Polvere di stelle. Abstract per sito
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Polvere di stelle. Abstract per sito
I. Scandalosa libertà Aristippo concordava con Diogene di Sinope su un punto decisivo: il massimo bene per l’uomo è costituito dalla libertà. Questa gioiosa indipendenza non era però – come invece avviene nel Cinismo – fondata sulla rinuncia, sulla liquidazione di ogni bene superfluo e su una vita ostinatamente frugale e leggera. Aristippo amava ripetere che il possesso di beni - così come un’esistenza agiata e comoda – moltiplicava le possibilità di godere dell’attimo e delle gioie del corpo. Si tratta però di mantenere un difficile equilibrio e di non cadere mai nella dipendenza: bisogna possedere dei beni ma mai esserne posseduti. «Ottima cosa è vincere e non essere schiavi dei piaceri, il che non significa non goderne.»1 Il filosofo di Cirene non era, dunque, preoccupato dal lusso, dal piacere e dal possesso, anzi reputava vantaggioso il fatto che l’uomo se ne circondasse e se ne servisse appieno: bisognava tuttavia che all’occorrenza sapesse ancora festeggiare con poco, accontentandosi senza rimpianti. Aristippo era dunque un edonista ma non nel senso deteriore e decadente del termine: il nostro Autore, infatti, non intendeva consegnare l’uomo ad una vita di gozzoviglie, facendolo abdicare rispetto al controllo razionale – non liquidava il pensiero nella carne – ma ardiva ritenere che la filosofia potesse insegnare a ciascuno il lusso dell’attimo senza preoccupazione per la sua precarietà. Massimo di Tiro2, paragonando Diogene al filosofo di Cirene, scrive: «Quell’Aristippo, avvolto nella porpora e asperso nei profumi, non era meno temperante di Diogene. Come, infatti, nel caso in cui uno riuscisse a procurarsi una virtù tale da non poter essere danneggiata dal fuoco, avrebbe il coraggio, io penso, di gettare il suo corpo nell’Etna, così anche colui che si procura il piacere in maniera conveniente non si eccita, né arde, né si consuma.»3 1 Diogene Laerzio, II, 75, 19-20; traduzione dell’autore. Massimo di Tiro fu un retore e un filosofo greco vissuto nel II° secolo d.C:; trasferitosi a Roma durante il regno di Commodo, si distinse per capacità e acume entro i circoli culturali della cosiddetta seconda sofistica. Fu sensibile al pensiero platonico, che cercò di coniugare con Stoicismo e Cinismo (coerentemente con l’indirizzo eclettico, maggioritario nella filosofia romana). Scrisse molto: sono conservati a suo nome ben 41 Discorsi, che la critica – in relazione al volume delle informazioni che trasmettono – giudica, di norma, piuttosto attendibili. 3 Massimo di Tiro, citato ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit, p. 242. 2 1 Se si sa possedere – conclude quindi Massimo di Tiro, simpatizzando col filosofo di Cirene – non bisogna preoccuparsi di liberarsi degli averi. Schiavo del lusso non è chi ne sappia godere ma chi non riesca a prescinderne, dunque abbia perso la propria libertà. L’idea che il pensatore di Cirene uscisse vincitore dal confronto con l’etica cinica era – peraltro – vivacemente sostenuta anche da Orazio. Quest’ultimo, rievocando in una delle sue Epistole uno scambio di battute fra Diogene ed Aristippo – che evidentemente la tradizione considerava attendibile – immagina il mordace filosofo di Sinope in grande difficoltà di fronte allo schiacciante argomentare cirenaico. Il poeta latino sintetizza così le parole di Aristippo: «io faccio il buffone per me, tu per il popolo: ma quel che faccio io è più conveniente e più signorile. Io rendo omaggi e servigi affinché un cavallo mi porti e un re mi mantenga; tu chiedi cose da nulla ma in verità sei inferiore a chi te ne fa dono, benché tu ti vanti di non avere bisogno di nulla.»4 Aristippo contestava l’accumulo fine a se stesso ma esaltava chi sapesse investire il denaro nel comodo splendore dell’agio e della bellezza, senza tuttavia rimanervi invischiato. Come ricorda Giannantoni, nel suo fondamentale studio sui Cirenaici: «La ricchezza, poi, non ha valore in sé, ma lo acquista solo nella misura in cui chi la possiede sa farne uso per soddisfare i suoi desideri e per goderne.»5 Il pensatore di Cirene incarna così l’inedito prototipo di un filosofo solare, felicemente gaudente e sereno nella propria pelle: il suo edonismo è espressione di una adesione pensata all’ambiguità della cosa umana, piuttosto che una consegna narcisistica alla distrazione e alla liquidazione di ogni istanza problematica. Aristippo amava la bella vita, ma solo a patto che fosse anche buona, ovvero pensata e guidata dalla filosofia. Ecco perché, interrogato su cosa, a suo avviso, fosse più degno di ammirazione, egli rispondeva: «un uomo buono e misurato, perché anche in mezzo a molti mali non si corrompe.6» 4 Orazio, Epistole, 1, 17, 19-25; ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit, p. 233. G.Giannantoni, Introduzione allo studio di Aristippo di Cirene, ne: I Cirenaici, raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo, Sansoni, Firenze, 1958, p.46. 6 Citato da Stobeo; ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit., pp. 242/243. 5 2 L’esercizio filosofico sveglia l’uomo dalla narcosi delle abitudini, consolida l’attitudine riflessiva e dona al soggetto la capacità di instradare verso il meglio anche il rivolgimento più aspro della sorte. Questa filosofia appare allora una sorta di veglia cosciente, una pratica d’esistenza il cui insegnamento a buon diritto può esigere adeguato compenso. In questo senso appaiono illuminanti due risposte date dal maestro di Cirene ad alcuni genitori che portavano i figli a lezione da lui, tramandateci da Diogene Lerzio: «un giorno un padre gli chiese in che senso il suo figliolo, una volta educato, sarebbe diventato migliore; Aristippo disse “se non altro perché egli non si sieda in teatro come pietra su pietra”. Ad un tale che gli aveva affidato il proprio figlio richiese in pagamento 500 dracme; al che quello disse “con una tale somma posso comprarmi uno schiavo”; Aristippo allora ribatté: “compralo pure, così ne avrai due”.»7 Insegnare filosofia, allora, non serve a dissotterrare principi metafisici o a lucidare forme pure: pensare bene, al di fuori e contro la concretezza dell’abitudine, significa custodire la libertà al riparo da ogni compromesso, dunque respirare la limpida luce del giorno, mordendo la vita senza paura alcuna. Diogene Laerzio, al proposito, scrive. «Aristippo paragonava coloro che si danno alle discipline enciclopediche trascurando la filosofia ai pretendenti di Penelope; questi infatti possedettero Melanto, Polidora e tutte le altre ancelle, tutto insomma, piuttosto che riuscire a sposare la padrona.»8 Aristippo, «incoronato e avvolto di porpora» - come racconta Luciano9 - profumato sulla pubblica piazza come ci racconta Seneca,10 amante del lusso e della buona tavola, incarna una forma inusuale della vita filosofica. Il suo ritratto appare, così, speculare ed opposto rispetto a quelli convenzionali dei pensatori greci. Se Talete, per passione della ricerca cade in un pozzo, Platone liquida il corpo come un ostacolo sulla strada del vero e Parmenide, per ricevere la propria rivelazione, deve allontanarsi dalle case 7 Diogene Laerzio, Le vite dei filosofi, II, 72, 14-19, traduzione a cura dell’Autore. Diogene Laerzio, II, 79, 15-19; ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 185. 9 Luciano, Vit. Auct, 12; ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 243 10 Seneca, De beneficiis, VII,25: «Aristippo una volta, gustando con gioia un profumo, disse: “possano avere cattiva sorte questi effeminati che deturparono una cosa tanto bella.» Citato ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit., p. 249. 8 3 dei mortali – uomini dalla doppia testa 11 – Aristippo di Cirene si gode il fulgore della vita quotidiana senza nulla togliere allo spessore del pensiero. Michel Onfray, filosofo francese nostro contemporaneo, che tanta parte ha avuto nel restituire ad Aristippo piena dignità filosofica, osserva, a proposito della personalità del nostro Autore: «Ni patricien ni plébéien, ni esclave ni seigneur, ni bourgeois ni prolétaire, Aristippe se moque des grades, des hiérarchies, des sucreries qui préoccupent la plupart: l’argent et le pouvoir, la famille et le travail, les honneurs et les richesses, la réputation et la considération. Autonome, indépendant, sujet radical et subjectivité radieuse, individu solaire et solitaire, il applique et implique sa philosophie dans sa vie quotidienne, il témoigne pour l’incarnation, sous toutes ses formes.»12 Filosofo scandaloso e odiatissimo dai puritani di tutte le epoche, egli si permette gesti surreali e ridicoli, facendosi beffe dell’opinione comune, delle sane convenzioni e persino della buona educazione. A chi, comprendendo assai poco del suo pensiero, cerca di attenerne il consenso sfoggiando un lusso fine a se stesso, il Maestro di Cirene impartisce a suo modo una lezione magistrale. «Simo, il dispensiere di Dionigi, - era costui un frigio e un uomo degno di disprezzo – stava mostrando una volta la sua casa sfarzosa e i pavimenti di mosaico, quando Aristippo, espettorando, gli sputò in faccia e, poiché quello si era adirato, disse: “non avevo un luogo più adatto”.»13 Il possesso, in tutte le sue forme, è vantaggioso solo se è parte di un progetto di vita felice, solo se facilita l’espressione della propria libertà. Lo sfarzo, l’ostentazione, il lusso sfacciato, compiaciuto e pubblicizzato come fine assoluto è dunque esecrato da Aristippo. Ad un servo che trasportava il suo denaro – e che si lamentava del peso 11 Si confronti Parmenide, Poema sulla natura, frammento 6,5, in: Parmenide, Frammenti, Marcos Y Marcos, Milano, 1990, p.23. 12 Michel Onfray, L’invention du plaisir. Fragments cyrénaïques, Librairie générale française, Paris, 2002, p.49. «Né patrizio né plebeo, né borghese né proletario, Aristippo si fa beffe di mostrine, gerarchie e delle dolcezze melense che preoccupano i più: il denaro e il potere, la famiglia, il lavoro, gli amori e le ricchezze, la reputazione e la considerazione sociale. Autonomo, indipendente, soggetto radicale e soggettività radiosa, individuo solare e solitario, egli applica e chiama in causa la propria filosofia nella propria vita quotidiana, testimonia attraverso l’incarnazione, in tutte le sue forme.» Traduzione a cura dell’Autore. 13 Diogene Laerzio, Le vite dei filosofi, II, 75, 22-26, I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit, p.180; il passo è edito anche nell’antologia di Onfray (L’invention du plaisir. Fragments cyrénaïques) a pag. 180. 4 eccessivo – egli risponde: «lascia il sovraccarico e porta quanto puoi»14. Durante un viaggio in mare il nostro pensatore, essendo assediato dai pirati, decide di buttare il proprio oro in acqua15; e ancora, nella toccante lettera-testamento che il filosofo avrebbe scritto alla figlia Arete – e che una parte della critica ritiene ancora autentica – egli le raccomanda: «per prima cosa bada di prenderti cura del piccolo Aristippo,16 affinché sia degno di noi e della filosofia; questo infatti è il solo patrimonio che gli lascio[…].»17 Il possesso - spiega l’edonista sui generis Aristippo di Cirene – mai deve essere ingombro, ostacolo, motivo di affanno. La cosa umana deve imparare a misurare se stessa. Non esiste una felicità costruita d’oro puro, né istante perfetto per chi si preoccupi del suo costo, né spettacolo della vista per chi sia schiacciato dai bagagli, né fulgore dell’attimo per chi stia già puntando al futuro. 14 Diogene Laerzio, II, 77, 13-14 ;ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit, p.183. Si confronti: Diogene Laerzio, II, 77, 14-18; ne I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit, p.183. 16 Si tratta del nipote del nostro filosofo. 17 I Cirenaici, Testimonianze e frammenti, ed. cit, p.361 15 5