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CSAM - 25121 BRESCIA, VIA PIAMARTA 9 • Poste Italiane S.p.A - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Brescia - contiene I.P.
Congo RD
Missionari solidali
non complici
D OS S I E R
La Cina di Mao
compie 60 anni
www.saverianibrescia.com/missione_oggi.php
Sommario n. 10/2009
Mensile dei Missionari Saveriani
dal 1903 al 1978 Fede e Civiltà
Direttore
Mario Menin ([email protected])
Redattori
Mauro Castagnaro, Franco Ferrari (caporedattore),
Federico Tagliaferri
Segreteria
Salvatore Leardi ([email protected])
Gruppo redazionale
Michele Agosti, Giusy Baioni, Michela Bono, Maria Teresa Cobelli, Fabio Corazzina, Domenico
Cortese, Roberto Cucchini, Flavio Dalla Vecchia,
Lydia Keklikian, Piero Lanzi, Fausto Piazza, Marino Ruzzenenti, Anna Scalori, Gabriele Smussi,
Franco Valenti, Annachiara Valle
Hanno collaborato a questo numero
Rete Pace per il Congo, Fabrizio Tosolini, Stefano
Vecchia, Brunetto Salvarani, Renato Filippini, Federico Tagliaferri, Angelo Lazzarotto, Enrico Rossetto,
Augusto Luca, Alessandro Dell’Orto, Umberto Bresciani, Franco Sottocornola, Franco Ferrari, Everaldo dos Santos, Eugenio Pulcini, Meo Elia
Direzione
Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia
Tel. 0303772780 - Fax. 0303772781
www.saveriani.bs.it/missioneoggi
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Amministrazione e abbonamenti
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(C.S.A.M.)
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Missione Oggi è stampata interamente
su carta riciclata.
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intestato a Missione Oggi
Via Piamarta, 9 - 25121 Brescia
Grafica: Enzo Chisacchi / Paolo Mabellini
Realizzazione: D.G.M. / Brescia
Stampa: Squassina / Brescia
ISNN 0392-6389
Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria CSAM - Soc. Coop. a R.L., Via Piamarta 9, 25121 Brescia, n. 50127 in data 19-2-1993. Direttore Responsabile: Marcello Storgato. Registrato al Tribunale di Parma
n. 399 del 7-3-1967
3 Editoriale
CongoRD: missionari solidali non complici
CongoRD
4 Speciale
Se la politica svolgesse il suo compito (Rete Pace per il Congo)
Dichiarazione dei missionari saveriani del CongoRD
Il rapporto dell’ONU (Rete Pace per il Congo)
e missione
9 Parola
La spiritualità dell’apostolo Paolo (Fabrizio Tosolini)
di storia
11 Lezioni
Cambogia. Pol Pot: in arrivo le prime condanne (Stefano Vecchia)
fatto e il commento
15 Il
L’ora delle religioni. Il libro sacro degli altri (Brunetto Salvarani)
libro al mese
16 Un
Padre Organtino 1532 - 1609 (Renato Filippini)
17-32 | dossier
A 60 anni dalla rivoluzione di Mao 1949 - 2009
a cura di Federico Tagliaferri
e missione
33 Concilio
La Chiesa del Concilio si rivolge al mondo intero (Franco Sottocornola)
africano
35 Sinodo
Africa. Non c’è tempo da perdere (Franco Ferrari)
e diritti umani
38 Abitazione
Manila: i poveri di città (Everaldo dos Santos e Eugenio Pulcini)
e missione
42 Popoli
Ripensando la missione dall’Amazzonia (Meo Elia)
45 Indice dell’annata 2009
Foto di copertina: Congo RD, Shasha, Nord Kivu: bambino congolese chiede da mangiare attraverso lo spiraglio
di una tenda, 3 Dicembre 2008. AFP PHOTO/ PASCAL GUYOT. AFP PHOTO/PASCAL GUYOT. Foto di apertura
dossier: Cina - Tempio confuciano. Foto Gianlorenzo Dompè.
CONVEGNO ANNUALE DI “MISSIONE OGGI”
sabato 8 maggio 2010
Stranieri e migranti: profeti di una nuova umanità
Brescia - Chiesa di San Cristo (via Piamarta 9)
per informazioni e iscrizioni: [email protected]
missionari
non complici solidali
editoriale
CongoRD
n gruppo di esperti dell’Onu ha presentato al Consiglio di sicurezza il suo ultimo rapporto sull’applicazione della risoluzione Onu 1533 del 2004 riguardante il Congo RD, in particolare l’embargo delle armi
Udestinate
ai gruppi armati attivi nell’Est e lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie. Benché “stretta-
Un bambino si
ripara dalla
pioggia in un
campo profughi
a Goma.
AFP/RObeRTO SCHmiDT
mente confidenziale”, molti organi di stampa ne hanno frettolosamente pubblicato stralci, senza verificarne
la veridicità (si veda a seguire la reazione dei Saveriani).
Il rapporto ammette il “fallimento” dell’operazione Kimya II, condotta dall’esercito congolese con l’appoggio logistico della Missione Onu (Monuc) contro le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Fdlr),
movimento politico-militare degli hutu ruandesi arrivati nel Kivu nel 1994, in seguito ai tragici fatti che sconvolsero il loro Paese. Si tratta di un fallimento prevedibile. Varie Ong l’avevano denunciato: un’operazione anti-guerriglia in piena foresta non sarebbe riuscita. I risultati sono catastrofici per la popolazione civile: 1.143 civili uccisi, 7.000 donne violentate, 900.000 civili sfollati, 6.037 case incendiate, 123 attacchi a villaggi.
Il fallimento dell’operazione varrà a far capire alla Comunità internazionale che l’opzione militare non è
la soluzione del problema?
Il rapporto conferma lo stretto legame tra commercio illegale delle risorse minerarie e la continuazione del
conflitto, grazie al commercio clandestino delle armi. Inoltre, sostiene che la maggior fonte di autofinanziamento delle Fdlr è il commercio dei minerali, in cui sono coinvolte note società multinazionali occidentali e,
secondo precedenti rapporti Onu, lo stesso Ruanda. Si tratta di un giro di miliardi di dollari. Finora, nessun governo occidentale ha fatto pressione su tali società. Si nota una stridente contraddizione: da una parte, la Comunità internazionale promuove la guerra contro le Fdlr e,
dall’altra alcuni Paesi importano minerali senza preoccuparsi della loro tracciabilità.
Il gruppo degli esperti cita infine alcuni casi di piccole associazioni umanitarie e di
singole persone, missionari inclusi, che avrebbero contribuito al finanziamento delle
Fdlr e alla diffusione di informazioni, impedendo così la loro neutralizzazione e il rimpatrio dei suoi membri.
Occorre tener conto che le Fdlr sono una realtà variegata, cui hanno aderito, è vero,
militari ex-Far (Forze armate ruandesi) e miliziani Interahamwe; ma è prioritario volgere lo sguardo al gran numero di rifugiati civili, un popolo errante che da 15 anni vaga
e sopravvive nelle foreste. Assediato dalla guerra e trascurato dalle Organizzazioni umanitarie internazionali, Onu compresa, i rifugiati civili non avevano davvero nessun diritto all’assistenza? Il rapporto fa riferimento a un aiuto di 2.000 dollari per l’acquisto
di teloni di plastica per capanne improvvisate, di farmaci e materiale didattico. Secondo la logica del rapporto, quindi, questa gente avrebbe dotuto morire di fame, di
freddo e di malattie, solo perché dalla parte dei vinti?
La stampa ha dedicato molte righe a questi ultimi casi, estrapolando i fatti e interpretandoli in modo grossolano e tendenzioso. C’è da chiedersi perché. Non si rischia
forse di scaricare su missionari e piccole associazioni umanitarie l’imbarazzante e
scandalosa partecipazione di note società minerarie e governi occidentali, ma non
solo, nel perverso intreccio tra sfruttamento illegale delle risorse, commercio clandestino di armi, strategie geopolitiche e continuazione del conflitto?
n
speciale CongoRD
AP/RObeRTO SCHmiDT
A PROPOSITO
DELLE ACCUSE
A DUE MISSIONARI
SAVERIANI
Se la politica svolgesse
CongoRD
il suo compito
RETE PACE PER IL CONGO
“Mulenge, perché è quello il luogo
che io conosco e visitavo e dove
ho il cuore, sempre. (…) La gente
attendata in qualche modo
sulla montagna, a 2500 m slm al freddo,
con le prime piogge,
e senza riparo alcuno.
Lassù non ci sono alberi o altro:
occorre acquistare tende.
(…) Mio carissimo, la cosa più
importante sarebbe, è,
quella di informare l’opinione pubblica.
(…). Sarà mia gioia farti sapere subito
le miserie che i vostri dollari avranno
potuto consolare. (…)
Quanto intendi inviare per soccorrere
i miserabili fuggiaschi, lo puoi spedire
indicando che è un’offerta
destinata a me
per i profughi ruandesi”.
DI FRONTE A UN POPOLO CHE SOFFRE
Q
Donne congolesi
in fuga
dal conflitto.
4
uesti gli estratti più significativi di una corrispondenza che il recente rapporto dell’Onu,
in circolazione da giorni, anche se “strettamente
confidenziale”, mette come annessi e prova d’accusa per il padre Piergiorgio Lanaro, saveriano
che opera nell’est del Congo: avrebbe dato sostegno alle Forze Democratiche di Liberazione del
Ruanda (Fdlr), un’organizzazione politico-militare dei rifugiati hutu ruandesi nell’est del Paese.
Sì, padre Piergiorgio ha scritto al capo delle
Fdlr. Ha offerto aiuti umanitari. Ma non cercava oro, né cassiterite, né la realizzazione di progetti politici di sua simpatia. Aveva a cuore il
destino di un popolo a cui la comunità internazionale non offre da anni vie d’uscita.
Quelle che sbrigativamente chiamiamo Fdlr,
Missione Oggi | dicembre 2009
in realtà – quella di chi vive quotidianamente sul
terreno e incontra persone concrete con situazioni concrete – non sono solo un gruppo armato,
ma un popolo di donne, uomini, vecchi, bambini, che vive in un paese non suo, spesso nelle foreste più interne, senza cibo e medicine. Un aiuto umanitario per l’acquisto di teloni di plastica,
farmaci e materiale didattico può davvero essere considerato come fonte di finanziamento di
un gruppo ribelle? Il non porre un gesto simile,
non potrebbe essere considerato omissione di
soccorso a una popolazione a rischio? Sarebbe
forse questo il desiderio dell’Onu? Rendere la
vita impossibile ai rifugiati civili, per costringere i ribelli ad arrendersi e deporre le armi? In tal
caso, la presenza dei missionari non può che essere diversa: l’aiuto ai poveri, il soccorso agli
sfollati e ai rifugiati che vivono in condizioni di-
I Saveriani
non hanno risposto subito
alle accuse rivolte
da un rapporto redatto
da esperti dell’Onu a due confratelli
che operano in CongoRD,
in attesa che fossero confermate
o smentite dalla stessa Onu.
Visto che l’Onu
tarda a prendere posizione
e che la stampa nazionale
e internazionale continua
a riprenderle in maniera imprecisa,
cioè non corrispondente
alla verità dei fatti,
i Saveriani del Congo
hanno deciso di intervenire.
Noi, Missionari Saveriani presenti e operanti in
Congo RD, siamo rimasti sconcertati alla lettura del rapporto degli esperti dell’Onu, come è
stato presentato in questi ultimi giorni dai
mass media, là dove chiama in causa due nostri confratelli.
Il documento, strettamente confidenziale e
non destinato all’uso pubblico (strictly confidential, not for dissemination, come si dice fin
dall’inizio), è stato inspiegabilmente dato in-
sperate, spesso esposti al freddo, alla pioggia e
senza alcun riparo è un dovere per i missionari
che operano senza fare differenze.
Spesso i missionari lavorano in situazioni
drammatiche in cui si intrecciano violenze, ingiustizie, violazioni dei diritti dell’uomo, miseria, manipolazione dell’informazione, interessi
economici e politici. In queste situazioni al limite dell’esasperazione diventa reale la possibilità
di eventuali errori. E qualora succedesse, il rischio è quello di soffermarsi a lungo sul topolino caduto in trappola e lasciar passare, intanto,
il branco dei dinosauri carichi di miliardi.
UN NODO CHE NON SI VUOLE SCIOGLIERE
Il desiderio ripetutamente espresso dalle Fdlr
di rientrare in patria rimane ancora senza una ra-
speciale CongoRD
AP/RiCCARDO GANGALe
DICHIARAZIONE
DEI MISSIONARI SAVERIANI
DEL CONGO RD
IN SEGUITO AL RAPPORTO
DEGLI ESPERTI DELL’ONU
mano ai mass media internazionali, secondo
un procedimento ormai consolidato, che toglie la competenza della verifica di eventuali
accuse alle legittime istanze per trasferirla alla piazza pubblica mediatica dove ogni accusato è già di per sé colpevole. Rifiutando questo metodo, i Missionari Saveriani hanno evitato di rispondere subito alle accuse di quella
che considerano una bozza non ufficiale. D’altra parte, chi ben ci conosce, in particolare la
gente presso cui lavoriamo, ha già saputo giudicare della veridicità o meno delle accuse.
Allo stesso tempo denunciamo la sommarietà,
l’imprecisione e quindi la tendenziosa di questo
rapporto e dell’interpretazione delle prove portate. Ci stupisce che giornali che si considerano
seri diano loro credito senza verificarle.
In particolare il documento, al n. 120, accusa
il nostro p. Pier Giorgio Lanaro “di essere a capo di un gruppo, facente parte della Chiesa
cattolica italiana, legato a unità Fdlr basate
in Congo RD”.
Respingiamo tale accusa dicendo che i cosiddetti cattolici d’Italia sono semplicemente degli
amici personali di p. Lanaro, che da anni ricevono sue circolari in cui racconta la sua vita
missionaria. Si tratta di persone di buona volontà, non tutte cristiani praticanti, che si lasciano interpellare da situazioni di sofferenza e
di miseria, come quella in cui vivono i rifugiati
ruandesi, e che reagiscono di conseguenza.
Per quanto concerne gli scambi epistolari con
Ignazio Murwanashaka, affermiamo che sono nati per un bisogno di ricerca della verità
gionevole possibilità. Che il governo ruandese
non ne desideri il ritorno lo mostra l’inasprimento della repressione interna, celata dietro un’apparenza di democrazia e di riconciliazione nazionale. Lo mostra la stessa modalità dell’attacco
delle truppe ruandesi contro le Fdlr: vengono
spinte sempre più verso l’interno del Congo, in
direzione opposta alle frontiere. Il fatto è che la
loro presenza nell’est della RDC serve al regime
ruandese per giustificare la sua occupazione del
territorio congolese e per usufruire dei minerali
estratti illegalmente sia dalle Fdlr che dai propri
militari. Infatti strane collaborazioni si registrano
tra gruppi di per sé opposti; e non si sa più chi è
chi sul terreno e a quali interessi obbedisca.
Bisogna vivere nella regione per sentire dal
di dentro il senso di impotenza che prende di
fronte a situazioni di cui il più semplice abitan-
Soldati seguaci
del generale
Laurent Nkunda
lasciano la città
di Bukavu,
4 giugno 2004.
Missione Oggi | dicembre 2009
5
speciale CongoRD
Donna congolese
con bambino
chiede da mangiare
alla Croce Rossa,
3 dicembre 2008,
a Bweremana
Nord Kiwu.
6
AFP/PASCAL GUYOT
e della giustizia, a proposito di notizie allarmanti apprese dai media. Come prete operante fra la popolazione congolese, p. Lanaro voleva conoscere la verità sui massacri ed altri
delitti, fra cui alcuni di natura economica, in
particolare i saccheggi delle risorse minerarie
del Congo, attribuiti alle Fdlr e descritti dalla
stampa internazionale.
Denunciamo l’inganno utilizzato contro p. Lanaro da un sedicente prete italo-americano,
prezzolato da un’organizzazione non meglio
definita, un sedicente “Francesco-Vittorio”
(che altrove si firma “Francisco”) per ottenere
indirizzi, contatti, nomi, e-mail, numeri di cellulare. Senza dubbio il gruppo di esperti utilizzando tali contatti ripone piena fiducia in
quest’uomo che, con ogni verosimiglianza,
appare implicato nel movimento di ribellione
armata più di ogni altro (cfr. annessi).
Infatti, questo sedicente prete ha maliziosamente introdotto il tema di aiuti finanziari
destinati alle Fdlr, che dovevano pervenire nelle mani del sig. Ignazio Murwanashaka, mentre p. Lanaro chiedeva soltanto aiuti umanitari per i rifugiati ruandesi, di cui conosce a fondo la miseria estrema, soprattutto nell’attuale
congiuntura. Appare chiaro che questo signore, che si presentava come prete, perseguiva il
suo intento machiavellico di trascinare p. Lanaro in un ingranaggio di cui controllava perfettamente il funzionamento. Infatti, una volta informato su tali contatti – che d’altronde
gli erano stati forniti fin dai primi momenti -,
è scomparso definitivamente, trincerandosi
dietro motivazioni assolutamente ridicole.
Fra l’altro p. Lanaro gli aveva comunicato anche il nome di p. Franco Bordignon, economo
della nostra congregazione, come quello di un
referente che avrebbe potuto ricevere il denaro
destinato ai rifugiati, e che doveva essere inviato attraverso la Western Union, un’istituzione internazionale di trasferimento di denaro, e non attraverso la West Bank (oltretutto
inesistente a Bukavu). Notiamo che il conto di
te dei villaggi congolesi ha una lettura più chiara che mille autorità ed esperti internazionali. Il
Ruanda è un fuoco che brucia e nessuno accetta di esserci buttato dentro: l’uso della forza
non riuscirà mai a spingere al rientro gli esuli
armati. Il documento Onu, come molti altri documenti di questi tempi, ormai riconosce ciò
che attenti osservatori locali hanno vanamente
dichiarato fin dall’inizio dell’anno. Le operazioni di tutto quest’anno non sono servite che
ad aggiungere altri morti, altri stupri, altri sfollati fra la popolazione locale e a destabilizzare
temporaneamente, e quindi a rendere più aggressiva, la presenza delle Fdlr e di tutto il popolo ruandese delle foreste, che certo ha pure
contato vittime. Questo del resto serve molto
bene al progetto ruandese di occupazione del
paese: fare terra bruciata per occupare.
Missione Oggi | dicembre 2009
cui fa allusione il numero 123 del rapporto degli esperti dell’Onu è esso pure inesistente.
Insomma, mettendo insieme le cose, ci sentiamo di concludere che gli esperti dell’Onu si sono fidati di e-mail ottenute in malo modo,
senza verificarne l’esattezza del contenuto.
È con grande stupore che abbiamo constatato
come il nostro economo, p. Franco Bordignon,
sia stato accusato, non per una compiuta trasgressione, ma solo per l’incarico che svolge a
servizio di tutta la congregazione saveriana.
Oltre tutto è evidente che non può essere al
corrente di tutte le iniziative personali di tutti i confratelli.
Allo stesso n. 123 del rapporto, l’accusa rivolta contro p. Lanaro di appropriazione arbitraria e indebita di fondi raccolti in Europa dalla
sua congregazione per i profughi ruandesi, e
che invece avrebbe utilizzato per sostenere
l’organizzazione militare dei ribelli, è assolutamente infondata. La manipolazione appare
evidente quando si identificano i beneficiari
di questo aiuto. Là dove p. Lanaro parla dei
“miei amici che si sono rifugiati sulle montagne”, gli esperti dell’Onu vedono gruppi armati delle Fdlr che si sarebbero trincerati sulle montagne.
Ora, come prete che ha vissuto a lungo in mezzo ai rifugiati, p. Lanaro parla di famiglie
(donne, bambini, anziani) che conosce e con
cui ha stretto amicizia. È per aiutare queste
categorie a rischio di persone rifugiate, di cui
l’Onu con tutti i suoi organismi a ciò preposti
non si preoccupa, che p. Lanaro ha dato la
IL CORAGGIO DELLA VERITÀ
Il documento Onu, per quanto ci è stato dato di leggerne, è dettagliato nel fare nomi di
persone e gruppi ritenuti implicati nel sostegno
alle Fdlr e/o nel commercio illegale delle materie prime dell’est della RDC. Le accuse sono
estese a vari gruppi e paesi, ma si focalizzano
soprattutto sulle Fdlr. L’effetto finale è quello di
dare ancora una volta l’idea che il nodo del problema dell’est della RDC e dell’intera Regione
sono gli hutu ruandesi rifugiati in Congo. Sono
loro i responsabili del genocidio del 1994 e
quindi passibili di giudizio.
Non si tratta di negare quanto è successo,
ma di riconoscere che la maggioranza di questo
popolo della foresta sono giovani che non hanno nulla a che fare con quegli eventi. Si tratta
speciale CongoRD
AP/bLAiSe mUSAU
somma di 2.000 dollari per comperare teli per
coprire capanne improvvisate e medicinali.
Esigiamo che l’intervento di persone competenti e preoccupate della verità possa chiarire
definitivamente la natura di tutte le accuse
rivolte contro i nostri confratelli, in vista di
ristabilirne l’onorabilità che questo rapporto
intende compromettere. Anche perché tali accuse fantasiose possono mettere a rischio l’incolumità dei confratelli accusati e non solo,
oltre che condizionare la loro opera in favore
dei più deboli.
Non basta accusare chi da anni, senza nessun
fine politico o interesse personale e a volte a
anche di passare dal faro concentrato su un
gruppo e sui cento giorni di aprile-luglio 1994
ad un’illuminazione a tutto campo sul ventennio 1990-2009.
Non si tratta di negare
quanto è successo,
ma di riconoscere che la maggioranza
di questo popolo sono giovani che
non hanno nulla a che fare
con quegli eventi
Ogni volta che si cerca di fare questa operazione, all’interno, ma spesso anche all’esterno
del Ruanda, si reagisce con le accuse: ideologia
genocidaria, negazionismo… Ora, finché non si
accetta di illuminare tutta la sala, di ascoltare
tutte le verità, di considerare tutto quanto è av-
rischio della vita, cerca di sollevare con i poveri mezzi a disposizione l’enorme sofferenza
di intere popolazioni, per coprire il fallimento
della costosa missione dell’Onu con i suoi intrallazzi e alleanze.
I MISSIONARI SAVERIANI DEL CONGO RD
Bukavu, 1° Dicembre 2009
venuto in questi anni in Ruanda e nella RDC
dal 1990 ad oggi, non ci sarà pace nella Regione. Non la porterà la Monuc, non la porteranno
gli esperti, non la porteranno altre truppe scelte
o le tavole di pace di facciata.
Noi missionari che siamo nella Regione
chiediamo alla Comunità internazionale il coraggio della verità. E se nel frattempo tendiamo
una mano a un popolo in foresta, se cerchiamo
di operare perché si faccia verità, è quello che la
coscienza ci chiede. Non siamo perfetti, né siamo esperti di politica, e i nostri interventi possono essere qua e là criticabili: ma allora che la politica svolga davvero il suo ruolo. Ormai, noi
missionari non ce la sentiamo più di fare il pronto soccorso senza guardare alle radici dei mali.
Un bambino
in un campo
per rifugiati
di Kinkale,
a 30 miglia da
Kinshasa.
RETE PACE PER IL CONGO
Missione Oggi | dicembre 2009
7
speciale CongoRD
IL RAPPORTO DELL’ONU
LE PRINCIPALI QUESTIONI ESAMINATE
y Le Fdlr ottengono spesso le loro armi grazie alla malversazione di materiale bellico dell’esercito congolese
da parte di ufficiali superiori congolesi; l’esercito di
Kinshasa è così la “principale sorgente di armi e munizioni in possesso delle Fdlr.
y Si registra una mancanza di rispetto, da parte di vari StaIl gruppo di esperti dell’Onu incaricato di sorvegliare l’embargo sulle armi destinate ai gruppi armati ancora attivi
in Congo RD ha trasmesso al Consiglio di Sicurezza il rapporto della sua ultima inchiesta. In esso si afferma che:
y Le operazioni militari contro le Forze Democratiche per
Persone in fuga
dai conflitti
vicino a
Mugunga,
15 km da Goma,
6 settembre 2007.
la Liberazione del Ruanda (Fdlr), i ribelli hutu ruandesi
in Congo, condotte in gennaio-febbraio da Kigali e Kinshasa e, in seguito, dall’esercito congolese col sostegno
della Missione dell’Onu (Monuc), hanno “aggravato la
crisi umanitaria” nel Nord e Sud-Kivu e non sono riuscite a smantellare le strutture politiche e militari dell’organizzazione che si è reinstallata in numerose zone
da cui era stata cacciata.
ti, del loro obbligo di segnalare ogni invio di materiale militare all’esercito congolese. In particolare, si sospetta che
alcuni carichi nord-coreani e cinesi siano irregolari.
y L’integrazione nell’esercito regolare congolese del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (Cndp), le ex
milizie di Laurent Nkunda, non è ancora effettiva. L’exribelle continua a prelevare tasse sulla popolazione per
almeno 250.000 dollari al mese e conserva nascondigli
di armi. Tuttavia, il suo nuovo capo, Bosco Ntaganda,
ricercato dalla Cpi (Commissione parlamentare di inchiesta) per crimini di guerra, è ufficialmente il vice comandante dell’operazione anti-Fdlr nel Sud-Kivu, ma di
fatto è colui che dirige le operazioni.
AP/RiCCARDO GANGALe
y Nel corso dell’operazione congiunta dell’esercito ruandese e dei ribelli tutsi, il
Cndp, il cui obiettivo doveva essere quello
di combattere i ribelli hutu, si sono registrate, in gennaio, delle vere e proprie campagne per svuotare dei loro abitanti certe
zone vicino a Walikale (Nord Kivu), per installare i ribelli alleati di Kigali in una zona
particolarmente ricca in cassiterite.
y Le operazioni militari hanno permesso agli
ex ribelli del Cndp, integrati nell’esercito
nazionale (Fardc), di estendere la loro influenza sull’intera regione.
y Sotto il comando di Bosco Ntaganda, le unità Cndp integrate nell’esercito si sono rese
responsabili di numerosi massacri, stupri e
altre violazioni dei diritti dell’uomo.
y Per il loro finanziamento, le Fdlr si dedicano all’esportazione di minerali con la collaborazione di intermediari.
Si citano delle compagnie britanniche, tailandesi e della
Malesia che acquisterebbero minerali provenienti da miniere controllate dai ribelli.
8
Missione Oggi | dicembre 2009
A proposito dello sfruttamento illegale delle
risorse naturali del Congo, il livello di esportazione fraudolenta di minerali verso i paesi
limitrofi (Ruanda, Burundi ed Uganda) è aumentato in modo significativo dal 2008 e, in
modo particolare, dall’avvicinamento tra
Kinshasa e Kigali nel gennaio 2009.
Per quanto riguarda il miglioramento delle
relazioni diplomatiche tra Kigali e Kinshasa,
si tratta piuttosto di una collusione per interessi economici.
Sulla Monuc, si sottolinea la contraddizione
del suo mandato che gli chiede di proteggere i civili appoggiando, contemporaneamente, delle operazioni militari che hanno aggravato la situazione umanitaria nella
regione.
a CURa DI Rete PaCe PeR IL CoNGo
FABRIZIO TOSOLINI
Fabrizio Tosolini,
missionario
saveriano,
di Tricesimo (UD),
licenziato
in Sacra Scrittura
al Pontificio Istituto
Biblico di Roma,
dottore
in Teologia Biblica
presso la Facoltà
di Teologia
della Fu Jen Catholic
University
di Taipei (Taiwan)
con una tesi sulla
Lettera ai Romani,
insegnante di
Sacra Scrittura
a Taipei
Miniatura
di San Paolo
del IX sec.,
Monastero di
San Gallo.
Sembra tornato di moda
parlare di spiritualità,
forse sull’onda dell’offerta
che viene dall’Oriente:
si cerca, a livello personale
o di piccoli gruppi,
quel significato della vita
ormai smarrito
a livello di interazione
nella società occidentale.
SPIRITUALITÀ: CHE COS’È?
Che cosa s’intende per spiritualità?
Il versante letterario (libri, trattazioni, confronti, discussioni) ne è l’aspetto più noto. Ma occorre anche dire che
non ne è l’aspetto più importante.
Testi scritti non riescono a restituire
di una spiritualità che ombre o riflessi.
Una spiritualità, prima si vive, poi si comunica, e mentre si vive e si comunica,
si capisce; prima viene percepita in un altro, a contatto diretto, poi viene assunta nella propria vita, e quindi riflessa, espressa, partecipata.
Spiritualità è il farsi tangibile del misterioso mondo dello spirito, mondo di rapporti, di donazione
alla relazione, di forme ed esperienze cariche di attrattività perché capaci di rendere corporea, quasi,
l’esperienza invisibile della comunione con Dio.
Rileggere in chiave spirituale l’esperienza di Paolo significa cercare di individuare lungo quali linee arrivi
a lui la corrente dello Spirito, quali passaggi illumini
in modo particolare, quali disegni di luce delinei.
Il patrimonio delle lettere è su questo punto inestimabile, perché Paolo riesce a trasmettere molto, nei
suoi scritti, di quanto anima la sua vita, anche se per
cogliere davvero la sua personalità spirituale sarebbe
necessario vivere con lui il più a lungo possibile.
IL PUNTO DI PARTENZA E DI ARRIVO:
L’INCONTRO CON CRISTO
Punto di partenza e d’arrivo è l’incontro con Cristo,
il Figlio che “tutto sostiene con la sua parola potente” (Eb 1,3). Dio rivela a Paolo che Cristo abita in
lui, che Cristo lo ha crocifisso insieme con sé quando è morto per lui (Gal 2,20). “Ha consegnato se
stesso per me” (Gal 2,20; 1,4): nell’esperienza di essere il termine del dono che Cristo gli fa della propria vita, Paolo trova la verità della sua persona e
di tutti nel Signore morto e risorto.
“Tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). In questa frase Paolo per dire “uno” non usa il neutro (hen),
ma il maschile (heis), sottolineando che l’umanità
riceve l’eredità promessa ad Abramo solo in quanto essa è una sola personalità con il Cristo,
il discendente al quale tale eredità è stata
promessa.
Paolo è inebriato dal dono dello Spirito, che gli
viene attraverso il Cristo,
dono che egli
prima aspettava come frutto
dell’osservanza
della legge, senza
peraltro riuscire a
riceverlo. Non solo, ma
meditando l’intenzione di
Cristo, scopre che i suoi
doni non sono solo per
lui o per un gruppo esclusivo.
Sono per tutti.
parola e missione
La spiritualità
dell’apostolo
Paolo
UNA MISTICA DELLA MISSIONE
Da qui nasce il suo impegno missionario: non come qualcosa di esterno, di aggiunto alla sua scoperta di Cristo, ma come la forma, se così si può dire, secondo la quale Cristo gli si rivela.
Perciò annunciarlo ed incontrarlo sono la stessa
cosa. Paolo conosce Cristo annunciandolo. Per altri santi i momenti più alti dell’unione con Dio
passano attraverso altre esperienze: la preghiera,
la contemplazione, il servizio ai malati, l’educazione dei giovani. Per Paolo questi momenti esaltanti – e le prove terribili ad essi connesse (cf. 2
Cor 11,23-29) – passano attraverso l’impegno di
annunciare il Vangelo.
Missione Oggi | dicembre 2009
9
parola e missione
Paolo è forse il primo a mostrare come un dono spirituale, un carisma, diventi una esperienza di vita e di unione con Dio, una via da
percorrere, una spiritualità, una mistica.
Paolo deve essere stato conquistato dal vedere con i propri occhi come la parola uscita
dalla sua bocca creava vita nuova in coloro
che la ascoltavano. Deve essere rimasto stupito ad ammirare il venire alla luce di Cristo
nelle persone a cui parlava. Amico dello Sposo, felice di udire l’eco della sua voce.
UNA MISTICA CHE SI INCARNA
NELLA COMUNITÀ
Il passo successivo che lo Spirito mostra a
Paolo è la dimensione comunitaria della
missione. Fin dal principio Paolo interpreta
l’opera dell’annuncio mantenendo una profonda relazione con la comunità, sia essa il
piccolo gruppo dei discepoli di Damasco, o
gli apostoli a Gerusalemme, o la Chiesa di
Antiochia, o quella di Efeso, Corinto, Roma,
o il gruppo dei suoi collaboratori. Il viaggiare, parlare, lavorare, pregare, soffrire persecuzione insieme è parte integrante, necessaria, della missione.
In questo modo Paolo può esperimentare e
mostrare ciò che annuncia, rendendo l’annuncio comprensibile, in quanto ne mostra
il referente, il Cristo risorto presente in mezzo ai suoi.
Nelle sue lettere c’è sempre una sezione dedicata alla vita delle comunità, nella quale egli
esorta all’amore fraterno: non in modo idillico e trasognante, ma, al contrario, molto
concreto e fattivo (cf. 1 Tess 4,9-12; Gal 6,110). E fin dall’inizio Paolo mostra di essere
chiaramente cosciente della forza evangelizzante e di attrazione esercitata da una comunità viva secondo il Vangelo. In 1 Tess 1,89 ringrazia Dio perché la fede dei Tessalonicesi è diventata buona notizia non solo in Macedonia ma anche in Acaia e dappertutto; in
Fil 2,15-16 vede i discepoli uniti splendere come astri nel cielo. Viene spontaneo pensare al
detto di Gesù sulla città costruita sul monte,
sulle buone opere che spingono tutti a glorificare il Padre celeste (cf. Mt 5,14-16).
La lettera in cui le esortazioni di Paolo sono
più estese è quella ai Romani, dove si concludono con la commossa visione della glorificazione divina operata dalla comunità unita, che canta a una sola voce, come un immenso coro: “E il Dio della perseveranza e
della consolazione vi conceda di avere gli uni
10
Missione Oggi | dicembre 2009
acrilico su carta di Renata Besola.
verso gli altri gli stessi sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo
e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre
del Signore nostro Gesù Cristo” (Rm 15,5-6).
PAOLO PRIGIONIERO:
COMUNITÀ MISSIONARIE
Tali comunità possono non solo evangelizzare nell’ambito della loro città, in modi più
o meno occasionali, ma anche intraprendere l’impresa missionaria, patrocinando fratelli che si rechino più lontano a portare il
Vangelo. È questo forse il caso di Epafra, che
partendo da Efeso evangelizza la valle del
fiume Lico, Colossi, Laodicea e Gerapoli. Forse ha ricevuto il sostegno della comunità
fondata da Paolo a Efeso. Di sicuro questo è
quanto Paolo spera avvenga a Roma, di essere cioè mandato dai discepoli in Spagna,
segno del loro impegno per l’evangelizzazione fino agli estremi confini.
Questo comporta comunque per Paolo, in
qualche modo, di “perdere” il suo carisma, di
lasciarlo assorbire e sviluppare nella comunità, in modo che diventi patrimonio comune della Chiesa. È questo forse il grado più
alto di maturazione della sua esperienza, il
culmine del suo viaggio, quando scopre
che la missione ora corre davanti a lui,
lo sorpassa, lo lascia indietro, e proprio perché egli l’ha vissuta, amministrata, investita in modo sapiente,
raddoppiando i talenti. La sua Parola corre veloce.
Così alla fine Paolo si trova prigioniero – ma la Parola non è incatenata. Forse, come egli stesso dice,
non è tanto prigioniero degli uomini, quanto
del Signore, di quella passione che lo lega e lo
muove fino alla totale consumazione di se
stesso, suggellata dal martirio.
Piace riascoltare le sue parole agli anziani
di Efeso, al porto di Mileto: “Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà ” (At 20,22). In questa frase c’è tutta la
vita di Paolo. Forse mai ha saputo quello
che stava per accadergli nelle città dove
andava. O meglio, sapeva quello che egli
stesso dice: “Secondo la mia ardente attesa
e la speranza che in nulla rimarrò deluso;
anzi nella piena fiducia che, come sempre,
anche ora Cristo sarà glorificato nel mio
corpo, sia che io viva sia che io muoia. Per
me infatti il vivere è Cristo e il morire un
guadagno” (Fil 1,20-21).
PAOLO E NOI
Quando si giunge alla fine del libro della vita dei
santi, dopo averne avidamente scorso le pagine, si
viene presi da nostalgia,
ci si sente come orfani. Il
semplice riandare al loro
spirito, alle loro imprese,
dava un senso di protezione. È che il libro non è
ancora del tutto scritto.
Rimangono le nostre pagine, bianche.
FABRIZIO TOSOLINI
PER SAPERNE DI PIù
Giancarlo Biguzzi
Paolo e la donna
Paoline
Milano 2009
€ 17,00
presso:
[email protected]
el Greco, San Paolo,
eremo di Irata,
Cestona (Spagna),
collezione privata.
lezioni di storia
FLiCKR.COm
Cambogia
Pol inPot
arrivo le prime
Ad oltre trent’anni di distanza, il Tribunale speciale
per il genocidio cambogiano è in procinto di pronunciare
le prime condanne nei confronti di alcuni responsabili
per gli orrori commessi negli anni 1975-1979.
Il lungo periodo trascorso, l’età avanzata di molti imputati,
il non elevato grado di responsabilità di alcuni di essi
nella gerarchia del dittatore Pol Pot lasciano prevedere
che l’esito dei processi avrà un impatto più che altro simbolico
sulla società cambogiana.
La conclusione del processo può tuttavia costituire un elemento
importante nel movimento di riconciliazione in corso nel paese.
N
onostante gli anni di preparazione, l’avvio
nel luglio 2006 del Tribunale speciale per il
genocidio cambogiano aveva il sapore della
scommessa. Oggi, nonostante interruzioni, polemiche, interferenze e il lungo cammino ancora da percorrere, ha quello di una sfida che può
essere vinta.
Anzi, una duplice sfida: giustizia nell’assicurare
la condanna dei responsabili del genocidio che
siano ancora vivi; riconciliazione sociale, che
per questa giustizia deve assolutamente passare.
I MASSACRI DI POL POT
Oltre trent’anni fa, il 7 gennaio 1979, le
truppe vietnamite entravano a Phnom Penh
mettendo fine al controllo dei Khmer Rossi sul
condanne
STEFANO VECCHIA
paese e alla loro delirante avventura. Nei tre anni precedenti, il regime guidato da Pol Pot aveva massacrato due milioni di cambogiani su
poco meno di otto milioni di abitanti, riportando il paese indietro di secoli nella storia. Le 30
mila persone che le truppe vietnamite trovarono
al loro ingresso nella capitale, sui 2,5 milioni di
un tempo, erano sfuggite alla morte solo perché
funzionali al regime: gli altri abitanti, a centinaia di migliaia, erano stati deportati nelle campagne e in buona parte erano morti di stenti e maltrattamenti nei killing fields, le risaie e le piantagioni trasformate in campi di lavoro e di sterminio; pochi erano sopravvissuti miracolosamente ai corsi di “rieducazione” in centri di tortura ed esecuzioni sommarie.
Proprio di uno di questi centri, il più famoso
Donne khmer
al lavoro.
Missione Oggi | dicembre 2009
11
lezioni di storia
FLiCKR.COm
Cambogia:
Donna al lavoro (in alto);
Siem Reap:
traffico quotidiano (sotto);
Celle del Carcere S-21.
Nella pagina accanto:
Bambini cambogiani
a scuola.
PER SAPERNE DI PIU’
Francesco Strazzari
Fragile Croce sul Mekong
Chiese e Popoli del
Sud-Est Asiatico
eDB, Bologna 2009
pp. 136
euro 11,00
presso:
[email protected]
12
se non il più grande, l’infame S-21 ricavato nell’ex scuola di Tuol Sleng, era responsabile Kaing
Guek Eav, il “camerata Deuch”. Il fragile 67enne, da tempo convertitosi al protestantesimo
evangelico, sarà probabilmente il primo a vedersi infliggere un verdetto di colpevolezza per crimini contro l’umanità, con ogni probabilità all’inizio del 2010. Sulla coscienza di un uomo che
ha ammesso le proprie responsabilità (ma solo
perché “ordinate dall’alto”) pesano 16 mila vittime, torturate e successivamente uccise, inclusi
molti quadri del Partito Comunista da cui lui e
buona parte della leadership khmer rossa provenivano. Un semplice esecutore, che, seppure
pentito, non rinnega la pretesa validità del tentativo del regime di creare una società nuova, purificata da ogni male dovuto alla decadente influenza europea o ai tentativi di egemonia di paesi vicini. Il suo processo, iniziato lo scorso marzo, ha portato allo scoperto infinite storie che
hanno fatto inorridire giudici e pubblico presenti
in aula, nonostante della scellerata esperienza dei
Khmer Rossi si sappia ormai quasi tutto.
Rossi vi siano serie difficoltà a fare luce. Nella
migliore delle ipotesi, il Tribunale potrà giudicare una cinquantina di anziani leader e quadri
intermedi del regime, ultimi sopravvissuti del
migliaio di responsabili che all’epoca ruotavano
attorno al Comitato centrale composto da una
ventina di membri, il cui leader riconosciuto,
Pol Pot, il “Fratello n. 1”, è morto nel 1998. Più
recente (2006) la scomparsa di Ta Mok, “il Macellaio”, capo delle forze armate, ritenuto a ragione e per comodità (soprattutto a distanza di
tanti anni) espressione dell’aspetto più oscuro e
brutale del regime.
Attendono di presentarsi in aula, dopo le
udienze interlocutorie del 2007, Nuon Chea, secondo a Pol Pot nella gerarchia responsabile del
genocidio, e Khieu Samphan, capo del governo
khmer rosso ed unico ad avere una certa presentabilità. Entrambi sono agli arresti domiciliari. A
piede libero è invece Ieng Sary, al quale la libertà
di movimento è stata garantita dall’allora sovrano
Sihanuk per avere abbandonato la lotta armata nel
1996. Sua moglie (nonché cognata di Pol Pot),
Ieng Thirith, ex ministro degli Affari sociali, ha a
suo carico forti responsabilità nella politica di genocidio del regime. Difficilmente sarà sottoposto
a giudizio, seppure indagato, Keat Chhon, già ministro di Pol Pot e oggi nell’esecutivo cambogiano guidato da Hun Sen, come responsabile del dicastero dell’economia e delle finanze.
I SANGUINARI TIRANNI DEL REGIME
L’AIUTO DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
Il tempo trascorso e gli opportunismi politici
fanno sì che sui misfatti perpetrati dai Khmer
Dalle prime elezioni tenutesi sotto egida Onu nel
maggio 1993 ad oggi, la formazione e l’avvio di
Missione Oggi | dicembre 2009
FLiCKR.COm
l 14 aprile 1975, sotto le bombe che annunciavano l’arrivo dei Khmer
Rossi vittoriosi, veniva ordinato il primo vescovo cambogiano, mons.
Joseph Chhmar Salas. Il vicario apostolico di Phnom Penh sarebbe morto
di stenti nel settembre 1977, ma la sua Chiesa, erede di una tradizione
missionaria antica di quattro secoli, doveva sopravvivere agli orrori della
persecuzione.
Inevitabilmente, quella attuale, divisa nel vicariato apostolico di Phnom
Penh e nelle prefetture apostoliche di Battambang e di Kompong Cham,
è una Chiesa dal volto in parte straniero. Lo è per il gran numero di preti,
religiosi e suore provenienti dall’estero, lo è anche per il gran numero di
stranieri che qui vivono e lavorano, impiegati nelle innumerevoli attività
di organismi nazionali e multinazionali. Religiosi e laici, sono impegnati
nell’educazione, nella sanità, nell’assistenza alle vittime delle mine e agli
orfani, ecc., ma sempre più anche nell’individuazione di una prospettiva
di riconciliazione e di sviluppo.
Per tradizione, ma anche secondo la Costituzione, la Cambogia è uno
Stato buddhista, ma la stessa carta fondamentale consente la libertà di
credo e di pratica religiosa a una serie di “componenti” etnico-sociali. Il
riconoscimento nel 1990 dei “khmer cristiani” ha portato a un netto
miglioramento nei rapporti tra cattolici e governo dopo anni di tensione.
Se oggi i cattolici restano una piccola minoranza in questo piccolo e
sfortunato paese asiatico (26 mila su 14 milioni di cambogiani), la Chiesa
universale testimonia in modo pieno la sua unità e l’attualità di un
messaggio che non distingue tra nazioni, lingue o culture. “La Chiesa
vuole essere con la gente, sul posto, così da poter apprendere il loro
modo di vita e la loro cultura e comprendere come inculturare la nostra
fede – sottolinea mons. Emile Destombes, Vicario apostolico di Phnom
Penh –. Stiamo cercando di celebrare la liturgia secondo modalità khmer
e intendiamo portare i valori evangelici nella società secondo una
prospettiva cambogiana”.
La Chiesa ha saputo dimostrare che il suo ruolo concreto nella società non
sta nella forza dei numeri, ma nell’impegno e nella capacità di resistere
alle avversità, pronta a rispondere con generosità alle necessità del
popolo khmer.
FLiCKR.COm
un Tribunale speciale che potesse giudicare i responsabili del genocidio ha mantenuto tesi i rapporti tra governo cambogiano, che annovera tra i
suoi membri diversi leader compromessi con il
governo della Kampuchea Democratica tra il
1975 e il 1979, e la comunità internazionale. Tuttavia, è stata proprio una leadership che sembra
ansiosa di chiudere i conti con un imbarazzante
passato a chiedere aiuto alla comunità internazionale per istituire un tribunale che giudicasse i crimini commessi dal regime tra il 1975 e il 1979.
Le successive trattative tra Nazioni Unite e governo cambogiano portarono all’accordo del
2003, con cui nasceva non un tribunale autonomo
sul modello di quelli chiamati a giudicare i crimini nell’ex Yugoslavia o in Rwanda, ma un Tribunale speciale all’interno del sistema giudiziario
cambogiano, con giudici locali e un numero limitato di magistrati stranieri. L’impegno dei paesi
donatori a sostenere finanziariamente l’iniziativa
consentì nel 2005 l’avvio formale dei lavori. Nel
luglio 2007, dopo una prima fase istruttoria per
l’assunzione di prove, il Tribunale stabilì che era
possibile avviare procedimenti in base alle accuse di “crimini contro l’umanità, genocidio, grave
infrazione della Convenzione di Ginevra, omicidio, tortura e persecuzione su base religiosa”.
I
lezioni di storia
LA CHIESA CAMBOGIANA
VOGLIA DI GIUSTIZIA
Oggi quello cambogiano è un popolo giovanissimo, impegnato in una difficile ricerca di benessere, pronto a dimenticare, ma che non può
ignorare la tragedia che ha subito. È un popolo disposto a rendere concreta, nei limiti in cui la poliMissione Oggi | dicembre 2009
13
lezioni di storia
UN PO’ DI STORIA
S
Monumento
dedicato
alla memoria
delle vittime
di Pol Pot.
FLiCKR.COm
ottoposta a uno dei regimi più crudeli della
storia moderna, all’azzeramento quasi totale
della sua storia e delle sue tradizioni, la Cambogia
odierna si considera erede del grande impero
khmer che tra il IX e il XIV secolo arrivò a dominare buona parte del Sud-Est asiatico continentale.
Dopo la perdita di questa supremazia a causa di
potenti vicini, come i Thai, la Cambogia dovette
sottostare al potere coloniale europeo, diventando
parte dell’Indocina francese (1863). Ottenuta l’indipendenza e superata con difficoltà la fase della decolonizzazione sotto la guida abile e spregiudicata
del principe Norodom Sihanuk, il paese si ritrovò
ben presto in guerra, coinvolto nel conflitto indocinese, terra di scontro di diverse fazioni occidentali,
filocinesi e filovietnamite. Dopo un lungo avvicinamento al potere attraverso la lotta armata,
sconfitte le altre fazioni, il 17 aprile 1975 i Khmer
Rossi entrarono a Phnom Penh. Un evento destinato a segnare l’inizio di una nuova era, secondo i
Khmer Rossi che intendevano creare una società
“purificata” dalle influenze esterne, basata sui
principi di un comunismo con radici contadine e
nazionaliste. Dopo gli anni terribili del genocidio e
dell’oblio, furono i nemici di sempre, i vietnamiti, a
intervenire per mettere fine all’esperienza della
Kampuchea Democratica e al regime guidato da
Saloth Sar, meglio conosciuto come Pol Pot. Dal
1979 fino al 1990, le truppe di Hanoi controllarono
il paese, ostacolati da varie fazioni khmer, la cui
lotta aveva come obiettivo il predominio politico e
il controllo dei giacimenti di pietre preziose e delle
risorse forestali al confine con la Thailandia. Una
guerriglia sempre più limitata che proseguì anche
dopo il ritiro dei vietnamiti e l’arrivo nel paese di
numerosi contingenti di Caschi Blu dell’Onu.
Le elezioni del maggio 1993 videro la vittoria del
partito filomonarchico, guidato da Norodom Ranaridh, figlio di Sihanuk. I Khmer rossi non riconobbero i risultati delle urne e tornarono alla macchia
per riprendere la lotta armata, nonostante significative defezioni. Con un colpo di mano, nel 1997
una fazione khmer guidata da Hun Sen prese il potere a Phnom Penh e le successive elezioni del 1998,
contrassegnate dalla violenza, ne confermarono la
leadership. Lo stesso anno, la morte di Pol Pot, prigioniero dei suoi stessi compagni di olocausto e lotta, segnò simbolicamente la fine della guerriglia.
In breve tempo, la resa dei ribelli chiuse un’era tragica della storia cambogiana e aprì quella della ricostruzione e della riconciliazione.
tica e le convenzioni sociali lo consentono, la
propria voglia di giustizia. Con una vita pubblica
caratterizzata dalla corruzione e da una gestione
spregiudicata del potere; con una società segnata
da mali terribili come pedofilia, sfruttamento,
Aids e tossicodipendenza... pur nell’immensa e a
volte ingombrante presenza dei benefattori internazionali, oggi la Cambogia è un Far West dove
ad essere saccheggiati non sono più il legname,
le pietre preziose e gli inestimabili reperti della
civiltà khmer, ma la vita e la dignità di migliaia di
donne e, soprattutto, di bambini. Un paese in cui
il futuro di molti rischia di essere precluso alla
speranza. Nessuno s’illude che le prime (e forse
sole) condanne possano riportare indietro l’orologio della storia, ma resta la rilevanza simbolica di
questa operazione, che i cambogiani approvano
nella grande maggioranza, anche se con molta
rassegnazione da parte dei sopravvissuti.
STEFANO VECCHIA
14
Missione Oggi | dicembre 2009
Il libro sacro
degli altri
Nel numero di novembre di CEM
è apparso un comunicato stampa
sulla delicata questione
dell’insegnamento religioso a scuola,
frutto della riflessione fra i direttori
delle riviste CSAM, CEM Mondialità,
Missione Oggi e Missionari Saveriani.
C
i siamo espressi in base all’esperienza che da
molti anni ci ha condotto a progettare un itinerario che – senza contrapporsi all’attuale ora
di IRC (Insegnamento della Religione Cattolica) – prenda in seria considerazione l’odierno
processo di pluralità dei riferimenti religiosi, e
anche la constatazione, forse non banale, che
questo insegnamento, per giunta facoltativo,
non riesce a esaudire il crescente bisogno di informazione e di formazione sul religioso. Mentre è sempre più palpabile che – come ha affermato Tony Blair – “non capire il potere della religione significa non essere in grado di comprendere il mondo moderno”.
Il pluralismo che ci sta attraversando è infatti destinato a porre a dura prova la tradizionale
ignoranza di noi italiani in campo religioso, invitando l’universo della scuola e della formazione permanente a un impegno più serio e approfondito. Sarà impossibile, in ogni caso, continuare a considerare il fatto religioso come un
elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi culturali, economici e sociali. Come ogni novità, un quadro simile potrà
provocare paure e indurre a chiusure identitarie
(e lo sta facendo), ma potrà anche stimolare a
un autentico salto di qualità, se sarà vissuta con
la necessaria laicità (poiché la laicità aperta è il
presupposto di ogni sano pluralismo).
Ecco perché torno sul tema, nella convinzione che soltanto una scuola capace di favorire e promuovere un dialogo interreligioso e interculturale può contribuire a rafforzare il fondamento della convivenza sociale e civile, in un
Paese che sta conoscendo una fase di disgregazione. Il che non equivale ad accodarsi ai can-
tori del cattolicesimo-religione-civile, perché
noi prendiamo sul serio tanto la pluralità religiosa quanto la presenza di cittadini che non intendono essere presi per credenti.
Ma anche costoro non possono negare che la
conoscenza delle religioni è un dato di base, per
acquisire una buona cultura e per capire le dinamiche del tempo che stiamo vivendo. Si veda la
riflessione offerta da un laico doc come Giancarlo Bosetti, nel bel libro uscito qualche mese fa dal
titolo, Il fallimento dei laici furiosi. Presenta le religioni non come nemici da annientare in vista di
una società migliore, più aperta e vitale, bensì come alleati preziosi nelle sfide del futuro. Togliendo l’acqua alle due derive oggi in campo, quella
neoclericale e quella di un laicismo incapace di
accettare la dimensione pubblica delle fedi.
Siamo convinti che occorra proseguire in
questo dibattito, tenendolo il meno ideologizzato possibile, in vista di quella che ci piace definire l’ora delle religioni. Non confessionale e
per tutti. Sappiamo quanto sia difficile parlarne
senza scomuniche reciproche. Ma sappiamo
anche che si tratta di un cammino necessario, su
cui continueremo a impegnarci, con tutti coloro
che ci tengono al futuro del senso religioso. Ci
incoraggia anche l’esperienza di coloro che
hanno aderito al Syllabus di Bradford, che da
tempo stiamo diffondendo nelle scuole italiane,
con notevole risultato.
Per sintetizzare, sottoscrivo quanto ha detto
Amos Luzzatto, figura autorevole dell’ebraismo italiano e già presidente dell’UCEI: ogni
bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro
proprio e degli altri bambini, “poiché fino a
quando i cattolici leggeranno solo il Vangelo,
gli ebrei solo la Torà e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera integrazione a scuola e nella società”.
il fatto e il commento
L’ora delle religioni
PER SAPERNE DI PIU’
autori Vari
È l’ora delle religioni
La scuola e il mosaico
delle fedi
eMI, Bologna 2002
pp. 153
euro 10.00
presso:
[email protected]
BRUNETTO SALVARANI
Missione Oggi | dicembre 2009
15
un libro al mese
Padre Organtino (1532-1609)
secondo padre
della cristianità giapponese
B
Sandro Carminati
Urugan Bateren.
Organtino Gnecchi Soldi,
sacerdote gesuita
(1532-1609)
apostolo di Miyako
e secondo padre
della cristianità
giapponese
pubblicazione prodotta
con il contributo
del Comune di
Casto/Brescia
in occasione del
quattrocentesimo
anniversario
della morte di
Organtino Gnecchi Soldi
Ferro Edizioni
Milano 2009
pp. 304, € 15,00
presso:[email protected]
16
ateren è la fonetizzazione in giapponese di “padre”, che designava i Gesuiti. Urugan di Organtino, l’apostolo di Miyako, l’odierna Kyoto, dove il gesuita bresciano trascorse la maggior parte della sua vita
missionaria. “Secondo padre della cristianità” è
l’espressione che l’autore prende dallo storico TacchiVenturi, anche se non condivisa da altri che attribuiscono il “titolo” al padre Torres, compagno del Saverio.
Il libro è suddiviso in tre parti. La prima descrive il
cammino di Organtino sino in Giappone. Già prete,
sente la chiamata a dare la vita per la “conversione
dei Mori”, secondo i racconti in voga in quei tempi,
che ritenevano l’invasione musulmana come un
grande pericolo per la cristianità. La vocazione missionaria matura in occasione del pellegrinaggio
a Loreto, santuario mariano allora curato
dai gesuiti. Entra nella Compagnia di Gesù, a Ferrara. Viene poi inviato a Roma
per completare gli studi, al termine dei
quali, nel 1565, spera di realizzare il
suo sogno di partire per le Indie.
La seconda parte tratta dei quasi
quarant’anni di attività missionaria
di Organtino. Il suo arrivo coincide con
l’inizio del secondo periodo della missione
dei gesuiti in Giappone (1570-1614), molto
florido per il numero di conversioni (300 mila secondo i dati del 1603) e per la qualità dei personaggi
politico-militari che ricevettero il battesimo. Organtino sa adattarsi al nuovo mondo, atteggiamento che
sarà altamente apprezzato dalla gente, divenendo
spesso occasione di interesse per il cristianesimo da
parte dei vari daimyo (signori feudatari locali). Si prodiga in opere caritative per lebbrosi e bambini, sarà
fondatore della prima congregazione religiosa di suore in Giappone e dimostrerà talento architettonico,
sensibilità e acuta ricezione della cultura giapponese
anche nella costruzione di chiese. Si dedica all’evangelizzazione, anzitutto attraverso un impegno accurato nello studio della lingua e dei costumi. Le tre
grandi questioni affrontate da Alessandro Valignano
(adattamento dei missionari alla cultura locale, im-
Missione Oggi | dicembre 2009
postazione del catecumenato, formazione del clero locale) troveranno in Organtino un sostenitore ed esecutore appassionato. Viene incaricato dal Valignano della costruzione del seminario di Azuchi e della formazione dei giovani aspiranti sacerdoti. Tale formazione
porterà buoni frutti: nel 1602 vengono ordinati sacerdoti i primi gesuiti giapponesi e l’anno successivo i
primi seminaristi diocesani. In 15 anni, nella sola Osaka, Organtino avrebbe battezzato ben 65 nobili.
Nella terza parte del libro sono raccolti alcuni pareri, tra cui quelli dei due storici gesuiti Pitero TacchiVenturi e il Hubert Cieslik, relativi alla personalità e al
lavoro svolto da Organtino. Vi leggiamo espressioni
lusinghiere che esaltano la grandezza di carattere, la
personalità e l’importanza del ruolo di Organtino nella evangelizzazione del Giappone. Significativo, in questa parte, anche il capitoletto “Mistica di assimilazione” (pp.
160-162), che esprime bene e sinteticamente il principio conduttore di tutta
la vita missionaria di Organtino, il
principio dell’adattamento, di cui il
Valignano si fece promotore ed il gesuita bresciano realizzatore. Oggi si direbbe “principio di acculturazione”, processo
previo e necessario ad ogni tentativo di “inculturazione”. Considerando ciò che stava accadendo nelle Americhe, dove vigeva il principio della
tabula rasa, appaiono davvero encomiabili lo sforzo e
la passione con cui Organtino si adattò alla cultura
giapponese e l’amò.
Qualche osservazione critica: la data d’introduzione del cristianesimo in Corea non corrisponde al 1592,
ma al 1784 (cf. p. 9). Il Valignano è stato ambasciatore
del vicerè delle Indie, non vicerè, come scritto a p. 133.
Ancora, Valignano organizzò e progettò l’ambasceria
giapponese per l’Europa, ma non vi prese parte, come
invece scritto a p. 133. Il Saverio non battezzò Jajiro e
comunque il suo nome di battesimo era Paolo e non
Lorenzo (cf. p. 75).
RENATO FILIPPINI
Missionario Saveriano di Ghedi (BS), in Giappone
La Chiesa
del Concilio
si rivolge
al mondo intero
FRANCO SOTTOCORNOLA
L’ultimo e il più esteso, il più coraggioso e
profetico, dei quattro documenti principali
(Costituzioni) del Concilio Vaticano II è la
Gaudium et spes: Costituzione pastorale sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo. La sua
affermazione iniziale ne riassume ed esprime
in sintesi il messaggio.
concilio e missione
mO
Franco Sottocornola,
missionario saveriano,
di Bergamo,
ha fondato il
Centro di spiritualità e
dialogo interreligioso
Shinmeizan a
Tamana-gun
(Kumamoto, Giappone).
È membro della
Commissione liturgica
della Conferenza
episcopale giapponese
e, dal 1997,
consultore del
Pontificio Consilio per
il dialogo interreligioso
mente ed essenzialmente missionaria. Ma qui la
missione della Chiesa acquista il calore e la drammaticità della condivisione. La sua missione è di
essere lievito nella pasta, fermento. È dall’interno
della storia del mondo, in piena solidarietà con
l’umanità tutta, che i discepoli di Cristo si rivolgono a tutti, come compagni di cammino lungo i sentieri della storia umana, per condividere con tutti
le “ragioni della loro speranza” (1 Pt 3,15).
Con questo testo il Concilio rivolge “la sua parola
(…) a tutti indistintamente gli uomini”, tenendo
presente “l’intera famiglia umana nel contesto di
tutte quelle realtà entro le quali essa vive“ (n. 2), ponendosi a suo servizio, “instaurando con questa un
dialogo” (n. 3) sui grandi problemi che assillano
l’umanità: “sull’attuale evoluzione del mondo, sul
posto e sul compito dell’uomo nell’universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi, e ancora
sul fine ultimo delle cose e degli uomini” (n. 3), “arrecando la luce che viene dal Vangelo e mettendo a
disposizione degli uomini le energie di salvezza che
la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve
dal suo fondatore” Cristo Gesù (n. 3).
E in questa prospettiva il Concilio si prefigge di ragionare con tutti gli uomini di buona volontà sui
grandi mutamenti in atto nella società contemporanea (nn. 5-10) proponendo la propria concezione del-
“Le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce degli uomini d’oggi, dei poveri
soprattutto e di tutti coloro che soffrono,
sono pure le gioie e le speranze, le
tristezze e le angosce dei discepoli di
Cristo, e nulla vi è di genuinamente
umano che non trovi eco nel loro cuore.
La loro comunità, infatti, è composta di
uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo,
sono guidati dallo Spirito Santo nel loro
pellegrinaggio verso il regno del Padre e
hanno ricevuto un messaggio di salvezza
da proporre a tutti. Perciò essa si sente
realmente e intimamente solidale con il
genere umano e con la sua storia”.
MISSIONE DALL’INTERNO DELLA STORIA
La Chiesa prolunga nella storia del mondo il mistero dell’incarnazione di Cristo, si sente partecipe
delle “gioie e speranze, tristezze e angosce” del
mondo intero, tutta protesa, con Cristo e come Cristo, a proporre a tutti il messaggio della salvezza.
Quella della Gaudium et spes è una Chiesa total-
la dignità della persona umana (nn. 12-22); di riflettere insieme sulla società umana e i suoi problemi
(nn. 23-32), sul compito e il ruolo dell’attività umana
nell’universo (nn. 33-40); spiegando il servizio che la
Chiesa crede di poter rendere all’umanità (nn. 41-45)
con il contributo del suo insegnamento riguardo anMissione Oggi | dicembre 2009
33
concilio e missione
Paolo VI partecipa
alla demolizione
dell’ultimo diaframma
della Galleria S. oreste,
prima tratta
della direttissima
Roma-Firenze
che a problemi specifici come il matrimonio e
la famiglia (nn. 46-52), la promozione della
cultura (nn. 53-62), l’economia e i suoi influssi sulla vita sociale (nn. 63-72), la vita politica,
la guerra e la pace, la società internazionale
(nn. 73- 90).
MISSIONE COME
DIALOGO CON TUTTI
Riprendendo e attuando il grande programma di Paolo VI: “la Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere (Ecclesiam suam, III,3), il Concilio vuole riprendere, o avviare, un dialogo rispettoso e affettuoso, mosso dall’amore stesso di Dio per
l’umanità, con tutti: “Il desiderio di stabilire
un dialogo che sia ispirato dal solo amore
della verità (…) non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di altri valori umani,
benché non ne riconoscano ancora la sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere” (n.
92). Il motivo di questo atteggiamento e di
questo impegno della Chiesa si radica nella
sua stessa fede: “Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad
essere fratelli. E perciò, chiamati a questa
stessa vocazione umana e divina, senza
violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del
mondo nella vera pace” (n. 92).
La Chiesa scopre così un nuovo modo di attuare la sua missione: il dialogo con il mondo intero. Con questo “dialogo” i discepoli di
Cristo si pongono con amore a fianco degli
altri uomini e donne del loro tempo per cer34
Missione Oggi | dicembre 2009
care insieme le risposte ai grandi interrogativi che assillano l’umanità, per costruire
insieme un mondo di giustizia, di fraternità, di pace vera. Come ogni uomo e ogni
donna, come ogni popolo, ogni gruppo sociale, mettono in comune i propri sogni e i
propri pensieri, le proprie proposte e le proprie esperienze in questa comune ricerca,
così anche i discepoli di Gesù vogliono collaborare con tutti portando il contributo della
loro fede in Cristo, offrendo il dono della loro
speranza fondata su di lui, l’esperienza della salvezza in lui trovata: “La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto
il mondo con il messaggio evangelico e di
radunare in un solo Spirito tutti gli uomini
di qualsiasi nazione, stirpe e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e
rafforza un sincero dialogo” (n. 92).
MISSIONE COME
UMILE SERVIZIO AL MONDO
Questo programma del Concilio comporta
per ciascuno dei membri della Chiesa e per
tutta la Chiesa come tale un duplice essenziale elemento: anzi tutto fedeltà a Cristo, al suo
Vangelo, al mandato da lui ricevuto. È questo, e solo questo, il contributo proprio della
Chiesa, come tale, al progresso e alla salvezza
dell’umanità. Inoltre, e qui sta la coraggiosa e
innovativa proposta del Concilio, la Chiesa, e
ogni suo singolo membro, ogni sua organizzazione, vogliono proporre, attuare, questo
messaggio, condividere questo dono, con umile senso di servizio, in rispetto dell’altro, con
amicizia, all’interno della situazione sociale
in cui sia i singoli che le comunità cristiane si
trovano a vivere e ad operare. Al di là di un
annuncio fatto ai singoli individui perché accolgano l’invito di Cristo e aderiscano a lui diventando suoi discepoli, al di là della costituzione di comunità dei discepoli di Cristo dove
essi esperimentino e annuncino il disegno del
Padre di radunare l’umanità intera in una sola famiglia, la famiglia dei figli di Dio, esiste
la missione della Chiesa di “dialogare”, parlare con tutti gli uomini e le donne, ragionando con essi dei loro grandi problemi, del
comune destino, condividendo “gioie e speranze, tristezze e angosce”, e cercando con
tutti di promuovere quel mondo giusto e bello, in cui la Chiesa intravede l’inizio e la preparazione del “regno di Dio”.
MISSIONE COME
BRACCIA APERTE A TUTTA L’UMANITÀ
Questo concetto di missione esige un uovo
approccio e una nuova pedagogia, nuovi
apostoli e nuovi cammini. Occorre saper essere presenti, come testimoni di Gesù e suoi
messaggeri, discretamente e umilmente,
ma anche coraggiosamente e audacemente, all’interno delle strutture umane civili e
politiche, economiche, culturali, dove si dibattono e si cercano, si elaborano e si decidono gli sviluppi della società umana. In
essi occorre collaborare, con il consiglio, la
proposta, l’incoraggiamento e l’esempio, a
soluzioni giuste dei problemi economici, soluzioni pacifiche dei conflitti, programmi e
scelte che si ispirino al rispetto della dignità
umana, all’amore per tutti, cominciando
dai più deboli, dai più poveri, da quanti sono trascurati dall’egoismo individuale e
collettivo, su piccola e su grande scala, nelle comunità locali e in quelle internazionali. Il Vangelo di Gesù non è solo sale e luce
per ogni cuore, per ogni singola persona
umana, senso della vita individuale, ma
anche “sale della terra e luce del mondo”
(Mt 5, 3-14 ), proposta rivolta alla società
umana come tale e rivelazione del suo destino collettivo.
Le braccia di Cristo aperte sulla croce diventano così le braccia della sua Chiesa aperte
al mondo intero, tese ad abbracciare, non solo ogni singola persona ma l’umanità tutta.
FRANCO SOTTOCORNOLA
da perdere
sinodo africano
AFP/ANDReAS SOLARO
Africa
non c’è tempo
FRANCO FERRARI
“MOLTI STANNO SOFFRENDO E MORENDO: NON C’è TEMPO DA PERDERE”. LA DRAMMATICA SOLLECITAzIONE
ChE I PADRI SINODALI hANNO CONSEgNATO A TUTTA LA ChIESA NEL SESTO PUNTO DEL MESSAggIO AL POPOLO
DI DIO DOVRà INCOMBERE COSTANTEMENTE, COME FOSSE UN SEgNALE D’ALLARME, SUL LUNgO TEMPO DEL
POST-SINODO, ChE SI PRESENTA DI NON FACILE REALIzzAzIONE E SOPRATTUTTO SARà CONTINUAMENTE
INSIDIATO DALLE DIFFICILI CONDIzIONI ECONOMIChE E SOCIO-POLITIChE DEL CONTINENTE OLTRE ChE DALLE
AMNESIE, DAI COMPROMESSI E DALLE POLITIChE “VIOLENTE” DELLA COSIDDETTA COMUNITà INTERNAzIONALE.
L’AFRICA NON È PIù “TERRA DI MISSIONE”
G
li interventi dei Padri sinodali ci hanno presentato una Chiesa che, stando in piedi, parla
a voce alta ai potenti del mondo e alle altre Chiese. Gli esiti del Sinodo stanno provocando, nelle
valutazioni degli organi di informazione religiosa, una sorpresa positiva che rovescia in gran
parte le previsioni poco convinte della vigilia.
Per capire veramente cosa sta accadendo occorre considerare che la fase della plantatio ecclesiae in Africa è terminata e parlando della Chiesa africana dobbiamo essere consapevoli che si
tratta di Chiese locali autonome.
Bisogna riandare con la memoria ad alcuni
atti di Paolo VI. Alla vigilia del suo viaggio in
Uganda nel 1969, riconobbe le Chiese africane
come “chiese locali autonome”, superando la loro dipendenza dall’esterno in quanto Chiese in
“territori di missione”. Una volta in Africa il Papa dirà: “Voi africani siete oramai i missionari
di voi stessi. La Chiesa di Cristo è davvero piantata in questa terra benedetta. (...) Missionari di
voi stessi: cioè voi Africani dovete proseguire la
costruzione della Chiesa in questo Continente”.
(Omelia della celebrazione eucaristica a conclusione del Symposium dei vescovi dell’Africa,
Kampala/Uganda, 31 luglio 1969).
4 ottobre 2009:
inaugurazione del Sinodo
nella Basilica Vaticana.
Missione Oggi | dicembre 2009
35
missione e profezia
Un altro dato, non secondario, riguarda il forte
ricambio generazionale dei vescovi: 520 vescovi su un totale di 528 sono stati nominati dopo
la conclusione del primo Sinodo; un tasso di
rinnovamento di circa il 98% in un lasso di tempo piuttosto breve (1994-2009).
le partnership; l’incontro del Movimento dei focolari per raccontare le cose buone che accadono in Africa e infine il seminario di Pax Romana
con esperti internazionali, che ha prodotto 55
raccomandazioni presentate poi ai Padri sinodali come contributo ai lavori.
UN CONTINENTE OSCURATO
LA CONCRETEZZA DELL’UTOPIA
“Ci sono molte buone notizie in diverse
parti dell’Africa. Ma i mezzi di comunicazione
moderna - osservano i vescovi africani al punto 6 del Messaggio – spesso prediligono le cattive notizie e sembrano concentrarsi sulle no-
I due documenti finali (Messaggio e Proposizioni) hanno la caratteristica della concretezza,
per quanto questa sia possibile in documenti di
questa natura. In particolare, le 57 Proposizioni
contengono numerose indicazioni di carattere
IL TALLONE D’ACHILLE
DELLE CHIESE AFRICANE
L
a fondamentale questione della collegialità effettiva,
della cooperazione pastorale e dell’unità di intenti ha
preoccupato diversi vescovi. Il presidente della Conferenza
Episcopale del Sudafrica, mons. B.J. Tlhagale, è stato molto
esplicito: “La sfida più complessa che la Chiesa africana deve affrontare - non è la mancanza di analisi, la mancanza
di comprensione dei problemi e della loro interconnessione.
La sfida è la mancanza della volontà collettiva (politica) di
applicare le risoluzioni prese.(…) Occorre dunque porsi un
Nella pagina seguente:
Maschere Dogon,
chi indossa una maschera
di solito abbandona
la propria identità
e viene trasformato
nello spirito che la
maschera rappresenta.
36
urgente interrogativo: a chi si rivolgono le nostre associazioni regionali e continentali? I membri aderiscono formalmente. Non vengono pagate le quote. In che modo, dunque le risoluzioni possono essere applicate quando noi stessi sabotiamo le nostre organizzazioni, ne frustriamo il personale e ne demoralizziamo i membri direttivi, invece di
guidarli e aiutarli, o di stabilire e rivedere collegialmente gli
obiettivi? Se le risoluzioni del Sinodo devono essere applicate, le nostre conferenze nazionali, regionali e continentali
devono assumersene la responsabilità”.
Il tema dell’unità di intenti è stato poi affrontato nel Messsaggio
ai numeri 15,17 e 18 e nelle Proposizioni numero 3 e 4. Perciò,
non è più solo il punto di vista di alcuni.
stre disgrazie e difetti, piuttosto che sugli sforzi positivi che stiamo compiendo”. Così è stato
anche per la “buona notizia” del Sinodo. I
grandi organi di informazione nazionale e internazionale di fatto non hanno seguito l’evento; non sono andati oltre l’ipotesi del Papa nero e del condom sì/condom no. Eppure sono
stati messi a nudo molti temi di interesse politico, economico, sociale, ambientale e culturale; un materiale non solo per gli specialisti dell’informazione religiosa.
L’attenzione, ampia e solidale, lungo le tre
settimane dei lavori il Sinodo l’ha ricevuta, invece, da diversi organismi del mondo cattolico e
non. Una significativa serie di iniziative collaterali hanno consentito, a vescovi, esperti e uditori di incontrare giornalisti e un pubblico molto
variegato. Si devono segnalare in particolare: i
tre seminari della Radio vaticana su “L’Africa e
i media”; il convegno del Comune di Roma sul-
Missione Oggi | dicembre 2009
operativo. Si tratta di raccomandazioni con destinatari precisi: la Chiesa universale e gerarchica, le Chiese locali non solo africane, i fedeli laici, i governi e le Organizzazioni internazionali.
Le raccomandazioni proposte le possiamo
considerare come una bella e irrealizzabile utopia, come alcuni già dicono, oppure possiamo
coglierle come una sfida difficile, un impegno
trasversale che riguarda tutta la Chiesa e tutta la
Comunità internazionale. Un esempio. Sul
commercio delle armi (Proposizione 23) si
chiede alle Conferenze episcopali dei Paesi che
producono armi di “raccomandare pubblicamente ai propri governi di introdurre una legislazione che riduca la produzione e la distribuzione di armi, che altrimenti sono a scapito dei
popoli delle nazioni africani”. Questo invito lo
vogliamo accogliere? e cosa vuol dire tradurlo
in pratica per la Chiesa del nostro paese che è
tra i maggiori produttori di armi? Su questo ter-
missione e profezia
reno si arenarono, negli anni caldi delle lotte
operaie, anche i sindacati. Utopia o sfida?
La maggior parte, ovviamente, di questi impegni per trasformare la realtà del continente riguardano le energie e le organizzazioni dell’Africa: i suoi governi, le sue Chiese e i suoi
Organismi internazionali; ma dobbiamo avere
la consapevolezza che moltissimi di questi problemi hanno la chiave risolutiva fuori dall’Africa. E senza politiche diverse da parte della Comunità internazionale, considerata dai vescovi
latitante (v. box qui di fianco), il gigante africano resterà impotente.
A livello ecclesiale il Sinodo si è già espresso per una collaborazione ‘Sud-Sud’: “Molti
dei problemi dell’Africa, e molte delle pressioni sull’Africa, si trovano anche in Asia e nell’America Latina. Noi crediamo che abbiamo
molto da guadagnare non solo scambiandoci informazioni ma anche collaborando” e per il rafforzamento dei rapporti con le Chiese europee
(Messaggio nn. 16 e 11).
UN IMPEGNO SU MOLTI FRONTI
FRANCO FERRARI
FLiCKR.COm
“Non c’è tempo da perdere”, ci dicono i vescovi africani, ma i fronti su cui combattere sono molti, forse troppi; senza forte progettualità
e convergenze ai diversi livelli della Chiesa
universale e delle Chiese locali le prospettive
rischiano di restare lettera morta. Al momento,
sono proprio l’unità d’intenti e il passaggio
all’azione ad essere un punto debole della Chiesa africana (v. box a pagina 36).
Questioni importanti aspettano i Padri sinodali una volta rientrati nelle loro sedi. L’integrazione “più ampia delle donne nelle strutture della Chiesa e nei processi decisionali”; l’impegno
per l’inculturazione attraverso la promozione del
lavoro di teologi “autenticamente” africani; il
confronto con la Religione tradizionale africana,
impegnando le migliori energie intellettuali per
conoscere e discernere; il contrasto della stregoneria che continua ad essere praticata dai convertiti; l’impegno per la “priorità dell’educazione”;
lo sviluppo delle Comunità Ecclesiali Viventi
(CEV); per arrivare fino alla creazione dei diversi e nuovi organismi indicati dal Sinodo. Insomma, un impegno ciclopico che solo atraverso
scelte strategiche e una rigida scaletta di priorità
potrà realizzare la “nuova Pentecoste” della
Chiesa africana, preconizzata dal Sinodo.
Una comunità internazionale
che non affronta i problemi
“D
eploriamo che la comunità internazionale non faccia abbastanza per porre fine a queste guerre e a queste violenze e che
non s’interessi abbastanza alle loro vere cause: il saccheggio delle
risorse naturali. Essa si limita a preoccuparsi delle conseguenze delle
guerre invece di affrontarne le cause in modo determinato e convincente. (…) Come spiegare altrimenti la ricomparsa e la virulenza
delle violenze che continuano a essere condannate a parole senza
prendere iniziative efficaci per mettere fine una volta per tutte alle
loro cause? Non facciamo parte forse della stessa umanità?
In un mondo in cui è sempre più evidente che costituiamo un villaggio globale, sarebbero necessarie azioni concertate e globali per
porre fine alle violenze perpetrate contro l’Africa attraverso il saccheggio delle sue risorse, così da permettere a questo continente, all’inizio del terzo millennio, di vivere nella pace e di svilupparsi nella
solidarietà con gli altri”. Con queste parole il presidente della Conferenza episcopale del Congo RD, mons. Djomo Lola, ha denunciato,
nell’aula sinodale, la scarsa azione degli organismi internazionali.
La parte V del Messaggio al Popolo di Dio farà, poi, un appello esplicito alla Comunità internazionale, chiedendo tra l’altro un nuovo
ordine economico mondiale.
Missione Oggi | dicembre 2009
37
abitazione e diritti umani
i poveri di città
EVERALDO DOS SANTOS
LO SFRATTO FORzATO DEI POVERI DELLE CITTà hA TERRIBILI CONSEgUENzE SULLA LORO VITA E
SULLA LORO ESISTENzA. SPESSO L’ALLONTANAMENTO INNESCA UN MECCANISMO DI PROgRESSI VO PEggIORAMENTO ABITATIVO ChE SEMBRA NON AVERE FINE. NONOSTANTE qUANTO PREVISTO
DALLA COSTITUzIONE, I PROCLAMI DI PRINCIPIO E qUALChE INIzIATIVA gOVERNATIVA INTESA A
PORVI RIMEDIO, SOLAMENTE LA ChIESA CATTOLICA hA AFFRONTATO SERIAMENTE IL PROBLEMA,
gRAzIE A DUE INIzIATIVE ChE hANNO gIà PRODOTTO RISULTATI INTERESSANTI.
D
Everaldo dos Santos,
missionario saveriano
brasiliano,
dello Stato
del Paraná,
ha studiato teologia
nelle Filippine,
dove è attualmente
in servizio nello
Studentato teologico
internazionale
dei saveriani a
Quezon City
38
a quando faccio parte dei missionari saveriani, vivo e lavoro nella periferia di grandi città, sia in Brasile, sia nelle Filippine. Nel corso
degli anni ho osservato che uno dei principali
aspetti della povertà è la mancanza di abitazioni
adeguate: un alloggio inadatto è causa di problemi, abusi, mancanza di educazione, scarse condizioni igieniche, malnutrizione e criminalità.
Molte tragedie potrebbero essere evitate se le
persone avessero una casa decente in cui vivere.
UNO SGUARDO AI “POVERI DI CITTÀ”
DI MANILA
Il termine “poveri di città” è molto usato nelle Filippine. È stato impiegato dal governo nel
“Republic Act 7279” e si riferisce o alle persone
senza casa delle aree urbane oppure a quelle con
un reddito sotto la soglia di povertà. Secondo
una statistica dell’Arcidiocesi di Manila, quasi il
50% dei 10 milioni di persone che vivono nel-
Missione Oggi | dicembre 2009
l’area di Metro-Manila rientra in questa categoria. Un altro termine conosciuto da tutti è squatter. Questi vivono in condizioni illegali e di degrado ambientale, senza possibilità di accesso
all’acqua, all’elettricità e nel costante rischio di
sfratto. Una famiglia-tipo vive al buio, nell’umido, in un piccolissimo spazio dove spesso ci si
deve entrare a turno. I bambini vivono per lo più
in strada, esposti a ogni tipo di abuso da parte
degli adulti. Secondo l’agenzia governativa Neda (National Economic and Development Authority), la principale causa di questo fenomeno
è l’urbanizzazione seguita alla migrazione di
massa di gruppi rurali in condizioni di estrema
povertà. La miseria, però, non è la sola causa: le
persone migrano anche per ciò che le Ong chiamano “aggressioni legate allo sviluppo”, deportazioni per favorire i programmi statali e i progetti finanziati dai governi esteri. Uno di questi
è la conversione di campi agricoli in monocolture per la produzione di biocarburante.
eveRALDO DOS SANTOS
Manila
A parte le demolizioni realizzate senza provvedere a soluzioni alternative per gli sfrattati, per
oltre un decennio il governo ha cercato di dislocare le famiglie povere in particolari luoghi designati allo scopo. Intere comunità di poveri urbani
sono state trasferite forzatamente per far spazio
alle linee ferroviarie e alle strade volute dal governo. Questo ha portato i poveri dalla padella alla brace. Poiché spesso non trovano un lavoro nel
luogo dove sono stati trasferiti, ritornano in città e
ricominciano da capo, peggiorando la loro situazione. L’aspetto peggiore è che i bambini devono
eveRALDO DOS SANTOS
affrontare il trauma di vedere le loro case distrutte: l’Urban Poor Associates (una Ong che monitora i casi di sfratto) ha dimostrato che le donne
che subiscono la demolizione della propria casa
hanno riportato casi di aborto spontaneo.
L’ABITAZIONE COME DIRITTO UMANO
Gli sfratti coatti avvengono nonostante le Filippine siano firmatarie della Dichiarazione universale dei diritti umani e dell’Accordo internazionale per i diritti economici, culturali e sociali:
entrambi i documenti considerano l’abitazione
un diritto di base e lo sfratto coatto illegale. Inoltre, la Costituzione filippina prevede che non possano avvenire demolizioni senza previa consultazione con le famiglie interessate e solo nel caso in
cui sia previsto un trasferimento accettabile. “Lo
Stato deve provvedere, nella cooperazione con il
privato, ad un programma continuo di riforme urbane che renda disponibile a costi abbordabili
abitazione e diritti umani
LE SOLUZIONI PROPOSTE DAL GOVERNO
E LA REAZIONE DELLA GENTE
un’abitazione decente e servizi primari […] e deve anche promuovere adeguate opportunità di
impiego. […] I cittadini poveri, urbani o rurali,
non devono essere sfrattati e le loro abitazioni
non devono essere demolite, salvo ci siano i presupposti di legge e sempre in modo giusto e umano”. La realtà, purtroppo, è ben lontana da tali
aspirazioni. “Ci impegniamo a migliorare le condizioni di vita negli insediamenti, nella misura in
cui possano essere in armonia con i bisogni e le
realtà locali, e riconosciamo di dover indirizzare
la tendenza globale, economica, sociale e ambientale per assicurare la creazione di condizioni
vitali migliori per tutte le persone” (Conferenza
delle Nazioni Unite, 14 giugno 1996).
LA PREOCCUPAZIONE DELLA CHIESA
Nel 1997 Papa Giovanni Paolo II ha richiamato l’attenzione sulla piaga dei senzatetto nel
suo messaggio quaresimale, sottolineando che
“la famiglia, prima cellula della società, ha il pieno diritto di avere un alloggio adeguato, così che
possa svilupparsi una genuina comunione domestica”. La Cbcp (Conferenza dei Vescovi cattolici delle Filippine) nello stesso anno ha pubblicato una dichiarazione pastorale in cui denunciava
la situazione. “Molte demolizioni sono avvenute
per meri fini estetici e per rimuovere situazioni
poco piacevoli agli occhi dei visitatori. Altre ancora sono state fatte per far spazio a zone ricreative per i ricchi. La maggior parte delle demolizioni, ufficialmente attuate per motivi di sicurezza, ha ottenuto il risultato di spostare gli squatter
in zone ancor più a rischio”. (“Ero senza casa e
mi hai accolto”. Dichiarazione pastorale sui senzatetto, 10 luglio 1997).
Laddove i trasferimenti fossero necessari, i
vescovi hanno chiesto che almeno i luoghi di rilocazione fossero vicini alle fonti di sostentamento e che il governo predisponesse piani di accompagnamento e servizi di base. La Chiesa si è anche proposta come parte attiva per fornire dimore
a basso costo in base alle proprie disponibilità.
Nonostante gli sforzi, a dieci anni dalla prima
dichiarazione, la situazione dei senzatetto non è
migliorata affatto, anzi. Così, i vescovi hanno
pubblicato un’altra dichiarazione pastorale:
“Chiediamo di fermare le demolizioni; abbiamo
leggi precise che ci indicano i processi appropriati per gli sfratti e queste leggi devono essere rispettate”. E ancora: “I rappresentanti del governo
hanno fatto proclami ufficiali per assicurare a
Molte
demolizioni
sono avvenute
per meri fini
estetici
e per rimuovere
situazioni poco
piacevoli
agli occhi
dei visitatori.
Altre ancora
sono state fatte
per far spazio
a zone ricreative
per i ricchi
Ragazzi giocano
sotto la pioggia
a Malabon,
Metro Manila.
Bambini sulle
rotaie a Manila.
Missione Oggi | dicembre 2009
39
abitazione e diritti umani
molte famiglie povere di vivere sulle loro proprietà. Molti di questi proclami sono rimasti lettera morta. Non possiamo permettere di giocare
con i bisogni essenziali della gente e che vengano
fatte promesse solo per vincere le elezioni”. Così,
come nel 1997, i vescovi hanno nuovamente sollecitato la creazione di una commissione governo-chiesa-società civile che fornisse le linee guida per lo sviluppo delle città in modo che i poveri urbani possano avere un posto decente dove vivere. I vescovi hanno concluso auspicando l’iniziativa privata di gruppi che, per conto loro, fornissero case alle famiglie povere e hanno incoraggiato i senzatetto a essere partner nel perseguimento di questi obiettivi.
“GAWAD KALINGA” E “PONDO NG PINOY”
Nel suo
insegnamento,
l’arcivescovo
Rosales afferma
che il ricco non
va all’inferno
perché è tale,
ma perché non
permette che
Lazzaro abbia
nemmeno
una briciola
del suo pane
Nella pagina accanto:
conseguenze del tifone
a Cardona,
periferia est di Manila,
31 ottobre 2009.
40
Tra le numerose iniziative private che hanno
aiutato le famiglie povere ad avere abitazioni
decenti, ne vorrei menzionare due collegate alla Chiesa cattolica. La prima è Gawad Kalinga,
un movimento lanciato da Couples for Christ
che incoraggia i poveri all’autosufficienza. È
noto per le sue case multicolori, che si propongono di alleviare la tetra atmosfera a cui i poveri sono abituati. I beneficiari di queste case sono selezionati solo tra chi aderisce alle regole
del programma, acconsentendo di seguire un
corso di formazione di 13 settimane e impegnandosi a costruire le proprie case e quelle dei
vicini, conformandosi alle regole che essi stessi
stabiliscono per la propria comunità.
Nel 2004 il cardinale di Manila Rosales iniziò
il movimento chiamato Pondo ng Pinoy (Fondo
della gente delle Filippine). Si basa sulla convinzione che lo sviluppo di ogni filippino inizi proprio dal fondo e cerca di catechizzare i poveri in
modo che possano diventare fautori della loro
stessa trasformazione. Il principio che ispira Pondo ng Pinoy è la “Teologia della briciola” così come illustrata nella parabola di Lazzaro e il ricco
(Luca 16,19-31). Il Vangelo racconta di un ricco
che se la gode tutto il giorno, mentre Lazzaro, un
povero mendicante, giace alla sua porta aspettando che cada fuori qualche briciola. Il pover’uomo
muore e va in paradiso, mentre il ricco finisce all’inferno. Nel suo insegnamento, l’arcivescovo
Rosales afferma che il ricco non va all’inferno
perché è tale, ma perché non permette che Lazzaro abbia nemmeno una briciola del suo pane.
Così, Pondo ng Pinoy spiega come le piccolezze (briciole) possano essere il primo gradino
Missione Oggi | dicembre 2009
per accedere al Regno dei cieli. Ebbene, la briciola è stata valutata in 25 centesimi e nel Pondo ng Pinoy ogni filippino aderente mette da
parte una “briciola” al giorno in un recipiente e
alla domenica offre il contenitore alla sua parrocchia. Questa raccoglie i contenitori e porta il
denaro in banche accreditate. Da quando Pondo
ng Pinoy è stato avviato sono stati raccolti circa
15 milioni di pesos all’anno e una delle priorità
è investire in case protette per i poveri.
LO SCENARIO
Non esiste una soluzione facile per un problema tanto complesso perché molti sono i fattori scatenanti. Anzitutto l’ambiguità con cui la società guarda ai poveri di città: da una parte la loro presenza minaccia la sicurezza, dall’altra porta benefici alle classi più agiate. Grazie alla forza
lavoro che viene dagli slum, infatti, le persone
benestanti possono ingaggiare autisti, colf e
guardie private. Dagli squatter viene la maggior
parte dei conducenti sottopagati impiegati nel
trasporto pubblico, commesse, bidelli e guardie.
Non di rado, i proprietari terrieri chiudono un occhio sul proliferare d’insediamenti illegali sulla
loro terra, sperando che i poveri sviluppino
l’area con infrastrutture spontanee, incrementando così il valore di quella particolare zona.
I poveri urbani sono anche la più ricca fonte
di voti in occasione delle elezioni, soprattutto
perché tendono a essere facilmente manipolati.
La cosa peggiore è che sono incapaci di identificarsi con gli altri e di organizzarsi per difendere i loro interessi comuni. La loro lotta per la
sopravvivenza spesso va di pari passo con un
forte spirito di competizione: “O i miei interessi o quelli di nessuno!”.
Queste sono alcune delle ragioni per cui la
società non affronta sul serio il problema. Purtroppo viviamo in un mondo in cui le decisioni
non sono prese in favore della totalità degli essere umani perché, se così fosse, si garantirebbe
a tutti un’abitazione decente. Una casa dignitosa, infatti, è un eccellente strumento per accrescere l’autostima e rinnovare lo spirito di famiglia. Tuttavia questo diritto umano rimane un
sogno per i poveri di città. I filippini sono ingegneri e muratori che costruiscono case per la
gente di tutto il mondo, tranne che per se stessi.
EVERALDO DOS SANTOS
(trad. dall’inglese e arrangiamento di Michela Bono)
(o Parma), Ramil e soprattutto OnP epeng
doy (o Ketsana), sono nomi che rimarran-
no a lungo nella memoria dei filippini. Corrispondono, infatti, alle violente tempeste che
alla fine di settembre hanno colpito alcune
zone di Manila, varie province limitrofe e
l’area del North-Luzon. Tre tifoni devastanti
in meno di un mese, cosa che, con il cambiamento climatico, è destinata a succedere più
frequentemente.
Zone di case popolari, aree di famiglie senzatetto, interi quartieri, isolati lussuosi sono stati letteralmente sommersi o spazzati via da
un’alluvione senza precedenti, a causa dell’enorme quantità di pioggia caduta in 12 ore.
Il giorno più drammatico è stato il 26 settembre. L’alluvione peggiore degli ultimi 50 anni,
titolavano giornali e televisioni nazionali, passando immagini che da sole rendevano la
drammaticità delle storie di tante famiglie filippine. È stato impressionante sentire in diretta le chiamate dai cellulari di tante persone rifugiatesi sui tetti delle loro case, le grida di aiuto, la rabbia e la disperazione per il ritardo, la
lentezza o la mancata risposta delle istituzioni
governative. Anche i Saveriani della parrocchia “Nostra Signora di Guadalupe”, di Tumana-Marikina, sono rimasti drammaticamente
coinvolti, insieme a migliaia di famiglie, rischiando la vita. Si sono rifugiati per varie ore,
con alcuni collaboratori, sul tetto dell’ufficio
parrocchiale e poi, per mettersi definitivamente in salvo, hanno raggiunto a nuoto il terzo
piano di una casa vicina. Fino ad oggi, sono
stati impegnati nella distribuzione dei primi
aiuti e nell’opera di ricostruzione di case, uffici, chiese, opera che avrà bisogno ancora di
molto tempo per essere completata.
Il bilancio è drammatico: più di mille morti.
Secondo il National Disaster Coordinating
Council, il costo totale dei danni si aggira intorno ai 15 miliardi di pesos filippini (più di
300 milioni di dollari), senza contare i danni
ai privati. Prima di queste calamità, circa 45
milioni di filippini già vivevano sotto la soglia della povertà. Le ultime devastazioni
hanno peggiorato la situazione. E come se
non bastasse, una violenta epidemia di leptospirosi ha provocato centinaia di vittime
tra le persone già colpite dal disastro. Almeno 400 mila persone sono state accolte in edifici scolastici, palestre, chiese, campi da pallacanestro, ecc. Dopo settimane, molte persone senzatetto e senza titoli di proprietà
aspettano una nuova sistemazione.
La prima reazione dell’opinione pubblica, dei
massmedia, è stata di cercare i colpevoli di
tanta disgrazia. Cosa senz’altro utile, se portasse a ripensare seriamente tutto il sistema
di vita dei filippini, che ha certamente contribuito ad aggravare il bilancio del disastro. Se
è vero che tifoni e terremoti sono fenomeni
naturali (“segni di Dio”, li definisce una società di assicurazioni locale), i disastri da essi
causati sono invece ampiamente determinati
dalla condizione in cui vivono milioni di poveri e di famiglie senzatetto. Le cause di alcune di queste catastrofi sono facilmente rintracciabili in grossolane negligenze umane, in
leggerezze amministrative, riconducibili all’incompetenza e cupidigia di chi governa.
Oltre il danno anche la beffa! La tempesta tropicale Ondoy non aveva ancora lasciato il territorio filippino, quando il governo se l’è presa
con i senzatetto di Manila, come se fossero vittime di se stessi, proibendo loro di lasciare i
centri di accoglienza e di ritornare nelle baraccopoli, prospettando una collocazione fuori Manila, lontano dalla loro fonte di sussistenza quotidiana e dai servizi di prima necessità. Se da un lato è innegabile che i poveri
sono “parte del problema”, dall’altro architetti, geologi e urbanisti hanno già più volte dimostrato che le cause delle inondazioni sono
abitazione e diritti umani
AFP/NOeL CeLiS
“Filipino Resilience”
molto più complesse. Entrano in gioco, infatti,
l’operato scandaloso di governi che violano le
più elementari regole di pianificazione edilizia per soddisfare gli appetiti di grandi gruppi
immobiliari, il disboscamento selvaggio delle
montagne circostanti Manila e il cambiamento climatico. Varie Ong, movimenti urbani e
organizzazioni ecclesiali, insieme con associazioni di ingegneri e architetti, hanno pubblicato un manifesto a pagamento sui principali giornali nazionali, sfidando il governo “a dimostrare scientificamente” che i senzatetto
sono stati la causa di tanti disastri.
Se una verità c’é dopo tanti disastri, è che la
corruzione uccide. La corruzione uccide tanto
quanto i tifoni e le tempeste tropicali o ancora
di più! Corruzione vuol dire la casa popolare
non costruita per i senzatetto, che perciò sono
obbligati a vivere sotto i ponti o lungo i corsi
d’acqua. Corruzione vuol dire la lunga, resistente ma non lanciata fune a chi stava annegando. Corruzione vuol dire il gommone-scialuppa non acquistato, che poteva recuperare
decine di persone bloccate sui tetti delle case
per un giorno e una notte. Corruzione vuol dire un piano regolatore già approvato ma spudoratamente mai applicato. Corruzione vuol
dire mancanza di fondi a causa della cattiva
amministrazione di chi ne era responsabile.
Ma “Pepeng”, “Ramil” e “Ondoy” hanno rivelato una volta di più le migliori e indomabili caratteristiche del popolo filippino. La chiamano
Filipino resilience (capacità di ripresa/recupero)
e comprende determinazione, resistenza, insieme a creatività e compassione. Al di là dei molti eroi che hanno donato la propria vita per salvare parenti, amici, vicini o sconosciuti, é stato
toccante vedere per intere settimane la spontanea ed incessante rete di solidarietà che si è sviluppata. È stata un’ininterrotta bayanihan (da
un’antica tradizione che descrive un lavoro fatto insieme per un progetto comune, con una
forte motivazione di aiuto/sostegno all’altro,
superando insieme le difficoltà del momento).
Gruppi, associazioni religiose (diverse religioni)
e/o civili, Ong, gruppi di professionisti, parrocchie e movimenti ecclesiali, personaggi televisivi, sportivi, politici, anziani, classi intere di
studenti hanno attenuato moltissimo le sofferenze della gente, le lacune governative, cercando di ristabilire una parvenza di normalità
nelle zone colpite. Insomma, nella tragedia
un’esperienza che insegna a mantenere la speranza! Un segno che è possibile vincere le avversità di ogni tipo e costruire una società più
giusta e fraterna, dove le persone possano finalmente vivere con dignità.
EUGENIO PULCINI
Missione Oggi | dicembre 2009
41
popoli e missione
FLiCKR.COm
Ripensando
la missione
dall’Amazzonia
Intervista a Meo Elia
Padre Meo Elia,
saveriano
già missionario in
RD Congo,
è stato direttore di
Missione Oggi
dal 1990 al 2003
e attualmente è
Superiore Regionale
dei Saveriani
del Brasile Nord
amazzonia:
ninfee nella foresta.
42
Quali sono i problemi e le sfide che il Brasile sta affrontando oggi, soprattutto nelle
regioni settentrionali amazzoniche?
È difficile dare giudizi generali, perchè il Brasile è un paese grande 28 volte l’Italia, ricchissimo di culture e molto diversificato. Oggi vive
un’importante crescita economica, politica e sociale, nonostante le contraddizioni e le sperequazioni ancora molto presenti. Questo spiega la forte sensazione di insicurezza che la popolazione
ha e la diffusa violenza, che sembra crescere. A
volte si ha anche la sensazione di ingovernabilità,
di fronte all’incalzare dei problemi, che si presentano sempre di grandi dimensioni e complessità.
L’area amazzonica è “l’ultima frontiera” del
Brasile, dove stanno accorrendo persone da tutti gli Stati, in cerca di terre e lavoro, attirati in
passato dalle creazione, attraverso l’abbattimento della foresta, di immensi spazi per l’allevamento del bestiame (bovini da carne) e le culture estensive, e oggi dal sorgere di nuovi poli
industriali attorno a grandi impianti per l’estra-
Missione Oggi | dicembre 2009
zione e lavorazione di minerali, come quelli di
Barcarena (alluminio) e Ourilândia do Norte
(nichel). Ciò trasforma rapidamente l’area da
agricola a industriale, con grandi concentrazioni urbane e nuovi problemi.
Quali sono i punti forti e le fragilità della
Chiesa brasiliana oggi?
Nonostante la gravità dei problemi, il cammino delle Comunità ecclesiali de base (che in
luglio hanno tenuto il loro dodicesimo incontro
nazionale a Porto Velho, in Amazzonia, con oltre 3000 partecipanti) e l’influenza della Teologia della liberazione, oggi sembra prevalere uno
spiritualismo disincarnato, che non porta ad affrontare i problemi alla luce del Vangelo, ma a
eluderli, puntando a creare momenti di intensa
emotività e a ottenere interventi miracolistici.
Queste due anime convivono in molte comunità cristiane, ma è prevedibile un rafforzamento dell’egemonia della tendenza spiritualista, che trova terreno fertile nella situazione sociale e dispone di notevole forza mediatica.
popoli e missione
FLiCKR.COm
Penso che “annuncio, dialogo, liberazione”
siano anche qui in Amazzonia fondamentali
per esprimere la missione. Sottolineerei soprattutto alcune loro “modalità”, di cui vedo attorno a me tante espressioni e di cui si sente sempre più forte l’esigenza: l’ascolto dell’altro, il
porsi in atteggiamento non di maestri, ma di
condiscepoli, la valorizzazione della saggezza
popolare, dei cammini delle persone e delle comunità; la collaborazione coi movimenti di base nel lavoro per la giustizia, l’ambiente, la solidarietà, la promozione dei gruppi sociali
emarginati o più deboli; l’accettazione dei ritmi culturali del luogo; l’attenzione a non portare la nostra cultura, ma far sì che sia la Parola,
la logica evangelica, ad essere presentata ed
accolta, perché la comunità cristiana nasca
davvero dall’incontro della Parola con quel
gruppo umano, la sua cultura, la sua situazione
storica, i suoi problemi, le sue necessità; il rivolgerci alla persona completa, che non è solo
raziocinio e risposta a principi dottrinari, ma
anche sentimenti, emozioni, relazioni, partecipazione, responsabilità, situazioni concrete di
esistenza, di lotta per la vita. Sono tutte “modalità” che dovrebbero impregnare e dare un
tono al nostro annuncio, al nostro dialogo e a
qualsiasi sforzo di liberazione.
PER SAPERNE DI PIU’
Carlo Pietrobelli
ed elisabetta Pugliese
L’economia del Brasile.
Dal caffè al bioetanolo:
modernità e
contraddizioni
di un gigante
Carocci, Roma 2007
pp. 126
euro 13,00
presso:
[email protected]
Bambini indios
lungo i fiumi
dell’amazzonia.
Missione Oggi | dicembre 2009
43
FLiCKR.COm
Come si esprime la missionarietà della
Chiesa cattolica brasiliana?
La Chiesa brasiliana sta prendendo coscienza della necessità della missione. Lo si vede dai suoi ultimi documenti, specie quelli pubblicati dopo la V Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, svoltasi ad Aparecida
nel 2007. Oggi però la sensibilità missionaria è
ancora molto debole, come dimostra la difficoltà delle Chiese del Sud del Paese a inviare personale in aiuto a quelle del Nord, che ne hanno
estremo bisogno; e questo nonostante ripetuti
inviti e programmi lanciati dalla Conferenza
nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb). Le
Chiese amazzoniche si reggono ancora su una
forte presenza di missionari stranieri.
Anche la missione ad gentes, oltre le frontiere nazionali, è ancora poco sentita, sebbene
dopo la III Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, tenutasi nel 1979 a Puebla,
in Messico, che aveva chiesto alle Chiese latinoamericane di “dare della loro povertà”, numerosi missionari brasiliani siano stati inviati
in tutto il mondo.
Come si sta trasformando l’attività dei
saveriani in Brasile del Nord?
Soprattutto i saveriani che si trovano nel sud
dello Stato del Pará, dove sono piú forti i cambiamenti socioeconomici, stanno interrogandosi sul
modo di essere presenti. In questa area, oltre al
gruppo di missionari che lavorano con gli indios
(a Redenção e nei villaggi dei Kayapó), ci sono
12 religiosi, divisi in tre grandi parrocchie, nate di
recente e in continua espansione: ciascuna ha un
centro di 30-40 mila abitanti e varie decine di comunità cristiane sparse in un raggio molto grande, fino a 250 chilometri. Due di loro lavorano a
tempo pieno coi movimenti popolari della zona,
seguendo in particolare (e in collegamento con
altre realtà a livello regionale e nazionale) i problemi umani e sociali provocati dall’insediamento della grande fabbrica dell’Onça Puma a Ourilândia. Questi due saveriani fungono da “antenne” che captano i problemi e ci aiutano a prendere coscienza delle loro concrete dimensioni e delle sfide che pongono all’annuncio del Vangelo.
Nei tuoi “Quaderni di MO”, che raccolgono il meglio del pensiero missionario in
Italia nel periodo in cui eri direttore della rivista, hai tracciato un profilo della missione
su tre direttrici: annuncio, dialogo, liberazione. Come tradurresti oggi la parola “missione” nella tua esperienza personale?
popoli e missione
Casa della
farina:
india tukano
mentre cuoce
la farina
a taracuá,
comunità
indigena
dell’alto Rio
Negro.
Nell’ultima assemblea dei saveriani della
Regione Brasile Nord si è molto discusso di
“Pastorale indigenista” e la prossima sarà
dedicata alla “Animazione missionaria”. Come coniugano i saveriani dell’Amazzonia la
missione ad gentes tra “pastorale indigenista” e “animazione missionaria”?
Nella nostra Regione ci sono tre diverse situazioni in cui vivere la missione ad gentes.
La prima è costituita dai popoli indigeni, cui
negli ultimi trent’anni i saveriani hanno prestato molta attenzione, specie ai Kayapó, coi quali
si è creato un legame particolare.
Una presenza missionaria tra questi popoli
perché sradicate dalle loro terre di origine. È
una situazione di per sé “missionaria”. Riteniamo però che anche in queste parrocchie siamo
chiamati a servire la missione nel senso più proprio della parola; e questo avviene se non creiamo comunità cristiane chiuse, ma che si sentano
“inviate” agli altri ed escano effettivamente per
incontrare i fratelli lontani presenti nella loro zona, mostrando Gesù, non in modo propagandistico, ma con spirito di vera amicizia e coinvolgendosi con loro. Crediamo che creare queste comunità ed educare a questa prassi evangelica sia rispondere al nostro carisma missionario.
C’è, infine, una terza forma di missione che
I missionari
non possono preoccuparsi solo
di realizzare la propria vocazione
oltre le frontiere,
ma sono qui per aiutare
le nostre Chiese a diventare
esse stesse missionarie ad gentes;
devono trasmetterci
il loro carisma, quello che li ha spinti
a lasciare le loro terre
e a venire nel nostro paese
Laura Giraudo
La questione indigena
in America Latina
CarocciI, Roma 2009
pp. 150
euro 14,50
presso:
[email protected]
44
FLiCKR.COm
PER SAPERNE DI PIU’
non può tralasciare “il primo annuncio” di Gesù e del suo Vangelo. Ovviamente non come
imposizione, ma come proposta, presentando la
sua persona, come ha vissuto, ciò che ha manifestato di Dio. Nello stesso tempo va condotto
un intenso “dialogo” con la loro cultura e religione, sulla base di una conoscenza profonda e
una stima sincera. Sono due dimensioni che il
“Progetto” elaborato nella nostra ultima assemblea ha messo in risalto, accanto alla valorizzazione di quanto già si faceva.
La nostra Regione ritiene questo impegno
una priorità. Abbiamo progettato di destinarvi
uno dei saveriani giovani, per dare più consistenza al gruppo che vi lavora. Dovrà prima di
tutto studiare la lingua kayapó e compiere
un’adeguata preparazione antropologica.
La seconda situazione è vissuta dai saveriani
che si trovano nelle parrocchie, quasi tutte di recente formazione e molto grandi, ciascuna con
30-50 mila persone in gran parte molto povere
Missione Oggi | dicembre 2009
ci interpella: aprire le nostre parrocchie e le nostre comunità alla missione “ad gentes”, a tutto il mondo. Anni fa domandammo a dom Luciano Mendes de Almeida, allora segretario e
poi presidente della Cnbb: “Che cosa chiedete,
voi vescovi brasiliani, agli Istituti missionari
che lavorano in Brasile?”. La sua risposta fu significativa e sorprendente: “I missionari non
possono preoccuparsi solo di realizzare la propria vocazione oltre le frontiere, ma sono qui
per aiutare le nostre Chiese a diventare esse
stesse missionarie ad gentes; devono trasmetterci il loro carisma, quello che li ha spinti a lasciare le loro terre e a venire nel nostro paese”.
La nostra prossima assemblea, agli inizi del
2010, vuole ribadire l’importanza di rispondere
alla seconda situazione missionaria, educando le
nostre comunità cristiane ad uscire sempre più
da loro stesse; ma vorrebbe, in particolare, interrogarsi su “come” costruire parrocchie davvero
protese verso la missione “ad gentes”. È una
grande sfida. E delle tre situazioni missionarie
che ci interpellano sembra, anche tra noi, quella
in cui si è più carenti. Vorremmo riuscire a compiere un deciso passo in avanti anche in questa.
A CURA DI MARIO MENIN
indice dell’annata
INDICE DELL’ANNATA 2009
(il primo numero indica il numero della rivista, il secondo indica la pagina)
EDITORIALE
SCELTE DI PACE
1.3
Buon anno! Buon inizio!
1.39
2.3
Dialogo. Verso il Convegno 2009
La Repubblica del Congo piange i suoi figli (Vescovi CongoRD)
3.3
Annuncio primo servizio al mondo
CAMMINI DI RICONCILIAZIONE
4.3
Liberazione: scelta preferenziale dei poveri
9.11
5.3
Assisi… e Gerusalemme pellegrinaggi di pace
6.3
A Milano nella notte il canto di Ba
7.3
Abbattere il muro di separazione
8.3
Ottobre con l’Africa nel cuore
9.3
Novembre: il valore aggiunto di certe vite
10.3
CongoRD. Missionari solidali non complici
LETTERE IN REDAZIONE
Il Sud Africa dall’apartheid alla democrazia (a cura di R. Cucchini e M. Veroni)
IL FATTO E IL COMMENTO
1.11
Obama Revolution. Un immigrato al potere (Mario Bandera)
3.10
A proposito della social-card (Gabriele Ferrari)
4.11
La Costituzione più umanista dell’America latina (Xavier Albó)
5.7
L’India alle urne (Stefano Vecchia)
6.7
Guinea-Bissau: instabilità e nuovi traffici (Giusy Baioni)
9.7
Sri Lanka. La guerra è finita (Stefano Vecchia)
1.4
Oso credere di aver vissuto a modo mio un’esperienza di missione (Piero Lanzi)
2.4
È un cambiamento che aspettavo da trent’anni (Augusto Luca)
10.15 Il libro sacro degli altri (Brunetto Salvarani)
LEZIONI DI STORIA
3.4
È difficile oggi stare sulla missione (Eugenio Meandri)
4.4
Riflettere sullo specifico della nostra missione (Vittorino Mosele)
5.4
L’importanza dell’annuncio (Cesare Fabbris e Maria L. Giacometti)
1.13
Tagore a Venezia (Rabindranath Tagore)
6.4
Benvenuto il confronto (Mimmo Cortese)
2.10
Cuba: 50 anni di religione e rivoluzione (Félix Sautié Mederos)
8.4
Ancora sulla linea della rivista (Savio Corinaldesi)
3.35
Ha ancora senso parlare di guerra giusta? (Fabio Corazzina)
9.4
In tutto il numero di maggio aria di dialogo (Tarcisio Alessandrini)
SPECIALE CONGO RD
10.4
Il grande missionario Chini negli studi di D. Calarco (Gerardo Caglioni)
Marion Brésillac: vescovo per un mese (Gerardo Caglioni)
10.7
Per il genocidio di Pol Pot in arrivo le prime condanne (Stefano Vecchia)
CongoRD. Se la politica svolgesse il suo compito (Rete Pace per il Congo)
PAROLA E MISSIONE
1.5
4.38
9.42
UMANESIMO E DIALOGO
2.13
L’umanesimo di Tagore e di Lalon via al dialogo (Marino Rigon)
Sulle orme di Paolo. Alla riscoperta della missione (Fabrizio Tosolini)
2.5
Paolo, il Fariseo chiamato da Dio (Fabrizio Tosolini)
3.5
Il progetto missionario di Paolo (Fabrizio Tosolini)
4.5
Paolo missionario delle genti (Fabrizio Tosolini)
5.5
Paolo e le sue Chiese (Fabrizio Tosolini)
6.5
Paolo e i suoi collaboratori (Fabrizio Tosolini)
8.5
Paolo e Israele (Fabrizio Tosolini
9.5
Paolo e i Gentili (Fabrizio Tosolini)
10.5
La spiritualità dell’Apostolo Paolo (Fabrizio Tosolini)
COMUNICAZIONE E SVILUPPO
5.15
Ciad: una radio per chi non ha parola (Marco Bertoni)
COMUNICAZIONE E MISSIONE
6.42
Missionari al festival internazionale del giornalismo (Diego Piovani)
COOPERAZIONE E SVILUPPO
6.10
Lungo il Mekong un nuovo modello di cooperazione (Gianluca Bonanno)
OSARE LA PACE
8.7
Obiettivi del millennio (Sabina Siniscalchi)
PICCOLE NARRAZIONI
1.7
L’apocalisse di Nagasaki. 9 agosto 1945, ore 11:02 (Akira Fukaori)
2.7
Sahel, scuola di pace (Aldo Ginnasi)
4.7
Sri Lanka. È l’ora della pace? (Stafano Vecchia)
1.43
Io, animatrice missionaria in Messico (Stefania Ragusa)
6.14
Armi occasione da perdere (Fabio Corazzino)
3.7
Jenin continua a sperare (Daniele Barbieri)
8.11
Armi: Italia secondo esportatore al mondo (Giorgio Beretta)
9.15
Burundi al bivio (Giusy Baioni)
INTERVISTE SUL FUTURO
4.14
Donne in India (Hansi De)
RISONANZE DI PACE
5.11
Luci e ombre della rivoluzione bolivariana (Edgardo Lander)
3.43
8.14
Uruguay. Intervista a Pablo Bonavia (a cura di Mauro Castagnaro)
Nagasaki e Novara insieme per la pace (a cura di Mario Bandera)
Missione Oggi | dicembre 2009
45
indice dell’annata
OSARE L’UTOPIA
3.13
Un altro mondo adesso è urgente (Mauro Castagnaro)
CAMPAGNE MO
5.14
Pressione alle banche armate (Missione Oggi, Nigrizia, Mosaico di Pace)
5.43
Il “Kimoci” cultura delle sfumature (Antonio Sottocornola)
6.44
Sentire Dio dalle Ande (a cura di Mauro Castagnaro)
8.43
Amazzonia: la Cina dei saveriani in Brasile (Savio Corinaldesi)
POPOLI E MISSIONE
CONCILIO E MISSIONE
4.43
Spiragli di luce nella foresta amazzonica (Walter Ivan de Azevedo)
1.33
Il Vaticano II un Concilio missionario (Franco Sottocornola)
8.39
L’Indonesia alle prese con il suo futuro (Francesco Marini)
2.33
La “Parola di Dio”: una lettera rivolta all’umanità intera
(Franco Sottocornola)
VERSO IL SINODO AFRICANO
3.33
La missione nel “cuore” del Concilio (Maria A. De Giorgi)
6.38
4.33
La liturgia, cuore della Chiesa e del mondo (Franco Sottocornola)
5.33
Tensione missionaria e identità sacerdotale (Franco Sottocornola)
SINODO AFRICANO
6.33
Vita religiosa e missione (Franco Sottocornola)
9.45
8.33
Alle fonti dell’amore (Maria A. De Giorgi)
9.33
La missione nell’orizzonte del dialogo (Maria A. De Giorgi)
10.33 La Chiesa del Concilio si rivolge al mondo intero
(Franco Sottocornola)
MISSIONE E RICONCILIAZIONE
Intervista al vescovo di Makeni-Sierra Leone (a cura di Franco Ferrari)
Il Sinodo del “giusto orgoglio” (Franco Ferrari)
UN LIBRO AL MESE
1.46
Giappone il secolo dei martiri (Claudio Codenotti)
2.47
Tiziano Tosolini, Interno Giapponese (Matteo Nicolini-Zani)
3.47
Margarita Carrera, Juan Gerardi. Il vescovo che ruppe il silenzio
(Mario Menin)
4.46
Michele Do, Amare la Chiesa (Tommaso Bogliacino)
5.47
P. Naso e B. Salvarani (a cura di), Il muro di vetro (Marco Dal Corso)
6.47
R. Contarini e A. Luca, L’ultimo missionario. L’Abate Sidotti
(Ettore Fasolini)
8.47
Bénézet Bujo, La pretesa universale della morale occidentale
(Giannino Piana)
MISSIONE GIOVANI
9.47
Marco concione, L’America latina dal basso (Mauro Castagnaro)
6.35
Giovani sui sentieri di Cristo (P. Pierobon, R. Negri, M. Storgato)
DOSSIER 2009
9.38
Filippine: Giornata asiatica della gioventù (Stefano Vecchia)
8.35
Colonia. Cammini di riconciliazione (Jairo Agudelo)
MISSIONE DONNA
1.35
Portando gerle di sabbia. Il femminile della missione
(Teresina Caffi)
MISSIONE E LIBERAZIONE
Quali ministri ordinati per il terzo millennio?
a cura di Mauro Castagnaro
1.18
Perché dovremmo ordinare cristiani maturi (Fritz Lobinger)
1.41
I “dalit” a pieno diritto cittadini del Bangladesh (Sergio Targa)
1.21
Il ministero dei lettori (Luciano Monari)
2.35
Slums, baraccopoli, favelas: come aiutare gli ultimi della terra?
(Gino Filippini)
1.22
Comunità e ministeri. Riflessioni dall’Asia (Virginia Saldanha)
1.25
Il celibato è un altro argomento (Carlo Maria Martini)
1.26
Ministero nomade (Eugene Stockton)
MISSIONE E CREAZIONE
1.29
L’eucaristia celebrata dai laici? (André Lascaris)
2.39
1.32
La critica di un famoso ecclesiologo (Hervé Legrand)
Salvaguardia del creato e rifiuti (Karl Golser)
MISSIONE E MARTIRIO
3.38
L’assassinio del vescovo di Mogadiscio (Massimiliano Taroni)
MISSIONE E PERSECUZIONE
2.43
India: è vera persecuzione (Stefano Vecchia)
MISSIONE E PROFEZIA
9.35
3.41
Pace per l’Africa dei Grandi Laghi
a cura di Giusy Baioni
2.18
Come i processi di pace possono andare storti (Giusy Baioni)
2.20
Una guerra senza fine (Luciano Larivera)
2.22
Il punto di vista di alcuni missionari (Rete di pace per il Congo)
2.24
A quando una governance interna? (Giusy Baioni)
2.28
Lettera da Kasongo (Piergiorgio Lanaro)
2.30
RD Congo, la maledizione di essere troppo ricchi (Aldo Vagni)
2.31
Lanciamo un grido di disperazione e di protesta (Silvio Turazzi)
Emmaus compie 60 anni (Graziano Zoni)
MISSIONE TERRA
46
MISSIONE E INCULTURAZIONE
Intervista a Leonardo Boff (a cura di Mauro Castagnaro)
Missione Donna
a cura di Federico Tagliaferri
3.18
Declinare la missione al femminile (Elisa Kidané e Maria Teresa Ratti)
MISSIONE E GLOBALIZZAZIONE
3.22
Vi voglio semplici, coraggiose, forti, sciolte… (Maria Luisa Casiraghi)
4.40
3.26
Io donna, sposata, straniera, missionaria laica in India (M. T. Mercinelli)
Le nuove frontiere della missione dei gesuiti (Paul L. Locatelli)
Missione Oggi | dicembre 2009
Essere donna, straniera, sposata, laica, cristiana, missionaria in India
(A. Russo)
L’Amazzonia che cambia
a cura di Mauro Castagnaro
3.29
Io donna missionaria in America latina (Elena Conforto)
9.18
Guida per una civiltà della vita in Amazzonia (R. Caramuru Barros)
3.32
Donna, straniera, missionaria laica in Burundi (Claudina Bertola)
9.22
Lo sfruttamento minerario
(J. B. Gonçalves, A. dos R. Pereira, R. G. da Cruz Neto)
Crisi finanziaria mondiale: un nuovo inizio per l’economia?
a cura di Gabriele Smussi
9.26
Condanna dei devastanti progetti del PAC (Vescovi del Pará e Amapá)
9.28
Quale futuro per l’Amazzonia peruviana (Azzurra Carpo)
4.18
Crisi, ovvero la finanza senza controlli (Gabriele Smussi)
9.30
La Chiesa in Amazzonia (Claudio Perani)
4.20
Chiesa dell’Asia-Pacifico attenta ai tanti colpiti dalla crisi (Stefano Vecchia)
4.22
La crisi arriva in America latina (Eduardo Gudynas)
4.24
Le Acli e la crisi economica (Flora Tudini)
4.26
La crisi raggiunge anche l’Africa (Gabriele Smussi)
10.18 Lo sguardo di un missionario (Angelo Lazzarotto)
10.21 La prima missione dei Saveriani in Cina (Augusto Luca)
A 60 anni dalla rivoluzione di Mao 1949 - 2009
a cura di Federico Tagliaferri
4.27
Mezzo miliardo di famiglie vive di rimesse (Gabriele Smussi)
4.28
Il microcredito: un importante ammortizzatore (Gabriele Smussi)
10.22 Il fenomeno religioso in Cina oggi (Stefano Vecchia)
4.31
Tutto ciò che luccica… (Marcello Storgato)
10.25 Prospettive della missione in Cina oggi (Enrico Rossetto)
10.28 Il Centro Studi Cinesi dell’Università Urbaniana (Alessandro Dell’Orto)
Film e missione tra memoria e futuro
a cura di Federico Tagliaferri e Fiorenzo Raffaini
10.32 La rivoluzione di Mao e il confucianesimo: sviluppi recenti (U. Bresciani)
5.18
Il missionario che eroe! (Lino Ferrarcin)
VERSO IL CONVEGNO
5.27
Tra Oltremare film e Videomission (Fiorenzo Raffaini)
4.35
Padova: Una Città e una Chiesa in dialogo (Giuliano Zatti)
5.30
Film & Mission (Maria Grazia Piredda)
5.35
Milano, una Chiesa in dialogo (Giampiero Alberti)
Il degrado del pianeta scaricato sui poveri
a cura di Marino Ruzzenenti
6.18
Crisi ecologica e crisi sociale due facce della stessa medaglia (M. Ruzzenenti)
6.22
Un’industria alimentare che produce affamati (M. Ruzzenenti)
6.26
Una disuguaglianza planetaria (M. Ruzzenenti)
6.29
Land Grabbin: l’Africa in vendita (Angelo Mincuzzi)
6.30
La fine dello sviluppo di Piero Bevilacqua (Francesco Pallante)
6.31
Non basta più la solidarietà inter-generazionale (M. Ruzzenenti)
5.38
Il dialogo interreligioso a Taiwan (Paulin Batarirwa)
5.41
Il dialogo interreligioso a Giacarta (Yusuf Daud)
CONVEGNO 2009
Esperienze di dialogo interreligioso. Intrecci formativi e spirituali
7.4
Shinmeizan: il tempio per dialogare (Maria A. De Giorgi)
7.6
Shinmeizan: un po’ di storia (Maria A. De Giorgi)
7.9
Shinmeizan: casa di preghiera cristiana (Maria A. De Giorgi)
7.10
Ascesi e kenosi del dialogo (Maria A. De Giorgi)
7.13
La visione teologica (Maria A. De Giorgi)
Sinodo africano: per essere attori sociali credibili
a cura di Franco Ferrari
7.15
Per una formazione al dialogo interreligioso (Michael L. Fitzgerald)
7.19
Ho due sogni (Giampiero Alberti)
8.18
Alla ricerca di un profondo impegno di trasformazione della società (F. Ferrari)
8.19
Una Chiesa attiva nella società (Albert-Désiré Ngelese Nangaa)
7.21
Forum (a cura di Federico Tagliaferri)
8.22
Il Sinodo visto dalla Tanzania. Un evento lontano (Gabriele Ferrari)
7.24
Camminare insieme cristiani e musulmani a Fiorano e Sassuolo (R. Cavani)
8.23
Un sogno profetico. Il Simposio delle conferenze episcopali (F. Ferrari)
7.29
Per una spiritualità del dialogo interreligioso (Michael L. Fitzgerald)
8.24
Una collegialità a più livelli: le conferenze episcopali regionali (F. Ferrari)
7.33
La fatica di mettersi in discussione (Giuliano Zatti)
8.25
Burundi: il lavoro di una Diocesi sui temi del Sinodo (Rubén A. Macías Sapién)
7.37
Forum (a cura di Mauro Castagnaro)
8.28
Sud Africa: un coinvolgimento debole (Giusy Baioni)
7.38
Il presupposto del dialogo (Lidia Maggi)
8.30
Congo RD: una Chiesa dinamica in una realtà complessa (Gianni Brentegani)
7.41
La complessità del dialogo (Giacomo Canobbio)
8.31
Gli organismi della pastorale e della cultura (F. Ferrari)
7.44
Forum delle redazioni. Il dialogo è irrinunciabile (a cura di M. Castagnaro)
I bambini di Manila
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