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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum Anno CLVII n. 29 (47.463) POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano domenica 5 febbraio 2017 . Denunciata dal Pontefice l’idolatria del sistema finanziario che sta distruggendo milioni di famiglie In vista del capitolo del Sovrano militare ordine di Malta Un’altra economia è possibile L’arcivescovo Becciu delegato speciale del Papa Per cambiare le regole di un capitalismo che continua a produrre scarti Denunciando l’idolatria di un sistema finanziario che sta distruggendo milioni di famiglie, Francesco invoca un cambiamento nelle regole del capitalismo che continua a produrre scarti. L’auspicio è contenuto nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro sull’economia di comunione — promosso dal movimento dei Focolari — ricevuti nella tarda mattinata di sabato 4 febbraio. Per la sua riflessione il Papa ha preso spunto dai due termini, “economia” e “comunione”, che «la cultura attuale tiene ben separate», anzi «considera opposte». E che invece gli eredi spirituali di Chiara Lubich hanno voluto unire, raccogliendo l’invito della fondatrice. Il Papa ha approfondito tre tematiche riguardanti il denaro, la povertà e il futuro. Riguardo alla prima ha sottolineato l’importanza della «comunione degli utili», perché il denaro «è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli». Altra cosa è farlo diventare idolo, per cui «quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una forma di culto». Quanto alla povertà, il Pontefice ha elogiato le «molteplici iniziative, pubbliche e private» per combatter- la. E ha ricordato come «la ragione delle tasse» stia «anche in questa solidarietà, che viene negata dall’evasione ed elusione fiscale». Ma nonostante ciò, ha avvertito, «il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare». Un’ipocrisia evidente che va sconfitta puntando a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Riguardo al futuro, infine, Francesco spera in una crescita di questa «esperienza che per ora è limitata a un piccolo numero di imprese». Una speranza ispirata al principio della reciprocità, perché — ha ricordato — «la comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni». L’augurio conclusivo è quello di «continuare ad essere seme, sale e lievito di un’altra economia», dove «i ricchi sanno condividere le loro ricchezze» e i poveri sono chiamati beati». PAGINA 8 y(7HA3J1*QSSKKM( +_!"!$!z!,! Sono minori la metà dei migranti al mondo BRUXELLES, 4. «Metà dei rifugiati sono minori». È quanto denuncia l’Unicef, ricordando che nel mondo «circa 50 milioni di bambini sono stati sradicati dalle loro case per conflitti o povertà». Intanto, ad Atene i cittadini sono scesi in piazza per protestare dopo l’ennesima tragedia in un campo profughi a Lesbo: in una settimana sono morti cinque giovani profughi a causa delle condizioni inaccettabili di vita del loro centro di accoglienza. Il più grande numero di bambini rifugiati proviene dalla Siria, cioè oltre 2,3 milioni di piccoli: Poi c’è l’Afghanistan con 1,3 milioni. Ma in generale nelle varie aree del mondo «sono 28 milioni i bambini che hanno lasciato le proprie terre a causa di conflitti che non hanno voluto, mentre altri milioni migrano con la speranza di trovare una vita migliore e più sicura». L’agenzia dell’O nu per l’infanzia ha lanciato un video che presenta in parallelo le storie di un giovane rifugiato siriano e quello di un uomo, anch’egli rifugiato da bambino durante la seconda guerra mondiale. «Una dura testimonianza delle sfide che i bambini rifugiati continuano ad affrontare». Intanto, le piazze della capitale greca si sono riempite ieri di gente, che ha sfilato in modo pacifico ma deciso per protestare contro le situazioni disumane che si sono create nei centri di accoglienza per i profughi, in particolare sulle isole. La manifestazione ad Atene è stata organizzata dopo che, in pochi giorni, cinque giovani hanno perso la vita nel disperato tentativo di difendersi dal freddo con metodi di fortuna, fuoco o stufette inaffidabili. Una realtà disumana che ha portato molta gente a scandire slogan come «date riparo ai migranti». Il governo greco aveva assicurato che durante i mesi invernali avrebbe cercato di trovare posto per i migranti in appartamenti e hotel. E mentre in Grecia molti profughi sono rimasti praticamente bloccati dalla burocrazia delle procedure per la richiesta di asilo, sulle coste italiane continuano ad arrivare migliaia di migranti. Oltre 1300 sono stati salvati nella sola giornata di ieri nel Mediterraneo centrale e nel pomeriggio sbarcheranno nei vari porti dell’Italia meridionale. Le operazioni di soccorso nel Canale di Sicilia in poche ore sono state 13, tutte coordinate dalla guardia costiera italiana. In vista del capitolo straordinario che dovrà eleggere il nuovo gran maestro del Sovrano militare ordine di Malta, Papa Francesco ha nominato l’arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, suo delegato speciale con «tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere». Di seguito la lettera di nomina — datata giovedì 2 febbraio e resa nota sabato 4 — nella quale il Pontefice auspica anche «uno studio in vista dell’opportuno aggiornamento della Carta costituzionale» dell’ordine. Al venerato Fratello Mons. GIOVANNI ANGELO BECCIU Arcivescovo titolare di Roselle Sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato All’inizio del cammino di preparazione in vista del Capitolo straordinario che dovrà eleggere il nuovo Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta, con la presente La nomino in data odierna mio Delegato speciale presso quel benemerito Ordine. Ella agirà in stretta collaborazione con S.E. il Ven. Balì Fra’ Ludwig Hoffmann von Rumer- Dan Nuttall, «Competitive exclusion» (2016) Nella denuncia dell’Onu pesanti accuse all’esercito del Myanmar Violenze inarrestabili sui rohingya GINEVRA, 4. Omicidi, stupri di massa, neonati massacrati, persone uccise nell’incendio delle loro case. Lascia poco spazio all’immaginazione la drammatica denuncia dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr) sui «crimini contro l’umanità» perpetrati dallo scorso ottobre dalle forze di sicurezza del Myanmar contro la minoranza etnica musulmana dei rohingya. Il duro e grave atto di accusa, contenuto in un dettagliato rapporto dell’Unhchr pubblicato ieri a Ginevra, è frutto delle testimonianze di oltre duecento rohingya che sono riusciti a scappare dalle violenze, trovando rifugio in Bangladesh. Molti dei testimoni hanno riferito che almeno un membro della propria famiglia è stato ucciso dall’inizio dell’offensiva dell’esercito, mentre più della metà delle donne ha su- Un gruppo di profughi rohingya (Ap) bito uno stupro o un’aggressione sessuale. Nel rapporto dell’alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, tra le tante efferatezze di cui sono accusate le forze di sicurezza del Myanmar, l’omicidio di un bimbo di soli 8 mesi, ucciso perché piangeva disperato mentre agenti abusavano della madre. Una ragazza ha raccontato di avere visto con i propri occhi soldati calpestare a morte con gli stivali un neonato e poi bruciare la casa dove abitava. I rohingya sono considerati dalle Nazioni Unite una delle minoranze più perseguitate al mondo. Si tratta di un gruppo etnico musulmano che vive principalmente nel nordovest del Myanmar, nello stato del Rakhine, uno dei più poveri della regione, che conta circa un milione di abitanti rohingya su una popolazione di tre milioni di persone, a maggioranza buddista. Per il governo del Myanmar, sono soltanto immigrati bengalesi che vivono illegalmente all’interno del paese. Di conseguenza, i loro diritti allo studio, al lavoro, ai viaggi e alla libertà di praticare la propria religione e di accedere ai servizi sanitari di base sono limitati. Oltre 140.000 rohingya, soprattutto donne e bambini, vivono tra enormi sofferenze in fatiscenti campi profughi, che non possono lasciare senza il permesso del governo. Altri vivono in villaggi, presi spesso di mira dai soldati. Le operazioni militari contro i rohingya sono iniziate in ottobre, dopo l’uccisione di nove guardie di frontiera, attribuita a musulmani. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, i militari giungono nei villaggi a notte fonda, attaccando con l’aiuto di elicotteri che mitragliano dall’alto le capanne mentre la gente dorme. Intere famiglie muoiono arse vive fra le fiamme delle loro case, prosegue il rapporto dell’Unhchr, che denuncia anche la distruzione di negozi, moschee e scuole. Si registrano anche casi di torture e di persone scomparse. Chi può, fugge. La foto simbolo della tragedia dimenticata e della sofferenza del popolo rohingya, apparsa circa un mese fa sui media di tutto il mondo, è quella del piccolo Mohammed, un bambino di soli sedici mesi a faccia in giù nel fango, morto annegato durante la fuga con la sua famiglia. stein, Luogotenente Interinale, per il maggior bene dell’Ordine e la riconciliazione tra tutte le sue componenti, religiose e laicali. Ella affiancherà e sosterrà il Luogotenente nella preparazione del Capitolo straordinario, e insieme deciderete le modalità di uno studio in vista dell’opportuno aggiornamento della Carta Costituzionale dell’O rdine e dello Statuto Melitense. Lei, in particolare, curerà tutto ciò che attiene al rinnovamento spirituale e morale dell’O rdine, specialmente dei Membri professi, affinché sia pienamente realizzato il fine «di promuovere la gloria di Dio mediante la santificazione dei Membri, il servizio alla Fede e al Santo Padre e l’aiuto al prossimo», come recita la Carta Costituzionale. Fino al termine del Suo mandato, cioè fino alla conclusione del Capitolo straordinario che eleggerà il Gran Maestro, Lei sarà il mio esclusivo portavoce in tutto ciò che attiene alle relazioni tra questa Sede Apostolica e l’Ordine. Le delego, pertanto, tutti i poteri necessari per decidere le eventuali questioni che dovessero sorgere in ordine all’attuazione del mandato a Lei affidato. Mentre La ringrazio per la disponibilità ad assumere il suddetto incarico, Le assicuro la mia preghiera e Le impartisco di cuore la Benedizione Apostolica, che volentieri estendo a tutti i membri dell’O rdine. Dal Vaticano, 2 febbraio 2017 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali: — Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi; — Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia all’ufficio di Ausiliare della Diocesi Patriarcale di Gerusalemme dei Latini, presenta- Trump vara nuove norme per Wall Street WASHINGTON, 4. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha firmato due provvedimenti esecutivi per allentare la regolamentazione finanziaria attraverso il riesame della legge Dodd-Frank voluta dal suo predecessore Barak Obama nel 2010 per fronteggiare la crisi economica. Uno dei due interventi riguarda la cosiddetta fiduciary rule e l’altro i “principi chiave” che guidano il dipartimento del tesoro nell’attuare le regolamentazioni finanziarie. «Quello che stiamo firmando oggi sono principi chiave che regolano il sistema finanziario degli Stati Uniti», ha detto la deputata repubblicana Ann Wagner, stretta collaboratrice di Trump in questo ambito. «Quello che stiamo facendo è restituire il controllo del proprio risparmio al popolo americano, agli investitori con redditi bassi e medi, ai pensionati», ha aggiunto. Intanto un giudice federale di Seattle, James Robart, ha sospeso in maniera temporanea e su tutto il territorio nazionale il divieto di ingresso nel paese imposto dalla Casa Bianca agli immigrati di sette paesi a maggioranza musulmana e ai rifugiati. La sospensione resterà in vigore fino a quando il giudice Robart prenderà una decisione definitiva sulla legalità dell’ordine presidenziale o fino a che una istanza giudiziaria superiore non decida di rimuoverla. L’amministrazione ha annunciato che gli avvocati della Casa Bianca presenteranno «il prima possibile» un ricorso. «L’ordine esecutivo ha l’obiettivo di proteggere il paese e il presidente ha il dovere costituzionale e la responsabilità di proteggere gli americani», si legge in un comunicato dell’amministrazione statunitense. ta da Sua Eccellenza Monsignor Maroun Elias Lahham, Arcivescovo titolare di Medaba. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di Tarahumara (Messico) il Reverendo Padre Juan Manuel González Sandoval, M.N.M., Parroco del Sagrado Corazón nella medesima Diocesi. Mostra per i cento anni di Trento Longaretti «Cristo fra Oriente e Occidente» (1971) PAGINA 5 L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 domenica 5 febbraio 2017 La firma dell’Accordo quadro tra Santa Sede e Repubblica del Congo Piano sui migranti mentre si parla di Europa a due velocità Mediterraneo e futuro dell’Ue BRUXELLES, 4. L’Europa approva il piano per chiudere la rotta dei migranti dalla Libia verso l’Italia, con la promessa di fare qualcosa per migliorare le condizioni di vita nei centri dove verranno riportati. Intanto, per il futuro dell’Ue riemerge l’idea di un’unione a due velocità. È il cancelliere tedesco Angela Merkel a parlarne. Nel vertice informale di Malta, che si è svolto ieri, i 28 hanno dato il via libera alle proposte di azione preparate dall’alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune dell’Ue, Federica Mogheri- Identificato l’attentatore al museo del Louvre PARIGI, 4. È stato identificato l’attentatore che ieri ha sferrato un attacco con due machete all’ingresso del Carrousel du Louvre, a Parigi, ferendo due militari prima di essere ferito a sua volta da un terzo soldato. L’uomo è egiziano si chiama Abdallah E. H., ha 29 anni ed era arrivato in Francia con un volo da Dubai, atterrato all’aeroporto di Roissy Charles de Gaulle lo scorso 26 gennaio. Incensurato, aveva ottenuto un regolare visto e sarebbe dovuto ripartire domenica prossima. Il procuratore François Molins ha precisato che l’uomo, ferito al ventre e attualmente ricoverato in condizioni critiche, aveva acquistato «i due machete in un’armeria vicino alla Bastiglia il 28 gennaio». Sul suo passaporto, ha aggiunto, sono presenti i visti per l’Arabia Saudita e la Turchia, risalenti al 2015 e il 2016. «La minaccia terroristica è sempre presente e noi dobbiamo farvi fronte», ha commentato il presidente francese François Hollande, a Malta per partecipare al vertice dell’Unione europea. I militari aggrediti fanno parte dei 7500 soldati impegnati nell’operazione Sentinelle, un piano di sicurezza attivato nel paese nel gennaio 2015, subito dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo. L’operazione fu organizzata in soli tre giorni mobilitando fino a 10.500 militari sul territorio, con l’obiettivo di «dissuadere e proteggere» e affiancare le forze dell’ordine. Il progetto è andato avanti nel corso dei mesi fino a una sua riorganizzazione nel settembre 2016. Intanto, è stato reso noto che il museo del Louvre, chiuso ieri dopo l’attacco, è stato riaperto oggi. ni, e dalla commissione europea per fermare i flussi nel Mediterraneo. Lo hanno fatto dopo aver salutato con favore l’accordo firmato, a Roma, dal presidente del consiglio dei ministri italiano, Paolo Gentiloni, e il capo del governo di unità nazionale libico, Fayez Al Sarraj, che a livello bilaterale propone lo stesso tipo di intervento. In sostanza, si tratta di assicurare contributi finanziari e formazione professionale alle forze di Tripoli perché blocchino le partenze o gestiscano i salvataggi e i rientri dei migranti che si avventurano dalle coste libiche a quelle italiane. Il piano punta a tagliare gli arrivi dal paese africano, così come l’intesa di un anno fa tra Bruxelles e Ankara ha fatto crollare del 98 per cento quelli dalla Turchia. Allora sono stati impegnati tre miliardi in tre anni, ora ci sono 200 milioni aggiuntivi per il 2017 dal bilancio europeo e, forse, altri contributi da Francia e Germania. La Caritas italiana denuncia però i rischi di un accordo «fatto contro i più deboli» definendolo «un’operazione a perdere per tutti». L’O rganizzazione internazionale per i migranti (Oim) e l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) raccomandano invece la serietà di «investimenti e presenze, per rendere la permanenza dei rifugiati più civile umana e organizzata». Joseph Muscat, primo ministro di Malta, presidente di turno dell’Ue, ha dichiarato che «per la prima volta si raggiungono progressi importanti e allo stesso tempo c’è unità, due aspetti che non vanno sottostimati». E proprio l’unità viene invocata a proposito degli altri due temi affrontati nel vertice, che rappresentano le sfide più urgenti per Bruxelles. Secondo quanto emerso dalle varie dichiarazioni dei leader, il primo tema è quello del rapporto con gli Stati Uniti con la presidenza di Donald Trump. A questo proposito, alcuni si sono detti d’accordo con il presidente francese, François Hollande, che ha definito «inaccettabile il fatto che il tycoon-presidente faccia pressioni su quello che l’Europa debba o non debba essere». L’altro tema è il futuro della Ue dopo la Brexit, che — ha affermato Angela Merkel — potrebbe essere a «differenti velocità». Secondo Merkel, i leader europei potrebbero impegnarsi in tal senso fin dal prossimo 25 marzo, quando si incontreranno a Roma per le celebrazioni del sessantesimo anniversario del Trattato che istituì la comunità europea. In quell'occasione i leader europei saranno chiamati a tracciare la tabella di marcia da seguire per ripensare un’Europa senza il Regno Unito. Merkel ha dichiarato che «non tutti parteciperanno ai vari passi dell’integrazione europea». Già nel vertice a La Valletta altri hanno avanzato proposte. Ad esempio, i tre paesi del Benelux hanno ribadito che tra le priorità assolute dei prossimi mesi deve esserci l’obiettivo di sviluppare la difesa comune europea. Accordo quadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Congo Venerdì 3 febbraio, a Brazzaville, presso il Palazzo del popolo della Repubblica del Congo, alla presenza del Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. Denis Sassou-N’guesso, è stato firmato l’«Accordo quadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Congo sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato». Per la Santa Sede ha firmato l’Em.mo Card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, e per la Repubblica del Congo S.E. il Sig. Clément Mouamba, Primo Ministro. Hanno assistito al solenne atto: Per parte della Santa Sede: S.E. Mons. Francisco Escalante Molina, Comprensione e collaborazione Di seguito pubblichiamo una traduzione italiana del discorso pronunciato dal cardinale segretario di Stato durante la cerimonia per la firma dell’Accordo quadro tra Santa Sede e Repubblica del Congo. Signor presidente della Repubblica del Congo, signor primo ministro, signor ministro degli Affari esteri e della cooperazione, cari confratelli nell’episcopato, signori membri del Governo e membri del corpo diplomatico, distinti ospiti, Sono onorato e lieto di trasmettere a lei, signor presidente, e a tutte le autorità dello Stato, i saluti paterni di sua Santità Papa Francesco, con la sua propizia benedizione apostolica estesa a tutto l’amato popolo della Repubblica del Congo. L’evento di questo giorno costituisce una nuova tappa, d’importanza storica, nelle relazioni tra la Santa Sede e la Repubblica del Congo. È in un clima gioioso e festivo che celebriamo oggi il quarantesimo anniversario delle nostre relazioni diplomatiche, con la firma dell’Accordo quadro tra la Repubblica del Congo e la Santa Sede sulle relazioni tra lo Stato e la Chiesa cattolica. Si estende la protesta in Romania L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Imponente manifestazione nella capitale romena (Afp) Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione le della Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato; Rev.do Patrick Han Saw Zay, Segretario della Nunziatura Apostolica. Per parte della Repubblica del Congo: S.E. Sig. Firmin Ayessa, Ministro di Stato e Direttore del Gabinetto del Presidente della Repubblica; S.E. Sig. Raymond Zéphirin Mboulou, Ministro degli Interni, Decentralizzazione e Sviluppo Locale; S.E. Sig. Jean Claude Gakosso, Ministro degli Affari Esteri, della Cooperazione e dei Congolesi all’estero; Sig. Jean Baptiste Ondaye, Segretario Generale della Presidenza della Repubblica; Sig. Benjamin Boumakani, Segretario Genera- Il discorso del cardinale segretario di Stato Oltre 250.000 in piazza contro il decreto che depenalizza la corruzione BUCAREST, 4. Per il terzo giorno consecutivo, oltre 250.000 persone sono scese in piazza nelle principali città della Romania per protestare contro il decreto del governo, che ha depenalizzato la corruzione e l’abuso di ufficio. Le manifestazioni, hanno detto gli organizzatori, andranno avanti a oltranza finché il governo guidato dal premier socialdemocratico, Sorin Grindeanu, non ritirerà il provvedimento. Il presidente, Klaus Iohannis, si è schierato dalla parte dei dimostranti e ha annunciato che chiederà alla Corte costituzionale di dichiarare illegittimo il decreto governativo, che riporterebbe in libertà le decine di politici, magistrati, funzionari pubblici e uomini d’affari finiti dietro le sbarre dopo che, negli anni scorsi, le inchieste della magistratura avevano confermato numerosi casi di corruzione. Nunzio Apostolico in Congo; S.E. Mons. Anatole Milandou, Arcivescovo di Brazzaville; S.E. Mons. Daniel Mizonzo, Vescovo di Nkai e Presidente della Conferenza Episcopale; S.E. Mons. Louis PortellaMbuyu, Vescovo di Kinkala; S.E. Mons. Miguel Angel Olaverri S.D.B., Vescovo di Pointe-Noire; S.E. Mons. Yves Marie Monot, Vescovo di Ouesso; S.E. Mons. Jean Gardin, Vescovo di Impfondo; S.E. Mons. Victor Abagna Mossa, Vescovo di Owando; S.E. Mons. Urbain Ngassongo, Vescovo di Gamboma; S.E. Mons. Bienvenu Manamika, Vescovo di Dolisie; Rev.do Mons. Gianfranco Gallone, Officia- le del Governo; Sig. Martin Adouki, Consigliere del Presidente della Repubblica, Capo del Dipartimento Diplomatico; Sig. Cyprien Sylvestre Mamina, Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri; Sig.ra Gisèle Ngondo, Direttore del Gabineto del Ministro degli Affari Esteri; Sig. Jean Jacques Luc Nianga, Segretario Generale aggiunto del Ministero degli Affari Esteri; Sig. Albert Nkoua, Segretario Generale aggiunto, Capo del Dipartimento per Africa, Europa, America, Asia e Oceania; e Sig. Sidney Audrey Adoua Mbongo, Direttore degli Affari Giuridici presso il Ministero degli Affari Esteri. L’Accordo quadro, costituito da un preambolo e 18 articoli, garantisce alla Chiesa la possibilità di svolgere la propria missione nel Congo. In particolare, viene riconosciuta la personalità giuridica della Chiesa e delle sue istituzioni. Le due parti, pur salvaguardando l’indipendenza e l’autonomia che sono loro proprie, si impegnano a collaborare per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la promozione del bene comune. L’Accordo quadro entrerà in vigore con lo scambio degli strumenti di ratifica. Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va Come sapete, dal 1977 la Santa Sede e il Congo hanno rafforzato i rapporti di amicizia che già intrattenevano nel quadro della comunità internazionale, stabilendo relazioni diplomatiche formali, con, per quanto riguarda la Santa Sede, l’istituzione di una nunziatura apostolica a Brazzaville e la conseguente presenta stabile nel Paese di un nunzio apostolico. La presenza a livello locale di una tale rappresentanza pontificia permette alla Santa Sede di facilitare il dialogo con le autorità civili, di promuovere i contatti tra le Chiese locali e di mantenere la sua presenza nella vita internazionale. Come enuncia il Codice di diritto canonico, oltre al suo ruolo di rappresentante del Santo Padre presso la Chiesa locale, il nunzio apostolico ha la missione di promuovere e di sostenere le relazioni tra la Sede apostolica e la comunità politica e istituzionale, così come di affrontare le questioni che concernono i rapporti tra la Chiesa e lo Stato (cfr. canone 365, § 1). Come il passato ci illumina per capire il presente e costruire un futuro migliore, così i valori spirituali e morali che hanno accompagnato finora il nostro cammino comune, continueranno a ispirarci nelle nostre decisioni di oggi e di domani. Concludiamo in questo giorno un accordo bilaterale riguardante disposizioni d’interesse comune per la vita e l’attività della comunità cattolica in Congo. Queste concernono, in particolare, il riconoscimento, nell’ambito civile, della personalità giuridica pubblica della Chiesa cattolica, e delle sue principali istituzioni, l’indipendenza della Chiesa cattolica nel culto e nell’apostolato, e il suo apporto specifico nei diversi ambiti della vita del Paese. La visita storica di san Giovanni Paolo II in Congo, nel maggio del 1980, ha costituito una testimonianza visibile della sollecitudine della Santa Sede verso questo amato paese, e l’accordo che abbiamo appena firmato vuole simboleggiare la realizzazione di ciò che Papa Giovanni Paolo II aveva allora espresso, nel suo discorso rivolto al presidente del Congo e alla nazione: «Lo Sta- Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale to può contare sulla leale collaborazione della Chiesa, dal momento che si tratta di servire l’uomo e di contribuire al suo progresso integrale. E la Chiesa, in nome della sua missione spirituale, chiede da parte sua la libertà di rivolgersi alle coscienze così come la possibilità per i credenti di professare pubblicamente, di alimentare e di annunciare la loro fede... La libertà religiosa è infatti al centro del rispetto di tutte le libertà e di tutti i diritti inalienabili della persona» (Viaggio apostolico in Africa, Discorso di Giovanni Paolo II al presidente della Repubblica del Congo e alla nazione, Brazzaville, 5 maggio 1980). Anche se la Chiesa e la comunità politica operano in modo indipendente e su piani diversi, entrambe servono gli stessi soggetti, che spesso sono al contempo fedeli della Chiesa e cittadini dello Stato. In questa missione di servizio a favore della dignità di ogni uomo, ampio è lo spazio per il dialogo e la cooperazione. In realtà è al centro di questa mutua cooperazione che si colloca il nostro impegno per il bene comune e per la promozione dei valori spirituali e morali che conferiscono alla società congolese il suo fondamento e la sua solidità. Speriamo che questo accordo quadro — che riprende in modo ideale la pratica della Santa Sede di consolidare legami duraturi di amicizia con tutti i paesi in cui opera — avrà una portata rilevante e positiva, non solo per questo paese, ma anche per tutta la regione. È bene sottolineare che con questo accordo la Chiesa cattolica non cerca in alcun modo di ottenere privilegi particolari a spese di altre confessioni. Si tratta semplicemente di definire qui il quadro giuridico dell’attività della Chiesa cattolica e dei suoi rapporti con l’autorità civile, per il bene dei fedeli e della società congolese. È ardente desiderio della Sede Apostolica di accompagnare con sollecitudine il popolo congolese nelle sfide attuali a cui deve far fronte. A tale proposito, la Santa Sede spera vivamente che l’accordo permetta in particolare di rafforzare non solo la comprensione reciproca, Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 ma anche la collaborazione tra le comunità religiose, e ciò, in modo ancora più fruttuoso per il bene del paese, in questa fase importante della sua storia. Confidiamo che l’attuazione di tale accordo possa contribuire all’irradiamento della Repubblica del Congo sul piano internazionale, attestando ancora che il Congo tratta con rispetto le comunità religiose e attribuisce una reale importanza ai principi del diritto riconosciuti a livello internazionale, e in particolare al principio fondamentale di libertà religiosa: è in tal senso che il documento costituisce anche un bene a favore di tutte le istanze religiose, cattoliche e non cattoliche. Signor presidente, La ringrazio per la sua ospitalità e la sua accoglienza. Ringrazio il primo ministro per i nobili sentimenti che ha voluto esprimerci. Anche noi siamo convinti che l’accordo quadro rappresenti uno sviluppo positivo nel consolidamento dello Stato di diritto e dei principi democratici sui quali il Congo s’impegna a rafforzare il proprio avvenire. A nome della Santa Sede, vorrei ringraziare le più alte autorità dello Stato e tutte le persone che hanno contribuito alla felice conclusione dei negoziati. Esprimo profonda gratitudine al primo ministro, al ministro degli Affari esteri, ai membri del Senato e dell’Assemblea. Rivolgo un ringraziamento particolare ai membri della commissione bipartita del Governo e della Santa Sede, che hanno assunto, con grande dedizione e in uno spirito di fiducia reciproca, il delicato compito di armonizzare le diverse proposte. Concludendo, desidero formulare il mio più vivo augurio di progresso alla Repubblica del Congo, non solo sul piano materiale, ma anche e soprattutto sul piano spirituale. Questo augurio, che accompagniamo con la nostra fervente preghiera, è che le relazioni tra le alte parti contraenti possano continuare a svilupparsi negli anni futuri e che le disposizioni del presente accordo internazionale concorrano al mantenimento della convivenza pacifica, come anche allo sviluppo integrale del Paese. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 febbraio 2017 pagina 3 Civili in attesa degli aiuti umanitari in un campo profughi nei pressi di Mosul (Ap) Il fenomeno del superlavoro tra i giovani giapponesi Vittime del karoshi GINEVRA, 4. Fino a 250.000 iracheni potrebbero fuggire dalle loro case a Mosul in previsione di una nuova offensiva militare nei quartieri occidentali della città ancora occupati dai jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). L’allarme è stato lanciato dalle Nazioni Unite mentre l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e altre agenzie e partner già si preparano a rispondere a questa «possibile, nuova, significativa fuga di iracheni» come ha dichiarato il portavoce Matthew Saltmarsh ai giornalisti a Ginevra. Nei quartieri occidentali di Mosul vivono circa 750.000 persone. Decine di migliaia sono fuggite dalla città dopo l’avvio, a metà ottobre, dell’offensiva militare contro l’Is nei quartieri orientali. L’Unhcr ha allestito sette campi di accoglienza (altri due sono in fase di costruzione) e al momento è garantita l’assistenza a circa 11.000 famiglie (circa 66.000 persone). E, intanto, l’acqua potabile torna a scorrere a Raqqa, roccaforte dell’Is da Tokio CRISTIAN MARTINI GRIMALDI Secondo l’Onu la battaglia potrebbe provocare altri 250.000 profughi In fuga da Mosul nel nord-est della Siria rimasta a secco a seguito di una serie di raid aerei. «L’acqua inizia a tornare in città dopo che sono state riparate alcune condutture idriche colpite» hanno confermato all’agenzia di stampa Dpa gli attivisti del gruppo «Al-Raqqa is Being Slaughtered Silently». Raqqa è sotto il controllo dell’Is dal 2014 e si ritiene che nella città vivano più di 200.000 persone. Negli ultimi mesi la zona è stata obiettivo di raid aerei effettuati sia dalla coalizione internazionale anti-Is che dalla Russia. Nel frattempo, il ministero degli esteri russo ha denunciato che proiettili di mortaio hanno colpito l’area in cui sorge l’ambasciata russa a Damasco. Secondo Mosca, si tratta di «un nuovo attacco terroristico» che ha «l’evidente obiettivo di infrangere il regime di cessazione delle ostilità e far deragliare gli sforzi nel processo politico siriano». Dopo l’attacco dei miliziani huthi a una fregata saudita Colloquio tra il premier Abe e il capo del Pentagono Mattis Nave statunitense al largo dello Yemen Tokyo e Washington rafforzano l’alleanza SANA’A, 4. Significativo messaggio dell’amministrazione Trump sia all’Iran — cui sono state inflitte nuove sanzioni — che all’Arabia Saudita, con la quale, durante la presidenza Obama, i rapporti si erano molto raffredati. Il Pentagono ha inviato nelle acque a largo delle coste occidentali dello Yemen il cacciatorpediniere Uss Cole (la nave colpita il 12 ottobre 2000 nel porto di Aden da un barchino suicida in quello che viene considerato il primo attentato di Al Qaeda contro gli Stati Uniti in cui morirono 17 marinai americani, quasi un anno prima dell’11 settembre 2001) in risposta all’attacco condotto martedì 30 gennaio dai ribelli huthi, contro una fregata saudita. La Uss Cole, che stava operando nel golfo persico, sarà ora nelle ac- Sanzioni degli Stati Uniti a Teheran WASHINGTON, 4. Gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni a carico dell’Iran, dopo il lancio sperimentale di un missile balistico effettuato domenica scorsa da Teheran. Si tratta delle prime sanzioni varate dall’amministrazione di Donald Trump, che ne aveva preannunciato l’adozione. E secondo il ministero del tesoro americano riguarderanno 25 soggetti, individui e imprese nella stessa Repubblica islamica ma anche in Cina, paese indicato come sostenitore del programma missilistico di Teheran. Si tratta peraltro di provvedimenti distinti rispetto a quelli tuttora in vigore relativi alle attività nucleari di Teheran. «L’ininterrotto appoggio iraniano al terrorismo e lo sviluppo del suo programma per missili balistici, rappresentano una minaccia all’intera regione, ai nostri alleati in tutto il mondo e agli stessi Stati Uniti» ha affermato in un comunicato John Smith, direttore ad interim dell’ufficio per il controllo delle proprietà straniere presso il dicastero del tesoro. L’Iran reagirà in maniera «speculare» alla decisione dell’amministrazione Trump e prenderà iniziative contro «individui e aziende statunitensi» che appoggiano gruppi «terroristi». Lo ha annunciato ieri sera il ministero degli esteri, a Teheran. que dello stretto di Bab El Mandeb (la porta delle lacrime), lo stretto di 30 chilometri che divide lo Yemen nella penisola arabica, da Gibuti in Africa. Stretto considerato uno dei cosiddetti checkpoint: gli stretti da cui transita la maggioranza delle petroliere. Il cacciatorpediniere «è stato spostato nella regione in risposta a quanto accaduto alla fregata saudita» ha riferito il Pentagono. Martedì tre barchini imbottiti di esplosivi, pilotati da attentatori suicidi si sono diretti a tutta velocità contro la nave da guerra saudita. Due sono stati neutralizzati mentre il terzo si è schiantato contro la poppa uccidendo due marinai di Riad. Lo schieramento del cacciatorpediniere statunitense nelle acque yemenite (nel paese è in corso una sanguinosa guerra che ha già provocato oltre 7300 morti, 40.000 feriti e circa tre milioni di sfollati) è un ulteriore avvertimento della nuova amministrazione di Washington a Teheran dal compiere nuove provocazioni, dopo il lancio di un missile balistico. Ma è anche un gesto di sostegno incondizionato a Riad con cui Trump intende ricucire i rapporti che si era incrinati dopo sotto la presidenza Obama. Nella stessa area dove incrocia ora il cacciatorpediniere Uss Cole operano da giorni due navi da guerra anfibie statunitensi la Comstock e Makin Island. TOKYO, 4. Il segretario alla difesa statunitense, James Mattis, in visita ufficiale a Tokyo, ha rassicurato il governo nipponico che l’alleanza tra Stati Uniti e Giappone continuerà a essere «una pietra miliare» per la stabilità nella regione. Confermando l’impegno di Washington a difendere il Giappone, anche sulla questione delle isole contese con la Cina, Mattis — durante un incontro con il primo ministro nipponico, Shinzo Abe — ha dichiarato che «gli Stati Uniti rimangono determinati a garantire la sicurezza del Giappone e il nostro impegno non è cambiato rispetto a un anno fa». La prima visita di un rappresentante della nuova amministrazione di Washington è servita, dunque, a rassicurare il Giappone sulla continuità della relazione strategica e militare che lega i due paesi all’interno della sempre più volubile regione dell’Asia-Pacifico. La visita di Mattis a Tokyo ha anche permesso di gettare le basi tra le due diplomazie in previsione dell’imminente incontro del 10 febbraio prossimo alla Casa Bianca tra Abe e il presidente statunitense, Donald Trump. Un’occasione — rilevano gli analisti — per discutere di alcuni temi scottanti sollevati da Trump durante la campagna presi- denziale: le accuse a Tokyo di svalutare la propria valuta e le procedure scorrette sui trattati commerciali. In base al trattato bilaterale sulla sicurezza tra i due paesi, gli Stati Uniti mantengono un contingente di circa 50.000 militari in Giappone, che servono a rispondere a ogni evenienza nella regione, inclusa la minaccia nucleare della Corea del Nord. Il governo di Tokyo sostiene che il regime comunista di Pyongyang ha ulteriormente sviluppato la capacità di gittata dei missili nucleari, dopo gli ultimi due test atomici condotti lo scorso anno e i lanci di oltre venti missili balistici. Tra le altre preoccupazioni di Tokyo, le dispute territoriali con Pechino nel Mar della Cina orientale. Anche su questo tema, Mattis ha confermato l’impegno degli Stati Uniti a sostegno dell’alleato. Prima di giungere a Tokyo, Mattis si era recato nella Corea del Sud. Nel corso di un vertice a Seoul con il presidente sudcoreano, Hwang Kyo-an, il capo del Pentagono ha confermato entro la fine del 2017 lo schieramento nella zona meridionale della Corea del Sud dei sofisticati sistemi antimissile statunitensi Thaad, come deterrenza verso la crescente minaccia nucleare nordcoreana. Il governo giapponese ha recentemente annunciato misure per ridurre la quantità di straordinari che i dipendenti possono fare, nel tentativo di contrastare il fenomeno delle morti da super lavoro (karoshi). In Giappone la morte da superlavoro non è affatto un evento raro. Nel 2015 il governo ha ufficialmente riconosciuto circa 2000 casi e si stima un numero ancora maggiore per il 2016. Ma se karoshi è diventata una parola ricorrente nei discorsi dei giapponesi lo si deve al caso di una ragazza ventiquattrenne che si è tolta la vita prima di Natale. La giovane si era gettata dal terzo piano della stanza del dormitorio nel quale viveva. I media internazionali non hanno evidenziato abbastanza questo particolare. Il luogo del suicidio la dice lunga, infatti, sul reale significato del lavoro per un giovane giapponese: mangiare e dormire nello stesso posto dove si lavora (soprattutto nei primi anni dopo l’assunzione) è una prassi quasi scontata. Il suicidio della ragazza è avvenuto in un’azienda tra l’altro già tristemente famosa per il trattamento disumano a cui sottoponeva da anni i propri dipendenti. Il grande clamore suscitato, e non solo in Giappone, da questo caso è dovuto ad alcuni messaggi diventati virali sui social media. La giovane, che totalizzava una media di 105 ore di straordinari al mese, aveva infatti condiviso su Twitter, senza giri di parole ed eufemismi, il proprio stato d’animo: «Hanno deciso ancora una volta che dovrò lavorare sabato e domenica. Ho seriamente voglia solo di farla finita». Si leggeva in uno dei suoi tweet poco prima di compiere il gesto estremo. Un sondaggio del governo giapponese ha rivelato che un quinto dei dipendenti del paese deve vedersela con il rischio di morte da superlavoro. Il 22,7 per cento delle imprese impiegano personale che produce più di 80 ore di straordinario al mese. Queste 80 ore — circa quattro ore al giorno da aggiungere ai normali orari di ufficio — sono ufficialmente conosciute come soglia oltre la quale il rischio di morte si moltiplica in modo drammatico. Ma nel 12 per cento delle aziende i dipendenti producono ben oltre le 100 ore mensili di straordinarie. Quasi il 30 per cento di questi dipendenti oberati di lavoro sono impiegati nel settore dell’It e delle comunicazioni, come in quelli del mondo accademico, dei servizi postali e di trasporto. Il governo sta cercando di attuare un cambiamento di mentalità all’interno delle aziende per incoraggiare maggiore flessibilità e, Dal voto per il rinnovo dei governi di cinque stati importanti indicazioni per la tenuta del governo Modi Test elettorale in India Donne in attesa di votare in un seggio nel Punjab (Ansa) NEW DELHI, 4. Importante test elettorale oggi in India, dove milioni di persone sono chiamate alle urne per rinnovare i governi di cinque stati. Le elezioni — che dureranno cinque settimane, pratica molto comune nel subcontinente — sono definite dagli analisti cruciali per il governo del premier nazionalista indù, Narendra Modi, perché fornirà il polso dell’opinione pubblica indiana dei suoi quasi tre anni al potere, soprattutto dopo la sua scelta, molto criticata, di mettere fuori corso i tagli più grossi delle banconote. Una mossa che lo scorso anno ha provocato mesi di crisi in un paese dove i conti correnti bancari non sono diffusi nella maggioranza della popolazione, abituata a conservare in contanti il proprio patrimonio. I tre principali partiti che si affrontano sono il Bharatiya Janata Party (Bjp, di Modi), il Congresso I (centro-sinistra) di Sonia Gandhi, attualmente guidato dal figlio Rahul, che uscì fortemente ridimensionato nelle legislative di maggio 2014, e l’App (partito dell’uomo comune) di Arvind Kejriwal. Le operazioni di voto inizieranno nel Punjab, a nord, e a Goa, l’ex colonia portoghese. Ma il test principale per Modi si avrà nello stato più popoloso, l’Uttar Pradesh, dove il Bjp ha vinto le legislative nel 2014. Si tratta dello stato che invia il maggior numero di deputati nella camera alta del parlamento indiano, dove il Bjp non ha la maggioranza. Secondo gli ultimi sondaggi, il Bjp dovrebbe perdere nel Punjab, dove è prevista una ripresa del partito del congresso I. Gli altri stati dove si voterà sono l’Uttarakhand e Manipur. Il risultato si conoscerà solo l’11 marzo prossimo. conseguentemente, ridurre lo stress. «Il Giappone ha bisogno di ridurre le ore dedicate al lavoro allo scopo di indirizzare il tempo alla famiglia, ai figli e anche alla cura degli anziani», ha ribadito recentemente un portavoce dell’esecutivo. Il primo ministro, Shinzo Abe, e il suo governo alla ricerca di un metodo efficace per imporre un limite allo straordinario stanno per varare un sistema chiamato «Premium Venerdì». La campagna, guidata dalla Japan Business Federation, permetterà ai lavoratori di lasciare presto l’ufficio l’ultimo venerdì di ogni mese. Ma i critici di questa iniziativa non hanno tardato a farsi sentire, mettendo in evidenza come con questa misura non si stabilisce in alcun modo un migliore equilibrio tra ore dedicate alla propria vita privata e quelle destinate al lavoro, tanto più che la Japan Business Federation ha relativamente pochi membri: 1300 aziende su oltre 2,5 milioni di imprese registrate. Allo stesso tempo il Giappone si ritrova a essere uno dei paesi al mondo meno generosi per quanto riguarda le ferie. I dipendenti hanno mediamente diritto a dieci giorni di ferie pagate, ma a zero festività nazionali retribuite (l’Australia, in confronto, offre 20 giorni di ferie pagate e otto giorni di festività pubbliche pagate). Non solo. Molti lavoratori non utilizzano nemmeno la metà dei giorni di ferie che hanno a disposizione. Allo stato attuale il governo giapponese punta a ridurre la percentuale di dipendenti che lavorano più di 60 ore alla settimana a meno del cinque per cento della forza lavoro totale, ed entro il 2020 (data non certo casuale, in quanto è l’anno delle Olimpiadi che si svolgeranno a Tokyo, ovvero quando gli occhi di tutto il mondo saranno puntati sul paese) intende convincere i lavoratori a prendersi almeno il 70 per cento delle vacanze a cui hanno diritto. Ma il problema delle morti da superlavoro difficilmente potrà essere risolto dall’alto: attraverso una legislazione tra l’altro già sperimentata in anni passati e con scarsi risultati. Il karoshi è un problema che nasce innanzitutto dalle dinamiche sociali all’interno della società giapponese: la pressione sociale in combinazione con il desiderio di non deludere le aspettative da parte di familiari, colleghi e superiori rende difficile convincere i lavoratori a compiere scelte più “salutari”. E lo è ancor di più quando per tutta la vita è stato loro insegnato che ciò che conta non è il proprio stato d’animo — di un progetto di vita vagamente felice neppure si parla — ma la sicurezza materiale, ovvero ottenere un buon posto di lavoro e mantenerlo a tutti i costi, anche i più estremi. Duterte interrompe la tregua con i ribelli maoisti MANILA, 4. Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, ha posto fine al cessate il fuoco con i ribelli maoisti e ordinato alle forze armate di prepararsi alla ripresa dell’offensiva militare. La decisione — indicano gli analisti politici — è stata presa dopo che i ribelli avevano interrotto la tregua, lanciando diversi attacchi in risposta al rifiuto del governo di rilasciare alcuni prigionieri. Duterte, rilevano fonti ufficiali da Manila, ha sostenuto che le richieste dei ribelli erano divenute troppo esigenti. I militari filippini sono impegnati anche in una offensiva su tre fronti contro i gruppi estremisti di fondamentalisti nel sud del paese asiatico. Due giorni fa, il presidente Duterte ha altresì deciso di schierare l’esercito per fronteggiare i narcotrafficanti. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 domenica 5 febbraio 2017 Giambattista Tiepolo, «Martirio di Sant’Agata» (1730 circa) Sant’Agata nell’arte La Penelope di Hybla di FABRIZIO BISCONTI ella martire siciliana Agata, protagonista di un culto largo e disteso nel tempo, sino ai nostri giorni, abbiamo notizia proprio dagli Atti del giudizio e dell’uccisione della giovane donna, ma tali atti sono inseriti in una Passio Sanctae Agathae che, nella redazione giunta sino a noi, mostra le peculiarità narrative di uno scritto piuttosto tardo, che dall’età bizantina approda al medioevo. Inoltre, di questi Atti sono note varie redazioni, tra le quali una bizantina e due greche assai simili nella dinamica dei tragici fatti relativi al martirio, che devono essere discese da un unico documento, pur esso poco attendibile in tutti i suoi dettagli. Seppure la città di Palermo vanti i natali della martire, per quanto possiamo desumere dalle coordinate agiografiche autentiche della Passio, tutto si svolge a Catania, come ricordano anche i calendari e i martirologi, che ambientano in questa città la fine drammatica della giovane donna, durante la feroce persecuzione D Nel corso del medioevo il culto per la martire siciliana assunse un ruolo protettivo contro le eruzioni dell’Etna e contro gli incendi dell’imperatore Decio, il 5 febbraio del 251. Secondo gli Atti contenuti nella Passio, Agata avrebbe fatto parte di una nobile famiglia catanese e, anco- ra fanciulla, avrebbe fatto il voto di castità, per mantenere il quale avrebbe affrontato molte lotte, sempre coronate dalla vittoria finale. Al tempo della persecuzione di Decio — sempre secondo gli Atti — un certo Quintiano attentò alla castità della fanciulla, affidandola a una donna di facili costumi, che non riuscì a corromperla, per cui fu necessario condurla dinanzi al tribunale per farle confessare la sua condizione di convinta cristiana. La fermezza della donna provocò il primo supplizio: la flagellazione e la tortura con lame di ferro arroventate. Superata questa prova, Agata dovette affrontare l’amputa- zione delle mammelle per essere, poi, ricondotta in carcere, dove le apparve san Pietro che la risanò. Il feroce Quintiano ordinò di distendere la donna su un letto di vasi in frantumi e carboni ardenti, ma i carnefici furono uccisi dal crollo della prigione, avvenuto per un improvviso terremoto, mentre la martire serenamente innalzava preghiere a Dio e spirò. I compagni di fede composero il suo corpo in un sarcofago, che divenne oggetto di larga venerazione se vi si recavano anche i pagani, quando l’Etna eruttava. Il culto per la martire, dal quartiere di Hybla Maior, dove era sepolta, si diffuse in tutto il mondo cristiano antico, come dimostra l’inserimento della sua commemorazione nel Martirologio geronimiano e nei canoni della messa a Roma, Milano, Raven- na e Cartagine. A Roma, Papa Simmaco (498-514) promosse la costruzione di un edificio di culto in onore della martire sull’antica via Aurelia, come attesta il Liber Pontificalis, mentre, nell’anno 593, Papa Gregorio Magno dedicò alla santa catanese una chiesa della Suburra, costruita al tempo dei goti ariani. Nel corso del medioevo, il culto per la martire siciliana assunse il ruolo protettivo contro le eruzioni dell’Etna e, per estensione, contro gli incendi, tanto che le campane, che avevano anche una funzione di avviso in occasione di queste calamità, furono spesso consacrate, con epigrafi incise, a sant’Agata. L’iconografia accoglie l’effige della martire solo dal momento bizantino, a cominciare dal duomo di Parenzo e dalla processione delle vergini nella chiesa di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, nel corso del VI secolo, e continuando, oramai nel medioevo, nella Cappella palatina di Palermo e nel duomo di Monreale. In tutti questi casi, le rappresentazioni realizzano un’immagine iconica della santa, molto neutrale e insignita soltanto della palma del martirio. L’azione violenta del martirio, evitata per tutto il tempo paleocristiano e medievale, preferendo l’apoteosi serena della vittoria sulla morte, appare nel Rinascimento, quando gli artisti rendono “cifre di riconoscimento” le tenaglie e i seni posti su una coppa, come dimostrano le opere di Filippo Lippi e Sebastiano del Piombo. Le più alte punte di drammaticità si toccano con il manierismo e il barocco, secondo quanto te- stimoniano le suggestive rappresentazioni del Tiepolo e di Van Dyck, a cui dobbiamo affiancare l’episodio dell’angelo che guarisce la santa raf- figurato in affresco da Paolo Veronese nella Chiesa di San Pietro a Murano. Sino al secolo scorso, una solenne processione dedicata a Sant’Agata sfociava in forme di folklore popolare che avevano provocato una suggestiva leggenda, trasmessa oralmente, secondo cui la martire catanese, nuova Penelope, promise a un giovane, che se ne era innamorato, di sposarlo solo nel momento in cui avesse terminato di tessere la tela che stava lavorando. Ma Agata — come la moglie di Ulisse — di notte disfaceva la tela, per evitare il matrimonio. È per questo che la testimone della fede catanese, oltre a divenire protettrice delle puerpere, per il motivo del taglio delle mammelle, tanto che ancora il 5 febbraio si preparano pani a forma di mammella, sarà anche protettrice dei tessitori e, come si è detto, prodigiosa salvatrice dal fuoco, dagli incendi e dalle eruzioni vulcaniche. Francisco de Zurbarán «Sant’Agata» (1630-1633) Nella storia ricostruita da Paul Dietschy Un calcio dai mille volti di GAETANO VALLINI enova è in lutto. Non c’è un bar o un tabacchi in cui non se ne parli, discuta, in cui non si rimpianga. La Conferenza Internazionale? E a chi importa? Quella mezza dozzina di uomini che pretendono di ricostruire l’Europa possono riunirsi stasera a ubriacarsi di cock-tail. Il grande evento è la sconfitta del Genoa. Ventimila persone hanno assistito alla partita e hanno diffuso ovunque la triste novella. La passione di massa esiste». È il 15 maggio 1922, la Pro Vercelli è campione d’Italia. Sulla prima pagina di «Ordine Nuovo», il rivoluzionario quotidiano, poi divenuto periodico, fondato da Antonio Gramsci, campeggia un articolo che non parla di politica. Anzi la notizia internazionale più importante è declassata in un taglio più basso. Gramsci, fine intellettuale, aveva capito l’importanza del calcio dal punto di vista sociale. Già il 26 agosto 1918 sull’«Avanti! », organo del partito socialista italiano, aveva dedicato una sua cronaca allo sport che ancora chiamava foot-ball, dan- «G done una lettura precisa: il calcio evidenziava l’egemonia culturale conquistata dalla borghesia britannica durante la rivoluzione industriale, riflettendo al contempo la modernità politica ed economica dell’Europa nord-occidentale. Parte inaspettatamente da qui Paul Dietschy nel volume Storia del calcio (Vedano al Lambro, Paginauno, 2016, pagine 554, euro 22), che racconta tutto quanto c’è da sapere sul gioco più popolare e amato al mondo. Professore di storia contemporanea e di storia dello sport all’università di Franche-Comté, l’autore non tralascia alcun filone di ricerca. Solo sulle origini antiche si limita alle informazioni di base, dando conto di un passaggio di Plinio il Giovane — il quale nel primo secolo dell’era cristiana citava il suo amico Spurinna, un settantasettenne che giocava ancora con una palla per contrastare la vecchiaia — passando velocemente alla saule, al folk e allo street football praticati in Francia e in Inghilterra dal medioevo sino alla Thomas M.M. Henry, «Sunderland v Aston Villa» (1895) metà dell’XI secolo, quindi al calcio fiorentino della fine del XV secolo, con una parentesi sul tlachtli delle antiche civiltà precolombiane del Messico. L’attenzione è giustamente focalizzata sul calcio moderno, quello nato in Inghilterra alla fine del XIX secolo, ben presto codificato e globalizzato. E se su questo sport si sono cimentati antropologi, filosofi e persino teologi con letture talora intriganti e inattese, non sono certo mancati, soprattutto negli ultimi anni, tentativi di raccontarne la storia. Ma, fra le tante scritte, questa di Dietschy risulta la più approfondita e dettagliata, ricca com’è di notizie tratte da molteplici fonti, in particolare gli archivi della federazione mondiale, la Fifa. Basti pensare all’imponente apparato di note, ben 1278, e alle 22 pagine di bibliografia, seguite da una utilissima cronologia. Oltre alla piacevole scrittura, risulta interessante lo sguardo attento ai risvolti sociali e politici del fatto sportivo. Un punto di vista da storico, appunto, che, affrontando la complessità del fenomeno, rilegge l’evento calcistico in un contesto più ampio. Così, nel ponderoso volume si raccontano la nascita dei club più prestigiosi, delle federazioni nazionali e delle competizioni internazionali, quando e perché sono state fissate le regole sul numero di giocatori, sulla dimensione del pallone e del terreno di gioco, quali sono state le grandi evoluzioni tattiche e tecniche. Si rievocano altresì le imprese dei personaggi che hanno lasciato un segno nella storia del calcio, allenatori carismatici come Herrera e fuoriclasse come Meazza, Eusebio, Pelé, Garrincha, Rivera, Cruyff, Maradona. Ma allo stesso tempo l’autore, si sofferma ad analizzare le ricadute, non sempre rilevate, del fatto sportivo sulle vicende di una nazione o di un intero continente. Si parla, quindi, delle strumentalizzazione del gioco da parte dei totalitarismi del Novecento, ma anche del ruolo svolto dal calcio nelle lotte di indipendenza di alcuni paesi del continente africano o come tribuna internazionale per nascenti o recrudescenti nazionalismi nei Balcani, nonché delle relazioni pericolose del mondo del football con il denaro, causa di non pochi scandali tra scommesse clandestine e tangenti per conquistare l’assegnazione di competizioni continentali o mondiali, delle follie del calcio mercato con l’arrivo dei paperoni russi e arabi, fino alla disputa milionaria sui diritti televisivi. Senza dimenticare i tristi episodi di violenza legati ai cosiddetti hooligans. Tra fatti noti e storie minime, si trovano anche informazioni poco conosciute. Come nel paragrafo «I palloni del missionario», dove si racconta il modo in cui il calcio divenne uno strumento educativo e di apostolato in particolare nelle colonie africane. Nel Congo belga — scrive Dietschy — il padre fiammingo Raphaël de la Kethulle de Ryhove, della congregazione dei Scheutisti, aveva posto il calcio al centro dell’attività pedagogica nella scuola Saint-Joseph che dirigeva a Leopoldville e proprio grazie a lui nacque nel 1919 l’Associazione sportiva congolese da cui prese il via il movimento calcistico del paese. Ma i missionari belgi non furono i soli a utilizzare il calcio per il loro apostolato. Oltre alle chiese protestanti britanniche, attive già alla fine del XIX secolo nelle colonie dividendosi tra rugby e cricket, anche i padri francesi si fecero promotori della “conversione” al pallone. All’inizio scettici nei riguardi dello sport, perché deviava le loro pecorelle dagli impegni di fede, presto i missionari d’oltralpe iniziarono ad apprezzarne il potenziale e vi si gettarono con passione. Nacquero così i primi club, molti col nome Jeanne d’Arc, come il club di Dakar, in Senegal, fondato nel 1921 grazie a padre Lecocq, o quello di Bamako istituito nel 1939 a opera del padre bianco Bouavier; club che nel corso degli anni si aggiudicarono più volte i campionati nazionali. «Questa eccellenza sportiva — sottolinea lo storico — si costruiva anche sulla ricerca dell’esclusiva. Quando l’Unione sportiva indigena, la prima squadra completamente composta da africani, fu formata a Dakar, nel luglio 1929, i suoi membri si videro minacciati di scomunica dal padre Lecocq se fossero venuti a giocare contro la Jeanne d’Arc. La via dello sport doveva obbligatoriamente passare per la Chiesa». Le Jeanne d’Arc si diffusero fino al Gabon dove alla fine degli anni trenta il reverendo padre René Lefebvre, fratello del vescovo scismatico, fondò a Libreville una delle prime squadre di calcio del paese. Lo storico racconta le strumentalizzazioni da parte dei totalitarismi Ma anche il ruolo svolto dal gioco nelle lotte di indipendenza e le relazioni pericolose con il denaro Non mancarono, purtroppo, le ombre. L’appartenenza a club legati alle chiese cristiane non evitò agli atleti di incappare in pratiche discriminatorie, che vietavano formazioni miste e campionati con squadre di bianchi e di neri. L’apartheid sportivo non risparmiò neppure le colonie italiane. In Etiopia l’occupante fascista istituì un Ufficio indigeno degli sport. Le squadre dovettero adottare nomi nuovi. Il club SaintGeorges si trasformò, ad esempio, in Littoria Wufe Sefer. Inoltre, quando si esibivano davanti a un pubblico italiano, i calciatori autoctoni dovevano giocare a piedi nudi «per conformarsi all’immagine dell’indigeno veicolato dalla propaganda fascista e dalle canzoni popolari come Faccetta nera». Anche queste sono storie di calcio. E Dietschy le presenta consapevole che pure tali piccoli tasselli hanno contribuito a costruire quel gigantesco baraccone che è oggi il mondo del pallone, con le sue passioni, le sue storture, le sue follie. E con il suo fascino, nonostante tutto. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 febbraio 2017 pagina 5 Trento Longaretti «Povera gente» (1972) Mostra a Concesio per i cento anni di Trento Longaretti Nel mondo dello spirito di TRENTO LONGARETTI hi parla è un pittore, uno dei privilegiati artisti che ebbero la grande fortuna di assistere, nella cappella Sistina in Roma, alla cerimonia religiosa in occasione dell’inaugurazione della Collezione d’arte religiosa C Mai un Pontefice ha parlato come Paolo VI rivolgendosi con tanta comprensione e appassionato magistero agli artisti di ogni tendenza e fede moderna, e di ascoltare, con viva emozione, il discorso di sua santità Paolo VI agli artisti. Inoltre, questo pittore, ha avuto il grande privilegio di alcuni incontri col Santo Padre, che, con paterna affabilità, e tramite il suo segretario monsignor Macchi, espresse il desiderio che io realizzassi opere per il suo ministero pastorale in paesi lontani, e pure per la Santa Sede. La testimonianza, quindi, di un uomo e di un artista che ha vissuto l’emozionante incontro, e che, a più riprese, ha studiato e lavorato sul tema dell’arte religiosa e dell’arte sacra per assolvere a un’altissima committenza, nel clima particolare creato da Paolo VI nei suoi discorsi agli artisti. È mia personale convinzione, che mi permetto di esprimere avendo avuto nella mia vita la felice ventura di conoscere tre Sommi Pontefici, Giovanni XXIII, bergamasco mio contemporaneo, Paolo VI, anche lui lombardo, e Giovanni Paolo II, di ritenere Papa Montini particolarmente sensibile ai profondi e segreti problemi degli artisti, alle loro tormentose ricerche. Quasi per un’affinità di pensieri e d’indagini nel campo della spiritualità, concedendo loro una particolare attenzione pur nell’immenso e gravosissimo suo operare nel ministero di Vicario di Cristo nel mondo contemporaneo, quel mondo che ha posto ai Pontefici di questo secolo gravi problemi. Credo che Paolo VI, per suo temperamento, indole, natura, formazione, fosse molto vicino al modo di intendere dell’artista e lo dimostra laddove accenna nel suo fondamentale Discorso agli artisti che vi è «la sensibilità, cioè la capacità di avvertire, per via di sentimento, ciò che per via di pensiero non riuscirebbe a capire, a esprimere», e ancora: «Quando si entra in se stessi per trovare tutte queste energie e dar la scalata al cielo, in quel cielo dove Cristo si è rifugiato, noi ci sentiamo, in un primo momento, immensamente, direi, infinitamente lontani». Non vi è forse affinità con lo stato d’animo dell’artista di fronte alla tela bianca, al perché del suo fare arte, della sua vita stessa? E dell’affidarsi a quella sensibilità misteriosa che è alla base della creazione artistica e che Paolo VI aveva così ben definito? Paolo VI esprime con chiarezza ciò che lo avvicinava all’arte quando dice: «La vostra arte è proprio quella di carpire dal cielo dello spirito i suoi tesori e rivestirli di parole, di colori, di forme, di accessibilità», e poi: «Voi avete anche questa prerogativa, nell’atto stesso che rendete accessibile e comprensibile il mondo dello spirito: di conservare a tale modo la sua ineffabilità, il senso della sua trascendenza, il suo alone di mistero, questa necessità di raggiungerlo nella facilità e nello sforzo al tempo stesso». Il suo pensiero si completa nella seguente affermazione, forse ardita: «Per assurgere alla forza della espressione lirica della bellezza intuitiva, avrebbe bisogno (il ministero) di far coincidere il sacerdozio con l’arte». Credo che in queste parole si possa intuire il pensiero di Paolo VI e la tensione del suo attento e mediato amore per l’arte e gli artisti contemporanei, da Lui chiamati «figli ancora più cari». Credo che mai un Pontefice abbia parlato con tanta comprensione e appassionato magistero agli artisti di ogni tendenza e fede. Testimonianza diretta, ebbi a dire, quale pittore Raccontare con il colore di SILVIA GUIDI rento Longaretti non ama essere chiamato maestro; se proprio ci dev’essere un appellativo prima del cognome, preferisce professore, perché «sono stato soprattutto quello. Certo anche pittore. Ho dovu- T Madri, angeli e viandanti di PAOLO SACCHINI arlare di pittura è cosa ardua», avvertiva Trento Longaretti nel 1968. E tanto più lo è quando si cerca di impostare un discorso sull’opera di un artista ormai centenario e di rara coerenza, sul quale tantissimi autorevoli esegeti — tra storici dell’arte, critici e anche artisti — hanno scritto pagine davvero intense, non solo puntuali nell’individuazione dei riferimenti indispensabili per penetrare nel suo mondo pittorico, ma molto spesso anche dense di qualità letteraria, di conoscenza e sollecitudine personali, di condivisione intellettuale, di viva umanità. Anche se è certamente vero che l’opera longarettiana si presta benissimo a una lettura iconografica e narrativa, non bisogna però commettere l’errore di considerarla un’arte scarsamente interessata ai problemi di linguaggio, perché così facendo, non si comprenderebbe la ricchezza problematica della sua opera di pittore. È più che comprensibile, viste la natura e la storia della Collezione Paolo VI, che molte delle opere longarettiane in essa conservate — specialmente tra i dipinti — siano a soggetto esplicitamente religioso. Tuttavia, questa particolare concentrazione non deforma affatto la percezione del complesso dell’attività del maestro bergamasco, che anzi dell’arte sacra vissuta intimamente e con profonda fede ha fatto uno degli assi portanti della propria esperienza umana e creativa: è infatti sufficiente gettare un rapido sguardo agli oltre trecento interventi in questo ambito pazientemente schedati da Carlo Pirovano nel volume L’arte sacra di Longaretti per rendersi con- «P to di quanto vasta, variegata e cronologicamente scalata sia stata la produzione a soggetto sacro dell’artista bergamasco. Tra le scene narrative che si sono volute presentare, particolarmente accorate appaiono quelle sul tema della Natività e della Madonna con Bambino, che d’altra parte si inseriscono nella poetica dell’artista anche in senso più ampio (poiché come è noto, e come meglio si vedrà fra poco, le «madri con bambino» sono in assoluto uno dei soggetti più cari a Longaretti anche indipendentemente da ogni riferimento alla storia sacra). Spiccano, in particolare, tre bellissimi disegni, sui quali conviene spendere almeno qualche parola. Sin dai tempi della sua formazione braidense nella scuola di Aldo Carpi, Longaretti ha sempre disegnato moltissimo, e anzi già in quegli anni aveva meritato grande stima da parte di compagni e docenti — lo ricorda Morlotti — per la sua produzione grafica da enfant prodige («faceva infatti allora disegni straordinariamente commossi e personali, o perlomeno e più giustamente, era straordinario in lui così giovane, il dono di un’assimilazione e traduzione, quasi incosciente, di inquietudini e stilismi, tra Soutine, Modigliani e Carpi»). Ebbene, tutta questa felicità e facilità disegnativa si coglie benissimo anche nei fogli citati. La Madonna con Bambino realizzata a sanguigna e gessetto trasmette soprattutto la dolcezza del rapporto tra madre e figlio, anche se la testa reclinata e lo sguardo presago della madre introducono nella scena una vena malinconica; tuttavia, in questo foglio il trapasso verso il soggetto della madre con bambino “terrena” appare davvero prossimo (se non addirittura già compiuto): sa- rebbe sufficiente elidere le aureole per ritrovarsi dinnanzi a una delle madri longarettiane che in questa mostra si ritrovano nella sezione dedicata ai viandanti. La Natività realizzata a matita con tratti decisi e insistiti contempera questa stessa dimensione umana con una più acuta percezione dell’epifania del divino che si rivela nel Bambino, e che ritroviamo a un livello ancora più intenso — perché più sintetico, e come risolto nel bagliore di una luce che lascia intravedere solamente i sommari contorni delle figure — nell’istantaneo Studio per Natività tracciato a penna (che con il foglio precedente, tra l’altro, potrebbe anche essere in relazione, forse più come sua evoluzione essenziale che non come “prima idea” poi concretizzatasi in forme più definite nel disegno a matita). Il tema dei “viandanti” può a buon diritto essere considerato il più tipico dell’opera longarettiana e soprattutto il più rivelatore della sua intima essenza, che si potrebbe definire religiosa senza essere necessariamente confessionale: infatti — come spiegava Longaretti nella bella intervista inedita rilasciata nel 2015 a Jetmira Hasaj per la sua tesi di diploma accademico, e qui riportata in appendice — queste figure di poveri, anziani, fuggiaschi, girovaghi, musicanti, artisti circensi, madri con i propri figli, «fan parte del mondo. Il mondo sofferente, quello da cui provengo io stesso. Il mondo degli sfortunati. Non è importante il credo: cristiani, ortodossi, induisti. Quando una persona compra un mio quadro, però, e si sofferma a guardarlo, è come se leggesse la sua fortuna per essersi permesso di comprarlo, vedendo nel dipinto una parte di mondo meno abbiente. Nel mondo è sempre pie- no di guerre, carestie, persecuzioni... c’è sempre gente che cerca la felicità, che cerca il benessere o addirittura la vita. Ed è la strada della maggior parte dell’umanità». In questa predilezione del pittore bergamasco per le figure povere ed erranti si è spesso voluto vedere un richiamo a quella tradizione di arte per così dire “pauperista” che in Lombardia lineare: «io esalto molto il rapporto madre-figlio e figlio-madre; quando io vedo questa madre che stringe il figlio come la cosa più importante che abbia mai avuto e questo figlio che si trova bene solo in braccio alla madre, ecco, questo mi sembra già un fatto grandissimo e io, dipingendo questo, ho già trovato una ragione. Lo stesso si potrebbe dire dei quadri che hanno per tema il Trento Longaretti, «Cristo in trono con Madonna e Santi» (1967) ha conosciuto tanti interpreti di livello; tuttavia, arretrare troppo nel tempo indulgendo sulla sempre dubbia natura del genius loci rischia di non essere fruttuoso: semmai, più pertinente appare la suggestione — ancora una volta ben individuata da Mascherpa — di quella «matrice intimisticoumanitaria, che tanto pervade l’arte lombarda nell’ultimo secolo, ma forse ancor più per quella sorta di istintiva «affinità morale e sentimentale» che conduceva tanto il maestro quanto l’allievo a leggere la bellezza smarrita e innocente, ma eccezionale, di certe figure marginali; a esempio lo stesso Longaretti ha potuto sotto- operante nell’arte religiosa, nell’arte sacra, nelle varie tecniche artistiche, dalla tempera all’affresco, dalla vetrata alla pala d’altare, dal dipinto domestico a soggetto religioso alle vaste superfici chiesastiche, dal graffito al mosaico, in tutti quei modi che la devozione o l’esigenza liturgica oppure il sentire stesso dell’artista richiedeva. Quando Paolo VI intraprendeva il Suo viaggio pastorale, nel nostro o altro continente, più di una volta venne affidato a me l’incarico di realizzare il dipinto dal quale veniva ricavata l’immagine ricordo, oppure il dono (...). Opere mie vennero collocate, insieme a quelle di altri artisti contemporanei, in varie sale degli edifici vaticani e nello stesso appartamento di Sua Santità. rapporto fra il bambino e il vecchio. A me sembra che l’arte debba essere sempre l’affermazione di un fatto positivo, che uno esalta con i mezzi che ha a disposizione. Se questa operazione riesce è una gioia per chi l’ha compiuta e per chi ne gode». Le figure di Longaretti sono allo stesso tempo dentro e fuori dalla storia: dentro, perché certamente testimoniano di situazioni reali e di difficoltà concrete; fuori, perché sostanzialmente sono figure archetipe, atemporali, che riescono a raccontare con la medesima efficacia il dramma degli ultimi di ogni epoca. to fare di necessità virtù. Di sola pittura non potevo vivere e mi chiedo anche oggi come facciano a campare i giovani artisti». Così ha detto di sé in una recente intervista pubblicata sul «Corriere della sera» ma chi lo conosce sa bene che non bisogna dare troppo peso al proverbiale understatement del pittore bergamasco, «timido, di una timidezza che è stata una condanna, perché è un po’ paura di vivere». Più si guarda la sua opera — sterminata, visto che ha raggiunto le cento primavere e non ha mai appeso il pennello al chiodo, né ha la minima intenzione di farlo — più viene in mente «I maestri del colore», la celebre collana low cost lanciata dalla casa editrice Fratelli Fabbri negli anni del boom economico in Italia. Maestro del colore, Longaretti lo è sul serio: un colore antinaturalistico, poetico, vibrante, capace di comunicare stati d’animo e raccontare storie nel breve spazio di un quadro. Per rendergli omaggio, la Collezione Paolo VI di arte contemporanea quest’anno apre la stagione espositiva con una retrospettiva su di lui, «Viandanti dell’anima». Longaretti, si legge nel comunicato stampa che annuncia l’iniziativa, non è solo uno tra i protagonisti più interessanti e originali dell’arte italiana del secondo Novecento, ma anche «uno dei testimoni diretti della profonda azione riformatrice di Papa Montini nella ridefinizione dei rapporti tra la Chiesa cattolica e l’arte contemporanea» come ricorda Giovannimaria Seccamani Mazzoli, presidente dell’Associazione Arte e Spiritualità, ente gestore del museo di Concesio. L’esposizione si propone di indagare l’opera del maestro del colore bergamasco; un canto per immagini malinconico, trasognato, ma innervato sempre da una segreta, misteriosa speranza di bene. All’inaugurazione, nel pomeriggio del 4 febbraio presso i nuovi spazi del museo, è prevista la presenza dell’artista. «Mi piacerebbe continuare a dipingere in una casetta di montagna, lontano da tutti — confessa Longaretti al «Corriere della sera» — ma i festeggiamenti non mi dispiacciono. In fondo sono un uomo anch’io». La mostra — spiega il curatore Paolo Sacchini, direttore del museo di cui pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione all’esposizione, che resterà aperta fino all’11 marzo — ha anche lo scopo di documentare lo stretto rapporto che legò l’artista a Paolo VI. Tra i pezzi scelti c’è, ad esempio, anche il bozzetto dell’opera che Papa Montini regalò al patriarca di Costantinopoli Atenagora in occasione del viaggio a Istanbul nel 1967. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 domenica 5 febbraio 2017 In Canada dopo l’attentato di Québec City Anelli di pace attorno alle moschee Il presidente della Federazione luterana mondiale a Trump Io stesso un rifugiato GERUSALEMME, 4. «Le scrivo dalla santa città di Gerusalemme in uno spirito di preghiera. Prego perché la sua presidenza sia fruttuosa. Prego affinché sotto la sua guida gli Stati Uniti d’America continuino a sostenere i propri valori, consacrati da tempo alla diversità, all’uguaglianza, alla ricerca della felicità, alla libertà e alla giustizia per tutti». Ha il tono di una preghiera la lettera aperta che Munib Younan, vescovo della comunità evangelica luterana di Giordania e Terra santa, nonché presidente della Federazione luterana mondiale (Flm), ha indirizzato al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Al centro della riflessione l’atto esecutivo che dal 27 gennaio ha chiuso le frontiere degli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi a maggioranza musulmana. Misura che, come è noto, ha immediatamente suscitato la viva reazione contraria di larga parte dell’opinione pubblica non solo americana e di numerosi leader religiosi, tra cui l’episcopato cattolico sta- Il cardinale O’Malley incontra la comunità musulmana BOSTON, 4. Manifestare solidarietà a nome di tutti battezzati e dell’intera città ai cittadini dei sette paesi a maggioranza islamica al centro del recente discusso ordine esecutivo della Casa Bianca che pone severi limiti all’immigrazione. Questo il significato dell’incontro che il cardinale arcivescovo di Boston, Sean Patrick O’Malley, ha avuto con un gruppo di rappresentanti della locale comunità musulmana. All’incontro, avvenuto nella cattedrale cattolica di Holy Cross, hanno partecipato anche il governatore del Massachusetts, Charlie Baker, il sindaco di Boston, Mary Walsh, il capo della polizia, William Evans insieme ad altri leader religiosi cristiani. «Siamo qui per esprimere la nostra solidarietà, per sederci allo stesso tavolo come amici», ha detto semplicemente il cardinale O’Malley. Si tratta solo dell’ultima in ordine di tempo delle numerose espressioni di solidarietà manifestate in questi giorni da singoli presuli statunitensi come pure dall’intera conferenza episcopale. tunitense. «Sono preoccupato — sostiene il presule luterano — perché per quasi 250 anni, il mondo ha guardato al suo paese come un esempio di come diverse razze e nazionalità possono avere un’unica identità americana. Il suo paese ha aperto la strada alla promozione dei diritti civili, dando sempre ascolto al principio della parità di cittadinanza, della libertà e giustizia per tutti. Questa è la ragione per cui così tanti profughi e immigrati hanno guardato agli Stati Uniti come un faro di speranza». Younan aggiunge di essere molto preoccupato per le conseguenze dannose che i divieti avranno soprattutto per i cristiani arabi, che nella regione mediorientale, hanno una lunga storia di convivenza con i musulmani. «Noi respingiamo qualsiasi tentativo di dividere la società araba secondo linee religiose». Infine, il presidente della Flm fa un riferimento alla sua storia personale e scrive di essere preoccupato, «perché io stesso sono un profugo, e so in prima persona le difficoltà che devono affrontare le famiglie di rifugiati. Allo stesso tempo, come vescovo luterano, so che allontanare i rifugiati di ogni religione contraddice il messaggio di Gesù Cristo. Gesù stesso è stato un rifugiato, che ha cercato rifugio e salvezza con la sua fami- glia in Egitto. Nel corso della sua vita, attraverso il suo insegnamento e le sue azioni, Gesù si è preoccupato dello straniero e degli emarginati». Per Younan, insomma, accogliere lo straniero non è un optional per i cristiani e — citando il documento «Accogliere lo straniero: affermazioni dei capi religiosi» sottoscritto nel 2013 da buddisti, cristiani, indù, ebrei, musulmani — afferma che il prendersi cura dei rifugiati non è esclusiva di una religione, ma è il cuore di ogni tradizione religiosa. «Come vescovo luterano di Gerusalemme, come rifugiato, e come cittadino del mondo — si conclude la lettera — il mio appello è che lei riconsideri le sue recenti decisioni in materia di rifugiati e immigrati. La esorto a riflettere sui valori fondamentali degli Stati Uniti e di Gesù, e di cercare un percorso diverso che miri a raggiungere il duplice obiettivo di garantire sicurezza e opportunità nella terra della libertà». Tra le reazioni fortemente critiche nei confronti del provvedimento della Casa Bianca si registra anche quella di Open Doors, l’organismo che ogni anno pubblica la World Watch List, la lista dei cinquanta paesi nei quali è più pericoloso oggi essere cristiani. «Riteniamo cruciale — ha affermato David Curry, presidente di Open Doors Usa — che sia garantito ai profughi cristiani e alle altre minoranze in Medio oriente un canale sicuro per ottenere rifugio negli Stati Uniti. Ma siamo fermi nel difendere un approccio che tratti ogni fede in maniera equa. Non possiamo sostenere l’idea di test di appartenenza religiosa negli Stati Uniti o in qualsiasi altro Paese. Politiche del genere porterebbero a un’orrenda persecuzione dei cristiani da una parte all’altra del mondo». Riuniti a Bhopal i vescovi indiani di rito latino Messaggio di amore senza esclusioni BHOPAL, 4. L’inquietante inazione delle autorità di fronte alle aggressioni contro i cristiani, la delicata giustapposizione dei diritti particolari e del diritto comune, la difesa della famiglia davanti agli attacchi ideologici di cui è vittima: sono solo alcuni degli argomenti trattati dalla Conference of Catholic Bishops of India (Ccbi) nell’assemblea plenaria in svolgimento dal 31 gennaio all’8 febbraio a Bhopal, capoluogo dello stato di Madhya Pradesh. Come riferisce «Églises d’Asie» (agenzia di informazione delle Missions étrangères de Paris), sono quasi centotrenta i vescovi di rito latino presenti all’incontro, preceduto da una conferenza stampa alla quale ha partecipato il cardinale presidente della Ccbi, Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay. Il porporato, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha respinto con forza le accuse, mosse nei confronti della sua Chiesa, di “proselitismo aggressivo”, di voler cercare di convertire gli indù al cristianesimo: «Siamo qui per annunciare un messaggio di amore e di pace, non per fare delle conversioni religiose. Non potremmo mai forzare qualcuno a convertirsi, auspichiamo invece che tutti si mostrino fedeli alla propria religione», ha detto Gracias. L’arcivescovo di Bhopal, Leo Cornelio, ha invece espresso preoccupazio- ne per «la letargia di cui danno prova le istituzioni chiamate a difendere lo Stato di diritto», sottintendendo come spesso passino quasi inosservati episodi di violenza a danno dei cristiani. Il tema dell’assemblea plenaria è «Promuovere la gioia dell’amore nelle nostre famiglie», che non sono solo quelle cattoliche. «La Chiesa — spiega monsignor Cornelio — ha sempre avuto a cuore il benessere e la felicità di tutti, qualunque siano le differenze di appartenenza linguistica o religiosa. Nelle nostre discussioni, poniamo l’accento sull’aiuto da dare alle giovani coppie per far fronte alle difficoltà della vita familiare e alla necessità di condurre una vita esemplare, soprattutto nell’educazione dei figli. La perdita di fiducia in seno alle famiglie, alle famiglie nucleari in particolare, ci sembra rappresentare un vero problema». E il cardinale Gracias ha aggiunto che «la famiglia è sacra e noi dobbiamo proteggerla. Troppe ideologie tendono a distruggere i valori familiari. Il nostro messaggio d’amore per le famiglie deve dunque toccare ciascuno, senza esclusioni». Il porporato, in riferimento a una recente sentenza della Corte suprema sul riconoscimento civile della nullità matrimoniale pronunciata da un tribunale ecclesiastico, ha poi precisato che «non esiste conflitto tra le pratiche della Chiesa e le leggi in vigore». La Conference of Catholic Bishops of India, con sede a Bangalore, riunisce i vescovi di rito latino (182 per 132 diocesi), e non deve essere confusa con la Catholic Bishops’ Conference of India (Cbci), che ha sede a New Delhi e raggruppa le 172 diocesi della Chiesa in India, comprensive dei riti latino, siro-malabarese e siro malankarese. Secondo dati abbastanza recenti, in India vivono circa ventotto milioni di cristiani, ovvero il 2,3 per cento della popolazione del Paese (a stragrande maggioranza induista). I cattolici di rito latino, siro-malabarese e siro-malankarese sono complessivamente 15 milioni e mezzo e rappresentano il 55 per cento dei cristiani indiani. OTTAWA, 4. «Anelli di pace» a protezione dei fedeli musulmani in preghiera. È quanto è accaduto ieri, venerdì, di fronte alle moschee di numerose città canadesi. A Toronto, come a Edmonton e a St John’s, centinaia e centinaia di cittadini, di ogni credo religioso, hanno dato vita a delle catene umane, chiamate appunto anelli di pace, in segno di simbolica protezione e solidarietà con la comunità musulmana, vittima domenica scorsa di un sanguinoso attentato che ha colpito, durante la preghiera, la moschea di Québec City, provocando la morte di sei persone. «Nessun canade- se dovrebbe avere paura di andare nel proprio tempio per poter pregare», ha dichiarato un rabbino di Toronto, che ha partecipato alla manifestazione di solidarietà perché «è qualcosa di terrificante immaginare che delle persone di fede che vanno a pregare in pace, a pregare per la pace, possano essere a rischio. I luoghi di culto sono sacri e devono essere protetti». Ringraziando la folla, Syed Pirzada, della Muslim Association of Newfoundland and Labrador, ha rivelato che in questi giorni la comunità islamica è stata subissata di espressioni di sostegno. Impegno dei leader religiosi dello Sri Lanka Per un domani di riconciliazione COLOMBO, 4. Occorre accelerare il processo di riconciliazione e pacificazione nazionale. E, per farlo, c’è bisogno di un maggiore impegno da parte dei leader delle quattro principali religioni dello Sri Lanka. Lo affermano gli attivisti del Law and Society Trust di Colombo, riuniti in questi giorni per discutere delle raccomandazioni del rapporto finale della Consultation Task Force on Reconciliation Mechanism. Gli esperti, riferisce l’agenzia AsiaNews, hanno raccolto pareri e testimonianze delle vittime della guerra civile che ha diviso le comunità singalese e tamil, e suggeriscono di creare un tribunale misto. Oltre a questo, gli attivisti della capitale spingono per una veloce risoluzione delle tensioni ancora esistenti tra la popolazione tamil e indù e il governo. Il paese, come è noto, ha vissuto una lunga guerra civile, iniziata nel 1983, derivante da tensioni etniche fra la maggioranza singalese e la minoranza tamil, stanziata nel nord-est dell’isola. Dopo oltre 25 anni di violenze, il conflitto si è concluso nel maggio 2009, quando le forze governative hanno conquistato l’ultima zona controllata dalle tigri tamil. A sette anni dalla fine del conflitto, però, recriminazioni su abusi da entrambe le parti continuano. Sandun Tudugala, capo dei programmi dell’associazione, sostiene che «è compito di noi attivisti esprimere le nostre obiezioni se il governo non mantiene le promesse. Abbiamo dedicato molti sforzi — ricorda — per sostenere il nuovo esecutivo. Ora è tempo che il governo soddisfi le richieste delle vittime. I leader delle grandi religioni possono avere davvero un grande ruolo, dato che insegnano la comprensione reciproca, a prendersi cura dell’altro e a diffondere pace e unità». Il paese ha una popolazione di 21,2 milioni di abitanti, in maggioranza buddisti (70 per cento). I cristiani sono circa il 6 per cento, mentre le altre principali comunità religiose sono indù e musulmane. In questo contesto, la Chiesa cattolica, soprattutto attraverso la Commissione nazionale per la giustizia, la pace e lo sviluppo umano, ha da tempo avviato numerose iniziative per contribuire alla riconciliazione. Favorita, in questo senso, probabilmente anche dal fatto di avere tra i battezzati fedeli che appartengono sia alla comunità singalese che a quella tamil. Divenendo così un elemento catalizzatore di pace. † La Congregazione delle Cause dei Santi partecipa commossa al grave lutto del reverendissimo monsignore Carmelo Pellegrino, promotore della Fede di questo dicastero, per la morte del suo amatissimo padre Signor VITO PELLEGRINO e prega perché il Signore Risorto lo accolga nella luce del suo Regno in compagnia di Maria, da lui particolarmente venerata, e dei santi e beati. L’OSSERVATORE ROMANO domenica 5 febbraio 2017 pagina 7 Per la venticinquesima giornata mondiale del malato Il segretario di stato legato papale a Lourdes da Madrid ROSSELLA FABIANI A Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, la gente li chiama i gemelli di Dio. E sì che sono molto diversi in quasi tutto. Uno è il cardinale Dieudonné Nzapalainga, alto e imponente, arcivescovo di Bangui, l’altro è l’imam Omar Kobine Layama, minuto, filiforme e responsabile della moschea centrale della capitale. Sono diversi, ma uniti nel loro lavoro per la pace in una nazione impantanata nella violenza e per costruire un futuro migliore per il popolo. Il cardinale e l’imam sono convinti che il dialogo interreligioso sia l’unica strada per la soluzione del conflitto che martorizza il Paese dal marzo del 2013 e per questo hanno fondato la Piattaforma delle confessioni religiose alla quale ha aderito anche l’Alleanza evangelica del Centroafrica. Entrambi sono in questi giorni a Madrid per ritirare il premio «Mundo Negro a la fraternidad 2016», per la loro opera di riconciliazione, pacificazione e promozione del dialogo interreligioso, e anche per partecipare al «XXIX Incontro Africa» (3-5 febbraio) organizzato ogni anno nella capitale spagnola dalla rivista «Mundo Negro» e dai missionari comboniani. All’incontro di quest’anno partecipano, tra gli altri, il cardinale Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid, il presidente dell’Unione delle comunità islamiche di Spagna, Riay Tatary, il rettore emerito del Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica, Justo Lacunza Balda, missionario dei padri bianchi, e Alicia Vacas, missionaria comboniana in Egitto e Palestina. Il tema di queste giornate è «L’islam e il cristianesimo, il dialogo sotto lo stesso tetto» e si accorda perfettamente con quanto pensano e predicano i due leader religiosi dell’Africa centrale. E non soltanto a parole, ma rischiando la loro stessa vita da quando, nel 2013, gli scontri tra gli ex ribelli Seleka e le mili- Lo scorso 19 gennaio è stata pubblicata la nomina del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, a legato pontificio per la celebrazione della venticinquesima giornata mondiale del malato, che avrà luogo a Lourdes l’11 febbraio. Il porporato sarà accompagnato da una missione composta dai sacerdoti Jean-François Duhar, parroco di Lourdes, e Antoine Mérillon, parroco di Bagnères-deBigorre. Di seguito il testo della lettera pontificia di nomina. L’amicizia in Repubblica Centrafricana fra il cardinale Nzapalainga e l’imam Layama Fraternità da premiare zie anti-Balaka stanno devastando la Repubblica Centrafricana. Un conflitto che è spesso descritto come interreligioso, essendo i Seleka musulmani e gli anti-Balaka cristiani. La realtà è invece più complessa, perché non tutti i membri di Seleka sono musulmani e soprattutto i miliziani antiBalaka in gran parte non sono cristiani. Il lavoro stesso che stanno portando avanti insieme i due leader religiosi dimostra che non si tratta di una guerra di religione. «La guerra in Africa centrale non è mai stata una guerra di religione. Si tratta di una guerra politica, per il potere e il controllo delle risorse naturali, dove la religione è stata strumentalizzata. Non c’è niente di religioso in questa guerra», dice il cardinale Nzapalainga. E tanti sono gli esempi di amicizia e di pace tra le due comunità religiose. «Apriamo le porte delle nostre case e delle nostre parrocchie che sono piene di rifugiati musulmani, e così fanno i musulmani con i cristiani, aprendo le loro case e le loro moschee, rischiando la propria vita», aggiunge il porporato. Entrambi i leader religiosi sono stati minacciati di morte. E lo stesso arcivescovo di Bangui ha ospitato in casa sua, per più di nove mesi, l’imam Layama perché i miliziani avevano bruciato la sua moschea e la sua casa: «L’ho accolto per mostrare a tutti la nostra amicizia perché il dialogo islamo-cristiano non è una teoria o un’astrazione, ma uno stile di vita». Un gesto criticato dagli estremisti che non accettano questa forma di rispetto reciproco. Con il passare del tempo e con la visita di Papa Francesco, che proprio nella cattedrale di Bangui, il 29 novembre 2015, ha aperto la prima porta santa del Giubileo della misericordia, la ricerca della pace è diventata più forte, la gente ha cominciato ad apprezzare il gesto fatto dal cardinale e ha iniziato a chiamare i due capi religiosi “i gemelli di D io”. «E quando l’africano dà un nome, ha sempre ragione», ha sottolineato il direttore di «Mundo Negro», Jaume Calvera. Poco a poco, la gente ha cominciato a capire che era possibile trattarsi da fratelli e i “gemelli di Dio” hanno creato la piattaforma interreligiosa per favorire il dialogo e mediare nei tanti conflitti che affliggono la popolazione di entrambe le religioni. E a progetti della piattaforma andranno i diecimila euro del premio as- Le celebrazioni in Venezuela per la Virgen de la Candelaria Festa della luce CARACAS, 4. Il 2 febbraio, festa della Presentazione del Signore, in Spagna e in molti paesi latinoamericani è stata celebrata come tradizione la Virgen de la Candelaria, ossia della Candelora, appellativo con cui i cattolici venerano Maria in seguito alla scoperta di una statua, ritenuta miracolosa, trovata in riva al mare nelle isole Canarie nel 1392. La statua della Vergine ricorda la presentazione al tempio di Gesù ed è patrona delle isole Canarie. La ricorrenza è particolarmente sentita in Venezuela, dove questa giornata pone fine alle celebrazioni natalizie cominciate il 24 dicembre. Qui la tradizione della Virgen de la Candelaria risale alla fine del XVII secolo quando alcune famiglie da Tenerife emigrarono in Venezuela in cerca della tierra de gracia. La popolazione venera la Madonna come «guardiana della luce» che illumina il cammino di coloro che stanno morendo, e per questo il 2 febbraio vengono accese candele durante la processione, poi spente a fine giornata. Tra i popoli andini è consuetudine incendiare la candileja quando le persone stanno morendo affinché illumini loro l’ultimo tratto di strada. In Venezuela le processioni più suggestive si svolgono a Bailadores, Cantaura, Turmero, San Diego, Valle de la Pascua e Puerto Cumarebo. A La Parroquia y El Valle — come in quasi tutte le località dello stato andino di Mérida — la popolazione si veste di colori accesi e un gruppo di uomini e donne, che hanno fatto promesse alla Vergine delle luci in cambio di favori, ballano con costumi colorati lungo le strade. Alla Candelaria, una delle principali parrocchie di Caracas, si organizzano invece celebrazioni per la “festa della luce” e per la tradizionale paradura del niño, durante la quale i fedeli pongono una candela accesa ai piedi del Bambino Gesù. In Perú le celebrazioni hanno il suo centro attorno al lago Titicaca, dove giovedì scorso si sono radunate quarantamila persone in maschera. A Puno, sulle sponde del lago, la festa della Candelaria si svolge ininterrottamente ogni anno dal XVIII secolo, tanto da essere riconosciuta dall’Unesco come patrimonio dell’umanità. segnato da «Mundo Negro» che viene consegnato loro sabato 4 febbraio durante il «XXIX Incontro Africa». Tanti sono i riconoscimenti arrivati, dagli Stati Uniti alla Germania, ai Paesi Bassi, dove l’imam e il cardinale hanno ricevuto diversi premi. In tutti i loro viaggi hanno ripetuto la ricetta per spezzare la spirale della violenza: «Dobbiamo educare e formare, per convincere che, nella società, non è la forza fisica ma la stima e il rispetto ad avere l’ultima parola. Perché, molte volte, chi non risponde alla violenza viene respinto perché considerato debole, quando invece è il contrario», osserva Nzapalainga. Da parte sua, Omar Kobine Layama ha sottolineato che «il dialogo interreligioso è il cuore del cristianesimo e dell’islam» ed è convinto che «la violenza si basa sull’ignoranza religiosa. Soltanto il credente che non conosce la sua fede può rispondere con la violenza. Gli estremisti sono religiosi ignoranti. Dobbiamo chiamare le cose con il loro giusto nome e differenziare il credente dal criminale», ha detto l’imam. «Mettere tutti nello stesso sacco è la strada migliore per radicalizzare le persone e tenere in ostaggio l’intera popolazione di un Paese», ha aggiunto il porporato. Spesso i “gemelli di Dio” si sentono chiedere se è possibile esportare in altre nazioni il modello di dialogo interreligioso della Repubblica Centrafricana e già paesi come l’Olanda e istituzioni come l’Unione africana hanno mostrato interesse a studiare tale modello. Il cardinale Nzapalainga non ha dubbi: è necessario «fare un salto verso l’altro». Perché l’origine di ogni problema è «la paura dell’altro». Venerabili Fratri Nostro PETRO S.R.E. Cardinali PAROLIN Secretario Status Integram personam curare bonum est, videlicet animam, mentem et corpus, ut quisque homo optime se habeat suumque Creatorem laudet, qui omnia effecit ex amore ut essent, quique malum et mortem non fecit, nec laetatur in perditione vivorum (cfr. Sap 1, 13-14). Et quoniam dedit hominibus scientiam Altissimus, ut honoraretur in mirabilibus suis, idcirco pastores, medici, valetudinarii ipsique aegrotantes Dominum deprecabuntur, ut dirigat ad rectam cognitionem et prosperet curationem (cfr. Eccli 38, 6.14). Maxime profecto Nobis cordi sunt cuncti fratres sororesque patientes, quos Ipsi velimus peculiari affectu amplecti magnaque sollicitudine curare. Sed ecclesialibus tot negotiis districti, vix hoc perficere possumus. Quapropter dumtaxat ex longinquo salutare cupimus universos in terrarum orbe aegrotantes ceterosque ad sollertem eorum curam adhibendam paterne hortari. Adveniente vero memoria Beatae Mariae Virginis de Lourdes, qua celebrabitur XXV Dies Universalis pro Aegrotantibus, hanc arripimus opportunitatem ut praecipuam Nostram iis confirmemus necessitudinem. Cum quidem noverimus hoc anno celebritates has fore in Lapurdensi sanctuario, volumus illuc Patrem Purpuratum mittere Nostras gerentem vices. Quam missionem tibi, Venerabilis Frater Noster, qui magna prudentia et fidelitate Romani Pontificis cotidiana curas su- Udienza ai gesuiti del seminario campano interregionale Nella mattina di sabato 4 febbraio, Papa Francesco ha ricevuto in udienza nella Sala dei Papi del Palazzo apostolico, la comunità dei gesuiti e l’équipe formativa del Pontificio seminario campano interregionale stinenda officia pro totius Ecclesiae beneficio, libenter fidenterque explendam concredere cogitamus, teque Legatum Nostrum hisce Litteris nominamus. Die igitur XI proximi mensis Februarii liturgicis celebrationibus Nostro nomine Lapurdensi in urbe praesidebis Nostramque etiam omnibus significabis salutationem. Congregatos illic christifideles invitabis ad constantem devotionem erga Beatissimam Virginem Mariam, quae Salus est infirmorum, ut ipsa a Divino Filio uberrimas imploret gratias, praesertim in tribulatione patientiam, in Deum fiduciam, de beneficiis receptis gratitudinem et eximiam erga omnes caritatem. Evangelica Domini signa attentius considerantes, cernimus quod Iesu iamque in paralytico gentium universitas offertur medenda; sed et curationis ipsius verba sunt contuenda (S. Hilarius Pictaviensis, Commentarius ad Matthaeum VIII, 5). Quam inde fidei in Christum Salvatorem manifestam necessitatem sermone tuo explicabis, ita ut corpore et animo aegrotantes ceterique adstantes ad instar Petri apostoli sincero corde profiteri possint: Domine, ad quem ibimus? Tu verba vitae aeternae habes (Io 6, 68). Denique Benedictionem Nostram Apostolicam copiose tibi impertimus, quam congregatis ibi fidelibus cunctisque memorati XXV Diei Universalis pro Aegrotantibus participibus amanter transmittendam curabis, dum ab omnibus enixe poscimus preces pro summo ministerio Nostro congruenter exercendo. Ex Aedibus Vaticanis, die XIX mensis Ianuarii, anno MMXVII, Pontificatus Nostri quarto. Nomina episcopale in Messico La nomina di oggi riguarda l’America latina. Juan Manuel González Sandoval vescovo di Tarahumara Nato il 20 febbraio 1964 a Guáscuaro, nello stato di Michoacan, dopo le scuole primarie e secondarie a Città del Messico, ha completato i corsi di filosofia nel seminario dell’arcidiocesi di León. Poi ha fatto il noviziato a Santa Ana del Conde a Guanajuato (1985-1986). Conclusa la formazione teologica nel seminario maggiore di León, a Roma si è laureato alla Pontificia università salesiana in scienze dell’educazione, con specialità in pedagogia per la formazione delle vocazioni. Emessa la professione perpetua il 7 settembre 1990, è stato ordinato sacerdote dei missionari della natività di Maria il 2 luglio 1991 ed è stato per un anno cappellano in Montaña de Cristo Rey a Cubilete, poi formatore nel seminario di Santa Ana del Conde a Guanajuato (1992-1993) e coordinatore della pastorale vocazionale della sua congregazione religiosa (19931998). Dopo il triennio di studi romani all’ateneo dei salesiani per il dottorato, nel 2001 è tornato in Messico come docente di etica e pedagogia nel seminario dei missionari della natività di Maria e cappellano in varie case religiose a León. Dal 2008 era parroco del Sagrado Corazón de Jesús a Sanjuanito, in diocesi di Tarahumara, responsabile della formazione permanente della sua congregazione, coordinatore diocesano della catechesi e della commissione per la pastorale profetica della provincia ecclesiastica di Chihuahua. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 domenica 5 febbraio 2017 Il Papa denuncia l’idolatria del sistema finanziario che sta distruggendo milioni di famiglie Un’altra economia è possibile Per cambiare le regole di un capitalismo che continua a produrre scarti Denunciando l’idolatria di un sistema finanziario che sta distruggendo milioni di famiglie, Papa Francesco invoca cambiamenti significativi nelle regole di un capitalismo che continua a produrre scarti. Una denuncia e un auspicio, quelli del Pontefice, contenuti nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro sull’economia di comunione promosso dal movimento dei Focolari, ricevuti sabato mattina, 4 febbraio, nell’aula Paolo VI. Cari fratelli e sorelle, sono lieto di accogliervi come rappresentanti di un progetto al quale sono da tempo sinceramente interessato. A ciascuno di voi rivolgo il mio saluto cordiale, e ringrazio in particolare il coordinatore, Prof. Luigino Bruni, per le sue cortesi parole. E ringrazio anche per le testimonianze. Economia e comunione. Due parole che la cultura attuale tiene ben separate e spesso considera opposte. Due parole che voi invece avete unito, raccogliendo l’invito che venticinque anni fa vi rivolse Chiara Lubich, in Brasile, quando, di fronte allo scandalo della diseguaglianza nella città di San Paolo, chiese agli imprenditori di diventare agenti di comunione. Invitandovi ad essere creativi, competenti, ma non solo questo. L’imprenditore da voi è visto come agente di comunione. Nell’immettere dentro l’economia il germe buono della comunione, avete iniziato un profondo cambiamento nel modo di vedere e vivere l’impresa. L’impresa non solo può non distruggere la comunione tra le persone, ma può edificarla, può promuoverla. Con la vostra vita mostrate che economia e comunione diventano più belle quando sono una accanto all’altra. Più bella l’economia, certamente, ma più bella anche la comunione, perché la comunione spirituale dei cuori è ancora più piena quando diventa comunione di beni, di talenti, di profitti. Pensando al vostro impegno, vorrei dirvi oggi tre cose. La prima riguarda il denaro. È molto importante che al centro dell’economia di comunione ci sia la comunione dei vostri utili. L’economia di comunione è anche comunione dei profitti, espressione della comunione della vita. Molte volte ho parlato del denaro come idolo. La Bibbia ce lo dice in diversi modi. Non a caso la prima azione pubblica di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è la cacciata dei mercanti dal tempio (cfr. 2, 13-21). Non si può comprendere il nuovo Regno portato da Gesù se non ci si libera dagli idoli, di cui uno dei più potenti è il denaro. Come dunque poter essere dei mercanti che Gesù non scaccia? Il denaro è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli. Ma diventa idolo quando diventa il fine. L’avarizia, che non a caso è un vizio capitale, è peccato di idolatria perché l’accumulo di denaro per sé diventa il fine del proprio agire. È stato Gesù, proprio Lui, a dare categoria di “signore” al denaro: “Nessuno può servire due signori, due padroni”. Sono due: Dio o il denaro, l’antiDio, l’idolo. Questo l’ha detto Gesù. Allo stesso livello di opzione. Pensate a questo. Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto. La “dea fortuna” è sempre più la nuova divinità di una certa finanza e di tutto quel sistema dell’azzardo che sta distruggendo milioni di famiglie del mondo, e che voi giustamente contrastate. Questo culto idolatrico è un surrogato della vita eterna. I singoli prodotti (le auto, i telefoni...) invecchiano e si consumano, ma se ho il denaro o il credito posso acquistarne immediatamente altri, illudendomi di vincere la morte. Si capisce, allora, il valore etico e spirituale della vostra scelta di mettere i profitti in comune. Il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo, condividerlo con altri, soprattutto con i poveri, o per far studiare e lavorare i giovani, vincendo la tentazione idolatrica con la comunione. Quando condividete e donate i vostri profitti, state facendo un atto di alta spiritualità, dicendo con i fatti al denaro: tu non sei Dio, tu non sei signore, tu non sei padrone! E non dimenticare anche quell’alta filosofia e quell’alta teologia che faceva dire alle nostre nonne: “Il diavolo entra dalle tasche”. Non dimenticare questo! La seconda cosa che voglio dirvi riguarda la povertà, un tema centrale nel vostro movimento. Oggi si attuano molteplici iniziative, pubbliche e private, per combattere la povertà. E tutto ciò, da una parte, è una crescita in umanità. Nella Bibbia i poveri, gli orfani, le vedove, gli “scarti” della società di quei tempi, erano aiutati con la decima e la spigolatura del grano. Ma la gran parte del popolo restava povero, quegli aiuti non erano sufficienti a sfamare e a curare tutti. Gli “scarti” della società restavano molti. Oggi abbiamo inventato altri modi per curare, sfamare, istruire i poveri, e alcuni dei semi della Bibbia sono fioriti in istituzioni più efficaci di quelle antiche. La ragione delle tasse sta anche in questa solidarietà, che viene negata dall’evasione ed elusione fiscale, che, prima di essere atti illegali sono atti che negano la legge basilare della vita: il reciproco soccorso. Ma — e questo non lo si dirà mai abbastanza — il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare. Il principale problema etico di questo capitalismo è la creazione di scarti per poi cercare di nasconderli o curarli per non farli più vedere. Una grave forma di povertà di una civiltà è non riuscire a vedere più i suoi poveri, che prima vengono scartati e poi nascosti. Gli aerei inquinano l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del biglietto pianteranno alberi, per compensare parte del danno creato. Le società dell’azzardo finanziano campagne per curare i giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è l’ipocrisia! L’economia di comunione, se vuole essere fedele al suo carisma, non deve soltanto curare le vittime, ma costruire un sistema dove le vittime siano sempre di meno, dove possibilmente esse non ci siano più. Finché l’economia produrrà ancora una vittima e ci sarà una sola persona scartata, la comunione non è ancora realizzata, la festa della fraternità universale non è piena. Bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Imitare il buon samaritano del Vangelo non è sufficiente. Certo, quando l’imprenditore o una qualsiasi persona si imbatte in una vittima, è chiamato a prendersene cura, e magari, come il buon samaritano, associare anche il mercato (l’albergatore) alla sua azione di fraternità. So che voi cercate di farlo da 25 anni. Ma occorre agire soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le strutture di peccato che producono briganti e vittime. Un imprenditore che è solo buon samaritano fa metà del suo dovere: cura le vittime di oggi, ma non riduce quelle di domani. Per la comunione occorre imitare il Padre misericordioso della parabola del figlio prodigo e attendere a casa i figli, i lavoratori e collaboratori che hanno sbagliato, e lì abbracciarli e fare festa con e per loro — e non farsi bloccare dalla meritocrazia invocata dal figlio maggiore e da tanti, che in nome del merito negano la misericordia. Un imprenditore di comunione è chiamato a fare di tutto perché anche quelli che sbagliano e lasciano la sua casa, possano sperare in un lavoro e in un reddito dignitoso, e non ritrovarsi a mangiare con i porci. Nessun figlio, nessun uomo, neanche il più ribelle, merita le ghiande. Infine, la terza cosa riguarda il futuro. Questi 25 anni della vostra storia dicono che la comunione e l’impresa possono stare e crescere insieme. Un’esperienza che per ora è limitata ad un piccolo numero di imprese, piccolissimo se confrontato al grande capitale del mondo. Ma i cambiamenti nell’ordine dello spirito e quindi della vita non sono legati ai gran- di numeri. Il piccolo gregge, la lampada, una moneta, un agnello, una perla, il sale, il lievito: sono queste le immagini del Regno che incontriamo nei Vangeli. E i profeti ci hanno annunciato la nuova epoca di salvezza indicandoci il segno di un bambino, l’Emmanuele, e parlandoci di un “resto” fedele, un piccolo gruppo. Non occorre essere in molti per cambiare la nostra vita: basta che il sale e il lievito non si snaturino. Il grande lavoro da svolgere è cercare di non perdere il “principio attivo” che li anima: il sale non fa il suo mestiere crescendo in quantità, anzi, troppo sale rende la pasta salata, ma salvando la sua “anima”, cioè la sua qualità. Tutte le volte che le persone, i popoli e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri, hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri. Salviamo la nostra economia, restando semplicemente sale e lievito: un lavoro difficile, perché tutto decade con il passare del tempo. Come fare per non perdere il principio attivo, l’“enzima” della comunione? Quando non c’erano i frigoriferi, per conservare il lievito madre del pane si donava alla vicina un po’ della propria pasta lievitata, e quando dovevano fare di nuovo il pane ricevevano un pugno di pasta lievitata da quella donna o da un’altra che lo aveva ricevuto a sua volta. È la reciprocità. La comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni, creazione di nuovo pane, di nuovi beni, di nuovo Bene con la maiuscola. Il principio vivo del Vangelo resta attivo solo se lo doniamo, perché è amore, e l’amore è attivo quando amiamo, non quando scriviamo romanzi o quando guardiamo telenovele. Se invece lo teniamo gelosamente tutto e solo per noi, ammuffisce e muore. E il Vangelo può ammuffirsi. L’economia di comunione avrà futuro se la donerete a tutti e non resterà solo dentro la vostra “ca- sa”. Donatela a tutti, e prima ai poveri e ai giovani, che sono quelli che più ne hanno bisogno e sanno far fruttificare il dono ricevuto! Per avere vita in abbondanza occorre imparare a donare: non solo i profitti delle imprese, ma voi stessi. Il primo dono dell’imprenditore è la propria persona: il vostro denaro, seppure importante, è troppo poco. Il denaro non salva se non è accompagnato dal dono della persona. L’economia di oggi, i poveri, i giovani hanno bisogno prima di tutto della vostra anima, della vostra fraternità rispettosa e umile, della vostra voglia di vivere e solo dopo del vostro denaro. Il capitalismo conosce la filantropia, non la comunione. È semplice donare una parte dei profitti, senza abbracciare e toccare le persone che ricevono quelle “briciole”. Invece, anche solo cinque pani e due pesci possono sfamare le folle se sono la condivisione di tutta la nostra vita. Nella logica del Vangelo, se non si dona tutto non si dona mai abbastanza. Queste cose voi le fate già. Ma potete condividere di più i profitti per combattere l’idolatria, cambiare le strutture per prevenire la creazione delle vittime e degli scarti; donare di più il vostro lievito per lievitare il pane di molti. Il “no” ad un’economia che uccide diventi un “sì” ad una economia che fa vivere, perché condivide, include i poveri, usa i profitti per creare comunione. Vi auguro di continuare sulla vostra strada, con coraggio, umiltà e gioia. «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9, 7). Dio ama i vostri profitti e talenti donati con gioia. Lo fate già; potete farlo ancora di più. Vi auguro di continuare ad essere seme, sale e lievito di un’altra economia: l’economia del Regno, dove i ricchi sanno condividere le loro ricchezze, e i poveri sono chiamati beati. Grazie. Nuova dignità per poveri ed esclusi Una economia di comunione è possibile. Anzi, conviene. E per testimoniarlo, con fatti e dati alla mano, oltre mille protagonisti di questo sistema solidale, scaturito venticinque anni fa dal carisma focolarino, hanno incontrato il Papa. Sono imprenditrici e imprenditori che hanno scelto la comunione come stile di vita personale e aziendale. E con loro sono venuti a parlare con Francesco molti giovani, studenti e professori, che attraverso la ricerca, vogliono dare fondamento teoretico al binomio economia-comunione. «Non potevamo non venire a dire grazie al Papa per l’Evangelii gaudium e la Laudato si’, il manifesto per una economia che diventi finalmente oikonomia: buon governo della casa comune, della terra» ha detto Luigino Bruni, economista e coordinatore internazionale dell’economia di comunione, nel saluto rivolto a Francesco all’inizio dell’udienza. E insieme al Pontefice «che ha fatto degli “scarti” la testata d’angolo del suo pontificato — ha affermato — vogliamo dare una nuova dignità a poveri ed esclusi». Il segreto è semplice: «Mettere i propri talenti in comune, mettere la ricchezza generata in comunione, per rispondere a una chiamata interio- re, a una vocazione. Ma anche per migliorare la vita di chi non ha il necessario, per aiutare i giovani nello studio, per combattere la miseria e scegliere insieme una vita sobria, secondo la povertà del Vangelo». A dare voce, davanti al Papa, alla concretezza di questo sistema sono state quattro donne: Florencia, dall’Argentina; Corneille, dal Congo; Teresa, dalle Filippine; Maria Helena, dal Brasile. Proprio la diversità delle provenienze ha mostrato che l’economia di comunione può trovare spazio in qualunque area geografica e culturale, povera e ricca. E a presen- tare al Pontefice le loro esperienze sul campo sono venuti rappresentanti di quarantasette paesi dei cinque continenti. Accompagnati da Maria Voce, presidente del movimento dei Focolari, e dal consiglio generale, i protagonisti di questa esperienza hanno voluto condividere con il Papa alcuni frutti della storia dell’economia di comunione, rimarcando che è possibile affrontare sfide e crisi che stanno attanagliando il mondo. Del resto, questo sistema anima oggi poli produttivi in Europa e America latina, genera vita di comunione in oltre ottocento aziende, sostiene migliaia di poveri assicurando anche la scuola per i loro figli, sviluppa una riflessione culturale che contribuisce al ripensamento di categorie economiche come reciprocità, dono, gratuità e l’idea stessa di mercato. Un sistema che sta anche mettendo in atto nuovi progetti, a cominciare da una rete internazionale per sostenere soprattutto giovani imprenditori, per ora in Camerun, Portogallo, Croazia, Messico e Brasile. E sta anche funzionando con successo un partenariato con organizzazioni dell’economia sociale e civile per un training con cento giovani provenienti da contesti di vulnerabilità. Da segnalare, inoltre, un osservatorio sulla povertà ispirato ai valori della comunione e della reciprocità. Proprio su queste tematiche, è stato riferito a Francesco, si stanno articolando in questi giorni tre congressi di lavoro, nella Maria- poli di Castelgandolfo, per definire piste e progetti per il periodo 2018-2020. «Se decidiamo di guardare il mondo insieme a poveri e scartati — spiega ancora Bruni — non possiamo restare sul piedistallo, dobbiamo scendere nell’agone, accanto alle vittime, combattere per loro, con loro. In cambio otterremo occhi nuovi, vedremo cose che gli altri non vedono, a volte molto brutte, altre volte di bellezza infinita. L’economia di comunione lo fa da venticinque anni. Se vuole vivere deve continuare a farlo ogni giorno, meglio, di più». È un fatto, del resto, che oggi — come avverte il rapporto Oxfam 2017 — otto persone possiedono da sole la stessa ricchezza della metà più povera dell’umanità: la forbice della disuguaglianza si estremizza, condanna alla povertà centinaia di milioni di persone ed evidenzia l’iniquità dell’attuale sistema economico. In questa complessità l’economia di comunione, come altri percorsi economici, si può considerare davvero un segno profetico. Non a caso ha preso il via venticinque anni fa per reagire allo scandalo delle favelas che circondano la città di San Paolo in Brasile. Era il maggio 1991 quando Chiara Lubich inviò un primo gruppo di imprenditori a mettere in piedi aziende che, seguendo le leggi del mercato, producessero utili «da mettere liberamente in comune». Con lo scopo di aiutare i poveri, creare posti di lavoro, promuovere la cultura del dare in alternativa alla cultura dell’avere.