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TUTTISANNO Ognuno dovrebbe parlare solo di ciò che conosce. Non si può essere esperti di tutto. In fondo non c’è niente di vergognoso nel non sapere, però “la pigrizia e l’impostura intellettuale vanno denunciate ovunque si trovino” come scrisse una volta il fisico Alan Sokal. La lezione è tornata in auge col recente caso Madalon e il suo libro inesistente, passando per le finte teste di Modigliani e un giornalista, Debenedetti, che inventa intere interviste e viene chiamato “genio”. di Chiara Lalli C ammina un po’ impacciato, dinoccolato, quasi caracollante. L’esordio è una emozione forte, magari ti fa anche cambiare andatura. E anche il contesto può intimidire: il Salone del libro di Torino. Sei al tuo primo libro, sei giovane e vuoi consigli e pareri da chi dovrebbe saperla lunga: scrittori e giornalisti e protagonisti delle shobiz indigeno. Si presenta come Manuele Madalon e chiede ai malcapitati se hanno amato il suo L’implosione (per chi si è perso L’uomo dell’anno: http://bit.ly/j28uQH). Vittorio Sgarbi, che Madalon ringrazia per avere letto il suo libro e per avere risposto, per incoraggiare il neofita commenta che gli è sembrato “misterioso e sottile”. A Lucia Annunziata L’implosione ricorda proustianamente la Torino di Culicchia, tanto da avere confuso i due scrittori. E soprattutto Giancarlo De Cataldo è entusiasta: “Tu hai un tuo mondo di riferimento, lo racconti in un modo estremamente autentico, c’è ovviamente qualche parte tipica delle opere prime, ansia di metterci dentro tutto, non ti devi nascondere e riservare niente per domani. Poi però nello stesso tempo, te lo dico da padre di un ragazzo di 18 anni, c’è uno sguardo rivelatore sul mondo che a me arriva estraneo. L’opera seconda sarà più matura. Forse puoi anche mantenere lo scenario perché va ancora esplorato”. Federico Moccia gli dà una pacca sulla spalla “lei è sicuramente fortissimo”. Serena Dandini di fronte alla insistenza di Madalon si schernisce “Ah!, come no certo, scusa eh!”. Giorgio Faletti ha amato “tutto l’insieme”, Sergio Rizzo lo definisce “un buon avvio”. Insomma, per un esordio è un successo. Peccato che il libro non sia mai stato scritto e che quindi nessuno possa averlo letto. Siccome lo sai prima, le risposte non sono soltanto un po’ banali e a volte incomprensibili (questo sarebbe un peccatuccio da educande), sono esilaranti. O chissà se lo sono più le espressioni convinte da “bravo!”, quelle di chi è nella posizione di offrire consigli. “Si sa che la gente dà buoni consigli/se non può più dare cattivo esempio”. Loro hanno fatto entrambe le cose. ILMUCCHIOSELVAGGIO La proposizione impronunciabile sembra essere “non lo so”. Che ci vuole ad ammettere di non sapere? Niente da fare, è necessario avere una opinione su tutto, anche su un libro che non si è mai visto né tantomeno letto. Viene in mente quella crudele interrogazione da prima media condotta da Sabrina Nobile per i 150 d’Italia ad alcuni politici (“Le Iene”, 16 marzo 2011). Domanda: “Il 17 marzo che è successo?” (Vittorio Emanuele II assume il titolo di re d’Italia). Le risposte sono state fantasiose e del tutto scriteriate. Peggio che a scuola: “lo so ma non lo voglio dire”, “lo so ma non me lo ricordo”. Ora, se uno non si ricorda qualcosa significa che non la sa tanto che a scuola questa non era una scusa utilizzabile. Roberto Formigoni parla delle 5 giornate di Milano che però non erano 150 anni fa, ma il 17 marzo è piaciuto e per questo si è scelto come anniversario. Rosi Bindi non sa come uscirne: Roma capitale? “Buttiamola lì”. Come se stesse a “Scommettiamo che?”. Insuperabile è Daniele Marantelli del PD, che dopo aver detto “certo che è una data particolare” comincia a balbettare “scusi” e guarda alla sua destra, “scusi eh” facendo finta di dover andare via. E poi “ritorno subito” e corre verso il vuoto. È talmente indimenticabile che gli hanno fatto una pagina su FaceBook “Torno subito!” con oltre 16.000 estimatori che lo seguono fedelmente nelle sue attività extraparlamentari. E se una seconda occasione non si nega a nessuno, Marantelli l’ha polverizzata. Tornato a essere intervistato da Nobile, Marantelli si è scavato la fossa parlando di trappola e di manipolazione (il tutto è conservato nella memoria indelebile di YouTube). “CARNEADE. CHI ERA COSTUI?” Torniamo agli scherzi dopo questa parentesi tragicomica. Come sarà venuto in mente a Madalon & Co. di organizzare questa beffa? Qual era l’obiettivo? In parte lo spiega lo scrittore Andrea Bajani aggiungendo un particolare “buffo e drammatico”: “Di QUESTIONI Manuel Agnelli e Samuel ??? Madalon è piena l’industria editoriale. Ti chiamano e ti chiedono di fare la fascetta per un libro di un nuovo scrittore. Ti dici disponibile e chiedi il libro per leggerlo e poi magari scrivere qualcosa. Ma no, ti mandiamo due pagine e tu scrivi qualcosa. Ma come faccio leggendo due pagine? Ma che importa, l’importante è che ci sia il tuo nome e che tu dica che è bellissimo. Conta più la complicità sul libro che non il libro. Che deve essere bello a priori. Ecco, la madalonizzazione del mondo è a uno stadio molto avanzato”. E chi ce lo può raccontare meglio di Manuele Madalon (che si chiama Gabriele Madala)? “L’idea è partita dai ragazzi del politecnico di Torino che studiano ingegneria del cinema. Curano una web tv (Polimedia web tv) e realizzano i contenuti video per il salone del libro da tre anni. Tramite un ragazzo che lavorava nell’ufficio stampa sono arrivati a me, perché avevano bisogno di qualcuno che interpretasse la parte dello scrittore esordiente. Come l’avevano impostata originariamente non funzionava benissimo. Sarebbe dovuto essere il mio ufficio stampa a presentarmi ai vari personaggi, ma così rischiava di essere troppo impostato. Allora ho suggerito che fossi io ad andare direttamente a ringraziare per avere letto il mio libro. Se avessero detto “prego” già sarebbe andata bene. Quello che viene dopo è grasso che cola. E non hanno detto solo grazie! Questo è stato il mio apporto, a parte la mia faccia di tolla”. Pensando alle dichiarazioni è quasi impossibile non aver riso. “Ogni tanto mi sono dovuto trattenere. Molti rispondono per gentilezza. Qualcuno ha esagerato e qualcuno non c’è cascato”. Diciamo pure che alcuni hanno proprio fatto una figura così barbina che era difficile immaginarselo. “Non pensavamo che venisse così bene” commenta Gabriele. La gentilezza va bene, anzi benissimo, e fa piacere che tutti siano così gentili - però si potrebbe essere gentili dicendo di non ricordare, magari scusandosi ma senza arrampicarsi in modo tanto grottesco. “Peggio di De Cataldo nessuno. A un certo punto mi vergognavo per lui”. Sì, penso, come quando porti al cinema un amico e se il film fa schifo ti senti responsabile, pure se non è colpa tua. Chissà se dopo la performance qualcuno dei protagonisti ha commentato o addirittura smentito. In fondo a parte i giorni subito dopo lo scherzo, sembra essere calato un silenzio assoluto, magari per scarso senso dell’umorismo o magari per la coda di paglia. “A parte qualche pezzo subito dopo il Salone - più sul Web, ‘Il Giornale’ forse è stato l’unico in versione cartacea e un’intervista per ‘Oggi’ - Madalon si è consumato in fretta. Lì in mezzo c’è anche Rizzo, punta di diamante del ‘Corsera’, e non credo che ci sia molta intenzione di scavare e di parlarne. ‘La Stampa’ ci ha ignorato. Hanno messo il video, ma è sparito nel giro di pochissimo. È anche il percorso naturale delle notizie. Nessuna delle vittime si è lamentata o ha commentato, almeno non con me”. In fondo lo scherzo riguardava un mondo in cui anche il giornalismo è coinvolto. “L’obiettivo era quello di far vedere come sia possibile costruire una celebrità sulla base di nulla. Il canale del divertimento funziona bene, ed è un pretesto per mostrare alcuni meccanismi della costruzione fittizia della fama. Mi ha colpito che noi avessimo una telecamera molto ben in vista. Non nascosta. Le inquadrature sempre a favore degli intervistati, mai lontana”. Insomma non si può invocare nemmeno la scusa di avere detto qualcosa in privato con troppa leggerezza. “Abbiamo scoperto una cosa bellissima: la relatività. Un sacco di persone parlano e non dovrebbero parlare; tante invece tacciono e dovrebbero parlare. Ognuno parli di ciò di cui è esperto. Non si può essere esperti di tutto”. Cosa ci sarà di tanto vergognoso in un “non so”? “Alcuni lo hanno detto: Sergio Castellitto (‘non ti conosco’), Antonio Pennacchi mi ha rimbalzato: ‘non stamo a fa’ fregnacce’. Neri Marcorè mi ha beccato e l’ha presa sul ridere, è stato al gioco. Gian Antonio Stella non c’è cascato. Nessuno mi ha trattato male. Dario Franceschini ha visto la telecamera e ha mangiato la foglia. I politici sono più scafati, più abituati ad essere bersaglio di giornalisti, questuanti, attaccabrighe”. Madalon fa tornare in mente alcuni scherzi celebri, come quello dei falsi Modigliani. Era il 1984, centenario della nascita di Modigliani. 57 IOSTOMENTENDO Di giochi e di inganni, di falsa testimonianza e de L’uomo dell’anno parliamo con Nicla Vassallo, professore ordinario di filosofia teoretica all’Università di Genova. Il suo ultimo libro si intitola Per sentito dire. Conoscenza e testimonianza (2011, Feltrinelli). Che rapporto c’è tra la testimonianza e lo scherzo? Lo scherzo è una forma di testimonianza? Ci sono diversi modi di usare il linguaggio. Quello che permette di accedere alla conoscenza, per esempio, quello della beffa, dell’insulto, dell’ironia, del tradimento. È impressionante quanto spesso non si distingua - come se non disponessimo degli strumenti - uno scherzo, o un gioco, da una testimonianza attendibile. Dell’affair Madalon mi ha impressionato la serietà, oltre che la falsa testimonianza, da parte di quanti hanno commentato L’implosione. È uno degli scherzi migliori per comprendere una certa confusione tra linguaggio e conoscenza. Non solo: ti sto dicendo ciò in cui non credo e non ho alcuna idea di ciò di cui parlo. Per forza, l’oggetto del discorso non esiste! Siamo al patetico. Lo scherzo in questo caso svela la falsa testimonianza che sospetti sia abitudine diffusa. Vuole denudarla prendendola in giro? Insieme alla falsa testimonianza, il bersaglio rimane l’incapacità di recepire - derivante da un impiego limitato del linguaggio. L’aria gravosa peggiora le parole pronunciate. Coloro che rispondono a Madalon sembrano ignorare i vari usi del linguaggio. E questi sarebbero i nostri intellettuali? Non dovrebbero volerci rifilare nulla, invece sembrano una caricatura di un ufficio vendite che non intende rivelarti i particolari dell’oggetto che dovresti comprare. Si tratta un ufficio che sa già che le proprie promesse non verranno mantenute. Che promesse sono? Le definirei, piuttosto, veri e propri raggiri. Al pari di una speranza, che deve presentare una qualche probabilità di realizzarsi, altrimenti è una fantasia allucinatoria, una promessa diviene lecita solo a condizione che sussista la possibilità di mantenerla. La maggioranza degli intellettuali finisce oggi per vendere se stessa. Mi viene da pensare ai troppi casi di plagio, esplicito e implicito. In effetti, molti sedicenti pensatori starebbero bene al bar: tu entri e bevi un caffè, mentre loro blaterano qualcosa, che dimentichi subito dopo. E invece... Anche notare chi viene inserito nella categoria “saggistica” dei volumi più venduti mi lascia spesso perplessa. Quale saggistica? La testimonianza sulle vendite risulterà anche attendibile, ma non quella sulla saggistica, a meno che non si stravolga del tutto il significato del termine “saggistica”. Perché risulta tanto difficile dire “non lo so”? Per irriverenza nei confronti della conoscenza, per la falsa convinzione che ammettere di non sapere consista in un difetto. ILMUCCHIOSELVAGGIO Una mancanza. Invece è il dichiarare, oltre i propri limiti (non siamo onniscienti), lo spazio di curiosità e di desiderio di ampliare la nostra conoscenza. Assistiamo a una corsa a spacciarsi tuttologi. Ciò contiene qualcosa di patologico? Difficile rispondere. Rimane però veritiero che a troppi non piace crescere, non piace sapere come stanno le cose. Che poi non è vergognoso non aver letto L’implosione. Nemmeno si stesse parlando di Anna Karenina. E comunque potremmo confessare di non aver letto Anna Karenina, no? E le teste di Modì? I media? Mi viene in mente The Great Dictator con la sua straordinaria pantomima che prende il posto del linguaggio parlato. In particolare, ricordo l’efficacia scenica di un Charlie Chaplin che gioca con quella palla che raffigura il nostro mondo. Il bersaglio della canzonatura non consiste tanto in Hitler, quanto nella follia e nell’onnipotenza della dittatura (di ogni tipo), nonché nella fissazione sul linguaggio parlato. Il filo consiste forse proprio in questo. Nonostante la gravità delle situazioni sia ben diversa, l’atmosfera assomiglia, e a permanere rimane la maniacale pretesa di onnipotenza, di possesso. L’accidente Modigliani rappresenta un caso diverso, nonostante abbia messo in difficoltà, (o alla berlina?) i cosiddetti critici d’arte, altri intellettuali. Giocherellare con l’opera d’arte contiene ad ogni buon conto aspetti destabilizzanti (si pensi a Marcel Duchamp, per fare un buon o cattivo nome). Eppure, il confine dell’attribuzione (stabilizzante, destabilizzante) non è netto. Non dimentichiamo che ci ritroviamo ancora a comprendere che tipo di testimonianza rappresenti la Sindone. Concediamo il margine dell’errore, d’accordo: qualcuno può aver commesso un errore scientifico in buona fede. Nel caso de L’implosione no, era solo cattiva fede. Lasciamo stare poi le manipolazioni da parte dei vari media - viviamo in un Paese semilibero sul fronte della libertà di stampa. Il giornalista che costruisce la notizia falsa da zero, o che l’abbellisce, o che la mistifica, o che la urla, o che l’annulla, e via dicendo, agisce sotto parecchie pressioni, tra cui la spettacolarizzazione. I mezzi di cui disponiamo per sgamare un fake rimangono risicatissimi. La notizia è vera o falsa, giustificata o ingiustificata? Come decifrarlo? Ci vogliono conoscenze e competenze riservate ormai a pochi. Mi viene in mente il caso WikiLeaks. Una risposta la otterremo col trascorrere del tempo? O forse neanche l’attesa gioverà? Ch.L. QUESTIONI QUESTO NON È UNO SCHERZO! ARTWORK DI FRANCESCA PIGNATARO Tommaso Debenedetti “In Italia l’informazione si basa sui falsi” (Tommaso Debenedetti) Leggenda vuole che prima di lasciare Livorno, deluso e amareggiato, l’artista 25enne avesse gettato alcune sculture nel fosso sotto casa. A luglio si comincia a scavare e la credulità viene ripagata: ecco alcune teste somiglianti ai volti famosi di Modì. “Continuavano a non trovare niente, così abbiamo deciso di fargli trovare qualcosa”, commenta uno degli autori dello scherzo. Solo dopo accese discussioni sull’attribuzione, dopo che assessori, sovrintendenti e critici d’arte erano andati in un brodo di giuggiole, dopo che le opere erano state inserite nel catalogo ufficiale, i veri scultori escono allo scoperto. O come il meraviglioso scherzo del fisico Alan Sokal. Stufo di come termini e concetti scientifici venissero abusati e usati a sproposito da Jacques Lacan, Julia Kristeva, Gilles Deleuze, Jacques Derrida e molti altri, nel 1996 Sokal, professore alla New York University, manda un testo assolutamente delirante a una rivista molto quotata: “Social Text”. Il titolo già basta a dare un’idea del contenuto: Toward A Transformative Hermeneutics Of Quantum Gravity (La trasgressione dei confini: verso un’ermeneutica trasformativa della gravità quantistica). L’articolo viene accettato e lodato e solo dopo la pubblicazione Sokal dichiara di avere costruito un pezzo senza senso, confuso e folle. Una vendetta meravigliosa verso quel mondo postmodernista in cui la confusione veniva spacciata per genio e ogni azzeccagarbugli poteva aspirare a diventare autore cult! Non tutti ridono, ovviamente. Insieme a Jean Bricmont, Sokal poi pubblica un libro imperdibile, tradotto in italiano con il titolo Imposture intellettuali (Garzanti, 1999), una specie di vaccino contro i ciarlatani. L’intero dibattito è nella sua pagina personale: www.physics.nyu .edu/sokal. Qualunque sia il bersaglio - arte, postmodernismo, “cultura” - l’intento appare comune: far emergere l’inconsistenza e la strafottenza e, forse, suggerire di prendersi meno sul serio. Ve lo ricordate Tommaso Debenedetti? Quello che ha inventato decine e decine di interviste a Philip Roth, Milan Kundera, Herta Müller e a tantissimi altri, inaccessibili a quasi tutti gli altri giornalisti? L’hanno beccato e messo alla berlina definitivamente l’anno passato - dopo alcuni sospetti e qualche dubbio più antichi. Lui si presenta come un genio, molti gli danno corda e l’Ordine dei giornalisti non ha battuto ciglio. Anzi, di recente Debenedetti gioca con FaceBook e qualche mese fa ha aperto un profilo a nome di Abraham Yehoshua e di Umberto Eco (me lo ricordo di averlo visto più volte tra i suggerimenti di contatti da aggiungere e ricordo anche di aver pensato: chissà chi è che fa il negro - mai mi sarei aspettata il nostro!) e ha inviato una lettera al “New York Times” a firma di quest’ultimo. Debenedetti continua a presentarsi come un giustiziere della truffa, uno che ha smascherato il pessimo modo di fare giornalismo in Italia. E su questo può avere ragione, ma il dubbio rimane sui metodi e sulle sue reali intenzioni. Ecco cosa scrive Judith Thurman il 24 giugno scorso su “The New Yorker”: “‘La mia intenzione era quella di essere un rispettabile giornalista’, ma, da freelance, non riusciva a farsi pubblicare i pezzi, così si è dato alla fiction. Debenedetti si è lamentato che i direttori dei giornali locali che accettarono le sue false interviste senza alcuna verifica dovevano sapere che erano inventate, ma non importava. ‘L’Italia è una barzelletta’, disse. ‘L’informazione in questo Paese è basata sui falsi’”. Evidentemente ha voluto dare il suo contributo. Se ti beccano non puoi dire stavo scherzando. Se ti sputtani da solo magari sì. La differenza tra un furto e un regalo sta nella intenzione del proprietario o dell’acquirente. Fino a che non decido di regalartelo sono io il proprietario. Se ci provi e qualcuno ti smaschera non puoi cavartela dicendo: “ci sei cascato? Ma io scherzavo!”. Madalon è uno scherzo, i ragazzi delle teste di Modigliani erano burloni (a meno che non fossero tutti d’accordo, presunte vittime e carnefici, ai danni del pubblico - come una compagnia teatrale errante). Ma Debenedetti? Lui gioca a fare il denunciatore e in tanti, tantissimi, lo definiscono “genio” (“Il Fatto Quotidiano”, “Il Post” e altri. Tutti a usare “genio” e sinonimi. Tutti amanti dell’iperbole adulatoria). Certo che - come sottolinea Debenedetti - se io sono il direttore devo verificare, ma il punto è che il giornalismo (e la vera testimonianza) si basano in ultima analisi sulla fiducia perché non è possibile la verifica ubiqua e assoluta (altrimenti farebbe tutto il direttore), e se tu la violi insistentemente senza svelare l’inganno, c’è puzza di furbizia. L’equilibrio è fragile e delicato, e la fiducia si conquista con la credibilità. Quindi forse il vero problema - o il più grave affonda nei primi pezzi che il nostro mandava, interviste a scrittori e politici famosissimi, che in pochi riuscivano ad avvicinare e che avrebbero dovuto insospettire. Ma nessuno ha sollevato un dubbio e via via che l’elenco si allungava, la credibilità farlocca di Debenedetti aumentava in un circolo virtuoso bacato in partenza. I natali di Debenedetti conteranno, soprattutto nella familista Italia (Antonio e Giacomo, scrittore e critico letterario, rispettivamente padre e nonno?). Se davvero il suo intento era provocatorio (lo sapremo mai? Bisognerebbe essere Debenedetti, non ci sono alternative per scoprirlo. Ci vorrebbe una nuova versione del celebre articolo di Thomas Nagel e il pipistrello, in cui il filosofo parla della inaccessibilità degli stati mentali affermando che per sapere che effetto fa essere un pipistrello bisogna essere un pipistrello, dal titolo: What Is It Like To Be Tommaso Debenedetti?) apprezziamo il suo spirito di denuncia. Ma il giocherello è andato avanti troppo tempo e sembra la versione pinocchiesca della volpe e l’uva. M’hai beccato? E io ti dico che stavo scherzando. Se nessuno avesse notato le stranezze, lui sarebbe andato avanti? Ha (e avrebbe) ammesso di barare se e solo se qualcun altro lo avesse costretto? Non si tratta di essere moralisti, ma di scegliere la giusta categoria: come fiction writer Debenedetti sarebbe stato perfetto. Comunque la pensiate, chissà se questo pezzo l’ho scritto davvero io. 59