Farmaci che possono modificare il decorso della Malattia di Parkinson

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Farmaci che possono modificare il decorso della Malattia di Parkinson
Farmaci che possono modificare il decorso della Malattia di Parkinson
Ubaldo Bonuccelli
Dipartimento di Neuroscienze,Università di Pisa-UO Neurologia,USL di Viareggio
Fino ad ora,nessuno studio aveva chiaramente dimostrato che qualche farmaco fosse capace di modificare il decorso progressivo della Malattia di Parkinson(MP).Lo
studio ADAGIO su rasagilina,il cui disegno è stato pubblicato on line da Movement Disorders lo scorso 19 ottobre,sembra modificare da questo punto di vista lo
scenario terapeutico della MP in modo quasi clamoroso.Il farmaco è stato somministrato a 2 gruppi di pazienti (1176 in totale),secondo il disegno delayed start,sviluppato per cercare di evitare la difficoltà di distinguere in un farmaco l’effetto sintomatico da quello neuroprotettivo.In questo tipo di studio i pazienti sono randomizzati al farmaco o al placebo nella prima fase (9 mesi) mentre nella seconda fase,sempre di 9 mesi, entrambi i gruppi assumono il farmaco. Se il beneficio osservato nel gruppo trattato ab initio con il farmaco,persiste anche alla fine della fase 2
durante la quale tutti i pazienti sono trattati con rasagilina,allora questo stesso beneficio deve essere attribuito all’inizio più precoce del trattamento nel gruppo in
questione.Questo è avvenuto ed è stato riportato in vari congressi internazionali nei
mesi scorsi:manca il vaglio di una pubblicazione in extenso su rivista peer reviewed,ma sicuramente quanto comunicato per ora verbalmente è di estrema importanza. L’inizio della terapia nella malattia di Parkinson (MP) è un problema da
tempo discusso e tuttora irrisolto. Anche le diverse linee guida nazionali ed internazionali che sono state proposte negli ultimi anni non indicano condotte ben definite ed univoche al riguardo. Ad esempio le linee guida americane (1) ed “europee”
(proposte congiuntamente dalla sezione europea della Movement Disorders Society
e dalla EFNS) (2) propendono per intraprendere il trattamento dopaminergico solo
quando viene raggiunta una disabilità funzionale tale da compromettere una soddisfacente capacità di espletare le attività della vita quotidiana. Nelle linee guida
italiane (3) ed inglesi (4) non si indica perentoriamente la preferenza per un trattamento iniziale verso uno ritardato, demandando in buona parte la possibilità di un
intervento precoce ad un agreement tra medico e paziente. Più articolato e meglio
definito è invece l’approccio proposto dalle linee guida francesi in cui il quando ed
il come iniziare la terapia nella MP viene suggerito in base a due principali fattori:
l’età e la gravità del quadro clinico. La raccomandazione di ritardare l’inizio del
trattamento dopaminergico fino alla comparsa di una significativa disabilità funzionale sarebbe supportata da alcune rilievi quali ad esempio fatto che, in assenza
di una terapia neuroprotettiva di provata efficacia, il trattamento sintomatico precoce ha uno scarso effetto sui sintomi lievi e non ha alcun impatto nel modificare
l’evoluzione di malattia. Si eviterebbe inoltre la comparsa di effetti collaterali e si allontanerebbe nel tempo la comparsa di complicanze motorie a seguito dell’ introduzione della L-dopa. Tutte queste considerazioni non sono comunque supportate
da evidenze clinico-scientifiche. La scelta di una strategia attendista pone infatti il
problema di quanto si possa si possa procrastinare nel tempo l’inizio della terapia.
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Gli studi al riguardo sono infatti assai scarsi. Nello studio DATATOP in pazienti con
MP de novo trattati con selegilina, vitamina E e placebo in cui l’endpoint primario
era rappresentato dalla necessità di aggiungere L-dopa per la crescente disabilità, il
gruppo con placebo raggiungeva l’endpoint dopo circa 10 mesi dall’inizio dello studio. Più recentemente lo studio PD LIFE (5), multicentrico longitudinale e naturalistico, privo quindi di taluni vincoli clinici e relativi bias propri degli studi sperimentali randomizzati e controllati, indica che ad un follow-up di 18 mesi il 32% dei
pazienti è ancora drug-naive (61% a 9 mesi). Il lasso di tempo intercorrente tra diagnosi e inizio terapia sembra quindi relativamente breve; tuttavia studi clinici e di
neuroimaging funzionale evidenziano che la progressione di malattia è più accentuata in fase iniziale di malattia, con un incremento del punteggio della scala UPDRS di circa 10 punti nel primo anno. Pertanto un intervento terapeutico nei primi
10-12 mesi successivi al manifestarsi dei primi sintomi parkinsoniani potrebbe essere fondamentale anche ai fini di una modificazione della successiva evoluzione di
malattia. È inoltre comunemente accettato che l’inizio del processo degenerativo
nella MP preceda di 6-7 anni la comparsa dei sintomi,grazie all’attivazione di meccanismi di compenso nei circuiti interessati. Per queste considerazioni Schapira e
Obeso (6) hanno proposto una ipotesi secondo cui nella MP un intervento terapeutico sintomatico precoce è in grado di facilitare i meccanismi di compenso e di evitare che a lungo andare essi finiscano per determinare alterazioni dannose ed irreversibili nella “circuiteria” dei nuclei della base, favorendo l’ulteriore progressione
della malattia. In altri termini la terapia dopaminergica precoce sarebbe di per sé in
grado di modificare favorevolmente il decorso della malattia. I meccanismi compensatori sono rappresentati, tra gli altri, da un aumento del metabolismo della dopamina, dall’ up-regulation dei recettori dopaminergici striatali, dall’ incremento
dell’ attività metabolica del nucleo subtalamico. Le conseguenze sfavorevoli sono
invece probabilmente costituite dalla induzione di stress ossidativo e da meccanismi di eccitotossicità sia a livello striatale che a carico delle strutture che ricevono
gli output eccitatori dal nucleo subtalamico iperattivo.I risultati di alcuni studi clinici sperimentali, condotti con altre finalità, vengono considerati di supporto per
questa ipotesi. Nello studio ELLDOPA (7), di confronto tra diverse dosi di L-dopa
e placebo in parkinsoniani de novo, dopo nove mesi di trattamento seguiti da 2 settimane di wash-out, si osservano condizioni motorie basali peggiori nei pazienti
trattati con placebo. Anche se il periodo di sospensione del farmaco potrebbe essere stato troppo breve per annullare l’ effetto di lunga durata della L-dopa, è tuttavia poco realistico pensare che un più lungo wash-out avrebbe potuto colmare la
differenza di punteggio motorio tra i due gruppi. Anche lo studio TEMPO (8) di
confronto tra placebo e rasagilina in 404 pazienti iniziali, condotto con disegno “delayed start” in cui i pazienti trattati con placebo iniziavano con un ritardo di 6 mesi la terapia con rasagilina, potrebbe suggerire un positivo effetto a lungo termine
del trattamento sintomatico ab initio. Infatti dopo un anno, i pazienti che sin dall’
inizio assumevano rasagilina erano in condizioni motorie migliori rispetto ai pazienti inizialmente trattati con placebo. Poiché le proprietà neuroprotettive della rasagilina sono ancora incerte, questo risultato potrebbe più semplicemente essere attribuito al documentato effetto sintomatico del farmaco. Attualmente l’ orientamento di una parte minoritaria dei “parkinsonologi” è quello di procrastinare l’
inizio della terapia fino alla comparsa di sintomi che compromettono la funzionalità del paziente. Le considerazioni cliniche sopra riportate suggeriscono come un
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precocissimo intervento sintomatico possa modificare l’ evoluzione della malattia.
I dati dello studio ADAGIO con rasagilina ,sicuramente si accordano molto bene
con una strategia di questo tipo,anche se non si può parlare con sicurezza di un effetto neuroprotettivo del farmaco,perchè l’effetto sintomatico ne rende quasi impossibile la dimostrazione.Infatti i risultati ottenuti potrebbero essere legati ad una
maggior progressione della MP nel periodo più iniziale e/o ad un maggior effetto
sintomatico del farmaco nello stesso periodo:nel primo caso i pazienti placebo peggiorerebbero più di quelli trattati e non potrebbero più eguagliare le loro performances motorie;nel secondo caso il migliore effetto del farmaco nel periodo iniziale renderebbe irraggiungibili da parte dei pazienti trattati tardivamente,le performances motorie dei pazienti trattati ab initio.
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Bibliografia
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JP, Lees A, Oertel W, Poewe W, Rascol O, Sampaio C; European Federation of
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3) Lega Italiana per la lotta contro la Malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze. Guidelines for the treatment of Parkinson’s disease 2002.
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Walker R, Findley L, Foster O, Patel K, Clough C, Castleton B, Smith S, Carey G,
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