Secondo Incontro «… - Diocesi Campobasso Bojano

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Secondo Incontro «… - Diocesi Campobasso Bojano
Secondo Incontro
«… CERCO I MIEI FRATELLI …»
Genesi 37, 1-17
Premessa
Questa lectio ci aiuterà a vivere bene due grandi condizioni, presenti in ogni casa. Saper
riconoscere la vocazione e i talenti che Dio concede a Giuseppe, cioè a ciascuno di noi, nel segno
del Sogno.
Ma poi anche a saper gestire quella inevitabile invidia e gelosia che quel sogno particolare fa
nascere nel cuore nostro, nel cuore dei fratelli.
Nel leggere questi avvenimenti, non fissare perciò il tuo sguardo solo su Giuseppe, ma allarga lo
sguardo su tutta la sua famiglia. È la famiglia l’asse portante, la protagonista della storia. La
famiglia di Giacobbe diventa così simbolo di ogni famiglia. Anzi, la famiglia di Giacobbe si fa
quasi «laboratorio» delle vicende e dei sentimenti dell’intera comunità umana. Quel che succede
a loro è utile per comprendere quanto succede anche a noi, oggi, specie dopo le riflessioni
compiute dal Sinodo dei Vescovi, sulla famiglia, con le indicazioni che ci saranno date.
I° - Leggiamo il testo
“Giacobbe si stabilì nel paese dove suo padre era stato forestiero, nel paese di Canaan. Questa è la
storia della discendenza di Giacobbe. Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i
fratelli. Egli era giovane e stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa, mogli di suo padre. Ora
Giuseppe riferì al loro padre i pettegolezzi sul loro conto. Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi
figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia, e gli aveva fatto una tunica dalle lunghe maniche. I
suoi fratelli, vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli, lo odiavano e non potevano
parlargli amichevolmente.
Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli, che lo odiarono ancor di più. Disse dunque
loro: «Ascoltate questo sogno che ho fatto. Noi stavamo legando covoni in mezzo alla campagna,
quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni vennero intorno e si prostrarono
davanti al mio».
Gli dissero i suoi fratelli: «Vorrai forse regnare su di noi o ci vorrai dominare?». Lo odiarono
ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole. Egli fece ancora un altro sogno e lo narrò
al padre e ai fratelli e disse: «Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si
prostravano davanti a me». Lo narrò dunque al padre e ai fratelli e il padre lo rimproverò e gli
disse: «Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io e tua madre e i tuoi fratelli a
prostrarci fino a terra davanti a te?». I suoi fratelli perciò erano invidiosi di lui, ma suo padre
tenne in mente la cosa. I suoi fratelli andarono a pascolare il gregge del loro padre a Sichem.
Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem? Vieni, ti voglio mandare
da loro». Gli rispose: «Eccomi!». Gli disse: «Va’ a vedere come stanno i tuoi fratelli e come sta il
bestiame, poi torna a riferirmi».
Lo fece dunque partire dalla valle di Ebron ed egli arrivò a Sichem. Mentr’egli andava errando per
la campagna, lo trovò un uomo, che gli domandò: «Che cerchi?». Rispose: «Cerco i miei fratelli.
Indicami dove si trovano a pascolare». Quell’uomo disse: «Hanno tolto le tende di qui, infatti li ho
sentiti dire: Andiamo a Dotan». Allora Giuseppe andò in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan”.
II° - Riflettiamo insieme sul racconto
Abbiamo lasciato Giuseppe, giovane di 17 anni, proprio ai piedi del padre Giacobbe, che lo
aveva chiamato.
Lo sguardo di Giacobbe per quel figlio è di un amore immenso, grandissimo. Il testo è esplicito:
«Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia» (37,3).
Infatti, negli occhi di quel ragazzo di 17 anni Giacobbe intravedeva la sua intelligenza di padre e
godeva della bellezza della mamma, Rachele, teneramente amata e prematuramente persa.
Del resto, come poteva non amarlo! Troppi erano gli affettuosi ricordi che vi vedeva riflessi. Certo,
lo amava tantissimo. Forse troppo, al sentire gli altri fratelli, perché aveva veramente «privilegiato»
Giuseppe, rispetto a tutti gli altri fratelli. Tanto da chiederci se il padre avesse sbagliato in questo
suo amore di predilezione e se avessero ragione i fratelli ad essere invidiosi. Se cioè fosse ingiusto il
comportamento del padre Giacobbe oppure fosse cattivo e geloso il loro cuore.
Domande che porremo anche al nostro cuore, su come noi reagiamo davanti al talento particolare di
un nostro compagno di classe o collega di lavoro o fratello di comunità o parroco vicino.
Sullo sfondo, resta la grande domanda sul comportamento di Dio, come nostro Padre: se cioè Lui ci
tratti tutti allo stesso modo o se anche Dio faccia delle particolarità, specie quando affida ad un
giovane una missione, creando così nel suo cuore «un privilegio». Con una domanda centrale:
“L’elezione può diventare fonte di gelosia?”.
Cosa provano i fratelli verso Giuseppe?
Invidia e Odio. L’odio è il contrario dell’amore, ma gli è pure vicinissimo, come sappiamo
da tanti racconti biblici e da tanti fatti nella nostra cronaca quotidiana. L’odio è un fatto di sempre.
La Genesi lo annota già nella prima generazione umana, con Caino ed Abele (4,2-8), che sarà
l’oggetto di un nostro prossimo incontro biblico. I libri sapienziali lo hanno a lungo descritto, con
gusto e verismo (Proverbi 10,12; 14,20; 19,7; 26,24). L’odio è un male frutto del peccato, per la
rottura dell’alleanza ed amicizia con Dio.
Frantumati con Dio, ci siamo ritrovati poi frantumati tra di noi. In Caino, il processo arriva fino in
fondo: la soppressione dell’altro con l’omicidio. Paolo scrivendo all’amico Tito, annota
realisticamente: «Anche noi eravamo...degni di odio e odiandoci a vicenda» (3,3). E la cronaca di
ogni giorno nei giornali è zeppa di fatti di odio, fino alla eliminazione della persona odiata.
Tale è la potenza distruttrice di questo sentimento, che lentamente prende i fratelli di Giuseppe. E’
un’invidia intrisa anche di tanta gelosia, al punto che spesso i due termini sono da noi usati in modo
scambievole, per tradurre in italiano la complessità del termine ebraico, «kineah». Questo termine,
comunemente tradotto come «geloso, gelosia», esprime invece un complesso emozionale per il
quale le lingue moderne non hanno un termine unico. Il caso più famoso è la «gelosia di Dio» per
Israele: «kineah» è unita con l’amore, forte come la morte. È un tesoro da custodire. Ed insieme,
essa stessa si fa custodia della gloria della persona amata.
Elia la dimostra difendendo il diritto di Jahwè di essere adorato come unico Dio d’Israele. La
«gelosia» ha così dentro di sé una forte ambivalenza: può essere amichevole o ostile, pro o contro.
Sorge in noi contro un’altra persona quando in questa notiamo qualche cosa che non dovrebbe
avere, specialmente se la toglie a noi. Per questo, il termine «kineah» esprime qui soprattutto la
triste realtà dell’ «invidia». A mò di sintesi, potremmo così riassumere: «l’invidia e la gelosia
maturano un odio crescente nel cuore dei fratelli e questo, a sua volta, produce l’omicidio».
Per quali motivi?
Indagare nel cuore dei fratelli non è facile, ma è interessante, perché aiuta ad indagare dentro il
nostro stesso cuore. Si possono comunque riassumere in queste cause.
Prima di tutto, Giuseppe vive in una particolare condizione familiare, sopra raccontata, per cui
questi 12 figli in realtà provengono da 4 mamme diverse, spesso già una gelosa ed invidiosa
dell’altra. Il contesto familiare in cui cresce è già segnato da tanta contrapposizione reciproca.
Poi, vanno tenute presenti alcune ingenuità ed errori di Giuseppe, giovanissimo di soli 17 anni, che
in certi momenti manifesta uno stile troppo sicuro di sé, quasi arrogante e presuntuoso, anche per
come porta quella bella tunica dalle lunghe maniche, che lo contraddistingue e lo rende un
“privilegiato”. A 17 anni è facile vedere il mondo in modo immediato, ovvio, di immediata
conquista. E meno male che è così, altrimenti il mondo non cambierebbe mai. Ma è anche facile,
per questo motivo, cadere in frequenti ingenuità. Una di queste, commesse da Giuseppe, è quello di
osservare con acutezza i comportamenti, non sempre limpidi dei suoi fratelli e riferirli poi al padre.
Anche questo è piuttosto consueto in una famiglia: se vuoi sapere la verità, vai dai più piccoli.
Ma a lungo andare, feriti nel loro onore, bloccati dalle osservazioni di Giuseppe, i fratelli si
scocciano e cominciano a sentirlo come un peso, una «rottura». Se devono parlare delle loro cose,
lo evitano o lo fanno quando lui non c’è. Non lo sentono «amico», ma quasi una «spia» del padre:
«Non potevano parlargli amichevolmente».
I sogni di Giuseppe.
Ci sono poi quei sogni, sogni strani ed inattesi, che turbano ancor più la già difficile armonia
familiare.
Va precisato che questo racconto proviene soprattutto da una corrente di pensiero religioso e liturgico,
presente in Israele, che evidenzia come i sogni non siano tanto una visione di Dio, ma un avvertimento da
parte di Dio. Mantengono un carattere profano, «laico». Aiutano l’uomo a scegliere la strada giusta. Gli
offrono però dei criteri precisi di riferimento, perché il saggio possa arrivare al giusto discernimento.
La Bibbia ammonisce infatti che per lo più i sogni sono vani (Deut 13,2-4; Ger 29,8-9). Dio solo infatti
può aiutare nel decifrare il loro significato. Lui solo aiuta a spiegare il sogno, come dirà più tardi lo stesso
Giuseppe ai suoi due compagni di sventura in carcere. Da parte nostra, allora non andiamo dietro ai sogni.
Non si dia retta ai sognanti. Nessuno si può far forte di questo dono. Beato invece chi è guidato da Dio e ci
aiuta a discernere, anche attraverso di loro, la volontà del Signore.
Sono due i sogni di questo giovane, in notti diverse con uditori allargati.
Il primo, di carattere agricolo (37,5-8), evidenzia la superiorità del penultimo fratello su tutti gli
altri, perché tutti i covoni si piegano solo di fronte al suo. Forse loro, a quel sogno, non avranno
dato molto peso. Di fatto, però, tra i fratelli quel sogno crea un ulteriore clima di diffidenza e di
invidia: «lo odiarono ancor di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole» (37,8).
Il secondo sogno è di carattere astrologico (37,9-10). Questa volta a preoccuparsi è soprattutto il
padre, che lo rimprovera e lo richiama al suo normale ruolo di «figlio»: «dovremo forse venire io e
tua madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?!» (37,10).
Sta sorgendo una stella regale di massimo splendore. Ma la sua presenza non può non provocare
seri problemi di gestione di tale ricchissimo talento. Problemi relazionale seri.
Così il clima in famiglia si fa teso. Lo stesso padre custodisce nel cuore un profondo rispetto e
tremore per questo figlio, per il suo futuro, per la sua «vocazione», che sente molto più grande.
La elezione di Giuseppe.
E’ in questo contesto, complesso ed affascinante, che viene affidata a Giuseppe una missione
particolare. In un dialogo vivace e sincero. Il padre infatti lo invia ai pascoli di Sichem, per
verificare la situazione dei suoi fratelli: «Vieni, ti voglio mandare da loro». Ed il ragazzo, con cuore
limpido, subito risponde: «Eccomi». E concretizza quella disponibilità, con la risposta data al
pastore incontrato per caso: «Cerco i miei fratelli».
La vocazione di Giuseppe, il suo progetto di vita si è ora delineato con chiarezza: cercare i suoi
fratelli. Una risposta a caso, tecnica, rivela invece un mistero. Che durerà tutta una vita!
Il padre intuisce già qualcosa di questa elezione. Ma troppo poco per poterla seguire. Si fa
pensoso e rispettoso insieme. Sente che il figlio lo sorpasserà. Ma per qualcosa di grande, che Dio
solo conosce. Lo ama invece sempre più e gli manifesta questo suo affetto nel rivestirlo della tunica
dalle lunghe maniche.
Siamo ora al nodo centrale. Lentamente, Dio ha fatto cogliere, al padre Giacobbe e ai suoi
fratelli, il ruolo speciale che Lui vuole affidare a questo giovane, Giuseppe. Dio lo sceglie e lo eleva
per una missione. Gli affida una vocazione.
Anche tramite il sogno! Potremmo dire che è quel sogno di chiamata a cercare i suoi fratelli si fa
segno nel sogno. Non è un gioco di parole. Ma una bella realtà. E’ necessario sognare. Aver ideali
più grandi, tenere nel cuore orizzonti e spazi di maggior elevatura. Guai accontentarsi. Guai reagire
nel cuore con la rassegnazione: Siamo fatti così … che vuoi pretendere … questa è la cruda realtà!
Benedetto invece quel ragazzo e quel papà, quel prete e quel vescovo che sempre puntano più in
alto.
III° - In dialogo fraterno
Due sono le grandi domande che nascono subito, in una famiglia o in una comunità, davanti a
questo bel racconto, così vivacemente presentato: il valore del tuo sogno e la gestione della
inevitabile invidia fraterna davanti alla diversità di scelte.
Prima di tutto, chiedo a te, a ciascuno di voi ed a me stesso, come vescovo, se so coltivare i miei
sogni? Se sento dentro di me orizzonti più grandi? Se ho zelo e passione per una vita più bella e più
santa?
Ma di fronte a questa elezione, ai segni che la contraddistinguono (ad es. i sogni e la tunica dalle
lunghe maniche), ecco nascere nel cuore dei fratelli, non il compiacimento o la soddisfazione per il
successo del fratello, ma i tristi sentimenti della invidia e dell’odio.
Possiamo ora tornare alla domanda che ci ha guidato fin qui: «È Giacobbe che sbaglia nel
privilegiare questo figlio o sono i fratelli che sbagliano nel coltivare sentimenti di invidia nei suoi
confronti?».
Tu, come padre e madre, come educhi i tuoi figli? Sei in grado di dare a ciascuno un suo giusto
posto, la sua giusta collocazione? Capace cioè di dare a ciascuno il pezzo proporzionato alla sua
fame? Trovi che i tuoi figli sono “invidiosi” tra di loro? E perché?
E noi, come fratelli o sorelle all’interno delle nostre famiglie: creiamo difficoltà e ostacoli a chi
ha “grandi sogni”? Nel mio cuore c’è invidia e gelosia nei confronti di un fratello che è diverso da
me, ha altri doni che io non possiedo?
Tu come senti l’agire di Dio? Dio “ci tratta tutti allo stesso modo”? Oppure ci ama di una amore
personalizzato, tipico, unico?
IV ° - Alcuni propositi per la nostra vita
Per fare bene i genitori, è necessario confrontarsi spesso con i testi biblici. Impareremo un sacco
di cose utili e preziose per il nostro “mestiere” di genitori. Ed eviteremo parecchi sbagli.
Mi piace parafrasare qui la famosa storiellina del tulipano giallo, che tante volte mi ha aiutato a
rispondere alle difficili domande dei nostri ragazzi a scuola, sul mistero della vita e sulla
complessità della nostra esistenza sociale. Diversi, ma con una chiara identità! La affido ai nostri
genitori ed educatori, anche sacerdoti e suore. Nei suoi cinque passaggi:
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Riconosci il tuo colore. E quello che il progetto di Dio ha posto nel cuore tuo e dei tuoi
figli. Non imporlo. Non agire come se i figli da soli possano arrangiarsi, perché “sono
grandi”… Hanno sempre bisogno del tuo calore di padre e di madre.
Ogni figlio sia perciò aiutato ad stimare il colore che Dio ha posto nel suo cuore, come
nel bulbo del tulipano. Dall’apprezzamento nasce la stima e la serenità con se stessi,
condizione base per ogni serenità con gli altri, a cominciare dalla famiglia e dalla scuole.
Conduci i tuoi figli ad apprezzare anche i colori dell’altro, perché ogni colore è bello.
Siamo diversi, ma ugualmente preziosi. Stima la diversità, coltiva le lingue, apri la tua
cultura, non essere campanilista. Non essere invidioso né geloso.
I vari colori si fanno più belli se sono messi insieme, in un unico grande bouquet di fiori.
Aiuta a collaborare, impara a cooperare, sposa progetti comuni, credi che il bene torna
solo se è piantato per tutti. Altrimenti secca per tutti.
Infine, il vaso di tulipano, con colori diversi, ci chiede di inserisci il lavoro tuo e dei tuoi
figli dentro il bene comune, che è la vita dell’intera comunità. Di tutti e di ciascuno.
V° - Preghiamo
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando mi seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie.
La mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la consoci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta, e io non la comprendo.
Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
Se salgo i cieli, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti.
Se prendo le ali dell’aurora per abitare
all’estremità del mare, anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
se li conto, sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.
Scrutami, Dio, conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita. (Salmo 138)