Dia 1 Iniziamo questa lezione sul razionale della terapia con farmaci

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Dia 1 Iniziamo questa lezione sul razionale della terapia con farmaci
Lezione 8 - RAZIONALE PER LA TERAPIA FARMACOLOGICA NEL DIABETE DI TIPO 2
Dia 1
Iniziamo questa lezione sul razionale della terapia con farmaci nel diabete di tipo 2, con una grande
verità, venuta alla ribalta in questi ultimi anni, della quale è molto difficile rendersi pienamente
conto, a causa di consuetudini fortemente consolidate che si basano sull’assunto che il diabete di
tipo 2 si cura con i farmaci. In realtà, i farmaci dovrebbero essere utilizzati negli individui, che sono
in sovrappeso o obesi, esclusivamente dopo un vigoroso e determinato trattamento dietetico, in
grado di far raggiungere al soggetto il peso ideale, e quindi, abbattere la grande resistenza insulinica
tipica di questi soggetti, che, come abbiamo detto nella precedente lezione, porta ad una riduzione
notevole dei valori di HbA1c.
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Soltanto dopo il raggiungimento del peso ideale, e soltanto nei pochi pazienti nei quali la
glicoemoglobina, nonostante un peso corporeo ideale, dovesse continuare a presentare valori
superiori al 7%, sarebbe giustificato iniziare i farmaci. La realtà è, purtroppo, ben altra! Ed è lo
stesso paziente che chiede i farmaci solo perché è consuetudine consolidata, in considerazione della
difficoltà di ottenere una riduzione ponderale, mediante l’assunzione di una quantità minore di
alimenti e praticando una costante attività fisica.
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Questo atteggiamento equivale ad una vera e propria sconfitta e di portata tale che travalica il
problema diabete. Infatti, come sarà detto anche in seguito, il sovrappeso o l’obesità aumenta il
rischio di ipertensione, di iperlipoproteinemie, quali l’ipertrigleridemia e le alterazione della
colesterolemia (con aumento delle LDL e riduzione delle HDL) e di stati di ipercoagulabilità del
sangue. Rinunciare alla perdita di peso, riponendo la propria fiducia nei farmaci, significa tentare,
riuscendoci solo in parte, di ridurre l’iperglicemia, ma non l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia e
l’ipercoagulabilità, molto frequentemente associate.
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Questo attuale atteggiamento, che vede un uso così estensivo dei farmaci ipoglicemizzanti orali
come primo presidio, è un atteggiamento da combattere, in quanto, oltre ad avere risultati piuttosto
modesti, fuorvia l’attenzione del paziente che viene così portato a sottovalutare il problema della
resistenza insulinica legata al sovrappeso, ed è invece portato a sopravvalutare il risultato legato alle
compresse che assume.
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I farmaci che si assumono per via orale vengono accomunati sotto il nome generico di
ipoglicemizzanti orali, che possono raggrupparsi in 3 categorie, a seconda del meccanismo
d’azione, molto diverso:
Farmaci inibitori dell’alfa-glicosidasi, che, nel lume intestinale, bloccano la catena enzimatica che
scinde i glicidi. Questo blocco è ovviamente parziale, comunque in relazione alla dose, e produce
una riduzione dell’assorbimento del glucosio.
Farmaci che stimolano la secrezione insulinica e farmaci che rendono l’insulina più efficace sugli
organi-bersaglio (tessuto muscolare, adiposo ed epatico), detti perciò sensibilizzatori.
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Gli inibitori dell’alfa-glicosidasi, bloccando parzialmente la digestione dei glicidi, producono una
minore disponibilità di glucosio ed agiscono in particolare sulla iperglicemia che segue il pasto
contenente glicidi. La loro efficacia è modesta, perché riducono i valori della glicoemoglobina al
massimo dell’1% (35 mg% di glicemia media) ed hanno il vantaggio di non dare ipoglicemia.
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La molecola attiva è l’acarbosio, (reperibile in commercio con i nomi di Glucobay o Glicobase in
cp da 50 o da 100 mg) e le dosi massime sono 100 mg ai 3 pasti principali. Questo farmaco da
fastidiosi effetti collaterali, quali meteorismo e flatulenza ed è controindicato sia nei portatori di
qualsiasi malattia intestinale, sia se è presente una intolleranza individuale alla molecola.
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Questa figura esprime bene il meccanismo d’azione: i glicidi, senza acarbosio, si assorbono
normalmente attraverso la parete di tutto il lume intestinale, in presenza di acarbosio, il loro
processo di assorbimento è inibito a livello del duodeno e del digiuno ed è presente solo a livello
dell’ileo. In basso il grafico mostra chiaramente come l’aumento della glicemia media che si
verifica in soggetti non diabetici dopo un pasto (linea in azzurro), è ridotto quando si somministra
contemporaneamente acarbosio (linea verde). Ed i due asterischi presenti sui valori medi della
glicemia, stanno a significare che i valori medi sono significativamente diversi con una probabilità
inferiore al 5% (cioè 5 probabilità di sbagliare e 95 di essere nel giusto).
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Quest’altra figura, tratta da un’altra esperienza su soggetti diabetici della durata di 12 mesi fa
vedere come i valori della glicoemoglobina nei soggetti trattati con acarbosio (linea e punti verdi)
sono inferiori, a quelli ottenuti in soggetti non trattati con acarbosio ma con placebo (linea e punti
azzurri). La significatività statistica dei 2 andamenti è inferiore all’1% e si nota che il massimo
punto di divergenza fra le due rette è inferiore all’1% (cioè 1 probabilità di sbagliare e 99 di essere
nel giusto).
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I farmaci che stimolano la secrezione insulinica sono molto numerosi e possono dividersi in due
gruppi: Le sulfoniluree, dette così perchè la molecola contiene un gruppo sulfonico, e le glinidi che
sono derivate dall’acido benzoico.
Le sulfoniluree sono molto numerose, e sono conosciute da molti anni; hanno la caratteristica di
avere una durata d’azione piuttosto prolungata per cui, anche se si somministrano per comodità al
momento dei pasti, non hanno in realtà un rapporto stretto con questo. Fra quelle rimaste in
commercio, ricordiamo la glimepiride (si somministra 1 volta al dì), la glibenclamide e la
gliclazide (con 2 somministrazioni al dì).
Fra le glinidi, di introduzione recente, ricordiamo la repaglinide. E’ dotata di azione molto rapida
per cui deve essere assunte obbligatoriamente al momento del pasto.
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I nomi commerciali sono:
per la glimepiride: Amaryl e Solosa, in cp da 2 mg da assumersi al mattino
per le glibenclamide: Daonil, Euglucon 5, Gliben, Gliboral in cp da 5 mg, da assumersi al mattino e
alla sera
per la gliclazide: Diamicron, Diabrezide, Gliclazide Molteni in cp da 80 mg, da assumersi al
mattino e alla sera.
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Questo studio dimostra come sia inutile somministrare la glimepiride 2 volte al giorno rispetto ad
una sola volta. Le dosi utilizzate sono molto elevate: 8 e 16 mg somministrate sia in singolo (linee
rossa e verde chiaro) o 2 volte al giorno (linee gialla e verde scuro). I risultati sono espressi come
caduta della glicemia prima di colazione. La linea orizzontale in azzurro in alto rappresenta la
glicemia dei soggetti trattati con placebo, e che, quindi, non presentano alcun beneficio. E’ evidente
come il comportamento fra i soggetti che prendono il farmaco una sola volta al giorno non
differisce nei confronti dei soggetti che lo prendono 2 volte al giorno. Si noti che la grande caduta
glicemica è dovuta al dosaggio molto elevato.
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Delle glinidi fin’ora presenti in commercio è disponibile la repaglinide con il nome di Novonorm in
cp da 0,5, 1 e 2 mg.
Si ribadisce il concetto che, essendo molecole ad elevata velocità d’azione, devono essere sempre
somministrate al momento del pasto contenente glicidi.
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Questo studio dimostra l’andamento dei valori di glicoemoglobina nel corso di 20 settimane, cioè
quasi 2 anni, in un gruppo di diabetici trattati sia con repaglinide (con dosaggi personalizzati) che
con placebo. Il periodo che va dalla seconda alla ottava settimana è utilizzato per personalizzare la
dose. Mentre nel gruppo del placebo i valori di glicoemoglobina aumentano progressivamente, nel
gruppo trattato i valori decrescono, fino a ottenere un decremento di circa 1% (cioè circa 35 mg% di
glicemia)
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Le sulfoniluree e le glinidi hanno motivo di essere somministrate solo nei pazienti in cui le cellule
presentano una secrezione insulinica.
La maggioranza dei pazienti di questo tipo è rappresentata da diabetici di tipo 2 con sovrappeso o
obesità, ma in questi soggetti gli stimolatori della secrezione insulinica sono farmaci di seconda
scelta, da utilizzare dopo o insieme ai farmaci sensibilizzanti l’azione insulinica.
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Inoltre tutti i farmaci che stimolano la secrezione insulinica presentano il rischio di provocare
episodi ipoglicemici. Questo aspetto è pericoloso ed è dovuto sia all’accidentale assunzione di
minori quantità di glicidi con il pasto, sia ad un esercizio fisico non programmato. Fra i 2 gruppi di
farmaci sono le sulfoniluree a dare un maggior rischio di ipoglicemie rispetto alle glinidi.
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E passiamo ora al 3° gruppo di farmaci ipoglicemizzanti orali: i sensibilizzanti dell’azione
insulinica, che trovano il loro impiego quando è presente aumento della resistenza insulinica, cioè
quando vi è sovrappeso o obesità. I farmaci sono di 2 tipi: le biguanidi e i glitazoni.
Fra le biguanidi, la molecola universalmente usata è la metformina, essendo la fenformina stata
abbandonata per il pericolo di lattico-acidosi..
I nomi commerciali sono: Glucophage, Metbay, Metforal, Metiguanide, in cp da 500, 850 e 1.000
mg.
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La metformina si è rivelata il miglior farmaco per il trattamento del diabetico di tipo 2 con
sovrappeso o obesità, perché, oltre a ridurre la glicoemoglobina, possiede un effetto anoressante che
contribuisce alla riduzione ponderale o, comunque, ne riduce l’aumento. Un altro aspetto degno di
interesse è quello di non indurre episodi ipoglicemici.
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La metformina non è purtroppo priva di effetti indesiderati, in particolare di tipo gastro-intestinale,
come disturbi dell’alvo. Fortunatamente questi disturbi si riducono e possono scomparire dopo
alcune settimane, per cui è bene insistere sul loro uso. Inoltre vi sono controindicazioni al loro uso
in caso di pazienti con insufficienza cardiaca, respiratoria, epatica e renale.
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Questo studio evidenzia molto bene l’azione della metformina sulla sensibilizzazione dell’azione
insulinica in un gruppo di diabetici. Nel pannello di sinistra si vedono gli andamenti glicemici medi
di un gruppo di diabetici con glicemia media a digiuno di circa 180 mg%, sottoposti ad un carico
orale di glucosio prima (linea azzurra) e dopo (linea rossa) un trattamento con metformina. Il
risultato è notevole in quanto i valori medi glicemici di partenza sono notevolmente più bassi dopo
metformina. Sul pannello di destra si vede chiaramente che i buoni risultati ottenuti sulla glicemia
non sono dovuti ad aumento della secrezione insulinica che è rimasta sovrapponibile. Ciò fa
comprendere come l’azione della metformina ha potenziato l’effetto della insulina sui tessuti
insulino-sensibili (muscolo, fegato e tessuto adiposo) per cui, con le stesse concentrazioni
insulinemiche si ottengono vistosi miglioramenti dei valori glicemici.
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In questo studio si apprezza bene l’effetto della metformina sui valori di glicoemoglobina in un
gruppo di diabetici seguiti per 29 settimane con i massimi dosaggi di metformina. In azzurro il
placebo, in rosso i trattati. L’effetto raggiunge una differenza nei valori medi di glicoemoglobina
dell’1,4%, corrispondente a circa 50 mg% di glicemia. Gli asterischi evidenziano l’elevatissimo
livello di significatività raggiunto nei vari punti dello studio. Il livello di probabilità è dell’1 per
mille (1 probabilità di sbagliare contro 999 di essere nel giusto).
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Sono emersi di recente nuove molecole dotate di azione sensibilizzante sull’azione insulinica: i
glitazoni, che, a giudicare dai primi studi, riducono la glicoemoglobina fino all’1%, quindi di
almeno 30 mg% di glicemia. Attualmente sono utilizzate 2 molecole: il pioglitazone (con il nome
commerciale Actos, in cp da 15 e da 30 mg) e il rosiglitazone (in commercio con il nome Avandia,
in cp da 4 e da 8 mg).
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Questi farmaci presentano alcuni effetti indesiderati quali un lieve aumento di peso sia da ritenzione
idrica sia per un lieve aumento del tessuto adiposo e sono controindicati nei soggetti affetti da
epatopatie e da insufficienza cardiaca. Essendo farmaci di recente introduzione è difficile dare
ulteriori informazioni.
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L’associazione fra farmaci ipoglicemizzanti orali, in particolare sulfoniluree e biguanidi, è molto
diffusa, soprattutto in Italia, nonostante le ragioni che giustifichino questa associazione non siano
molto solide. Infatti i farmaci che stimolano la secrezione insulinica dovrebbero essere scarsamente
utilizzati nei soggetti in sovrappeso o obesi, nei quali aumentando, anche se di poco, la secrezione
insulinica, inducono un aumento del senso di fame e favoriscono l’aumento ponderale, vero
problema di questi soggetti. Comunque l’associazione non produce una grande sinergia di effetti,
perché la riduzione media della glicoemoglobina che si raggiunge, anche quando si utilizzano al
massimo dosaggio, è di circa 1,7%
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Sono qui evidenziati i risultati di alcuni studi di associazione con farmaci che stimolano la
secrezione insulinica con farmaci che aumentano l’effetto insulinico. Come si può notare i risultati
non sono brillanti.
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Qui sono riportati gli esempi più comuni di associazioni presenti in Italia: Metformina (400-500
mg) con Glibenclamide (2,5-5 mg). Si trovano in commercio con i nomi di Bi-Euglucon M,
Glibomet, Gliconorm, Glicorest, Glucoside, Suguan M.
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Passiamo ora a sottolineare un aspetto molto importante della storia naturale del diabete di tipo 2: il
cosiddetto fallimento secondario ai farmaci ipoglicemizzanti orali. La storia naturale di un soggetto
diabetico di tipo 2 non è improntata da stabilità della malattia, ma si assiste ad un lentissimo
declino della secrezione insulinica. Ogni anno il 5% circa dei diabetici trattati con ipoglicemizzanti
orali deve iniziare terapia insulinica perché il controllo metabolico ottenuto con i massimi dosaggi è
divenuto inaccettabile
Fallimento secondario deriva dal gergo anglo-sassone “Secondary Failure” e si differenzia dal
fallimento primario con il quale si definisce un soggetto diabetico insensibile agli ipoglicemizzanti
orali fin dal momento della diagnosi, soggetto che quasi sempre è un diabetico di tipo 1 a lenta
insorgenza.
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La condizione di fallimento secondario si può definire quando il diabetico presenta costantemente
una glicoemoglobina superiore a 8%, nonostante la dose massima di ipoglicemizzanti orali. Se il
peso del soggetto non è aumentato, o non vi sono situazioni transitorie su cui torneremo,
responsabile di questa condizione è certamente il progressivo esaurimento della secrezione
insulinica.
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Questo grafico deriva dall’osservazione sperimentale ottenuta dal famoso studio inglese denominato
UKPDS, acronimo per United Kingdom Prospective Diabetes Study che ha coinvolto migliaia di
diabetici di tipo 2 alla diagnosi e li ha seguiti per 10 anni. La valutazione della secrezione insulinica
metteva in evidenza come la riduzione iniziasse circa 10 anni prima rispetto al momento della
diagnosi e continuava dopo la diagnosi. Il momento della diagnosi quindi è molto tardivo rispetto
all’inizio vero e proprio della malattia. Si comprende bene come la eventuale riduzione ponderale
dei soggetti che aderiscono ai nostri consigli dietetici, che nell’80-90% dei casi sono in sovrappeso
o obesi, sia in grado, riducendo la resistenza insulinica, di compensare per molti anni il deficit di
secrezione insulinica.
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In questa figura vi è la storia naturale del diabetico di tipo 2, nel pannello in alto l’andamento
glicemico, nel pannello in basso l’accoppiata dei 2 fenomeni: secrezione insulinica e resistenza
insulinica. Nel pannello in alto la linea in giallo indica la glicemia a digiuno, mentre quella in
arancio la glicemia post-prandiale. La linea verticale tratteggiata indica quando è possibile fare
diagnosi di diabete, cioè quando la glicemia a digiuno supera i 126 mg% e la glicemia dopo 75 gr di
glucosio supera i 200 mg%. Se guardiamo il pannello in basso vediamo che al momento della
diagnosi di diabete, vi è una lunga storia alle spalle: un aumento della resistenza insulinica (linea in
azzurro), legata prevalentemente al progressivo aumento dello stato di sovrappeso, che induce un
parallelo aumento della secrezione insulinica (linea rossa) e che serve a compensare l’aumento della
resistenza. Poi lo scompenso della beta cellula che non riesce più a compensare la resistenza
insulinica e riduce la secrezione. Questa iposecrezione si riflette immediatamente sull’andamento
glicemico nel pannello in alto e siamo a circa 10 anni prima della diagnosi di diabete. In questo
periodo è difficile fare la diagnosi di diabete a causa delle fluttuazioni spontanee della glicemia sia a
digiuno che dopo carico di glucosio. Si comprende bene a questo punto che, se il paziente ci ascolta
riducendo il proprio sovrappeso, noi siamo in grado di ridurre la linea in azzurro del pannello
inferiore in misura proporzionale alla riduzione ponderale, riuscendo ad ottenere vistosi
miglioramenti della glicemia sia a digiuno che post-prandiale.
Dia 31
E’ necessario porre attenzione a non commettere un errore piuttosto comune: diagnosticare un
fallimento secondario in quei soggetti che, o per aumento del peso corporeo, dovuto a scorrettezze
dietetiche o a minore o assente attività fisica o, anche, per malattie intercorrenti che inducano un
aumento del fabbisogno insulinico, o per terapie con cortisonici, vadano incontro ad aumenti della
glicemia e della glicoemoglobina che sono transitorie, e non annoverabili nella definizione di
fallimentoi secondario.
Dia 32
Quando siamo sicuri che trattasi realmente di fallimento secondario, è necessario iniziare la terapia
insulinica che prevede 2 fasi: una prima fase in cui, lasciando la terapia con ipoglicemizzanti orali si
aggiunge una iniezione insulinica ed una seconda in cui i farmaci orali possono essere sospesi,
oppure, se è ancora presente sovprappeso o obesità, vengono lasciati i farmaci sensibilizzanti
l’azione insulinica, come le biguanidi e i glitazoni , ed il paziente viene trattato con 4 iniezioni
come un diabetico di tipo 1.
Dia 33
Per comprendere come si inizia la terapia insulinica, è necessario considerare che il controllo
glicemico del diabetico trattato con farmaci ipoglicemizzanti orali è spesso peggiore al mattino e va
migliorando con il progredire della giornata. Questo andamento non è dovuto alla terapia, perché è
presente anche nel diabetico che non assume farmaci. E sembra un paradosso perché ci si
aspetterebbe che l’assenza di alimentazione dovrebbe migliorare il controllo glicemico. In realtà è
l’assetto ormonale che condiziona questo andamento, in particolare la secrezione dell’ormone della
crescita che inizia nella notte e che aumenta la resistenza insulinica proprio nelle prime ore del
mattino. E’ necessario allora agire con una iniezione insulinica di tipo ritardato intorno alle 23-24
(in pratica prima di coricarsi) che induca una sovrainsulinizzazione nelle prime ore del mattino, e
che serve per contrastare la resistenza insulinica. La dose unica di insulina deve partire da dosaggi
di 0,1 U/kg di peso ideale e deve essere aumentata progressivamente fino ad ottenere glicemie
prima di colazione inferiori a 150 mg%. Oggi si stanno ottenendo effetti migliori con l’utilizzo degli
analoghi ad azione prolungata, ai quali sarà dedicata una apposita lezione.
Dia 34
Questo nuovo assetto porterà la glicoemoglobina a valori inferiori a 7%, e questa fase può durare
anche anni e potrà essere fortemente prolungata se si agisce con determinazione sul sovrappeso.
Quando la glicoemoglobina inizia ad aumentare a valori superiori al 7%, si deve passare alla
terapia insulinica quadriniettiva. Nonostante oggi si dica che si possono sospendere i farmaci orali,
qualora sia presenta sovrappeso, c’è ancora il razionale per utilizzare i farmaci sensibilizzatori
dell’azione insulinica ed anche gli inibitori dell’alfa-glicosidasi. Non esiste invece il razionale per
utilizzare i farmaci che stimolano la secrezione insulinica.
Dia 35
Esiste oggi un problema molto frequente, concettualmente insoluto rappresentato dal tipico
diabetico in sovrappeso, con valori di glicoemoglobina costantemente superiori a 8%, nonostante la
dose massima di ipoglicemizzanti orali. A rigore, questi soggetti dovrebbero essere trattati con
insulina e con farmaci sensibilizzanti l’azione insulinica (biguanidi e glitazoni).
Dia 36
Oggi però non disponiamo di sperimentazioni in grado di dirci qual è il danno maggiore sulle
complicanze: quello provocato da uno stato di iperglicemia cronica, oppure quello indotto da una
persistenza della elevata resistenza insulinica, che sappiamo produrre un elevato rischio di eventi
cardio-vascolari. Oggi siamo certi sulla prima condizione, ormai ben documentata da numerosi
studi, per cui abbiamo il dovere di ridurre con tutte le strategie possibili l’HbA1c a valori inferiori a
7%. Ma ci rimane il dubbio di non aver inciso in modo determinante sulla riduzione delle
complicanze a causa del permanere dell’elevata resistenza insulinica.
Dia 37
A queste difficoltà si aggiunge spesso il rifiuto di iniziare una terapia insulinica, rifiuto che deve
essere contrastato con decisione. Purtroppo questi pazienti, sfortunatamente molto numerosi, sono
quelli che tengono ancora molto alto il numero delle complicanze sia micro che macrovascolari. E
questa realtà cade in un momento storico in cui ogni diabetico, purchè armato di una grande dose di
buona volontà, potrebbe ridurre la propria malattia ad una stato di innocuità, fermando la
progressione inesorabile verso lo sviluppo di complicanze.