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«Questo mondo di bolle».
Le origini della speculazione
finanziaria *
Come quando durante la notte, che il sonno apporta, i sogni si prendono gioco dei nostri
occhi erranti e la terra, scavata, riporta alla luce dell’oro: la mano oltraggiosa soppesa il bottino e rapina il tesoro; riga anche il sudore il volto e il cuore è fin dal profondo invaso dal timore che qualcuno, a parte del segreto sull’oro, voglia alleggerire il grembo appesantito; poi
appena la gioia fugge via dal cuore tratto in inganno e ritorna il contorno reale delle cose,
l’animo prende a desiderare quanto ha perso e si attarda in ogni suo pensiero nel ricordo del
sogno svanito.
Petronio, Satyricon,
50 d.C. circa 1
La propensione al baratto e allo scambio è una tendenza innata nell’uomo. L’inclinazione a prevedere il futuro è un altro tratto profondamente radicato nella natura umana. Insieme definiscono l’atto della speculazione finanziaria. «La vita intera è una speculazione», disse il famoso
commerciante americano del xix secolo, James R. Keene: «Lo spirito
della speculazione è nato con l’uomo». I primi casi conosciuti di speculazione si verificarono nell’antica Roma, durante il periodo repubblicano, nel ii secolo a.C. In quell’epoca il sistema finanziario romano aveva
sviluppato molte delle caratteristiche del moderno capitalismo: i mercati fiorivano perché la legge romana consentiva il libero trasferimento
della proprietà, il denaro era prestato ad interesse, i cambiavalute operavano con valuta straniera e i pagamenti potevano essere fatti con tratte
bancarie in tutto il territorio romano. Il capitale era concentrato a
Roma, come in seguito sarà concentrato ad Amsterdam, Londra e New
York 2. Anche l’idea del credito si era sviluppata insieme ad una prima
forma di assicurazione per le navi e per altri beni. I romani manifestavano una passione per l’accumulazione della ricchezza accompagnata dalla
stravaganza nel mostrarla e consumarla. Il gioco era diffuso.
In latino la parola speculator definisce una sentinella il cui compito
consiste nel fare attenzione (speculare) ai pericoli. Lo speculatore finanziario si chiamava invece nell’antica Roma quaestor, che significa “cerca15
un mondo di bolle
tore”. Ci si riferiva a volte collettivamente agli speculatori con il termine
di graeci 3. Si incontravano nel foro, vicino al tempio di Castore, «folle
di uomini compravano e vendevano azioni e obbligazioni di compagnie
appaltatrici d’imposta, merci svariate, in contanti o a credito, fattorie e
tenute in Italia e nelle province, case e botteghe, a Roma e altrove, navi
e magazzini, schiavi e bestiame” 4. Plauto descrive un foro pieno di prostitute, negozianti, usurai e ricconi. Mette soprattutto in luce due sgradevoli categorie di persone: la prima descritta come «semplici compari»
e la seconda come «gente impudente, chiacchierona e malevola che si
scambia sfacciatamente calunnie senza ragione» 5. In questa descrizione
troviamo i precursori dei “tori” e degli “orsi”, quelli che puntano al rialzo o al ribasso, nei mercati azionari delle epoche successive.
Lo stato romano appaltò molte delle sue funzioni, dall’esazione fiscale alla costruzione dei templi, a società di capitalisti, chiamati publicani. Come le moderne società per azioni, i publicani avevano una personalità giuridica indipendente dai loro membri e la proprietà era divisa
in partes o azioni. Erano gestiti da dirigenti, stilavano bilanci pubblici
(tabulae) e indicevano assemblee periodiche di azionisti. Molti di loro
avevano dimensioni notevoli e potevano impiegare migliaia di schiavi.
Le azioni erano di due tipi: i pacchetti azionari che contavano, quelli dei
grandi capitalisti, chiamati socii, e azioni minori, chiamate particulae. La
compravendita delle particulae che non erano registrate era informale,
simile ai moderni mercati azionari di titoli non quotati in Borsa 6. I publicani mantenevano una rete di corrieri che abbracciava tutti i territori
romani per raccogliere informazioni che consentissero di calcolare
quanto si poteva offrire per appalti e quanto valevano quote di affari che
non erano ancora conclusi.
Non esistono testimonianze sui prezzi ai quali le partes erano vendute e non sono rimaste descrizioni dei comportamenti nel mercato azionario. Ma sappiamo con certezza che il valore delle azioni fluttuava.
Quando il console Vatinio fu accusato di corruzione gli fu chiesto:
«Avete estorto azioni, che avevano allora il prezzo più alto?» 7. Cicerone
scrisse di partes carissimas (le azioni più care) e sostenne che comprare
azioni di società ad azionariato diffuso era considerato un azzardo evitato dalle persone più conservatrici 8. Le azioni dei publicani non facevano gola solo a uomini politici e grandi capitalisti. Polibio parla di un
diffuso interesse popolare per il possesso di azioni: «I questori danno in
appalto molte opere in tutta Italia per l’allestimento e la conservazione
dei pubblici beni; si tratta di molti grandiosi lavori per sistemare il corso
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dei fiumi, i porti, le colture, le miniere in tutto il territorio che è sotto la
giurisdizione romana: l’esecuzione di tutti questi lavori è amministrata
dal popolo che è interessato negli appalti e nei guadagni ad essi connessi» 9.
Descrivendo gli ultimi anni della repubblica Petronio scrive che «Perciò, a questo punto di abiezione, era Roma oggetto delle sue stesse vendite e bottino da nessuno riscattato. Ché anzi questo bottino, attanagliato da duplice gorgo, il tasso straripante aveva consunto e il prestito a
usura» 10. Forse queste sono descrizioni della prima mania speculativa,
anche se si tatta di fragili indizi e non di prove inconfutabili 11.
I publicani scomparvero sotto l’impero ma la speculazione sui beni
immobili, sulle merci e sulle valute continuò 12. Dopo l’introduzione
nel iii secolo a.C. della fiduciary money – la moneta creata con un decreto governativo, priva di valore intrinseco ma basata sulla fiducia collettiva – le crisi valutarie diventarono frequenti. L’amministrazione comunale di Mylasa in Caria (l’attuale Turchia) si lamentò perché in seguito
ad una accumulazione speculativa di contanti «la sicurezza della città è
scossa dalla malizia e bassezza di pochi che assalgono e depredano la comunità. Per causa loro la speculazione sul cambio è penetrata nel nostro
mercato e impedisce alla città di assicurare l’approvvigionamento di
quanto è necessario alla vita, sicché la maggior parte dei cittadini, anzi la
comunità intiera, soffrono la carestia» 13. Si tratta di una lamentela assai
attuale.
Speculazioni finanziarie nella prima età moderna
La cultura dell’Europa medievale non ammetteva la speculazione finanziaria per ragioni sia pratiche che ideologiche. Il sistema feudale fece a
meno di gran parte delle transazioni finanziarie del mondo romano sostituendo gli scambi monetari con pagamenti in natura. Gli scolastici
nel Medioevo recuperarono la nozione aristotelica di “giusto prezzo” e
seguirono l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino, il quale sosteneva
che era ingiusto e contrario alle leggi «vendere più caro o comprare a
meno caro del valore di un oggetto» 14. Anche l’usura era condannata.
La ricerca del profitto era considerata moralmente corruttrice e pericolosa per la società. Sant’Agostino considerava la brama illimitata di guadagno, appetitus divitiarum infinitus, come uno dei tre peccati più gravi,
insieme alla sete di potere e alla lascivia sessuale. Nella Città di Dio non
c’era posto per lo speculatore. In caso di minaccia di carestia lo stato
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medievale interveniva per assicurare il rifornimento di cibo e l’incetta
speculativa era considerata illegale. Queste limitazioni ai profitti e alla
speculazione hanno continuato ad operare per secoli. Quando i politici
di oggi insorgono per condannare la perniciosa attività degli speculatori, riproducono inconsciamente i pregiudizi scolastici dei monaci medievali.
Nel tardo Medioevo alcuni comuni italiani cominciarono ad emettere titoli di stato negoziabili. A Venezia i titoli di stato erano scambiati
già alla metà del xiii secolo a Rialto. Sembra che la speculazione abbia
seguito il suo corso naturale: nel 1351 fu promulgata una legge contro le
voci che puntavano a far crollare il prezzo delle obbligazioni; nel 1390,
1404 e 1410 si tentò a varie riprese di evitare la vendita differita di obbligazioni (vale a dire i future); il Doge e i membri del consiglio tentarono
di mettere fuorilegge l’insider trading. Si commerciava nel debito pubblico anche a Firenze, Pisa, Verona e Genova nel xiv secolo. I comuni
italiani davano in appalto l’esazione fiscale ai “monti”, società il cui capitale era diviso in azioni commerciabili, i “luoghi”. Queste precoci società per azioni mostrano analogie sorprendenti con i publicani romani 15.
Le grandi fiere dell’Europa settentrionale, la cui origine risale ai fora
e bacchanalia dell’antica Roma, usufruirono dell’esenzione da gran parte delle restrizioni medievali sul commercio e sulla finanza. Diventarono in effetti prototipi dei mercati azionari. Alle fiere di Lipsia nel xv secolo venivano trattate le azioni delle miniere tedesche; alle fiere di Saint
Germain vicino a Parigi, che cominciavano dopo la quaresima, si scambiavano titoli municipali, cambiali e biglietti della lotteria. Anversa con
le sue due lunghe fiere annuali, in primavera e in autunno, e le concessioni di libertà commerciali valide tutto l’anno, fu descritta come una
«fiera continua» 16. Alla metà del xv secolo la città istituì la prima Borsa
in un luogo fisso, chiamata così in seguito ad un incontro di mercanti
all’Hôtel des Bourses nei pressi di Bruges.
Dalla metà del xvi secolo ci sono testimonianze più dettagliate sulle
condizioni del mercato speculativo. I mercati finanziari avevano sviluppato una nozione condivisa di credito (la cosiddetta “ditta di Borsa”) e i
prezzi dei titoli costituivano un’anticipazione degli eventi futuri, come
le inadempienze. La manipolazione del mercato si manifesta negli anni
Trenta del xvi secolo quando una cordata organizzata dal fiorentino
Gaspare Ducci tentò di calmierare i prezzi nel mercato di Lione (ciò che
oggi sarebbe chiamato in inglese bear raid, un gioco al ribasso) 17. Alla
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metà del xvi secolo si manifestò improvvisamente nei mercati di Anversa e Lione un entusiasmo speculativo sui prestiti del re, che finì improvvisamente quando Enrico ii re di Francia sospese i pagamenti dei suoi
debiti nel 1557 18.
Su un piano individuale troviamo ad Anversa un commerciante,
Christoph Kurz, alle prese con periodiche carenze e abbondanze (“strettezza” e “larghezza”) di denaro sul mercato. Era convinto che i prezzi
futuri fossero preordinati da Dio e potevano essere previsti attraverso
l’osservazione astrologica. La gente comprava quando i prezzi erano al
livello più alto perché «le influenze astrali accecano a tal punto la ragione naturale con emozioni o desideri». Proprio come un moderno analista, Kurz si svegliava la mattina presto circondato «da libri come un
uomo in mezzo all’oceano dall’acqua, poiché gli astrologi del passato
hanno scritto molto, ma con scarso intendimento; perciò io non credo
alle loro dottrine ma cerco una regola personale e quando l’ho trovata
verifico nelle storie se si è rivelata giusta o sbagliata» 19. In seguito Kurz
lasciò il commercio ed ebbe un grande successo come astrologo giudiziario, prevedendo tra l’altro la fine imminente del papato.
Lo sviluppo dei mercati capitalistici in Francia e nelle Fiandre fu interrotto nella seconda metà del xvi secolo dalle guerre di religione, dalla
rivolta dei Paesi Bassi e da una serie di bancarotte statali. Dopo il 1557
cominciò la decadenza di Lione come centro finanziario. Il sacco di Anversa da parte delle truppe spagnole nel 1585 causò un declino inarrestabile della Borsa. Amsterdam ne beneficiò, a spese di Anversa, poiché migliaia di protestanti e di ebrei fuggirono dagli spagnoli portando con sé
capitali e competenze commerciali verso l’Olanda. La spinta proveniente da questi immigrati ha portato gli storici a parlare del “miracolo economico” olandese della fine del xvi secolo. All’inizio del secolo successivo l’economia della repubblica era la più avanzata e la più prospera
d’Europa. I suoi mercanti circumnavigavano il mondo acquistando legname in Norvegia, zucchero nelle Indie occidentali, tabacco nel Maryland, investendo in fucine gallesi, in immobili in Svezia, prendendo in
appalto i monopoli dell’esportazione degli zar e rifornendo l’America
spagnola di schiavi 20.
Anche se gli olandesi non inventarono gli istituti e le pratiche del
capitalismo finanziario come l’attività bancaria, la partita doppia, le società per azioni, le lettere di cambio e i mercati azionari, li riunirono facendoli funzionare sulla base di una salda economia mercantile costruita
intorno ad una finalità di profitto molto sviluppata 21. Nel 1602 la Com19
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pagnia delle Indie Orientali, la prima società per azioni a godere di un
privilegio statale ufficiale, aveva instaurato un monopolio nel commercio con l’Oriente. Diciannove anni più tardi fu fondata la Compagnia
delle Indie Occidentali per sfruttare commercialmente le opportunità
che si aprivano nelle Americhe. La prima banca centrale europea, la
Wisselbank di Amsterdam, un’istituzione che prese a modello la Casa
San Giorgio di Genova, fu istituita nel 1609. La Wisselbank aveva una
politica estremamente conservatrice: non pagava interessi sui depositi,
batteva moneta solo se coperta dalle proprie riserve auree e non concedeva prestiti. Ma la sua esistenza consentì ai mercanti olandesi di regolare i propri conti nel mondo intero con una valuta accettata da tutti 22.
Le amministrazioni cittadine olandesi raccoglievano denaro emanando
titoli e organizzando lotterie che suscitavano un grande interesse popolare. All’inizio del xvii secolo il capitale di tutti i paesi europei era investito in diversi settori finanziari olandesi, dai beni immobili alle rendite
annuali, dai titoli municipali alle lettere di cambio fino ai prestiti a medio termine. Amsterdam non era soltanto un grande deposito di merci,
era la capitale finanziaria del mondo.
Tutti i prodotti e i servizi finanziari erano scambiati alla Borsa di
Amsterdam (una nuova Borsa fu fondata nel 1610): «Beni, monete, pacchetti azionari, assicurazioni marittime {...} {era} un mercato monetario, un mercato finanziario {e} un mercato azionario» 23. Naturalmente
la Borsa diventò il luogo privilegiato per le attività speculative. I contratti di future – accordi per ritirare o consegnare un bene ad un prezzo
fisso in una certa data nel futuro – erano diffusi. Sin dal secolo precedente si commerciò in future su numerosi beni compresi il grano, le
aringhe, le spezie, l’olio di balena, lo zucchero, il rame, il salnitro e le
sete italiane. All’inizio del xvii secolo i future si poterono acquistare
sotto forma di actions (azioni) della Compagnia delle Indie Orientali.
Gli speculatori potevano anche ottenere prestiti garantiti da azioni fino
a quattro quinti del loro valore di mercato (ciò che gli americani più tardi chiamarono margin loans). Anche le opzioni sulle azioni – che davano al compratore il diritto, ma contrariamente ai future non l’obbligo,
di comprare o vendere azioni ad un prezzo fisso durante il periodo del
contratto – erano scambiate in Borsa. Più tardi nel corso del secolo furono introdotte azioni ducaton della Compagnia delle Indie Orientali
che avevano un decimo del valore rispetto alle preziose azioni ordinarie
per consentire agli speculatori meno ricchi di giocare in Borsa 24. Future, opzioni e azioni ducaton sono tutti esempi di quelli che noi chiamia20
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le origini della speculazione finanziaria
mo prodotti derivati, vale a dire contratti finanziari che derivano il loro
valore da un bene sottostante, come un’azione. Insieme ai prestiti azionari, essi crearono le condizioni per il sistema di leva finanziaria in
modo che modesti aumenti nel valore delle azioni consentivano un’alta
percentuale di guadagni agli speculatori, mentre modeste diminuzioni
dei prezzi determinavano effetti opposti 25.
La Confusione di Vega
La prima descrizione dell’attività del mercato azionario in Europa occidentale è di Joseph Penso de la Vega in Confusion de confusiones, scritto
in spagnolo (Vega era un marrano, un ebreo convertito) e pubblicato ad
Amsterdam nel 1688. In una serie di dialoghi tra un mercante e un azionista dipinge il mercato azionario come un manicomio, colmo di strane
superstizioni, pratiche curiose, irresistibili seduzioni. Confusion costituisce una descrizione esemplare della psicologia speculativa.
Il «gioco {della speculazione} è una cosa per folli» e i partecipanti
manifestano una tendenza all’allegria ritualizzata:
Un operatore di Borsa apre le mani e un altro le prende e così vende un certo numero di azioni a un prezzo fissato, confermato da una seconda stretta di mano.
Con un’ulteriore stretta di mano un’altra quota è presentata, poi segue un’offerta.
Le mani si arrossano in seguito ai colpi (anche se credo sia dovuto alla vergogna per
il fatto che anche le persone più rispettabili fanno affari in questo modo indecente,
vale a dire dandosi dei colpi). Alle strette di mani fanno seguito le urla, alle urla gli
insulti, agli insulti le impudenze e poi ancora altri insulti, grida, spintoni, e strette
di mano fino a quando l’affare è concluso 26.
In Compleat Gamester, pubblicato per la prima volta a Londra nel 1674 e
attribuito al poeta Charles Cotton, l’azzardo è descritto come
un’incantevole stregoneria, posta tra l’insanità e il vizio; una malattia che dà prurito, per la quale alcuni scuotono la testa, mentre altri, come se fossero stati tarantolati, si scompisciano dalle risate; e infine si manifesta un’affezione paralizzante che
colpisce le braccia, e uno non può fare segni ma solo sgomitare {...} rende un uomo
incapace di qualsiasi azione ragionevole lasciandolo perennemente insoddisfatto
della propria condizione; a volte è trasportato dal successo al vertice di una folle
gioia oppure è precipitato nell’abisso della disperazione dalla fortuna avversa; sem-
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pre agli estremi, sempre nella tormenta {...} e poiché è sempre in balia degli eventi,
sia che vinca sia che perda, è trascinato dall’onda di una passione smisurata fino a
perdere di vista sia la sensibilità che la ragione 27.
La stessa mentalità fu rilevata nella Borsa di Amsterdam. Vega descrive
il comportamento ossessivo-coattivo di uno speculatore che invoca la
fortuna28: «Oscilla decidendo come assicurarsi il massimo profitto, si
morde le unghie, fa scrocchiare le dita, chiude gli occhi, muove quattro
passi e quattro volte parla da solo, si porta la mano alla guancia come se
avesse mal di denti, assume un atteggiamento riflessivo, solleva un dito,
si strofina la fronte, e tutto ciò insieme ad un misterioso tossicchiare
come se potesse forzare la mano della fortuna» 29. Alcuni speculatori
sono descritti come talmente «nervosi» e il loro comportamento è talmente insistente e ossessivo che «anche sul loro letto di morte i loro ultimi pensieri vanno alle azioni». Molti manifestano disturbi della personalità: «In diverse circostanze», osserva Vega, «ciascuno speculatore
sembra avere due corpi, in modo che l’osservatore stupefatto vede un essere umano che lotta con se stesso» 30.
Come i mercati azionari di epoche successive la Borsa di Amsterdam nel xvii secolo era dominata dall’eterno conflitto tra bulls e
bears 31. Vega contrappone i liefhebbers (rialzisti o bulls) «che non avevano paura di nulla», ai contremines (ribassisti o bears), che erano «completamente dominati dalla paura, trepidazione e nervosismo». Si diceva che
i contremines si organizzassero in cabala per far diminuire i prezzi. La
speculazione al ribasso era nota alla Borsa di Amsterdam ai tempi di Vega. Già nel 1609 il mercante di origine fiamminga Isaac Le Maire aveva
organizzato un’operazione ribassista per far diminuire il prezzo delle
azioni della Compagnia delle Indie Orientali 32. Anche se il tentativo si
concluse con un fallimento, fu l’occasione per emanare un decreto che
vietava le vendite da parte di speculatori che in quel momento non detenevano le azioni ma prevedevano di comprarle in seguito ad un prezzo
più basso, “coprire le vendite a breve”, come si dirà in un’epoca successiva. Come molte delle successive leggi anti-speculative, il bando fu totalmente ignorato.
Il mercato azionario di Vega non era affatto il luogo del razionale
bilanciamento dei prezzi. Gli speculatori erano, secondo la sua definizione «del tutto instabili, insani, presuntuosi e pazzi. Vendono senza sapere perché; comprano senza ragione». Il loro comportamento determina movimenti inconsulti nel prezzo delle azioni: «L’attesa di un avveni22
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mento produce un’impressione più profonda sulla Borsa dell’avvenimento medesimo» 33. Solo l’osservatore perspicace «che si ripromette di
osservare questi fenomeni coscienziosamente, senza passione accecante
ed irritante ostinazione, valuterà il più delle volte correttamente i fenomeni, anche se non sempre». Nonostante tutti i suoi difetti il mercato
esercitava su Vega una sinistra attrazione: «Chi è entrato {una volta} nel
cerchio {magico} della Borsa è preda di un’eterna agitazione e si trova in
una prigione le chiavi della quale sono nel fondo dell’oceano e le cui
sbarre non si aprono mai» 34.
Lo speculatore di Vega manifesta molte delle caratteristiche normalmente associate con tutti i comportamenti del maniaco-depressivo. Un
maniaco-depressivo conosce cambiamenti d’umore violenti e incontrollabili. Durante la fase maniacale è pieno di energie, vede tutto in grande, è ingordo, colmo d’erotismo, stordisce, persuade, è attraente ed assume un ruolo di guida malsana sugli altri; è soprattutto ottimista. Man
mano che le sue attese diventano progressivamente irrealistiche il maniaco diventa trascurato e ciò fa precipitare il tracollo. I suoi umori sono
ciclici e quando è depresso diventa timido, ansioso, fiacco, vergognoso,
indeciso e privo di fiducia in sé, incapace di valutare una situazione nella sua interezza si fissa su dettagli trascurabili. Poiché lo stesso mercato
azionario, come il Leviatano di Hobbes, è composto dalle azioni dei singoli speculatori, gli stessi tratti nevrotici possono essere rilevati nella psicologia di massa dei mercati rialzisti e ribassisti 35. Durante la fase rialzista o maniacale, l’attività è frenetica e le attese diventano irrealistiche 36.
Al contrario quando l’umore del mercato è depresso l’attività – misurata
con l’intensità delle contrattazioni – è letargica e il pessimismo generale
prende il posto dell’ottimismo irrealistico. Secondo Benjamin Graham,
l’autore di The Intelligent Investor, «il signor Mercato fa sì che gli entusiasmi o le paure gli prendano la mano». L’allievo di Graham, l’investitore Warren Buffet, elaborò questa descrizione dell’instabilità del signor
Mercato: «A volte si sente euforico e vede solo gli elementi favorevoli
che riguardano i suoi affari {...}. Altre volte è depresso e percepisce solo
problemi sia per gli affari che per il mondo» 37. La tendenza del mercato
a produrre sbalzi eccessivi può essere ignorata se ci si prefigge un investimento, come sottolineano Graham e Buffet; oppure può essere la base
per la speculazione, come faceva con successo l’economista del xix secolo David Ricardo, il quale «fece soldi osservando che in generale la gente
esagera l’importanza degli avvenimenti. Se, quindi, trattando come fece
le azioni, vedeva buone ragioni per una modesta crescita, comprava es23
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sendo certo che l’irragionevole crescita gli avrebbe consentito di guadagnare; allo stesso modo quando le azioni calavano vendeva, convinto
che l’allarme e il panico avrebbero determinato un calo non giustificato
dalla realtà» 38.
Tulipomania
Negli anni Trenta del xvii secolo, in Olanda esistevano le condizioni
favorevoli per una fiammata di euforia speculativa. Era un periodo di
crescente ottimismo commerciale, dovuto in parte alla definitiva scomparsa della minaccia militare spagnola e in parte allo straordinario sviluppo del commercio tessile olandese che seppe trarre vantaggio dai torbidi in Europa centrale all’inizio della Guerra dei Trent’anni. La Borsa
di Amsterdam si era spostata in un nuovo edificio nel 1631. La Compagnia delle Indie Orientali si stava proficuamente insediando in Batavia e
le sue azioni crescevano di valore con un ritmo mai registrato in alcun
periodo precedente del xvii secolo 39. Anche i prezzi degli immobili aumentavano rapidamente, determinando uno sviluppo repentino nella
costruzione di abitazioni residenziali. La Repubblica olandese, come i
suoi abitanti che godevano dei redditi più alti in Europa, perse una parte della propria austerità calvinista per trasformarsi in una nazione di
consumatori. Nel tulipano si trovò un oggetto che consentiva di accoppiare all’amore per l’ostentazione l’avida ricerca della ricchezza.
L’amore appassionato degli olandesi per i fiori può essere in parte
spiegato dalla geografia dei Paesi Bassi. Con i loro terreni pianeggianti e
il suolo ricco costituivano infatti un ambiente ideale per la coltivazione
dei bulbi, mentre la scarsità dello spazio consentiva la coltivazione solo
di orti modesti, sistemati in linde aiuole, al centro delle quali erano
piantati fiori bellissimi che con i loro colori brillanti compensavano il
grigiore della campagna circostante. Il più ricercato fra tutti i fiori era il
tulipano. Alla metà del xvi secolo l’ambasciatore imperiale di Solimano
il Magnifico, Ogier Ghislaine de Busbecq, introdusse in Europa i primi
bulbi di tulipano dalla Turchia (il nome del fiore deriva dal turco tulipan, che significa “turbante”). Nei primi anni di acclimatazione in Europa occidentale il tulipano era coltivato solo nei giardini della nobiltà e
in quelli di specialisti di botanica. Pochi anni dopo il ritorno di Busbecq, i tulipani si potevano ammirare ad Augusta nel giardino dei Fugger, un’esotica novità del giardinaggio per la dinastia di banchieri più
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ricchi d’Europa. Nel 1573 l’ambasciatore regalò alcuni bulbi di tulipano
al famoso botanico olandese Carolus Clusius, che li suddivise e ne descrisse i fiori nella sua Rariorum plantarum historia. Clusius, che pare
abbia venduto a prezzi esorbitanti i suoi bulbi di tulipano, divenne la
prima vittima della crescente passione per questa pianta rara, quando
una notte i suoi bulbi furono dissotterrati e rubati.
I proprietari classificarono le varietà di tulipano a seconda del colore
dei fiori e diedero loro straordinari titoli onorifici per sottolinearne la
posizione nella gerarchia dell’orticoltura. In testa alla truppa dei bulbi
veniva il Semper Augustus con i suoi petali di una tinta porpora imperiale, era seguito da Viceré, Ammiragli e Generali. Sin dalla loro prima
comparsa i tulipani furono associati con la ricchezza e nei primi venticinque anni del xvii secolo le varietà più esotiche cominciarono a toccare prezzi esorbitanti. Nel 1624 un Semper Augustus raggiunse la bella
somma di 1.200 fiorini, un capitale sufficiente per acquistare un piccolo
appartamento ad Amsterdam. Dieci anni prima era stato pubblicato un
libro di emblemi, opera di Roemer Visscher, nel quale compariva un’illustrazione con due tulipani che reggevano il motto “un pazzo e i suoi
soldi si separano presto” 40.
Il tulipano stesso portò alla speculazione: l’incertezza che circondava
le sue sfumature di colore (causata, all’insaputa dei contemporanei, da
un virus che attaccava i bulbi) aprì la strada al gioco d’azzardo. Un banale tulipano utilizzato per la riproduzione poteva trasformarsi in un
prezioso Semper Augustus. I bulbi erano relativamente facili da coltivare, richiedevano poca terra e non esistevano gilde che limitassero l’accesso al commercio. Chi non poteva permettersi l’acquisto delle preziose
quote delle grandi società per azioni poteva invece scommettere su un
bulbo. In precedenza il mercato dei tulipani si svolgeva d’estate, quando
i bulbi erano sbocciati. Con la crescita dell’interesse popolare per i tulipani si fece in modo che potessero essere commerciati per tutto l’anno. I
coltivatori marchiavano le file di bulbi, a ciascuno di essi veniva dato un
numero per indicarne la varietà e il peso al momento dell’interramento;
la sua storia commerciale era scritta su un foglio a parte. Le varietà più
preziose erano vendute al pezzo, pesate con un’unità di misura pari a un
ventesimo di grammo, l’aas, mentre i tipi più comuni erano venduti per
aiuole. Il tulipano era diventato altrettanto standardizzato e indifferenziato di una banconota della Wisselbank o un’azione della Compagnia
delle Indie Orientali.
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L’inizio della tulpenwoerde o, come fu chiamata nel periodo vittoriano, “tulipomania”, coincise con l’arrivo sul mercato dei tulipani, verso
il 1634, di estranei che erano stati probabilmente attratti dalle storie dei
prezzi crescenti dei bulbi di tulipano che circolavano fino a Parigi e nel
nord della Francia 41. Tra i nuovi arrivati sul mercato – più tardi sprezzantemente chiamati dai fiorai olandesi “nuovi dilettanti” – c’erano tessitori, filatori, calzolai, fornai, salumieri e contadini. Anche se la follia
dei tulipani coinvolse gran parte delle classi sociali, due gruppi, che altrimenti avrebbero potuto garantire una certa stabilità al commercio, si
tennero in disparte: i ricchi amatori, collezionisti di bulbi, che da tempo
si erano dimostrati pronti a pagare somme elevate per le varietà più rare,
rinunciarono alla loro abitudine appena i prezzi cominciarono ad impennarsi, mentre i grandi mercanti di Amsterdam continuarono ad investire i loro profitti commerciali nel mercato immobiliare cittadino,
nelle azioni della Compagnia delle Indie Orientali, in lettere di cambio;
per loro i tulipani rimasero soltanto una dimostrazione di ricchezza e
non un modo per ottenerla.
La natura del mercato dei tulipani cambiò con l’aumentare degli
scambi. Le negoziazioni private tra individui furono sostituite da incontri informali nelle sale delle locande, chiamati “collegi”, dove commercianti e speculatori potevano contrattare in un ambiente conviviale. Un
libello dell’epoca, composto da tre dialoghi tra lo speculatore Gaergoedt
(Avidone) e il suo amico Waermondt (Boccavera), illustra questo tipo
di affari a profitto dello speculatore neofita in tulipani:
Devi andare in una taverna {dice Avidone}; te ne farò una piccola lista. Ne conosco
poche o punte dove non ci siano brigate o “collegi”. Una volta giunto devi chiedere se ci sono dei fiorai. Quando entri nella stanza, proprio perché sei un novellino,
qualcuno urlerà come un’aquila. Qualcuno dirà: «Una nuova puttana nel bordello» e così via; ma non te ne preoccupare, le cose vanno così. Il tuo nome verrà annotato su una lavagna. Ecco le tavolette che cominciano a circolare. È che tutti i
presenti devono usare le tavolette, cominciando da quello che si trova in cima alla
lista sulla lavagna. Chi ha in mano la tavoletta deve chiedere dei beni. Non puoi
mettere all’asta i tuoi ma se riesci ad inserirti nella discussione, e qualcuno si interessa a te, sei quasi sicuro di ottenere un’offerta o di farla mettere nelle tavolette.
C’erano due metodi di contrattazione: quella diretta tra due persone o
l’asta tra tutti i presenti. Il primo metodo, chiamato “con le tavolette”,
(quello descritto nella citazione) prevedeva che il compratore e il vendi26
1
le origini della speculazione finanziaria
tore scrivessero il prezzo concordato per un bulbo su tavolette di legno
fornite dal “collegio”. Le aste venivano chiamate “nello zero” perché il
venditore stabiliva un prezzo base scrivendo una cifra al centro di una
lavagna cerchiata per l’appunto con uno zero. L’acquirente pagava al
“collegio” una commissione, che poteva arrivare a tre fiorini, per i “soldi del vino” che venivano spesi per tabacco, alcolici, luce e riscaldamento. Il piacere si aggiungeva al profitto: «Ho fatto diversi viaggi», dice
Avidone, «dai quali ho riportato a casa più soldi di quanti ne avessi portati alla taverna. E con tutto ciò ho mangiato, bevuto vino, ho avuto tabacco, pesce lesso e arrosto, carne, anche pollo e coniglio, e per finire dei
dolci, e tutto ciò dalla mattina fino alle tre o alle quattro di notte {...} e
in più ho realizzato anche un bel profitto» 42. Gli speculatori che ottenevano profitti o contavano di ricevere quanto era loro dovuto spendevano il denaro guadagnato in carrozze e cavalli. «Si sognavano tutti i lussi
possibili. Nessuno poneva limiti alle ricchezze che avrebbe ottenuto» 43.
Nessuna effettiva consegna di tulipani ebbe luogo durante la fase
più acuta della mania tra la fine del 1636 e l’inizio del 1637, dato che i
bulbi rimasero sepolti per terra. Si realizzò un mercato di future sui tulipani, chiamato windhandel (“commercio del vento”): i venditori promettevano di consegnare un bulbo di un certo tipo e di un certo peso
nella primavera successiva, i compratori ottenevano il diritto alla consegna e nel frattempo regolamenti in contanti potevano essere effettuati
ad ogni fluttuazione del prezzo di mercato. Gran parte delle transazioni
furono però regolate con note di credito personali che scadevano anch’esse in primavera quando i bulbi avrebbero dovuto essere dissotterrati e consegnati. Avidone si vanta di aver guadagnato 60.000 fiorini con
le speculazioni sui tulipani, ma ammette di aver ricevuto soltanto «scritti di altre persone». Negli stadi successivi della mania il congiungimento
del windhandel con i crediti cartacei creò una perfetta simmetria di inconsistenza: gran parte delle transazioni riguardavano bulbi che non
avrebbero mai potuto essere consegnati perché non esistevano ed erano
pagati con note di credito che non potevano essere onorate perché mancava la moneta.
Il salario medio annuale in Olanda oscillava tra i 200 e i 400 fiorini.
Una piccola casa in città costava circa 300 fiorini e il più bel dipinto di
fiori fu venduto per un prezzo non superiore ai 1.000 fiorini 44. Nel confronto con queste cifre possiamo misurare l’eccessività dei prezzi dei tulipani. Secondo i Dialoghi un bulbo di Gouda di un quinto di grammo
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un mondo di bolle
aumentò da 20 a 225 fiorini; un Generalissimo di mezzo grammo che
valeva 95 fiorini raggiunse i 900; tre etti e mezzo di un banale Croenen
giallo che ne valeva circa 20 aumentò in poche settimane fino a 1.200
(vale a dire che il prezzo passò dall’equivalente di un mese a cinque anni
di salario). «Sì», ammise Avidone, «le cose sono andate talmente avanti
che quegli affari che normalmente si sarchiavano e gettavano a panierate
su un mucchio di letame sono stati venduti per denaro sonante» 45. «Il
Semper Augustus mantenne il suo primato di bulbo più caro. Avidone
dichiara che «circa tre anni fa fu venduto per 2.000 fiorini, trasferiti immediatamente in banca», ma che al culmine della follia speculativa poteva essere venduto «anche a 6.000 e forse di più, anche se è una pianta
di soli 10 grammi» 46. Il prezzo di un Viceré, che in precedenza valeva
3.000 fiorini, raddoppiò. Un libellista dell’epoca calcolò che i 2.500 fiorini pagati per un solo bulbo avrebbero potuto essere impiegati per l’acquisto di 27 tonnellate di grano, 50 tonnellate di segale, 4 grossi buoi, 8
grossi maiali, 12 grosse pecore, 2.500 litri di vino, 4 barili di birra, 2 tonnellate di burro, 3 tonnellate di formaggio, un letto con le lenzuola, un
intero guardaroba, una coppa d’argento 47. Ci furono pochi tentativi di
giustificare questi prezzi: gran parte degli speculatori sottoscrissero contratti con l’intenzione di vendere rapidamente ad un prezzo più alto.
Quando Avidone consiglia a Boccavera di speculare gli dice: «Non paghi prima dell’estate e a quel punto hai già venduto la tua merce» 48.
Alla domanda su quanto tempo sarebbe durata la follia Avidone rispose:
«Se solo continuasse per due o tre anni mi basterebbe» 49. Ma un anonimo libellista espresse alcune riserve: «Se ci fossero sempre più venditori
che compratori, fatto che data la quantità di gente coinvolta può facilmente accadere, allora il collasso di questa mania sarebbe imminente» 50.
Il 3 febbraio del 1637 il mercato dei tulipani crollò improvvisamente. Non c’era una ragione logica per giustificare il panico, tranne che la
primavera si stava avvicinando e con essa il momento della consegna e
quindi della fine dei giochi. Ad Haarlem, il centro del commercio dei
fiori, cominciarono a circolare voci che non c’erano più compratori e
negli ultimi giorni era impossibile vendere i tulipani, a qualsiasi prezzo.
I contratti non furono saldati e i fallimenti si susseguirono. I fiorai professionisti cercarono invano di ottenere pagamenti da speculatori insolvibili 51. Ma il crollo della “tulipomania” non determinò una crisi economica nazionale. N. W. Posthumus, lo storico della tulipomania, parla di un più modesto «sussulto nell’estrema zona occidentale della re28
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le origini della speculazione finanziaria
pubblica» 52. I maggiori mercanti, dal credito dei quali dipendeva l’economia, non erano stati affatto toccati. Ma molti di quelli che si trovavano un gradino più sotto non furono altrettanto fortunati. Quelli che
avevano ipotecato le loro proprietà e scambiato il loro bestiame contro
la speranza di un rapido guadagno devono aver patito una perdita irrimediabile di ricchezza. Si conoscono alcune istanze di fallimento, come
quella del paesaggista Jan van Goyen, il quale alla vigilia del crollo aveva
scambiato 900 fiorini e due dipinti per una partita di bulbi. Morì insolvente diciannove anni più tardi 53.
I conflitti sul mercato dei tulipani continuarono fino a che nel maggio del 1638 una commissione governativa stabilì che i contratti potevano essere annullati con il pagamento del 3,5 per cento del prezzo pattuito 54. Nel frattempo i collezionisti appassionati di bulbi erano ritornati
sul mercato per scegliere gli esemplari più rari a prezzi vantaggiosi, ma
dopo pochi anni i prezzi dei tulipani preziosi, compreso il Semper Augustus, ritornarono sui livelli ai quali erano stati scambiati prima della
mania. I prezzi dei bulbi più ordinari invece – i gemeene goed (“merce
normale”) e vodderij (“straccio”) –, che avevano attirato gli speculatori
meno ricchi durante la tulipomania, non si ripresero mai.
Bolle nel vento: allegorie e leggende sulla speculazione
Nel periodo successivo alla crisi la tulipomania fu rimpiazzata dalla “tulipofobia”, un rifiuto analogo a quello per le azioni ordinarie manifestato dagli investitori comuni dopo la grande crisi del 1929. Evrard Forstius, professore di botanica di Leida, pare che fosse talmente esasperato
contro i fiori che non poteva vedere un tulipano senza colpirlo rabbiosamente con il suo bastone 55. Promettendo un guadagno senza sforzo la
mania speculativa aveva infranto l’etica del lavoro calvinista. Come disse Boccavera nei Dialoghi:
Che bisogno ha un mercante di essere corretto, o di rischiare i propri beni in mare,
il fanciullo di imparare la mercatura, i contadini di sudare e lavorare duramente la
terra, il marinaio di navigare sui mari terribili e pericolosi, il soldato di rischiare la
vita per un misero soldo, se si possono realizzare profitti in questo modo? 56
Inoltre, elevando alcuni alla ricchezza e riducendo altri in povertà, la
speculazione aveva alterato i rapporti tra le varie classi sociali. Secondo
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un mondo di bolle
Boccavera «ogni {speculatore} si considerava maestro degli altri» 57 .
Come il tulipano era adatto ad essere oggetto di speculazione finanziaria, così cominciò ora a rappresentare la lussuria, la debolezza, il superfluo accanto alle immagini tradizionali di teschi, clessidre e libri nelle
pitture allegoriche degli artisti olandesi di vanitates. Il tulipano diventò
il simbolo della follia nel senso anticipato dall’emblema di Visscher, la
sua bellezza effimera era considerata un’illusione seducente per le persone poco avvertite 58. Un altro simbolo comune nelle vanitates era la bolla che rappresentava l’evanescenza della vita umana: homo bulla est, l’uomo è una bolla, disse Varrone. Una bolla cresce rapidamente deliziandoci con i suoi riflessi brillanti, ma scompare poi istantaneamente. È sostenuta solo dall’aria o dal vento, un simbolo ripreso sia nell’espressione
olandese del xvii secolo windhandel, con la quale ci si riferiva al commercio dei future, che nei tulpenwoerde della stessa epoca, stampe nelle
quali era rappresentata la figura allegorica di Flora portata in un carro di
vento, e più tardi nella nefasta pratica degli agenti di borsa di “gonfiare
soffiando un’azione” 59. Ma la metafora della bolla non fu associata agli
eccessi speculativi prima del periodo della bolla della South Sea nel
1720. Nel frattempo il tulipano rappresentava esattamente lo stesso concetto: sbocciava in colori magnifici e con la stessa rapidità i suoi petali
cadevano e la pianta si ritirava per tornare solo con il successivo ciclo
naturale.
Numerose leggende fiorirono intorno alla tulipomania. La più famosa ispirò il romanzo di Alexandre Dumas Il tulipano nero:
Un gruppo di fiorai di Haarlem, avendo saputo che un ciabattino dell’Aia era riuscito a coltivare un tulipano nero, gli resero visita e dopo alcune contrattazioni acquistarono il bulbo per mille e cinquecento fiorini. Appena lo ebbero tra le mani lo
gettarono a terra schiacciandolo sotto i piedi. «Idiota!» gridò uno di loro quando il
ciabattino esterrefatto cominciò a protestare, «anche noi abbiamo un tulipano
nero e la fortuna non ti arriderà mai più. Ti avremmo dato diecimila fiorini se tu
ce li avessi chiesti». L’infelice ciabattino, inconsolabile al pensiero della ricchezza
che avrebbe potuto ottenere, si mise a letto e morì poco dopo 60.
La leggenda – poiché è impossibile coltivare un tulipano nero, il colore
che si avvicina di più tra quelli possibili è un marrone scuro – trae origine dalla corruzione e dalla cupidigia provocate dalla tulipomania. Il tulipano nero insieme ad una serie di altre leggende di periodi successivi fa
ormai parte della vulgata sulla speculazione. Dalla bolla del Mississippi
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le origini della speculazione finanziaria
proviene la storia dei lacchè, che acquisirono improvvisamente una fortuna così grande che quando ritirarono le loro nuove carrozze si confusero e salirono nella loro abituale posizione di postiglioni. Un altro racconto dello stesso periodo riguarda un dottore che mentre sentiva il polso di un’anziana paziente mormorava tra sé e sé: «Dio mio, cala, cala»,
spaventando a morte la donna che si risollevò solo quando si rese conto
che il medico parlava dell’azione della società del Mississippi e non del
suo battito cardiaco 61. Dalla bolla della South Sea e dal grande crollo
del 1929 provengono racconti esagerati di suicidi di speculatori 62.
Questi racconti costituiscono il folklore dei mercati finanziari, i
quali, nutrendosi di voci, sono un terreno particolarmente fertile per il
loro sviluppo. Come gli exempla medievali, le leggende contengono parabole relative ai sette peccati mortali (superbia, ira, invidia, lussuria,
gola, avarizia e ignavia) e alla follia che sprizza dall’umana credulità. Riflettono la diffidenza popolare per gli effetti corrosivi sulla moralità della speculazione. Le manie finanziarie erano considerate distruttive dell’ordine sociale (lacché che comprano carrozze), lesive dell’etica del lavoro (il racconto della trascuratezza del medico) e portavano alla rovina
del popolo. Le leggende sulle bolle continuano ad operare come ammonimenti mettendo in guardia dalla trappola della speculazione. Il giornalista britannico Christopher Fields ha ricordato ai lettori dello “Spectator” (19 luglio 1996) che gli acquirenti di case nel momento in cui il
mercato toccava la sua punta massima alla fine degli anni Ottanta del
xx secolo «hanno imparato quanto possa essere dura la strada di una pericolosa illusione come quella del boom del mercato immobiliare e non
lo dimenticheranno tanto presto. In effetti in tutti i mercati chi rimane
scottato difficilmente ritorna. Anche oggi, in Olanda, non c’è grande richiesta di tulipani neri» (il corsivo è mio). Per gli speculatori di tutte le
età il messaggio delle leggende è chiaro: ricordatevi del tulipano nero!
Ricordatevi dei corpi riversi sotto i grattacieli! Attenti a voi!
Roba da pazzi?
La presenza di leggende sui tulipani in un gran numero di libri divulgativi di storia e di finanza – compresa la History of England di Thomas
Babington Macaulay, Lombard Street di Walter Bagehot e la diffusissima raccolta di manie speculative di Charles Mackay, Extraordinary Popular Delusions and the Madness of Crowds (1841) – ha portato alcuni a
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un mondo di bolle
dubitare della reale esistenza della tulipomania 63. L’economista americano Peter Garber ha sostenuto che la falsità della leggenda dei tulipani
mina la credibilità della mania. Sostiene anche che le fonti contemporanee riguardanti l’episodio, compresi i Dialoghi tra Boccavera e Avidone,
possono essere considerate propaganda ufficiale e devono essere prese
con le molle. Garber pensa che non si sia trattato di mania ma che la
speculazione sul tulipano fu razionale. Secondo lui il prezzo elevato dei
fiori più esotici poteva essere giustificato dal fatto che i germogli del
bulbo avrebbero compensato qualsiasi calo successivo dei prezzi. Pensa
anche che il cambiamento del prezzo dei tulipani segue una regola valida anche per bulbi di altri fiori preziosi: i primi bulbi di una nuova varietà alla moda sono venduti ad un prezzo elevato, ma in seguito il prezzo cala man mano che il fiore diventa più comune o nuove varietà entrano in competizione. Nell’Olanda del xviii secolo il giacinto ebbe un
breve momento di grande popolarità e i prezzi s’impennarono. Secondo
questa tesi la cosiddetta mania dei tulipani non riflette altro che una crescita della domanda per un oggetto alla moda, il prezzo del quale era per
sua natura estremamente variabile.
Questo audace tentativo di revisionismo storico non regge alla prova dei fatti. Garber vuole spezzare una lancia in favore della scuola di
pensiero economico del “mercato efficiente”, la quale ritiene che le bolle o le manie non possono esistere poiché i prezzi di mercato, relativi a
tulipani o ad azioni, riflettono sempre un valore intrinseco 64 Ma in
realtà i Dialoghi sembrano essere un resoconto equilibrato e analitico
del mercato dei tulipani tra 1636 e 1637. Il modulo narrativo – uno
scambio di opinioni tra due personaggi inventati – era un modo convenzionale di narrare degli avvenimenti. Anche se contengono un messaggio moralizzante anti-speculativo, non riportano nessuna delle leggende sui tulipani che sono citate con tanto gusto da Mackay e da altri.
Anche se si vuole ammettere che i Dialoghi furono pubblicati con intenti propagandistici, bisogna supporre un bisogno di propaganda, vale a
dire una crisi post-speculativa.
Né si può dire che i prezzi elevati dei bulbi di tulipano corrispondessero ad “aspettative razionali” degli investitori, poiché prima del xx
secolo non si sapeva che il colore variegato dei petali di tulipano era dovuto ad un virus che attaccava il bulbo. I germogli dei bulbi del Semper
Augustus avrebbero potuto non fiorire o non produrre altri germogli
per alcuni anni e non c’era nessuna garanzia che avrebbero avuto le stesse particolari qualità del bulbo originale, poiché avevano un’analoga
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le origini della speculazione finanziaria
possibilità di ridiventare una varietà ordinaria. Inoltre i tulipani non
pruducevano un risultato monetario annuale (“dividendo”) poiché a
quell’epoca non esisteva un commercio di fiori recisi. Infine il modello
di crescita verticale dei prezzi e successivo crollo che Garber ha ritrovato
per altri tipi di fiore, come il giacinto, non smentisce l’esistenza di una
bolla speculativa per i tulipani. Al contrario si può sostenere che l’esistenza di “bolle” successive depone a favore della tesi che il mercato dei
fiori olandese, come il mercato azionario, era particolarmente adatto al
manifestarsi di euforie speculative. Anche Garber ammette che i prezzi
dei bulbi ordinari – aumentati di venti volte nella prima fase del boom
– raggiunsero livelli «inspiegabili» (li spiega con il contemporaneo scoppio dell’epidemia di peste bubbonica che suscitò una mentalità apocalittica, stimolando un breve accesso speculativo che non era giustificato
«dalle leggi fondamentali del mercato»). Ma si può andare oltre affermando che la caccia a qualsiasi tipo di bulbo, variegato od ordinario,
nell’inverno del 1636 può essere giustificata soltanto dalla speranza –
non dall’aspettativa razionale – che il bulbo potesse essere venduto rapidamente ad un prezzo maggiorato a qualche “folle ancora più folle”. In
sostanza la definizione “mania speculativa” descrive correttamente le
condizioni del mercato olandese dei tulipani alla metà degli anni Trenta
del xvii secolo.
Il commercio di tulipani fu per molti dei partecipanti un’alternativa
alla speculazione in azioni di società. Il mercato dei tulipani e quello
azionario si somigliano da molti punti di vista. La grande varietà di bulbi fa pensare alla moltitudine di azioni caratteristica dei mercati azionari
in epoche successive, con i preziosi bulbi variegati nei panni di blue chips
(come le cosiddette nifty fifty {lett. le migliori cinquanta} dei primi anni
Settanta) ed i bulbi del tipo ordinario simili alle azioni minori che attraggono gli speculatori dai mezzi limitati 65. Il windhandel sui tulipani
fu identico alle contrattazioni sui future nella Borsa di Amsterdam (anche se l’osservazione di Mackay che i tulipani erano scambiati in Borsa
non è corretta) e il sistema di scambio dei tulipani nei Collegi anticipò
le aste di azioni nel mercato azionario di New York all’inizio del xix
secolo.
L’andamento della tulipomania fu analogo a quello di molte delle
successive manie sui mercati azionari. Proprio come la tulipomania fu
inizialmente stimolata dalla crscita dei prezzi dei preziosi bulbi che attrasse nuovi soggetti nel mercato, così le euforie sul mercato azionario
sono generalmente innescate da un improvviso aumento del prezzo del33
un mondo di bolle
le azioni di un particolare settore – come quello delle ferrovie negli anni
Quaranta del xix secolo o delle automobili negli anni Venti del xx –
che induce dei neofiti a speculare. C’è un altro elemento comune dei
mercati rialzisti: man mano che la mania progredisce cala la qualità delle
azioni che attraggono la speculazione, una marea crescente fa galleggiare
tutte le barche, anche quelle meno adatte alla navigazione. La tulpenwoerde fu analoga: la speculazione sui bulbi del Semper Augustus aprì la
strada al commercio maniaco di bulbi ordinari. Ci sono ancora alcuni
elementi comuni sia alla tulipomania che alle impennate dei mercati
azionari in epoche successive: le voci che alimentano la crescita incontrollata, il rapido aumento della leva finanziaria attraverso l’impiego dei
future e delle note di credito, notevoli sprechi da parte degli speculatori,
crescita repentina dei prezzi seguita da panico improvviso e immotivato,
un’iniziale passività del governo seguita da intervento tardivo.
L’economista austriaco J. A. Schumpeter osservò che le manie speculative si manifestano generalmente con la comparsa di una nuova industria o una nuova tecnologia quando la gente sopravvaluta i guadagni
potenziali e un eccesso di capitali viene attratto dalle nuove avventure.
Forse gli speculatori degli anni Trenta del xvii secolo, abbagliati dalla
novità del tulipano, anticipavano lo sviluppo dell’industria olandese dei
fiori, ai giorni nostri la maggiore del mondo. Se così è stato, come avvenne per molti speculatori successivi, la loro lungimiranza non fu premiata da un punto di vista finanziario. Come ha osservato James Buchan, il punto di vista degli speculatori è viziato dalla loro illusoria concezione del tempo: «I grandi rialzisti del mercato azionario cercano di
condensare il futuro in pochi giorni, di abbreviare la lunga marcia della
storia, e di catturare il valore attuale di tutto il futuro» 66. Il più delle
volte il futuro si dimostra meno manipolabile di quanto vorrebbe lo
speculatore.
Forse il parallelo più vicino alla tulipomania può essere fornito dalla
bolla Souq Al-Manakh in Kuwait all’inizio degli anni Ottanta del xx secolo, che dimostra, come nel caso del xvii secolo, gli effetti di un impiego eccessivo delle note di credito in un mercato speculativo. Nel mercato azionario del Kuwait la speculazione sulle azioni delle locali “società
del Golfo” (i cui interessi andavano dai beni immobili all’allevamento
dei polli) fu alimentata con il metodo del credito personale sotto forma
di assegni postdatati, un metodo simile a quello delle note di credito degli speculatori sui tulipani. Nei primi otto mesi del 1982 più di tre miliardi e mezzo di azioni cambiarono di mano, vale a dire un valore di
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le origini della speculazione finanziaria
mercato di 6 miliardi di dollari (mentre il loro valore d’inventario era di
appena 200 milioni di dollari). L’incredibile valore degli assegni postdatati superava i 90 miliardi di dollari, nonostante la crescita del 300 per
cento dei tassi d’interesse. Proprio come il pagamento delle note di credito degli speculatori sui tulipani, fu rimandato fino alla primavera, gli
assegni kuwaitiani non erano pagabili prima della fine dell’anno. All’inizio della primavera del 1982 il prezzo delle azioni raddoppiava comunemente ogni ora e nessun prezzo era considerato troppo alto per acquistare un’azione. Ma in agosto una speculatrice chiese che il suo assegno
fosse cambiato in breve tempo. L’incanto si ruppe e il mercato crollò. Il
governo fu costretto ad intervenire per riportare l’ordine ad un costo di
miliardi di dollari, i contratti siglati durante il boom furono annullati e
il mercato fu chiuso.
Il carnevale della speculazione
Una stampa intitolata Il cappello da buffone di Flora, opera dell’artista
olandese Pieter Nolpe, pubblicata poco dopo la fine della tulipomania,
rappresenta mercanti di tulipani che disputano in un gigantesco cappello da buffone. Durante il periodo rialzista negli Stati Uniti, negli anni
Novanta del nostro secolo, il più famoso fondo d’investimento on-line
si chiamava The Motley Fool: i suoi giovani fondatori indossavano in
pubblico cappelli da buffone poiché rivendicavano la loro “follia” per
raggiungere la ricchezza sul mercato azionario in contrapposizione alla
“saggezza” di Wall Street. Il ritorno del buffone nell’immaginario della
speculazione non è casuale. La speculazione emerse dalle folle e dal
trambusto delle fiere e dei carnevali del Rinascimento e, anche se nel
xvii secolo il carnevale era in declino e le fiere erano state sostituite da
Borse stabili, lo spirito del carnevale informava ancora i mercati.
Il gioco d’azzardo era centrale in fiere e carnevali. Era una tipica attività carnevalesca, profana e insofferente delle gerarchie: di fronte alla
fortuna le distinzioni sociali non contano affatto e tutti diventano uguali. Il carnevale era accompagnato da ciò che il critico letterario russo Mikhail Bakhtin ha definito “realismo grottesco”, che comportava la periodica degradazione dei valori poiché tutto ciò che era spirituale veniva
portato a livello materiale. La Liturgia dei giocatori d’azzardo compare
spesso tra i testi parodistici. Il linguaggio carnevalesco era irriverente ed
osceno, era il linguaggio di Billingsgate (il mercato del pesce di Londra),
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un mondo di bolle
che rimane il gergo dei mercati azionari fino ai nostri giorni. Anche lo
spirito egualitario del carnevale influenzò gli scambi. Come scrisse Vega
in Confusion de confusiones (un titolo carnevalesco), «un uomo arguto
che osservi gli affari in Borsa, la studiata maleducazione che impera,
nota che l’azzardo in Borsa somiglia alla morte nel senso che rende tutti
uguali» 67.
Se lo spirito carnevalesco si prolunga nel mercato azionario, la mania speculativa rappresenta la continuazione del carnevale propriamente
detto 68. Sia il carnevale che la mania hanno prodotto “il mondo alla rovescia”. Il carnevale concedeva un periodo di distensione dalle rigidità e
dalle imposizioni religiose del mondo medievale, un momento in cui
era invertita la tradizionale gerarchia sociale e lo scemo del villaggio diventava il re del carnevale. Anche se la moderna economia di mercato è
molto più libera del suo antecedente medievale, ha determinato nuove
tensioni. Mentre il carnevale sminuiva volutamente l’autorità della
chiesa, la mania speculativa rovescia i mostri sacri del capitalismo: la devozione all’etica professionale, l’onestà, la parsimonia e il duro lavoro.
Come il carnevale, essa però offre solo un sollievo temporaneo, poiché
quando la mania crolla questi valori si rafforzano.
Il carnevale medievale era un avvenimento ciclico che aveva luogo
in un tempo straordinario, distinto dalla realtà quotidiana – la «sospensione orgasmica» del carnevale nella definizione dello storico francese
Emmanuel Le Roy Ladurie 69. Anche il tempo della mania speculativa è
sia ciclico che anormale – con il senno del poi gli speculatori lo ricordano come un periodo irreale, analogo al sogno. Per Bakhtin il carnevale è
legato a «periodi di crisi, di svolta, nella vita della natura, della società e
dell’uomo. Il morire, il rinascere, l’avvicendarsi e il rinnovarsi sono sempre stati elementi dominanti nella percezione festosa del mondo» 70.
Un’opinione che si accorda con l’osservazione di Schumpeter che le manie speculative si manifestano generalmente durante i periodi di profondi rivolgimenti economici. L’aspetto dionisiaco del carnevale sopravvive nei consumi sfrenati e nella baldoria degli speculatori. Le manie speculative e il carnevale si concludono nello stesso modo. Dopo il
carnevale l’ordine è ristabilito con il rogo simbolico dell’effige del re del
carnevale. Dopo la mania i maggiori speculatori – da John Law della società del Mississippi nel 1720 a Michael Milken, il re delle obbligazionispazzatura nel 1990 – sono saccheggiati, spossessati della loro ricchezza e
imprigionati. Come il re del carnevale, diventano capri espiatori per i
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le origini della speculazione finanziaria
peccati della comunità e sono sacrificati per consentire il ritorno alla
normalità.
Lo spirito della speculazione è anarchico, irriverente, antigerarchico. Ama la libertà, detesta l’ipocrisia e aborrisce le restrizioni. Dai Collegi dei tulipani del xvii secolo fino ai gruppi d’investimento su Internet
della fine del xx secolo, la speculazione si è distinta come la più popolare delle attività economiche. Anche se è profondamente connaturata all’uomo, la speculazione non risponde solo all’avidità. L’essenza della
speculazione rimane l’utopico desiderio di libertà e uguaglianza che
controbilancia l’arido razionalismo materialistico del moderno sistema
economico con le sue inevitabili differenze di ricchezza. In tutte le sue
numerose manifestazioni la mania speculativa è sempre stata, e rimane
ancora oggi, il carnevale del capitalismo, una “festa dei folli”.
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