adriano olivetti - Nonsolobanca

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adriano olivetti - Nonsolobanca
ADRIANO OLIVETTI
P R E FA Z I O N E D E L P R E S I D E N T E P I E R O M E L A Z Z I N I
Come di consuetudine,
consuetudine
si riporta uno stralcio della Relazione
d’esercizio 2010 della controllata
Banca Popolare di Sondrio
(SUISSE) SA di Lugano.
In particolare, vengono trascritti
i contributi relativi alla figura
dell’illuminato industriale, ingegnere
ed editore Adriano Olivetti, personalità
di singolare rilievo nella storia italiana
del secondo dopoguerra.
Già pubblicati nella sezione del predetto
fascicolo riservata alla cultura, i saggi
proposti recano la firma di Carlo
De Benedetti, Fabrizio Fazioli, Valerio
Castronovo, Mauro Leo Baranzini,
Davide Cadeddu e Laura Olivetti.
Introduce la monografia la prefazione
del Presidente, cavaliere del lavoro
Piero Melazzini.
NOTIZIARIO
Dalla “Suisse”
180 DALLA “SUISSE”
L’ispirazione dell’iniziativa culturale, che da quando esiste la BPS SUISSE
è parte della Relazione di bilancio, la devo al grande critico e prosatore perugino Giuseppe Prezzolini. Ebbi la fortuna di conoscerlo a Lugano, città dove il
personaggio visse dal 1968 fino al decesso, avvenuto nel 1982. Lo frequentai,
affascinato dal suo sapere, con cui manifestava la sua personalità curiosa e
inquieta: uomo ricco di cultura e divulgatore di idee.
La monografia che accompagna la Relazione dell’esercizio 2010 porta il
nome illustre di un industriale italiano geniale, intellettuale e pure politico:
Adriano Olivetti, ingegnere, figlio di Camillo, il fondatore della “Prima Fabbrica Italiana Macchine per Scrivere - Ing. C. Olivetti e C.” di Ivrea; così era
scritto sull’insegna quando, nell’ottobre 1908, fu costituita questa azienda.
Adriano Olivetti, nato a Ivrea l’11 aprile 1901, si laureò in ingegneria
chimica nel 1924 e due anni dopo entrò nell’impresa di famiglia dove, per
volontà del padre, inizialmente svolse la mansione di operaio; ne divenne
direttore nel 1933 e presidente cinque anni dopo.
Antifascista, e proprio per questa posizione politica ricercato dal regime, a guisa di diversi dissidenti italiani si rifugiò in Svizzera e vi rimase
fino alla fine del secondo conflitto mondiale. La Svizzera entrerà ancora a far
parte della persona “Adriano Olivetti” quando questi, il 27 febbraio 1960, durante un
viaggio in treno da Milano a Losanna, muore a Aigle, nel Canton Vaud.
Nell’immediato periodo post-bellico, Adriano Olivetti, rientrato in patria, riprende le redini dell’azienda, che in poco tempo porta a essere florida, e mette in pratica
l’esperienza e i suoi convincimenti, in base ai quali occorre dar spazio alla ricerca e
alla sperimentazione, tenendo sempre conto dei diritti della persona e della democrazia partecipativa, sia sul lavoro e sia al di fuori di esso. Un famoso ingegnere, appartenuto a una équipe di ricercatori promossa da Adriano Olivetti, realizzò, sia pure dopo
la morte di quest’ultimo, la P101 – detta anche “Perottina” dal nome dell’inventore
Pier Giorgio Perotto –, prima macchina elettronica programmabile, una specie di personal computer ante litteram, un vero e proprio gioiello tutto italiano.
Tra i prodotti di maggior successo dell’epoca in cui il personaggio in discorso
era al vertice della Olivetti, non si può non menzionare la “Lettera 22”, famosissima
macchina per scrivere portatile, dalla quale Indro Montanelli non si separò mai.
Adriano Olivetti fu uomo di vasta cultura umanistica, politica e filosofica. Contribuì al dibattito intellettuale con articoli, pubblicazioni e libri, che fanno di lui un
imprenditore atipico.
Fu contro il liberismo economico sfrenato e il socialismo soffocante di Stato,
proponendo una terza via, volta alle esigenze materiali e morali.
Merita di essere ricordato anche il suo impegno di editore.
Ringrazio, per il suo autorevole contributo su Adriano Olivetti, il cavaliere del
lavoro ingegner Carlo De Benedetti, che ha speso parte della sua vita operativa al
vertice dell’azienda eporediese. Lo ringrazio altresì per la segnalazione del professor
Valerio Castronovo, grande storico dell’economia. A questi va la mia viva gratitudine
per il pezzo di valore approntato sul personaggio della monografia. Sono poi riconoscente, per i loro interessanti saggi, ai professori Fabrizio Fazioli, Mauro Leo Baranzini, Davide Cadeddu e la dottoressa Laura Olivetti.
Il pensiero torna al caro Prezzolini, indimenticato Maestro di vita, del quale conservo, sulla scrivania del mio ufficio di Sondrio della Banca Popolare, una cartolina
scrittami da Lugano il 3 febbraio 1982.
Un costruttore di futuro
CARLO DE BENEDETTI
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
Cavaliere del lavoro,
presidente onorario di CIR Spa
e presidente dell’Editoriale L’Espresso
Non ho conosciuto Adriano Olivetti ma,
quando nella primavera del 1978 ho assunto
la posizione di azionista di riferimento, Vice
Presidente e Amministratore Delegato di Olivetti, l’ho “respirato” nel mio ufficio, nelle
fabbriche e nei dirigenti che all’epoca lavoravano in Olivetti e lo avevano conosciuto.
Adriano era una presenza, più che un ricordo o una nostalgia. Certamente ha vissuto in un’epoca felice che ha accompagnato la
grande ripresa delle economie occidentali e
giapponese negli anni ’60, producendo e promuovendo macchine da scrivere e macchine
da calcolo elettromeccaniche praticamente
senza concorrenza a causa della straordinaria capacità inventiva ed esecutiva che caratterizzava quelle produzioni in quegli anni ad
Ivrea, godendo tra l’altro di margini impensabili ai tempi dell’elettronica: per dare un’idea,
una “Divisumma” aveva un margine lordo vicino al 50%.
La grande capacità di Adriano come industriale è stata quella di utilizzare questi enormi
utili per espandersi nel mondo diventando a
quei tempi l’unica vera multinazionale italiana
con fabbriche in Spagna, Messico, Brasile, Argentina e con organizzazioni di vendita molto
efficienti, praticamente in ogni area della geografia economica mondiale di allora, dal Giappone agli Stati Uniti, da Singapore alla Malesia.
Questo fu possibile per la grande, personale attenzione con cui Adriano Olivetti selezionava
e sceglieva i suoi uomini. E così, oltre a creare
l’unica vera multinazionale italiana, disseminò
cultura manageriale olivettiana in tante grandi
imprese italiane, dalla Fiat, all’Ifi, all’Alitalia e a
tante altre.
E poi aveva un elevato senso di utopia
sociale, che lo portò a incoraggiare architetti
italiani a costruire “spazi di vita” luminosi e
gradevoli per i lavoratori Olivetti. Fu un grande
“padrone”, ma anche eccezionale nella sua “solitudine”, nel suo gusto del bello e del grande.
Giustamente ancora oggi lo si ricorda
come tale.
DALLA “SUISSE” 181
Q
Adriano Olivetti
e il “secolo breve”
FABRIZIO FAZIOLI
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
Laureato in scienze economiche e sociali
all’Università di Neuchâtel, giornalista e autore
Adriano Olivetti (1901-60).
Adriano Olivetti and the “brief century”
Hobsbawm defined the first half of the 20th century as the “brief century”
for the intensity of the changes that took place, but also for the progress
made in the world historical panorama. It was also the same period in which
Adriano Olivetti launched his “utopia”. He began with political journalism,
aimed at a federal concept inspired by Cattaneo. He considered American a
model of organisational and productive efficiency, but not as a social system.
He looked favourably on Carlo Rosselli’s liberal socialism, which sought to
overcome utilitarian individualism. To reach his objectives, he created the
“Community Political Movement”, supported by a publishing activity that gave
ample space to top level scholars: Jung, Piaget, Kierkegaard, Bergson,
Bettelheim. A landmark work for transporting the idea of a business from
the industrial to the post-industrial world.
182 DALLA “SUISSE”
uando Adriano Olivetti nacque, nel 1901, l’Europa
era in piena effervescenza, nel vivo di un euforico
clima di belle époque, alimentato da costumi innovatori e da una spensierata fede nel progresso. Quando
egli morì, nel 1960, l’Europa, pur ancora divisa da una cortina di
ferro, era sulla soglia della più folgorante crescita del benessere
mai registrata dalla storia. Nel mezzo ci sono state due devastanti guerre mondiali, una grande depressione economica e mettiamoci anche la rivoluzione sovietica, il nazismo in Germania e più
di vent’anni di fascismo in Italia. Non si può certo dire che Adriano Olivetti abbia vissuto in un periodo particolarmente fortunato.
Il grande storico Eric J. Hobsbawm definì questo intervallo violento e sconvolgente della storia dell’umanità, che va dalla Prima
Guerra mondiale alla caduta del muro di Berlino, “il secolo breve”.
Un secolo di progresso scientifico straordinario e di guerre totali,
di crisi economiche e di prosperità diseguale, di rivoluzioni nella
società e nella cultura. Un secolo breve per l’accelerazione che
gli eventi della storia e le trasformazioni nella vita degli uomini
hanno assunto a un ritmo sempre più vorticoso. Adriano Olivetti,
suo malgrado, fu dunque testimone e protagonista di questa
travagliata epoca, breve come la sua vita, attraverso un itinerario
intellettuale e imprenditoriale del tutto singolare che si snoda
lungo molteplici percorsi.
Intellettuale, politico o imprenditore?
Quando il padre Camillo Olivetti fondò la fabbrica a Ivrea era
il 1908 e tutti erano ancora totalmente ignari dei tragici eventi
che sarebbero seguiti. Era una piccola costruzione di mattoni
rossi con pochi operai. Adriano aveva appena sette anni. Dalla
ricostruzione biografica del giornalista storico Valerio Ochetto (già
responsabile del servizio storia dei programmi della Rai) sappiamo che, dopo gli orrori della Grande Guerra, le tensioni sociali e
politiche dell’epoca, nonché il clima di speranza e di riscatto,
spinsero il giovane Adriano piuttosto verso l’impegno politico. Egli
visse anche con un certo distacco la sua esperienza universitaria,
frequentando molto poco i corsi della sezione di chimica industriale al Politecnico di Torino. Né la successione nell’azienda del
padre era già predestinata. Al contrario, dopo un’esperienza nel
1914 come manovale nelle officine di Ivrea, lo stesso Adriano
stabilì che non avrebbe mai partecipato attivamente ai destini
della fabbrica. Si avvicinò invece ai circoli politici e intellettuali
della Torino degli anni Venti. Con il padre cominciò a collaborare
al settimanale L’Azione Riformista che Camillo aveva fondato nel
1919. E poi ancora a un altro settimanale, Tempi Nuovi, pure
fondato a Torino dal padre nel 1922. Gli anni del primo dopoguerra per Adriano non furono insomma soltanto gli anni dei sogni e
delle letture; egli scriveva e pianificava un futuro che non vedeva
però in fabbrica, ma nel giornalismo politico. Le sue proposte
erano quelle un po’ acerbe della giovinezza ma colpivano direttamente nel segno e anticipavano notevolmente i tempi. Egli si
immaginava per esempio una forte autonomia per le Regioni
italiane sul modello federalista. Un federalismo che si ispirava
chiaramente al filone di Carlo Cattaneo, a sua volta attratto dal
modello elvetico che aveva peraltro aiutato a costruire (visse in
Svizzera dal 1848 fino alla morte nel 1869). Non era in ogni caso
un federalismo di stampo cattolico come si immaginava Vincenzo
Gioberti, fondato sull’egemonia del Papato, e ancor meno un federalismo a deriva secessionista come è piuttosto rivendicato
oggi in Italia. Anche per Adriano Olivetti, come per Carlo Cattaneo,
doveva essere invece «una federazione di popoli, non uno Stato
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
Camillo Olivetti con le maestranze Olivetti.
Camillo Olivetti with Olivetti workers.
accentratore dove la libertà non potrebbe crescere, pur nel rispetto e nella forza dell’unione della Nazione». Un altro tema ricorrente era la burocrazia statale che doveva essere assolutamente
“depoliticizzata” e affidata semmai a persone “valide e competenti”. Sono embrioni di pensiero che ritroveremo in età più matura nel progetto di riforma dello Stato che Adriano Olivetti affinerà nel movimento politico e nelle edizioni di Comunità.
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
Da una parte Adriano acquisisce grandissima dimestichezza
con i metodi d’organizzazione del lavoro. Egli visita gli stabilimenti
delle più importanti società statunitensi… L’altro aspetto è il giudizio critico che il giovane Olivetti comincia a nutrire nei confronti
della società americana in cui il consumo di massa e il sistema
capitalista sono a uno stadio di sviluppo che in Europa non è ancora possibile osservare. Non appare allora insensato ritenere che
egli possa avere intuito e presagito le contraddizioni dell’assetto
L’America, ma non come modello
sociale ed economico americano. In una lettera inviata ai familiari
Nel frattempo il rifiuto di entrare nella fabbrica paterna a si legge che «qui il dollaro è veramente il dio e che in tutta la vita
poco a poco si attenuò e la vena giornalistica di Adriano, come americana vi è uno strapotere del dollaro».
lui stesso ammetterà più tardi, si fece irta di ostacoli, a causa
Non v’è dubbio che al suo rientro il bagaglio intellettuale e
anche delle più marcate avversioni al fascismo. Da quel momen- di esperienze che egli portava con sé non era il frutto di un asto, all’impegno intellettuale e politico si agservimento piatto e acritico al sogno americaRitratto di Adriano Olivetti nel 1927.
giunse lo studio dell’organizzazione del lavoro
no, quanto piuttosto un insieme di ingredienti
e progressivamente anche la preoccupazione
tecnici, sociali e organizzativi che si tradusseper la fabbrica. I due filoni continueranno
ro in seguito in un progetto di società certad’ora in poi in costante confronto, a volte apmente distante dal modello americano.
paiati e convergenti, altre in modo completaNel frattempo Adriano maturò la sua
mente autonomo, quando non addirittura diopposizione al fascismo e si assestò su povergenti tra di loro. Bruno Caizzi, contemporasizioni molto vicine a quelle del socialismo
neo di Adriano e esule in Svizzera, fa notare
liberale di Carlo Rosselli. Poco alla volta svicome egli avvertì improvvisamente tutta la
luppò una sua visione incentrata sul concetportata delle grandi possibilità che gli si sato di persona preso a prestito dal filosofo
rebbero presentate attraverso l’impegno diretfrancese Emmanuel Mounier. Secondo queto nell’industria di famiglia, senza con questo
sta concezione era assolutamente necessadover abbandonare i suoi forti slanci ideali.
rio superare l’individualismo utilitaristico. Il
Nel 1925 Adriano partì per gli Stati Uniti per
singolo avrebbe dovuto sviluppare le sue
studiare i metodi organizzativi delle grandi inpotenzialità all’interno di una rete di solidadustrie d’Oltreoceano. Il risultato dell’esperietà rappresentata dalla comunità stessa in
rienza americana, come scrive Beniamino de’
cui vive. Si fece dunque strada l’idea di coLiguori Carino in un lungo trattato dedicato
munità come unità politica, sociale ed ecoalle maturazioni intellettuali di Adriano Olivetti,
nomica che avrebbe dovuto fondarsi sulla
fu duplice:
partecipazione democratica dal basso, sen-
DALLA “SUISSE” 183
za la forza impositiva e arbitraria dello Stato, che semmai
avrebbe dovuto avere appunto un’impronta federalistica, nel
rispetto delle particolarità territoriali.
Prese allora corpo a poco a poco una visione che definiremmo oggi “globale” della società, che si manifestò progressivamente a tutto campo nella fabbrica di famiglia, nell’ambiente
urbano circostante, in un progetto editoriale e persino in un disegno politico. Nel 1945, dopo un periodo trascorso precauzionalmente in Svizzera, Adriano Olivetti scrisse L’ordine politico della
Comunità, un manifesto in cui esprime le sue idee. Nel 1946
fondò invece la rivista Comunità, a cui affiancò immediatamente
dopo la casa editrice “Edizioni di Comunità”, che si sarebbe distinta per la pubblicazione in vari campi delle scienze umane di
autori non ancora conosciuti in Italia. E due anni dopo, nel 1948,
creò un vero e proprio “Movimento politico di Comunità”.
L’impegno editoriale
Difatti tutto ciò che interessava ad Adriano Olivetti sembrava non essere assolutamente conosciuto in Italia. Sul piano teorico, come rileva il sociologo Domenico De Masi, «egli leggeva e
pubblicava la sociologia, la filosofia sociale, l’etica, l’estetica; sul
piano pratico la produzione moderna, il riformismo, la partecipa-
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
La prima lettera scritta da Camillo alla moglie con la macchina per scrivere.
The first letter written by Camillo to his wife using a typewriter.
184 DALLA “SUISSE”
zione dei lavoratori, la pianificazione territoriale, l’architettura
contemporanea, il design». Tutto insomma rompeva con la cultura vigente, aprendo nuove strade che da un lato diffondevano
visioni innovatrici, ma dall’altro apparivano sospette e divergenti,
a fronte di un panorama editoriale che il Fascismo aveva separato per venti anni dal progresso.
Non è facile rimettere il lettore di oggi nel clima culturale di
allora, né la critica di Adriano all’immobilismo culturale italiano si
esauriva nella protesta, ma puntava decisamente al riformismo
e al rigore dei valori scientifici da applicare direttamente nella
pratica. Dai cataloghi della Fondazione Olivetti si possono dedurre sterminati apporti alle Edizioni di Comunità di penne prestigiose, soprattutto straniere, nei più svariati campi delle scienze
umane. Spiccano i nomi di Jung, Piaget, Kierkegaard, Bergson,
Claudel, i sociologi della scuola francese quali Gurvitch, Bettelheim e Mounier, lo scrittore svizzero Ramuz, Denis de Rougemont
con Vita e morte dell’Europa e una interminabile schiera di altri
autori. Domenico De Masi cita i testi di Simone Weil sulla vita
operaia, di Raymond Aron sul rapporto tra Occidente e Unione
Sovietica, di Roethlisberger sulla coesione di gruppo nelle fabbriche, classici come Weber e Durkheim che «introducevano luminose visioni nella scialba palude editoriale italiana». Forse nessun
libro, nota ancora De Masi, tra tutti quelli pubblicati dalle Edizioni
volute da Adriano Olivetti, è altrettanto paradigmatico quanto
Gemeischaft und Gesellschaft del sociologo tedesco Ferdinand
Tönnies. «Qui la Comunità calda, protettiva, sanguigna, confortante, ma anche lenta, bigotta sospettosa, oppressiva, tradizionalista, era contrapposta alla società fredda, impersonale, alienante, ma anche dinamica, tecnologica, pratica, innovativa». Le
“Edizioni di Comunità” erano in fondo la sintesi quasi perfetta di
tutto questo a coronamento del sogno (o dell’utopia) di Adriano:
quello di «conciliare comunità e società, rendendo dinamica la
vita quotidiana e affettiva la vita operaia».
Le peregrinazioni intellettuali di Adriano Olivetti erano quasi
sempre dettate anche dalla necessità e dall’urgenza di trasferire
le proprie idee e la passione sociale nel progetto industriale che
stava costruendo, ma che teneva ben distinto dal progetto di
Comunità, anche se ovviamente i due interagivano, spesso si
intersecavano. La casa editrice rappresentava un luogo di formazione intellettuale e professionale, come d’altra parte l’universo
industriale di Ivrea. Entrambi erano punti di incontro e fucine
d’idee, dove chi vi lavorava acquisiva un’esperienza che poteva
poi liberamente far germogliare altrove, in altre affermazioni professionali.
Alle “Edizioni di Comunità” si affiancarono poi nuove case
editrici di carattere perlopiù saggistico, sempre sotto la spinta di
Adriano, che si collocavano spesso al di fuori dei due rigidi e
tutto sommato limitati blocchi di pensiero sviluppatisi con la
Guerra Fredda, nel tentativo anche di indicare una Terza Via di
fronte alle contrapposizioni intellettuali dell’epoca, condizionate
da una marcata dicotomia tra interclassismo cattolico e lotta di
classe comunista. L’impresa editoriale di Adriano Olivetti ha insomma esercitato negli anni Cinquanta una spinta decisamente
straordinaria a favore del rinnovamento culturale italiano e come
de’ Liguori Carino accenna nel suo trattato, «le Edizioni di Comunità hanno garantito alle voci dissonanti più vive e profonde del
loro tempo uno spazio d’indagine e di divulgazione libero e dinamico, nel simultaneo tentativo di dotare la società civile e l’azione
politica di una nuova coscienza del suo agire e di una nuova
tecnica per la costruzione di una società ordinata secondo i
Un uomo che ha fatto il Novecento
Così come risulta difficile riproporre il clima intellettuale nella complessità culturale dell’epoca, il pensiero di Adriano Olivetti non è immediatamente configurabile o riducibile
a qualche enunciazione di principio.
Si tratta perlopiù di una dimensione
civile, dove la cultura si frappone al
semplice meccanicismo economico. Una cultura libera che voleva
però anche veicolare una funzione
economica e politica alla ricerca di
una società migliore. È indubbio che
questo modo innovativo, a volte dirompente, di vedere le cose ha lasciato un segno indelebile in un
Paese che usciva particolarmente
smarrito dagli effetti congiunti del
regime e della guerra. È però difficile capire con lo sguardo di oggi se
la visione olivettiana di allora non
sia stata in qualche modo anche un Veduta dello stabilimento Olivetti a Pozzuoli costruito nella prima parte degli anni ’50 su progetto di Luigi Cosenza.
po’ visionaria, se non si sia insom- A view of the Olivetti plant in Pozzuoli built in the first part of the 1950s according to Luigi Cosenza’s design.
ma macchiata di qualche contraddiVorrei terminare con un ultimo giudizio del sociologo Domezione o di qualche scorciatoia intellettuale troppo sbrigativa. La
morte prematura di Adriano Olivetti ha semmai lasciato che nico De Masi, certamente forte, che abbraccia interamente il diquesti interrogativi si cristallizzassero un po’ acriticamente sotto segno culturale e sociale di Adriano, tanto da inserirlo in modo
forma di spinte ideali, spesso incomprese e che pertanto non certamente meritato fra le persone che hanno determinato il
hanno potuto realizzarsi nella loro pienezza e reggere alla prova Novecento:
Lontano mille miglia dalla febbrile voracità dell’accumulaziodel tempo.
Sarebbe in ogni caso sbagliato credere che il disegno di ne, dall’ignorante avventurismo dell’azzardo… che tuttora contaAdriano Olivetti si sia limitato al microcosmo di Ivrea e che da giano tanti imprenditori, possiamo dire che Adriano Olivetti è riuquel progetto di fabbrica sia partita anche qualche ambizione scito a traghettare l’impresa e il management dal mondo induintellettuale o politica di troppo. Gli anni Cinquanta furono mar- striale al mondo post-industriale. Così come, negli stessi anni,
cati da un forte interesse per il Mezzogiorno, ispirato questa Freud e Jung hanno traghettato la psicologia tradizionale verso la
volta dai libri di Carlo Levi e dall’impegno sociale di intellettuali psicanalisi, Picasso ha traghettato la pittura di Piero della Francome Danilo Dolci, che Adriano Olivetti con il suo pragmatismo cesca verso il cubismo, Einstein ha traghettato la fisica di Newton
tradusse in possenti iniziative: interventi straordinari nella Rifor- verso la relatività, Stravinskij ha traghettato la musica romantica
ma agraria, nella Cassa del Mezzogiorno, il progetto urbanistico verso l’atonalità, Joyce ha traghettato il romanzo ottocentesco
verso l’opera aperta.
di Matera, i nuovi stabilimenti Olivetti di Pozzuoli.
Quando Adriano ereditò l’impresa fondata dal padre, negli
anni Quaranta, essa contava appena qualche centinaio di dipendenti. Quando morì improvvisamente nel 1960, su un treno diretto a Losanna, la Olivetti aveva superato i 45.000 dipendenti,
27.000 dei quali all’estero. La sua grandezza era legata alla Riferimenti bibliografici
concezione dell’impresa:
Bruno CAIZZI, Camillo e Adriano Olivetti, Utet, Torino 1962.
come sintesi di cultura internazionale, tecnologia all’avanguar- Domenico DE MASI, Prefazione a Adriano Olivetti e le Edizioni di Comunità,
dia, organizzazione efficiente, cooperazione partecipante, il tutto al
Quaderni della Fondazione Olivetti, Roma 2008.
servizio della comunità. È legata alla concezione dell’uomo come Beniamino DE’ LIGUORI CARINO, Adriano Olivetti e le Edizioni di Comunità
(1946-1960), Quaderni della Fondazione Olivetti, Roma 2008.
sintesi di produttore, consumatore e cittadino. È legata alla conceValerio
OCHETTO, Adriano Olivetti. Industriale e utopista, Cossavella Editore,
zione dello Stato come sistema integrato di molteplici comunità, …
Ivrea 2000.
È legata alla concezione dell’estetica come valore aggiunto alla Adriano OLIVETTI, Città dell’uomo, Edizioni di Comunità, Milano 1959.
perfezione delle macchine… È legata alla concezione della cultura, Robi RONZA, Tradizione e attualità del pensiero federalista italiano, in Fedeintesa come sintesi di scienza e tecnica, umanità e arte (Adriano
ralismo in cammino, Coscienza Svizzera e Armando Dadò, Locarno
Olivetti e le Edizioni di Comunità 1946-1960).
1995.
DALLA “SUISSE” 185
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
principi guida di cui Adriano Olivetti
parla nel suo celebre saggio Città
dell’uomo».
Adriano Olivetti,
ritratto di
un imprenditore
illuminato
VALERIO CASTRONOVO
Presidente Centro Studi di Roma;
storico dell’economia e dell’industria italiana
Adriano Olivetti,
portrait of an illuminated businessman
He was a “positive utopian”, but in reality, his dream was firmly rooted in the
industrial and territorial reality in which he asserted himself with intelligence and
determination. The “ factory with a human face” was well integrated into the
productive dynamism of the Canavese region, which responded at the end of the
1950s to the extraordinary increase in the demand for durable consumer goods,
such as typewriters. His winning card was not only enthusiasm. He surrounded
himself with technicians and engineers with keen professional skills; he was
meticulous with regard to the interaction between practicality and aesthetics,
relying on the contribution of ingenious architects. All of this gave him the
possibility of realizing a business that united profit with social commitment, with
the prospect of promoting a people-friendly work ethic on all levels.
186 DALLA “SUISSE”
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
F
ra le tante definizioni che si sono date di Adriano Olivetti,
una mi sembra più appropriata e congeniale alla figura di
un imprenditore così atipico. Quella di “utopista positivo”
cconiata a suo tempo da Ferruccio Parri, il leader della
Resistenza e primo capo del governo dell’Italia democratica. Quel
che contrassegnò l’opera di Adriano fu infatti un utopismo pragmatico. Sia perché egli svolse un’azione concreta volta ad abbinare cultura e industria; sia perché era animato dall’intento di
coniugare le regole economiche con la responsabilizzazione sociale dell’impresa. Quella che Adriano si proponeva di realizzare
era una “fabbrica dal volto umano”: ossia, una comunità di lavoro al passo con le tecnologie più aggiornate, ma senza che il
macchinismo avesse il sopravvento sul fattore umano; con i
conti dell’azienda in attivo, ma senza che la logica del profitto
fosse l’unico metro di giudizio e di condotta.
D’altra parte, a orientare fin dai primi anni della sua formazione il giovane Adriano (di madre valdese e di padre appartenente a una famiglia ebrea) verso l’obiettivo di conciliare umanesimo
e industrialismo, era stato un duplice ordine di suggestioni e di
esperienze. Da un lato, sul piano intellettuale, il personalismo
cristiano di Maritain e di Mounier e gli ideali del riformismo socialista. Dall’altro, quale moderno imprenditore, la conoscenza diret-
Ritratto di Adriano Olivetti, 1959.
ta, acquisita durante varie sue visite negli Stati Uniti, tanto dei
risultati pratici quanto dei problemi sociali posti dagli sviluppi del
taylorismo e del fordismo. Inoltre, in quegli stessi anni in cui egli
figurava schedato nei rapporti della polizia fascista con l’etichetta di “sovversivo”, aveva cominciato a tracciare il progetto di
un’organizzazione statuale su basi federaliste. Una nuova compagine, nella quale le rappresentanze dell’industria, del lavoro e
della cultura avrebbero dovuto divenire altrettante componenti
costitutive di un ordinamento istituzionale articolato sulla triade
di comunità, regione e federazione.
Questo disegno che Adriano mise poi a punto durante l’esilio in Svizzera, dove era riparato nell’ottobre 1943, dopo l’avvento della Repubblica di Salò, e che pubblicò ne L’ordine politico
delle comunità, era parso a molti osservatori, all’indomani della
Liberazione, il frutto di congetture del tutto astratte. Non così
l’aveva giudicato Luigi Einaudi che, pur dissentendo da alcune
argomentazioni dell’autore, condivideva tuttavia una prospettiva
come quella olivettiana che mirava a una sorta di self government
e s’ispirava ai principi del pluralismo politico: quegli stessi che il
futuro presidente della Repubblica riteneva essenziali sia per
evitare che si riproducessero le strutture verticistiche e burocratiche del vecchio Stato centralistico, sia per scongiurare il sopravvento sulla società civile di partiti ideologici di massa e dei loro
apparati.
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
Adriano Olivetti era dunque giunto fin dall’immediato dopoguerra ad auspicare, insieme alla realizzazione di una “comunità
di fabbrica a misura d’uomo”, che fosse pure una fucina di evoluzione culturale e sociale, e non solo una macchina di produzione, anche l’avvento di un sistema democratico che avesse per
suoi cardini lo sviluppo delle autonomie locali e nuove forme di
rappresentanza e di autogoverno.
Nella maturazione di questi suoi propositi ebbero parte rilevante non soltanto le sue matrici culturali e quell’intelligenza intuitiva e contagiosa, quasi profetica, che pur in seguito rimarrà
uno dei suoi tratti distintivi inconfondibili. Importanti furono anche
certe caratteristiche specifiche dell’impresa di cui era titolare e
le connotazioni altrettanto peculiari dell’ambiente dove si trovava
a operare. Tanto l’azienda ereditata dal padre, che nell’immediato dopoguerra era poco più che uno stabilimento di medie dimensioni, ancorché rinomato, quanto la sua piccola patria d’origine,
una marca di confine come il Canavese, si prestavano infatti sia
all’intento perseguito da Adriano di creare un’impresa che abbinasse a capacità progettuali innovative un sistema di relazioni
industriali aperto alla partecipazione dei lavoratori; sia al suo
obiettivo di dar vita a un esperimento di democrazia dal basso,
ossia a quella che egli chiamava una “comunità concreta”, protagonista di nuove forme di organizzazione sociale a livello territoriale.
Quanto abbiano contato questi due elementi, la configurazione intrinseca di un’azienda le cui possibilità di successo erano
legate a una forte dose di creatività e di eccellenza tecnica, e la
fisionomia dell’Eporediese ancora in gran parte piccolo-contadina
ed estranea a un urbanesimo spinto, lo si può riscontrare dalla
tipologia e dalle direttrici di marcia della Olivetti nel corso degli
anni Cinquanta.
Camillo Olivetti e la sua famiglia. In alto a destra Adriano Olivetti.
Camillo Olivetti and his family. Top right Adriano Olivetti.
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
Veduta aerea degli stabilimenti Olivetti di Ivrea, anni ’60.
Aerial view of the Olivetti plants in Ivrea, 1960s.
È pur vero che anche per l’impresa canavesana (non diversamente che per la Fiat e le altre aziende del settore meccanico),
la leva fondamentale che innescò uno sviluppo della produzione
senza precedenti e a costi decrescenti, fu la domanda sempre
più ingente di nuovi beni di consumo durevoli. Tant’è che nel
1958, rispetto all’inizio di quel decennio, il numero delle macchine da scrivere collocate sul mercato s’era moltiplicato per più di
quattro volte e mezzo, quello delle portatili di quasi nove e quello
delle macchine contabili per più di sessantasei volte. E ciò non
solo per la familiarizzazione degli italiani con i nuovi strumenti
della scrittura e del calcolo meccanico, ma anche per l’allargamento degli sbocchi commerciali sui mercati esteri.
Tuttavia se l’Olivetti conobbe un’ascesa travolgente, lo dovette per tanti versi a un insieme di retaggi e di fattori che avevano a che vedere tanto con la particolare strategia aziendale
adottata da Adriano quanto con lo scenario economico e sociale
del Canavese.
Dalla sua fondazione nel 1908 per iniziativa di Camillo Olivetti, l’impresa canavesana non solo aveva conservato un sistema di gestione fortemente personalizzato (al punto che il fondatore e suo figlio si occupavano anche della formazione dei capi
operai). Essa era rimasta altresì fedele alla propria vocazione
originaria, incentrata soprattutto sul perfezionamento dei procedimenti operativi, sulla ricerca e sulla sperimentazione, dall’attrezzaggio alle linee del prodotto. Si trattava in sostanza di un’impresa di tecnici e di ingegneri con robuste capacità professionali.
Se nel campo della produzione determinate attitudini e capacità progettuali furono l’arma vincente dell’Olivetti, un design e
una grafica particolarmente originale svolsero, a loro volta, un
ruolo importante nel conferire alla Olivetti dei propri specifici
tratti distintivi e nell’assecondare, di conseguenza, le sue politiche promozionali. Di questo intreccio tra funzionalità ed estetica
furono artefici alcuni geniali architetti (da Belgioioso a Perasutti,
a Rogers, da Carlo Scarpa a Nizzoli, ad altri ancora). La loro opera contribuì anche all’allestimento di alcune sedi dell’Olivetti, in
Italia e all’estero, che rafforzarono l’immagine e il prestigio
dell’azienda di Ivrea.
Quanto al secondo elemento che concorse a fare dell’Olivetti un’azienda sui generis, con un timbro del tutto particolare,
va detto che un territorio come il Canavese, ancora esente dall’af-
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flusso di forti correnti immigratorie e da una proliferazione di attività industriali, ben si prestava a fare da modello per un disegno
di programmazione che saldasse armonicamente l’espansione di
una grande impresa con l’economia agricola del contado, il capoluogo alle borgate dell’entroterra: ossia, alla convinzione di Adriano che si dovesse puntare sull’impianto di alcune aziende di lavorazione dei prodotti della terra nel circondario e nelle vallate
prealpine, piuttosto che incentivare l’immigrazione di contadini e
valligiani ad affollare, in cerca di lavoro, le aree urbane. Anche la
figura dell’operaio allora prevalente negli stabilimenti della Olivetti, che non aveva interrotto del tutto i rapporti con la campagna
intorno a Ivrea sia per la loro residenza nelle località d’origine sia
in virtù del fatto che le loro famiglie possedevano per lo più dei
piccoli fondi, offriva molti punti d’appoggio per una filosofia come
quella del movimento di Comunità e del sindacato di “Autonomia
aziendale”. Sia l’uno sia l’altro intendevano infatti affrancare la Adriano Olivetti accanto ad alcuni giovani operai nella fabbrica di Ivrea verso la
classe lavoratrice dalla servitù psicologica e dalle alienazioni del fine degli anni Cinquanta (Publifoto).
lavoro alla catena di montaggio e dall’anonimato della grande Adriano Olivetti next to several young workers in the Ivrea factory toward the end
fabbrica.
of the 1950s (Publifoto).
Dunque, da un lato, un’impresa contrassegnata da un’alta
qualità e da un’eccellente concezione stilistica dei suoi prodotti;
Quella che Adriano realizzò nel corso degli anni Cinquanta
dall’altro, un comprensorio immune dai traumi del gigantismo fu, dunque, un’avventura imprenditoriale pressoché unica, fuori
industriale e da un’eccessiva congestione urbana. Furono queste dall’ordinario per quei tempi, e tale da costituire un modello mai
le fondamenta su cui Adriano Olivetti fece assegnamento per più eguagliato in seguito. Un’impresa che, insieme a brillanti rirealizzare un complesso industriale d’avanguardia per la sua sultati economici, conseguì anche singolari obiettivi di carattere
cultura d’impresa e le sue specifiche politiche sociali.
sociale; che dava modo ai suoi dirigenti di ampliare le loro visuaA tal fine si rivelò comunque essenziale l’apporto delle idee li oltre l’orizzonte delle proprie particolari competenze e di fare
e delle intuizioni del tutto personali di Adriano, che non avevano cose nuove; che corrispondeva agli operai che vi lavoravano saper riferimento né i retaggi del positivismo né i canoni dell’ideali- lari più elevati di un terzo rispetto a quelli vigenti nei contratti
smo e del marxismo. Risultarono invece preziose per la sua for- nazionali di categoria. Inoltre, Adriano aveva promosso un ventamazione culturale le riflessioni di pensatori e intellettuali come glio di servizi sociali riconosciuti come altrettanti diritti delle maeSchumpeter, Kelsen, Friedmann, Mounier, Simone Weil, Mum- stranze (case, asili, colonie, trasporti, scuole professionali e
ford. Esse erano infatti importanti non solo per comprendere svariate forme di assistenza). Ma aveva anche disposto che la
meglio i problemi di fondo del capitalismo e del socialismo, ma biblioteca aziendale annoverasse opere delle più diverse tendenanche per capire in pieno quale rilevanza
ze, anche quelle più radicali ed eterodosse;
Manifesto per la convocazione della Consulta del
avessero nella società contemporanea le
e che alle conferenze che si tenevano ogni
Consiglio di Gestione.
conoscenze scientifiche, le trasformazioni
lunedì nei suoi centri culturali, per gli operai
The notice for summoning the Management
del lavoro, il diritto come tecnica di organize gli impiegati, venissero invitati relatori di
Board Council.
zazione sociale, l’urbanistica per la qualità
differenti orientamenti – marxisti, liberali,
della vita e i rapporti con l’ambiente.
cattolici. E questo in un Paese diviso a quel
D’altra parte, Adriano Olivetti si avvaltempo da forti contrapposizioni politiche e
se, tanto nella conduzione della sua impreideologiche.
sa quanto nelle relazioni culturali che feceSe queste e altre ancora furono le
ro da collante ai suoi progetti, del contribuiniziative di carattere innovativo che Adriato di un folto staff di intellettuali-manager
no Olivetti realizzò nell’ambito della sua
e di consulenti provenienti dai più diversi
fabbrica, in conformità ai suoi propositi di
campi delle scienze sociali e umane, ma
natura sociale, ugualmente lungimiranti
accomunati da una visione che infrangeva
appaiono, ancor oggi, le sue concezioni in
il muro degli specialismi. Sociologi, economateria di politica del territorio. A questo
misti, psicologi, politologi, architetti e desiriguardo aveva certamente appreso alcuni
gner, ma anche scrittori e letterati. Non è
elementi di giudizio dalla sua conoscenza
qui il caso di citare dei nomi; basterà dire,
diretta di una realtà come quella elvetica.
per rendersi conto dei loro orientamenti,
Di fatto, Adriano muoveva dall’ideale di una
che essi, per lo più, appartenevano idealfederazione di piccole-medie comunità
mente a quella che allora veniva definita
territoriali, quali cellule primarie dell’orgacome la “terza forza”, ossia una sinistra
nizzazione statuale, che consentissero sia
laica e di formazione neo illuminista, tenun rapporto diretto fra eletti ed elettori sia
dente a mutuare criteri e modelli d’azione
lo sviluppo di particolari forme di autogoverdalla cultura progressista nord europea e
no. In tal modo intendeva contrastare
americana.
l’esautoramento della società civile da
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parte di uno Stato burocratizzato e dalle
dell’imprenditoria americana, quello stesoligarchie dei principali partiti.
so che aveva tenuto a battesimo a fine
A questo suo progetto egli cercò di
Ottocento il prototipo della macchina da
dare consistenza concreta a Ivrea e in
scrivere e monopolizzato, per tanti decenalcuni centri del Canavese amministrati
ni, uno dei campi più esclusivi della mecdal Movimento di Comunità, da lui creacanica di precisione con una produzione
to nel 1950. E contestualmente provviin serie dalle cadenze di centinaia di mide sia a decentrare alcune aziende
gliaia di pezzi l’anno. Qualcosa come la
dell’indotto dell’Olivetti nelle località limiSinger fra le macchine da cucire o come
trofe sia a creare un Istituto (l’Irur) che
la Ford fra le automobili, un traguardo che
aveva lo scopo di assecondare la formasia Camillo sia Adriano Olivetti (andati
zione nelle campagne circostanti di picvarie volte in pellegrinaggio a Hartford per
cole imprese e cooperative agricole Sopra: cerimonia di inaugurazione del primo nucleo di guardare e imparare) non avevano nemcase per i dipendenti dello stabilimento Olivetti di Pozzuoli meno lontanamente immaginato di poter
tecnicamente attrezzate.
Di fatto, il Piano regolatore del (Napoli) il 23 aprile 1955. Sotto: Roberto Olivetti nel mettere in conto fra i loro più arditi piani
Canavese da lui promosso nel 1951, maggio 1960 riceve a Firenze la laurea ad honorem per l’avvenire.
assegnata dalla Facoltà di Scienze Politiche “C. Alfieri”
l’opera culturale ed educativa svolta dal alla memoria dell’ing. Adriano Olivetti, scomparso il 27
Ma non si trattò dell’unica impresa
Movimento di Comunità in vari piccoli febbraio di quello stesso anno (Foto Locchi-Firenze).
che Adriano realizzò in quel tornante.
centri e i programmi di investimento Above: the inauguration ceremony of the first group of L’altra fu quella di allineare la Olivetti agli
dell’Irur in impianti irrigui, rimboschimen- houses for employees of the Olivetti plant in Pozzuoli stessi nastri di partenza della Ibm, e in
ti e infrastrutture, per uno “sviluppo in- (Naples) on April 23, 1955. Below: Roberto Olivetti in May anticipo sui giapponesi, in un settore
tegrato” fra agricoltura e industria, con- 1960 as he receives an honorary degree in Florence from strategico come quello dell’elettronica.
tribuirono a imprimere tratti del tutto the “C. Alfieri” Political Science Faculty in memory of Lui e il figlio Roberto avevano infatti intuipeculiari all’ambiente e alla vita colletti- Engineer Adriano Olivetti, who passed away February 27 to in tutta la loro portata le potenzialità
of the same year (Photo Locchi Florence).
va locale, nonché ad assicurare una diche sarebbero derivate col passaggio dei
mensione socialmente accettabile agli
transistor ai circuiti integrati e ai semiconimpetuosi ritmi di sviluppo dell’Olivetti,
duttori. Tant’è che s’erano assicurati l’apassurta nel volgere di pochi anni ai fasti
poggio di Enrico Fermi e avevano dato vita
di una grande impresa.
a un’équipe di scienziati e specialisti, di
Quello di Adriano non fu tuttavia un
concerto con l’Università di Pisa, la cui
itinerario scevro di remore e intralci, in
opera s’era tradotta nella realizzazione
quanto egli si scontrò, sul versante delle
nel 1959 dei primi grandi calcolatori
politiche sociali, sia con l’avversione e
“Elea”. Dopo la scomparsa di Adriano nel
lo scetticismo di gran parte dell’estafebbraio 1960, fu perciò un grave errore
blishment industriale, sia con la contradi fatto e di valutazione quello poi comrietà dei principali sindacati che, per
messo da un gruppo d’intervento finanziamiopia o per pregiudizi ideologici, consirio per il risanamento dell’Olivetti (ancorderavano l’indirizzo inaugurato dalla Olivetti nei rapporti con le ché fosse composto dai maggiori nomi dell’industria e della finanproprie maestranze una sorta più aggiornata di paternalismo za italiana) che giudicò i computer un sogno avveniristico, se non
padronale, se non come una vera e propria mistificazione.
un giocattolo. Fu così che, qualche anno dopo, la Divisione eletIn realtà, Adriano non voleva essere definito, dai suoi esti- tronica dell’Olivetti venne purtroppo ceduta alla General Electric.
matori, come un “patron” illuminato. Egli si sentiva e intendeva
essere un “riformatore”. In effetti, le sue iniziative pratiche come Roberto Olivetti in visita alla Olivetti Underwood, a Toronto, in Canada, nel 1969.
le sue proiezioni avveniristiche avevano per denominatore comu- Roberto Olivetti during a visit to the Olivetti Underwood in Toronto, Canada in 1969.
ne un’ispirazione che traeva origine e fondamento da un progetto politico-culturale. Al punto che egli giunse a concepire l’idea
di convertire un giorno la sua azienda in una fondazione sulla
base di un nuovo assetto proprietario che rappresentasse le
varie componenti del mondo della produzione, della cultura e del
lavoro.
Un personaggio, dunque, controcorrente sotto ogni aspetto,
tanto da essere additato di volta in volta come un temerario, un
visionario, quando non come un uomo perso dietro il suo sogno
di coniugare progresso industriale e democrazia economica, efficientismo tecnologico ed equità sociale.
Eppure Adriano era riuscito a portare a compimento nel
1959, un anno prima della sua prematura scomparsa, un’impresa come l’acquisizione della Underwood. Mai l’industria italiana
era stata in grado di realizzare un’iniziativa così rilevante a livello
internazionale, ossia la scalata a uno dei massimi “santuari”
Adriano Olivetti:
tra sogno e realtà
MAURO LEO BARANZINI
Professore ordinario, Università della Svizzera italiana;
Membro Istituto Lombardo, Accademia Scienze e Lettere, Milano
FABRIZIO FAZIOLI
Laureato in scienze economiche e sociali
all’Università di Neuchâtel, giornalista e autore
La scienza economica e le teorie dell’impresa
Gli studiosi di economia arrancano sempre quando si tratta
di offrire un quadro analitico dei comportamenti degli attori economici. Lo scozzese Adam Smith (1723-90) nella seconda metà
del Settecento descriveva con attenzione i vantaggi della divisione
del lavoro all’interno delle fabbriche, e la mano invisibile che guida
gli imprenditori e che nel contempo fa l’interesse supremo sia
degli stessi sia della società tutta intera. I marginalisti (dal 1870
al 1936 circa) si sono occupati della combinazione dei fattori
produttivi delle aziende così da minimizzare i costi o da massimizzare l’utile di breve periodo. Fu Alfred Marshall (1842-1924),
dell’Università di Cambridge, che definì le condizioni con le quali
l’impresa in concorrenza perfetta massimizza il super-profitto di
breve periodo. Tuttavia Marshall si limitò alle tecniche produttive,
piuttosto che rivolgere la sua attenzione alle strategie aziendali.
Poi la teoria dell’impresa registrò un’improvvisa accelerazione a partire dalla fine degli anni Venti del secolo scorso, sempre
a Cambridge in Inghilterra. Dapprima con le sorprendenti analisi
di Piero Sraffa (1898-1983), Richard Kahn (1905-89) e Joan
Robinson (1903-83) che elaborarono i modelli dei mercati imperfetti, come monopolio, oligopolio e concorrenza monopolistica.
Questi contributi sono stati importanti per meglio capire i meccanismi della micro-economia e delle varie forme di mercato. Ma
bisognerà aspettare fino al secondo dopoguerra per le moderne
teorie manageriali dell’impresa.
Serigio Libis
I diversi obiettivi dell’impresa
Le strategie e gli obiettivi dell’impresa privata sono determinati: a) dalla sua proprietà giuridica (se posseduta direttamente
da una persona o attraverso una società); b) dal tipo di mercato
sul quale opera (concorrenza perfetta, concorrenza monopolistica, monopolio, oligopolio); e c) dai rapporti di forza fra gruppi con
interessi differenti (azionisti, dirigenti, sindacati e creditori). Va
notato che l’organizzazione delle medie e grandi aziende moderne
differisce da quella dell’impresa classica di tipo familiare di un
tempo, sia per dimensione, sia per organizzazione e quota di
mercato.
Pubblicità Olivetti anni Settanta.
Olivetti advertising from the 1970s
Adriano Olivetti:
between dream and reality
In the spectrum of managerial theories of different businesses, trends in the
prospect of progress include: maximizing super-profits, maximizing sales and
maximizing growth rates. The Olivetti experience was a breakthrough initiative
in many senses. These uncommon entrepreneurial skills led the company to
have 16,000 employees in 1960 in Italy alone. Abroad, international prestige
was ensured by the takeover of Underwood, a leader in the field. Today,
perhaps we should reconsider those illuminated choices, going beyond a
“short-sighted” free market and the greed of Raiders with Fast Buck mentality.
With regard to the recent financial crisis, it has nothing to do with a utopia but
rather, a more open-minded view of the concept of development.
190 DALLA “SUISSE”
La massimizzazione del super-profitto
Il super-profitto di un’impresa è eguale alla differenza fra i
suoi ricavi e i costi totali; si fa l’ipotesi della sua massimizzazione
in base alle funzioni di costo (offerta) e di ricavo (domanda)
dell’impresa. Tale ipotesi è basata:
1) sulla convinzione che i super-profitti possano essere contabilizzati in modo preciso. Questo richiede la conoscenza del valore dei ricavi totali e dei costi totali per un ampio intervallo di
produzione;
2) sul concetto di impresa olistica, con un’unica e inscindibile
unità decisionale, che agisce con i medesimi criteri dell’imprenditore-padrone-dirigente di una volta.
Il concetto di massimizzazione dei super-profitti ha dominato
l’analisi micro-economica dal 1870 al 1950 circa; in seguito
vennero formulati nuovi modelli.
La teoria di Baumol della massimizzazione
delle vendite (o dei ricavi totali)
William Baumol ha proposto la prima teoria manageriale in
alternativa alla massimizzazione del super-profitto, e cioè quella
della massimizzazione del ricavo dalle vendite, con i seguenti argomenti:
Alcuni operai nella fabbrica Olivetti di Pozzuoli nel 1958.
Several workers in the Olivetti factory in Pozzuoli in 1958.
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
Adriano Olivetti tra la folla.
Adriano Olivetti in a crowd.
Riassumendo, per Baumol i manager mirano alla massimizzazione delle vendite per accrescere il loro statuto associato con
la conduzione di grandi aziende, e il proprio potere strettamente
collegato ai fattori produttivi, quali il capitale umano, macchinario,
tecnologia e capitale finanziario. Il potere è inoltre associato alla
quota di mercato.
Il modello di crescita dell’impresa manageriale
di Robin Marris
Per l’economista di Cambridge Robin Marris, l’impresa tende a massimizzare il “saggio di crescita equilibrata”, espresso
dal saggio di crescita della domanda per i propri prodotti e del
suo capitale sociale. Massimizzando congiuntamente il saggio di
crescita della domanda e del capitale sociale, i manager perseguono un duplice obiettivo: massimizzare la loro utilità (o sicurezza) e allo stesso tempo le aspettative dei proprietari-azionisti.
Ricordiamo che i modelli manageriali si fondano su una netta separazione tra la proprietà e il controllo
dell’impresa. La funzione di utilità
dei manager ha come oggetto gli
stipendi, il potere, la sicurezza del
lavoro e il loro status sociale; gli
azionisti-proprietari hanno una funzione di utilità che comprende anzitutto i profitti e l’entità del capitale.
Per Marris la classe manageriale non ambisce a massimizzare
la dimensione assoluta dell’impresa, bensì il suo saggio di crescita.
La Koutsoyiannis sottolinea che «i
manager preferiscono essere promossi nell’ambito della medesima
organizzazione in espansione, piuttosto che doversi spostare in una
organizzazione più grande, dove
l’ambiente potrebbe dimostrarsi
ostile nei confronti del nuovo arrivato». I dirigenti punterebbero quindi
alla massimizzazione del saggio di
crescita dell’impresa piuttosto che
alla sua dimensione.
Cartier-Bresson - Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
1) la separazione della proprietà dell’azienda dall’effettiva
conduzione, tipica dell’impresa moderna. Ciò dà ai direttori-dirigenti un certo grado di libertà nel management dell’azienda, così
da poter mirare alla massimizzazione delle vendite, piuttosto che
a quella del super-profitto;
2) sovente le retribuzioni dei manager, inclusi bonus e fringe
benefits, sono più in relazione con il livello delle vendite che con
quello dei profitti;
3) gli istituti finanziari tendono a dare maggiore importanza al
volume delle vendite o dei ricavi totali in occasione di richieste di
finanziamento per nuovi investimenti;
4) nel contesto di mercati non concorrenziali una maggior
quota di mercato permette di: a) controllare e scoraggiare l’entrata di nuovi concorrenti; b) controllare l’operato dei concorrenti già
esistenti, limitandone eventuali ambizioni espansive; c) esercitare un maggior potere sui prezzi; d) esercitare un certo controllo
sui fornitori di materie prime; e) meglio controllare i canali distributivi;
5) la politica del personale risulta più facile quando le vendite
sono in espansione, in quanto ciò comporta una diminuzione del
rapporto costi fissi/costi totali;
6) rilevanti vendite, crescenti nel tempo, danno prestigio ai
direttori-dirigenti, mentre rilevanti profitti vanno soprattutto a
vantaggio degli azionisti-comproprietari;
7) la correlazione fra livello delle vendite e retribuzioni dei
manager è la risultante a) della necessità di offrire salari competitivi per assumere i quadri manageriali inferiori o medi; b)
della struttura della gerarchia manageriale, più ridotta per le
piccole aziende e più articolata per le grandi; c) del principio
secondo il quale a responsabilità maggiori corrisponde una retribuzione superiore.
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Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
A sinistra: veduta dell’edificio destinato alla presidenza della fabbrica Olivetti di
Pozzuoli costruita nella prima parte degli anni ’50 su progetto di Luigi Cosenza.
A destra: alcuni allievi del corso biennale di qualificazione per elettromeccanici
durante un’esperienza di laboratorio.
Left: a view of the building designated for the presidency at the Olivetti plant in
Pozzuoli built in the first part of the 1950s according to Luigi Cosenza’s design.
Right: several students in the biennial qualification course for electromechanical
fitters during a laboratory experience.
La tecnostruttura di John Kenneth Galbraith
La teoria della tecnostruttura di John Kenneth Galbraith è
basata sulla convinzione che le grosse imprese hanno la possibilità di creare la loro propria domanda, attraverso la pubblicità,
la ricerca e lo sviluppo. Galbraith è convinto che la figura dell’imprenditore-proprietario stia scomparendo.
Alla direzione dell’impresa l’imprenditore è stato sostituito da
un consiglio d’amministrazione, che è un organo collettivo, imperfettamente definito; nella grande società comprende il presidente
del consiglio, il presidente della società, alcuni vicepresidenti con
importanti responsabilità settoriali o relative al personale, i titolari
di altre importanti posizioni dirigenti ed eventualmente i capidivisione ed i capireparto [...]. Questo gruppo è molto vasto: va dai più
alti funzionari della società fino a toccare, al limite, i dipendenti dal
colletto bianco e blu la cui funzione consiste nell’uniformarsi alle
disposizioni o alla routine. Ne fanno parte tutti coloro che contribuiscono con cognizioni specialistiche, talento o esperienza alle decisioni di gruppo. Questo, non il consiglio d’amministrazione, è l’intelligenza direttiva – il cervello – dell’impresa. Propongo di chiamare
questa organizzazione tecnostruttura (JKG).
La ditta di Ivrea era diventata un solido e rispettato organismo. Gli esperti stranieri affermavano che la Olivetti era un’industria eccellente, con un capo pieno di idee geniali, ottimi tecnici e
ottime maestranze, che offriva prodotti robusti ed eleganti, creava
una pubblicità efficace e aveva tradizione di correttissima moralità
commerciale (Caizzi, 1962, p. 231).
Adriano Olivetti era fortemente impegnato sul fronte della
“responsabilità sociale”, rompendo con gli schemi della teoria
tradizionale dell’impresa:
Le fabbriche, gli uffici amministrativi, e i centri di ricerca
furono concepiti a misura d’uomo «perché questi trovasse nel suo
ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza. Per questo abbiamo voluto le finestre basse
e i cortili aperti, e gli alberi nel giardino ad escludere definitivamente l’idea di una costrizione e di una chiusura ostile» (Caizzi,
1962, p. 223).
Sarebbe riduttivo asserire che questa preoccupazione di
Adriano Olivetti possa essere spiegata con questo suo ricordo
personale:
Nel lontano agosto 1914, avevo allora 13 anni, mio padre mi
mandò a lavorare in fabbrica. Imparai così ben presto a conoscere
e odiare il lavoro in serie; una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di
una vecchia officina. Per molti anni non rimisi piede nella fabbrica,
ben deciso che nella vita non avrei atteso all’industria paterna.
Passavo davanti al muro di mattoni rossi della fabrica, vergognandomi della mia libertà di studente, per simpatia e timore di quelli
che ogni giorno, senza stancarsi, vi lavoravano (Adriano Olivetti,
citato in Caizzi, 1962, p. 132).
Adriano Olivetti sostituirà, per le proprie maestranze, la
“vecchia fumosa officina” con un ambiente luminoso, rassicurante, riducendo la fatica e la durata del lavoro, assicurando ai collaboratori di ogni livello le migliori previdenze assistenziali e il
migliore alloggio possibile. Poco prima di morire avrà a dire ai
collaboratori:
Ora che ho lavorato anch’io con voi tanti anni, non posso io
stesso dimenticare e accettare le differenze sociali che come una
situazione da riscattare, una pesante responsabilità densa di doveri. Talvolta, quando sosto brevemente la sera e dai miei uffici
vedo le finestre illuminate degli operai che fanno il doppio turno
alle tornerie automatiche, mi vien voglia [...] di andare a porgere un
saluto pieno di riconoscenza a quei lavoratori attaccati a quelle
macchine che io conosco da tanti anni (Adriano Olivetti, citato in
Caizzi, 1962, pp. 133-4).
L’impresa privata tra profitto massimo e responsabilità sociale
L’industria creata dagli Olivetti incorpora diversi degli elementi menzionati sopra, e rappresenta un apripista per diverse sue
innovazioni. Notiamo che quando si parla di impresa con un forte
senso di “responsabilità sociale”, si immagina una figura di imprenditore di terza o quarta generazione che parte con enormi mezzi
finanziari, indipendentemente dalle sue qualità imprenditoriali. Invece, almeno nel caso di Camillo (padre) e di Adriano (figlio) Olivetti si tratta anzitutto di persone con doti manageriali ed imprenditoriali fuori dal comune. Ben dice Bruno Caizzi (1962, p. 233):
La fortuna della società di Ivrea fu che all’appuntamento col
destino si presentasse un uomo della tempra di Adriano che non
aveva bisogno di essere incoraggiato ad osare. Adriano sapeva
fiutare le circostanze e come nessun altro era in grado di trarne
partito. Il suo temperamento lo portava a prendere risolutamente
l’iniziativa e ve lo portava la sua esperienza [...].
Vi era dunque dietro tutto questo un disegno imprenditoriale di risonanza mondiale, che nel 1960, anno della prematura
scomparsa di Adriano Olivetti, portò il numero dei dipendenti a
16.000 in Italia, senza contare le migliaia all’estero, e la partecipazione al 69% dell’americana Underwood (che fu leader mondiale per decenni). Il riconoscimento delle qualità manageriali di
Adriano Olivetti era anche internazionale.
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La priorità dell’occupazione sul profitto di breve periodo colo. Fast buck, soldi in fretta, il motto degli speculatori, libero
l’abbiamo trovata nella reazione di Adriano Olivetti alla mini-reces- mercato, competitività a qualsiasi prezzo e poca etica sono divesione del 1952, quando un rallentamento dell’economia mondia- nute costanti in diversi settori della nostra economia. Il problema
le portò ad una forte contrazione delle vendite di macchine per è che il libero mercato “vede corto”. Lo storico lombardo Raul
scrivere e di calcolatrici. Secondo la teoria economica di allora, i Merzario, introducendo il volume di Stefania Bianchi Le terre dei
dirigenti della Olivetti avrebbero dovuto tagliare la produzione e Turconi, discute della nozione di prezzo nel Settecento e nell’Otmantenere i prezzi stabili per minimizzare le perdite. La reazione tocento nell’alta Lombardia. Il prezzo è sì collegato a quello del
di Adriano Olivetti fu però diversa: lanciò subito una strategia di grano e alle strategie imprenditoriali dei proprietari terrieri, ma
espansione più dinamica e più audace. In Italia in quell’anno fu- l’autrice «ci ha dimostrato, con dati alla mano, che il prezzo nei
rono assunti 700 nuovi venditori, fu ribassato il prezzo delle secoli dell’età moderna è determinato sì da fattori economici, ma
macchine, furono create numerose nuove filiali. Questa politica ancora di più da valori sociali come i rapporti di forza tra le clasebbe pieno successo. Una reazione che in un certo senso antici- si, la rilevanza dell’autoconsumo contadino, i rapporti di parentepava le teorie manageriali dell’impresa, della massimizzazione la, amicizia, vicinato tra compratori e venditori ed altro ancora».
della crescita di lungo periodo. Le maestranze hanno sovente ri- Questi sono principi che hanno caratterizzato la nostra società
compensato l’Olivetti per questa politica a loro favore. Basti ricor- prima del XX secolo. Con importanti eccezioni. Come quella della
dare che quando gli occupanti nazisti avevano più di una volta dinastia degli Olivetti, per la quale prima sta l’uomo e poi il fast
pensato di far saltare la fabbrica durante la Seconda Guerra buck.
mondiale, gli operai trafugarono parte dei macchinari a casa loro,
in attesa di tempi migliori. Macchinari che subito dopo l’armistizio Lo spirito dell’epoca
tornarono in fabbrica, per la ripresa della produzione.
Vale la pena a questo punto di immergerci nell’ambiente
Anche nella strategia di assunzione e di formazione delle sociale e storico in cui è cresciuto e ha operato il progetto di
maestranze Adriano Olivetti fu un precursore. Mentre nell’indu- Adriano Olivetti: un periodo unico e glorioso per i successi in
stria automobilistica fino al 1970 circa dominava ancora la cate- generale dell’economia, per la conquista del benessere e per le
na di montaggio alla quale lavoravano operai poco qualificati, con aspettative democratiche della gente. Le rivendicazioni sociali per
conseguente assenteismo e demotivazione, alla Olivetti già negli la verità erano già state abbozzate dopo la prima Grande Guerra,
anni Cinquanta si assumevano il fior fiore dei tecnici sfornati dai ma furono frenate dalla crisi degli anni Trenta e poi ancora dal
politecnici, università ed istituti tecnici.
secondo conflitto mondiale. Riemersero e presero grande vigore
La trasformazione strutturale della Società ha visto crescere solo negli anni Cinquanta, nella piena convinzione che il concorso
[...] il numero degli ingegneri e dei tecnici rispetto agli impiegati al benessere fosse un diritto e che anche il lavoro potesse pargenerici, il numero degli operai qualificati rispetto ai semplici ma- tecipare degnamente al processo distributivo della ricchezza
novali. La fabbrica impiega sempre più laureati, diplomati e specia- prodotta. Si cullava pure l’illusione che alla democrazia politica
listi, chiede al Paese maestranze aventi una certa preparazione del suffragio universale potesse finalmente succedere anche una
professionale, anche al basso della piramide sollecita una migliore effettiva democrazia economica, più compartecipe e attenta ai
educazione scolastica e se ne fa essa stessa promotrice (Caizzi, bisogni sociali della gente. Tutto insomma era in crescita e non
1962, p. 241).
solo all’Olivetti: la produzione, la produttività, l’occupazione, i
Anche qui Adriano Olivetti anticipa l’introduzione del “model- salari, i prezzi, i consumi, i risparmi, gli investimenti, la spesa
lo giapponese”, iniziata negli anni 1970,
pubblica, in un clima generale e irripetibile
come superamento “della catena di mon- La palazzina che ospita le attività di ricerca e di vero miracolo economico.
taggio”, di fordiana memoria. Qui è la sperimentazione della Olivetti a Ivrea, costruita nel
Il profilo filosofico di Adriano Olivetti
1954-55 su progetto di Eduardo Vittoria.
squadra di specialisti che compone tutta
si innesta perfettamente in questo vento
la macchina, eliminando il lavoro ripetitivo, The small building where research and experimenting portante e positivista dell’epoca, ma vi
was carried out by Olivetti in Ivrea, building in 1954con l’ausilio di macchinari moderni e alta- 1955 according to Eduardo Vittoria’s design.
aggiunge una concezione del tutto originamente efficienti come i robot. E già negli
le, alimentata certamente dalla sua cultuanni Cinquanta l’Olivetti investiva la magra e dalle sue frequentazioni di gioventù.
gior parte dei propri profitti in macchinari
Qualcuno l’ha chiamata utopia, altri visiotecnologicamente avanzati e nella ricerca,
ne, per dire in ogni caso di una spinta ben
reclutando i migliori fisici e ricercatori. Il
precisa verso un progetto d’azienda che è
sempre maggiore investimento in capitale
ben più di un risultato economico. Nella
fisico è alla base del modello giapponese,
storia industriale torinese, pur in questo
che è stato recentemente adottato e supeclima economico comune ed euforico, si
rato dal modello della Fiat italiana a Melfi,
venne insomma a creare una contrapposicon la stessa tecnica giapponese e l’apzione fra due modelli imprenditoriali ben
provvigionamento di parte delle componendistinti, quello degli Agnelli e quello degli
ti just-on-time e on-line da parte di ditte
Olivetti, che non mancarono del resto di
esterne.
affrontarsi in schermaglie nemmeno tropLa filosofia di Adriano Olivetti, come
po velate. Adriano Olivetti, considerato
vedremo sotto, carica com’è di valori etici
l’imprenditore rosso, non aderì per esempio
e umani, si trova agli antipodi della mentaalla Confindustria, manifestando così un
lità di raider (predatori) che si è diffusa a
suo disaccordo nei confronti della dottrina
partire dagli ultimi due decenni del XX seaziendale dell’epoca.
DALLA “SUISSE” 193
Un allievo del Centro Formazione Meccanici, 1962.
A student from the Mechanics Training Centre, 1962.
L’utopia di Adriano
Nel profilo formativo e filosofico di Adriano Olivetti c’erano
dunque cultura positivista e illuminista, l’industrialismo di stampo
fordista con sottofondo socialista e tanta America. Tutta roba del
Novecento, anche se alla fine della Seconda Guerra mondiale egli
si scarta all’improvviso. Non bastano più per lui né il socialismo
né il pensiero liberale. Inizia infatti a elaborare un suo concetto
originale di azienda e di società che condensa nell’idea di Comunità: una miscela di utopia e di federalismo, di autonomie locali
e di democrazia diretta (il soggiorno di Adriano Olivetti in Svizzera
durante il periodo di guerra deve averlo influenzato in tutto questo). Questa idea di Comunità diventerà anche movimento politico e persino progetto editoriale, con le Edizioni di Comunità appunto. E proprio nell’anno della sua morte, Adriano Olivetti darà
alle stampe Città dell’uomo, un libro che raccoglie scritti e discorsi sul suo Movimento, sul mondo della fabbrica, su urbanistica e
territorio, sui problemi del Mezzogiorno, con un’idea di società
integrata, compartecipe e responsabile. Il suo agire era tra l’altro
coerente con il suo pensiero. La fabbrica di Ivrea era un tutt’uno
con la città, in un rapporto quasi biunivoco con il territorio. A
differenza però delle cittadine operaie di Crespi d’Adda o delle
acciaierie Falck a Sesto San Giovanni, non c’era più quel paternalismo di stampo ottocentesco che teneva stretto e indissolubile il legame con le famiglie operaie, alloggiate nelle case e
nelle scuole della fabbrica. Dall’epoca delle macchine per scrivere d’inizio Novecento, passando per le macchine calcolatrici fino
al personal computer, le strutture e i servizi per le famiglie dei
dipendenti costituivano alla Olivetti un autentico welfare modello
impresa.
A costruire la leggenda olivettiana contribuì certamente la
presenza in fabbrica, del tutto inusuale, di uno stuolo d’intellettuali, stretti collaboratori di Adriano: urbanisti e designer, come
Zevi o Sottsass, poeti come Giudici, scrittori come Volponi (immaginate oggi uno scrittore direttore del personale di una fabbrica?), sociologi come Ferrarotti, letterati come Pampaloni. Luciano
Gallino, sociologo del lavoro di grande fama, anche lui presente
a Ivrea, è autore nel 2001 di una intervista ipotetica ad Adriano
Olivetti: «Io c’ero, fui parte della creazione del Movimento di Comunità sorto in seno alla Olivetti nel 1948. Amava la gente, ecco
perché Adriano coniugò fordismo e socialismo». Nel 2005 Luciano Gallino pubblica L’impresa irresponsabile, pensando probabilmente per converso proprio a Olivetti:
Si definisce irresponsabile un’impresa che al di là degli elementari obblighi di legge suppone di non dover rispondere ad alcuna autorità pubblica o privata, né all’opinione pubblica, in merito
alle conseguenze in campo economico, sociale e ambientale delle
sue attività [...]. Condizioni di lavoro, prezzi, trasporti, ambiente,
tempo libero, alimentazione, organizzazione della famiglia, la possibilità stessa di progettarsi un’esistenza: piaccia o no dipendono
tutte da decisioni che provengono, più che dal governo della nazione,
dal governo delle imprese [...]. Purtroppo questa responsabilità sociale delle imprese è spesso del tutto subordinata ad altre priorità.
Nulla di tutto questo nel disegno responsabile e innovativo
di Adriano Olivetti che nel 1955, in un discorso ai lavoratori, si
poneva alcune domande, rimaste ovviamente inevase, soprattutto agli occhi di chi guarda all’impresa di oggi:
Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi semplicemente
nell’indice dei profitti? Non vi è al di là del ritmo apparente qualcosa di più affascinante, una destinazione, una vocazione anche
nella vita di una fabbrica?
Ecco invece cosa dice il filosofo Umberto Galimberti in
un’intervista alla Televisione Svizzera nel febbraio del 2010:
Oggi Olivetti non sopravviverebbe, come peraltro non è sopravvissuto. Perché se uno punta sull’uomo viene soppresso da
quelli che puntano sul denaro. Olivetti ha fatto un sogno, un’utopia
molto importante, ha costruito una cultura che aveva però l’uomo
e la sua realizzazione come centro della produzione. L’invito era che
l’industria guardi alla società. L’obiezione che farei io a Olivetti, non
perché sono contrario a quella sua intenzione, ma semplicemente
perché assisto a come funziona oggi la società. Essa funziona
esattamente come gli apparati tecnici, all’interno dei quali gli uomini vengono inseriti come funzionari di apparato e non come soggetti che hanno desideri, aspirazioni e volontà. In questo sta l’utopia
di Adriano Olivetti.
194 DALLA “SUISSE”
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
A venticinque anni Adriano si era recato negli Stati Uniti
dove restò inizialmente affascinato dal fordismo, tanto da convincere il padre a riorganizzare l’impresa di Ivrea in tutt’altro modo,
ma cercò al tempo stesso di superare le tecniche puramente
tayloristiche del lavoro, applicandole in modo meno degradante
per il dipendente a una realtà di prossimità più coinvolgente.
In Lessico famigliare Natalia Ginzburg fa frequenti riferimenti ad Adriano Olivetti, il quale aveva sposato la sorella Paola. In
un ritratto caldo, quasi psicologico del personaggio lo descrive
«affettuoso, goffo e timido. Amava mangiare dolci...». Traccia di
lui anche un bel ricordo quando aiutò il padre della stessa Ginzburg a fuggire dai tedeschi, oppure di quella volta che «era venuto da noi, quando scappammo da quella casa, a prendere Turati,
il viso trafelato, spaventoso e felice di quando portava in salvo
qualcuno». La sua formazione imprenditoriale è stata un caso
quasi unico in Italia. I genitori venivano da ambienti molto colti. Il
padre Camillo, il fondatore della Olivetti, aveva insegnato a Stanford in California, era un ebreo non praticante e di idee socialiste.
Un’influenza decisiva venne esercitata anche dalla madre, figlia
di un pastore valdese e apprezzato biblista. Una doppia matrice
che si tradusse in famiglia in un rigore morale e in una spinta
ideale a operare per il prossimo.
L’uomo al centro della fabbrica
L’uomo, appunto. Non un pezzo di una macchina, da rendere sempre più docile e produttivo, connesso agli altri pezzi dell’ingranaggio, ma una persona da considerare come tale, coi suoi
pensieri, i suoi problemi, le sue aspettative, i suoi sogni. Da
mettere al lavoro, certo, ma non in una fabbrica-prigione, piuttosto in una fabbrica-comunità. Con risultati straordinari e soluzioni tecnologiche in anticipo sui tempi. Sull’altro fronte, quello degli
Agnelli, il sogno italiano si materializzava in un’auto tutta nuova
e nel lavoro alla catena di montaggio. Duro, contestato, ma stabile. Poca conoscenza, molta fatica e soprattutto pensare poco,
in perfetto stile fordista.
Esiste un bel libro, apparso nel 2005 a esperienza oramai
definitivamente decaduta del sogno di Adriano, dal titolo rivelatore Uomini e lavoro alla Olivetti, curato da Francesco Novara con
Renato Rozzi e Roberta Garruccio. Si tratta di una serie di testimonianze di personaggi di ogni categoria: operai, ingegneri, architetti, consulenti, tutti protagonisti del progetto Olivetti, del
prima e dopo Adriano, con l’intento di fermare una memoria
umana, di riscattarla dal silenzio e di contribuire in un certo qual
modo ad alimentare quella che è oramai diventata una vera e
propria mitologia olivettiana. Una memoria sociale. Decine di
voci: vi si legge anche una critica pungente più o meno diretta ai
successori di Adriano che a poco a poco hanno smantellato il suo
gioiello industriale per ridurlo a sogno e utopia. Il che suona oggi
perlomeno bizzarro, quando tutti si definiscono ancora olivettiani
senza esserlo, senza nulla condividere dei valori che Adriano
Olivetti ci ha trasmesso. Fra le molte voci, una sola, che spicca
nell’introduzione al libro e che suona come un epitaffio:
Se in altre aziende il lavoratore si confondeva in una massa
indifferenziata, in Olivetti egli era una persona ben individuata e
riconosciuta, con la sua storia e la sua vita lavorativa.
Francesco Novara, oggi scomparso, è stato strettissimo
collaboratore di Adriano e responsabile del Centro di psicologia
industriale della Olivetti, dagli anni Cinquanta al 1992. Curatore
del volume, dedica all’azienda e al suo ideatore una sorta di Day
After che conclude in questo modo:
Agli imprenditori costruttori di futuro sono andati subentrando
cacciatori di valori azionari, speculatori del mercato borsistico, arraffatori di monopoli, artefici di partecipazioni incrociate e di piramidi
societarie. A un mondo del lavoro umiliato, in una società lacerata
e disorientata, succube delle vicende aleatorie di un’economia finanziarizzata, si rivolge il coro di queste testimonianze. Esse ricordano
il valore permanente delle ragioni di quel successo d’impresa: la
responsabilità e capacità di costante innovazione, realistica e audace, razionale e immaginativa, votata all’eccellenza dei prodotti, alla
qualità della vita lavorativa, all’elevazione della vita sociale.
Si è forse sprecato qualche appellativo in questi cinquant’anni dalla morte di Adriano Olivetti? Imprenditore rosso,
pioniere dell’innovazione, icona del capitalismo diverso, padrone
illuminato e molti altri ancora? Sono definizioni che nemmeno lui
avrebbe probabilmente gradito, che richiamano senz’altro l’enfasi
della distanza del tempo, tipica di un personaggio scomparso nel
vivo di un’attività intensa, a capo di un universo industriale di
decine di migliaia di dipendenti. Bisogna pure ammettere che non
vi è stata probabilmente altra realtà storica industriale e insieme
culturale, perlomeno in Italia, in grado di produrre tanta mitologia
come Adriano e l’Olivetti. La sua figura riappare oggi, quasi per
contrasto, in tutta la sua attualità, riaffermando i suoi valori profondi in un panorama economico e produttivo più che mai controverso, non sempre decifrabile, spesso confuso e senza meta.
Indro Montanelli, rispondendo a un lettore che gli chiedeva
in cosa veramente consistesse la singolarità di Adriano Olivetti,
scrive:
[...] voleva inventare un modello del tutto nuovo d’impresa in
cui capitale e lavoro fossero associati. Questo era l’ideale o il miraggio della famosa Comunità olivettiana, senza che il suo ispiratore si rendesse probabilmente conto di quanto esso urtasse gli
interessi sia del padronato sia del sindacato, i quali vivono sulla
contrapposizione dei loro interessi. [...] Olivetti era perfettamente
conscio di questa contrapposizione, ma era convinto di superarla.
E questa era la sua vera Utopia.
Ma forse il ritratto che Adriano avrebbe apprezzato più di
ogni altro, un po’ nostalgico ed enigmatico, è tracciato ancora da
Natalia Ginzburg in Lessico famigliare:
Lo incontrai a Roma per la strada, un giorno durante l’occupazione tedesca. Era in piedi; andava solo, con il suo passo randagio; gli occhi perduti nei suoi sogni perenni, che li velavano di
nebbie azzurre. Era vestito come tutti gli altri, ma sembrava, nella
folla, un mendicante; e sembrava, nel tempo stesso, anche un re.
Un re in esilio, sembrava.
Visita agli stabilimenti Olivetti di Ivrea del sociologo Lewis Mumford nel 1957.
Sociologist Lewis Mumford during a visit to the Olivetti plants in Ivrea in 1957.
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
Riferimenti bibliografici
Mauro L. BARANZINI, Giandemetrio MARANGONI e Sergio ROSSI, Micro e MacroEconomia, Cedam, Padova 2001.
Bruno CAIZZI, Gli Olivetti, UTET, Torino 1962.
Luciano GALLINO, L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti,
Einaudi, Torino 2001.
Luciano GALLINO, L’impresa irresponsabile, Einaudi, Torino 2005.
Natalia GINZBURG, Lessico famigliare, Einaudi, Torino 1963.
Raul MERZARIO, Prefazione a Stefania BIANCHI, Le terre dei Turconi, Dadò,
Locarno 1999.
Francesco NOVARA, Renato ROZZI e Roberta GARRUCCIO (a cura di) Uomini e
lavoro alla Olivetti, Mondadori, Milano 2005.
Adriano OLIVETTI, Città dell’uomo, Edizioni di Comunità, Milano 1960.
DALLA “SUISSE” 195
Comunità e Cantoni:
alla ricerca di libertà politica
DAVIDE CADEDDU
Ricercatore di Storia delle dottrine politiche
dell’Università degli Studi di Milano;
Consigliere della Société Européenne de Culture
D
a una tipografia di Samedan, in Alta Engadina, nel
settembre del 1945 gli era giunta a Ivrea l’edizione
definitiva del suo libro L’ordine politico delle Comunità,
frutto di una lunga riflessione, avviata in Italia nel 1942
e conclusa durante l’esilio elvetico. Adriano Olivetti, uomo del
dialogo, prima di pubblicare quest’opera – che avrebbe orientato
idealmente tutta la sua attività successiva – aveva interloquito
con un numero di persone davvero rilevante. Ne rimane traccia
nelle memorie scritte, nella corrispondenza privata e nella documentazione che da poco tempo gli archivi di Stato italiani e
stranieri lasciano libera alla consultazione. Attraverso lo studio,
l’osservazione e il dialogo, in effetti, egli cercava di capire quali
forme istituzionali avrebbero potuto garantire la libertà in uno
Stato fondato su un sistema economico socialista.1
La Svizzera si rivelò luogo di incontri e fonte di ispirazione,
ma già in passato si era mostrata terra amica. Negli anni Trenta,
Olivetti aveva frequentato di tanto in tanto il salotto ginevrino
dell’antifascista Guglielmo Ferrero e incontrato probabilmente
anche Ignazio Silone a Zurigo. Se il primo gli permise di conoscere il filosofo della politica Umberto Campagnolo, che ebbe un
ruolo fondamentale nella nascita della biblioteca di fabbrica della
Ing. C. Olivetti & C. e della olivettiana casa editrice Nuove Edizioni Ivrea (antesignana delle più note Edizioni di Comunità), il secondo quasi certamente lo mise in contatto con i servizi segreti
statunitensi nel gennaio del 1943.
Furono mesi frenetici quelli tra l’autunno del ’42 e il febbraio
del ’44, quando espatriò in Svizzera in compagnia della segretaria
Wanda Soavi, entrambi inseguiti dall’Arma dei carabinieri e dal
Servizio informazioni militari. Dopo essere stati detenuti qualche
The Cantons Community:
searching for political freedom
Switzerland was also fundamental for Adriano Olivetti’s dream of a State where
freedom was a concrete value. In this ally of a country, he developed a solid
network of fruitful political relations and found a useful model in the Swiss
system on which to base his “Community” project. He believed it should have
been a rationalization of the Swiss Canton and its adaptation to the Italian
tradition. The Federal Communities could become Regions and Regions would
make up the Italian Federal State. Luigi Einaudi also found this proposal
interesting in developing his separatist thesis. Aside from the project, his
constructive spirit led Olivetti to dedicate himself to direct political action:
In fact, he founded the Community Movement.
196 DALLA “SUISSE”
mese a Roma nel carcere di Regina Coeli ed essere usciti in
modo rocambolesco, risultavano infatti ancora ricercati a causa
del tentativo di costituire un trait d’union tra Alleati, antifascisti,
forze armate, diplomazia vaticana e casa reale. Divenuto agente
numero 660 dell’Office of Strategic Services nel giugno del ’43
grazie alle referenze soprattutto di Egidio Reale, fu facile per
Olivetti essere ascoltato anche dallo Special Operations Executive
con il nome in codice Brown, ma, per quanto ritenuto una fonte
preziosa e affidabile, i progetti strategici degli Alleati non erano
compatibili con le proposte che egli sosteneva una volta varcata
la frontiera.2 Più in generale, infatti, «tenendo conto sia dell’atteggiamento dominante inglese sia della mancanza di determinazione da parte italiana», occorre ricordare che «dalla metà del 1942
alla caduta di Mussolini nel luglio del 1943 non vi fu alcuna possibilità concreta di arrivare a una pace separata tra le potenze
alleate e l’Italia».3
Durante questi mesi, oltre a intensificare la propria azione
antifascista, Olivetti iniziò a elaborare un progetto di riforma istituzionale e sociale – il cui fuoco era l’ente politico territoriale locale denominato “Comunità” – che sottopose all’attenzione di
interlocutori italiani e stranieri.4 Espatriato in Svizzera, passando
per San Pietro, vicino a Stabio, dopo essere stato accolto presso
l’Ospedale italiano di Lugano, soggiornò soprattutto a Champfèr,
a pochi chilometri da St. Moritz, nell’albergo Chesa Guardalej,
fino al maggio del 1945. Questo divenne il luogo in cui le proprie
idee, espresse nel Memorandum sullo Stato Federale delle Comunità in Italia già nel maggio del ’43, continuarono a maturare attraverso la riflessione individuale e il confronto con l’opinione di
molti altri esuli antifascisti.
A Champfèr le relazioni personali erano però abbastanza
limitate. Grazie a vari permessi ottenuti dalle autorità elvetiche,
Olivetti cercò quindi di recarsi a Zurigo, Lugano, Basilea, Berna,
Losanna e soprattutto a Ginevra, allo scopo di incontrare amici
o persone appena conosciute. Proprio a Ginevra rivide alcuni dei
giovani collaboratori della sua casa editrice: Luciano Foà, che
avrebbe contribuito a creare negli anni Sessanta le edizioni Adelphi, e Giorgio Fuà, che sarebbe divenuto uno dei più grandi economisti italiani della seconda metà del Novecento. L’esilio forzato
gli permise di confrontare le proprie convinzioni – tra tanti altri –
con i federalisti Ernesto Rossi, Egidio Reale, Luigi Einaudi e Altiero Spinelli, e con i socialisti Ignazio Silone, Guglielmo Usellini,
Alessandro Levi, Edgardo Lami Starnuti e Ugo Guido Mondolfo:
declinare istituzionalmente federalismo e socialismo era, in effetti, il suo scopo principale.5
L’idea di Comunità – una sorta di piccola Provincia – fu
enucleata da Olivetti in Italia riflettendo sia sulla realtà del Canavese, sia su altre esperienze politiche straniere. Al centro della
sua attenzione vi erano segnatamente gli Stati federali e quelli
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
prattutto con unità italiane tradizionali come la diocesi, il collegio
elettorale, la circoscrizione distrettuale o il circondario.6 La vitalità e l’efficienza dei Cantoni in Svizzera erano una garanzia per il
futuro delle Comunità in Italia, che sarebbero state costituite su
«analoghi principi amministrativi».7 Le Comunità federate avrebbero dato origine alle Regioni, sulla base di identici criteri, improntati alla dimensione demografica, al dato storico-geografico, alle
risorse economiche presenti sul territorio e all’efficienza amministrativa. Le Regioni federate avrebbero costituito, infine, lo Stato
federale italiano.8
Contrario all’idea di piano – fosse politico o economico –,
Luigi Einaudi trovò nell’olivettiana Comunità lo strumento amministrativo più idoneo per risolvere molti dei problemi della politica
italiana. Grazie al suo apporto critico, in un confronto franco e a
tratti acceso, Olivetti stemperò alcune derive corporative del
proprio progetto originario, anche se si trattava di un corporativismo dinamico e intrinsecamente democratico. Entrambi erano
persuasi, però, che l’orgoglio di appartenere a un corpo politico,
individuato territorialmente o funzionalmente sulla base di caratteristiche precise, all’interno di un gruppo ristretto di persone,
non avrebbe potuto che alimentare quel senso di responsabilità
individuale ormai annacquato o annichilito dai partiti di massa e
dai regimi totalitari.9
Nel novembre del ’44, il colloquio tra Einaudi e Olivetti sembrò potersi intrecciare con le concrete vicende politiche dell’Italia
del Nord. Contestualmente alla stesura della celeberrima Lettera
aperta del Partito d’Azione a tutti i partiti aderenti al Comitato di
Liberazione Nazionale, Altiero Spinelli chiese a entrambi, da Milano, a nome dell’esecutivo Alta Italia del Partito d’Azione, un progetto per la ricostruzione dello Stato italiano in cui fosse sviluppata la tesi autonomista sostenuta da Einaudi nell’articolo Via il
prefetto!, che faceva cenno all’idea di ”Comunità”. Le due risposte
rimasero però senza seguito, a causa dell’evolversi della situazioAdriano Olivetti al suo tavolo da lavoro nel 1958.
ne politica italiana, e solo nel dopoguerra, durante le riunioni
Adriano Olivetti at his work table in 1958.
della Commissione per la Costituzione, ritrovarono una felice per
contraddistinti da enti locali dotati di autonomia politica. Oltre agli quanto inascoltata attualità.10
Completata la propria riflessione, Adriano Olivetti aveva inStati Uniti d’America e al Regno Unito, la Svizzera costituiva
senz’altro uno dei principali motivi di riflessione. A proposito tenzione di pubblicare il Memorandum sullo Stato Federale delle
della funzione che la Comunità avrebbe dovuto svolgere in Italia, Comunità sotto pseudonimo con le Nuove edizioni di Capolago
tra la fine del ’44 e i primi del ’45. Il connubio
egli scrisse che essa rappresentava una sorta
di «razionalizzazione del Cantone svizzero» o, Adriano Olivetti, nel periodo fascista con- con la prestigiosa casa editrice – nata nel ’36
meglio, «il suo adattamento alla tradizione ita- siderato un “sovversivo” (tratto da Storia dall’iniziativa di Gina Ferrero Lombroso, Egidio
Reale e Ignazio Silone11 – tuttavia svanì, per
liana»: perfezionato, avrebbe potuto «affrontare Illustrata A. Mondadori Editore).
Adriano
Olivetti,
considered
a
subversive
problemi di accordo e per le continue riformui complessi compiti di una società moderna».
Se, infatti, il Cantone svizzero aveva origini during the Fascist period (taken from Storia lazioni del contenuto dell’opera, che sarebbe
stata stampata completamente a spese
«esclusivamente storiche», che non tenevano Illustrata A. Mondadori Editore).
dell’autore.12 Da quanto è possibile inferire
conto «delle esigenze dell’economia e neppure
dalla corrispondenza con Odoardo Masini,
di una logica divisione amministrativa», le CoGugliemo Usellini, Paola Carrara Lombroso e
munità da lui individuate erano concepite ralo stesso Reale, sembra probabile che fossero
zionalmente, considerando sia gli aspetti stosorti degli attriti tra Olivetti e i Ferrero, ai quali
rico-geografici, sia quelli economici e politici.
nel ’43 aveva promesso di rilevare l’attività
In particolare, rappresentanza degli interessi e
della casa editrice.13 Forse anche per questo
rappresentanza democratica venivano coniumotivo, tra i primi libri a essere pubblicati dalle
gate grazie alla coincidenza del distretto ecoEdizioni di Comunità nel dopoguerra ci fu Potenomico con la circoscrizione amministrativa e
re di Guglielmo Ferrero, con un’introduzione di
con quella del collegio uninominale atto a
Umberto Campagnolo.
eleggere il presidente della Comunità e, quindi,
Quando la stampa del lavoro di Adriano
il futuro deputato in Parlamento. L’ente locale
Olivetti sembrava ormai prossima, Ernesto
“Comunità” avrebbe dovuto avere «l’ampiezza
Rossi decise di esprimere all’autore tutte le rimedia di un Cantone», coincidendo però so-
DALLA “SUISSE” 197
198 DALLA “SUISSE”
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
serve che esso gli suscitava. Oltre A. Olivetti,
a restituirgli le bozze del libro glos- Città dell’uomo.
sate a margine, gli scrisse due let- 1960.
tere che rimangono una testimo- AA. VV.,
nianza rara della lealtà e del rispetto Il Dio che è fallito.
intellettuale che si può nutrire per 1950.
una persona. Con la consueta A. Olivetti,
schiettezza, il polemico economista Fini e fine della
affermava, tra l’altro, che «il libro è politica.
ancora troppo faticoso da leggere» 1949.
e «pochissimi saranno coloro che
riusciranno a leggerlo, anche se
molti diranno che è “interessante”,
senza averlo letto». Si prevedeva, in
altri termini, ciò che i fatti successivi Schumpeter,
Capitalismo,
avrebbero confermato. Rossi, inol- socialismo
tre, intuì una questione che avrebbe e democrazia.
contribuito alla taccia di utopismo 1955.
spesso rivolta – dal dopoguerra fino
L. Mumford,
a oggi – al pensiero politico olivettia- La condizione
no: «Quello che lei scrive sulla mora- dell’uomo.
le cristiana che dovrebbe informare 1957.
tutta l’attività degli organi ammini- Kierkegaard,
strativi apparirà al comune lettore Scuola di
eccessivamente ingenuo». In effetti, cristianesimo.
«i motivi morali all’azione non cam- 1960.
biano, o cambiano ben poco, per il
fatto che viene mutato l’ordinamento politico amministrativo». E
concludeva: «Affermare che senza un completo rivolgimento morale – per cui lo spirito di carità completi la giustizia sociale –
l’organizzazione delle Comunità vivrebbe senza anima, significa
– secondo me – diminuire il valore delle sue proposte, perché
molti penseranno che un tale rivolgimento non si verificherà».14
Ormai, però, non era possibile reimpostare il lavoro. Il Memorandum sullo Stato Federale delle Comunità era pronto per la pubblicazione definitiva con il titolo L’ordine politico delle Comunità; costituiva, secondo l’autore, «un lavoro personale e non il Credo di
un partito».15 Era la conclusione pregnante di un periodo trascorso in esilio proprio per motivi politici.16
Alle autorità fasciste, infatti, Olivetti risultava essere ”ariano”. L’appartenenza alla razza ebraica veniva invece singolarmente imputata dal regime a tutti gli altri membri della sua famiglia,
a eccezione della sorella Elena e ovviamente della madre.17 Per
quanto possibile, si impegnò così al fine di far accogliere in Svizzera sia l’ex moglie Paola Levi con i figli, sia il fratello Massimo
con la sua famiglia. Contattò anche per questa ragione, a partire
dal marzo del ’44,18 il Comitato svizzero di soccorso operaio di
Lugano, interloquendo in particolare con Ferdinando Santi e Guglielmo Canevascini.19 Nel maggio del ’44, scrisse a Santi che
tutta la propria famiglia, «in seguito a un annunciato peggioramento delle leggi razziali», poteva all’improvviso prendere la decisione di entrare in Svizzera: si trattava, in particolare, della
sorella Elena, della moglie dell’appena espatriato Arrigo, e dei
loro figli Vittorio, Luisa e Camillo.20
Da Champfèr, Olivetti riusciva a dirigere, almeno in parte, il
movimento di resistenza antifascista attivo nella fabbrica di Ivrea
e, in taluni casi, dava al Comitato svizzero di soccorso operaio
assicurazioni sui sentimenti antifascisti di giovani che stavano
per espatriare, al fine di facilitarne l’accoglienza.21 Ricambiò le
attenzioni che il Comitato aveva rivolto a lui e ai suoi familiari,
inviando soldi allo scopo di finanziare l’aiuto che, intorno a settembre, esso stava portando ai bambini italiani delle terre da
poco liberate, segnatamente della Val d’Ossola, acquistando
generi alimentari e beni di prima necessità.22 Il sentimento che
animava i responsabili del Comitato svizzero di soccorso operaio,
anche prima di questo impegno, può forse essere ben sintetizzato da quanto Ferdinando Santi scrisse a Olivetti nel luglio del ’44:
«Volevo pregarla di non parlare di cortesie usate a Lei ed ai Suoi.
In realtà quel poco che è stato fatto era più che doveroso per le
sue note e tante benemerenze. Personalmente non ho poi meriti
particolari: è il Comitato che si è occupato di Lei come di tanti
altri assai meno meritevoli».23
Dato ormai alle stampe L’ordine politico delle Comunità,
Olivetti pensava fosse giunto il momento di dedicarsi a un’azione
politica «di natura diretta». Aveva confidato perciò a Guglielmo
Usellini che, «nelle circostanze politiche attuali, nell’imminenza
della lotta», l’unica «conclusione logica e coerente» era chiedere
di «partecipare al partito socialista, come il solo che, per l’orientamento spirituale dei suoi uomini migliori e per il suo atteggiamento pratico», collimava con le proprie aspirazioni: «un rinnovamento spirituale e organizzativo dei movimenti socialisti».24 Un
mese dopo aver aderito al Movimento federalista europeo tramite Ernesto Rossi,25 sempre in Svizzera s’iscrisse dunque al Partito socialista italiano di unità proletaria, ma le proprie idee politiche, maturate durante il crogiolo della guerra, lo avrebbero
presto indotto, una volta tornato in Italia, a fondare e dirigere un
gruppo politico autonomo: il Movimento Comunità.26
L’organizzazione sociale esperita e osservata personalmente in Svizzera costituiva l’esemplificazione di molti degli ideali di
riforma che lo animavano e per i quali profuse il proprio impegno
durante tutti gli anni Cinquanta. La conclusione improvvisa della
sua esistenza rappresenta così, come nei racconti leggendari,
qualcosa che può riassumere in sé il senso di tutta una storia.
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
N. Berdiaev,
Spirito e libertà.
1947.
Proteso sempre verso il futuro, attraverso il continuo movimento
dialettico delle idee e la ricerca di esperienze paradigmatiche,27
Adriano Olivetti morì nel febbraio del 1960 su un treno in corsa
verso Losanna, all’interno di quel territorio che, in anni difficili,
aveva garantito a lui, come a tanti altri grandi spiriti, di manifestare liberamente il pensiero.
1)
Si veda D. CADEDDU, Adriano Olivetti politico, Edizioni di Storia e
Letteratura, Roma 2009.
2)
Sull’attività d’intelligence condotta da Olivetti, si consulti D. CADEDDU, Introduzione, in A. OLIVETTI, Stato Federale delle Comunità. La riforma politica e sociale negli scritti inediti (1942-1945), edizione critica
a cura di D. CADEDDU, Franco Angeli, Milano 2004; e M. BERETTINI, La
Gran Bretagna e l’antifascismo italiano. Diplomazia clandestina, Intelligence, Operazioni speciali (1940-1943), prefazione di M. de Leonardis,
Le Lettere, Firenze 2010, pp. 122-129.
3)
E. AGA ROSSI, Una nazione allo sbando. L’armistizio italiano del
settembre 1943 e le sue conseguenze, Il Mulino, Bologna 2003, pp.
59-60.
4)
Si vedano in merito le considerazioni espresse in La riforma
politica e sociale di Adriano Olivetti (1942-1945), a cura di D. CADEDDU,
Fondazione Adriano Olivetti, Roma 2005.
5)
Sull’emigrazione antifascista, si veda A. GAROSCI, Storia dei fuorusciti, Laterza, Bari 1953; E. SIGNORI, La Svizzera e i fuorusciti italiani.
Aspetti e problemi dell’emigrazione politica 1943-1945, prefazione di G.
Spadolini, Franco Angeli, Milano 1983; R. BROGGINI, Terra d’asilo. I rifugiati italiani in Svizzera. 1943-1945, il Mulino, Bologna 1993; Id., La
frontiera della speranza. Gli ebrei dall’Italia verso la Svizzera 1943-1945,
Mondadori, Milano 1998.
6)
A. Olivetti, L’ordine politico delle Comunità, V, 3, (c).
7)
Ibid., II, 1.
8)
Sulla filosofia politica di Olivetti, si consulti D. CADEDDU, Il valore
della politica in Adriano Olivetti, Fondazione Adriano Olivetti, Roma
2007.
9)
Cfr. D. CADEDDU, Del liberalismo di Luigi Einaudi. Tre esercizi di
lettura, Cuem, Milano 2007, pp. 65-94.
10) Cfr. ibidem.
11)
Si veda R. CASTAGNOLA ROSSINI,
Incontri di spiriti liberi. Amicizie, relazioni
professionali e iniziative editoriali di Silone in Svizzera, Lacaita, Manduria-BariBarsotti,
Roma 2004.
La fuga immobile. 12) Cfr. la copia della lettera di Olivet1957.
ti a Odoardo Masini, Champfèr 13 dicembre 1944, in Archivio del Centro
L. Beveridge,
L’azione volontaria. interdipartimentale di ricerca e documentazione sulla storia del ’900, Uni1954.
versità degli Studi di Pavia, fondo Guglielmo Usellini, Fal. G, doc. 111
(ulteriore copia in Archivio centrale dello Stato, Roma, fondo Egidio Reale, b.
4, fasc. «118 Adriano Olivetti»).
13) Cfr. CASTAGNOLA ROSSINI, Incontri di
spiriti liberi, cit., p. 115, e la lettera di
Kierkegaard,
Olivetti a Reale del 16 febbraio 1945,
Timore e tremore. in Archivio centrale dello Stato, Roma,
1948.
fondo Egidio Reale, b. 4, fasc. «118
Adriano Olivetti».
S. Weil,
14) Lettera di Rossi a Olivetti, 31
La condizione
marzo 1945, in Historical Archives of
operaia.
European Union, Firenze, fondo Ernesto
1952.
Rossi, vol. 22, fasc. «Adriano Olivetti».
E. Mounier,
15) Lettera di Olivetti a Rossi, 9 apriRivoluzione
le 1945, in Historical Archives of Europersonalista
pean Union, Firenze, fondo Ernesto
e comunitaria.
Rossi, vol. 22, fasc. «Adriano Olivetti».
1949.
16) Cfr. il «Questionario» della Divisione della polizia del Dipartimento federale di giustizia e polizia, p. 11, nell’Archivio Federale Svizzero, Berna,
E 4264 1985/196, vol. 1763, dossier «N 20629 Olivetti Adriano
11.4.01 Italien».
17) Cfr. V. OCHETTO, Adriano Olivetti, Mondadori, Milano 1985, p. 103.
18) Cfr. la lettera di Olivetti a Santi del 12 marzo 1944, in D. CADED DU, Adriano Olivetti e la Svizzera (gennaio 1943 – settembre 1945), in
Spiriti liberi in Svizzera. La presenza di fuorusciti italiani nella Confederazione negli anni del fascismo e del nazismo (1922-1945). Atti del
convegno internazionale di studi. Ascona, Centro Monte Verità. Milano,
Università degli Studi. 8-9 novembre 2004, a cura di R. CASTAGNOLA, F.
PANZERA e M. SPIGA, Franco CESATI, Firenze 2006, p. 227.
19) Per un quadro generale, si veda N. VALSANGIACOMO COMOLLI, Storia
di un leader. Vita di Guglielmo Canevascini 1886-1965, Fondazione
Pellegrini-Canevascini – Fondazione Miranda e Guglielmo Canevascini,
s.l. [Lugano] 2001.
20) Cfr. la lettera di Olivetti a Santi del 25 maggio 1944, in D. CADED DU, Adriano Olivetti e la Svizzera, cit., pp. 231-232.
21) Cfr. la lettera di Olivetti al Comitato svizzero di soccorso operaio
del 22 aprile 1944, in D. CADEDDU, Adriano Olivetti e la Svizzera, cit., p.
230.
22) Cfr. le lettere a Olivetti del 26 settembre e del 13 ottobre [1944],
e quella di Olivetti al Comitato svizzero di soccorso operaio del 4 ottobre 1944, in D. CADEDDU, Adriano Olivetti e la Svizzera, cit., pp. 236-238.
23) Lettera di Santi a Olivetti del 1° luglio 1944, in D. CADEDDU, Adriano Olivetti e la Svizzera, cit., p. 233.
24) Lettera di Olivetti a Usellini del 23 marzo 1945, in Archivio del
Centro interdipartimentale di ricerca e documentazione sulla storia del
’900, Università degli Studi di Pavia, fondo Guglielmo Usellini, Fal. B,
fasc. 1, doc. 4.
25) Cfr. la lettera di Olivetti a Rossi del 5 marzo 1945, in Historical
Archives of the European Union, Firenze, fondo Ernesto Rossi, vol. 22,
fasc. «Adriano Olivetti».
26) Si veda in merito A. OLIVETTI, Fini e fine della politica. Democracy
without political parties. Con un discorso inedito, introduzione e cura di
D. CADEDDU, Rubbettino, Soveria Mannelli 2009.
27) Per un sintetico quadro biografico, D. CADEDDU, «Humana civilitas».
Profilo intellettuale di Adriano Olivetti, in G. SAPELLI - D. CADEDDU, Adriano
Olivetti. Lo Spirito nell’impresa, Il Margine, Trento 2007.
DALLA “SUISSE” 199
La Fondazione Adriano Olivetti
LAURA OLIVETTI
Non solum in memoriam,
sed in intentionem
Presidente Fondazione Adriano Olivetti
L’
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
improvvisa scomparsa di Adriano Olivetti all’inizio del
1960 lasciò orfani non solo gli affetti, ma un’intera
comunità e un progetto culturale, sociale e politico di
grandissima complessità. All’indomani della sua morte,
i familiari, gli amici e i suoi collaboratori più stretti decisero di
dare vita a uno strumento che potesse garantire continuità a
quell’azione di riforma e, sebbene in forme diverse, portare nel
futuro l’opera di Adriano Olivetti.
Fu così costituita nel 1962 la “Fondazione Adriano Olivetti”,
con l’obiettivo di custodire e tutelare la memoria di Adriano Olivetti, di raccogliere e sviluppare l’impegno civile, sociale e politico
che ha distinto la sua opera e di promuovere e incoraggiare gli
studi diretti ad approfondire la conoscenza delle condizioni da cui
dipende il progresso sociale, come i primi articoli del suo statuto
impongono.
Coerentemente a questo mandato, la Fondazione svolge
attività di ricerca e promozione culturale e scientifica in quattro
principali aree d’intervento: Istituzioni e società; Economia e società; Comunità e società; Arte, architettura e urbanistica.
Sin dalla sua costituzione, la strada che la Fondazione percorre è diretta verso l’impiego di un patrimonio culturale complesso e di enorme valore civile e scientifico come uno strumento
creativo, e non solo commemorativo, per interpretare le sfide
della società contemporanea.
Un’azione che la Fondazione porta avanti con il rigore e la
passione riformatrice che hanno contraddistinto l’esperienza olivettiana, e con lo sguardo rivolto alle sperimentazioni più vive e
indipendenti della cultura mondiale.
Abbiamo sempre preferito che fossero i momenti vivi
dell’opera di Adriano Olivetti a costituire la suggestione per iniziative che celebrassero quell’esperienza riformulandone in contesti
attuali i tratti più significativi. Una scelta coerente con la natura
riformatrice del progetto comunitario che ci obbliga, per vocazione
Adriano Olivetti con la figlia Laura nel 1955.
Adriano Olivetti with his daughter Laura in 1955.
200 DALLA “SUISSE”
Adriano Olivetti Foundation
Adriano Olivetti’s intriguing idea of State did not die with him.
Since 1962, the foundation bearing his name has aimed at protecting the
memory and developing his social, political and civil commitment in the
direction he desired. This activity of cultural and scientific promotion offers
different areas of intervention: institutions, economy, art, architecture, city
planning. The hands-on work includes organizing conventions, seminars,
and exhibitions but also stimulating academic and scientific research which
has an extensive archive at its disposal in the two offices in Rome and Ivrea.
Fondazione Adriano Olivetti di Roma
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
Left: Adriano Olivetti’s rally at the Adriano Theatre in Rome on March 27, 1958
prior to the political elections in May 1958. Right: outside the Ivrea premises of
the Adriano Olivetti Foundation. Below: Adriano Olivetti engrossed in reading in
front of the vast library in his Ivrea house in Villa Belliboschi.
e per mandato statutario, a interpretare con dedizione e operosità la memoria di una storia ricca di cultura e, soprattutto, ricca
di risorse e competenze per la società italiana attuale e non solo.
In ragione di ciò, e all’interno degli ambiti d’intervento che connotano la sua azione, la Fondazione organizza e sostiene studi e
ricerche, incoraggia e coordina convegni e seminari, cura e allestisce mostre, in collaborazione con altre istituzioni filantropiche
o con enti pubblici e privati, in Italia e all’estero.
Tra le prerogative principali che contraddistinguono la Fondazione c’è anche la promozione di attività di ricerca accademica
e scientifica, in particolare di quegli studi che hanno per oggetto,
come è ovvio, la vicenda imprenditoriale, culturale e politica di
Adriano Olivetti. Tra la sede di Roma e quella di Ivrea, aperta nel
2008 e ospitata nell’ultima casa di Adriano Olivetti, sono a disposizione di ricercatori italiani e stranieri apparati documentari organizzati tra un grande archivio, cartaceo e multimediale, e una
ricca biblioteca di oltre 10.000 volumi, entrambi dichiarati di rilevante interesse storico dal Ministero per i Beni e le Attività culturali italiano. L’archivio, suddiviso in diversi fondi, raccoglie, tra le
altre cose: la corrispondenza aziendale e privata di Camillo Olivetti, quella particolarmente ricca di Adriano e quella di altri
membri della famiglia Olivetti; l’archivio del Movimento Comunità
e delle Edizioni di Comunità, il movimento politico e la casa editrice che Adriano Olivetti costituì tra il 1946 e il 1947; gli archivi
personali di Ludovico Quaroni e Georges Friedrich Friedmann;
infine l’archivio che testimonia i cinquant’anni di attività della
stessa Fondazione. Nella sede di Roma sono ospitate: le biblioteche personali di Camillo e Adriano Olivetti, di grande rilevanza
culturale tanto per la qualità delle pubblicazioni che per l’ampiezza di interessi scientifici e culturali che esprimono; la raccolta
completa delle “Edizioni di Comunità” e della rivista “Comunità”;
la collezione completa di tutte le pubblicazioni della Fondazione
dal 1962 a oggi e dei Quaderni della Fondazione. La biblioteca
della Fondazione raccoglie, inoltre, tutte le pubblicazioni e i lavo-
ri accademici che hanno come oggetto la figura di Adriano Olivetti e la storia della Società Olivetti, costituendo, di fatto, un centro
di documentazione unico.
La Fondazione si avvale di un’attività editoriale che si realizza attraverso le “Edizioni di Comunità”, con la tradizionale serie
dei Quaderni della Fondazione e in collaborazione con altre case
editrici. Dal 2008 è stato inoltre lanciato il progetto della Collana
Intangibili, un impegno editoriale di diffusione prevalentemente
digitale.
La Fondazione è tra i primi membri dell’European Foundation Center e durante i cinquanta anni della sua storia, che la
rendono uno tra i più longevi istituti di questo tipo in Italia, ha
promosso e collaborato a progetti e campagne di studio e di ricerca insieme con le principali Fondazioni europee e americane,
nel solco di una tradizione di collaborazione e identità che ha
fatto della vicenda di Adriano Olivetti un esempio di impegno
autentico e rigoroso per la promozione della filantropia non solo
in Italia ma anche all’estero.
Associazione Archivio Storico Olivetti di Ivrea
A sinistra: comizio di Adriano Olivetti al Teatro Adriano a Roma il 27 marzo 1958
in vista delle elezioni politiche del maggio 1958. A destra: esterno della sede di
Ivrea della Fondazione Adriano Olivetti. In basso: Adriano Olivetti immerso nella
lettura davanti alla ricca libreria nella sua casa di Ivrea a Villa Belliboschi.
Fondazione Adriano Olivetti
Via Giuseppe Zanardelli, 34
00186 Roma
Tel. +39.06.6834016
www.fondazioneadrianolivetti.it
Club Amici
della Fondazione Adriano Olivetti
[email protected]
DALLA “SUISSE” 201
Acqua del Burkina
Testo e foto di
WAIDER VOLTA
Vicedirettore Co.Ba.Po.
Consorzio Banche Popolari
29 dicembre 2010.
Inaugurazione e
benedizione del
pozzo di acqua
potabile di
Sourgubilà, donato
dalle banche
Co.Ba.Po. e clienti.
U
na mamma che non fa
piangere troppo a lungo
il proprio figlio è una donna molto apprezzata nella tribù burkina dei “Peul”. L’avevo
già percepito in un precedente
viaggio ma non ci avevo fatto caso;
ora che ho l’occasione di un viag29th December 2010. gio diverso, noto che raramente i
Inauguration and bambini burkina piangono, pur tra
blessing of the well grandi difficoltà oggettive: malatfor drinking water
tie, fame, malnutrizione, mancanin Sourgubilà,
za di alcune cose in una pur semdonated by the
Co.Ba.Po. banks and plice e povera vita quotidiana.
Incontro, nell’ambito di un
clients.
piccolo progetto di cooperazione
umanitaria, alcune situazioni difficili, altre invece che lasciano un
po’ di speranza per un futuro migliore alla gente più povera. Un
orfanotrofio che accoglie sedici
bambini da zero a quattro anni ci
invita a fare un piccolo intervento;
NOTIZIARIO
le condizioni igieniche appaiono al
limite. Alcuni piccoli “gattonano”
Cronache tra sporco ambientale e “proprio”
ma le educatrici sono ben curate.
aziendali
Water in Burkina
In this part of the world, water is definitely the greatest asset;
when a new well arrives in the area of Boussé, it is literally a gift
from the heavens and solidarity. Many other evils threaten this
frontier land: malaria, tuberculosis and AIDS. The members of the
association APDPK do what they can, having to offer help an area
with 60,000 inhabitants. Films are shown to raise awareness on
sexually transmittable diseases. The other “evils” include the
condition of the Burkinabé, the mole-like men who work in the
goldmines: narrow shafts, up to 50 metres deep, without
ventilation and which risk suddenly collapsing. But this does not
dampen the enthusiasm that they show with singing and dancing
during the celebration of the Mass.
202 CRONACHE AZIENDALI
Al suono di una nostra fisarmonica, come d’incanto i piccoli si risvegliano dalla atonicità nella quale li
avevamo trovati. Stiamo con loro.
Rientrando in jeep all’albergo
mi riprendo un po’ pensando alla
visita di ieri, all’anziano di molti
villaggi, il saggio che dirime per
migliaia di persone le questioni più
ingarbugliate: matrimoni difficili,
bestiame malvenduto, situazioni
educative contrastanti. Naaba Bulga, così si chiama il capo, mi ha
voluto incontrare subito dopo aver
inaugurato il pozzo di acqua potabile che i giovani clienti delle banche popolari CoBaPo hanno reso
possibile inviando quote di loro risparmio. Il pozzo di Sourgubilà ora
pompa fuori da molte decine di
metri sotto terra una fresca e limpida acqua che molti di noi bevono
dalle mani “a coppa”.
«Quella parte di territorio –
dice Naaba – ne aveva davvero
bisogno e io vi ringrazio a nome
della mia gente!». Detto fatto ed
ecco che spunta un aiutante con
una bella e giovane capra, dono di
gran pregio, quale ringraziamento!
(la capra la aggiungerò, quale settimo ospite, al piccolo gregge dei
monaci di Bissighin).
Il due di gennaio lo passo con
alcuni membri dell’associazione
burkina APDPK che portano avanti
i progetti di educazione sanitaria
nella zona di Boussé a occidente
di Uagà. Incontro gruppi di lavoro
preparati sui tre grandi mali che
affliggono il Burkina: la malaria, la
Tbc, l’Aids. Gli operatori burkina
servono un territorio di 60.000
persone su 84 villaggi, molti dei
quali difficili da raggiungere sia fisicamente sia culturalmente; in
ogni villaggio cercano prima il contatto con i maggiori referenti, e
una volta informati e formati questi, allora per imitazione ed “accettazione” è possibile allargare alla
popolazione.
Una veduta della
struttura del pozzo
la cui pompa a
mano “India Mark II”
pesca a circa 50
metri sotto il suolo.
La sera siamo invitati in un
villaggio rurale sparso a 15 km da
Boussé ove vicino ad una casa di
agricoltori, di fango e paglia ma
ampia, sono state portate in un
largo spazio, sotto un albero di
karité, una ventina di panchine, un
piccolo generatore di corrente, un
proiettore e, trovati due alti bastoni, tra essi viene teso un telo bianco, dove verso le 19,30 tra il buio
più pesto (qui il sole scende di
colpo), l’APDPK proietta due cortometraggi: l’uno su come cercare di
prevenire le malattie sessuali, l’altro su come portare assistenza
emozionale e sociale ai malati di
Aids, altrimenti emarginati.
Poi, sempre al buio, per noi
squarciato dalla debole luce di una
lampada a petrolio, la maggiore
delle quattro figlie del contadino
passa con un secchio d’acqua per
le mani; quindi ci viene offerta su
un piatto di lamiera battuta la cena
con spaghetti e pezzetti di pollo e
semi di arachidi e un po’ di brakina, una birra locale.
Nelle miniere “di oro” di Kòva
a 280 km a nord di Uagà al confine con Mali e Niger, trecento “uomini talpa”, burkinabé, nigeriani e
del Mali, scavano buchi sotto terra
profondi fino a 50 m e larghi 1 per
1,50 m! Un tizio ha affittato il terreno, e a chiunque scava qui garantisce da mangiare ogni giorno
e, se trovano oro, due terzi vanno
a lui e un terzo agli operai. Lavorano ad ogni scavo in gruppi di cinque persone. Credo che nemmeno mille anni fa si facessero buchi
in tal maniera e così pericolosi.
Provano a ventilare il pozzo con
vecchi sacchi di plastica nera cuciti come tubi. L’uomo che è giù
scava, alla luce di una torcia legata alla tempia, e ogni tanto manda
su due o tre sacchi di terriccio e
roccia, agganciati ad una corda e
carrucolati in superficie. Poi, sopra, un ragazzino seduto per terra,
pesta in un mortaio tutto il mateA view of the
structure of the well, riale che, fine fine, sarà setacciato
with a “India Mark II” con l’acqua.
hand pump that
Tra le buche passano due
draws water from
persone su una moto gialla. «Quelabout 50 metres
below ground level. li – dice una talpa – hanno trovato
una buona vena alcuni mesi fa». Il
resto è girone dantesco.
È domenica tre gennaio e in
Burkina viene celebrata la messa
in moré alle sette e in francese
alle nove: sono 120 minuti (o anche 180) di energia pura e canti e
ritmi e momenti di danza!
La carica dei tamburi (unici
A sinistra: una
famiglia locale posa strumenti della messa moré) e
davanti al pozzo.
delle trombe è quasi coperta dai
Anche la Bps ha
vari cori quando tutti assieme si
contribuito alla sua
fondono; poi la gente si prende per
costruzione.
mano e si muove con lento ritmo
A destra: l’autore
dell’articolo con don con le braccia che a volte si alzano
al cielo diritte e altre in modo onJoseph Sambieni,
responsabile della
dulatorio di lato. Per alcune volte
Zona di S. Augustin sono costretto a deglutire per
de Bissighin.
“chiudere” un po’ le orecchie, tanto è forte il timbro, bellissimo,
On the left: a local
family poses in front delle voci dietro di me.
Poi, non un fiato quando, duof the well. The Bps
also contributed to rante la predica, il prete burkinabé
building it.
chiede ai fedeli, duemila persone,
On the right: the
se la loro vita è significante, se la
author of the article loro vita ha uno scopo! «Che senwith Don Joseph
so gli state dando?». Resto colpito
Sambieni, responsible
dalla dimensione di tale domanda,
for the area of
in pieno e arido Sahel. Buongiorno
St. Augustin de
Africa!
Bissighin.
CRONACHE AZIENDALI 203
FAT T I D I
CASA NOSTRA
di ITALO SPINI
con la collaborazione di
APERTURE DI FILIALI
Opening of branches
AGENZIA DI CHIAVARI
Il 3 dicembre 2010 ha preso avvio l’agenzia di
Chiavari, provincia di Genova, piazza Nostra Signora
dell’Orto n. 42/B, angolo via Doria.
È la seconda unità della banca in Liguria (l’altra è
l’agenzia di Genova aperta tre anni or sono), regione che
si affaccia sul mare ed è vicina alla Lombardia, dov’è
insediata la maggior parte delle nostre dipendenze.
Chiavari conta quasi 28 mila abitanti e si trova nel
cuore del Golfo del Tigullio, a poco più di quaranta chilometri di distanza dal capoluogo regionale. È un importante centro balneare, ricco di storia, con uffici privati e
pubblici, tra cui il tribunale, e con sede vescovile.
Alle straordinarie bellezze naturali si aggiungono
un rinomato porto turistico e, in numero copioso, chiese, monumenti e antichi palazzi di pregio.
L’economia di Chiavari si basa sui commerci e soprattutto, data la posizione e la conformazione del territorio, sul turismo, per cui numerosi sono gli alberghi, le
seconde case, i ristoranti, i negozi e le trattorie presenti.
AGENZIA DI CIAMPINO
Il 6 dicembre 2010 è stata la volta dell’agenzia di
Ciampino, con ubicazione nel centrale viale del Lavoro
n. 56.
La banca, con questa unità, è presente nella zona
sud-est della capitale con quattro dipendenze (le altre
sono Grottaferrata,
Frascati e Genzano), il che dimostra
il nostro crescente
interesse non solo
per Roma, ma anche per i centri a
essa vicini.
Ciampino è
un centro del Lazio
con 38.500 abitanti ed è situato
nell’area metropolitana capitolina oltre il grande raccord o anulare, in
204 CRONACHE AZIENDALI
MAURA POLONI
direzione dei Colli Romani. La cittadina è dotata di aeroporto, che dà lavoro e favorisce movimento di persone
e di denaro, ed è servita da diverse linee ferroviarie e
da un sistema viario soddisfacente. Vi sono monumenti, palazzi e ville d’epoca, castelli, fortificazioni e numerosi resti archeologici, che attirano visitatori in gran
numero.
Imprese artigianali e commerciali, perlopiù di dimensioni piccole e medie, danno vita a un sistema di
produzione e commercio di buon livello.
AGENZIA N. 1 DI SEREGNO
E CONTESTUALE TRASFERIMENTO
DELLA SUCCURSALE
Con decorrenza 6 dicembre 2010 la succursale di
Seregno è stata trasferita da via Formenti n. 5 a via
Cavour n. 84; e gli uffici lasciati liberi sono stati occupati dall’agenzia n. 1 di Seregno, aperta nello stesso
giorno. Il rafforzamento, dopo 23 anni dal primo insediamento, è stato voluto per meglio presidiare la piazza,
una piazza notoriamente vivace e dinamica.
Seregno, 23 mila abitanti, vanta monumenti ed
edifici storici, come Villa Odescalchi, Palazzo Landriani
Caponaghi, Torre Barbarossa, a cui si aggiungono diverse chiese di interesse artistico.
Quanto alla viabilità, la cittadina è sfiorata dall’importante superstrada statale n. 36 Lecco-Milano e
comprende uno snodo ferroviario con le tratte MilanoComo-Chiasso, Seregno-Carnate-Bergamo e NovaraSaronno-Seregno.
Ci troviamo
nella parte meridionale della laboriosa
Brianza, centro per
antonomasia del
mobile, dell’artigianato, del lavoro, del
progresso.
AGENZIA
DI ROVERETO
Dicembre è
notoriamente il mese di aperture. Il
giorno 13 è stata la
volta dell’agenzia di
Rovereto, ubicata
in corso Antonio
Rosmini n. 68, angolo via Fontana.
Rovereto, oltre 37 mila abitanti, è un rinomato
centro culturale del Trentino, che vanta un grande
museo di arte contemporanea, denominato MART, e
altri musei minori. Un’imponente campana, detta Campana dei Caduti o “Maria Dolens”, realizzata con la
fusione del bronzo di cannoni usati nella Prima Guerra
mondiale, è presente sul Colle di Miravalle e i suoi
cento rintocchi quotidiani ricordano i Caduti di tutte le
guerre, invitando alla pace. Vari monumenti, palazzi di
pregio, numerose chiese e santuari abbelliscono la
cittadina. Il tutto contribuisce a richiamare turisti in
gran numero.
Di un certo rilievo sono le attività industriali, che
ineriscono ai settori metalmeccanico, chimico, tessile,
alimentare, elettronico e della lavorazione del legno. La
viticoltura è praticata con soddisfazione e l’artigianato
e il commercio sono ben sviluppati.
Rovereto è ricca di storia e, tra le tante personalità legate alla stessa, piace ricordare due patrioti,
i cui nomi ricorrono spesso nella denominazione di
vie e piazze di città italiane: Damiano Chiesa e Fabio
Filzi.
AGENZIA DI CORTE FRANCA
Il 27 dicembre ha aperto al pubblico l’agenzia di
Corte Franca, provincia di Brescia, via Seradina n. 7.
Il paese, fondato nel 1928 per fusione dei piccoli
centri di Borgonato, Colombaro, Nigoline e Timoline,
conta circa settemila abitanti ed è situato in collina, a
sud del lago d’Iseo.
Il territorio è ben conservato e alla coltura dei
prati, che tra l’altro valorizzano il paesaggio già ridente
di per sé, si affianca quella di viti di pregio, dalle cui uve
si producono vini, rinomati pure a livello internazionale.
Teniamo presente che ci troviamo nella zona della Franciacorta, famosa per la vitivinicoltura.
L’economia locale, oltre alla commercializzazione
di vino, può contare su un turismo abbastanza sviluppato, su alcune attività industriali e sul terziario.
AGENZIA DI LEGNANO
L’apertura dell’agenzia di Legnano, provincia di
Milano, è avvenuta il 28 dicembre, con ubicazione nel
centrale corso Garibaldi n. 71.
Siamo in un comune dell’Alto Milanese di 58 mila
abitanti, a circa 20 chilometri dal capoluogo di provincia,
attraversato dal fiume Olona, tristemente noto per l’inquinamento.
Il nome di “Legnano” ricorre, tra l’altro, nell’inno
nazionale, quale elemento di unità e di forza. E questo,
nel ricordo dell’omonima nota battaglia, combattuta
eroicamente nel 1176 – e con successo – dai Comuni
dell’Italia settentrionale, unitisi per la circostanza nella
storica Lega Lombarda sotto il simbolo del “Carroccio”,
contro l’imperatore Federico Barbarossa del Sacro Romano Impero.
Diverse le edificazioni di interesse: chiese, palazzi d’epoca, monumenti, a cui si aggiungono parchi
naturali.
L’imprenditoria è ben sviluppata ed è appannaggio
di molteplici piccole e medie aziende. I servizi sono di
qualità e in continuo sviluppo.
Un buon numero di legnanesi, non trovando occupazione in loco, è soggetto al cosiddetto pendolarismo
quotidiano, soprattutto verso la metropoli milanese.
SUCCURSALE DI VERONA
L’ultimo giorno del 2010 è stata avviata la succursale di Verona, corso Cavour n. 45, nostra seconda dipendenza veneta (la prima è Peschiera del Garda).
Il Veneto è una laboriosissima regione contigua
alla Lombardia e pertanto, per la banca, è un territorio
di naturale espansione, di sicuro interesse.
Verona è situata allo sbocco della valle dell’Adige
e conta 270 mila abitanti. È nota in tutto il mondo per
le fiere e le manifestazioni culturali, a iniziare da quelle
che si svolgono all’aperto nell’Arena, ma non solo. È una
città d’arte con monumenti romani, medievali, gotici e
rinascimentali. Il centro storico è stato dichiarato
CRONACHE AZIENDALI 205
dall’Unesco “Patrimonio mondiale dell’umanità”. Il tutto
richiama flussi turistici per circa tre milioni di persone
ogni anno.
Le vie di comunicazione abbracciano due grandi
direttrici: una, padana, trasversale – Torino-Milano-Venezia-Trieste – e l’altra, transalpina, longitudinale – Roma-Bologna-Brennero-Monaco di Baviera. Merita di essere ricordato il prestigioso interporto, che è il più
grande d’Italia.
Floridissimo il commercio di prodotti vitivinicoli e
agroalimentari in genere, anche verso l’estero.
Molte le imprese industriali in vari settori: della
carta, dell’editoria, meccaniche, chimiche, alimentari,
manifatturiere... Ben sviluppati i comparti dell’informatica e delle telecomunicazioni.
FILIALE DI SAMEDAN
DELLA CONTROLLATA BANCA POPOLARE
DI SONDRIO (SUISSE) SA
Il 21 febbraio 2011 la controllata svizzera ha aperto la filiale di Samedan, Piazzet n. 21.
Con questa unità la BPS (SUISSE), che è la banca
svizzera di matrice italiana con la maggiore diffusione
territoriale, conta 23 dipendenze: 22 dislocate in 6
Cantoni (Grigioni, Ticino, Basilea, Zurigo, Berna e San
Gallo) e una nel Principato di Monaco.
Samedan ha quasi tremila abitanti e si trova nel
Cantone dei Grigioni, in Alta Engadina, sulla sponda sinistra dell’Inn.
Ci troviamo in una località rinomata per le bellezze
naturali e conseguentemente per il buon flusso turistico.
Nell’economia locale rivestono un ruolo di rilievo i molteplici insediamenti produttivi, costituiti da aziende di
piccola dimensione, soprattutto a carattere artigianale.
Valorizzano Samedan la presenza di un aeroporto,
che serve anche i paesi circonvicini, e una qualificata
struttura ospedaliera di considerevoli dimensioni.
AGENZIA DI AOSTA
L’ultimo giorno di febbraio 2011 è stata avviata
l’agenzia di Aosta, con ubicazione nel centrale corso
Battaglione Aosta n. 79.
È il primo insediamento della banca nella regione
autonoma valdostana ed è stato scelto il capoluogo,
essendo il centro più significativo della regione.
Aosta conta 35 mila abitanti, cui si aggiungono
oltre 20 mila residenti nei comuni vicini, costituendo, il
tutto, un unico agglomerato che comprende la metà
della popolazione dell’intera Valle.
Di Aosta numerose sono le testimonianze, giunte
fino a noi, degli antichi Romani transitati di lì durante la
conquista e la dominazione delle Gallie, a iniziare dal
nome ancor oggi talvolta usato di Augusta Praetoria
Salassorum, e anche per dei tratti di strade di loro realizzazione, per dei monumenti dell’epoca ben conservati nel tempo e così via. Di queste vestigia parla pure
Giosuè Carducci nell’autorevole ode patriottica Piemonte, con poche, appropriate parole: «...la vecchia Aosta di
cesaree mura ammantellata, che nel varco alpino eleva
sopra i barbari manieri l’arco d’Augusto...».
Nella città sono concentrate le attività amministrative regionali, il che, trovandoci in una regione a statuto
speciale, riveste non poca importanza, tanto dal punto
di vista economico quanto da quello politico. Dodicimila
piccole e piccolissime imprese sono attive nell’artigianato, nell’agricoltura, nel commercio e nel turismo,
settore quest’ultimo in costante crescita.
È MORTO IL PROFESSOR
TOMMASO PADOA SCHIOPPA
Professor Tommaso Padoa Schioppa
has passed away
Il 18 dicembre 2010 è morto a Roma il professor
Tommaso Padoa Schioppa, economista di fama, fervente europeista e uno dei padri della moneta unica.
Nato nel luglio 1940 a Belluno, si era laureato presso
206 CRONACHE AZIENDALI
Il professor
Tommaso
Padoa Schioppa
CONFERENZA
DI SUA EMINENZA IL CARDINALE
GIANFRANCO RAVASI
l’Università Luigi Bocconi di Milano in economia e
commercio. Il suo curriculum vitae è vasto e coronato
di successi di spessore.
Tra i tanti incarichi ricoperti, vi sono quello dal
’79 all’83 di direttore generale per l’Economia e la
Finanza dell’Unione Europea e quello immediatamente successivo (dal 1984 al 1997) di vice direttore
generale della Banca d’Italia. Dal ’97 al ’98 era stato
presidente della Consob e successivamente, fino al
2006, aveva fatto parte del Comitato Esecutivo della
Banca Centrale Europea. Nel 2006 era divenuto ministro dell’Economia e delle Finanze come tecnico indipendente e nel 2007 era stato nominato presidente
del Comitato Monetario e Finanziario Internazionale
del FMI (Fondo Monetario Internazionale). Il professor
Tommaso Padoa Schioppa ha pure scritto vari libri di
economia.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano,
ricordando Padoa Schioppa, ha affermato che è stato
«...un grande servitore dello Stato e dell’interesse
pubblico. In tutte le alte funzioni dove è stato chiamato in Italia e in Europa ha lasciato l’impronta del suo
eccezionale talento, della sua preziosa professionalità
e della sua integrità». Sono espressioni che fotografano il rigore morale, la preparazione e le capacità non
comuni del personaggio.
Piace ricordare la sua attenzione e vicinanza a
questa Popolare, concretatasi con la sua venuta nella
nostra banca a Sondrio del 21 aprile 1995, quand’era
vice direttore generale della Banca Centrale. Egli, nella
circostanza, aveva tenuto un’indimenticabile conferenza sul tema “Mercati finanziari tra pubblico e privato”.
Il testo fu integralmente pubblicato sul nostro Notiziario di dicembre di quell’anno.
Il ciclo delle nostre conferenze del 2010 si è chiuso con il cardinale Gianfranco Ravasi, il quale mercoledì
22 dicembre ha intrattenuto un foltissimo pubblico
nella nostra Sala Besta sul tema “Fede e scienza”. È
stata la sua nona conferenza presso di noi, la prima
nella sua eminente veste di porporato.
Fede e scienza sono sentimenti e idee forti che si
possono prestare a contrapposizioni e scontri tra credenti e non credenti.
Al fine di facilitare il dialogo fra i diversi pensatori,
Il cardinale
Gianfranco Ravasi, per volere del Santo Padre, in Vaticano si è recentemenpure a nome del
te costituito Il Cortile dei Gentili, struttura appartenente
Papa, consegna al al Pontificio Consiglio della Cultura. Trattasi di uno
signor Presidente,
«...spazio di incontro e confronto attorno al tema della
per il suo 80°
fede, quindi come possibilità di dialogo e reciproca cocompleanno, una
medaglia particolare noscenza fra il mondo dei credenti e quello dei non
credenti di oggi».
coniata dalla
Santa Sede
In passato vi era una particolare rigidità di pensiero, per cui, ad esempio, il cristiano interpretava i testi
His Eminence, also biblici in senso stretto, cioè non solo quale fonte di vein the name of the rità e di insegnamenti della religione, ma anche dal
Pope, gave the
punto di vista scientifico; ragione per la quale il geocenChairman, for his
trismo (ma non solo) non poteva essere messo in di80th birthday, a
special medal minted scussione. La posizione copernicana in contrapposizione con quella tolemaica non fu indolore: Galileo Galilei
by the Holy See
Foto Sgualdino
Olycom
Lecture by His Eminence Cardinal
Gianfranco Ravasi
CRONACHE AZIENDALI 207
Foto Sgualdino
è l’emblema della persecuzione, conseguente alla rigidità delle posizioni antitetiche e all’intolleranza.
Anche oggi, sia pure sotto altre forme, ci può essere intolleranza e intransigenza fra scienziati e teologi.
Ad esempio, si può verificare il caso in cui lo scienziato
pretende di essere il depositario della conoscenza e
della verità. Vi è poi la teoria dei due livelli, dei due
magisteri: quello scientifico e quello teologico. Il primo
fornisce dati, dimostrazioni, mette a punto le tecniche;
il secondo offre valori, dà risposte alle problematiche
dello spirito, al senso della vita, del creato, esalta il
sentimento.
La ricerca della verità, nata da quando esiste
l’uomo, non ha scadenze, non ha fine. Gli uomini di
tutti i tempi hanno speso fior di energie alla ricerca
della verità, che è complessa e anche misteriosa. Lo
scienziato autentico è diverso dal tecnico bieco ed è
quello che, come i bambini, pone in continuazione domande. Analogamente è per il teologo vero. La vita è
cercare, interrogarsi, osservare, scoprire. Scienziati e
teologi devono collaborare, parlarsi, riflettere e rispettare le posizioni di ciascuno. È bene che teologi e scienziati si impongano dei limiti dettati dalla coscienza,
operino in piena libertà e senza condizionamenti, e, pur
rimanendo sulle rispettive posizioni, non si pongano in
conflitto fra di loro. La fede, la filosofia, la poesia danno
un apporto, più o meno marcato, anche alla scienza; e
viceversa. Nel confronto costruttivo si avvantaggiano la
conoscenza, la verità.
Al termine della straordinaria elocuzione, Sua Eminenza, pure a nome del Papa, ha donato al presidente
cavaliere del lavoro Piero Melazzini, per il suo ottantesimo compleanno e in segno di ammirazione per il suo
impegno anche nel settore culturale, una medaglia
particolare, coniata dalla Santa Sede in occasione di un
incontro nella Cappella Sistina fra il Sommo Pontefice
e trecento artisti.
208 CRONACHE AZIENDALI
Un foltissimo
pubblico segue con
particolare
attenzione la dotta
conferenza del
cardinale di recente
nomina Gianfranco
Ravasi
A large audience
follows very
attentively the
erudite lecture by
the recently
appointed Cardinal,
Gianfranco Ravasi
Il dottor Giovanni
Carlo Massera
È MORTO IL DOTTOR
GIOVANNI CARLO MASSERA
Dr. Giovanni Carlo Massera has passed away
Il 22 gennaio 2011, poco dopo mezzanotte, è
improvvisamente venuto a mancare il dottor Giovanni
Carlo Massera, maestro del lavoro, dipendente in quiescenza della banca.
Nato il 27 novembre 1943, laureato in economia
e commercio presso l’Università Commerciale Luigi
Bocconi di Milano, era stato assunto in “Popolare” nel
dicembre del 1970 e assegnato al Servizio crediti. Ha
percorso i vari gradini della carriera fino a divenire responsabile dello stesso Servizio e a ricoprire, dal gennaio 1998 al 31 dicembre 2007, data di cessazione dal
CONFERENZA
DEL PROFESSOR GUIDO TABELLINI
Lecture by Professor Guido Tabellini
Ha aperto il ciclo delle nostre conferenze del 2011
il professor Guido Tabellini, magnifico rettore dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano, alla presenza
di un folto uditorio. Tema dell’incontro: “Quale futuro per
l’economia in Europa”.
La grave crisi in atto da qualche anno durerà ancora parecchio e la normalità arriverà non prima di ottodieci anni o più. Siamo comunque entrati in una fase di
ripresa, più marcata (circa il 4%) nei Paesi emergenti,
Foto Sgualdino
Il professor
Guido Tabellini
cioè Cina, India e altri, a seguire gli Stati Uniti, gli Stati
dell’area euro, tra cui, fanalino di coda, l’Italia con circa
l’1%. Le nazioni con economie avanzate fanno più fatica
delle altre a rimettersi in cammino, in quanto hanno
sulle spalle debiti sovrani in eccesso.
Le economie emergenti sono un fenomeno epocale, dovuto a repentina trasformazione storica e destinato a continuare per qualche decennio, magari (ma non
è detto) con minori performance.
La ripresa potrebbe essere più veloce del previsto.
La Germania è riuscita ad agganciare le recenti opportunità di crescita; non altrettanto – sia pure con delle
eccezioni riconducibili a talune regioni e a qualche impresa – l’Italia, gravata com’è da un debito sovrano
Foto Sgualdino
rapporto di lavoro dipendente, la prestigiosa carica di
vice direttore generale. Il dottor Massera ha dato il suo
prezioso apporto all’azienda, in qualità di consulente,
anche dopo il pensionamento e fino al decesso. È venuto al lavoro per l’ultima volta il 20 gennaio.
Persona riservata, preparata e scrupolosa, ha
svolto le incombenze – e le sue erano delicate e di peso
– sempre con correttezza e diligenza.
Era un uomo di stile, fine nel porsi, gentile con
l’interlocutore, fosse questi collaboratore, cliente e no.
Mai scontroso, mai una parola sopra le righe, mai infastidito da situazioni, quand’anche spiacevoli, difficili:
una persona equilibrata, dabbene.
Il dottor Massera ha lasciato negli stretti familiari
e altri parenti, nel vertice aziendale, nei dipendenti della
“Sondrio” – e altresì in tutti quelli che lo hanno conosciuto a vario titolo – un vuoto, uno smarrimento, un
caro ricordo di bontà e serietà.
CRONACHE AZIENDALI 209
elevatissimo, una vera e propria zavorra, i cui effetti
negativi sono tuttavia mitigati dal risparmio elevato
delle famiglie, fenomeno non riscontrabile altrove, molto
salutare per l’economia nazionale e il sistema-Paese.
Negli Usa il settore delle imprese è in buona forma, con bilanci sani, idonei per investire e accrescere
il lavoro in un momento di ripresa, com’è l’attuale e di
cui si è fatto cenno, una ripresa che però lascerà il
tasso di disoccupazione invariato. Le Borse tendono a
salire e gli investitori ne sono attratti e sono invogliati a
spostare l’attenzione verso impieghi con più opportunità, anche se maggiormente rischiosi.
I rischi attuali, come la deflazione, sono diminuiti
rispetto a un anno fa. Ci sarà, per contro, maggiore inflazione, soprattutto nei Paesi emergenti, che, se mantenuta entro limiti congrui, non sarà dannosa, perché
faciliterà le esportazioni. Tra i rischi per l’area euro, il più
rilevante e che fa perdere fiducia, è riferito alla presenza
del debito sovrano, la cui entità varia da nazione a nazione; e tra di esse, oltre all’Italia, bisogna ricordare il
Belgio, la Spagna, ma ancor prima la Grecia e l’Irlanda,
Paesi, questi ultimi due, che, a causa di una forte crisi
interna, hanno avuto necessità di interventi comunitari
sostanziosi. L’Europa non era preparata e ha tentennato nel prendere le opportune misure, con rischi per
questa intempestività che avrebbero potuto portare
danni incalcolabili a tutte le nazioni dell’area euro.
Ora, con l’esperienza acquisita, si fa l’ipotesi di
irrobustire l’apposito Fondo, a disposizione delle nazioni
che si venissero a trovare in momentanea difficoltà. Si
pensa altresì, per tali casi, di applicare tassi d’interesse
particolarmente favorevoli.
BILANCIO DELL’ESERCIZIO 2010
DELLA BANCA POPOLARE DI
SONDRIO (SUISSE) SA
Annual report 2010 of the Banca Popolare di Sondrio
(Suisse) SA
Il 14 febbraio 2011 ha avuto luogo l’assemblea
annuale della partecipata Banca Popolare di
Sondrio (SUISSE) SA, che ha approvato il
bilancio dell’esercizio 2010, quindicesimo
dalla fondazione.
210 CRONACHE AZIENDALI
La controllata elvetica si è trovata a lavorare in un
contesto nazionale particolare, con un franco forte e i
conti in ordine, e con una curva dei tassi d’interesse
prossimi allo zero. La perdurante crisi internazionale,
per effetto della globalizzazione, ha influito negativamente anche per la Svizzera, a riguardo del lavoro e
dello sviluppo.
L’utile netto è ammontato a CHF 4.700.780, in
contrazione sull’anno prima del 51,02%, risultato che
non è da ritenersi insoddisfacente, in relazione alle criticità internazionali economico-finanziarie, di cui si è
fatto cenno, e al perdurare, nella Confederazione,
dell’appiattimento dei tassi. L’utile è stato destinato,
come nei precedenti esercizi, a riserva legale generale,
per cui il patrimonio si è attestato a CHF 227 milioni.
La raccolta diretta è ammontata a 2.130 milioni
di franchi, più 0,41% sull’anno precedente. Quella complessiva da clientela ha segnato 4.777 milioni, con un
calo del 5,35%. I crediti a clientela sono stati di CHF
2.513 milioni, più 16,53%, dato importante che dimostra nei fatti la volontà della controllata di sostenere le
economie locali.
Il totale di bilancio si è assestato a 3.414 milioni
di franchi svizzeri, più 18,83%.
La parte culturale della Relazione dell’esercizio
2010 è stata dedicata a uno straordinario personaggio del secolo scorso, un industriale italiano di valore
che amava la propria azienda e le persone che vi
operavano, per le quali nutriva particolare attenzione, anche a scapito del profitto. Era sostenitore
della cultura e della ricerca, a cui dedicava spazio
e denaro. Si tratta dell’ingegner Adriano Olivetti,
figlio di Camillo, fondatore dell’omonima azienda
eporediese, produttrice di macchine per scrivere
e da calcolo.
Adriano Olivetti, rifugiatosi in Svizzera
durante il secondo conflitto mondiale, al rientro in patria prende in mano le redini dell’azienda di famiglia e la porta a essere floridissima e famosa in tutto il mondo. Non si può
non menzionare la realizzazione, avvenuta
in quell’epoca, della celeberrima “Lettera
22”, macchina per scrivere portatile di grande
successo, divenuta il simbolo per antonomasia della
Olivetti. Fu, tra l’altro, la “tastiera” del giornalista Indro
Montanelli, dalla quale non si separò mai.
Lecture by Dr. Michele Fazioli
Il dottor Michele
Fazioli, giornalista
della
Radiotelevisione
Svizzera di lingua
italiana
Foto Sgualdino
La sera del 18 febbraio 2011 ha avuto luogo
nella nostra Sala Besta a Sondrio la conferenza del
dottor Michele Fazioli, giornalista della RSI – Radiotele- Dr. Michele Fazioli,
visione Svizzera di lingua Italiana, sul tema “Informazio- journalist with the
italian-language
ne in controluce. Bellezze e insidie della rivoluzione
Swiss radio and
mediatica”.
television
Negli ultimi tempi si è vissuta una rivoluzione
dell’informazione che ha mutato l’uomo, le sue abitudini.
Nell’antichità il mondo era semplice, non c’era
nulla, le notizie si diffondevano con il passaparola. Poi
è arrivata l’epoca del cinema, degli aerei, della radio,
della televisione, mezzi particolarmente veloci ed efficaci per divulgare gli accadimenti. Ultimamente si sono
aggiunti i telefoni cellulari e internet, che hanno ancor
più velocizzato il tutto. In cent’anni è avvenuto ciò che
non si è verificato in millenni: una rivoluzione mediatica
straordinaria, che i nostri antenati mai avrebbero potuto
immaginare.
Il tema
A titolo di esempio, nei tempi andati, quando
“Informazione in
capitava che morisse o fosse eletto un Papa, ci vole- controluce. Bellezze gue, e – altra faccia della medaglia – fa sì che il giornae insidie della
vano giorni, mesi, affinché se ne venisse a conoscenle quotidiano, un tempo mezzo principe per la diffusione
rivoluzione
za. Oggi si è informati ovunque e subito, e, con altretdegli accadimenti, sia superato (vecchio) già in prima
mediatica” è stato
tanta velocità, si può assistere a fatti lontani quel che
mattinata.
particolarmente
si vuole, anche all’altro capo del mondo: senza essere gradito dal pubblico
Siamo in presenza di una concorrenza fors’anche
in piazza San Pietro, si può assistere in diretta alla
esagerata da parte dei mezzi di comunicazione di masintervenuto
famosa fumata bianca, inequivocabile segnale della
sa. Per stare al passo con i tempi e vendere, è necesThe subject
nomina di un nuovo Pontefice. Altro esempio. La scena
sario essere veloci nell’acquisire le notizie e nel pubblidell’abbattimento delle Torri Gemelle newyorkesi “Information between carle. Si sa che la fretta è nemica della ponderazione,
dell’11 settembre 2001 fu ripresa da telefoni cellulari the lines. The beauty della precisione, della completezza. Bisognerebbe inveand dangers of the
e le tragiche immagini si diffusero nel mondo intero in
ce pesare quanto si va a scrivere e non dare nulla per
media revolution”
pochissimi secondi.
scontato, ma spiegare i fatti dall’inizio, evidenziandone
was particularly
Tutto questo è positivo, anche se la velocizzazione appreciated by the le cause, l’evoluzione...
porta all’assuefazione, con quanto di negativo conseAltra considerazione. La gente vuole il pettegolezaudience
zo, i processi in diretta TV, ama il
macabro; e i giornalisti, consapevoli
di questo, danno in pasto ai telespettatori, ai lettori, immagini raccapriccianti e descrizioni crude, che possono sconvolgere chi è sensibile, chi è
debole. Ma, come si sente dire, non
bisogna perdere telespettatori, il
giornale va venduto in tante copie. E
allora ci si dilunga sul male, sul trasgressivo, sui particolari scabrosi.
Le notizie positive e quelle riguardanti il bene in genere, che notoriamente e per fortuna sovrasta di gran
lunga il male, di solito non incrementano l’audience e non fanno piazzare
più copie di giornali. Quindi se ne
parla, quando lo si fa, con dei brevi
cenni, con dei trafiletti collocati
all’interno del giornale, in posizione
defilata. Che tutto ruoti attorno al
dio denaro è moralmente inaccettabile, riprovevole.
CRONACHE AZIENDALI 211
Foto Sgualdino
CONFERENZA
DEL DOTTOR MICHELE FAZIOLI
Photo Oilime
ASSEGNATO ALLA BANCA
IL PRESTIGIOSO PREMIO
“CREATORI DI VALORE”
The prestigious “Creators of Value”
prize awarded to the bank
La banca è rimasta aggiudicataria del premio
“Creatori di Valore” come “Miglior Banca Popolare”,
nell’ambito di “Milano Finanza Global Awards 2011”.
È un’attestazione di rilievo, riservata alle aziende
creditizie che abbiano realizzato, nell’anno di riferimento, le migliori performance patrimoniali e di efficienza.
Il soggetto da premiare viene selezionato con un
criterio di valutazione MF Index, indicatore che – così si
legge – «...coniuga dimensioni e risultati, con l’obiettivo
di individuare gli istituti che hanno saputo abbinare allo
sviluppo della massa amministrata la capacità di fare
cassa e generare profitti».
Il prestigioso riconoscimento è la dimostrazione
delle scelte oculate, operate dalla Popolare di Sondrio
anno dopo anno, per effetto delle quali siamo un’azienda solida e in espansione, e i soci sono in costante
crescita. È pure la comprova che il modo di operare dei
dipendenti, notoriamente improntato a professionalità,
impegno ed entusiasmo, è efficace e ripaga.
UNITÀ D’ITALIA. INIZIATIVE
ATTUATE DALLA BANCA
Unity of Italy. The initiatives by the bank
Olycom
La banca, sensibile agli accadimenti che riguardano l’Italia,
compresi quelli storici, per ricordare i 150 anni dell’Unità nazionale ha ritenuto di attuare due
iniziative.
La prima ha riguardato l’organizzazione, attraverso la propria biblioteca Luigi Credaro, di una mostra intitolata “Le monete e le
medaglie raccontano l’Unità d’Italia”, con la collaborazione del Circolo Culturale Filatelico Numismatico
Morbegnese.
L’inaugurazione è avvenuta
l’11 marzo 2011 a Sondrio, Lungo
Mallero Armando Diaz n. 18, nei
locali della biblioteca stessa, con entrata libera, e le Sulla pubblicazione
visite son potute avvenire dal martedì al sabato, fino al figura l’autorevole
messaggio del
30 marzo 2011, data di chiusura della mostra.
presidente della
L’esposizione ha riscosso notevole successo, sia Repubblica Giorgio
per l’interesse suscitato dalle monete e dalle medaglie
Napolitano
d’epoca, sia soprattutto per lo spirito di “popolo” con il
quale è stata attuata la manifestazione in un periodo di
The authoritative
fervore per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità naziomessage of Giorgio
nale.
Napolitano, president
La seconda iniziativa ha riguardato la realizzazioof the Republic,
ne di un elegante cofanetto, donato ai soci intervenuti
appears on the
publication
in assemblea, contenente tre libri di autori della provin-
212 CRONACHE AZIENDALI
cia di Sondrio, libri incentrati sugli accadimenti dell’epoca risorgimentale in Valtellina. L’uno, Sommario delle
vicende politiche della Valtellina dal marzo 1848 a tutto
il 1859, è di Antonio Maffei, che fu arciprete di Sondrio,
storico e intellettuale vissuto nel XIX secolo. L’altro volume, intitolato Osservazioni sulla condizione presente
della Valtellina, è stato scritto da Luigi Torelli (nato a
Villa di Tirano nel 1810, morto a Sondrio nel 1887),
patriota, politico, ministro e senatore del Regno. Il
terzo libro è Il Risorgimento e la Valtellina, a cura di
Franco Monteforte, giornalista, storico e intellettuale
contemporaneo. A completamento dell’opera, sono
pubblicati un autorevole, significativo messaggio del
presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano e un contributo del professor Arturo
Colombo, saggista delle
dottrine politiche.
Con quanto attuato, la
Banca Popolare di Sondrio
ha inteso onorare la Patria,
esaltandone i vantaggi che
lo stare sotto una medesima bandiera comporta nel
cammino, talvolta tortuoso,
della storia e nella difesa
della libertà.
Paolo Rossi
ASSEMBLEA ORDINARIA.
5.200 SOCI (FISICAMENTE PRESENTI
3.300) IL 9 APRILE 2011 HANNO
APPROVATO IL BILANCIO
DELL’ESERCIZIO 2010 (140°)
A LARGHISSIMA MAGGIORANZA
General Shareholders Meeting
5,200 shareholders (3,300 physically present)
on April 9, 2011 approved the 2010 Financial
Statement (the 140th) by a wide majority
Qualche dato riferito all’esercizio 2010
– Raccolta complessiva da clientela € 42.649 milioni, con un incremento del 10,24%
– Raccolta diretta da clientela € 18.967 milioni, con
un aumento dell’8,26%
– Utile netto € 133,3 milioni, meno 30,08%
– Dipendenze n. 290, più 12 rispetto al 2009
lungo per il raggiungimento della località, è stato tra
l’altro compensato dalla notevole riduzione dei tempi di
iscrizione ai lavori e dall’adeguata e ordinata sistemazione di tutti i soci in sala.
È stato previsto – il che avviene da qualche anno
a questa parte – un efficiente servizio di pullman, risultato peraltro molto gradito, tant’è che non pochi partecipanti ne hanno usufruito.
Sono giunti in loco 3.300 soci – la maggior parte
dei quali residenti in zone dove abbiamo sportelli e
nella confinante Confederazione svizzera –, che hanno
complessivamente espresso, in proprio e per rappresentanza, 5.200 voti.
Alle 10.30 il presidente della banca ha aperto i
I consiglieri
lavori, invitando la platea ad alzarsi in piedi per la comdella banca
memorazione dei soci e amici della banca venuti a
The bank’s members mancare dopo l’assemblea dell’anno scorso. È una
of the board
sezione, quella dedicata a chi non è più, che invita a
Paolo Rossi
Sabato 9 aprile 2011 si è svolta l’assemblea annuale della banca a Bormio, presso il centro polifunzionale Pentagono, con inizio dei lavori alle ore 10.30.
È stata prescelta, come avviene da diversi anni, la
cittadina di Bormio, sia perché ci si trova in un suggestivo centro montano di villeggiatura estiva e invernale
particolarmente rinomato per gli sport della neve, ma
non solo, sia perché la struttura del Pentagono si caratterizza per essere un ambiente accogliente e funzionale,
molto adatto per adunanze con numerosi partecipanti.
Il disagio – soprattutto da parte dei provenienti da fuori
della provincia di Sondrio –, dovuto al viaggio un po’
CRONACHE AZIENDALI 213
Foto Sgualdino
riflettere e, in questo, vengono in soccorso intellettuali
di ogni epoca, come per esempio William Shakespeare
che nell’Amleto tra l’altro dice: «Morire per dormire.
Nient’altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi
battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede
la carne! Quest’è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare».
Il presidente ha proseguito nella lettura della corposa relazione, omettendo – con l’unanime consenso
dei soci – taluni pezzi non essenziali, al fine di velocizzare il tutto e riservare maggiore spazio agli interventi
finali.
È stato sottolineato come il tanto e profittevole
lavoro svolto nel 2010 abbia confermato la capacità
della banca di avere ritorni soddisfacenti, nonostante la
crisi in atto da tempo a livello internazionale e, giocoforza, nazionale. Vi sono stati alcuni fattori che hanno
però influito negativamente sul risultato dell’utile, a iniziare dalle minusvalenze dei CCT in portafoglio (in attesa
che giungano a scadenza), in buona parte funzionali
alle operazioni di pronti contro termine con la clientela;
dallo sfavorevole andamento dei tassi di interesse, con
il costo elevato della provvista per carenza di liquidità
nel sistema; e da altri fattori collegati direttamente o
indirettamente alla congiuntura in atto.
Qualche cifra fotografa la situazione aziendale, riferita all’esercizio in esame.
L’utile netto di esercizio è stato di € 133,3 milioni,
meno 30,08% sull’anno prima (va considerato che quello dell’esercizio precedente fu un utile straordinariamente elevato, eccezionale, anche per motivi contingenti e
irripetibili), importo che ha consentito di sottoporre
all’approvazione dei soci un dividendo unitario di 0,21
euro.
L’utile netto del bilancio consolidato è ammontato
a 135,1 milioni, meno 32,78%.
Il numero dei soci è aumentato nel 2010 di circa
5.300 unità, portandosi a oltre 168.000 (nel primo
scorcio del 2011 la compagine si è ulteriormente elevata). Il significativo incremento è la dimostrazione della
fiducia accordata alla Popolare di Sondrio, nonostante
la disaffezione del pubblico per le borse valori e, in ge-
214 CRONACHE AZIENDALI
nerale, per l’investimento in titoli, causata dalla crisi finanziaria che è divenuta un ritornello e non può non
essere evocata nelle considerazioni. Oggi, ancor più che
in passato, chi investe in titoli lo fa se la società a cui
essi sottostanno dà garanzie in termini di solidità e di
buona conduzione. Evidentemente le numerose nuove
sottoscrizioni di azioni BPS provano che la Popolare di
Sondrio rientra in questo paradigma e quindi rappresentano un giudizio largamente positivo. La stima per la
“Sondrio” è tra l’altro riscontrabile nell’aggiudicazione
alla stessa, da parte di MF - Milano Finanza, del prestigioso premio “Creatori di valore” come “Miglior Banca
Popolare” per le ottime performance patrimoniali riconosciute e per la massima efficienza. L’apprezzamento è
arrivato anche dal “World Payments - Report 2010”,
dove si rammenta che la nostra istituzione ha saputo
operare con particolare successo, ragione per la quale,
nonostante le contenute dimensioni, è entrata a pieno
titolo nel ristretto novero delle banche (perlopiù di caratura internazionale) di cui si avvale la Commissione
Europea.
La raccolta diretta da clientela ha segnato 18.967
milioni, più 8,26%; quella indiretta da clientela si è posizionata a 23.072 milioni, più 11,76%; e l’assicurativa
è stata di 610 milioni, più 16,39%. La raccolta complessiva da clientela è risultata quindi di 42.649 milioni,
pari a un aumento percentuale del 10,24.
I crediti verso clientela si sono attestati a 18.248
milioni, corrispondenti a un incremento sull’anno precedente del 9,20%, e quelli di firma hanno sommato
3.421 milioni, più 17,99%. Le attività finanziarie, rappresentate da titoli di proprietà e derivati, sono ammontate
a 3.249 milioni, meno 3,13%. Le partecipazioni sono
state di 349 milioni, più 138,30% rispetto all’esercizio
2009.
La buona salute della banca si è rivelata anche
nell’espansione territoriale, con l’attivazione di ben 12
nuove filiali. Le località prescelte sono state: Riva del
Garda, Cremona (agenzia n. 1), Erba, Brescia (agenzia
n. 4), Darfo Boario Terme (agenzia n. 2), Chiavari, Seregno (agenzia n. 1), Ciampino, Rovereto, Corte Franca,
Legnano e Verona. Come si può vedere, nelle aperture
si è seguita la logica di rafforzamento delle località già
presidiate e di prosecuzione in quelle contigue.
La partecipata più importante è la Banca Popolare
di Sondrio (SUISSE) SA di Lugano, istituita nel maggio
1995, che, nell’esercizio 2010, ha conseguito un utile
netto di CHF 4.700.780, in contrazione sull’anno precedente del 51,02%. Il dato, a prima vista, si direbbe negativo, ma, come già detto, così non è: una delle cause
del forte calo è la curva dei tassi d’interesse elvetici
prossimi allo zero. Le altre “poste” sono risultate buone,
secondo le aspettative. Il totale di bilancio ha cifrato
3.414 milioni di franchi svizzeri, con un incremento
sull’esercizio 2009 pari al 18,83%.
Giova ricordare, tra le partecipate, anche Factorit
Spa, il cui controllo è stato assunto dalla banca il 29
luglio 2010. Questa società ha una posizione di spicco
nel mercato nazionale della cosiddetta “fattorizzazione”
ed è uno strumento molto valido per il conseguimento
Foto Sgualdino
The Chairman Piero
Melazzini and
General Manager
Mario Alberto
Pedranzini
di sinergie. L’esercizio 2010 si è chiuso con un utile di
dieci milioni di euro.
Letta la corposa relazione, che è stata seguita con
generale attenzione dalla vasta platea, si è aperto un
ampio dibattito sul bilancio, sulle cifre, sulla situazione
in genere. Sono state avanzate idee e proposte, sono
stati posti diversi quesiti. Al tutto è stato risposto puntualmente ed esaurientemente.
Giunti al momento delle votazioni, il bilancio è
stato approvato a larghissima maggioranza.
3.300 soci
al “Pentagono”
3,300 shareholders
at the “Pentagono”
Cariche sociali
Sono risultati rieletti, per il triennio 2011-2013, i
consiglieri in scadenza di mandato signori cavaliere del
lavoro ragionier Piero Melazzini, cavaliere ragionier Gianluigi Bonisolo, dottor professor Miles Emilio Negri, dottor
Lino Enrico Stoppani e dottor professor Paolo Biglioli.
Al termine dell’assemblea, si è tenuto un Consiglio
di amministrazione il quale, tra l’altro, ha confermato
nella carica, per il triennio 2011-2013, il presidente e il
vicepresidente in scadenza di mandato, cioè, rispettivamente, il cavaliere del lavoro ragionier Piero Melazzini e
il dottor professor Miles Emilio Negri.
Donato ai soci l’elegante cofanetto “Il Risorgimento e
la Valtellina”
È consuetudine della banca, al termine dei lavori
assembleari, fare un presente a tutti i soci convenuti,
in segno di riconoscenza per la vicinanza, l’attenzione e
l’amicizia.
Quest’anno il dono è consistito in un elegante cofanetto dal titolo “Il Risorgimento e la Valtellina”, includente tre libri che richiamano il periodo risorgimentale in
provincia di Sondrio. L’opera è autorevolmente impreziosita da un elevato messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Della singolare realizzazione
si dice più compiutamente in altro punto della presente
rubrica, dedicato specificamente alle iniziative della
banca per ricordare i 150 anni dell’Unità nazionale.
Paolo Rossi
Il presidente Piero
Melazzini e il
direttore generale
Mario Alberto
Pedranzini
CRONACHE AZIENDALI 215
O R G A N I Z Z A Z I O N E T E R R I TO R I A L E
BANCA POPOLARE DI SONDRIO
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Società cooperativa per azioni - Fondata nel 1871
Iscritta al Registro delle Imprese di Sondrio al n. 00053810149
Iscritta all’Albo delle Banche al n. 842
Iscritta all’Albo delle Società Cooperative al n. A160536
Capogruppo del Gruppo bancario Banca Popolare di Sondrio,
iscritto all’Albo dei Gruppi bancari al n. 5696.0
Aderente al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi
Codice Fiscale e Partita IVA: 00053810149
Al 31 dicembre 2010 Capitale sociale: € 924.443.955
Riserve: € 733.175.003
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TREVIGLIO via Cesare Battisti 8/B
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INTERNAZIONALE: lungo Mallero Luigi Cadorna 24, Sondrio
COMMERCIALE, ENTI E TESORERIE, ECONOMATO, TECNICO,
PREVENZIONE E SICUREZZA: corso Vittorio Veneto 7, Sondrio
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BORMIO: Agenzia n. 1, Via Roma 64 tel. 0342
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DELEBIO piazza San Carpoforo 7/9
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LIVIGNO: Agenzia n. 1, via Saroch 160 tel. 0342
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via Cima Piazzi 28
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TIRANO piazza Cavour 20
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VILLA DI TIRANO traversa Foppa 25
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512178
746098
660440
492115
910019
913071
50544
951103
32202
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996192
997656
56019
702552
860090
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613257
615040
63001
904534
683140
482201
38165
20252
946001
921233
801150
528111
210949
210152
216071
567256
212517
510191
670722
781301
702533
653171
735300
40490
701145
tel.
035 4521158
tel.
tel.
035 4370111
035 234075
tel.
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035
035
995989
790952
tel. 035
tel. 035
tel. 035
tel. 035
tel. 0363
tel. 035
tel. 0363
787615
712034
833583
881844
903658
912638
309468
PROVINCIA DI BOLZANO
BOLZANO viale Amedeo Duca d’Aosta 88
Amedeo Duca D’Aosta Allee 88
tel. 0471
MERANO corso della Libertà 16
Freiheitsstrasse 16
tel. 0473
402400
239895
PROVINCIA DI BRESCIA
BERZO DEMO via Nazionale 14
BIENNO via Giuseppe Fantoni 36
BRENO piazza Generale Pietro Ronchi 4
BRESCIA
Sede, via Benedetto Croce 22
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Agenzia n. 2, via Solferino 61
Agenzia n. 3, viale Piave 61/A
Agenzia n. 4, via Fratelli Ugoni 2
COCCAGLIO via Adelchi Negri 12
COLLEBEATO via San Francesco d’Assisi 12
CORTE FRANCA via Seradina 7
DARFO BOARIO TERME
Agenzia n. 1, corso Italia 10/12
Agenzia n. 2, piazza Patrioti 2
DESENZANO DEL GARDA
via Guglielmo Marconi 1/A
EDOLO piazza Martiri della Libertà 16
GARDONE VAL TROMPIA
via Giacomo Matteotti 300
ISEO via Roma 12/E
LONATO DEL GARDA
corso Giuseppe Garibaldi 59
LUMEZZANE - fraz. Sant’Apollonio
via Massimo D’Azeglio 108
MANERBIO via Dante Alighieri 8
MONTICHIARI via Mantova
- ang. via 3 Innocenti 74
ORZINUOVI piazza Giuseppe Garibaldi 19
OSPITALETTO via Brescia 107/109
PALAZZOLO SULL’OGLIO via Brescia 23
PISOGNE via Trento 1
PONTE DI LEGNO piazzale Europa 8
SALE MARASINO via Roma 33/35
SALÒ viale Alcide De Gasperi 13
TOSCOLANO MADERNO
piazza San Marco 51
tel. 0364
tel. 0364
tel. 0364
tel.
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630328
300558
320892
030
030
030
030
030
030
030
030
29114111
3700976
3775500
364779
2807178
7703857
2511988
9884307
tel. 0364
tel. 0364
536315
799810
tel. 030 9158556
tel. 0364 770088
tel.
tel.
030 8913039
030 980585
tel.
030 9131040
tel.
tel.
030 8925236
030 9381117
tel. 030 9650703
tel. 030 9941518
tel. 030 643205
tel. 030 7400777
tel. 0364 880290
tel. 0364 900714
tel. 030 9820868
tel. 0365 522974
tel. 0365
548426
PROVINCIA DI COMO
APPIANO GENTILE piazza della Libertà 9
AROSIO piazza Montello 1
BELLAGIO via Valassina 58
BREGNANO via Giuseppe Mazzini 22/A
BULGAROGRASSO via Pietro Ferloni 2
CAMPIONE D’ITALIA piazza Roma 1/G
CANTÙ via Milano 47
CANZO via Alessandro Verza 39
CARIMATE - fraz. Montesolaro
piazza Lorenzo Spallino
CARLAZZO via Regina 125
COMO
Sede, viale Innocenzo XI 71
Agenzia n. 1, via Giorgio Giulini 12
Agenzia n. 2,
via Statale per Lecco 70 - fraz. Lora
Agenzia n. 3,
via Asiago 25 - fraz. Tavernola
Agenzia n. 4,
c/o ACSM - via Vittorio Emanuele II 93
DOMASO via Statale Regina 77
DONGO piazza Virgilio Matteri 14
ERBA via Alessandro Volta 3
FINO MORNASCO via Giuseppe Garibaldi
- ang. piazza Odescalchi 5
GARZENO via Roma 32
GERA LARIO via Statale Regina 14
GRAVEDONA via Dante Alighieri 20
GUANZATE via Giuseppe Garibaldi 1
tel. 031 934571
tel. 031 763730
tel. 031 952177
tel. 031 774163
tel. 031 891834
tel. 0041 91 6401020
tel. 031 3517049
tel. 031 681252
tel. 031 726061
tel. 0344 74996/89
tel.
tel.
031 2769111
031 260211
tel.
031
555061
tel.
031
513930
tel. 031 242542
tel. 0344
85170
tel. 0344
81206
tel. 031 4472070
tel. 031 880795
tel. 0344
88646
tel. 0344
84380
tel. 0344 499000
tel. 031 3529036
LURAGO D’ERBA via Roma 58
MENAGGIO
via Annetta e Celestino Lusardi 62
MERONE via San Girolamo Emiliani 5/C
MONTORFANO via Brianza 6/B
SALA COMACINA via Statale 14/A
SAN FEDELE INTELVI via Provinciale 79
SAN SIRO
loc. Santa Maria - via Statale Regina
VILLA GUARDIA
via Varesina - ang. via Monte Rosa
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031
698367
tel. 0344
tel. 031
tel. 031
tel. 0344
tel. 031
34128
650817
200859
57056
831944
tel. 0344
50425
tel.
031
483200
tel. 0373
80882
PROVINCIA DI CREMONA
CREMA via Giuseppe Mazzini 109
CREMONA
Sede, via Dante Alighieri 149/A
Agenzia n. 1, piazza Antonio Stradivari 9
PANDINO via Umberto I 1/3
RIVOLTA D’ADDA via Cesare Battisti 8
tel.
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0372 1809100
0373
91016
0363 370661
PROVINCIA DI GENOVA
CHIAVARI
piazza Nostra Signora dell’Orto 42/B
- ang. via Doria
GENOVA via XXV Aprile 7
tel. 0185 1878300
tel. 010 5535127
PROVINCIA DI LECCO
ABBADIA LARIANA via Nazionale 140/A
BOSISIO PARINI via San Gaetano 4
CALOLZIOCORTE corso Europa 71/A
CASATENOVO via Roma 23
COLICO via Nazionale - ang. via Sacco
DERVIO via Don Ambrogio Invernizzi 2
LECCO
Sede, corso Martiri della Liberazione 65
Agenzia n. 1, viale Filippo Turati 59
Agenzia n. 2, piazza XX Settembre 11
Agenzia n. 3,
corso Emanuele Filiberto 104
Agenzia n. 4, viale Montegrappa 18
LOMAGNA via Milano 24
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piazza Sacro Cuore 8
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NIBIONNO - fraz. Cibrone,via Montello 1
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0341 941260
0341 804447
tel. 0341
tel. 0341
tel. 0341
471111
361919
282520
tel. 0341 422748
tel. 0341 495608
tel. 039 9278080
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tel.
0341 732878
039 5983013
031 692045
0341 263061
0341 283964
0341 981151
0341 582972
0341 815239
PROVINCIA DI LODI
CODOGNO via Giuseppe Verdi 18/C
LODI via Francesco Gabba 5
tel. 0377
tel. 0371
436381
421436
tel. 0376
672306
tel.
tel.
tel.
tel.
326095
288139
508465
780877
PROVINCIA DI MANTOVA
CASTIGLIONE DELLE STIVIERE
piazza Ugo Dallò 25
MANTOVA
Sede, corso Vittorio Emanuele II 154
Agenzia n. 1, piazza Broletto 7
SUZZARA piazza Giuseppe Garibaldi 4
VIADANA piazza Giacomo Matteotti 4/A
0376
0376
0376
0375
PROVINCIA DI MILANO
BUCCINASCO via Aldo Moro 9
tel.
02 45716239
CINISELLO BALSAMO
via Giuseppe Garibaldi 86
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LEGNANO corso Giuseppe Garibaldi 71
tel. 0331 470255
MILANO
Sede, via Santa Maria Fulcorina 1
tel.
02
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Agenzia n. 1, Porpora,
via Nicola Antonio Porpora 104
tel.
02 70630941
Agenzia n. 2, Barona, viale Faenza 22 tel.
02 8911115
Agenzia n. 3, a2a, corso di Porta Vittoria 4 tel.
02 76005333
Agenzia n. 4, Regione Lombardia,
via Torquato Taramelli 20
tel.
02 603238
Agenzia n. 5, Bovisa, via degli Imbriani 54 tel.
02 39311498
Agenzia n. 6, Corvetto,
via Marco d’Agrate 11
tel.
02 55212294
Agenzia n. 7, Caneva,
via Monte Cenisio 50
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02 33606260
Agenzia n. 8, Quarto Oggiaro,
via Michele Lessona - ang. via Trilussa 2 tel.
02 39001760
Agenzia n. 9, c/o A.L.E.R.,
viale Romagna 24
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