Integrazione e pari opportunità
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Integrazione e pari opportunità
Integrazione e pari opportunità PROGETTO INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITA’ 1 Integrazione e pari opportunità Sommario CAPITOLO 1 ............................................................................................................................................ 3 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LE DONNE NEL MERCATO DEL LAVORO ............................................. 3 Par. Par. Par. Par. 1.1 - Le Normative a sostegno dell’occupazione femminile ............................................ 3 1.2 Le donne nel mercato del lavoro italiano .................................................................. 15 1.3 Donne e Formazione .................................................................................................... 16 1.4 Considerazioni finali...................................................................................................... 27 CAPITOLO 2 .......................................................................................................................................... 33 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LAVORO E DISABILITA’.......................................................... 33 Par. Par. Par. Par. Par. Par. Par. Par. 2.1 Premessa ........................................................................................................................ 33 2.2 La normativa di riferimento: il quadro normativo Internazionale ......................... 34 2.3 La normativa di riferimento: il quadro normativo Comunitario ............................. 35 2.4 La normativa di riferimento: la legislazione Italiana ............................................... 36 2.5 La formazione professionale ....................................................................................... 41 2.6 La formazione continua ............................................................................................... 43 2.7 Analisi del quadro attuale ............................................................................................ 44 2.8 Considerazioni finali...................................................................................................... 50 CAPITOLO 3 .......................................................................................................................................... 52 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: I MIGRANTI ............................................................................. 52 Par. Par. Par. Par. Par. 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 Premessa ........................................................................................................................ 52 La presenza delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri nel MDL ............................. 52 I migranti e il mondo delle imprese ........................................................................... 60 Lavoro e Sicurezza ........................................................................................................ 62 La formazione come leva dei percorsi di integrazione ............................................ 64 2 Integrazione e pari opportunità CAPITOLO 1 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LE DONNE NEL MERCATO DEL LAVORO Par. 1.1 - Le Normative a sostegno dell’occupazione femminile Numerosi ed impegnativi – e non solo a livello nazionale ed europeo – i riferimenti normativi cui è possibili richiamarsi per sostenere azioni ed interventi anche in ambito formativo, tesi a colmare il gap quantitativo e qualitativo che ancora segna la presenza delle donne nel mercato del lavoro. In questa sede si ritiene utile richiamare per titoli il lungo percorso realizzato nel tempo a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, per poi soffermarsi, sempre dal punto di vista normativo, all’ultimo importante intervento legislativo nazionale assunto in tal senso: ci si riferisce alla Legge 53/2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”. E’ questa infatti, non solo la legge più recente ma è anche quella che “mette il dito nella piaga”, intervenendo all’interno di quello snodo culturale dato dall’incontro (scontro) tra genitorialità e mercato del lavoro. Inoltre, e non è meno importante, su un terreno più operativo, è una normativa che mette in campo risorse e interviene direttamente nella promozione e finanziamento di attività di formazione continua. Ripercorrendo la strada intrapresa a metà del secolo scorso, il primo passo compiuto è a livello internazionale con l’approvazione il 10 dicembre del 1948 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Sempre a questo livello è, poi, importante richiamare la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women approvata dalla Assemblea dell’ONU il 18 Dicembre 1979. Per quel che riguarda l’Unione Europea invece, i “pilastri” normativi e dei principi sono sicuramente: 3 Integrazione e pari opportunità • il Trattato di Roma, del 25 marzo 1957 - Art. 119; • La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 9 dicembre 1989 - Art. 16 • Il Trattato sull’Unione Europea del 7 febbraio 1992 - Art. 119 "Trattato di Maastricht" • Il Trattato di Amsterdam (97/C 340/01) che modifica il trattato sull'Unione Europea, i trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi - Artt. 2-3, 13, 118-119 Mentre sul piano attuativo – sempre a livello europeo – è importante fare riferimento alle Direttive: • Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 luglio 2006 - Attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego • Direttiva 2004/113/CE del Consiglio del 13 dicembre 2004 - Parità di trattamento tra uomini e donne sull’accesso a beni e servizi • Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4 novembre 2003 - su aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro • Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 settembre 2002 - Modifica alla direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro • Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 - Riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso • Direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 - Relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES • Direttiva 96/97/CE del Consiglio del 20 dicembre 1996 che modifica la direttiva 86/378/cee relativa all'attuazione del principio della parità di 4 Integrazione e pari opportunità trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di sicurezza sociale • Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 - Concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES • Direttiva 86/378/CEE del Consiglio del 24 luglio 1986 - Relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale • Direttiva 79/7/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1978 - Relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale • Direttiva 75/117/CEE del Consiglio del ravvicinamento delle legislazioni degli 10 febbraio 1975 - Per il stati membri relative all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile • Direttiva 76/207/CEE del Consiglio del 9 febbraio 1976, relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro • Direttiva 86/613/CEE del Consiglio (MS-Word, 12 kB) 11 dicembre 1986, relativa all'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità • Direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. 5 Integrazione e pari opportunità A livello nazionale, invece, si richiamano qui di seguito gli interventi legislativi più rilevanti che, come si vede, datano a partire dai primi anni ’70, 22 anni dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: • Legge 6 dicembre 1971, n. 1044 "Piano quinquennale per l'Istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato" • Legge 18 dicembre 1973, n. 877 "Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio" • Legge 9 dicembre 1977, n. 903 Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro • Legge 10 aprile 1991, n. 125 "Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro" • L. 25 febbraio 1992, n. 215 "Azioni positive per l'imprenditoria femminile" • D. Lgs. 26 novembre 1999, n. 532, "Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell'articolo 17, comma 2, della Legge 5 febbraio 1999, n. 25" • D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61 "Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES" • Legge 15 ottobre 2003, n. 289 Modifiche all’articolo 70 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere professioniste • D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145 "Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro" • Legge 24 febbraio 2006, n. 104 Modifica della disciplina normativa relativa alla tutela della maternità delle donne dirigenti 6 Integrazione e pari opportunità • D. Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 "Codice delle pari opportunità tra uomo e donna" Articoli 21/22 - 42/50 - 52/55 Dalle normative nazionali sopra riportate manca la Legge 53 dell’8 marzo 2000 che, come accennato sopra, vale la pena di vedere più da vicino. La Legge infatti introduce alcune novità rilevati, soprattutto per Paesi come l’Italia, anche sul piano culturale, in considerazione della introduzione della possibilità di utilizzazione dei congedi parentali anche per i padri. Per la prima volta, cioè, in una legge volta a favorire l’occupazione femminile, entrano in ballo anche gli uomini seppure, poi, nell’applicazione, l’attenzione è rivolta ancora volta solo verso le donne indebolendo così il suo portato innovativo. Approfondirne l’analisi è, poi, ancora più importante in questa sede bilaterale: la legge, infatti, nasce dall’accordo quadro del 3 giugno 1996 tra l’UNICE (Associazione Europea datoriale) e i sindacati europei, fatta propria dall’Italia con il D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, pochi giorni prima cioè della approvazione della più compiuta, rispetto alla assunzione della Direttiva Europea, Legge 53/00. Scaturisce quindi, da un accordo tra le parti sociali. La dimensione negoziale della gestione dei congedi parentali e della azioni di “conciliazione” la ritroviamo, infatti, anche nella nostra legge nella quale anche la promozione e il finanziamento di attività di formazione continua devono essere negoziate dalle parti sociali. E’ dal dibattito europeo, quindi, che viene una spinta forte a promuovere un riequilibrio tra gli impegni di donne e uomini nella loro “doppia” condizione di lavoratori e lavoratrici e esseri umani a tutto tondo a partire dalla loro scelta genitoriale.. Così il testo dell’accordo: 1. .....considerando che la risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994 riconosce che una politica effettiva di pari opportunità presuppone una strategia globale integrata, la quale consenta una migliore organizzazione degli orari di lavoro, una maggiore flessibilità e un più agevole ritorno alla vita 7 Integrazione e pari opportunità professionale e prende atto del ruolo importante che svolgono le parti sociali sia in tale campo sia nell'offrire, agli uomini e alle donne, la possibilità di conciliare le loro responsabilità professionali e i loro obblighi familiari; 2. considerando che le misure volte a conciliare la vita professionale familiare dovrebbero promuovere l'introduzione di nuovi modi flessibili di organizzazione del lavoro e dell'orario, più adattati ai bisogni della società in via di mutamento, e rispondenti sia alle esigenze delle imprese che di quelli dei lavoratori; 3. ...................................................... 4. considerando che gli uomini dovrebbero essere incoraggiati ad assumere uguali responsabilità familiari, ad esempio, proponendo loro di prendere congedi parentali con mezzi quali programmi di sensibilizzazione; ....................................... L’accordo stabilisce: “prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.”... e “si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro” Da qui, quattro anni dopo, i congedi parentali e la promozione di azioni volte alla “conciliazione” approdano nel nostro Paese seguiti da ulteriori interventi regolamentari e modificativi fino all’ultimo del maggio del 2009 relativo all’art. 9 della legge. Di quella parte cioè che finanzia interventi concordati tra le parti sociali tesi ad introdurre modifiche organizzative, di orario od altro capaci di permettere a padri e madri di poter svolgere al meglio il proprio lavoro senza rinunciare, per questo, ad esercitare il proprio diritto-dovere alla cura e alla crescita dei figli. - Circolare del Ministero del Lavoro, 7 luglio 2000, n. 43 "Art. 12, Legge 8 marzo 2000, n. 53, recante disposizioni in materia di flessibilità dell'astensione obbligatoria nel periodo di gestazione e puerperio della donna lavoratrice" 8 Integrazione e pari opportunità - D.M. 21 luglio 2000, n. 278 "Regolamento recante disposizioni di attuazione dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, concernente congedi per eventi e cause particolari" - Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 - D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151 "Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15 della Legge 8 marzo 2000, n. 53" - Art. 38 - Legge 18 giugno 2009, n. 69 Misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro Modifica dell'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53 Gli articoli della Legge su cui concentrare l’attenzione in relazione all’oggetto di questo lavoro sono due1 : l’art. 6 e l’art. 9: - art. 6 – congedi per la formazione continua quale “diritto di proseguire i percorsi di formazione per tutto l’arco della vita”. E’ la contrattazione a definire il monte ore da destinare ai congedi, i criteri per l’individuazione dei lavoratori e le modalità di orario nonché retributive connesse alla partecipazione ad attività di formazione; - art. 9 - nell'ambito del Fondo per l'occupazione (...), è destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilità, ed in particolare: a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando 1 Anche l’art 5 finanzia attività di formazione. Questa non viene qui analizzata in quanto attine a “congedi per formazione finalizzati al “completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio di II grado, del diploma di laurea universitario ….” 9 Integrazione e pari opportunità abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione; b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo; c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo. Entrando nel merito della applicazione dei due articoli, consideriamo per primo l’art. 6 facendo riferimento a quanto troviamo nei Rapporti annuali dell’Isfol sulla formazione continua che ne descrivono lo stato di attuazione seppure senza riferimenti ai soggetti che ne hanno beneficiato. Leggendo il Rapporto 2005 nella parte che riguarda le attività finanziate con l’articolo 6 si scopre che a fronte di 46 milioni di euro stanziati , ne sono stati erogati alle regioni 23,5 milioni. Le regioni interessate sono soprattutto quelle del Centro Nord. Queste ultime, ovunque siano collocate geograficamente, privilegiano finanziamento della formazione individuale sicuramente più semplici da mettere in circolo visto che non presuppongono accordi contrattuali e possono essere gestiti attraverso una ormai consolidata concessione di voucher. D’altra parte solo 5 CCNL su 15 rinnovati nell’ultimo biennio hanno recepito l’art 6 della L. 53/00 (Industria chimica Gomma e plastica, tessile/calzaturiero, quadri ed impiegati agricoli, contoterzismo in agricoltura, porti)2 . Più in generale, però, i dati a disposizione degli stessi Ministeri del lavoro e dell’Economia non consentono di ricomporre un quadro esaustivo. Il Rapporto 2 “Rapporto 2005 sulla formazione continua”. 10 Integrazione e pari opportunità 2005 sulla formazione continua riporta pochi dati di monitoraggio relativi ad attività svolte nel 2001 (appena un anno dopo l’entrata in vigore della normativa), a cui si aggiunge una tabella sulla ripartizione dei fondi seguiti a due Decreti interministeriali emanati nel 20043 . Le due tabelle confermano la prevalenza dei finanziamenti destinati alla formazione individuale rispetto a quella contrattata evidenziandone, contemporaneamente, l’accentuazione di questo orientamento nel corso del tempo. Ad esempio, una Regione importante per quel che riguarda la promozione e il sostegno alla formazione professionale come l’Emilia Romagna, se nel 2001 finanzia 58 progetti di tipologia A (contrattata con quote di riduzione di orario di lavoro), nel 2004 destina il 100% delle risorse della L. 53 alla tipologia B (formazione individuale). In senso opposto si muovono comunque Regioni come le Marche che nel 2001 hanno erogato finanziamento solo per la formazione individuale mentre nel 2004 destinano il 53,30% delle risorse alla tipologia A o la Toscana che nel 2004 destina il 25,30% mentre nel 2001 ha finanziato solo la formazione individuale. Diversa la scelta della Provincia Autonoma di Trento che sia nel 2001 che nel 2004 destina il 100% delle risorse alla tipologia A. Sempre dal Rapporto sulla Formazione continua (2005) si evince che ad usufruire della formazione sulle due tipologie sono soprattutto uomini in possesso di titoli di studio elevati. Il Rapporto non quantifica il dato per sesso (“forte prevalenza di uomini”), cosa che d’altra parte non fa in termini pressoché assoluti. Leggendo il rapporto nel suo insieme infatti, si scopre che un solo grafico (Figura 21, pag. 78) propone una lettura del dato distinta per sesso.” Nei rapporti successivi l’Isfol propone qualche dato relativo ai lavoratori che hanno usufruito della formazione continua, in senso lato, distinti per genere 3 “Rapporto 2005 sulla formazione continua”, citato, pag. 94 e pag. .98. 11 Integrazione e pari opportunità (cui si farà riferimento più avanti), ma per quel che riguarda quella finanziata dall’art. 6 della Legge 53/00 questa classificazione non è presente. D’altra parte nel Rapporto 2008 non viene nemmeno scritto se la prevalenza dei formati sia di genere femminile o maschile. Vale comunque la pena verificare se, rispetto al 2005, vi siano differenze significative nell’utilizzo dei finanziamenti anche perchè ciò che viene messo immediatamente in evidenza è la “.. difficoltà di spesa: sono, infatti, appena 43 i milioni che risultano erogati dal Ministero del Lavoro alle Regioni (tabelle dal 2.46 a 2.49). In particolare la quota scende drasticamente con i due decreti del 2007, dove si registra un trasferimento alle Regioni di circa 2,9 milioni a fronte degli oltre 30 impegnati. Naturalmente il meccanismo di trasferimento alle Regioni non implica che alcune di esse, in particolare tra le Regioni del Nord, non abbiano già emanato Avvisi, ma certamente le risorse non sono state ancora distribuite sul territorio4 ”. Come nel 2004, inoltre, le regioni del Sud fanno registrare vistose differenze rispetto alla emanazione di Avvisi e conseguentemente nell’utilizzo dei fondi: Molise, Campania, Puglia, Calabria e Basilicata non hanno ricevuto i finanziamenti e alcune di loro non hanno emesso alcun Avviso5 . Per quel che riguarda poi gli anni successivi e, più precisamente, il 2005 e il 2006 la situazione rispetto all’impegno e all’erogazione dei fondi è la seguente: - 2005 15.493.706,97 di euro sono risorse impegnate dal Governo di cui 2.437.118,85 erogate - 2006 15.493.707,01 di euro sono risorse impegnate dal Governo di cui 380.532,87 erogate 4 “Rapporto 2008 sulla formazione continua” “il Ministero del Lavoro non ha ancora erogato le risorse del 2004 a molte Regioni del Mezzogiorno, anche perchè alcune di queste ultime non hanno ancora emanato Avvisi.” (Rapporto 2008, pag. 141. 5 12 Integrazione e pari opportunità Le ragioni di queste difficoltà di spesa sono individuate, sempre nel Rapporto 2008, nella scarsa organizzazione dell’offerta formativa soprattutto delle regioni del Sud, oltre ché nel fatto che queste risorse sono destinate ad occupati piuttosto che a sostenere nuova occupazione, sempre per le regioni del Sud. Un’ulteriore differenziazione nell’uso delle risorse di cui si sottolinea la criticità è data dalle due tipologie di possibile utilizzo dei finanziamenti: Tipologia A - Progetti di formazione presentati dalle imprese che sulla base di accordi contrattuali prevedano quote di riduzione dell’orario di lavoro; Tipologia B - Progetti di formazione presentati direttamente dai singoli lavoratori. Le Regioni, come facile immaginare, hanno privilegiato l’utilizzo delle risorse di Tipologia B in quanto, la prima presuppone sia un accordo sindacale che quote di riduzione di orario di lavoro. E infatti i due Decreti succedutesi nel 2007 indicano 8 regioni che hanno impegnato risorse nell’ambito della Tipologia B e solo 4 per la Tipologia A. Il secondo Decreto coinvolge meno regioni per entrambe le Tipologie ma probabilmente non tutte hanno chiuso gli iter di impegno. Interessante notare come le più importanti regioni del Nord (Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna), utilizzino i fondi in modo integrato con le altre risorse a loro disposizioni compresi quindi i fondi FSE, così come l’Emilia Romagna sia l’unica regione che impegna queste risorse “a cavallo” tra le due tipologie. Infine, se andiamo a guardare le caratteristiche dei Bandi emanati dalle regioni notiamo che pochissime regioni selezionano la destinazione dei fondi individuando quali priorità accordi di riduzione dell’orario di lavoro funzionali all’aggiornamento delle competenze. Ancora una volta le scelte del Trentino Alto Adige si presentano tra le più interessanti: “Lavoratori collocati in CIG 13 Integrazione e pari opportunità ordinaria e/o straordinaria, e/o iscritti nelle liste di mobilità; Lavoratori con più di 45 anni; Lavoratori con basso titolo di studio; Lavoratori diversamente abili”. Ma va segnalato anche il Veneto che pone esplicitamente il vincolo di destinatari che si reinseriscono al lavoro dopo periodi di congedi parentali o per astensione obbligatoria o volontaria di lavoratori e lavoratrici (“progetti di formazione per il reinserimento dei lavoratori/trici durante e dopo il periodo di congedo parentale o di astensione obbligatoria; progetti che consentano la sostituzione del lavoratori/trici che beneficiano del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali con altro lavoratore/trice; progetti di formazione finalizzati all’attuazione di forme di orario di lavoro flessibile - da tempo pieno a tempo parziale, telelavoro etc.”). E infine la Sicilia che si rivolge a “donne che ricoprano o si apprestano a ricoprire ruoli dirigenziali o comunque finalizzati allo sviluppo di carriera in aziende/ ruoli/ professioni nei quali sono sotto rappresentate; soggetti fuori dai percorsi formativi da oltre 10 anni; lavoratori atipici”. Passando ora ad analizzare l’art. 9 che finanzia progetti condivisi dalle parti sociali finalizzati alla introduzione, nell’ambito della organizzazione del lavoro, di flessibilità volte alla “conciliazione”, nonché progetti di formazione che facilitino il reinserimento al lavoro dopo periodi di congedo, ad oggi non si può che prendere atto delle notevoli difficoltà di attuazione. Questo nonostante il regolare finanziamento della legge e due scadenze annue per la presentazione dei progetti. A fronte di queste difficoltà universalmente riconosciute, nel giugno di quest’anno è stata approvata una modifica legislativa (segnalata sopra). Le novità introdotte da una parte ampliano i soggetti che possono accedere ai finanziamenti includendo tra questi anche imprese sotto i cinquanta dipendenti fino a comprendere privati iscritti ai pubblici registri, e dall’altra amplia le tipologie delle azioni su cui è possibile richiedere il finanziamento. Le modifiche introducono, inoltre, una priorità per quei progetti che prevedono forme di valutazione innovative delle prestazioni e/o dei risultati. 14 Integrazione e pari opportunità Le azioni di conciliazione, inoltre, possono essere rivolte anche ai dirigenti. Ulteriori importanti novità riguardano le lavoratrici autonome. In prospettiva, poi, si attende che con i decreti attuativi si semplifichino le modalità di richiesta dei finanziamenti e della valutazione degli stessi. Se questo è lo scenario normativo di riferimento entro il quale la Legge 53/00 svolge un ruolo primario le difficoltà di attuazione e gli scarsi risultati ottenuti in questi anni chiedono a tutti i soggetti coinvolti quanto meno di interrogarsi sulle ragioni di queste “resistenze”. Non si deve dimenticare infatti, che oltre ai fondi messi a disposizione dalle normative italiane, in questi primi anni del secolo sono state notevoli anche le risorse messe a disposizione dal FSE e numerosi, e talvolta considerevoli nei contenuti, i progetti realizzati in e da diverse aziende italiane per poi essere stati, spesso, lasciati cadere immediatamente dopo la loro conclusione6 . Par. 1.2 Le donne nel mercato del lavoro italiano E infatti, lo scenario relativo alla presenza delle donne nel mercato del lavoro ad oggi è tutt’altro che soddisfacente qualsiasi sia il punto di vista di chi lo osserva: “Il tasso di occupazione femminile in Italia, 46%, resta uno dei più bassi in Europa. Nella classifica dei 27 paesi dell’Unione fa peggio di noi solo Malta. A peggiorare la situazione si aggiungono le cifre che si riferiscono alla conciliazione lavoro e maternità e alle differenze salariali. Le donne guadagnano in media il 15% in meno, ma nel caso di uno o più figli la penalizzazione è maggiore. 6 Il volume “Teoria e prassi per la conciliazione lavoro e famiglia – Guida alla legge 8 marzo 2000 n. 53, art. 9”, Quaderni Spinn a cura di Gabrilla Natoli cataloga – fino a febbraio del 2004: 41 progetti di flessibilità organizzativa (Tipologia A), di questi 6 prevedono anche attività formative volte a sostenere gli interventi previsti nel progetto; 14 di formazione al rientro (Tipologia B); 20 progetti di sostituzione dell’imprenditore (Tipologia C). Si segnala, poi, a mo’ di esempio: dal sito della Regione Emilia-Romagna: Sitografia e documentazione di buone prassi - Focus: Conciliazione. Le buone prassi 15 Integrazione e pari opportunità A fronte del più contenuto calo del tasso di occupazione femminile al 46,3 per cento, sei decimi di punto in meno rispetto a un anno prima, quello maschile manifesta una significativa flessione passando dal 69,7 % del primo trimestre 2008 al 68,5%. In Italia più che altrove, le possibilità di affermazione e valorizzazione dipendono meno dalle effettive potenzialità individuali e sono invece più condizionate dalla generazione di appartenenza, dall’essere uomo piuttosto che donna, dal vivere al Nord rispetto al Sud – il tasso di occupazione al Nord 56.7%, Centro 52.3% , Mezzogiorno 30.2% (fonte Istat) Tutto questo non solo penalizza i singoli, ma comprime le possibilità di crescita del Paese. La differenza tra i tassi di occupazione maschile e femminile è del 22.2% (fonte Istat)”. A esporre questi dati è la responsabile dell’APID, e quindi di una Associazione datoriale, la quale, come si vedrà più avanti, non fa sconti nemmeno guardando alle difficoltà di attuazione delle Legge 53/00. Par. 1.3 Donne e Formazione Non si ritiene in questa sede di doversi soffermare a lungo sui “numeri delle donne” nell’ambito del mercato del lavoro. Quanto riassunto con la citazione riportata appena sopra, ne descrive i punti salienti. Volendo si potrebbero richiamare i dati sempre più preoccupanti, delle donne che abbandonano il lavoro entro il primo anno successivo alla nascita di un figlio, fenomeno in crescita proprio in questi ultimi anni.7 O guardare le posizioni e i ruoli lavorativi di donne e uomini sia nelle imprese che, più in generale, in ambito 7 Merelli M., Nava P., Ruggerini MG., Maternità, paternità e lavoro: una conciliazione possibile, Parma, 2008 16 Integrazione e pari opportunità pubblico, politico o anche sindacale, o ancor più rimanere “sconcertati” nel verificare il persistere di pesanti differenziali retributivi tra uomini e donne.8 Più direttamente legata al contesto qui considerato, e insieme conseguente ai dati su cui un’eventuale azione di un Fondo Paritetico di gestione di attività di formazione continua, possa auspicabilmente incidere, è una fotografia più ampia relativa alla fruizione della formazione da parte delle lavoratrici. A questo proposito i dati più recenti sono quelli contenuti nel Rapporto Isfol 2008, già più volte citato che, seppure non particolarmente generosi in termini di distinzione di genere, offrono qualche utile informazione. Questi nella sostanza confermano un coinvolgimento minore delle donne nelle attività di formazione, coerente certo, con la minore presenza nel mondo del lavoro ma sicuramente contraddittoria rispetto ai migliori risultati quantitativi e qualitativi che si registrano nell’ambito dei percorsi formativi in senso lato. “La partecipazione ad attività formative è maggiore per gli uomini (44,1%) rispetto alle donne (39,5%)”, ma questo dato è ancor più significativo se messo in relazione con quanto descritto nella tabella sottostante che descrive in generale la partecipazione di donne e uomini ad attività di formazione formale e informale, corsi di studio o di formazione, nonché attività di autoformazione di uomini e donne. In sostanza ciò ci consente di verificare (e confermare) la maggiore frequenza femminile ad attività di studio e formazione in senso lato per constatare, poi, che questa non solo non ha una ricaduta equivalente nel mercato del lavoro, ma la stessa frequenza alla formazione si modifica in relazione al genere tanto più questa è collegata con l’attività lavorativa soprattutto nel privato, a partire, per altro, proprio dalla formazione continua. 8 LeNove, Sistemi organizzativi e differenze retributive fra donne e uomini, in Isfol, Esiste un differenziale retributivo di genere in Italia?, Roma, I libri del Fondo Sociale Europeo, 2007, ma anche LeNove, Differenziali retributivi di genere e organizzazione del lavoro. Una indagine qualitativa, Isfol, 2008. 17 Integrazione e pari opportunità Tabella 1 Occupati di 18 anni e più per frequenza di corsi di studio, e/o formazione e/o autoformazione classe di età e sesso. Anno 2006 (per 100 occupati di 18 anni e più della stessa età e dello stesso sesso) Frequenta corsi di studio, e/o formazione, e/o autoformazione CLASSI DI ETÀ di cui No Sì Corsi di studio 18 - 19 20 - 24 25 - 34 35 - 44 45 - 54 55 - 59 60 - 64 65 e più Totale 44.2 48.1 44.0 46.6 48.4 50.6 61.0 69.6 47.7 55.8 51.9 56.0 53.4 51.6 49.4 39.0 30.4 52.3 15.1 8.6 5.2 2.5 1.5 1.6 0.9 0.3 3.1 18 - 19 20 - 24 25 - 34 35 - 44 45 - 54 55 - 59 60 - 64 65 e più Totale 34.1 37.5 37.6 41.1 44.3 49.2 56.3 80.3 41.9 65.9 62.5 62.4 58.9 55.7 50.8 43.7 19.7 58.1 33.3 14.7 9.4 4.2 2.8 1.5 5.6 18 - 19 20 - 24 25 - 34 35 - 44 45 - 54 55 - 59 60 - 64 65 e più Totale 41.0 43.8 41.3 44.4 46.8 50.1 59.9 72.3 45.4 59.0 56.2 58.7 55.6 53.2 49.9 40.1 27.7 54.6 20.8 11.1 6.9 3.2 2.0 1.6 0.6 0.2 4.1 Corsi di formazione Attività di autoformazione MASCHI 21.3 19.1 23.2 24.3 24.3 21.7 15.9 10.9 23.1 FEMMINE 25.6 31.2 32.1 31.9 30.4 25.0 21.3 4.4 30.7 MASCHI E FEMMINE 22.7 24.0 26.9 27.4 26.7 22.9 17.2 9.3 26.1 Fonte: Istat – AES (Adult Education Survey) Italia 2007 18 Hanno effettuato Solo corsi di studio e/o di formazione Solo autoformazione Sia corsi di studio e/o di formazione, sia autoformazione 42.5 45.0 50.2 47.0 45.1 43.8 34.3 28.9 46.2 23.8 13.2 10.4 11.8 12.6 11.2 12.0 4.9 11.7 44.9 53.3 54.0 52.8 52.1 55.5 59.1 64.0 53.4 31.8 33.4 35.6 35.4 35.3 33.3 28.8 31.1 34.9 57.6 52.0 54.3 50.0 47.5 44.7 35.9 17.7 49.8 12.7 16.9 13.0 15.1 14.6 11.9 17.7 10.2 14.3 28.8 41.5 43.2 43.5 44.8 49.6 51.3 77.8 44.1 58.6 41.7 43.8 41.4 40.6 38.5 31.0 12.1 41.6 47.2 47.9 51.9 48.2 46.0 44.2 34.7 26.1 47.6 19.9 14.9 11.5 13.2 13.4 11.4 13.6 5.8 12.8 39.3 48.0 49.2 48.8 49.1 53.4 57.0 66.4 49.5 40.8 37.1 39.3 38.0 37.5 35.2 29.4 27.8 37.7 Integrazione e pari opportunità Sempre da un rapporto Isfol ma questa volta del 2006, traiamo la seguente tabella: Tabella 2. Caratteristiche dei/delle partecipanti ad attività di formazione continua nel 2004 (%) Caratteristiche dei formati Media formati Genere Uomini Donne Tipologia lavoratori/lavoratrici Dipendenti Dipendenti indipendenti privati pubblici 26,7 53,1 27,6 28,7 23,3 49,2 56,2 Media lavoratori/trici formati 32,7 29,0 24,3 31,9 33,9 Fonte: Rapporto Isfol 2006 sulla formazione continua Come si vede, salvo nel Pubblico Impiego, il rapporto uomo/donna vede sempre una più ridotta frequenza femminile alle attività formative 9. Un ulteriore approfondimento sulla partecipazione delle donne alla formazione è stato realizzato dall’Istat all’interno di una indagine multiscopo10 da cui Patrizia Dandolo del Dipartimento Formazione Ricerca CGIL ricava una dettagliata analisi su “Formazione e partecipazione femminile”. I dati ripresi da questa nota ci consentono di ampliare le informazioni in nostro possesso. Per prima cosa, si trova la conferma del quadro riassunto con la Tab. 2: le donne occupate nella Pubblica Amministrazione: “hanno dei tassi di partecipazione più elevati di quelli degli uomini: le occupate partecipano ad attività formative nel 58,1% dei casi rispetto al 52,3% degli uomini e tali differenze permangono anche a parità di livello professionale. Ad esempio le donne direttive, quadri e impiegate partecipano ad attività formative nel 67,9% dei casi rispetto al 65,9% dei maschi nella stessa posizione professionale”, mentre le distinzioni in negativo riemergono se si va a guardare l’ambito privato e, in generale, quando vengono svolte le diverse attività di studio e formazione: 9 M. G. Ruggerini e A. Bozzoli, Le donne nella formazione continua e in Fondimpresa, pubblicata in “ Contrattare e valutare la formazione: il caso di Fondimpresa”, a cura di F. Bednarz e R. Pettenello Ed. Ediesse, 2008. 10 Istat – AES (Adult Education Survey) Italia 2007 . La tabella 1. è stata tratta dall’indagine qui citata. 19 Integrazione e pari opportunità “Sono più gli uomini che le donne a seguire i corsi di studio durante le ore lavorative (40,4% dei maschi rispetto al 36,1%), anche a parità di posizione nella professione. Il divario è più elevato tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti e diminuisce tra i direttivi, quadri e impiegati e tra gli operai mentre tra i lavoratori in proprio e coadiuvanti la situazione si inverte (42,3% delle donne contro il 30,8% degli uomini). Per gli occupati che hanno svolto corsi durante l’orario di lavoro, le ore del corso sono state considerate nel 59,5% dei casi completamente o in parte come orario di lavoro. La quota più alta di occupati che hanno potuto conteggiare le ore di corso in tutto o in parte come orario di lavoro si registra tra i direttivi, quadri, impiegati (65,4%), seguiti dagli operai e apprendisti (55,8%) e dai dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (50%). Anche in questo caso si registrano delle forti differenze di genere a favore degli uomini, differenze che non sono comunque costanti al variare della posizione nella professione. Il vantaggio maschile è forte se consideriamo i direttivi, quadri, impiegati (72,4% dei maschi rispetto al 60,2% delle femmine) e gli operai e apprendisti (62,5% rispetto al 47,4% delle donne) mentre tra i dirigenti, imprenditori e liberi professionisti e i lavoratori in proprio e coadiuvanti sono le donne ad aver potuto considerare più degli uomini le ore di corso come orario di lavoro”. “Esistono, inoltre, delle differenze di genere tra gli occupati per quanto riguarda la partecipazione ai corsi svolti in ambito lavorativo e/o proposti dal datore di lavoro. Tra gli uomini impiegati, direttivi o quadri, il 71% segue dei corsi in ambito lavorativo contro il 63,7% delle donne nella stessa condizione professionale: Inoltre, il tasso di partecipazione tra gli operai uomini è del 62,1% contro il 49,2% delle loro colleghe donne. Tra i dirigenti, gli imprenditori e i liberi professionisti emerge un vantaggio femminile (46,7% contro 42,7%)”. 20 Integrazione e pari opportunità “Sono più gli uomini a seguire corsi per motivi lavorativi (72,5% rispetto al 58,3% delle donne), gli occupati e in particolare i dirigenti, gli imprenditori e i liberi professionisti (85,8%) e i direttivi, quadri e impiegati (77,4%). Anche in questa tipologia di formazione gli orari nei quali viene svolta la formazione incidono sulla partecipazione di genere: “Forti le differenze di genere: solo il 43,2% delle donne occupate ha seguito il corso durante l’orario di lavoro rispetto al 61% degli uomini occupati. Tale svantaggio sembra essere assai radicato, in quanto permane anche a parità di posizione nella professione. Inoltre, anche considerando solo le donne e gli uomini occupati che svolgono corsi proposti dal datore di lavoro o corsi per la crescita professionale lo svantaggio femminile permane”. Dove poi, il costo del corso è a carico del datore di lavoro (o della formazione finanziata) è “Interessante è notare come il contributo economico da parte del datore di lavoro riguarda il 29% degli uomini contro il 20% delle donne.” L’indagine a cui ci riferiamo propone inoltre un approfondimento relativamente alle difficoltà che si incontrano quando si intende frequentare un corso di studio o di formazione. Purtroppo ancora una volta sono le donne ad incontrane di più: 32,1% rispetto al 28,2% dei maschi. E, guarda caso, per “le donne (45,7%) pesano in maggior misura i motivi familiari, contro il 33% tra gli uomini; contano di più gli impegni sul lavoro per gli uomini (45,5%), piuttosto che per le donne (25,2%). Ambedue i motivi interessano prevalentemente le fasce d’età centrali”. Passando ora ad un affondo mirato alla formazione continua finanziata poche le possibilità di conoscenza attraverso il Rapporto Isfol compreso l’ultimo del 2008. Il rapporto infatti, non propone dati distinti per genere né per le attività finanziate dai Fondi interprofessionali paritetici, né per quella finanziata dalla L. 53/00. Gli unici dati disponibili attengono la Legge 236/93 che confermano nella sostanza quanto già registrato sopra: 21 Integrazione e pari opportunità Tabella 3 Distribuzione dei formati per genere Genere Femmine Valori assoluti 40.055 % 45,1 Maschi 48.732 54,9 Totale* 88.787 100,0 Nota: * Il totale è stato calcolato sui dati di concluso disponibili per genere Fonte: Elaborazioni Isfol – Area Politiche e Offerte per la Formazione Continua Per quel che riguarda invece, i fondi paritetici interprofessionali disponiamo di qualche elemento conoscitivo se facciamo riferimento ai rapporti di monitoraggio realizzati dai singoli Fondi ma anche a qualche indagine specifica dedicata proprio alla coinvolgimento delle donne nelle attività formative: è il caso, per esempio, di Fondimpresa11 o di Fon.Ter12 e, per quel che riguarda il Fapi a quanto pubblicato in “Formazione continua per lo sviluppo e l’occupabilità – La domanda e l’offerta nella proposta del Fapi – rapporto 2008, o di Foncoop che pubblica anch’esso, nel proprio rapporto di monitoraggio, dati relativi ai destinatari distinti per genere. Qui, per esigenze di comparazione, verranno utilizzati sono i dati presenti nei rapporti di monitoraggio di Foncoop e di Fapi che, come si vedrà, non presentano particolari novità rispetto a quanto noto a chi si occupa di questi temi. L’interesse di questi dati, però, sta proprio qui: nel fatto cioè di continuare ad essere uguali a se stessi ormai da diverso tempo e ciò nonostante tutti si dicano d’accordo sulla necessità di un riequilibrio nelle condizioni di lavoro di donne e uomini e quindi anche nella formazione, tanto più se si tratta di quella rivolta a lavoratrici e lavoratori dipendenti. 11 M. G. Ruggerini e A. Bozzoli, Le donne nella formazione continua e in Fondimpresa, citata. 12 “S’Ignora – Occupazione femminile nel terziario” che ricostruisce anch’essa il quadro della condizione di lavoro delle donne nel nostro Paese e lo stato di “avamzamento” delle politiche di conciliazione”. 22 Integrazione e pari opportunità Qui di seguito quindi, troverete una tabella relativa ai destinatari della formazione finanziata dai Fondi interprofessionali relativi a tutti Fondi, tratti dal rapporto 2007 dell’Isfol e dei riquadri più di dettaglio relativi alla partecipazione alla formazione distinta per genere dei due Fondi sopra citati che ci consentono di guardare alle qualifiche e ai titoli di studio di chi ha frequentato i corsi. Infine è importante precisare che la scelta di mettere a confronto i dati di questi due Fondi è anche motivata dalla possibilità che questi ci offrono di leggere con immediatezza un ulteriore elemento caratterizzante la condizione di lavoro femminile e cioè la segregazione settoriale. L’insieme di queste cifre quindi, ci aiutano a mettere in evidenza ancora una volta: - la minore presenza delle donne nella formazione; - la segregazione occupazionale; - la svalorizzazione delle competenze e dei saperi femminili; Tabella 4 Ripartizione per genere dei lavoratori coinvolti nei piani formativi dei Fondi Paritetici13 Fondi Fon. Coop Fon. Ter Fondimpresa* Fondir Fondirigenti Fondo Artigianato Formazione Fondo Formazione PMI For. Te Totale Uomini 59,5 37,1 71,9 89,4 91,9 56,0 Donne 40,5 62,9 28,1 10,6 8,1 44,0 Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 100,00 68,4 46,3 55,7 31,6 53,7 44,3 100,00 100,00 100,00 * Dati aggiornati al 24 novembre 2006 • NB Il dato non è disponibile per tutti i Fondi – Fonte: Elaborazione Isfol Fonte: Rapporto Isfol 2006 sulla formazione continua 13 La tabella è tratta dall’indagine pubblicata in “ Contrattare e valutare la formazione: il caso di Fondimpresa”, Ed. Ediesse, a cura di F. Bednarz e R. Pettenello. 23 Integrazione e pari opportunità Già da questa Tabella è possibile cogliere quella che viene chiamata segregazione occupazionale e la straripante presenza maschile nel Fondo che si rivolge ai dirigenti; passando ora alle tabelle relative al Fondo Pmi e a Foncoop, le prime due renderanno ancora più evidente le presenze femminili e maschili nei diversi settori produttivi: Tabella 5 Partecipanti ad attività formative finanziate da Fon.Coop. Distribuzione per settore e sesso Settore Sesso Totale Maschi % 73,9 v.a. 203 Femmine % 26,1 Settore primario v.a. 576 v.a. 779 % 100,0 Settore secondario 1.021 73,2 373 26,8 1.394 100,0 Costruzioni 916 91,4 86 8,6 1.002 100,0 Commercio e riparazione 2.075 43,8 2.660 56,2 4.735 100,0 Fonte: elaborazione su dati Fon.Coop, 2008 24 Integrazione e pari opportunità Tabella 6 Fondo PMI : Partecipanti per settore di appartenenza (cod CNEL ) e sesso Descrizione CNEL Agricoltura Alimentaristi - Agroindustriale Amministrazione Pubblica Aziende di servizi Chimici Commercio Credito Assicurazioni Edilizia Enti ed Istituzioni Private Meccanici Poligrafici e spettacolo Tessili Trasporti Altri Vari ND Totale complessivo F 0,2% 2,5% 0,0% 5,1% 3,9% 18,9% 0,9% 1,4% 1,6% 26,6% 0,6% 4,5% 0,6% 23,2% 10,1% 100,0% M 0,9% 1,8% 0,0% 3,8% 2,9% 10,8% 0,7% 2,3% 0,4% 38,3% 0,3% 1,3% 1,6% 23,5% 11,2% 100,0% Totale complessivo 0,7% 2,0% 0,0% 4,2% 3,2% 13,4% 0,8% 2,0% 0,8% 34,6% 0,4% 2,3% 1,3% 23,4% 10,8% 100,0% Come si vede, per quel che riguarda Foncoop le donne sono prevalenti fino a raggiungere quasi l’80% nei servizi alla persona a fronte di dati rovesciati, nello stesso Fondo, se si vanno a guardare le impresi edili o anche le attività finanziarie. Di contro, i destinatari della formazione del Fondo PMI sono in prevalenza uomini anche se guardando i singoli settori, l’alternanza della prevalenza di genere cambia a seconda che si tratti di ambiti occupazionali tradizionalmente maschili o femminili. 25 Integrazione e pari opportunità Tabella 7 Partecipanti ad attività formative finanziate da Fon.Coop. - Distribuzione per livello professionale Livello professionale Sesso Totale Maschi Dirigenti, quadri, e direttivi Impiegati Operai qualificati e personale non qualificato TOTALE Femmine v.a. 2.030 % 25,4 v.a. 1.232 % 10,0 v.a. 3.262 % 16,1 3.172 39,7 5.015 40,8 8.187 40,4 2.780 34,8 6.043 49,2 8.823 43,5 7.982 100,0 12.290 100,0 20.272 100,0 Fonte: elaborazione su dati Fon.Coop, 2008 Tabella 8 Fondo PMI: partecipanti per sesso e livello di inquadramento professionale Dirigenti Impiegati amministrativi e tecnici Impiegati direttivi Operai generici Operai qualificati Quadri Altro personale generico ND Importo totale F M 0,8% 70,4% 2,4% 43,1% Importo totale 1,9% 51,7% 3,9% 9,9% 5,0% 2,8% 2,9% 4,3% 21,4% 16,0% 5,1% 1,8% 4,2% 17,8% 12,5% 4,4% 2,2% 4,3% 100,0% 6,0% 100,0% 5,5% 100,0% 26 Integrazione e pari opportunità Par. 1.4 Considerazioni finali Nel corso di questa breve ricognizione normativa e contestualizzione relativa alla presenza delle donne nel mercato del lavoro e alla loro partecipazione ad attività formativa, sono stati sentiti diversi testimoni privilegiati. Si tratta di rappresentanti sindacali e datoriali che da una parte gestiscono pariteticamente il Fondo e dall’altra, anzi in primis, sono rispettivamente impegnati sui temi del mercato del lavoro e dello sviluppo d’impresa; in questa sede, però, sono stati intervistati in quanto responsabili delle donne sia in ambito sindacale14 che datoriale15 . Pur non essendo una novità, il dato più rilevante evidenziato da tutte e quattro le organizzazioni è la lettura univoca delle ragioni che ancora oggi determinano le maggiori difficoltà delle donne nel mercato del lavoro, individuate fondamentalmente in una cultura ancora fortemente radicata nel nostro Paese che mantiene le donne in una posizione marginale in ambito produttivo. Persiste cioè una sostanziale divisione sessuale del lavoro – non smentita dalla pur crescente presenza femminile in termini occupazionali. Come scritto sopra, è proprio questa “non novità” che ci interroga e su cui si sono interrogate le nostre testimoni privilegiate. E, a questo proposito, vale la pena di presentare ancora qualche cifra che, seppure note, proprio per la loro reiterazione oggi chiamano tutti ad uno sforzo in direzione opposta non più rinviabile. Sono i dati sui congedi parentali che, come è noto, con la Legge 53/00, possono essere richiesti anche dai padri: “Dopo sette anni di utilizzo della legge, si rileva – a livello nazionale – un leggero aumento delle richieste dei padri che però, tendenzialmente, permangono di breve durata. L’indagine Istat 2005 conferma che l’astensione facoltativa dal lavoro e i congedi parentali sono ampiamente utilizzati dalle madri, più al Nord (oltre 14 15 Sono state intervistati le responsabili femminili nazionali di Cgil, Cisl e Uil; E’ stata intervistata la responsabile nazionale dell’APID 27 Integrazione e pari opportunità l’80% delle madri) che al Sud (62,7%) ... Solo l’8% dei padri poi ha usufruito di un periodo di congedo parentale entro i primi due anni di vita del bambino ..”16 . Di contro “i risultati dell’indagine17 della Banca d’Italia sui “Bilanci delle famiglie italiane” (2000) in relazione alle ore dedicate al lavoro (retribuito) e alle attività domestica delle donne e degli uomini ci dice che sommando l’orario di lavoro (retribuito) medio settimanale delle donne alle ore dedicate alle attività domestica si arriva ad un totale di 64,8 ore settimanali (35,5 + 29,3); mentre per quel che riguarda gli uomini il totale è di 55,6 ore settimanali (43,1 + 12,5). Ancora: “le statistiche dell’Unione Europea ci informano che le italiane hanno la tabella di marcia più faticosa di tutto il continente. A parità di impegni fuori casa, si sobbarcano almeno tre ore di lavoro domestico in più delle loro viziate metà. Vivono dilaniate tra l’esigenza moderna di mantenere un ruolo faticosamente conquistato nel mondo del lavoro, e l’organizzazione ancora tradizionale della società e della famiglia”18 . Che tutto ciò crei squilibri sia in ambito sociale che produttivo è un dato altrettanto noto. Qui, a mo’ di esempio si possono richiamare due dati: quello relativo al contributo potenziale che una crescita dei livelli occupazionali femminili porterebbero alla crescita del PIL nazionale e quelli relativi ai bassi tassi di natalità che si riscontrano nel nostro Paese, anche questi con significative ricadute sulla situazione socio-economica italiana. Rispetto al primo dato: “La crescita del lavoro femminile contribuisce ad alimentare la produttività nazionale. Analizzando le pari opportunità da un punto di vista economico, è possibile quantificare gli effetti di una maggiore partecipazione femminile sul Pil. Elevando il tasso di occupazione delle donne fino a raggiungere quello maschile (da 55,3% a 75,3% nel Centro Nord e da 16 Merelli M., Nava P., Ruggerini MG., Maternità, paternità e lavoro: una conciliazione possibile, citato. Da Alla pari (speciale marzo 2004), citato. 18 Merelli M., Nava P., Ruggerini MG., Maternità, paternità e lavoro: una conciliazione possibile, citato 17 28 Integrazione e pari opportunità 31,1% a 62,2% al Sud) il Pil italiano potrebbe crescere complessivamente del 12,3 per cento”19 . Guardando ora al secondo verifichiamo che la crescita naturale20 riferita agli anni 2005-2008 è per il nostro Paese quantificata dall’Istat tra il -0,2 del 2005 allo 0,1 del 2008 che come è noto rappresenta uno degli indici più bassi a livello europeo21 . In sostanza “il nostro Paese registra la più bassa fecondità e la più bassa occupazione femminile nell’ambito del contesto europeo. Ciò potrebbe sembrare un paradosso, ma ci siamo riusciti!”22 Per muoversi nella direzione opposta sono sicuramente diversi i nodi da sciogliere a partire dalle criticità sottolineate dalle testimoni intervistate: Gli accordi tra le parti sociali possono essere uno degli aspetti di “debolezza” (o diffidenza)23 nei confronti dell’uso delle risorse che pure la normativa mette a disposizione di imprese e lavoratori. Non a caso le risorse messe a disposizione dall’art. 6, sopratutto con modalità non negoziali, sono quelle più utilizzate. D’altra parte, queste stesse risorse, sono anche quelle meno conosciute dalle tre responsabili femminili intervistate e ciò probabilmente perchè non considerate risorse immediatamente volte alla “conciliazione” e quindi ad interventi rivolti prevalentemente alle donne. Da qui un ulteriore criticità: una assunzione, anche da parte sindacale, del tema della “conciliazione” come tema solo “femminile”24. Queste stesse ragioni fanno proporre alla Uil25 “incentivi premianti” per i padri che chiedono 19 Tratto da www.sole24ore.com, 5 giugno 2008 Con “crescita naturale” si intendono i nati da genitori italiani, se si considerano invece le nascite da genitori stranieri il “saldo” natalità/mortalità è positivo. 21 Istat tabella 3. Bilanci demografici per regione - Anni 2005-2008 22 Da un’intervista all’autore del libro: “Famiglie sole – sopravvivere con un welfare inefficiente” (Ed il Mulino, 2009) Alessandro Rosina, andata in onda su radio 3 il 17 luglio 2009. Il testo è stato recensito in data odierna anche da Repubblica” da cui si ricava la seguente citazione: “Alice Monetti, 65 anni, insegnante in pensione, è oggi nonna di due bambine, di cui si occupa quasi a tempo pieno, quando non deve assistere la madre. "Mi sono sempre sentita schiacciata tra le generazioni - racconta -. Adoro tutti, figli, nipoti, mia madre, ma senza la mia presenza lei non potrebbe alzarsi dal letto e mia figlia non potrebbe andare a lavorare". E infatti , dice la ricerca, "finora i servizi pubblici per l'infanzia sono stati pensati come complementari al servizio gratuito fornito da madri e nonni". 23 E’ questo uno degli interrogativi che si è posta le responsabile delle donne della Cgil intervistata in questa occasione. 24 E, infatti la responsabile delle donne Cisl , sottolinea proprio questo aspetto quale elemento di debolezza nell’approccio alla Legge. 25 Dall’intervista alla responsabile delle donne della Uil. 20 29 Integrazione e pari opportunità i congedi parentali rovesciando così, la tendenza attuale di un sur plus di penalizzazione proprio perchè dagli uomini non ci aspetta che si allontanino per questo dal lavoro. E’ un tema questo, che, nelle sue origini e nei suoi contenuti, ha impegnato ed impegna le Parti sociali. Le stesse che gestiscono i Fondi paritetici interprofessionali. Le stesse che sono chiamate a firmare accordi formativi e sperimentazioni aziendali che almeno comincino ad incrinare non solo i “soffitti di vetro” ma l’insieme degli ostacoli che incontrano le lavoratrici. Ed è per queste stesse ragioni che un piccolo lavoro come questo, insieme all’approfondimento che seguirà, diventa importante soprattutto guardando al nodo di fondo che qui è stato più ampiamente analizzato e cioè il tema della conciliazione tra sfera personale e professionale a partire dalle sue ricadute in termini di formazione. Il Fapi è un organismo bilaterale e la Confapi è l’unica Associazione datoriale che ha siglato un accordo per l’attuazione delle L. 53/00 con Cgil, Cisl e Uil. L’accordo, allegato qui di seguito, è stato firmato nel mese di dicembre del 2001, non è stato applicato con grande probabilità per il disimpegno di tutte le parti firmatarie. Potrebbe essere questa un’occasione per rileggerlo insieme e dargli un seguito. 30 Integrazione e pari opportunità Roma, 5 Dicembre 2001 CONFAPI-CGIL-CISL-UIL AZIONI POSITIVE VOLTE A CONCILIARE TEMPI DI VITA E DI LAVORO NELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE - premesso che l’art. 9 della Legge 8 marzo 2000, n. 53, dispone la concessione di contributi a carico del Fondo per l’occupazione in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilità, dirette a favorire la conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro per lavoratrici e lavoratori; - considerato che il Decreto 15 maggio 2001 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per le pari opportunità, individua i criteri e le modalità di erogazione dei contributi di cui all’art. 9, co. 2, della legge 8 marzo 2000, n. 53; - considerato che l’accordo collettivo rappresenta il presupposto per l’ammissibilità al finanziamento; - considerato che le risorse per incentivare le imprese ad attuare le azioni positive sono destinate nella misura del 50% dei contributi in favore di aziende la cui dimensione occupazionale è inferiore a 50 dipendenti; - valutata la possibilità di sviluppare la bilateralità nelle politiche di pari opportunità tra donne e uomini nel quadro delle relazioni industriali tra le Parti sociali e nel rispetto delle differenti realtà rappresentate; - valutata con interesse la possibilità di avviare iniziative congiunte per consentire di meglio conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari e per contribuire ad agevolare il reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori nell’attività produttiva dopo il periodo di congedo; CONFAPI e CGIL CISL UIL convengono sulla necessità di: - intervenire sul Ministero del Lavoro per contribuire alla definizione di disposizioni applicative della normativa che stabiliscano con chiarezza le modalità e i criteri per accedere ai finanziamenti previsti in favore delle aziende che intendono realizzare azioni positive per la flessibilità contrattata; 31 Integrazione e pari opportunità - promuovere la stipulazione di accordi collettivi di secondo livello che prevedano azioni positive per la flessibilità, che tengano conto delle specifiche esigenze delle realtà territoriali di riferimento nella scelta delle iniziative da realizzare, attraverso la sensibilizzazione sull’importanza delle misure che consentono di conciliare meglio l’attività lavorativa con gli impegni familiari e degli interventi formativi successivi ai periodi di congedo. In tale ambito si realizzeranno gli accordi aziendali. Come previsto dal decreto, nel caso di aziende dove non siano presenti le rappresentanze sindacali, dovranno essere coinvolte le strutture territoriali dei sindacati confederali e datoriali di riferimento. Per agevolare tali procedure, gli enti bilaterali territoriali potranno realizzare una iniziativa di supporto attraverso la raccolta delle esigenze avanzate sia dalle lavoratrici e dai lavoratori che dai datori di lavoro; - promuovere l’erogazione di servizi d’informazione su tutte le tipologie di azioni positive previste dal decreto e d’orientamento nei confronti delle lavoratrici, dei lavoratori e delle imprese sulle opportunità esistenti anche attraverso il coinvolgimento della struttura nazionale e delle strutture territoriali degli enti bilaterali; - monitorare attraverso un osservatorio che verrà costituito lo stato di attuazione degli accordi collettivi sul territorio e contribuire alla diffusione e allo scambio di buone pratiche da parte di eventuali iniziative pilota che potranno essere in seguito avviate. CONFAPI Presidente Dott. Roberto Maria Radice CGIL Aitanga Giraldi Marco Di Luccio 32 CISL Anna Maria Parente Pasquale Inglisano UIL Grazia Brinchi Franco Lago Integrazione e pari opportunità CAPITOLO 2 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LAVORO E DISABILITA’ Par. 2.1 Premessa Il lavoro assume un ruolo preminente nella vita di ogni persona umana, non solo in quanto fonte di un reddito fondamentale per vivere, ma anche quale possibilità di esprimere la propria personalità, di costruirsi una propria identità, una soggettività fondata sul senso di appartenenza ad una collettività, ad un’organizzazione o ad un’azienda. La riflessione su come garantire il diritto al lavoro delle persone con disabilità si interseca, dunque, con la verifica dell’effettiva fruizione degli altri diritti individuali fondamentali. Purtroppo, molto spesso, la disabilità viene intesa come “inabilità” al lavoro, per cui l‘idea di inserire una persona diversamente abile in un contesto lavorativo viene percepita come difficoltosa se non addirittura improbabile. L’esperienza aiuta a sfatare questa credenza e dà conferma della possibilità per le persone disabili di inserirsi nel mondo del lavoro non solo in modo efficace, ma anche più che soddisfacente. Oggi le innovazioni tecnologiche, organizzative e sociali agevolano l’inserimento lavorativo dei disabili e consentono loro di svolgere numerose mansioni, favorendo così un positivo inserimento sociale e valorizzando il loro impegno. Il lavoro, per un disabile è un elemento essenziale perché si ricollega ai concetti di creatività, produttività, autostima e realizzazione di sé, diventando il modo più importante ed evidente per combattere la discriminazione culturale e sociale che ancora persiste nei confronti della disabilità. Il lavoro rappresenta per il disabile uno strumento fondamentale di emancipazione e crescita: essere occupati significa integrarsi nella società, affermare con dignità e coscienza il proprio IO. 33 Integrazione e pari opportunità Par. 2.2 La normativa di riferimento: il quadro normativo Internazionale L’obiettivo della promozione di pari opportunità di trattamento in ambito professionale e lavorativo viene perseguito dall’ILO - International Labour Organization, Agenzia Speciale delle Nazioni Unite, il cui compito è quello di promuovere il miglioramento delle condizioni di lavoro in tutto il mondo. L’ILO ha attivato, nel corso degli anni svariati Programmi di sostegno, tra i quali va citato il Disability Programme, un Piano che si prefigge di supportare i legislatori e gli attori sociali nella realizzazione di programmi legislativi tesi all’equiparazione delle opportunità e alla parità di trattamento delle persone con disabilità nella formazione e nel lavoro. Le finalità concrete sono assicurare pari opportunità ai lavoratori con disabilità sul posto di lavoro; incrementare le prospettive di impiego delle persone disabili attraverso sostegni effettivi nella fase di assunzione, di ritorno al lavoro, di mantenimento del posto di lavoro e di opportunità di carriera. Nel 2004, a seguito del Progetto dell’ILO denominato “The Employment of People whit Disabilities: the Impact of Legislation” vengono pubblicate le linee guida per il raggiungimento di uguali opportunità di lavoro per le persone con disabilità attraverso la legislazione. I suggerimenti offerti ai legislatori degli Stati Membri sono molteplici: la segnalazione che siano norme di diritto privato o di diritto del lavoro a promuovere opportunità per le persone disabili già occupate o in cerca di lavoro; l’adozione di una o più definizioni di disabilità che siano coerenti con le difficoltà ( non necessariamente legate alla condizione soggettiva, ma anche di tipo ambientale) connesse alla partecipazione nel mercato del lavoro; l’opportunità di prevedere delle quote a favore delle persone con disabilità con contestuale effettivo rafforzamento di strategie di occupazione nel lungo periodo della persona disabile. 34 Integrazione e pari opportunità Par. 2.3 La normativa di riferimento: il quadro normativo Comunitario La politica della disabilità in ambito europeo è incentrata, soprattutto, sulle misure finalizzate a favorire l’emersione delle potenzialità di partecipazione sociale dei soggetti disabili, anche attraverso interventi volti a promuovere l’inserimento nel mondo del lavoro degli stessi ed ad assicurare la prevenzione e la repressione dei fenomeni discriminatori. Per quanto attiene l’aspetto relativo al riconoscimento e alla protezione dei diritti delle persone disabili va segnalata la Direttiva 2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale direttiva è stata recepita in Italia con il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n. 216. Per quanto concerne le politiche comunitarie volte a favorire l’inclusione attiva dei disabili nel mondo del lavoro e nella società, i principali strumenti finanziari sono i Programmi generali del Fondo Sociale Europeo e l’iniziativa comunitaria EQUAL. Attraverso gli stessi è stata finanziata un’ampia gamma di azioni per l’integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro. In ambito comunitario si sostiene la necessità di erogare incentivi e prestazioni legati al lavoro dei disabili più che a passive misure di assistenza sociale. In questa prospettiva il quadro di riferimento è costituito dal Piano d’Azione dell’Unione Europea a favore ei Disabili (PAD). Nell’ottica della valorizzazione del potenziale economico delle persone disabili e del contributo che esse possono dare alla crescita economica e all’occupazione, il PAD persegue obiettivi operativi quali la piena applicazione della direttiva sull’uguaglianza in materia di occupazione e il miglioramento della cosiddetta “accessibilità” dei disabili al lavoro, intesa quale possibilità per gli stessi di fruire di sistemi tecnologici. Il Pad copre il periodo 2004-2010 e si sviluppa in fasi successive: 1. favorire l’accesso dei disabili al mercato del lavoro 35 Integrazione e pari opportunità 2. promozione di una formazione continua 3. diffusione delle tecnologie dell’informazione 4. agevolazione dell’accesso dei disabili nell’ambiente di lavoro. Par. 2.4 La normativa di riferimento: la legislazione Italiana Sin dagli ani ’60 lo Stato Italiano ha emanato una specifica normativa per garantire alle persone con disabilità l’applicazione del diritto al lavoro. Le disposizioni che, nel corso degli anni, si sono succedute in questa materia hanno avuto, come finalità, l’agevolazione dell’inserimento lavorativo delle persone disabili. I riferimenti legislativi: o L. 104/92 Legge quadro sull’handicap o D.lgs 23 dicembre 1997 n. 469 Conferimento alle Regioni e agli Enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell’Art. 1 della L. 15 marzo 1997 n. 59, come modificato dall’art. 6 comma 2 della L. 12 marzo 1999 n. 68 – art. 6 “Soppressione di organi collegiali”. o L. 12 marzo 1999 n. 68 Norme per il diritto alk lavoro dei disabili o DM 10 gennaio 2000 Individuazione di qualifiche equipollenti a quella del centralinista telefonico non vedente, ai fini dell’applicazione della L. 29 marzo 1985 n. 113 ai sensi di quanto disposto dall’art. 45 comma 12 della L. 17 maggio 1999 n. 144 o DPCM 13 gennaio 2000 Atto di indirizzo e cooordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell’art. 1 comma 4 della L. 12 marzo 1999 n. 68 o DM 13 gennaio 2000 n. 91 Regolamento recante norme per il funzionamento del Fondo Nazionale per il diritto al lavoro dei disabili, istituito dall’art. 13 comma 4 della L. 12 marzo 1999 n. 68 36 Integrazione e pari opportunità o L. 18 maggio 2000 n. 126 Conversione in legge del Decreto legge 16 marzo 2000 n. 60 recante disposizioni urgenti per assicurare la prosecuzione degli interventi assistenziali in favore dei disabili con handicap intellettivo. o D.D. 26 settembre 2000 Ripartizione tra le Regioni delle risorse finanziarie del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, istituito dall’art. 13 comma 4 della L. 12 marzo 1999 n. 68 o D.P.R. 10 ottobre 2000 n. 333 Regolamento di esecuzione per l’attuazione della L. 12 marzo 1999 n. 68 recante norme per il diritto al lavoro dei disabili o Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144 o Decreto Legislativo 10 settembre 2003 n. 276 di attuazione della L. 14 febbraio 2003 n. 30 riforma del mercato del lavoro o D.M. 8 Luglio 2005 Ripartizione tra le regioni e le province autonome le risorse del Fondo nazionale il diritto al lavoro dei disabili, ai sensi dell'art. 13, comma. 4, della legge 68/1999 Par. 2.4.1 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: i principi La norma di riferimento in materia è la Legge 68/99 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” ed il relativo regolamento di Esecuzione D. P.R. 10 ottobre 2000 n. 333 Regolamento di Esecuzione della Legge 12 marzo 1999, n. 68, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili. La nuova normativa supera il sistema di tipo assistenzialistico e coercitivo della precedente disciplina (L. 482/68) basato esclusivamente sul collocamento numerico, muovendosi nella direzione dell’incremento dei livelli di occupabilità delle persone disabili attraverso gli strumenti del collocamento 37 Integrazione e pari opportunità mirato. Il nuovo impianto legislativo presuppone un pieno coinvolgimento degli attori sociali ed istituzionali nell’individuazione di soluzioni favorevoli per i disabili, e sostenibili anche dal punto di vista dell’efficienza dell’impresa. L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità non può più connotarsi come un onere per l’impresa, una diseconomia accettabile per ragioni del tutto estranee alle logiche dell’efficienza produttiva e, pertanto, attuabile solo nei termini di una misura di carattere assistenziale imposta al mondo della produzione attraverso il sistema delle quote. La legge 12 marzo 1999 n. 68 pone l’accento sulla valorizzazione delle capacità lavorative residue, considera il soggetto disabile come una risorsa sulla quale investire definendo percorsi professionali che permettano un inserimento stabile e proficuo nel posto di lavoro, da individuarsi in considerazione delle singole caratteristiche personali. Sono previsti, in particolare, un insieme di strumenti tecnici e di supporto che permettono la valutazione delle capacità lavorative del disabile e il suo inserimento più idoneo nel mondo del lavoro. Par. 2.4.2 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: i beneficiari I beneficiari della tutela predisposta dalla L. 68/1999 non sono indistintamente tutti i soggetti con una qualsiasi disabilità, ma solo coloro che hanno una stabilita riduzione della capacità lavorativa. L’art. 1 prevede i seguenti destinatari: - persone in età lavorativa con minorazione fisica, psichica o sensoriale e portatori di handicap intellettivo con riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 % - invalidi del lavoro con minorazione uguale o superiore al 33 % - non vedenti e sordomuti - invalidi di guerra, invalidi civili di guerra, invalidi per servizio con minorazioni dalla I alla VIII categoria. 38 Integrazione e pari opportunità Tali soggetti possono essere iscritti in un elenco a graduatoria unica istituito presso il Centro per l’impiego. La legge prevede che per ogni persona disabile venga redatta una specifica scheda in cui sono indicate le capacità, le abilità lavorative, le inclinazioni e competenze, la natura e il grado della disabilità. Il centro l’impiego provvede ad effettuare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Par. 2.4.3 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: gli obblighi Il diritto all’avviamento si sostanzia nella previsione, in capo ai datori di lavoro pubblici e privati, di garantire che una certa quota di dipendenti (cosiddetta quota di riserva) sia riservata a persone con disabilità. Le aziende sono tenute ad avere alle proprie dipendenze lavoratori disabili, secondo articolati criteri di conteggio e computabilità, nelle seguenti proporzioni: - un lavoratore se occupano da 15 a 35 dipendenti; - due lavoratori se occupano da 36 a 50 dipendenti - 7% dei lavoratori occupati se occupano più di 50 dipendenti Strumento fondamentale, previsto dalla legge, per favorire l’inserimento lavorativo dei disabili è la convenzione tra gli Uffici provinciali competenti e il datore di lavoro. La L. 68/1999 indica diversi tipi di convenzione: - la convenzione di inserimento lavorativo - la convenzione di integrazione lavorativa (per soggetti che presentano particolari difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario - la convenzione con soggetti dediti ad attività sociali (Cooperative sociali, consorzi, organizzazioni di volontariato) - la convenzione di inserimento temporaneo Con la previsione di modalità flessibili e consensuali di inserimento nei luoghi di lavoro, la legge non solo mira a valorizzare le caratteristiche professionali dei lavoratori, ma anche a soddisfare le esigenze occupazionali dei datori di lavoro in modo graduale e progressivo. 39 Integrazione e pari opportunità Par. 2.4.4 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: agevolazioni e incentivi La legge 68/99 indica all’art. 13 quali sono le agevolazioni di tipo economico finalizzate a sostenere le assunzioni delle persone con disabilità quando il datore di lavoro stipula una convenzione (che ne sia obbligato o meno). In estrema sintesi si prevedono quattro tipologie di agevolazioni economiche che si diversificano principalmente per durata ed entità. 1. Per ogni lavoratore assunto che abbia una riduzione della capacità lavorativa superiore al 79 %, o un handicap intellettivo o psichico, viene riconosciuta la fiscalizzazione totale per un massimo di otto anni dei contributi assistenziali e previdenziali. 2. Per ogni disabile assunto con riduzione della capacità lavorativa fra il 67% ed il 79%, la fiscalizzazione prevista è pari al 50% per un massimo di cinque anni. 3. Rimborso forfetario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50% o per l’apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimozione delle barriere architettoniche che limitano in quals8iasi modo l’integrazione lavorativa del disabile. 4. possibilità di assolvere l’obbligo di assunzione mediante tirocinio finalizzato all’assunzione (per una durata massima di 24 mesi) lasciando a carico del Fondo regionale per l’occupazione dei disabili l’assicurazione del tirocinante contro infortuni e responsabilità civile. A copertura queste agevolazioni la Legge 68/99 prevede l’istituzione presso il Ministero del lavoro del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. A chiudere il quadro delle previsioni normative l’art. 15 della L. 68/99 prevede sanzioni a carico delle imprese private che non rispettano le prescrizioni a loro carico. 40 Integrazione e pari opportunità Par. 2.5 La formazione professionale Altro elemento chiave, che si affianca allo strumento legislativo, al fine di agevolare l’inserimento lavorativo dei disabili è la formazione: essa risponde al bisogno di qualificazione e garantisce l’acquisizione e il mantenimento di competenze spendibili, nonché la capacità di interagire correttamente in un ambiente di lavoro. I disabili possono essere inseriti nei corsi di formazione professionale ordinari oppure nei corsi di formazione al lavoro riservati a loro. Nel primo caso è previsto l’inserimento di un piccolo gruppo di allievi disabili in ciascun corso ordinario con un insegnante di sostegno e con la possibilità di frequentare più cicli. Nell’altro caso invece, si tratta di corsi finalizzati all’acquisizione di competenze lavorative, spendibili in più contesti professionali, rivolti a giovani disabili che possono durare fino ad un massimo di 4 anni. I corsi di formazione al lavoro sono gratuiti, sono programmati dalle Province e dalle Regioni, sono organizzati e gestiti da enti di formazione accreditati presso le Regioni stesse. I corsi propedeutici, preliminari alla frequenza dei corsi professionali, sono invece della durata di un anno scolastico e sono rivolti a disabili che necessitano di un percorso orientativo e formativo per un accesso mirato ai corsi di Formazione professionale Si tratta di una proposta formativa da svolgere sia in forma individuale che collettiva, finalizzata a sostenere i giovani e gli adulti nella costruzione e nello sviluppo dei propri percorsi formativi, professionali e personali per favorirne l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro. Le persone disabili possono accedere a tutti i percorsi formativi finanziati offerti dagli enti di formazione e alcuni di questi prevedono anche speciali integrazioni per allievi disabili. A ciascuna Regione è demandato ii compito di legiferare in relazione ai singoli percorsi formativi, alle caratteristiche e alla durata dei diversi interventi. 41 Integrazione e pari opportunità Nella Regione Lombardia ad esempio, esistono percorsi formativi dedicati e pensati per i disabili: si tratta del corsi F.L.A.D. (Formazione al Lavoro per Allievi Disabili) e F.I.L.D. (Formazione per l’Inserimento Lavorativo dei Disabili). I corsi di formazione al lavoro per allievi disabili (F.L.A.D.) si rivolgono principalmente ad adolescenti e a giovani che hanno conseguito la licenza di scuola media inferiore, oppure che hanno compiuto il 15° anno di età. I corsi F.L.A.D. sono strutturati in percorsi formativi flessibili (tre le 2.400 e le 3.200 ore) il cui programma viene articolato su più anni (al massimo 4). Oltre alle lezioni in aula, sono previsti periodi di stage in azienda, la cui durata è proporzionale al percorso che si sceglie di intraprendere. Al termine di ogni percorso formativo, viene rilasciata una certificazione. In base al tipo di corso ed ai risultati conseguiti dall’utente, può essere rilasciato un “Attestato di abilitazione al lavoro”, oppure un “Attestato di Frequenza”. I corsi di Formazione per l‘Inserimento Lavorativo del Disabili (F.I.L.D.) presentano alcune differenze sostanziali rispetto ai corsi F.L.A.D., sia rispetto all’utenza, sia rispetto al tipo di corsi. I corsi F.I.L.D. si rivolgono a coloro che hanno già compiuto i 18 anni di età, e che sono in possesso della Certificazione di Invalidità Civile superiore al 45% (oppure di una relazione dei servizi sociali attestante la percentuale di invalidità) e che siano iscritti presso un Centro per l’impiego. I corsi F.I.L.D. sono articolati in percorsi formativi annuali che hanno una durata complessiva compresa tra 450 e 600 ore, suddivise tra attività d’aula e stage in azienda. Anche in questo caso è previsto il rilascio di una certificazione a fine corso. A seconda del percorso formativo intrapreso ed ai risultati conseguiti, viene rilasciato ai partecipanti un “Attestato di Qualifica professionale”. oppure un “Attestato di Frequenza con profitto” Oltre a questi percorsi esistono, sempre a livello regionale lombardo, anche i corsi triennali. Essi sono finalizzati principalmente al conseguimento di un titolo di qualifica valido per assolvere al diritto-dovere di istruzione e formazione fino ai diciotto anni, necessario per poter iscriversi ai Centri per l’Impiego. I corsi triennali si rivolgono ad adolescenti e giovani che hanno conseguito la licenza di scuola 42 Integrazione e pari opportunità media inferiore. Alcuni di questi percorsi formativi sono rivolti a tutti i giovani (disabili e non), altri invece sono destinati in modo specifico ad allievi disabili. Come già accennato i corsi FSE sono un’altra modalità formativa per acquisire competenze subito spendibili nel mondo del lavoro, sono finanziati dall’Unione Europea e finalizzati a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro. Par. 2.6 La formazione continua Come emerge dalle interviste effettuate ai testimoni privilegiati interpellati, nonchè dai riscontri documentali, la Formazione Continua erogata a favore delle persone con disabilità rappresenta l’anello debole della catena. La cosa è tanto più grave se si pensa che, mentre sono accurati gli strumenti predisposti dal legislatore per consentire al lavoratore disabile l’accesso al lavoro, mancano invece indicazioni e prescrizioni di tipo promozionale e incentivante volte al mantenimento del posto di lavoro finalmente conquistato. Senza adeguato supporto e preparazione (formazione e orientamento) il disabile si trova catapultato in un mondo sconosciuto, con regole e logiche che non capisce e che difficilmente può condividere ed è chiamato a svolgere un lavoro spesso nuovo e poco adatto alle sue caratteristiche. 43 Integrazione e pari opportunità Par. 2.7 Analisi del quadro attuale Par. 2.7.1 Le informazioni statistiche La disponibilità di informazioni statistiche sulla disabilità rappresenta un presupposto fondamentale per la corretta attuazione delle norme e per la programmazione di interventi mirati. Tuttavia in Italia, come nella maggior parte degli altri Paesi, non si è ancora giunti ad un insieme organico e completo di dati sui diversi aspetti della disabilità. Nel 2001, nel corso della 54° Assemblea Mondiale della Sanità, è stata elaborata la nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute – ICF- quale standard di valutazione e classificazione di salute e disabilità. In attesa del recepimento delle indicazioni dell’ICF — diventa pertanto difficile operare on rapporto tra numero totale di persone con disabilità e numero delle persone che rientrano nell’ambito di applicazione della legge n. 68 dei 1999. L’ultima indagine ISTAT (dati riferiti all’anno 2002) rivela che le persone con disabilità in età lavorativa erano pari a 577.000 unità. La percentuale di persone con problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa, che risultano occupate nel 2002, è pari al 18,7 per cento mentre per le persone con problemi di salute ma nessuna riduzione di autonomia, o con una riduzione di autonomia saltuaria, la percentuale è pari al 42,2 per cento: per le persone senza disabilità. invece. gli occupati sono il 56,6 per cento di tutta la popolazione in età lavorativa. Secondo Ia stessa rilevazione (relativa all’anno 2002), il 74.5 per cento degli occupati con problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa non si sentono in grado di svolgere alcuni tipi di lavoro. La presenza di un grave problema di salute influenza la risposta in relazione al carico di lavoro dell’impiego disponibile, Infatti. il 69.7 per cento delle persone con problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa non si sentono in grado di gestire un pesante carico di lavoro. Mentre 8,1 per cento delle persone con 44 Integrazione e pari opportunità problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa, non occupate. dichiarano di essere disponibili a lavorare a condizioni adeguate. Nell’Italia settentrionale prevalgono. fra i disabili occupati. Ie persone senza riduzione o con riduzione di autonomia saltuaria (55,2 per cento), Nell’Italia centrale la prevalenza di occupati si ha tra le persone che hanno una riduzione di autonomia continuativa (21.1 per cento) E nell’Italia meridionale la percentuale maggiore di occupati, il 28.6 per cento, dichiara essere senza problemi di salute. Considerando la distribuzione degli occupati per genere, i maschi con un’età compresa fra i 15 ed i 64 anni con una riduzione di autonomia continuativa sono il 65.2 per cento; le femmine sono il 34,8 per cento. Nella stessa fascia d’età, i maschi senza riduzione o con riduzione di autonomia saltuaria sono il 65.1 per cento, mentre le femmine rappresentano il 34,9 per cento. I maschi senza problemi di salute costituiscono il 61.8 per cento del totale: le femmine sono il 38,2 per cento. Il tasso di disoccupazione è più alto tra le donne (circa l’11 per cento) a prescindere dalla gravità delle condizioni di salute dichiarate. In relazione alla tipologia di contratto le persone con riduzione di autonomia continuativa sono prevalentemente impiegate con contratto a tempo indeterminato (61,1 per cento; con contratto a tempo determinato 7.4 per cento), che sembra prevalere come tipologia contrattuale anche tra le altre categorie di persone. Si osserva. inoltre, che ben il 35,9 per cento delle persone con riduzione di autonomia continuativa dichiarano di aver bisogno di un aiuto sul posto di lavoro per il migliore svolgimento dell’attività lavorativa. Esaminando il numero di iscritti all’anno 2004 nelle graduatorie provinciali per distribuzione geografica, si osserva che nel Nord Ovest le persone con disabilità sono 68.767 (in leggero aumento rispetto ai precedenti due anni), il 68,4 per cento delle quali si dichiara disponibile al lavoro. Nel Nord Est il numero degli iscritti è inferiore rispetto agli anni precedenti, ammontando a 33.987, il 63 per cento dei quali è disponibile al lavoro. 45 Integrazione e pari opportunità Una consistente variazione del numero degli iscritti si riscontra nell’Italia Centrale. In valore assoluto si tratta di 107.634 persone (rispetto a! precedente dato 2003: 87.188). I disponibili al lavoro sono in percentuale l’80,6 per cento degli iscritti. La stessa situazione si riscontra anche nell’Italia Meridionale (isole comprese): gli iscritti sono 345.668 (rispetto ai precedente dato: 259.386), Solo il 33.2 per cento degli iscritti si dichiara disponibile al lavoro. Guardando alla variazione annua nel periodo 2002-2004 delle quote di riserva nelle imprese di diversa fascia dimensionale si osserva che nelle imprese dai 15 ai 35 dipendenti si è riscontrato un incremento di 15.691 unità rispetto alle 11.924 del 2002. Lo stesso trend incrementale si rileva nelle imprese che occupano dai 36 ai 50 dipendenti: rispetto al 2002 (6.748). l’incremento è di 6.323 potenziali posti di lavoro in più. In termini quantitativi l’incremento più rilevante è rinvenibile nelle imprese con oltre 50 dipendenti: da una quota di riserva pan a 52.174 unità (2002). si passa a 137.288 unità (2004) (variazione di 85.114). Esaminando i numeri relativi alle assunzioni in relazione alla tipologia di avviamento in ambito nazionale, si riscontra una tendenziale diminuzione degli assunti con richiesta nominativa nell’anno 2004 rispetto all’anno precedente.. Secondo le ultime relazioni al Parlamento (Isfol 2008) sono complessivamente 32.000 le assunzioni di persone disabili a tempo indeterminato. 46 Integrazione e pari opportunità Par. 2.7.2 Le criticità I dati, certamente provvisori, che emergono da questa prima analisi dimostrano che i risultati degli inserimenti lavorativi di persone con disabilità nelle aziende, sia in termini numerici sia in termini di qualità e continuità, non sono del tutto soddisfacenti. Numerosi sono gli elementi di criticità riconducibili a tre macro-categorie: criticità di carattere culturale – criticità di carattere organizzativo – criticità di carattere economico. 1 – criticità culturali Purtroppo ancora oggi lo scenario competitivo che caratterizza l’organizzazione e il funzionamento delle imprese, specialmente le medio – piccole, porta a considerare l’inserimento di una persona con disabilità come un mero obbligo normativo ed il lavoratore come una persona da assistere e da collocare in situazioni lavorative dove possa nuocere il meno possibile, piuttosto che una risorsa da valorizzare. E’ necessario che, nell’ottica dell’impresa, venga completamente rimosso il pregiudizio derivante dal nesso, impropriamente stabilito, tra invalidità e improduttività. D’altro canto resistenze in termini di disponibilità, seppur con motivazioni diverse, riguardano anche lo stesso lavoratore. Dai dati che emergono si evince che molto spesso le persone con disabilità, magari condizionate da negative esperienze vissute in precedenza, si dimostrano restie ad affrontare percorsi formativi e professionali, che possono rivelarsi anche lunghi, per la ricerca del lavoro più adatto e soddisfacente. 2 – criticità di organizzazione Il successo dell’incontro tra disabile e azienda dipende dalla conciliabilità tra le esigenze e i limiti del disabile e la capacità di accoglienza e i margini di adattabilità dell’azienda. Essenziale, a questo proposito, è una corretta valutazione della corrispondenza “persona-posizione lavorativa”. E’ stato, infatti, riscontrato che una delle cause più rilevanti di fallimento dell’inserimento lavorativo dei disabili è stata 47 Integrazione e pari opportunità la non corretta valutazione delle reali abilità e competenze del lavoratore in riferimento alla tipologia di mansione affidata. Le strutture che sono preposte o coinvolte nell’applicazione della normativa incontrano, tuttavia, molto spesso difficoltà di vario genere nell’assumere il ruolo loro affidato e nell’integrare le rispettive funzioni. La normativa affida a soggetti di emanazione regionale e provinciale (Commissione Regionale tripartita – Commissione Unica Provinciale – Comitato tecnico di esperti – Commissioni di accertamento presso le ASL – Centri per l’Impiego) una posizione cruciale per la realizzazione di interventi di politica attiva del lavoro e la loro funzione non può limitarsi ad assicurare il rispetto degli adempimenti amministrativi, ma deve sostanziarsi nell’organizzazione e gestione efficace di un servizio specifico per il collocamento mirato. Il quadro legislativo prevede l’integrazione di informazioni di tipo sanitario e di carattere sociale (la posizione della persona disabile nel suo ambiente, la sua situazione familiare, di scolarità e lavoro). Sulla base dei dati rilevati viene effettuata una diagnosi funzionale volta ad individuare la capacità globale per il collocamento lavorativo della persona disabile. Da un’indagine condotta recentemente dall’ISFOL risulta che in circa il 40 per cento delle province tale servizio specifico non è stato strutturato. Si registra, inoltre, un forte squilibrio territoriale tra il Centro-Nord, dove la normativa risulta applicata con risultati sostanzialmente positivi, e il Mezzogiorno e le Isole, dove le strutture territorialmente competenti operano in condizioni di grave difficoltà. Dai dati rilevati dalle interviste effettuate il 45 per cento dei servizi per l’impiego non svolge, specialmente al sud, alcuna parte attiva per l’inserimento mirato. Questa difformità produce effetti non trascurabili anche dal punto di vista economico per quanto concerne il riparto dei fondi pubblici. In sostanza in alcune Regioni è completamente ignorato il meccanismo offerto dalla L. 68/99 per accedere ai finanziamenti del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. Il rischio che il persistere di una condotta inerte, da parte di queste regioni, possa produrre un effetto pressoché permanente di perdita delle risorse pubbliche indispensabili 48 Integrazione e pari opportunità per assicurare uno sviluppo organico dei servizi per il collocamento mirato, con conseguente forte penalizzazione delle persone con disabilità che vivono al sud. 3 – criticità di carattere economico Gli esperti interpellati concordano sulla presenza di diversi ostacoli, di carattere economico, che rendono difficoltosa la piena applicazione delle norme per l’inserimento lavorativo dei disabili. Si evidenzia, innanzitutto, la complessiva esiguità delle risorse a disposizione del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, istituito presso il ministero del Lavoro e della Previdenza sociale che poi lo ripartisce annualmente tra le varie Regioni. Per l’anno 2008 la dotazione era di 42 milioni di euro somma giudicata insufficienti per sostenere un sistema di agevolazioni effettivamente funzionante. Il Fondo passerà dai 31 milioni di euro del 2006 a 37 milioni di euro nel 2007, mentre a decorrere dal 2008 sarà. Una grossa criticità è, poi, rappresentata dalla tardiva erogazione dei benefici previsti dalle normative, anche a causa della complessità delle modalità di ripartizione delle risorse e della scelta della fiscalizzazione quale strumento di finanziamento. Gli incentivi non vengono erogati al momento dell’assunzione del disabile, ma in un momento successivo e subordinatamente alla disponibilità della dotazione da parte delle province. In questo contesto di scarsa incisività del sistema degli incentivi e in assenza di un adeguato intervento del capitale pubblico, soprattutto per le piccole e medie imprese, l’integrazione lavorativa dei soggetti disabili diventa un adempimento oneroso e solo come tale viene percepito. La maggioranza dei datori di lavoro valuta l’inserimento delle persone con disabilità in azienda, solo in un’ottica di costo. Si rilevano esclusivamente i dispendiosi adeguamenti per rendere accessibile e salubre il posto di lavoro, i complessi problemi organizzativi, il rallentamento dei ritmi lavorativi, la diminuzione della produzione, i problemi di integrazione con i colleghi, la necessità di prevedere risorse destinate a seguire l’inserimento. Sull’altro fronte, l’analisi dei dati rilevati fa emergere che, molte persone con disabilità, pur essendo iscritte nella graduatoria unica prevista dalla L. 68/99, non 49 Integrazione e pari opportunità sono effettivamente disponibili al lavoro. Ciò si deve, in parte, al timore dei disabili di perdere le prestazioni assistenziali di cui fruiscono a seguito dell’inizio di un’attività lavorativa. Non è da escludere, tuttavia, che alla base della scelta del “non impegno nella ricerca del lavoro” vi sia un altro calcolo di “costo-opportunità”. Spesso, infatti, l’utilità economica derivante dalla prestazione di un’attività lavorativa, se equiparata ai disagi che la persona si trova ad affrontare, non è sufficientemente appetibile pur a fronte di una integrazione di reddito. Le nuove tecnologie ( vedi ad es. il telelavoro) potrebbero favorire il superamento di questa criticità e consentire di guardare in modo maggiormente positivo all’inserimento lavorativo dei disabili. Par. 2.8 Considerazioni finali Dalla ricerca e dalle interviste realizzate, pur con le criticità evidenziate, si ricava un giudizio complessivamente positivo circa l’idoneità degli strumenti e delle tutele normative vigenti a perseguire i fini di integrazione lavorativa delle persone con disabilità. Progetti specifici di successo e buone prassi sperimentate in alcune realtà del Paese dimostrano come, attraverso una gestione concertata di tutte le fasi dell’inserimento lavorativo, si possano concretizzare ottime opportunità di occupazione a favore dei disabili. Unanime è il riconoscimento del ruolo cruciale ricoperto dalla Formazione, specificatamente sotto la forma di percorsi individualizzati di qualificazione e aggiornamento professionale, in grado di valorizzare le residue capacità lavorative del disabile. Gli interventi di formazione continua per le persone disabili, già occupate, sono indispensabili alle imprese per mantenere costante la produttività del lavoratore e al disabile per mantenere basso il rischio di essere emarginato dal processo produttivo o di essere espulso dal mercato con la perdita dell'occupazione e senza prospettive. La formazione professionale, partendo dalle sue tradizionali caratteristiche, deve da subito, cioè dalla formazione iniziale al lavoro, sviluppare nel lavoratore quelle 50 Integrazione e pari opportunità potenzialità cognitive e relazionali che più gli saranno utili per poi continuare costantemente a formarsi. E’, dunque, fortemente sentita e auspicata la progettazione di percorsi di formazione e accompagnamento del disabile che prevedano interventi mirati all’aggiornamento professionale continuo. Il Fondo Formazione PMI può contribuire a far sì che la dimensione della formazione continua a favore dei soggetti con disabilità sia inserita nei progetti strategici delle imprese aderenti. Si possono ipotizzare Avvisi specifici con particolari caratteristiche di durata e periodicità al fine di verificare, nel tempo, il grado e la tenuta delle competenze lavorative del lavoratore disabile, per potenziare "in itinere" le sue competenze cognitive, professionali e relazionali, per adeguare, con nuova formazione, eventuali cambiamenti di mansione, reparto e referenti. 51 Integrazione e pari opportunità CAPITOLO 3 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: I MIGRANTI Par. 3.1 Premessa Scrivere di integrazione e pari opportunità con riferimento ai migranti, non è facile. Né può essere proposto qui lo stesso schema adottato per le donne o i disabili (fermo restando che in tutti e tre i casi si è di fronte non solo a contesti oggettivamente diversi, con problematiche sedimentate e affrontate nel tempo con percorsi propri e specifici, ma, per quel che riguarda le donne – altra metà del cielo - dentro una dimensione trasversale che coinvolge sia il fenomeno della migrazione che quello della disabilità). Diversamente dalle brevi analisi legate alla presenza delle donne e delle persone disabili nel mercato del lavoro, nei confronti delle quali si è proceduto a partire dalle normative di sostegno e/o promozione, per poi presentare una breve disamina del dato relativo alla quantità e qualità dell’occupazione e con l’esame della partecipazione alla formazione, quanto qui di seguito proposto non potrà che fare un accenno alla dimensione legislativa per poi offrire uno spaccato della presenza dei migranti nel Mercato del lavoro italiano e sul ruolo della formazione per contribuire a modificare lo stato di cose presente. Par. 3.2 La presenza delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri nel MDL Si stima che nei 27 Paesi della UE alla fine del 2006 fossero presenti 29 milioni e 734 mila stranieri, il 33% in più degli stranieri stimati a dicembre del 200026. Gli aumenti più rilevanti sono stati registrati soprattutto in Italia e Spagna dove la popolazione immigrata è raddoppiata nello stesso periodo cui sopra si è fatto riferimento. Per quel che riguarda il numero dei residenti nel nostro Paese questi al 31.12.2007 erano 3.432.651, il 16,8% in più rispetto all’anno precedente. Va detto però che nel 2007, contrariamente agli anni precedenti, si è registrato un aumento consistente delle presenze 26 Questi dati e quelli che seguiranno, salvo diversa indicazione, sono tutti tratti dall’ultimo Rapporto Caritas/Migrantes – Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto 52 Integrazione e pari opportunità di stranieri nelle regioni del Sud e nelle Isole piuttosto che nel Nord dove fin’ora era stato registrato l’afflusso più rilevante: più 26,2% nel Sud, più 25% nelle Isole, con punte del 44,5% in Calabria e del 42,7% in Basilicata. Mentre nel Nord si registra un più 11,9% in Lombardia e un più 15,0% in Emilia-Romagna, per citare solo due tra le regioni settentrionali maggiormente interessate al fenomeno della immigrazione. Sempre secondo la Caritas, inoltre, il totale di presenze indicato sopra potrebbe essere ulteriormente aumentato mettendo assieme ed elaborando “dati diversi” i cui esiti porterebbero il totale dei migranti regolari a 3.987.000. Ci si trova di fronte quindi, ad un fenomeno importante che riguarda milioni di cittadini stranieri/e e tutti noi, a tutti i livelli; ed è probabile che il “breve arco temporale nel quale sono state raggiunte queste cifre”27 motivi le difficoltà e le contraddizioni che segnano le modalità con cui lo si sta affrontando. E’ noto, infatti, che il nostro Paese tradizionalmente soggetto al fenomeno emigratorio, in poco più di venti anni ha rovesciato questa tendenza, anche se, come ha messo in evidenza il recente rapporto della Svimez, da alcuni anni sta riemergendo prepotente una nuova emigrazione nostrana dal Sud al Nord del Paese. Sicuramente però, rispetto alla velocità e alle dimensioni del fenomeno migratorio verso la penisola, l’Italia si è trovata e si trova ad affrontare una novità rilevante sia sul piano culturale che economico-sociale. In ragione di quanto scritto sopra, pur senza addentrarci in ambito normativo, è bene ricordare che il primo intervento organico in materia di immigrazione risale al 1990 con la legge n. 39 (meglio nota come Legge Martelli), cui segue, nel 1998, la legge n. 40 (TurcoNapolitano). Nel 2002 interviene poi la Bossi Fini (legge n. 189), che è quella che a tutt’oggi regolamenta la presenza straniera in Italia seppure con il cosiddetto “Pacchettosicurezza” sono state introdotte ulteriori e discusse norme che intervengono nei confronti delle e degli stranieri/e regolari oltreché irregolari. Tornando alle cifre che descrivono lo “stato dell’arte” attuale, le donne rappresentano quasi il 50% degli immigrati e, ancora una volta si tratta di donne regolarmente residenti in Italia. A queste andrebbe aggiunte le circa 700.000 “badanti” e colf irregolari. Questa è infatti la stima a cui si fa riferimento in questo scorcio di anno in relazione al numero di 27 Dall’intervista realizzata con il Responsabile nazionale immigrazione della Uil. 53 Integrazione e pari opportunità lavoratrici straniere che potrebbero beneficiare della cosiddetta “sanatoria selettiva” attualmente in corso di approvazione in Parlamento. Il sommerso, però, non riguarda solo il lavoro di cura, è bene quindi richiamare altre stime relative al numero di persone prive di permesso di soggiorno quali quelle indicate dalla Cgil e dell’Isfol: rispettivamente di circa un milione nel primo caso e di 600.000 nel secondo.28. E se queste cifre, per le loro dimensioni ci impressionano, ancor più impressionate è il dato OCSE relativo all’incidenza dell’economia sommersa in Italia: il 25,7% del PIL! Passando ora alla presenza dei migranti nel mondo del lavoro, questi rappresentano poco più del 9% del totale degli occupati e, in relazione ai nuovi assunti sono quattro volte di più degli italiani. La popolazione attiva straniera è molto più alta rispetto a quella italiana: si tratta del 73,2% con riferimento alla classe di età compresa tra i 15 e i 64 anni, mentre in Italia è del 66%. Questo dato è tanto più importante se si considera che secondo Eurostat: “Sarà l'Italia a registrare, tra il 2010 e il 2025, il più forte calo della popolazione attiva tra i Paesi dell'Unione Europea. Quando, infatti, usciranno dal mondo del lavoro le generazioni del «baby boom» del dopoguerra, la forza lavoro subirà un calo pari al 7,5% su scala nazionale, con punte del -15,7% e del -14,3%, rispettivamente in Liguria e Piemonte”29. Non meraviglia quindi, rilevare che l’età media degli stranieri è più bassa di quella degli italiani: l’80% degli occupati ha meno di 45 anni. D’altra parte è anche facile immaginare che ad impegnarsi in un progetto migratorio incerto fin dagli esiti del viaggio che si intraprende, non possano che essere giovani donne e giovani uomini, magari disperati per le ragioni che li allontanano dal loro Paese, ma carichi di speranze anche in virtù della loro giovinezza. Altro dato interessante ai fini del nostro lavoro è relativo ai titoli di studio in possesso dei migranti: più del 50% degli/delle straniere infatti, possiede un titolo di studio di scuola superiore (il 41,3%), mentre l’11,8% ha un titolo universitario. Come è noto, contrariamente alle competenze di cui sono portatori, nel nostro sistema produttivo gli /le stranieri/i si collocano nelle posizioni lavorative più dequalificate, quelle cioè “che gli italiani non vogliono più ricoprire”. 28 29 Dall’intervista al responsabile nazionale migranti della Cgil. Eurostat, Rapporto sullo sviluppo delle forze lavoro regionali nell'Unione Europea, 2002 54 Integrazione e pari opportunità E qui si innesta un altro importante nodo problematico, evidenziato anche dalla responsabile nazionale delle Cisl nel corso dell’intervista realizzata in occasione di questa contestualizzazione tematica: quello della “etnicizzazione del lavoro”, quel fenomeno per cui vi sono attività lavorative che impiegano lavoratori/trici di una stessa nazionalità. E’ il caso, per esempio dei/le filippini/e nel lavoro domestico, dei cingalesi nell’allevamento bovino e così via. Senza contare la perdita di capacità e competenze che questa modalità di “divisione etnica del lavoro” determina (nelle qualifiche più basse, nei lavori stagionali agricoli, nel lavoro domestico o di cura, ecc.). Ma per dare uno sguardo più di dettaglio sulla presenza dei migranti nel mercato del lavoro le tabelle30 che seguono ci consentono una fotografia particolarmente aggiornata della situazione lavorativa della popolazione straniera regolarmente occupata: Occupati stranieri per settore di attività e per tipologia di lavoro – al 1 gennaio 2009 – (valori in migliaia di unità) Macr Agricoltura o Dipende Autono aree nti mi 24 2 Nord 13 0 Cent ro 20 0 Sud Italia 57 2 Tab. n 1 – Fonte dati Uil tota le 26 13 Dipende nti 425 130 20 59 35 590 Industria Autono mi 66 33 4 103 tota le 491 163 Dipende nti 512 231 39 693 98 841 Servizi Autono mi 84 34 40 158 tota le 596 265 Dipende nti 961 374 136 999 153 1.488 Totale Auto nomi 152 67 44 263 totale 1.113 441 197 1.751 Incidenza % occupati stranieri sul totale degli occupati stranieri per settore di attività e per tipologia di lavoro – al 1 gennaio 2009 Macro aree Agricoltura Dipendenti Autonomi totale Industria Dipendenti Autonomi totale Servizi Dipendenti Autonomi totale Totale Dipendenti Autonomi totale Nord 92,3 7,7 100 86,6 13,4 100 85,9 14,1 100 86,3 13,7 100 Centro 100 0 100 79,8 20,2 100 87,2 12,8 100 84,8 15,2 100 Sud 100 0 100 89,7 10,3 100 71,0 29,0 100 77,7 22,3 100 Italia 96,6 3,4 100 89,7 14,9 100 84,2 15,8 100 85,00 15,0 100 Tab. n 2 – Fonte dati Uil 30 “I cittadini immigrati, La crisi ed il lavoro, maggio 2009 – Uil I colori del lavoro. I dati Eurostat, Unioncamere e Eurostat sono stati elaborati dalla Uil 55 Integrazione e pari opportunità Le due tabelle n. 1 e n. 2 riassumono compiutamente la distribuzione dei lavoratori e delle lavoratrici straniere sia nei diversi settori produttivi, sia nelle tre grandi macro aree territoriali italiane. Come si vede il totale dei degli/le stranieri/e occupati, a tutto il 2008, è di 1.751.000 di cui ben 263.000 lavoratori autonomi. La presenza più rilevante la ritroviamo nei servizi anche se l’industria registra un numero significativo di migranti. Ma ancora più interessante rilevare l’incidenza sul totale degli occupati nei diversi settori e sempre per macro aree. Diventa più chiara così, la copertura che i lavoratori stranieri garantiscono nei tre grandi comparti produttivi e quindi il loro contributo che questi apportano al sistema economico nazionale in generale: Incidenza % occupati stranieri per settore e macro aree sul totale nazionale occupati per settore e macro area – 1 gennaio 2009 Macro aree Agricoltura Industria Servizi Totale Nord 7,5 11,8 7,9 9,2 Centro 11,3 12,6 6,4 7,5 Sud 4,8 2,6 3,0 3,0 Italia 6,6 10,0 6,4 7,5 Tab. n 3 – Fonte dati Uil Complessivamente quindi i migranti rappresentano il 7,5% degli occupati di tutti i settori. Vediamo poi che l’industria è quella che vede le maggiori presenze mentre agricoltura e servizi, percentualmente, quasi si equivalgono. E’ però importante ricordare che nel Sud persiste più che altrove, una rilevante quota di lavoro nero (e talvolta di vera e propria schiavitù) nel settore agricolo tra gli stagionali impegnati nelle diverse attività di raccolta. Nei servizi invece, è sempre il lavoro domestico e di cura che assorbe quote significative di lavoro non regolare, mentre per quel che riguarda l’industria, la maggiore presenza di lavoro nero si registra nel comparto edile. 56 Integrazione e pari opportunità Occupati stranieri e tasso di occupazione per genere (dati in migliaia e in %) Macro area Occupati uomini totale Nord 2007 607 698 2008 Differenze % +15,0 Centro 2007 220 242 2008 Differenze % +10,0 Mezzogiorno 2007 98 110 2008 Differenze % +12,2 Italia 2007 925 1.050 2008 Differenze % +13,5 Tab. n 4 – Fonte dati Uil Occupati donne totale Occupati totale totale % occupazione U 15-64 anni % occupazione D 15-64 anni % occup. totale 15-64 anni 340 415 +22,1 947 1.113 +17,5 84,7 83,8 -1,4 50,0 51,9 +1,9 67,8 68,2 +0,4 165 199 +20,6 385 441 +14,5 83,0 81,0 -2 55,1 57,1 +2 68,2 68,2 0 74 87 +17,6 172 197 +14,5 75,3 72,5 -2,8 48,8 47,4 -1,3 61, 58,8 -2,3 579 701 +21,1 1.504 1.751 +16,4 83,2 81,8 -1,4 51,2 52,7 +1,5 67,1 67,0 -0,1 La modalità di costruzione della tabella n. 3 consente rilevare diverse informazioni utili: ci presenta la distribuzione per genere dei lavoratori e delle lavoratrici straniere occupati/e in italia; ci da un’immagine immediata dell’aumento dell’occupazione straniera su tutto il territorio del Paese; evidenzia l’importante aumento dell’occupazione femminile straniera rispetto a quella maschile, sempre straniera. E’ bene però non dimenticare che stiamo parlando dell’occupazione relativa al 2008, anno in cui la crisi mondiale ha cominciato ad incidere sull’occupazione anche in Italia. L’anno appena trascorso, quindi, nonostante l’esplicitarsi dall’autunno in poi, delle conseguenze della crisi, ha visto proseguire la crescita del lavoro degli immigrati nel nostro paese e questa ha interessato sopratutto le donne. Potrebbe darsi, come ritengono unanimemente le responsabili nazionali delle lavoratrici delle tre organizzazioni sindacali intervistate, che l’occupazione femminile (straniera e non) abbia tenuto di più di quella maschile soprattutto in considerazione del suo minor costo. Certamente però la significativa crescita del lavoro femminile straniero sollecita nuove domande a cui qui non è possibile nemmeno tentare qualche risposta, ma che è bene tenere presenti se ci si vuole confrontare con i possibili esiti dei cambiamenti socio economici in corso: le donne straniere (e le coppie di stranieri) sono anche quelle che hanno mediamente più figli delle italiane (è grazie a loro che il saldo della popolazione italiana risulti ancora positivo). Sono sempre, le donne straniere che in larga parte 57 Integrazione e pari opportunità permettono alle donne italiane di lavorare surrogando gli scarsi servizi di welfare presenti in Italia. Tutto ciò non è ininfluente né in relazione all’andamento demografico e alle sue conseguenze, né in rapporto con il nostro sistema di welfare e con la sua crisi. Spostando ora il focus sulla crisi economica in corso, proviamo a dare uno sguardo sulle possibili ricadute che la crisi più avere sulle lavoratrici e lavoratori migranti. La stima della Uil pubblicate nel Dossier già citato, calcola in 142.218 i migranti lavoratori a rischio. Stime Uil immigrati a rischio di disagio lavorativo nell’anno 2009 (valori assoluti) Macro aree Stime nuove assunzioni 2009 lav. Stranieri Stranieri/e in cerca di occupazione al 1° gennaio 2009 Differenza stime nuove assunz. E persona in cerca di occup. 1° gennaio 2009 Occupati stranieri/e al 1 gennaio 2009 96.657 46.808 18.226 161.691 62.622 34.008 7.066 103.696 1.112.572 441.110 197.288 1.705.970 * Nord Centro Mezzogiorno Totale 34.035 12.800 11.160 57.995 Stima perdita di posti di lavoro di occupati stranieri nel 2009 ** 24.486 9.702 4.334 38.522 Totale stima persone straniere a rischio di disagio lavorativo nel 2009 87.108 43.710 11.400 142.218 Tab. n 5 – Fonte dati Uil * Elaborazione Uil su dati Unioncamere-Ministero del lavoro Sistema informativo Excelsior (aprile 2009) ** Elaborazione Uil su dati Istat e le stime Eurostat 2009. Come è noto, però, le difficoltà cui vanno incontro gli stranieri lasciati a casa dalla crisi economica comprendono anche la perdita del permesso di soggiorno con l’aggravante della nuova fattispecie di reato introdotta dalla recente approvazione del cosiddetto “pacchetto sicurezza”. E se i rischi per i migranti aumentano, l’obbligo di lasciare il Paese dopo sei mesi di ricerca infruttuoso di un nuovo lavoro può produrre perdite anche in termini di competenze ed esperienza acquisita nel corso, magari, di diversi anni di permanenza all’interno di una stessa impresa. 58 Integrazione e pari opportunità Prima di passare ad una disamina più approfondita, e per chiudere con i dati relativi al lavoro dipendente si ricorda che questo comunque interessa l’84,4% degli stranieri e delle straniere; che, di questi, circa il 70% svolge un lavoro operaio. Inoltre, giusto per rimanere in linea con tendenze ampiamente presenti anche nel mondo del lavoro di nazionalità italiana, il part-time è una modalità contrattuale che coinvolge anche i migranti e tra questi le donne sono coloro che ne usufruiscono maggiormente: 36,6% contro il 6,3% degli uomini Infine, sempre per quel che riguarda il lavoro dipendente, sono di grande interesse i dati sulle iscrizioni al sindacato. Il Rapporto Caritas/Migrantes ci presenta una tabella che riassume l’andamento delle iscrizione delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri/e al sindacato: Incidenza degli immigrati sul totale degli iscritti alla tre confederazione principali e alla Ugl (2007) Sindacati Cgil Iscritti totali 5.604.741 Cisl % colonna % colonna Immigrati iscritti 271.238 37,0 % immigrati su totale 4,8 36,6 293.114 39,9 6,6 17,0 170.239 23,1 8,1 100,0 734.591 100,0 6,1 46,4 4.427.037 Uil Tot. Conf 2.060.909 12.092.687 Ugl 79.720 Totale 3,3 814.311 12.092.687 Tab. n 6 Elaborazione dati: cgil – cisl – uil e ugl Queste cifre sono ancora più interessanti se si considera che si tratta non solo del 5% del totale degli iscritti ma addirittura del 12% se ci si riferisce agli iscritti attivi. Da questo punto di vista è davvero la giovinezza il punto di forza dei migranti a fronte di un continente intero (quello europeo) e di un Paese (il nostro), che come fanno tendenzialmente gli anziani, si chiudono più facilmente in casa insieme alle loro paure lasciando fuori dalla porta un intero mondo, foriero di problemi da affrontare, certo, ma 59 Integrazione e pari opportunità anche ricco di speranze e delle tante potenzialità che scaturiscono dall’incontro di culture e saperi diversi. Ma al di là di qualche facile commento, questo tema non poteva non essere oggetto di approfondimento nel corso delle interviste realizzate con i responsabili dei migranti di Cgil, Cisl e Uil. Evidentemente orgogliosi di questi risultati e tanto più nel caso della Cisl che ha appena eletto una migrante a responsabile nazionale per la confederazione31, tutti riconoscono che ancora non si può parlare di una presenza proporzionale degli e delle stranieri/e iscritti nel corpo del sindacato stesso. Intanto però iscrivendosi così numerosi stanno allargando un sentiero che potrebbe rappresentare una domani una strada vera e proprio per giungere ad una maggiore integrazione nel mondo del lavoro e nella società tutta. Non a caso la Ocmin precisa che “i delegati stranieri non devono essere i delegati degli stranieri, ma di tutti”. Mentre, per le stesse ragioni la Cgil sta “portando avanti un importante progetto di formazione per quadri e delegati che coinvolge circa 20.000 persone”. I dati sopra riportati, per altro, fanno riferimento al 2007 mentre già oggi le stime delle tre organizzazioni sono decisamente più elevate: la Cgil parla del traguardo dei 300.000 iscritti, la Cisl di 330.000 nel 2008, mentre la Uil alla fine dello scorso anno stima di aver raggiunto i 190.000 iscritti che, sul totale degli iscritti a questa organizzazione, rappresentano la crescita più significativa. Par. 3.3 I migranti e il mondo delle imprese La tabella n. 1, riportata sopra, che descrive in cifre la situazione dell’occupazione degli stranieri e delle straniere nel nostro Paese, indica in 265 mila i migranti impegnati in attività di lavoro autonomo. I dati come sappiamo fanno riferimento alla fine del 2008. La tabella riportata nel sintetico ma denso dossier della Uil, che riepiloga per territorio le imprese individuali con titolare un/a immigrato/a non UE e le imprese individuali totali indica, sempre per il 2008, in 240.594 il totale degli/le stranieri/e che lavorano in proprio. Si tratta del 7% del totale delle imprese. I dati, elaborati dalla Uil hanno come fonte l’Unioncamere. 31 Liliana Ocmin è responsabile dei migranti, delle donne e dei giovani. 60 Integrazione e pari opportunità Se invece facciamo riferimento alle cifre riportate nel dossier della Caritas/migrantes, presentate nella tabella sottostante, vediamo che sono 165.114 le imprese costituite da immigrati di cittadinanza estera per attività economica. L’elaborazione, in questo caso è dell’ufficio statistico della CNA su dati Infocamere. Ora, pur tenendo conto delle differenze sopra evidenziate, probabilmente dovute a diverse modalità di estrapolazione ed elaborazione dei dati all’interno di un universo ancora di difficile quantificazione, il fenomeno rappresentato ha indubbiamente una rilevanza da non sottovalutare. Se anche le imprese avviate e gestiste da migranti fossero meno del 7% del totale delle imprese registrate, come si vede dalla tabella che segue, la crescita delle attività economiche autonome da questi svolte è decisamente significativa: almeno del 192,6% nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006. Inoltre presupponendo che siano circa 200.000 i migranti occupati in tali attività, a questi vanno aggiunti almeno altri 52.715 soci e 85.990 altre figure societarie. Si tratta quindi di circa 330.000 persone che rappresentano quasi un decimo della popolazione straniera adulta. Imprese costituite da immigrati di cittadinanza estera per attività economica (2003-2008) Attività economiche 2003 2004 2005 2006 2007 2008 Variaz. % 2003/08 132,6 0,0 270,8 % vert 2008 1.095 1.377 1.654 1.992 2.213 2.547 1,5 Agricoltura 1 1 1 1 1 1 0,0 Estraz. minerali 599 916 1.162 1.511 1.823 2.221 1,3 Industria alimentare Tessile abbigliamento 3.968 5.244 5.926 7.580 8.963 10.740 170,7 6,5 Calzature pelletteria 1.052 1.590 1.990 2.578 3.079 3.670 248,9 2,2 Metalmeccanica 1.029 1.366 1.599 1.857 2.089 2.397 132,9 1.5 Altre industrie 10.859 20.405 29.432 40.760 52.151 64.549 494,4 39,1 Costruzioni 20.404 30.114 38.727 47.757 52.479 57.723 182,9 35,0 Commercio e riparazioni 1.189 1.438 1.665 1.944 2.216 2.786 134,3 1,7 Alberghi e ristoranti 2.009 3.451 3.824 7.127 4.732 7.370 266,8 4,5 Trasporti 3.715 4.902 8.264 13.166 10.455 9.636 159,4 5,8 Attività servizi 10.501 1.039 389 10.528 1.192 1.475 -86,0 0,9 Non classificati Totale 56.421 71.843 94.633 130.969 141.393 165.114 192,6 100,0 Tab. n 7 Fonte: Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazione Ufficio Statistico CNA su dati infocamere 61 Integrazione e pari opportunità La tabella ripresa dal Dossier Caritas/Migrantes ci consente poi, di sapere come sono distribuiti tra le diverse attività economiche e, come si vede, l’edilizia e il commercio sono nelle due posizioni più alte. La Lombardia, la Toscana e la l’Emilia-Romagna sono invece le regioni dove si registra la presenza più rilevante di imprese costituite da immigrati: rispettivamente 44.581, 25.373 e 24.73032. L’andamento crescente del lavoro autonomo e delle piccole imprese gestite da migranti è un segnale importante relativamente al processo di integrazione degli/le stranieri/e che vengono a lavorare in Italia e, come ci dice il responsabile del settore della Uil: “ è anche un modo attraverso il quale si valorizzano le competenze degli immigrati” che altrimenti sono impiegati nelle attività e nei lavori più dequalificati. A fronte di un impegno di lavoro in attività di gestione complesse che comportano la necessità di conoscenze normative specifiche i migranti si sono dotati anche di un sito (www.impresaetnica.it). Il sito offre informazioni a tutto campo rivolte a coloro che già gestiscono un’impresa o vogliano provare a mettersi in proprio. Più di dettaglio le notizie e le opportunità che il sito offre agli immigrati che vivono in Lombardia. Il sito infatti, è stato registrato a Milano, capoluogo della regione che vede il maggior numero di imprese straniere. I link con i siti della Regione, della Camera di Commercio lombarda, con l’Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione il lavoro, o con il portale delle buone prassi nei progetti europei finanziati con gli FSE, ecc., sono poi, un ulteriore indice di presenza attiva e professionale alla vita economica del nostro Paese e non solo di una regione pur importante come la Lombardia. Par. 3.4 Lavoro e Sicurezza La sicurezza è uno dei temi più importanti da affrontare quando si guarda al mondo del lavoro. Importante per tutti: nativi e migranti. E’ un fenomeno, per altro, che negli ultimi anni è monitorato con maggiore attenzione e sensibilità e che chiama tutti coloro che abbiano responsabilità organizzative a non ridurre mai i livelli di guardia anche a fronte della “lenta ma continua diminuzione” degli infortuni registrata “nell’ultimo quinquennio”33 32 33 Uil: i colori del lavoro, citato Dossier Caritas/Migrantes, citato. 62 Integrazione e pari opportunità Il fenomeno per quel che riguarda gli immigrati riveste poi un carattere di maggiore delicatezza: la minore dimestichezza con la lingua italiana, infatti, aumenta i rischi di infortuni per chi fa più fatica a conoscere le regole e le modalità tese a prevenire gli incidenti sul lavoro. Nel 2007 sono occorsi agli stranieri 140.579 infortuni: il 21% in più rispetto al 2006. Gli incidenti mortali sono stati 174 e rappresentano il 14,9% del totale degli infortuni mortali. Queste cifre non ci permettono di affermare una maggiore incidenza degli infortuni tra gli stranieri in quanto l’aumento pur rilevante indicato sopra è anche determinato dall’aumento dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati/e presenti sul nostro territorio, ma sono comunque, fin troppo significative. Una descrizione per cifre, dell’andamento degli infortuni per quel che riguarda i migranti ci viene proposta dalla tabella34 che segue: Infortuni dei lavoratori nati in Paesi non comunitari (2003-2007) Paese di nascita Totale infortuni 2003 2004 2005 2006 Di cui mortali 2007 2003 2004 2005 2006 2007 22.594 23.523 22.117 22.625 23.327 18 22 14 Marocco 14.256 14.827 14.269 14.665 15.015 36 24 20 Albania 8.841 10.502 10.637 11.251 17.832 22 35 29 Romania 6.577 6.555 6.063 6.108 6.067 8 8 6 Tunisia 5.432 5.462 5.178 5.180 4.989 6 7 6 Jugoslavia 4.687 4.667 4.202 4.371 4.168 6 5 7 Senegal 2.391 2.693 2.876 3.042 3.127 4 6 2 India 2.268 2.605 2.652 2.747 2.797 1 1 Pakistan 42.801 46.628 44.102 46.316 65 68 65 Altri Paesi 109.847 117.462 112.096 116.305 140.579 166 175 150 Totale Tab. n 8 Fonte: Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazione su dati INAIL Dall’anno 2005 sono esclusi i nuovi 10 Paesi entrati nella UE 14 22 30 6 9 10 3 1 46 141 23 18 41 5 5 7 6 Nd 174 Tasso x 1.000 0,98 1,20 2,30 0,82 1,00 1,40 1,92 Nd 1,24 I settori produttivi nei quali si registrano più infortuni che hanno coinvolto migranti sono gli stessi che coinvolgono maggiormente i lavoratori italiani e cioè quelli delle costruzioni (20379),dell’ industria dei metalli (13.602), dei trasporti (10.920), per citare solo i primi tre. E, in tutta evidenza, sono anche quei settori nei quali gli/le stranieri/e ricoprono più 34 Dossier Caritas/Migrantes, citato. 63 Integrazione e pari opportunità numerosi le posizioni lavorative pericolose anche in virtù di una tendenziale minore presenza degli italiani. La formazione è da tutti riconosciuta essenziale per la prevenzione degli infortuni e, là dove i Fondi hanno cominciato ad intervenire con Avvisi specifici (è il caso, per esempio, dell’Avviso emesso dal Fapi nel 2008 dedicato alla sicurezza), è stato sicuramente importante introdurre modalità premianti per le aziende che hanno coinvolto i propri dipendenti stranieri nelle attività formative programmate. Par. 3.5 La formazione come leva dei percorsi di integrazione Pochi i dati a disposizione circa il coinvolgimento dei migranti nelle attività di formazione finanziate. Il rapporto Isfol del 2008 non indica cifre circa i lavoratori/trici stranieri/e coinvolti in attività formative. Forse a tutt’oggi si tratta di dati non ancora rilevati ma intanto – questa assenza – è di per sé un indice dello scarso coinvolgimento di questi lavoratori/trici. Il Fapi ha provato a verificarne la partecipazioni in occasione del Primo Monitoraggio delle proprie attività formative35 con riferimento all’Avviso 1/2005 e all’Avviso 3/2006, ma le cifre risultano davvero sconfortanti: Lavoratori : Cittadinanza N.D. Africa Altri Paesi UE America Asia Italia Paesi Europei non UE Totale complessivo A 1 2005 A 1 2006 A 2 2006 A 3 2006 Totale % Totale % Totale % Totale % 73 0,5 25 1,0 47 1,6 248 3,4 40 0,7 38 0,6 28 0,6 67 0,9 20 0,3 14 0,6 27 0,6 54 0,7 11 0,1 7 0,2 8 0,2 26 0,4 17 0,5 23 0,4 19 0,4 9 0,1 5301 97,5 4958 96,4 4333 96,4 6827 93,7 38 0,4 22 0,7 31 0,7 57 0,8 5500 100,0 5087 100,0 4493 100,0 7288 100,0 Tab. n 9 35 “Formazione continua per lo sviluppo e l’occupabilità – La domanda e l’offerta nella proposta del Fapi – Rapporto 2008 64 Integrazione e pari opportunità In totale i lavoratori stranieri che, considerando tutti gli Avvisi, hanno svolto attività di formazione è di 603 (2,7% del totale), probabilmente inferiore alla effettiva partecipazione in quanto, come viene scritto nel Rapporto per quel che riguarda l’Avviso 3/06, sono state molte le mancate risposte ai questionari di monitoraggio dell’Isfol da cui sono stati tratti i dati, ciò non di meno non si ritiene che una maggiore completezza dei numeri a disposizione cambi significativamente il quadro riportato sopra. Sarà, invece, importante verificare la partecipazione dei migranti all’Avviso dedicato ai temi della sicurezza emesso nel 2008. Come indicato sopra, infatti, in quella circostanza vi è stata data una particolare attenzione alla promozione alla partecipazione alla formazio ne di destinatari stranieri/e. Altri dati, al momento non ne sono stati individuati. Ad oggi quindi, non si può che dare uno sguardo in prospettiva, auspicando che nell’immediato futuro si possa registrare una situazione di maggiore attenzione e coinvolgimento proprio in funzione dell’importanza che l’attività formativa può avere all’interno di un processo di integrazione che, seppure con passi incerti e a volte contraddittori, sta comunque andando avanti. Vale la pena, a questo proposito, ricordare il sito già citato sopra che, non a caso, evidenzia con intelligenza le diverse opportunità di formazione presenti sul territorio lombardo tra cui, in particolare, quelle relative all’apprendimento della lingua italiana, ai corsi per la sicurezza e, non ultimi, a quelli legate all’uso delle nuove tecnologie. Il Rapporto Isfol, a sua volta sottolinea i passi avanti che si stanno registrando attraverso i CCNL che, sempre più numerosi, si pongono l’obiettivo di sviluppare la formazione rivolta ai migranti e ciò, in particolare nei settori produttivi più a rischio infortunistico. Per quel che riguarda l’edilizia, per esempio, troviamo un importante richiamo agli “Accordi di rinnovo dei CCNL per le imprese e le PMI edili (che) assegnano un ruolo attivo al Formedil e alle Scuole edili per la formazione dei lavoratori migranti”. L’Accordo, come si vede, interviene in modo preciso in relazione agli ambito nei quali promuovere attività formative assegnando “al Formedil il compito di affrontare i problemi connessi alle differenze linguistiche e culturali e all’integrazione socio-lavorativa degli stranieri attraverso: 65 Integrazione e pari opportunità la razionalizzazione e lo sviluppo della formazione preventiva nei paesi di origine dei lavoratori migranti; la realizzazione di corsi di lingua italiana e di formazione specifica presso Enti pubblici o Scuole edili; l’attuazione di programmi interculturali di formazione finalizzati a migliorare la comunicazione tra le varie etnie e il funzionamento dei cantieri.” Infine, come è facile immaginare, le organizzazioni sindacali attribuiscono grande importanza al ruolo della formazione e ovviamente a quello della contrattazione sia in relazione ai percorsi di integrazione socio-lavorativi in generale, sia in relazione al miglioramento delle condizioni di lavoro. “La questione formativa è essenziale non solo per specializzarsi ma anche per l’innalzamento culturale di base” e, in questo senso è “essenziale muoversi sia nella contrattazione che nella formazione stando attenti alle specificità del lavoro migrante a cominciare dal tema della lingua e della sicurezza”36. In particolare, lo strumento su cui si punta l’attenzione, è il voucher che consente una formazione specificatamente mirata al/la singolo/a lavoratore/trice negli ambiti considerati prioritari: lingua (e non solo italiano L2), sicurezza, diritti-doveri, informatica. In questo senso altrettanta condivisione la si coglie relativamente al ruolo che possono svolgere i Fondi interprofessionali paritetici sia in quanto organismi bilaterali sia per la maggiore flessibilità di utilizzo delle risorse che questi consentono. Il tutto nella consapevolezza che “in Italia non è facile ma ... è anche così che si costruisce il futuro”37 36 37 Dall’intervista al Responsabile Nazionale della Uil Dall’intervista al Responsabile Nazionale della Uil 66