli accertamenti compiuti dalla Commissione, il 99% delle realtà imprenditoriali presenti sul mercato europeo rientrano all’interno della categoria311,
mettendo così in evidenza la pervasività del fenomeno e l’ineluttabilità di una disciplina appositamente studiata per andare incontro alle specifiche esigenze di tali realtà imprenditoriali.
Allo stato nessuna legislazione statale contiene una regolamentazione sui contratti che attribuisca rilevanza al requisito dimensionale. Unica eccezione è quella
del diritto olandese che nel dare attuazione alla direttiva sulle clausole abusive ha
quali emergerebbe una definizione di impresa volta a ricomprendere qualsiasi entità che esercita
un’attività economica a prescindere dal suo status giuridico e dalle sue modalità di funzionamento.
310
Cfr. artt. 1 e 2, para 1, Raccomandazione della Commissione del 6 maggio 2003 sulla definizione di micro, small and medium-sized enterprises, GUCE, L 124/36, 2003, Annex.
311
Cfr.
‘A
comprehensive
policy
to
support
SMEs’
in
europa.eu/enterprise/entrepreneurship/smepolicy and ‘Facts and figures - SMEs in Europe’ in europa.eu/enterprise/entrepreneurship/facts_figures.
119
previsto un sistema che prevede l’operatività di una presunzione di vessatorietà di
determinate clausole in favore sia dei consumatori sia delle piccole imprese, definendo come tali quelle che occupano meno di 50 dipendenti312. Nella stessa direzione sembra muoversi la proposta avanzata dalle Law Commissions per l’Inghilterra
e la Scozia che introduce un controllo sulle clausole abusive sottratte alla trattativa
individuale nei contratti stipulati con le piccole e medie imprese313.
Tuttavia, come è già stato rilevato dalla dottrina europea314, l’adozione di un
categorical approach diretto ad estendere una disciplina di protezione in base al solo requisito dimensionale così come definito dalla Commissione risulterebbe oltremodo fuorviante. Anzitutto si potrebbe opporre il carattere arbitrario della definizione poiché, in riferimento ai casi limite, il fondamento della stessa non sarebbe
adeguatamente suffragato sul piano dell’opportunità legislativa. Infatti, la presenza
o meno di una sola unità lavorativa aggiuntiva impiegata nell’impresa sarebbe decisiva per far scattare l’applicabilità della disciplina più favorevole ovvero quella di diritto comune. Si pensi, ad esempio, alla disparità di trattamento in cui verrebbero a
trovarsi rispettivamente un’impresa di 249 dipendenti ed una di 250 dipendenti.
Inoltre, una rigida applicazione del dato dimensionale si risolverebbe in
un’eccessiva valorizzazione del requisito formale della struttura organizzativa
dell’impresa. Circostanza quest’ultima che non solo potrebbe dare adito a comportamenti strategici indesiderati ma, prescindendo da ogni accertamento in concreto
delle condizioni di mercato, potrebbe comportare un’estensione delle formule protezionistiche anche alle realtà imprenditoriali per le quali non sussiste alcuna esigenza di tutela. Viceversa, la disciplina più favorevole non troverebbe applicazione
con riguardo ai rapporti tra una microimpresa ed un’impresa di medie dimensioni
312
Cfr. Art. 6:235(1) BW. Nel diritto olandese la definizione di impresa di grandi dimensioni è decisamente più estesa, ricomprendendo, imprese con più di 50 dipendenti.
313
Cfr. la lettera del 24 luglio 2006 che il Minister of State for Trade, Investment and Foreign Affairs ha inviato alla Law Commission consultabile su http://www.dti.gov.uk/files/file34128.pdf.
314
Ampiamente sul punto M. W. HESSELINK, SMEs in European Contract Law, op. cit., 17-18.
120
quand’anche tra le stesse si riscontri la presenza di un’asimmetria di mercato al pari
di quella che generalmente caratterizza i rapporti tra una SME ed una large enterprise.
Per di più, la difficoltà di pervenire nello svolgimento delle contrattazioni al riconoscimento in capo ad ogni imprenditore dell’attributo della debolezza solleva
questioni di prevedibilità e di certezza del diritto, atteso che la grande impresa interessata a concludere un contratto con una SME non sarebbe facilmente in grado di
stabilire a priori se sia o meno applicabile la disciplina protezionistica.
Coerentemente, nella versione definitiva del DCFR non vi sono previsioni
normative specificamente dedicate alle SMEs in quanto tali. E’, tuttavia, possibile
riscontrare fattispecie normative a struttura aperta che consentono all’interprete di
optare per un approccio sostanziale in sede di qualificazione della posizione contrattuale dei contraenti. Esempi evidenti in questa direzione sono rappresentati dalle
general provisions come quelle sui doveri di informazione precontrattuale e sulla
determinazione del significato di “unfair” nell’ambito delle relazioni B2B, le quali, in
virtù del loro diretto collegamento con la clausola generale di buona fede, si prestano ad un’applicazione generale e ritagliata caso per caso.
Tali considerazioni inducono a ritenere indispensabile nella valutazione dello
stato di dipendenza della controparte una pluralità di fattori, i più importanti dei
quali sono emersi in esito agli studi comparativi basati sull’analisi economica degli
accordi di integrazione verticale tra imprese. Dagli studi della scienza economica
emerge, infatti, che gli elementi caratterizzanti l’esistenza di una situazione di dipendenza siano fisiologicamente annidati all’interno delle relazioni verticali tra imprese di cui i contratti di distribuzione commerciale costituiscono la principale manifestazione tipologica315.
315
Studi approfonditi sugli aspetti giuridici ed economici dei contratti di distribuzione sono stati
compiuti da R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Jovene, Napoli, 1979; G. VETTORI, Anomalie e
tutela nei rapporti di distribuzione tra imprese. Diritto dei contratti e regole di concorrenza, Milano,
121
Trattandosi di accordi diretti a realizzare forme di intermediazione economica
consistenti nella commercializzazione di beni e servizi conformemente alle politiche
di marketing decise dal produttore, il primo dato che qualifica tali relazioni contrattuali è rappresentato dall’elevato grado di specificità dell’attività posta in essere
dall’intermediario da cui conseguono, da un lato, costi di commutazione altissimi in
proporzione diretta all’ammontare degli investimenti da affidamento e, dall’altro,
forme più o meno penetranti di ingerenza nella sfera decisionale della controparte.
Inoltre, poiché nella maggior parte delle ipotesi la causa di tali contratti si specifica
altresì nella concessione in godimento della formula commerciale, il controllo contrattuale assume connotazioni ancora più stringenti sino al punto da determinare la
totale scomparsa dell’identità commerciale dell’affiliato dietro l’immagine comune
ed unitaria della filiera distributiva.
Sotto questo profilo, è possibile specificare il contenuto del concetto di dipendenza economica, distinguendone quattro diverse formule: 1) la dipendenza da
rapporti commerciali, che si ha quando nei rapporti di lunga durata l’impresa ha
concentrato la propria attività in funzione di un unico partner negoziale realizzando
investimenti non ammortizzabili nel breve periodo né facilmente convertibili; 2) la
dipendenza da assortimento, che si verifica nei confronti di un’impresa che produce
o distribuisce prodotti di monomarca per cui il solo fatto di non avere a disposizione
partite di tali prodotti costituisce un danno per l’impresa dipendente; 3) la dipendenza da c.d. penuria, che si ha quando l’impresa dipenda da una sola fonte di rifornimento che non può sostituire in tempi brevi ed in modo economicamente con-
1983. In una prospettiva del tutto nuova ed originale, il tema è trattato da F. CAFAGGI, Il governo
della rete: modelli organizzativi del coordinamento inter-imprenditoriale, in F. CAFAGGi (a cura di)
Reti di imprese tra regolazione e norme sociali. Nuove sfide per diritto ed economia, P. IAMICELI, Le
reti di impresa: modelli contrattuali di coordinamento, ibid., 125 ss.
122
veniente; 4) la dipendenza del fornitore, che si ha quando il fornitore riserva percentuali rilevanti del proprio fatturato annuale ad un unico committente.316
Tali condizioni di dipendenza sono, pertanto, agevolmente riconoscibili nella
posizione dell’agente che, obbligato a svolgere attività promozionale nell’interesse
del preponente ed in osservanza delle istruzione da lui impartite, vedrebbe vanificare ogni suo sforzo e preclusa ogni possibilità di guadagno a fronte del rifiuto sistematico del preponente di accettare gli ordini trasmessi.
Analogamente, si segnala la situazione di dipendenza del franchisee che dopo
aver affrontato investimenti idiosincratici in vista dello svolgimento di una determinata prestazione in conformità alle istruzioni dettate dal manuale operativo, vedrebbe compromessa la sua stessa sopravvivenza economica nel caso in cui il franchisor proceda all’interruzione arbitraria del rapporto quando sia decorso un lasso
di tempo che non gli consenta di ammortizzare i propri investimenti o di convertire
adeguatamente la propria attività ovvero di reperire tempestivamente alternative
soddisfacenti sul mercato. Nella medesima posizione si trovano anche i concessionari in esclusiva le cui relazioni con il concedente siano improntate a forme di dipendenza tecnologica e progettuale.
In definitiva, il fulcro del concetto di dipendenza economica risiede
nell’impossibilità per l’impresa dipendente di instaurare rapporti contrattuali con
imprese diverse da quella “relativamente” dominante, senza subire uno svantaggio
eccessivo rispetto ai propri concorrenti: in tale direttiva, costituiscono indici sintomatici dello stato di dipendenza le pattuizioni reiterate di esclusiva ovvero di minimi
di acquisto particolarmente elevati, la specificità dell’attività oggetto della prestazione caratteristica, gli elevati livelli di affidamento ingenerati nell’affiliato, la lunga
316
A. DE NICOLA – L. COLOMBO, La subfornitura nelle attività produttive, Milano 1998, A. FRIGNANI, Abuso di posizione dominante, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, A. PATRONI GRIFFI, l. C. UBERTAZZI, Bologna, 1995. Per una sintetica descrizione del fenomeno,
si veda R. CASO, Subfornitura industriale: analisi giuseconomica delle situazioni di disparità di potere
contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 243 ss.
123
durata delle relazioni commerciali ed, in generale, ogni altro fattore idoneo a produrre gli effetti di una tipica situazione di hold up monopolistico317.
L’altro risvolto tipizzante nei rapporti contrattuali della distribuzione è rappresentato dalla carenza delle informazioni e, quindi, dalla strutturale ed ineliminabile
incompletezza del contratto dal punto di vista economico. Nel quadro dei rapporti
di lunga durata, incentrati su una logica di fiducia e di cooperazione reciproca,
l’incompletezza del contratto deve intendersi come mancata regolamentazione di
aspetti lacunosi ex ante in quanto riferibili a sopravvenienze non prevedibili al momento della conclusione di un accordo già completo giuridicamente al momento
della stipulazione318.
Se dal punto di vista dell’analisi economica, l’incompletezza si spiega in termini di efficienza giacché eviterebbe alle parti di incorrere in costi transattivi troppo
onerosi in riferimento alla regolamentazione di eventi solo prevedibili319, non è da
escludersi che successivamente tale deficit informativo di base potrebbe prestare il
destro a comportamenti opportunistici della controparte che, sfruttando la relativa
posizione di superiorità, verrebbe ad imporre condizioni contrattuali eccessivamente gravose o discriminatorie, non diversamente dal monopolista nei confronti di tutti i clienti o fornitori operanti sul mercato320.
317
Nella definizione di R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., 322, la situazione di hold
up monopolistico si rinviene in “ipotesi in cui l’elasticità della domanda (dell’offerta) di una parte subisce un brusca contrazione per effetto della stipulazione del contratto; al punto che all’altro contraente si offre, col semplice ventilare la minaccia di por fine al rapporto, l’opportunità di ottenere una
modificazione a suo favore dei termini dell’accordo originario.” Sulla definizione in generale della nozione di “hold up”, si veda B. KLEIN - R. G. CRAWFORD - A.A. ALCHIAN, Integrazione verticale, rendite
appropriabili ed il processo di contrattazione competitiva, op.cit.
318
Sulla nozione di incompletezza contrattuale, G. BELLANTUONO, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000; A. FICI, Il contratto incompleto, Torino, 2005.
Per la letteratura straniera, si rinvia a A. SCHWARTZ, Incomplete contracts, in AA.VV., The New
Palgrave Dictionary of Economics and Law, London-New York, 1998; I. AYRES, Default rules for incomplete contract, in AA. VV., Ibid.
319
R. PARDOLESI, Regole di default e razionalità limitata: per un (diverso) approccio di analisi economica al diritto dei contratti, in Riv. crit. dir. priv., 1996, 456.
320
Così, A. FICI, Il contratto incompleto, op. cit., 195.
124
Alla luce di tali considerazioni si osserva che, in un sistema di libero mercato
dove l’esistenza di una disparità di potere contrattuale è fenomeno endemico della
contrattazione commerciale, la deriva protezionistica della disciplina europea nei
confronti delle imprese più deboli si fonda sulla necessità di neutralizzare gli effetti
negativi dei fenomeni di abuso di potere negoziale che, in definiva, si traducono in
fallimenti del mercato.
Nel quadro giuridico europeo tale indirizzo di politica del diritto è stata opportunamente condotto attraverso la valorizzazione operativa della clausola generale
di buona fede che nei suoi sviluppi più recenti si è attestata apertamente come
strumento di efficienza nel governo del mercato321.
Già in seguito al consolidamento della disciplina consumeristica, il canone della buona fede oggettiva ha assunto centralità come criterio ermeneutico attraverso
cui sindacare la giustizia normativa dell’accordo e colpire con l’inefficacia le clausole
vessatorie presuntivamente accettate dal consumatore in assenza di una trattativa
individuale322.
In modo più incisivo, le iniziative di armonizzazione del diritto europeo dei
contratti di impresa hanno compiuto un ulteriore passo in avanti qualificando la
buona fede come limite funzionale alla libertà di determinare il contenuto economi-
321
Cfr. G. A. AKERLOF, The market for “Lemons”? Quality Uncertainty and the Market Mechanism, in Quarterly Journal of Economics, 1970, 488; A. T. KRONMANN, Paternalism and the Law of
Contracts, in The Yale Law Journal, 1983, 763 ss.; R. POSNER, Economic Analysis of Contract law after
Three Decades: Success or Failure?, in Yale Law Journal, 2003, 822. In Italia, si segnalano gli scritti di
V. BUONOCORE, Contratti del consumatore e contratti di impresa, in Riv. dir. Priv., 1995, I, 5 ss.; E.
NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo,in Riv. dir. priv, 2005, 507
ss.; M. BARCELLONA, Clausole generali e giustizia contrattuale. Equità e buona fede tra codice civile e
diritto europeo, Torino, 2006.
322
A. JANNARELLI, La disciplina dell’atto e dell’attività: i contratti tra imprese e tra imprese e consumatori, in Diritto privato europeo a cura di N. LIPARI, Padova, 1997, 531 ss.; G. LENER, La nuova
disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, 152; L. BIGLIAZZI
GERI, Art. 1469-bis, Clausole vessatorie nel contratto tra professionista e consumatore, in Commentario al Capo XIV bis del Codice civile: dei contratti del consumatore, in Le Nuove Leggi civili commentate, Padova, 1997, 801 ss.
125
co dello scambio e, dunque, come canone di accertamento in concreto dell’abuso
dell’autonomia negoziale323.
Tale tendenza trova espresso riscontro nei modelli normativi offerti dall’art. 7
della direttiva Ce 2000/35 sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali,
dall’art. II. 7:207 del DCFR (art. 4:109 PECL) sull’unfair exploitation e, da ultimo,
dall’art. II. 9:406 DCFR sugli unfair terms nei contratti B2B. In tutti e tre i casi, infatti,
l’accertamento rispettivamente della grave iniquità, dell’eccessivo vantaggio e del
significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti viene saldamente ancorato alla valutazione degli aspetti circostanzianti il segmento di mercato entro cui si
svolgono le relazioni contrattuali, confermando l’idea secondo cui l’ingiustizia giuridicamente rilevante non può che realizzarsi sul terreno delle condizioni economiche
del rapporto, a nulla rilevando che la clausola mediante la quale si sia consumato
l’abuso sia stata oggetto di trattative324. In tal modo, si configura la duplice natura
della buona fede come canone di interpretazione che accerta l’abuso nella determinazione del contenuto del contratto e criterio di identificazione dei risvolti patologici derivanti dalla disparità di potere contrattuale325.
323
Sul punto, C. M. BIANCA, Buona fede e diritto privato europeo, in Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contemporanea, Atti del Convegno internazionale di studi
in onore di Alberto Burdense, Padova, 2003, 201 ss.; G. VETTORI, Buona fede e diritto europeo dei
contratti, in Europa e diritto privato, 2002, 5 ss, che richiama l’opinione espressa da O. LANDO, Lo
spirito dei principi del diritto contrattuale europeo, in Il codice civile europeo, Materiali dei seminari
1999-2000, a cura di G. ALPA e BUCICCO, Milano, 2001, 41 ss.
Ampiamente sul punto, il contributo di M. W. HESSELINK, CFR and Social Justice. A short study for
the European Parliament on the values of underlying the Draft Common Frame of Reference for European Private Law, in Working Papers, 2008/08, consultabile sul sito http://ssrn.com.
324
Così, F. PROSPERI, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela della concorrenza: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ, 1999, 654, in riferimento ai
presupposti applicativi dell’art. 3.2.7 (Gross disparity) dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali (2010); G. D’AMICO, La formazione del contratto, in G. GITTI – G. VILLA Il terzo contratto. L’abuso di potere contrattuale nei rapporti tra imprese, Bologna, 2008.
325
In base alla raffinata classificazione di T. Wilhelmsson, alla buona fede compete il duplice obiettivo di razionalizzare e di correggere il mercato: Market-Rational Regulation e Market Rectifying
Regulation. La prima implica una risposta di tipo sostanziale alle asimmetrie informative alla luce affidata al principio di solidarietà mentre la seconda tende alla correzione delle asimmetrie di potere di
mercato a garanzia di una compenetrazione tra autonomia privata e uguaglianza sostanziale. Così, in
sintesi, T. WILHELMSSON, Varieties of Welfarism in European Contract Law, in European Law Journal,
2004, 718 ss.
126
1.3 Prime aperture verso una disciplina sostanziale dei rapporti commerciali “B2B”
1.3.1 L’approccio generale del Draft Common Frame of Reference (DCFR)
In un orizzonte più vasto, il diritto europeo dei contratti si compone in misura
rilevante anche delle soluzioni proposte all’interno del DCFR che inquadra la regolazione dei rapporti business to business (B2B) in una prospettiva del tutto originale.
L’opportunità di procedere ad una “sharp distinction” tra B2C contracts e B2B
contracts è stata da sempre alla base delle iniziative intraprese dall’Unione nel
campo della tutela normativa delle piccole e medie imprese326. Già nel 2005 in occasione del Report annuale sui lavori di preparazione del Common Frame of Reference, infatti, la Commissione Europea suggellava come di primaria importanza
l’affermazione di un’“appropriate distinction” tra le due categorie contrattuali. Tale
impostazione è stata successivamente confermata sia dal Consiglio327 sia dal Parlamento Europeo che nella risoluzione del 2006328 invitava la Commissione a separare
le due discipline sul piano sistematico adducendo ragioni di coerenza normativa.
Le principali novità attengono ad un approccio decisamente più generalizzato
verso la policy di protezione del contraente debole e, dunque, verso la definizione
degli interessi socialmente rilevanti e meritevoli di protezione. Infatti, nel definire il
modello socio-economico in cui si inserisce la disciplina nel suo complesso, i redattori del Draft sottolineano la reciproca interazione delle istanze provenienti dal libero mercato e dalle regole della concorrenza con le esigenze di tutela dei consumatori, delle piccole e medie imprese ed, in generale, di tutte le possibili figure di con326
M. W. HESSELINK, Towards a sharp distinction between B2B and B2C? On consumer, commercial and general contract law after the consumer rights directive, in Working Paper Series No. 2009/6,
Centre for the Study of European Contract Law.
327
Risoluzione del Consiglio europeo sul primo Report annuale della Commissione, del 28-29
novembre 2005, n. 13 in cui si enfatizza “(...) the need to acknowledge the distinction between business-to-consumer and business-to-business contracts.”
328
Risoluzione del Parlamento europeo del 23 marzo 2006 on European contract law and the revision of the acquis: the way forward (P6_TA(2006)0109), 6: “Calls on the Commission to distinguish,
where necessary, between legal provisions applicable to the business-to-business sector and those
applicable to the business to-consumer sector, and to separate the two systematically”.
127
traente debole nella società. Nella stessa direzione, il fondamento delle deroghe al
principio fondamentale dell’autonomia negoziale è individuato rispettivamente nel
deficit informativo e nell’inequality of bargaining power quali fattori caratterizzanti
non solo i rapporti tra professionisti e consumatori ma anche le relazioni tra imprese, quando il contraente è un piccolo professionista che manca di esperienza nel
settore329.
Il
carattere
“costituzionale”
assunto
dalle
istanze
di
protezione
dell’imprenditore debole trova rispondenza all’interno del DCFR nel riconoscimento
di una certa evidenza sistematica alla categoria dei rapporti B2B. Benché siano molteplici le norme specificamente rivolte ai rapporti contrattuali “between businesses”330, la più significativa tra tutte è quella di cui art. II.-9:406: Meaning of “unfair”
in contracts between businesses che introduce anche nei rapporti tra imprenditori il
concetto di “unfairness”, individuando come criterio che deve guidare l’interprete
nell’accertamento della vessatorietà della clausola la “grossly deviation from good
commercial practice, contrary to good faith and fair dealing”331.
La soluzione accolta dal DCFR è il risultato di un compromesso tra quanti auspicano l’introduzione di un concetto di unfairness identico a quello utilizzato nella
329
Cfr. DCFR, Introduction, (20) “Model of society and economic system” laddove stabilisce che
“The formulation of core aims and fundamental principles reveals the underlying model of society
and of the economic system more directly than does the formulation of individual rules. It helps to
clarify the position of the DCFR (and, eventually, the CFR) in the spectrum between free market and
fair competition theories and more invasive approaches in favor of consumers, victims of discrimination, small and medium sized enterprises and the many other possibly weaker parties to contracts
and members of society.”
Cfr., altresì, DCFR, Introduction, (27) “Restrictions on freedom to determine contents of contract”
dove si legge che “Grounds on which restrictions might be justified include inequality of information
and lack of bargaining power. Such problems are most common when a consumer is dealing with a
business, but can also occur in contracts between businesses, particularly when one party is a small
business that lacks expertise.”
330
Cfr. DCFR, artt. II.-3:101: Duty to disclose information about goods and services; II.-4:210: Formal confirmation of contract between businesses; II.-9:406: Meaning of “unfair” in contracts between
businesses; IV. A.-4:302: Notification of lack of conformity; IV.C.- 4:108: Limitation of liability.
331
Analogo è il significato di “unfair” riportato negli artt. 86 e 170 Annex I della proposta di Regolamento on a Common European Sales Law con riferimento rispettivamente ai contratti asimmetrici
fra imprenditori e agli interessi di mora, laddove stabiliscono che le relative clausole sono vessatorie
se si discostano “manifestamente dalle buone pratiche commerciali, in contrasto con la buona fede e
correttezza”.
128
disciplina consumeristica e quanti, invece, al contrario, non ritengono opportuno
procedere ad una siffatta omologazione, enfatizzando la diversa natura delle dinamiche caratterizzanti le relazioni tra operatori professionali. In definitiva, si è deciso
di optare per un sistema di tipo misto teso a coniugare quanto più possibile le istanze di protezione del contraente debole con il principio dell’autonomia negoziale332.
1.3.2 I contratti “B2B” nella Common European Sales Law (CESL): profili e limiti
della disciplina
La policy di tutela dell’imprenditore “debole” ha attinto un primo livello di
formalizzazione legislativa in seguito alla pubblicazione della CESL che ha spostato
definitivamente i termini del dibattito dal mondo accademico al quadro politicoistituzionale dell’Unione.
Già nel Feasibility Study, la Commissione giustificava un intervento normativo
in materia di rapporti B2B allo scopo di introdurre un regime di tutela per le SMEs
per taluni aspetti simile a quello previsto per i consumatori dal momento che, in alcune circostanze, le stesse possono trovarsi svantaggiate nei confronti di una controparte professionale di maggiore esperienza nel settore ovvero più forte dal punto di vista economico.
Sulla scorta delle medesime indicazioni, le ragioni giustificatrici poste dalla
Commissione alla base della creazione di un diritto comune della vendita sono state
individuate nell’esigenza di potenziare la tutela normativa degli operatori professionali, in un’ottica strumentale al rafforzamento di un mercato concorrenziale unico
332
In senso critico sulla contestuale presenza nel DCFR di tre diversi standards di “unfairness”, H.
B. SCHÄFER & P. C. LEYENS, Judicial Control of Standard Terms and European Private Law in P.
LAROUCHE & F. CHIRICO, Economic Analysis of the DCFR, Sellier European Law Publishers, Munich,
2010, 97-119; D. MAZEAUD, Unfairness and Non-negotiated Terms, in R. SCHULZE – J. STUYCK, Towards a European Contract Law, op. cit., 123-129; T. PFEIFFER, Non Negotiated-Terms, in R.
SCHULZE, Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, op. cit., 177 ss.
In generale sul punto, M. W. HESSELINK, Unfair Terms in contracts between businesses, in R.
SCHULZE – J. STUYCK Towards a European Contract Law, op. cit., 131 ss.
129
più competitivo. Allo stato, infatti, la specifica frammentarietà del sistema normativo in materia di vendita costituisce un ostacolo al funzionamento del mercato, disincentivando soprattutto gli scambi transfrontalieri delle piccole e medie imprese.
In molti casi, i costi aggiuntivi che le SMEs sono tenute ad affrontare allo scopo di
informarsi e di apprendere il contenuto della legge applicabile possono rivelarsi eccessivamente sproporzionati rispetto al valore della transazione commerciale in
corso333.
I risultati di tali osservazioni sono alla base di talune scelte presenti nella CESL
come, ad esempio, l’introduzione di norme sui doveri di informazione precontrattuale (art. 23) la cui violazione è sanzionata mediante un apposito sistema
rimediale (art. 29); la definizione dell’errore e del dolo anche con riferimento ai doveri di informazione pre-contrattuale; la previsione di un meccanismo per il quale le
dichiarazioni pre-contrattuali sono considerate come contenuto implicito del contratto (art. 69); ed, infine, l’introduzione del controllo delle clausole abusive non
negoziate anche nei contratti tra imprese (art. 86).
Ciò premesso, è ragionevole prevedere che la scelta di optare per
l’applicazione dello strumento opzionale sarà tanto più allettante per le SMEs quanto più si riducano i costi aggiuntivi connessi alle operazioni transfrontaliere rispetto
agli oneri generalmente connessi allo svolgimento del domestic trade.
In questa prospettiva, la natura “opzionale” dello strumento, lungi dal costituire un elemento di debolezza del futuro Regolamento334, ha il “valore aggiunto”335
333
Cfr. Preambolo della CESL (1) e (2) dove si legge “Contract-law-related barriers are thus a major contributing factor in dissuading a considerable number of export-oriented traders from entering
cross-border trade or expanding their operations into more Member States. Their deterrent effect is
particularly strong for small and medium-sized enterprises (SME) for which the costs of entering multiple foreign markets are often particularly high in relation to their turnover.”
334
Perplessità in ordine all’adozione del meccanismo dell’opting in, sono state avanzate da O.
LANDO, Questions and Comments, op. cit. 719. Nella stessa direzione, G. DE CRISTOFARO, Il (futuro)
“Diritto Comune Europeo” della vendita mobiliare: profili problematici della Proposta di regolamento
presentata dalla Commissione UE, op. cit., 366.
335
Così A. VENEZIANO, Un diritto europeo per le contrattazioni on-line tra imprese?, op. cit., 458.
130
di consentire ai contraenti di optare per l’applicazione di un insieme di regole self
standing di carattere neutro, senza correre il rischio di subire gli effetti svantaggiosi
derivanti dall’accettazione del diritto altrimenti applicabile al contratto ovvero della
legge nazionale imposta dal contraente più forte.
La strategia di protezione delle SMEs, così come prefigurata dalla CESL, tuttavia, non va esente da alcune incongruenze che sotto alcuni aspetti pongono la disciplina in contraddizione con gli obiettivi dalla stessa prefissati.
In primo luogo, viene in rilievo la formale limitazione dell’ambito soggettivo di
applicazione ai soli contratti di vendita a carattere transfrontaliero. A tale restrizione, poco confacente alle complessive esigenze di sviluppo della competitività nel
mercato, si aggiunge il limite derivante dal requisito dimensionale che deve necessariamente interessare una delle due imprese, essendo almeno una di esse tenuta a
rispettare i parametri quantitativi a cui la Commissione ricollega la qualificazione di
impresa medio-piccola.
Il perseguimento di un’effettiva policy di protezione dell’impresa debole mal si
concilia infatti con l’imposizione di limiti formali che non trovano alcuna giustificazione né in ragioni di carattere sostanziale né in specifiche logiche di organizzazione
sistematica della materia. Non è da escludersi, pertanto, che il carattere arbitrario e
strettamente materiale del requisito possa introdurre ingiustificatamente a carico
delle parti elevati costi di accertamento della precisa natura del contraente336.
336
In senso critico sulla scelta di ancorare la definizione di SME a rigidi criteri formali, si sono
espressi altresì i membri dello European Law Institute che nello Statement sulla proposta di
Regolamento sul diritto comune europeo della vendita osservano “(9) The working party does not
believe that this restriction is required by the principles of subsidiarity and proportionality, as these
principles, in accordance with well-established CJEU case law, do not require (or even allow) the restriction of a legislative measure in a way that seriously calls into question its suitability to attain the
aim pursued. In particular as more than 90% of all businesses in the EU qualify as SMEs, the working
party strongly recommends the formal restriction to SMEs be abandoned. It would be sufficient to
state simply in the introductory Article that the instrument is designed to serve the interests of
SMEs.”
131
In tale contesto, dunque, la scelta di riservare alla facoltà degli Stati la decisione di estendere la disciplina anche ai rapporti tra imprese con sedi di affari nel
medesimo Stato Membro ovvero ai contratti stipulati tra professionisti di cui nessuno di essi è una SME si prefigura come uno dei punti più controversi di un progetto
di sviluppo del diritto contrattuale orientato verso un’effettiva politica di protezione
del “contraente debole”337.
A ciò si aggiunge che la disamina degli aspetti più rilevanti della disciplina riservata ai rapporti commerciali “B2B” ha indotto parte della dottrina europea a ritenere che la CESL non verrebbe a configurarsi nei termini di una “viable alternative” rispetto all’applicazione della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili338. Tale presa di posizione poggerebbe sulla scelta effettuata dalla
CESL di affidare gran parte della regolamentazione dei rapporti tra imprese alle
clausole generali di “good faith and fair dealing” che, stante la loro intrinseca vaghezza ed ambiguità, mal si adattano di fronte alle esigenze di certezza e di prevedibilità del commercio internazionale.
337
Cfr. artt. 4: Cross-border contracts e 13: Member States' options della CESL. In senso critico
sulle limitazioni all’ambito soggettivo di applicazione della CESL, B. FAUVARQUE-COSSON, Le droit
commun europeén de la vente e la technique des instruments optionnels, in Le droit commun
europeén de la vente. Examen de la Proposition de Règlement du 11 octobre 2011, vol. VI, Société de
Législation comparée, 2012, 13 ss; O. LANDO, Comments and Questions, op. cit., 721.
Analogamente critici anche i redattori dello Statement sulla proposta di Regolamento sul diritto
comune europeo della vendita predisposto dallo European Law Institute, dove si legge: “(13) (…)
Large enterprises will usually be established in more than one country and can thus easily redirect
contracts particularly in respect of E-commerce, to an establishment in another Member State. They
can thus ensure that all their contracts have a cross-border element and thereby trade within the
whole EU/EEA under one and the same legal regime. An SME situate in a single Member State which
has not made use of the option in Article 13(a) of the Regulation to extend the CESL to its domestic
contracts cannot operate in such fashion. It will have to cope with two legal regimes, and thus it is
placed at a serious disadvantage(…).”
338
Così I. SCHWENZER, The Proposed Common European Sale Law and the Convention on the International Sales of Goods, in UCC Law Journal, 2012, 476 ss., il quale riassume, altresì, le posizioni di
H. W. MICKLITZ - N. REICH, The Commission Proposal for a “Regulation on a Common European Sales
Law (CESL)”—Too Broad or Not Broad Enough?, in EUI Working Paper Law, 2012/04, European University Institute, 2012 e di H. EIDENMÜLLER, Der Vorschlag für eine Verordnung über ein
Gemeinsames Europäisches Kaufrecht, in Juristen Zeitung, Vol. 67, 2012, 273 ss.
132
CAPITOLO V:
ALCUNI SPUNTI PER UNA DISCIPLINA GENERALE DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE E
TUTELA DEL “CONTRAENTE DEBOLE”
1.1 Gli obblighi di informazione nella fase precontrattuale: tra regole di validità e norme di
comportamento
Nell’ambito della disciplina europea dei rapporti di distribuzione commerciale,
e più in generale della contrattazione di impresa, la strategia normativa prevista a
tutela del contraente debole nella fase precontrattuale è calibrata su modelli relazionali basati sulla negoziazione dell’accordo, piuttosto che su meccanismi di mera
adesione (c.d. economie di scala).
Il diverso approccio generalmente adottato nella regolamentazione degli obblighi di informazione precontrattuale rispettivamente nell’ambito delle relazioni
B2C e B2B si spiega ancora una volta in ragione delle divergenze strutturali che caratterizzano la posizione del consumatore e dell’imprenditore debole dinanzi alla
controparte professionale: nel primo caso l’asimmetria informativa è presunta o
implicita in ragione dell’oggetto delle operazioni negoziali – si pensi ai contratti del
mercato finanziario - ovvero delle tecniche di contrattazione utilizzate – come nel
caso delle negoziazioni off-premises; nel secondo caso, invece, il deficit informativo
di partenza assume connotazioni così peculiari da richiedere un approccio protettivo attivabile solo sulla base di accertamenti in concreto.
Alla luce di tali considerazioni, è possibile riscontrare un quadro normativo polarizzato su due diversi livelli di tutela: da un lato, operano a vantaggio dei consumatori numerose mandatory disclosure clauses il cui contenuto è rigorosamente determinato in relazione alle diverse modalità di conclusione del contratto (ad esempio, distance o off-premises contract)339, dall’altro, la correttezza della fase delle negoziazioni tra businesses è demandata all’osservanza di general provisions che rin339
Cfr. artt. 19 e 20 della CESL. In dottrina, T. WILHELMSSON – C. TWIGG-FLESNER, Precontractual
Information Duties in the Acquis Communautaire, in ERCL, 2006, 448.
133
viano, ai fini della relativa applicazione, allo standard oggettivo del good commercial
practice operante nel settore di riferimento340.
Tuttavia, i contorni della dicotomia che nell’ambito delle discrete transactions
distinguono la disciplina della fase precontrattuale nei rapporti tra professionisti e
consumatori, da un lato, e tra professionisti, dall’altro, assumono connotazioni meno nette se confrontati con la disciplina generale riservata ai distribution agreements. In riferimento a tali accordi, infatti, la regolamentazione degli obblighi di informazione presenta maggiori affinità rispetto a quella prevista per i consumatori in
ragione della strutturale disparità informativa insita nella genesi delle fattispecie
contrattuali in esame.
Il dato più evidente, infatti, emerge già dalla disamina dell’art 1:201: Precontractual information duty dei PEL CAFDC che fonda l’operatività della clausola
generale su parametri ben più rigorosi di quelli di cui all’art. II.- 3:101: Duty to disclose information about goods, other assets and services del DCFR, introducendo,
in via aggiuntiva, il requisito della tempestività dell’adempimento degli obblighi di
informazione rispetto alla conclusione del contratto ed, inoltre, uno standard qualitativo più elevato in termini di correttezza, completezza e trasparenza delle informazioni di cui deve essere curata la trasmissione341.
Nello specifico, le distanze tra la norma sulle informazioni pre-contrattuali
prevista nei PEL CAFDC e quella corrispondente della disciplina generale risultano
altresì evidenti se si assume come parametro di confronto l’art. 23 della CESL, stante la sua vocazione a porsi nel prossimo futuro come disciplina generale comune del
contratto.
340
Per un approfondita analisi del tema, si veda B. FAGES, Pre-contractual duties in the Draft
Common Frame of Reference – What Relevance for the Negotiation of Commercial Contracts?, in
ERCL, 2008, 304 – 316; H. BEALE – G. HOWELLS, Pre-contractual Information Duties in the Optional
Instrument, in R. SCHULTZE – J. STUYCK, Towards a European Contract law, op. cit., 49-62.
341
Cfr. PEL CAFDC, Comments C, D ed E.
134
In particolare, l’art. 23 circoscrive il contenuto delle informazioni doverose a
“the main characteristics of any good and services” la cui mancata disclosure risulterebbe contraria ai principi di “good faith and fair dealing”. A definizione della sua
portata precettiva, la norma contiene l’elencazione di una serie di circostanze rivolte a guidare l’interprete nella valutazione dell’esistenza dell’obbligo di informare tra
cui compare, da ultimo, il criterio del good commercial practice in the situation concerned”342.
A differenza dell’art. II. – 3:101 del DCFR, l’art. 23 della CESL individua come
test generale volto ad individuare la sussistenza dell’obbligo di disclosure nel criterio
di good faith and fair dealing. Modificando l’approccio precedente, la mancata ottemperanza ai doveri di informazione costituisce nella CESL una deviazione dal good
commercial practice, rappresentando solo uno dei possibili casi di violazione del criterio di good faith and fair dealing mentre nel DCFR il criterio di correttezza si pone
come standard la cui violazione è fonte di responsabilità tout court 343.
La maggiore indeterminatezza della nuova disposizione, della quale si è molto
discusso nel corso dei lavori preparatori dell’Expert Group, vuole proporsi come
duttile strumento volto a controbilanciare il principio della freedom of contract, con
le specifiche esigenze di protezione delle SMEs, rimettendo in sostanza alla prassi
giurisprudenziale il compito di attribuire alla norma un maggior grado di concretezza344.
Di conseguenza, la scelta di limitare la portata dell’obbligo di disclosure alle
sole informazioni delle quali la controparte più forte si ritiene ragionevolmente in
possesso esclude che l’obbligo di informazione sia stato esclusivamente imposto a
342
Cfr. CESL, art. 23 paragrafo (2). In dottrina, A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of Article 23, in ERPL, 6-2011, 787 ss.
343
Così, H. BEALE – G. HOWELLS, Pre-contractual Information Duties in the Optional Instruments,
in Towards a European Contract Law, op. cit., 52.
344
Per un’attenta disamina dell’art. 23 CESL, si veda A. DE BOECK, B2B Information Duties in the
Feasibility Study: Analysis of art. 23, in ERPL, 787 ss. Più in generale, S. WHITTAKER, The Optional Instrument of European Contract Law and Freedom of Contract, in ERCL, 2011, 378-380.
135
suo carico. Inoltre, l’indicazione di parametri circostanziali alla stregua dei quali occorre valutare la sussistenza di un obbligo di disclosure può produrre l’effetto di
spostare una parte del carico probatorio anche in capo all’impresa più debole, qualora, ad esempio, essa sia dotata di una particolare specializzazione nel settore di
riferimento345.
L’effettività degli obblighi di disclosure è però rafforzata dall’art. 28 CESL che
sancisce l’obbligo di dare informazioni corrette ed, in particolare, dall’art. 69 che
prevede l’inclusione nel contenuto del contratto di tutte le dichiarazioni che durante le negoziazioni sono rese in merito alle caratteristiche della fornitura.
E’opportuno osservare tuttavia che, anche qualora la proposta di regolamento
venisse formalmente adottata, la relativa disciplina generale non sembrerebbe offrire garanzie di maggiore protezione nei confronti dei piccoli franchisees o distributori. In virtù del riferimento al solo criterio di good faith and fair dealing è presumibile che l’interpretazione dell’art. 23 della CESL sarà tale da vincolare il contraente
all’obbligo di comunicare le circostanze di rilievo attinenti all’affare, ma non anche
le circostanze relative alla valutazione della convenienza dell’operazione negoziale
nel suo complesso346.
Pertanto, come già anticipato, è auspicabile che sul fronte della distribuzione
commerciale si proceda nel breve periodo all’adozione di una regolamentazione
specifica, valorizzando disciplina sostanziale contenuta nei PEL CAFDC. Detti Principi, infatti, in riferimento alla disciplina degli obblighi di informazione precontrattuale, assumono un peso specifico molto più rilevante anche rispetto alla corrispondente disciplina riportata nel DCFR.
345
Così, A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of Article 23, op.cit,
6-2011, 792.
346
Sulla natura del contenuto dei doveri di informazione precontrattuale nei rapporti B2B, si veda A. DE BOECK, B2B Information Duties in the Feasibility Study: Analysis of Article 23, op. cit., 794.
136
A differenza della norma confluita nell’art. IV. E. – 2:101 del DCFR, la general
provision di cui all’art. 1:201 dei PEL CAFDC acquisisce il carattere di mandatory rule,
determinando nel corso delle trattative un notevole innalzamento del livello di tutela non solo sul piano del contenuto degli obblighi di disclosure ma anche soprattutto
su quello della loro effettività.
Inoltre, come esaminato in precedenza, la disciplina dei Principles assume
connotazioni più stringenti e rigorose in riferimento alla conclusione di un contratto
di franchising. Infatti, l’art. 3:103 dei PEL CAFDC (cui corrisponde integralmente
l’art. IV.E – 4:102: Pre-contractual information) non solo ripropone la medesima architettura normativa utilizzata nei rapporti B2C per assicurare al consumatore la conoscenza dei requisiti minimi essenziali dell’affare attraverso una lista dettagliata da
dati da trasmettere ma, a garanzia dell’effettività della norma, ricollega automaticamente alla violazione di tali doveri l’obbligo della controparte di risarcire il danno
arrecato, salvo che il franchisor dimostri la tempestività ovvero l’idoneità delle informazioni comunicate347.
In via generale, sia i PEL CAFDC sia il DCFR pongono al centro del sistema rimediale l’avoidability del contratto per defects in consent ed in via solo collaterale il
rimedio risarcitorio. Sotto questo profilo, vengono contestualmente in rilievo l’art.
II.- 7:202 del DCFR che individua la violazione degli obblighi di informazione precontrattuale
come
requisito
che
legittima
la
controparte
a
richiedere
l’annullamento del contratto in caso di fundamental mistake e l’art. II. – 7:205 che
prevede espressamente la “fraudolent no disclosure of any pre-contractual information duty” come causa di annullamento del contratto per fraud.
La scelta di inquadrare la violazione dei doveri di informazione precontrattuale nell’ambito della disciplina dei vizi del consenso condiziona la fruttuosa
347
Sulla maggiore facilità di accesso al rimedio risarcitorio garantita dai PEL CAFDC in materia di
franchising, si veda O. BUENO DIAZ, Franchising in European Contract Law, op. cit., 227-230.
137
esperibilità dell’azione di annullamento alla dimostrazione da parte del distributore
dell’essenzialità e della riconoscibilità dell’errore (fundamental mistake) ovvero
dell’intenzione dolosa della controparte (fraud), circoscrivendo contestualmente
l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno alla circostanza che la controparte conoscesse o avrebbe dovuto conoscere il motivo dell’annullamento.
In applicazione dei principi generali, inoltre, l’eventuale prosecuzione del rapporto contrattuale è rimessa esclusivamente alla facoltà del franchisor, il quale potrebbe richiedere, in alternativa all’annullamento, l’adattamento del contratto solo
qualora si dichiari disposto ad eseguire l’accordo nei diversi termini erroneamente
supposti dal franchisee a causa della mancata disclosure.
Le cause di annullabilità così tipizzate, venendo in rilievo nel procedimento di
formazione del contratto, evidenziano una contaminazione tra regole di validità e
regole comportamentali. In particolare, per il franchisee o il distributore che nel corso delle trattative sia stato colposamente o dolosamente indotto in errore a causa
della mancata disclosure, l’azione di annullamento costituisce lo strumento attraverso il quale intende tutelare la corretta esplicazione dell’autonomia negoziale in
modo che possa pervenire alla stipula del contratto in modo libero e consapevole.
Tuttavia, la ricostruzione in chiave funzionale dei rimedi invalidanti non sempre opera su un piano di perfetta coerenza e compatibilità con i principi quali la tutela dell’affidamento dei terzi e la certezza delle situazioni giuridiche che pure per le
“imprese assumono una centralità marcatissima”348.
Ciò premesso, nella ridefinizione della disciplina dei remedies for breach of information duties, i membri del Gruppo di esperti chiamati ad elaborare la disciplina
comune europea dei contratti ha optato per la predisposizione di uno strumentario
giuridico che valorizza la centralità degli interventi a carattere risarcitorio.
348
Si veda in generale sull’argomento, V. BUONOCORE, Le nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, 2006.
138
Fermo restando la possibilità di fare ricorso alla disciplina dell’invalidità ove ne
ricorrano i relativi presupposti, l’art. 29 della CESL prevede che il contraente che subisce gli effetti negativi della mancata disclosure ha diritto al risarcimento integrale
del danno subito, dettando una regola generale molto più confacente alle esigenze
degli operatori del mercato349.
In un’ottica di semplificazione e di razionalizzazione degli scambi commerciali,
infatti, la possibilità di ricorrere a strumenti di carattere conformativo-risarcitorio
consente di ovviare agli aggravi probatori ed alle incertezze derivanti rispettivamente dalla prova dei presupposti dell’azione di annullamento e dalla produzione degli
effetti restitutori anche con riguardo ai contratti stipulati a valle.
In conseguenza dell’avvenuto mutamento di prospettiva, dunque, il sistema di
commisurazione del danno risarcibile ha assunto una fisionomia completamente
autonoma rispetto a quella collaterale all’azione di annullamento350. Svincolando la
fruttuosità dell’azione risarcitoria dalla circostanza che il contraente conosca o avrebbe potuto conoscere il motivo dell’annullamento, il risarcimento del pregiudizio
economico subito non è limitato al negative interest in damages ma si estende
all’interesse positivo differenziale tra i vantaggi e le conseguenze economiche che il
contratto stipulato produce e quelli che avrebbe prodotto in assenza del fattore che
ha alterato la formazione del consenso.
Ciò premesso, è lecito ritenere la futura adozione della proposta di regolamento avrebbe nell’immediato l’effetto di introdurre maggiore certezza e prevedibilità nella realizzazione degli scambi transfrontalieri specie nei rapporti tra businesses. Qualora le parti dovessero optare per la relativa applicazione, infatti, il contraente che subisce gli effetti della mancata disclosure, sia essa un franchisee, un con349
E. MONSEN, Disgorgement Damages Breach of Pre-contractual Obligation and Contract, in
ERPL, 799 ss.
350
Sui rapporto tra doveri di informazione e annullabilità del contratto, H. BEALE, The Draft
Common Frame of Reference: Mistake and Duties of Discosure, in ERCL, 2008, 333.
139
cessionario ovvero un agente di commercio, potrebbe accedere più agevolmente al
meccanismo risarcitorio con maggiori probabilità di recuperare in misura più efficiente i propri investimenti da affidamento.
E’opportuno osservare, tuttavia, che una tutela ancora più effettiva sarebbe
stata raggiunta ove nella CESL si fosse inserita una disposizione analoga a quella
dell’art. II. – 3:109 del DCFR che, accanto al rimedio risarcitorio, prevede
l’operatività di un meccanismo di carattere conformativo. Nello specifico l’art. II.
3:109 modula la tipologia dei rimedi a disposizione del contraente a seconda che, a
causa della violazione dei doveri di informazione, lo stesso abbia erroneamente
supposto la conclusione di un contratto che di fatto non è stato stipulato ovvero
abbia stipulato un contratto che non avrebbe altrimenti concluso o avrebbe concluso in termini diversi. Nel primo caso, il contratto si ha per concluso, vincolando conseguentemente la controparte all’esecuzione della prestazione erroneamente ipotizzata, nel secondo caso, qualora la trattativa abbia prodotto i suoi frutti, il contraente che ha subito gli effetti negativi derivanti dalla mancata disclosure ha diritto al
risarcimento integrale del danno subito.
In una prospettiva di sviluppo della competitività e di efficienza dei mercati, il
favor verso la stabilizzazione del vincolo negoziale si traduce in un ottimo incentivo
per le SMEs che vogliano entrare nei mercati della distribuzione. Pertanto la mancata previsione di strumenti di enforcement degli obblighi di informazione precontrattuale per il caso di una mancata ovvero di un’erronea supposizione incolpevole della conclusione del contratto costituisce nel quadro dell’attuale policy di protezione delle SMEs un vero e proprio “non-sense”351 a cui occorre rimediare nel più
breve tempo possibile352.
351
Espressione usata da C. CRAVETTO – B. PASA, The “Non-sense” of Pre-contractual Information
Duties in Case of Non concluded Contracts, in ERPL, 6-2011, 759 ss.
352
Una tempestiva e puntuale proposta di superamento di tale punctum dolens è stata avanzata
dallo European Law Institute a seguito della pubblicazione dello Statement on The Proposal for a Regulation on a Common European Sales Law. In particolare, si veda Parte A, III, (3).
140
1.2 L’“Unfair exploitation” del contraente debole: prospettive di tutela per i franchisees, i concessionari in esclusiva, etc.
Nell’ottica di offrire risposte adeguate alle istanze di maggiore efficienza e di
funzionalità del mercato, le più recenti iniziative di armonizzazione del diritto europeo dei contratti si muovono in modo sempre più deciso verso l’adozione di misure
di contrasto e di repressione dei fenomeni di abuso di potere negoziale anche nei
rapporti merchant to merchant.
Nel quadro dell’acquis comunitario, l’unico riferimento normativo diretto ed
immediato è dato senza dubbio dall’art. 7 della Direttiva 2011/7/UE che, nel rafforzare la tutela delle SMEs contro i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali, sancisce l’inopponibilità della clausola contrattuale relativa alla data di pagamento o al tasso di interesse di mora che risulti “gravemente” iniqua in danno del creditore, avendo riguardo alla corretta prassi commerciale ed alla natura o del servizio353.
Attraverso l’introduzione del concetto di grave iniquità delle clausole si è legittimato a livello europeo un sindacato non solo sullo squilibrio giuridico dei diritti e
degli obblighi delle parti ma anche sull’eccessiva disparità economica delle prestazioni. La diretta attinenza dell’iniquità al contenuto del regolamento negoziale trova
conferma nel riferimento della Direttiva all’“abus manifeste”354, il quale, affinché sia
sanzionato, deve tradursi in un’ingiustizia connotata da una “significativa rilevanza
sperequativa”355. Inoltre, l’espresso riferimento alla correttezza della prassi commerciale ed, in generale, alle dinamiche correnti del mercato in termini valutativi
353
Cfr. nota 200.
Procede ad una ricostruzione della disciplina attraverso il dato terminologico, G. SALVI , “Accordo gravemente iniquo” e “riconduzione ad equità” nell ’art . 7, d.l g s. n. 231 del 2002, in Contr. e
impr., 2006, 176.
355
Sull’argomento V. SCALISI, Giustizia contrattuale e rimedi: fondamento e limiti di un controverso principio, in Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, op. cit., 273
354
141
rende chiaro che la grave iniquità debba essere valutata soprattutto sul terreno delle condizioni economiche dell’assetto contrattuale considerato.
In via generale, la tendenza del diritto europeo verso la previsione di forme di
controllo del contenuto del contratto è destinata ad assumere connotazioni decisamente più omnicomprensive nell’ambito della disciplina del DCFR. Infatti, l’art. II.
– 7:207 del DCFR sull’Unfair exploitation costituisce il punto di emersione più evidente di un’idea di giustizia contrattuale rivolta a colpire tutte quelle situazioni in
cui, al momento della conclusione del contratto, l’eccessivo squilibrio tra le prestazioni sfocia nell’attribuzione ad una parte di un “excessive benefit” oppure di un
“grossly unfair advantage”.
Sul piano sistematico la norma riveste un’importanza fondamentale soprattutto a seguito dell’avvenuto inserimento di una previsione analoga nella parte della
proposta di Regolamento per un diritto comune della vendita dedicata alla disciplina generale del contratto356. La scelta operata dall’Expert Group, infatti, oltre ad investire ufficialmente le istituzioni dell’Unione di una politica del diritto contrattuale
protesa a garantire l’oggettività degli scambi e la congruità delle prestazioni357, si rivela particolarmente significativa in quanto si inserisce all’interno di un contesto
normativo chiaramente orientato a proteggere e favorire la competitività delle
SMEs. Tale circostanza pone le basi per una riflessione generale sull’opportunità di
considerare la previsione sull’unfair expoitation come un segmento fondamentale
della disciplina generale comune tra imprese, soprattutto qualora la proposta di regolamento venisse formalmente adottata.
356
Cfr. art. 51 Annex I della proposta di Regolamento sul diritto comune europeo della vendita.
Così F. GALGANO, Dai Principi UNIDROIT al Regolamento europeo sulla vendita, in Cont. Impr./Eu., 12012, 1 ss.; E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, op. cit.,
973 secondo cui la norma sull’unfair exploitation “estende il vaglio dell’ingiustizia contrattuale dalle
asimmetrie prodotte dalla struttura del mercato, c.d. asimmetrie macroeconomiche, alle asimmetrie
legate a fattori contingenti, c.d. asimmetrie microeconomiche.”
357
Tali considerazioni si trovano altresì in G. VETTORI, Libertà di contratto e disparità di potere, in
Riv. dir. priv, 2005,270 ss.
142
Secondo quanto stabilito dall’art. 51 della CESL, il vantaggio di una parte a
danno dell’altra si considera ingiustificato ogniqualvolta sia stato ottenuto sfruttando una posizione di debolezza originaria dell’altra parte o comunque sia privo di una
qualsiasi giustificazione tenuto conto della natura e dello scopo del contratto.
In particolare, lo sfruttamento della situazione di debolezza si configura nei
casi in cui una parte abbia conseguito un ingiusto vantaggio approfittando dello stato di dipendenza, delle difficoltà economiche o delle necessità immediate dell’altra
parte oppure dell’imperizia, ignoranza, inesperienza o mancanza di abilità a trattare358. L’indicazione dei dati, oggettivi e soggettivi, che qualificano tali condizioni di
inferiorità costituiscono elementi idonei a rendere ragionevolmente certa e logicamente controllabile l’opera di concretizzazione del divieto di sfruttamento abusivo
affidata al giudice.
La valutazione del carattere eccessivo dello squilibrio non è ancorata a parametri di tipo quantitativo ma è affidata all’apprezzamento dell’interprete ed inquadrata nell’ottica di un’alterazione qualitativa del sinallagma contrattuale. In particolare, una volta definito il quadro dell’operazione economica a cui il contratto attribuisce veste giuridica, occorre considerare la logica interna del regolamento negoziale per valutare l’eventuale anomalia della clausola in riferimento agli standards di
correttezza del segmento di mercato considerato359.
La parte che ha subito lo svantaggio ingiusto ha diritto all’annullamento del
contratto che esercita mediante dichiarazione all’altra parte in via stragiudiziale.
358
Cfr. Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali, art. 3.2.7 (Gross disparity). Per
una disamina dei presupposti di applicazione si veda, M. J. BONELL, Un “Codice”internazionale del
diritto dei contratti, II ed., Milano, 2006; U. DROBNIG, Protection of the Weaker Party, in Contratti
commerciali internazionali e Principi UNIDROIT, Milano, 1997, 215 ss. L. PONTIROLI, La protezione del
“contraente debole” nei Principles of International Commercial Contracts di UNIDROIT: much ado about nothing?, in Giur. Comm., I. 1997, 567; TIMOTEO M., Nuove Regole in materia di squilibrio contrattuale: l’art. 3.10 dei principi Unidroit, in Contr. Impr./Eur., 1997, 141.
359
Sul punto si veda, G. ALPA, La protezione della parte debole di origine internazionale (con particolare riguardo al diritto uniforme), in Contratti commerciali internazionali e Principi UNIDROIT, op.
cit., 225 ss.
143
Il trattamento normativo che l’art. 51 riserva al contratto gravemente sperequato presuppone, dunque, la sussistenza di tre requisiti: la condizione di inferiorità
di una parte, l’approfittamento consapevole dell’altra e lo squilibrio tra le prestazioni da cui consegue un beneficio eccessivo ovvero un vantaggio ingiusto.
A fronte di tale ricostruzione, è ragionevole ritenere che uno dei principali settori rispetto ai quali la previsione normativa è destinata a trovare maggiore applicazione sarà soprattutto quello dei contratti di distribuzione commerciale ogniqualvolta il franchisee, o il distributore si ritrovino vincolati ad un regolamento contrattuale
il cui contenuto risulti ingiustificatamente squilibrato.
Come già esaminato in precedenza, lo stato originario di dipendenza economica rappresenta, infatti, un aspetto fisiologico della genesi e dell’esecuzione dei
rapporti di franchising: il franchesee, infatti, è il tipico esempio di soggetto privo di
alternative soddisfacenti sul mercato, essendo chiamato a sostenere investimenti
non riconvertibili per poter entrare nella rete e svolgere la sua attività. Ma la medesima situazione caratterizza anche altre tipologie contrattuali come, ad esempio, la
concessione di vendita con patto di esclusiva ovvero, più in generale, tutti i casi in
cui l’inesperienza e le ridotte dimensioni imprenditoriali del potenziale intermediario integrato impediscano allo stesso di effettuare una valutazione sufficientemente
approfondita circa il risultato economico che riuscirà ad ottenere.
Nel quadro di tali rapporti, lo sfruttamento della posizione di dipendenza economica si concretizza generalmente nell’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose o discriminatorie che, in condizioni di parità, la controparte
non avrebbe altrimenti accettato.
In tale prospettiva, il rimedio dell’annullabilità della clausola ovvero
dell’adattamento del contratto ad opera del giudice/arbitro può essere richiesto dal
franchisee al fine di limitare gli effetti di una clausola di rifornimento esclusivo che,
144
in ragione della natura o delle caratteristiche del prodotto, precludono ogni possibilità di approvvigionamento presso soggetti terzi, arrecando così un ingiusto vantaggio alla controparte.
Parimenti, in determinate situazioni potrebbe risultare eccessivamente gravosa e, dunque, suscettibile di revisione, l’inserimento di una clausola di esclusiva territoriale a carico del solo franchisee o concessionario da cui deriva correlativamente
la facoltà del franchisor di istituire ulteriori affiliazioni o di organizzare vendite dirette nello stesso territorio di competenza del franchisee. Sotto tale profilo,infatti, occorre considerare che sia la giurisprudenza del caso Pronuptia sia i successivi regolamenti di esenzione di categoria hanno affrontato le questioni inerenti alla concessione delle esclusive territoriali sempre dal prevalente punto di vista dell’obbligo di
non ingerenza dei franchisee o dei distributori nell’attività del franchisor o del produttore; mentre, il caso inverso relativo all’interferenza del franchisor con le attività
dei franchisees non sembra aver goduto di adeguata considerazione360.
In presenza di determinate condizione di mercato ed in ragione della qualità
del prodotto, si prefigura altresì come ingiustamente gravosa e, pertanto, oggetto di
una richiesta di annullamento, la clausola che legittima un recesso senza congruo
preavviso il cui effetto sarebbe quello di vanificare di fatto gli investimenti del franchisee, il quale, nella vigenza della clausola di non concorrenza post-contrattuale, si
troverebbe, peraltro, nell’impossibilità di reperire un nuovo partner commerciale
nello stesso settore.
Il grado di effettività dell’apparato rimediale contro gli effetti dell’unfair exploitation risulta fortemente attenuato nel sistema della CESL che, a differenza di
quanto previsto dalla corrispondente norma del DCFR, ha espunto dal sistema
360
L. DI LIDDO, I contratti di franchising: punto cruciale dei rapporti tra franchisors e franchisees,
in Liuc Papers, Serie Impresa e Istituzioni, 1994, 11.
145
l’alternativa per il contraente di richiedere l’adattamento del contratto361. Tale scelta si giustifica, da un lato, nella volontà di enfatizzare l’enforcement degli obblighi di
informazione pre-contrattuale sul fronte della validità del consenso e, dunque, sul
piano della conformità del contenuto del contratto all’effettiva volontà dei contraenti e, dall’altra, nella difficoltà per i giudici o gli arbitri di individuare obiettivi criteri
di revisione del contratto nelle ipotesi di squilibrio originario soprattutto a fronte di
rapporti contrattuali a carattere istantaneo piuttosto che di durata.
Sotto tale ultimo profilo, si ritiene che l’avviato processo di oggettivizzazione
della tutela contro lo squilibrio eccessivo delle condizioni contrattuali, da un lato, e
le sempre più avvertite esigenze di stabilizzazione dei contratti di durata, dall’altro,
consentirebbero di superare facilmente tutte le obiezioni che un sindacato giudiziale sul contenuto del contratto potrebbe sollevare, tanto più che in Europa numerosi
ordinamenti giuridici nazionali hanno ormai preso dimestichezza con il concetto di
sfruttamento abusivo dello stato di dipendenza economica e l’accertamento dei relativi presupposti362.
1.3 La patologia del contratto: la risoluzione del contratto per inadempimento del
franchisee o del distributore
L’istituto generale dell’inadempimento è destinato ad assumere connotazioni
del tutto peculiari in riferimento allo svolgimento dei rapporti di distribuzione.
361
Come rimedio alternativo, l’art. II.-7:207: Unfair Exploitation del DCFR prevede l’adattamento
del Regolamento contrattuale o delle singole clausole inique alla stregua dei medesimi criteri di reasonableness e di fairness attraverso cui si è identificata la situazione di eccessivo squilibrio. La scelta
di procedere alla revisione del contratto in luogo dell’annullamento è riservata ad entrambe le parti
e solo qualora vi sia disaccordo sulla procedura da seguire, spetterà al giudice o all’arbitro decidere
per l’annullamento o l’adattamento del contratto.
In generale, sull’esercizio dei due rimedi dell’avoidance e dell’adaptation, si veda M. J. BONELL,
“Policing” the contract against unfairness under the UNIDROIT Principles for International Commercial Contracts, in Tulane, J. Int. and Comp. Law, 1991, 73 ss.
362
Cfr. in Francia art. 8 dell’ordonnance m. 86 – 1243 del 1 dicembre 1986 relativa alla “libertè des
prix et de la concurrence”; in Spagna art. 16 comma 2 ley 3/1991 relativa alla concorrenza sleale rubricato Discriminatiòn y dependencia econòmica; in Germania art. 26, comma 2, del GWB, del 27 luglio 1957; in Italia, art. 9 della legge 192 del 1998 sulla subfornitura industriale.
146
In presenza di un eventuale sviluppo patologico della relazione commerciale,
infatti, la particolare intensità del vincolo giuridico che caratterizza i rapporti di distribuzione impone la necessità di procedere ad un’accurata valutazione degli opposti interessi in gioco. Da un lato, vi è l’esigenza del franchisee o del produttore di
conservare in ogni caso la buona reputazione e, dunque, di tutelare l’immagine della rete distributiva nel suo complesso, dall’altro, si contrappone l’interesse del franchisee a non vedere vanificati gli investimenti specifici a fronte di un inadempimento che, benché gli sia imputabile, risulti di scarsa importanza rispetto all’economia
generale del contratto363.
A fronte del rischio per il contraente più forte di subire i riflessi negativi derivanti da fatti riferibili alla condotta inadempiente dei singoli operatori, la disciplina
contrattuale dei rapporti di distribuzione si mostra particolarmente reattiva di fronte alle ipotesi di inadempimento addebitabile alla controparte.
Dall’esame dei modelli più diffusi nella contrattualistica internazionale364, infatti, è possibile rilevare che la regolamentazione dei rapporti sia limitata alle sole
giuste cause di risoluzione per fatto imputabile ai franchisees o ai distributori i quali
abbiano omesso di pagare le royalties o il canone ovvero abbiano arrecato discredito all’immagine della rete. Poco o nulla invece è generalmente previsto in ordine agli inadempimenti dei franchisors o dei concessionari, che pur sono suscettibili di
assumere connotazioni particolarmente gravi per le rispettive controparti contrattuali.
In un’ottica generale di protezione del contraente debole, la latitudine applicativa dei principi di fairness e di good commercial practice non può non considerar363
In generale sull’argomento, L. DELLI PRISCOLI, Franchising e tutela dell’affiliato, Milano, 2000,
40 ss.; DE GUTTRY A., La “termination” nel franchising, Tipicità e atipicità nei contratti, in Quaderni di
Giur. Comm., Milano, 1983; C. VACCA’, La “Termination”: problemi sul tappeto, in I contratti di franchising. Organizzazione e controllo di rete, a cura di L. Pilotti – R. Pozzana, Milano, 1990.
364
M. D. FERRI – P. I. KLEIN, Restrictions on Termination and Nonrenewal of Franchises: A Policy
Analysis, in Bus. Lawyer, 1982, 1041 ss. In particolare, si confronti, The ICC Model International Franchising contract, a cura della ICC, Paris, 2003.
147
si estesa anche alle vicende patologiche della relazione contrattuale allo scopo di
evitare un utilizzo abusivo dei meccanismi rimediali ad esse correlate.
Nello specifico, di fronte all’eventuale mancata o inesatta esecuzione delle
prestazioni da parte degli agenti, dei franchisees e dei distributori si pone l’esigenza
di qualificare in termini qualitativo e/o quantitativi l’intensità della violazione degli
obblighi contrattuali, al fine di impedire che il contraente più forte possa strumentalizzare un inadempimento di scarsa importanza dietro il reale interesse di sciogliere
unilateralmente il vincolo negoziale senza dare un congruo preavviso365.
Il pericolo che si verifichi tale eventualità è opportunamente scongiurato
dall’art. 1:304: Termination for Non-Performance dei PEL CAFDC366 che, in deroga
alla disciplina generale prevista dall’art. III. – 1:109 Variation of Termination by notice, esclude ogni efficacia alle clausole che prevedono la risoluzione del contratto a
fronte di un inadempimento di scarsa importanza. L’effettività della norma, che riproduce in sostanza il contenuto dell’art. IV. E. – 2:304 del DCFR: Termination for
non performace, è assicurata dal carattere mandatory della disposizione.
L’introduzione della previsione normativa assume una valenza altamente significativa sotto un duplice profilo.
In primo luogo si osserva che la norma, introducendo una deroga al principio
generale che riserva all’autonomia negoziale delle parti la regolamentazione della
cessazione degli effetti del contratto, afferma il favor del diritto europeo per la stabilizzazione di tutti i contratti che in via generale realizzano una funzione di distribuzione. Trattasi di una general provision destinata ad assumere una funzione molto
rilevante sul piano sistematico atteso che, collocandosi all’interno di una policy di
365
Così, L. DELLI PRISCOLI, Franchising e tutela dell’affiliato, in Quaderni di Giur. Comm., 2000,
117 ss.
366
Cfr. PECL CAFDC, 1:304 (1) Any term of a contract within the scope of this Part whereby a party may terminate the contractual relationship for non-performance which is not fundamental is
without effect. (2) The parties may not exclude the application of this Article or derogate from or
vary its effects
148
protezione del contraente debole, costituisce un nuovo tassello verso la costruzione
di una disciplina generale dei contratti tra imprese.
In secondo luogo, attraverso il riferimento più o meno esplicito al concetto di
“fundamental non-performance”, la scelta dei PEL CAFDC si muove chiaramente nel
senso di circoscrivere la possibilità di fare legittimamente ricorso al rimedio della risoluzione nei soli casi in cui la violazione degli obblighi contrattuali sia tale da menomare irreversibilmente la fiducia della controparte circa la regolarità degli adempimenti futuri.
Il riferimento dell’art. III.-3:502: Termination for Fundamental NonPerfomance367 del DCFR al pregiudizio cagionato alle legittime aspettative del creditore “as applied to the whole or relevant part of the performance”, spinge a valutare
l’inadempimento sia in riferimento all’entità degli investimenti effettuati dal contraente sia con riguardo alla rilevanza della prestazione rimasta inadempiuta rispetto all’economia complessiva del contratto. Nella stessa logica, il riferimento dell’art.
III.-3:502 del DCFR all’intenzionalità e alla noncuranza, quali elementi soggettivi alla
base della condotta inadempiente, richiede una valutazione che tenga conto
dell’esistenza dei presupposti che giustificano la perdita di fiducia nei confronti dei
franchisees o dei concessionari e che sia tale da giustificare il venir meno da parte
degli stessi del ragionevole affidamento in ordine alla continuazione del rapporto
contrattuale.
A livello internazionale, tale impostazione è pienamente accolta dalla giurisprudenza resa in applicazione dell’art. 25 della Convenzione di Vienna sulla vendita
internazionale di beni mobili che, supportata da autorevole dottrina, sembra co367
Cfr. DCFR, III. – 3:502: Termination for fundamental non-performance: (1) A creditor may terminate if the debtor’s non-performance of a contractual obligation is fundamental. (2) A nonperformance of a contractual obligation is fundamental if: (a) it substantially deprives the creditor of
what the creditor was entitled to expect under the contract, as applied to the whole or relevant part
of the performance, unless at the time of conclusion of the contract the debtor did not foresee and
could not reasonably be expected to have foreseen that result; or (b) it is intentional or reckless and
gives the creditor reason to believe that the debtor’s future performance cannot be relied on.
149
stante nell’affermare che anche il più grave dei vizi non dà luogo ad un inadempimento essenziale (fundamental breach) se il vizio è oggettivamente eliminabile e vi
sia una disponibilità oggettiva del debitore ad intervenire368.
Sulla base di indicazioni normative, è lecito ritenere che la presenza di una
clausola risolutiva all’interno di un contratto di concessione di vendita o di franchising costituisca potenzialmente una clausola vessatoria che, in quanto tale, richiede
una specifica approvazione per iscritto nella fase di formazione del contratto. Assumendo un determinato adempimento a condizione risolutiva del contratto, essa
infatti finirebbe in taluni casi a conferire al creditore un potere illimitato in quanto,
svincolando la valutazione dell’inadempimento dal requisito della gravità, consentirebbe lo scioglimento immediato del contratto senza l’osservanza di un ragionevole
termine di preavviso369.
Più in generale, si osserva che anche nella disciplina della Proposta di Regolamento sul diritto comune della vendita è prevalsa l’idea di ancorare la “termination”
alla “fundamental non-performance of the buyer”, confermando la lettura in chiave
protezionistica del requisito della gravità dell’inadempimento rispetto al soddisfacimento dell’interesse creditorio370.
Alla luce di quanto premesso, è possibile affermare che nel contesto giuridico
dell’Unione Europea sussistono le basi per l’affermazione di una disciplina generale
368
F. FERRARI, L’inadempimento essenziale nella vendita internazionale. 25 anni di art. 25 della
Convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale, in Dir. comm. int., 2005, 61 ss.
il quale precisa “La delimitazione di conseguenze giuridiche particolarmente gravi ai casi in cui
l’inadempimento è essenziale, ha come scopo, da un lato, quello di garantire, nonostante
l’inadempimento (non essenziale) la prosecuzione del contratto, e, di conseguenza, di evitare elevati
costi, come ad esempio, quelli per la rispedizione delle merci al venditore e la conservazione delle
stesse, che una risoluzione del contratto comporta.” Più in generale sul punto si veda, U. G. SCHROETER, in P. SCHLECHTRIEM – I. SCHWENZER, Commentary on the UN Convention on the International
Sales of Goods, (CISG), Oxford, 2010, 747 ss; P. SCHLECHTRIEM – C. WITZ, Convention de Vienne sur
les contrats de vente internationale de marchandise, Paris, 2008, 176 ss.
369
Così C. M. BIANCA, Diritto civile, La responsabilità, IV, Milano, 1994, 314-315.
370
Cfr. CESL, art. 134 Annex I. In particolare, A. PLAIA, I rimedi nella vendita transfrontaliera, in
Europa e dir. priv., 2012, 981 ss., dove si legge “Anche nel diritto europeo della vendita al consumo il
rimedio negativo della risoluzione è, in qualche modo, subalterno a quello conservativo e specifico
della riparazione e della sostituzione.”
150
dei contratti più confacente alle esigenze di protezione dell’imprenditore più debole
nel settore degli accordi di distribuzione, attestando un livello di tutela senza eguali
anche in riferimento alla fase critica dello scioglimento del rapporto.
1.4 Dalla tutela del consumatore a quella dell’imprenditore “debole”: “Unfair Terms
in contracts between traders” e potenziali effetti sulla rete distributiva
L’idea di introdurre nella CESL un controllo generale sugli unfair terms nei B2B
contracts non costituisce una novità assoluta nel quadro dell’evoluzione del diritto
europeo dei contratti. La disciplina attualmente contenuta nell’art. 86 della CESL
trova il suo antecedente storico nell’art. 4:110 dei PECL che, attraverso un singolo
enunciato normativo, individua i tre punti cardine su cui ancora oggi si sviluppa
l’intero sistema: l’assenza di negoziazione quale indice tout court dell’unfairness; il
significativo squilibrio del contratto quale risultato degli effetti della clausola; ed infine, l’inefficacia della clausola come rimedio generale per neutralizzare gli effetti
dello squilibrio.
Il contenuto della disposizione dei PECL, oltre a segnalarsi per l’elevato grado
di chiarezza e di accessibilità del linguaggio, sottende un’unica medesima logica di
fondo371: dinanzi al fenomeno dilagante della standardizzazione dei contratti tanto il
consumatore quanto la piccola-media impresa vis à vis rispettivamente il professionista e la large company si trovano nella stessa condizione di asimmetria informativa che, in quanto tale, giustifica sia il medesimo tipo di controllo sia la medesima
natura delle conseguenze derivanti dallo stesso372.
In generale, si osserva che le esigenze di protezione del “contraente debole”
nella fase delicata della formazione del contratto trovano di norma tra le sue princi-
371
Si esprime in termini di elogio sulla tecnica redazionale utilizzata D. MAZEAUD, Unfairness and
Non-negotiated Terms, in Towards a European Contract Law, op. cit., 123 ss.
372
Sull’argomento, si veda, T. PFEIFFER, Non negotiated Terms, in Common Frame of Reference
and Existing EC Contract Law, op. cit., 183-191.
151
pali manifestazioni gli artt. 2.1.19, 2.1.20 e 2.1.21 dei Principi UNIDROIT dei contratti commerciali internazionali che di fatto subordinano l’efficacia delle condizioni generali di contratto all’effettiva conoscenza e alla specifica accettazione delle stesse
ad opera del contraente nei confronti del quale esse sono fatte valere373.
Quest’ultima è l’impostazione tradizionalmente accolta dalla maggior parte
degli ordinamenti degli Stati Membri che, in una prospettiva più formalista e conforme al principio della libertà contrattuale, rispondono tipicamente ad una logica
di “prevention of oppression and unfair surprise”374 piuttosto che di riequilibrio del
contenuto del contratto. In tali Paesi, infatti, prevale l’opinione seconda la quale
l’unfair contracts terms review è questione specificamente attinente al solo diritto
dei consumatori375.
Cionondimeno in altri Stati dell’Unione la relativa legislazione non distingue
tra le diverse categorie di contraenti, prevedendo meccanismi di controllo
sull’unfairness attraverso il riferimento ai principi del diritto generale dei contratti376.
In questa prospettiva, appare piuttosto problematico far discendere dai tradizionali metodi della comparazione giuridica soluzioni normative sul controllo delle
clausole vessatorie nei rapporti B2B soprattutto ragionando in termini di “common
core” o di “ius commune”.377
373
Così, L. PONTIROLI, La protezione del contraente debole nei “Principles of International Commercial Contracts” di UNIDROIT: much ado about nothing?, in Giur. Comm., I, 1997, 566 ss. Più ampiamente sugli standard terms of contract, si veda M. J. BONELL, Un codice internazionale del diritto
dei contratti, Milano, 2004; F. FERRARI, I Principi dei contratti commerciali internazionali
dell’UNIDROIT ed il loro ambito di applicazione, in Contr. Impr./Eu., 1996, 300 ss.; G. ALPA, Prime note di raffronto tra i principi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, ivi, 316 ss.
374
Così J. D. CALAMARI - J. M. PERILLO, Contracts, III ed., 1987, 399.
375
Secondo C. VON BAR - E. CLIVE – H. SCHULTE-NÖLKE et al. (eds.), Principles, Definitions and
Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference (DCFR), op. cit, 645, questi
Paesi sono Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo,
Malta, Polonia, Slovacchia e Spagna.
376
Cfr. art. 36 dello Scandinavian Contract Act; § 305 del BGB tedesco; Unfair Contract Terms Act
(1977) del Regno Unito.
377
Il punto è efficacemente riassunto da M. W. HESSELINK, Unfair Terms in Contracts between
Businesses, in Towards a European Contract Law, op. cit., 143
152
Occorre pertanto ricercare il fondamento della disciplina all’interno degli specifici obiettivi di politica commerciale dell’Unione Europea ed, in particolare
all’interno delle indicazioni programmatiche contenute nel Libro Verde sulle possibili opzioni per un diritto europeo dei contratti per i consumatori e le imprese.
Nel sancire il definitivo superamento del paradigma contrattuale classico fondato sulla parità formale dei contraenti, la disciplina delle clausole abusive nei rapporti B2B trova compiuta regolamentazione nella CESL attraverso il coordinamento
delle norme generali di cui agli artt. 79-81, relative rispettivamente agli effetti, al
campo di applicazione ed alla natura degli unfair terms e dell’art. 86 che definisce
specificamente il significato di unfairness nei contratti B2B. In particolare, si definisce unfair la clausola contrattuale che non è stata oggetto di trattativa individuale
ovvero quella che si presenta tale da determinare “a grossly deviation form good
commercial practice” in contrasto con il canone di “good faith and fair dealing”.378
Ad ulteriore definizione del significato di unfairness soccorrono i criteri oggettivi che, in base a quanto stabilito dal paragrafo 2, devono guidare l’interprete nella
valutazione complessiva della clausola: la natura del contenuto del contratto, le circostanze prevalenti al momento della conclusione, le altre clausole presenti nel
medesimo contratto o negli altri contratti da cui lo stesso dipende379. In tale contesto, lo standard di ragionevolezza espresso nel criterio del good commercial practice
378
Cfr. CESL, art. 86: Meaning of unfair in contracts between businesses: (1) In a contract between
traders, a contract term is unfair for the purposes of this Section only if: (a) it forms part of not individually negotiated terms within the meaning of Article 7; and (b) it is of such a nature that its use
grossly deviates from good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing. Per
completezza, si confronti anche DCFR, II. – 9:405: Meaning of “unfair” in contracts between businesses: A term in a contract between businesses is unfair for the purposes of this Section only if it is
a term forming part of standard terms supplied by one party and of such a nature that its use grossly
deviates from good commercial practice, contrary to good faith and fair dealing; art. 7 paragrafo (1)
della Direttiva 2011/7 sui ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali.
379
Cfr. CESL, art. 86: Meaning of “unfair” in contracts between traders: (2) When assessing the
unfairness of a contract term for the purposes of this Section, regard is to be had to: (a) the nature of
what is to be provided under the contract; (b) the circumstances prevailing during the conclusion of
the contract; (c) the other contract terms; and (d) the terms of any other contract on which the contract depends.
153
viene in rilievo nel suo duplice ruolo di misura di conoscibilità del volere dell’altra
parte e di determinazione del significato oggettivamente ricostruibile da qualsiasi
persona ragionevole380.
La disciplina sull’unfairness test review è infine completata dall’art. 70 che
stabilisce la regola secondo cui gli standard terms e le condizioni generali di contratto possono essere invocati dal predisponente soltanto se posti accuratamente
all’attenzione della controparte381. Tuttavia, la CESL nulla dice in merito alle condizioni in presenza delle quali una clausola standard debba ritenersi incorporata
all’interno del contratto. Il mancato recepimento del contenuto dell’art. 87 del Feasibility Study382 sugli effetti delle c.d. clausole a sorpresa comporta inevitabilmente
la necessità di richiamare le norme generali sulla formazione del contratto le quali,
in attesa di un intervento chiarificatore da parte della Corte di Giustizia, non è da
escludersi possano far addivenire in concreto ad applicazioni divergenti.
Inoltre, si rileva che il mancato riferimento dell’obbligo di transparency anche
ai rapporti B2B è destinato a mitigare notevolmente la portata precettiva dell’art.
70 giacché in tali casi l’onere di portare all’attenzione della controparte gli standard
terms potrebbe ritenersi soddisfatto anche mediante il mero riferimento ai documenti allegati al contratto383.
380
Suggestiva è la ricostruzione del significato del criterio di ragionevolezza nel diritto europeo
operata da E. NAVARRETTA, Buona fede e ragionevolezza nel diritto contrattuale europeo, in Eu. e
dir. priv., 2012, 953 ss., la quale afferma che “Quando la ragionevolezza è utilizzata quale misura che
un soggetto può conoscere, o può attendersi o può prevedere o, a fortiori, quale misura di ciò che si
può pretendere o è dovuto o è esigibile, essa porta a ricostruire un modello di agente plasmato sulle
circostanze del caso, comprese le condizioni in cui si trovava il medesimo agente, il quale deve tener
conto delle ragioni che rendono accettabile la sua scelta.”
381
Cfr. CESL, art. 70: Duty to raise awareness of not individually negotiated contract terms: (1)
Contract terms supplied by one party and not individually negotiated within the meaning of Article 7
may be invoked against the other party only if the other party was aware of them, or if the party
supplying them took reasonable steps to draw the other party's attention to them, before or when
the contract was concluded.
382
Cfr. CESL, art. 87: Surprising terms included in standard terms: “A term contained in standard
terms supplied by one party which is of such a surprising nature that the other party could not have
expected it is unfair for the purposes of this Section unless it was expressly accepted.”
383
Cfr. CESL, art. 70: Duty to raise awareness of not individually negotiated contract terms: 1.
Contract terms supplied by one party and not individually negotiated within the meaning of Article 7
154
L’effettività del meccanismo di controllo complessivamente predisposto contro l’inserimento delle clausole abusive è demandato al carattere mandatory delle
disposizioni anche se, in base all’attuale formulazione dell’art. 8 (3), non è precluso
alle imprese che avranno optato per l’applicazione dello strumento opzionale di escludere parti dello stesso e, dunque, di estromettere dal relativo ambito di applicazione il riferimento alle rules sull’unfairness test review.384 Tuttavia, anche laddove
le parti avranno optato per l’applicazione integrale della disciplina, il livello di protezione risulterebbe fortemente attenuato a causa della prevista esclusione
dell’unfairness test agli “unclear core terms” inseriti nei B2B contracts385.
La scelta dei redattori di stabilire un sistema di controllo diverso da quello
previsto per i contratti del consumatore e, dunque, il distacco dall’impostazione
precedentemente accolta nei PECL, sembra trovare il proprio fondamento nella profonda diversità dei presupposti che contrassegnano la qualità di imprenditore debole rispetto a quella di consumatore oltre che nell’esigenza di assicurare un più ampio margine di autonomia in sede di contrattazione tra imprese. Più precisamente,
la diversa incisività del test di vessatorietà troverebbe spiegazione nel fatto che detto controllo si fonda non già sull’assunto generale che fa leva sulla “unequal bargai-
may be invoked against the other party only if the other party was aware of them, or if the party
supplying them took reasonable steps to draw the other party's attention to them, before or when
the contract was concluded. 2. For the purposes of this Article, in relations between a trader and a
consumer contract terms are not sufficiently brought to the consumer's attention by a mere reference to them in a contract document, even if the consumer signs the document.
Sul punto, anche con riferimenti di carattere comparatistico, si veda M. B. M. LOOS, Standard
Contract Terms Regulation in the Proposal for a Common European Sales Law, in Centre for the Study
of European Contract Law Working Paper, 2012-04, consultabile sul sito www.ssnr.com.
384
La previsione normativa in esame è tra quelle di cui lo European Law Institute ritiene necessaria la modifica. In particolare, si veda lo Statement on the Proposal for a Regulation on a Common
European Sales Law, Part. A, III, (24) dove si legge che “Article 8(3) of the Regulation renders partial
choice of the CESL possible in B2B contracts. There is however a contradiction between allowing partial choice in B2B contracts and the rule in Article 1(1) of the CESL according to which parties may not
derogate from mandatory rules. The working group therefore recommends that the position is clarified in the text to make it clear that parties cannot, by way of partial choice, escape the application
of mandatory rules (see ELI Article 3(4)).”
385
Cfr. CESL, art. 80 (3): “Section 3 (Unfair contract terms in contracts between traders) does not
apply to the definition of the main subject matter of the contract or to the appropriateness of the
price to be paid.”
155
ning position” bensì sulla necessità di garantire la libera esplicazione dell’autonomia
negoziale del contraente386.
A valle delle considerazioni di carattere generale sin qui compiute, si pone la
questione sui potenziali effetti che l’applicazione della disciplina di parte generale
della CESL potrebbe avere sui contratti di distribuzione i quali, per loro natura, tendono ad organizzarsi come nodi di un’unica supply chain.
Molteplici, infatti, sono le situazioni che si potrebbero profilarsi a fronte della
declaratoria di inefficacia della clausola vessatoria inserita nel contratto stipulato
tra il franchisor ed uno dei suoi franchisees. In questi casi, infatti, posto che la creazione della rete distributiva è principalmente fondata su contratti standardizzati,
verrebbe da chiedersi se l’inefficacia della clausola inerente ad un determinato contratto possa ritenersi automaticamente estesa anche alla medesima clausola contenuta negli stessi modelli contrattuali stipulati dal franchisor con tutti gli altri suoi
franchisees. Tale soluzione, oltre ad essere coerente con le esigenze di semplificazione e di alleggerimento degli oneri a carico delle SMEs, apparirebbe particolarmente incisiva sul piano della policy di protezione del “contraente debole”. Inoltre,
la percorribilità di tale opzione sarebbe resa possibile sul piano tecnico-giuridico attraverso il ricorso allo strumento dell’inibitoria già sperimentato con riguardo alla
tutela degli interessi collettivi dei consumatori387.
L’effettività del meccanismo complessivamente congegnato dipenderà, tra le
altre cose, anche dall’approccio seguito dalla Corte di Giustizia in merito al controllo
di vessatorietà, atteso che solo attraverso l’abbandono dell’attuale atteggiamento
386
Così, M. B. M. LOOS, Standard Contract Terms Regulation in the Proposal for a Common European Sales Law, op. cit., www.ssnr.com.
387
In generale, sul punto, si veda E. MINERVINI, Tutela del consumatore e clausole vessatorie,
Napoli, 1999; G. ALPA, Repertorio di giurisprudenza sulle clausole vessatorie nei contratti con i consumatori, Milano, 2004; R. CONTI, Codice del Consumo. Una pagina nuova nella tutela consumeristica. Prime riflessioni sulla tutela in materia di clausole abusive, in Corr. Giur., 2005, 1749 ss.;
156
di ritrosia di fronte alla possibilità di un tale sindacato potrà prospettarsi
un’applicazione realmente uniforme delle clausole contrattuali standard388.
Nella stessa direzione, è auspicabile immaginare che alla luce dell’attuale formulazione dell’art. 79, il ragionamento accolto dalla Corte in favore della rilevabilità
d’ufficio del carattere vessatorio di una clausola nei contratti con i consumatori potrà ritenersi validamente applicabile anche in riferimento ai contratti commerciali di
cui almeno una parte sia una SME, poiché solo in tal modo sarà possibile garantire
l’effetto utile della tutela cui mira la disposizione di cui è stata espressamente riconosciuta natura imperativa389.
388
Cfr. sentenza della Corte di Giustizia dell’1 aprile 2004, caso C-237/02 Freiburger Kommunalbauten Baugesellschaft/Hofstetter, [2004] ECR I-3403 laddove la Corte ha espressamente rifiutato di
compiere il controllo di vessatorietà delle clausole previsto dalla Direttiva 93/13 sulle clausole abusive affermando che una tale valutazione è strettamente legata a quanto previsto dal diritto nazionale
applicabile.
389
Cfr. Sentenza della Corte di Giustizia, del 26 ottobre 2006, case C-168/05, Mostaza Claro/Centro Móvil Milenium, [2006] in ECR, 10421 ss.; conformemente, sentenza della Corte di Giustizia del 4 giugno 2009, case C-243/08 (Pannon/ Györfi) [2009], in ECRI, 4713 ss.
157
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