Integrazione e pari opportunità

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Integrazione e pari opportunità
Integrazione e pari opportunità PROGETTO
INTEGRAZIONE E
PARI OPPORTUNITA’
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Integrazione e pari opportunità Sommario CAPITOLO
1 ............................................................................................................................................ 3 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LE DONNE NEL MERCATO DEL LAVORO ............................................. 3 Par.
Par.
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1.1 - Le Normative a sostegno dell’occupazione femminile ............................................ 3 1.2 Le donne nel mercato del lavoro italiano .................................................................. 15 1.3 Donne e Formazione .................................................................................................... 16 1.4 Considerazioni finali...................................................................................................... 27 CAPITOLO 2 .......................................................................................................................................... 33 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LAVORO E DISABILITA’.......................................................... 33 Par.
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2.1 Premessa ........................................................................................................................ 33 2.2 La normativa di riferimento: il quadro normativo Internazionale ......................... 34 2.3 La normativa di riferimento: il quadro normativo Comunitario ............................. 35 2.4 La normativa di riferimento: la legislazione Italiana ............................................... 36 2.5 La formazione professionale ....................................................................................... 41 2.6 La formazione continua ............................................................................................... 43 2.7 Analisi del quadro attuale ............................................................................................ 44 2.8 Considerazioni finali...................................................................................................... 50 CAPITOLO 3 .......................................................................................................................................... 52 INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: I MIGRANTI ............................................................................. 52 Par.
Par.
Par.
Par.
Par.
3.1
3.2
3.3
3.4
3.5
Premessa ........................................................................................................................ 52 La presenza delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri nel MDL ............................. 52 I migranti e il mondo delle imprese ........................................................................... 60 Lavoro e Sicurezza ........................................................................................................ 62 La formazione come leva dei percorsi di integrazione ............................................ 64 2
Integrazione e pari opportunità CAPITOLO
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INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LE DONNE NEL MERCATO DEL LAVORO
Par. 1.1 - Le Normative a sostegno dell’occupazione femminile
Numerosi ed impegnativi – e non solo a livello nazionale ed europeo – i
riferimenti normativi cui è possibili richiamarsi per sostenere azioni ed
interventi anche in ambito formativo, tesi a colmare il gap quantitativo e
qualitativo che ancora segna la presenza delle donne nel mercato del lavoro.
In questa sede si ritiene utile richiamare per titoli il lungo percorso realizzato
nel tempo a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, per poi
soffermarsi, sempre dal punto di vista normativo, all’ultimo importante
intervento legislativo nazionale assunto in tal senso: ci si riferisce alla Legge
53/2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il
diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
E’ questa infatti, non solo la legge più recente ma è anche quella che “mette
il dito nella piaga”, intervenendo all’interno di quello snodo culturale dato
dall’incontro (scontro) tra genitorialità e mercato del lavoro. Inoltre, e non è
meno importante, su un terreno più operativo, è una normativa che mette in
campo risorse e interviene direttamente nella promozione e finanziamento di
attività di formazione continua.
Ripercorrendo la strada intrapresa a metà del secolo scorso, il primo passo
compiuto è a livello internazionale con l’approvazione il 10 dicembre del 1948
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Sempre a questo livello è,
poi, importante richiamare la Convention on the Elimination of All Forms of
Discrimination against Women approvata dalla Assemblea dell’ONU il 18
Dicembre 1979.
Per quel che riguarda l’Unione Europea invece, i “pilastri” normativi e dei
principi sono sicuramente:
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Integrazione e pari opportunità • il Trattato di Roma, del 25 marzo 1957 - Art. 119;
• La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del
9 dicembre 1989 - Art. 16
• Il Trattato sull’Unione Europea del 7 febbraio 1992 - Art. 119 "Trattato di Maastricht"
• Il Trattato di Amsterdam (97/C 340/01) che modifica il trattato
sull'Unione Europea, i trattati che istituiscono le Comunità Europee e
alcuni atti connessi - Artt. 2-3, 13, 118-119
Mentre sul piano attuativo – sempre a livello europeo – è importante fare
riferimento alle Direttive:
• Direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5
luglio 2006 - Attuazione del principio delle pari opportunità e della parità
di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego
• Direttiva 2004/113/CE del Consiglio del 13 dicembre 2004 - Parità di
trattamento tra uomini e donne sull’accesso a beni e servizi
• Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 4
novembre 2003 - su aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro
• Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23
settembre 2002 - Modifica alla direttiva 76/207/CEE del Consiglio
relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli
uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla
formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro
• Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 - Riguardante
l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso
• Direttiva 97/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 - Relativa
all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal
CEEP e dalla CES
• Direttiva 96/97/CE del Consiglio del 20 dicembre 1996 che modifica
la direttiva 86/378/cee relativa all'attuazione del principio della parità di
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Integrazione e pari opportunità trattamento tra gli uomini e le donne nei regimi professionali di
sicurezza sociale
• Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 - Concernente
l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e
dalla CES
• Direttiva 86/378/CEE del Consiglio del
24 luglio 1986 - Relativa
all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le
donne nel settore dei regimi professionali di sicurezza sociale
• Direttiva 79/7/CEE del Consiglio del 19 dicembre 1978 - Relativa alla
graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e
le donne in materia di sicurezza sociale
• Direttiva 75/117/CEE del Consiglio del
ravvicinamento
delle
legislazioni
degli
10 febbraio 1975 - Per il
stati
membri
relative
all'applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori
di sesso maschile e quelli di sesso femminile
• Direttiva 76/207/CEE del Consiglio del
9 febbraio 1976, relativa
all'attuazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le
donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla
promozione professionali e le condizioni di lavoro
• Direttiva 86/613/CEE del Consiglio (MS-Word, 12 kB)
11 dicembre 1986, relativa all'applicazione del principio della parità di
trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività
autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì
alla tutela della maternità
• Direttiva 92/85/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, concernente
l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della
sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in
periodo di allattamento.
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Integrazione e pari opportunità A livello nazionale, invece, si richiamano qui di seguito gli interventi legislativi
più rilevanti che, come si vede, datano a partire dai primi anni ’70, 22 anni
dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:
• Legge 6 dicembre 1971, n. 1044
"Piano quinquennale per
l'Istituzione di asili-nido comunali con il concorso dello Stato"
• Legge 18 dicembre 1973, n. 877
"Nuove norme per la tutela del
lavoro a domicilio"
• Legge 9 dicembre 1977, n. 903 Parità di trattamento tra uomini e
donne in materia di lavoro
• Legge 10 aprile 1991, n. 125
"Azioni positive per la realizzazione
della parità uomo-donna nel lavoro"
• L. 25 febbraio 1992, n. 215
"Azioni positive per l'imprenditoria
femminile"
• D. Lgs. 26 novembre 1999, n. 532, "Disposizioni in materia di lavoro
notturno, a norma dell'articolo 17, comma 2, della Legge 5 febbraio
1999, n. 25"
• D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61
"Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul
lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES"
• Legge 15 ottobre 2003, n. 289
Modifiche all’articolo 70 del testo unico di cui al decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151, in materia di indennità di maternità per le libere
professioniste
• D.Lgs. 30 maggio 2005, n. 145
"Attuazione della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di
trattamento tra gli uomini e le donne, per quanto riguarda l'accesso al
lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di
lavoro"
• Legge 24 febbraio 2006, n. 104
Modifica della disciplina normativa relativa alla tutela della maternità
delle donne dirigenti
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Integrazione e pari opportunità • D. Lgs. 11 aprile 2006, n. 198
"Codice delle pari opportunità tra
uomo e donna"
Articoli 21/22 - 42/50 - 52/55
Dalle normative nazionali sopra riportate manca la Legge 53 dell’8 marzo
2000 che, come accennato sopra, vale la pena di vedere più da vicino.
La Legge infatti introduce alcune novità rilevati, soprattutto per Paesi come
l’Italia, anche sul piano culturale, in considerazione della introduzione della
possibilità di utilizzazione dei congedi parentali anche per i padri. Per la prima
volta, cioè, in una legge volta a favorire l’occupazione femminile, entrano in
ballo anche gli uomini seppure, poi, nell’applicazione, l’attenzione è rivolta
ancora volta solo verso le donne indebolendo così il suo portato innovativo.
Approfondirne l’analisi è, poi, ancora più importante in questa sede bilaterale:
la legge, infatti, nasce dall’accordo quadro del 3 giugno 1996 tra l’UNICE
(Associazione Europea datoriale) e i sindacati europei, fatta propria dall’Italia
con il D. Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, pochi giorni prima cioè della
approvazione della più compiuta, rispetto alla assunzione della Direttiva
Europea, Legge 53/00. Scaturisce quindi, da un accordo tra le parti sociali. La
dimensione negoziale della gestione dei congedi parentali e della azioni di
“conciliazione” la ritroviamo, infatti,
anche nella nostra legge nella quale
anche la promozione e il finanziamento di attività di formazione continua
devono essere negoziate dalle parti sociali.
E’ dal dibattito europeo, quindi, che viene una spinta forte a promuovere un
riequilibrio tra gli impegni di donne e uomini nella loro “doppia” condizione di
lavoratori e lavoratrici e esseri umani a tutto tondo a partire dalla loro scelta
genitoriale..
Così il testo dell’accordo:
1.
.....considerando che la risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994
riconosce che una politica effettiva di pari opportunità presuppone una
strategia globale integrata, la quale consenta una migliore organizzazione
degli orari di lavoro, una maggiore flessibilità e un più agevole ritorno alla vita
7
Integrazione e pari opportunità professionale e prende atto del ruolo importante che svolgono le parti sociali
sia in tale campo sia nell'offrire, agli uomini e alle donne, la possibilità di
conciliare le loro responsabilità professionali e i loro obblighi familiari;
2.
considerando che le misure volte a conciliare la vita professionale
familiare dovrebbero promuovere l'introduzione di nuovi modi flessibili di
organizzazione del lavoro e dell'orario, più adattati ai bisogni della società in
via di mutamento, e rispondenti sia alle esigenze delle imprese che di quelli
dei lavoratori;
3.
......................................................
4.
considerando che gli uomini dovrebbero essere incoraggiati ad
assumere uguali responsabilità familiari, ad esempio, proponendo loro di
prendere congedi parentali con mezzi quali programmi di sensibilizzazione;
.......................................
L’accordo stabilisce: “prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione
delle responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano.”... e “si
applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto
di lavoro definito dalla legge, da contratti collettivi o dalle prassi vigenti in
ciascuno Stato membro”
Da qui, quattro anni dopo, i congedi parentali e la promozione di azioni volte
alla “conciliazione” approdano nel nostro Paese seguiti da ulteriori interventi
regolamentari e modificativi fino all’ultimo del maggio del 2009 relativo all’art.
9 della legge. Di quella parte cioè che finanzia interventi concordati tra le
parti sociali tesi ad introdurre modifiche organizzative, di orario od altro
capaci di permettere a padri e madri di poter svolgere al meglio il proprio
lavoro senza rinunciare, per questo, ad esercitare il proprio diritto-dovere alla
cura e alla crescita dei figli.
- Circolare del Ministero del Lavoro, 7 luglio 2000, n. 43
"Art. 12, Legge 8 marzo 2000, n. 53, recante disposizioni in materia di
flessibilità dell'astensione obbligatoria nel periodo di gestazione e
puerperio della donna lavoratrice"
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Integrazione e pari opportunità - D.M. 21 luglio 2000, n. 278
"Regolamento recante disposizioni di
attuazione dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, concernente
congedi per eventi e cause particolari"
- Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 26 marzo 2001, n.
151, recante testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela
e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15
della legge 8 marzo 2000, n. 53
- D. Lgs. 26 marzo 2001, n. 151
"Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità, a norma dell'articolo 15 della Legge 8 marzo 2000, n. 53"
- Art. 38 - Legge 18 giugno 2009, n. 69
Misure per conciliare tempi di vita e tempi di lavoro
Modifica dell'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53
Gli articoli della Legge su cui concentrare l’attenzione in relazione all’oggetto
di questo lavoro sono due1 : l’art. 6 e l’art. 9:
- art. 6 – congedi per la formazione continua quale “diritto di proseguire i
percorsi di formazione per tutto l’arco della vita”. E’ la contrattazione a
definire il monte ore da destinare ai congedi, i criteri per l’individuazione dei
lavoratori e le modalità di orario nonché retributive connesse alla
partecipazione ad attività di formazione;
- art. 9 - nell'ambito del Fondo per l'occupazione (...), è destinata una quota
fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, al fine di erogare
contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta
dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che
prevedono azioni positive per la flessibilità, ed in particolare:
a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore
padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando
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Anche l’art 5 finanzia attività di formazione. Questa non viene qui analizzata in quanto attine a “congedi per
formazione finalizzati al “completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio di II grado, del
diploma di laurea universitario ….”
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Integrazione e pari opportunità abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari
forme di flessibilità degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part
time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in
uscita, banca delle ore, flessibilità sui turni, orario concentrato, con priorità
per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di età o fino a dodici anni,
in caso di affidamento o di adozione;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo
di congedo;
c) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del
lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei
congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo.
Entrando nel merito della applicazione dei due articoli, consideriamo per
primo l’art. 6 facendo riferimento a quanto troviamo nei Rapporti annuali
dell’Isfol sulla formazione continua che ne descrivono lo stato di attuazione
seppure senza riferimenti ai soggetti che ne hanno beneficiato.
Leggendo il Rapporto 2005 nella parte che riguarda le attività finanziate con
l’articolo 6 si scopre che a fronte di 46 milioni di euro stanziati , ne sono stati
erogati alle regioni 23,5 milioni. Le regioni interessate sono soprattutto quelle
del Centro Nord. Queste ultime, ovunque siano collocate geograficamente,
privilegiano finanziamento della formazione individuale sicuramente più
semplici da mettere in circolo visto che non presuppongono accordi
contrattuali
e possono essere gestiti attraverso una ormai consolidata
concessione di voucher.
D’altra parte solo 5 CCNL su 15 rinnovati nell’ultimo biennio hanno recepito
l’art 6 della L. 53/00 (Industria chimica Gomma e plastica, tessile/calzaturiero,
quadri ed impiegati agricoli, contoterzismo in agricoltura, porti)2 .
Più in generale, però, i dati a disposizione degli stessi Ministeri del lavoro e
dell’Economia non consentono di ricomporre un quadro esaustivo. Il Rapporto
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“Rapporto 2005 sulla formazione continua”.
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Integrazione e pari opportunità 2005 sulla formazione continua riporta pochi dati di monitoraggio relativi ad
attività svolte nel 2001 (appena un anno dopo l’entrata in vigore della
normativa), a cui si aggiunge una tabella sulla ripartizione dei fondi seguiti a
due Decreti interministeriali emanati nel 20043 . Le due tabelle confermano la
prevalenza dei finanziamenti destinati alla formazione individuale rispetto a
quella contrattata evidenziandone, contemporaneamente, l’accentuazione di
questo orientamento nel corso del tempo.
Ad esempio, una Regione importante per quel che riguarda la promozione e il
sostegno alla formazione professionale come l’Emilia Romagna, se nel 2001
finanzia 58 progetti di tipologia A (contrattata con quote di riduzione di orario
di lavoro), nel 2004 destina il 100% delle risorse della L. 53 alla tipologia B
(formazione individuale). In senso opposto si muovono comunque Regioni
come le Marche che nel 2001 hanno erogato finanziamento solo per la
formazione individuale mentre nel 2004 destinano il 53,30% delle risorse alla
tipologia A o la Toscana che nel 2004 destina il 25,30% mentre nel 2001 ha
finanziato solo la formazione individuale.
Diversa la scelta della Provincia Autonoma di Trento che sia nel 2001 che nel
2004 destina il 100% delle risorse alla tipologia A.
Sempre dal Rapporto sulla Formazione continua (2005) si evince che ad
usufruire della formazione sulle due tipologie sono soprattutto uomini in
possesso di titoli di studio elevati. Il Rapporto non quantifica il dato per sesso
(“forte prevalenza di uomini”), cosa che d’altra parte non fa in termini
pressoché assoluti. Leggendo il rapporto nel suo insieme infatti, si scopre che
un solo grafico (Figura 21, pag. 78) propone una lettura del dato distinta per
sesso.”
Nei rapporti successivi l’Isfol propone qualche dato relativo ai lavoratori che
hanno usufruito della formazione continua, in senso lato, distinti per genere
3
“Rapporto 2005 sulla formazione continua”, citato, pag. 94 e pag. .98.
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Integrazione e pari opportunità (cui si farà riferimento più avanti), ma per quel che riguarda quella finanziata
dall’art. 6 della Legge 53/00 questa classificazione non è presente.
D’altra parte nel Rapporto 2008 non viene nemmeno scritto se la prevalenza
dei formati sia di genere femminile o maschile.
Vale comunque la pena verificare se, rispetto al 2005, vi siano differenze
significative nell’utilizzo dei finanziamenti anche perchè ciò che viene messo
immediatamente in evidenza è la “.. difficoltà di spesa: sono, infatti, appena
43 i milioni che risultano erogati dal Ministero del Lavoro alle Regioni (tabelle
dal 2.46 a 2.49). In particolare la quota scende drasticamente con i due
decreti del 2007, dove si registra un trasferimento alle Regioni di circa 2,9
milioni a fronte degli oltre 30 impegnati. Naturalmente il meccanismo di
trasferimento alle Regioni non implica che alcune di esse, in particolare tra le
Regioni del Nord, non abbiano già emanato Avvisi, ma certamente le risorse
non sono state ancora distribuite sul territorio4 ”.
Come nel 2004, inoltre, le regioni del Sud fanno registrare vistose differenze
rispetto alla emanazione di Avvisi e conseguentemente nell’utilizzo dei fondi:
Molise, Campania, Puglia, Calabria e Basilicata non hanno ricevuto i
finanziamenti e alcune di loro non hanno emesso alcun Avviso5 .
Per quel che riguarda poi gli anni successivi e, più precisamente, il 2005 e il
2006 la situazione rispetto all’impegno e all’erogazione dei fondi è la
seguente:
- 2005
15.493.706,97
di euro sono risorse impegnate dal Governo di cui
2.437.118,85 erogate
- 2006
15.493.707,01
di euro sono risorse impegnate dal Governo di cui
380.532,87 erogate
4
“Rapporto 2008 sulla formazione continua”
“il Ministero del Lavoro non ha ancora erogato le risorse del 2004 a molte Regioni del Mezzogiorno, anche perchè
alcune di queste ultime non hanno ancora emanato Avvisi.” (Rapporto 2008, pag. 141.
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12
Integrazione e pari opportunità Le ragioni di queste difficoltà di spesa sono individuate, sempre nel Rapporto
2008,
nella scarsa organizzazione dell’offerta formativa soprattutto delle
regioni del Sud, oltre ché nel fatto che queste risorse sono destinate ad
occupati piuttosto che a sostenere nuova occupazione, sempre per le regioni
del Sud.
Un’ulteriore differenziazione nell’uso delle risorse di cui si sottolinea la criticità
è data dalle due tipologie di possibile utilizzo dei finanziamenti:
Tipologia A - Progetti di formazione presentati dalle imprese che sulla base di
accordi contrattuali prevedano quote di riduzione dell’orario di lavoro;
Tipologia B - Progetti di formazione presentati direttamente dai singoli
lavoratori.
Le Regioni, come facile immaginare, hanno privilegiato l’utilizzo delle risorse
di Tipologia B in quanto, la prima presuppone sia un accordo sindacale che
quote di riduzione di orario di lavoro.
E infatti i due Decreti succedutesi nel 2007 indicano 8 regioni che hanno
impegnato risorse nell’ambito della Tipologia B e solo 4 per la Tipologia A. Il
secondo Decreto coinvolge meno regioni per entrambe le Tipologie ma
probabilmente non tutte hanno chiuso gli iter di impegno.
Interessante notare come le più importanti regioni del Nord (Piemonte,
Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna), utilizzino i fondi in modo integrato con
le altre risorse a loro disposizioni compresi quindi i fondi FSE, così come
l’Emilia Romagna sia l’unica regione che impegna queste risorse “a cavallo”
tra le due tipologie.
Infine, se andiamo a guardare le caratteristiche dei Bandi emanati dalle
regioni notiamo che pochissime regioni selezionano la destinazione dei fondi
individuando quali priorità accordi di riduzione dell’orario di lavoro funzionali
all’aggiornamento delle competenze. Ancora una volta le scelte del Trentino
Alto Adige si presentano tra le più interessanti: “Lavoratori collocati in CIG
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Integrazione e pari opportunità ordinaria e/o straordinaria, e/o iscritti nelle liste di mobilità; Lavoratori con più
di 45 anni; Lavoratori con basso titolo di studio; Lavoratori diversamente
abili”. Ma va segnalato anche il Veneto che pone esplicitamente il vincolo di
destinatari che si reinseriscono al lavoro dopo periodi di congedi parentali o
per astensione obbligatoria o volontaria di lavoratori e lavoratrici (“progetti di
formazione per il reinserimento dei lavoratori/trici durante e dopo il periodo di
congedo parentale o di astensione obbligatoria; progetti che consentano la
sostituzione del lavoratori/trici che beneficiano del periodo di astensione
obbligatoria o dei congedi parentali con altro lavoratore/trice; progetti di
formazione finalizzati all’attuazione di forme di orario di lavoro flessibile - da
tempo pieno a tempo parziale, telelavoro etc.”). E infine la Sicilia che si
rivolge a “donne che ricoprano o si apprestano a ricoprire ruoli dirigenziali o
comunque finalizzati allo sviluppo di carriera in aziende/ ruoli/ professioni nei
quali sono sotto rappresentate; soggetti fuori dai percorsi formativi da oltre
10 anni; lavoratori atipici”.
Passando ora ad analizzare l’art. 9 che finanzia progetti condivisi dalle parti
sociali finalizzati alla introduzione, nell’ambito della organizzazione del lavoro,
di flessibilità volte alla “conciliazione”, nonché progetti di formazione che
facilitino il reinserimento al lavoro dopo periodi di congedo, ad oggi non si
può che prendere atto delle notevoli difficoltà di attuazione. Questo
nonostante il regolare finanziamento della legge e due scadenze annue per
la presentazione dei progetti. A fronte di queste difficoltà universalmente
riconosciute,
nel giugno di quest’anno è stata approvata una modifica
legislativa (segnalata sopra).
Le novità introdotte da una parte ampliano i soggetti che possono accedere ai
finanziamenti includendo tra questi anche imprese sotto i cinquanta
dipendenti fino a comprendere privati iscritti ai pubblici registri, e dall’altra
amplia le tipologie delle azioni su cui è possibile richiedere il finanziamento.
Le modifiche introducono, inoltre, una priorità per quei progetti che
prevedono forme di valutazione innovative delle prestazioni e/o dei risultati.
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Integrazione e pari opportunità Le azioni di conciliazione, inoltre, possono essere rivolte anche ai dirigenti.
Ulteriori importanti novità riguardano le lavoratrici autonome.
In prospettiva, poi, si attende che con i decreti attuativi si semplifichino le
modalità di richiesta dei finanziamenti e della valutazione degli stessi.
Se questo è lo scenario normativo di riferimento entro il quale la Legge 53/00
svolge un ruolo primario le difficoltà di attuazione e gli scarsi risultati ottenuti
in questi anni chiedono a tutti i soggetti coinvolti quanto meno di interrogarsi
sulle ragioni di queste “resistenze”. Non si deve dimenticare infatti, che oltre
ai fondi messi a disposizione dalle normative italiane, in questi primi anni del
secolo sono state notevoli anche le risorse messe a disposizione dal FSE e
numerosi, e talvolta considerevoli nei contenuti, i progetti realizzati in e da
diverse aziende italiane per poi essere stati, spesso, lasciati cadere
immediatamente dopo la loro conclusione6 .
Par. 1.2 Le donne nel mercato del lavoro italiano
E infatti, lo scenario relativo alla presenza delle donne nel mercato del lavoro
ad oggi è tutt’altro che soddisfacente qualsiasi sia il punto di vista di chi lo
osserva:
“Il tasso di occupazione femminile in Italia, 46%, resta uno dei più bassi in
Europa. Nella classifica dei 27 paesi dell’Unione fa peggio di noi solo Malta. A
peggiorare la situazione si aggiungono le cifre che si riferiscono alla
conciliazione lavoro e maternità e alle differenze salariali. Le donne
guadagnano in media il 15% in meno, ma nel caso di uno o più figli la
penalizzazione è maggiore.
6
Il volume “Teoria e prassi per la conciliazione lavoro e famiglia – Guida alla legge 8 marzo 2000 n. 53, art. 9”,
Quaderni Spinn a cura di Gabrilla Natoli cataloga – fino a febbraio del 2004: 41 progetti di flessibilità organizzativa
(Tipologia A), di questi 6 prevedono anche attività formative volte a sostenere gli interventi previsti nel progetto; 14 di
formazione al rientro (Tipologia B); 20 progetti di sostituzione dell’imprenditore (Tipologia C). Si segnala, poi, a mo’
di esempio: dal sito della Regione Emilia-Romagna: Sitografia e documentazione di buone prassi - Focus:
Conciliazione. Le buone prassi
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Integrazione e pari opportunità A fronte del più contenuto calo del tasso di occupazione femminile al 46,3 per
cento, sei decimi di punto in meno rispetto a un anno prima, quello maschile
manifesta una significativa flessione passando dal 69,7 % del primo trimestre
2008 al 68,5%.
In Italia più che altrove, le possibilità di affermazione e valorizzazione
dipendono meno dalle effettive potenzialità individuali e sono invece più
condizionate dalla generazione di appartenenza, dall’essere uomo piuttosto
che donna, dal vivere al Nord rispetto al Sud – il tasso di occupazione al Nord
56.7%, Centro 52.3% , Mezzogiorno 30.2% (fonte Istat) Tutto questo non
solo penalizza i singoli, ma comprime le possibilità di crescita del Paese.
La differenza tra i tassi di occupazione maschile e femminile è del 22.2%
(fonte Istat)”.
A esporre questi dati è la responsabile dell’APID, e quindi di una Associazione
datoriale, la quale, come si vedrà più avanti, non fa sconti nemmeno
guardando alle difficoltà di attuazione delle Legge 53/00.
Par. 1.3 Donne e Formazione
Non si ritiene in questa sede di doversi soffermare a lungo sui “numeri delle
donne” nell’ambito del mercato del lavoro. Quanto riassunto con la citazione
riportata appena sopra, ne descrive i punti salienti. Volendo si potrebbero
richiamare i dati sempre più preoccupanti, delle donne che abbandonano il
lavoro entro il primo anno successivo alla nascita di un figlio, fenomeno in
crescita proprio in questi ultimi anni.7
O guardare le posizioni e i ruoli
lavorativi di donne e uomini sia nelle imprese che, più in generale, in ambito
7
Merelli M., Nava P., Ruggerini MG., Maternità, paternità e lavoro: una conciliazione possibile, Parma, 2008
16
Integrazione e pari opportunità pubblico, politico o anche sindacale, o ancor più rimanere “sconcertati” nel
verificare il persistere di pesanti differenziali retributivi tra uomini e donne.8
Più direttamente legata al contesto qui considerato, e insieme conseguente
ai dati su cui un’eventuale azione di un Fondo Paritetico di gestione di attività
di formazione continua, possa auspicabilmente incidere, è una fotografia più
ampia relativa alla fruizione della formazione da parte delle lavoratrici.
A questo proposito i dati più recenti sono quelli contenuti nel Rapporto Isfol
2008, già più volte citato che, seppure non particolarmente generosi in
termini di distinzione di genere, offrono qualche utile informazione.
Questi nella sostanza confermano un coinvolgimento minore delle donne nelle
attività di formazione, coerente certo, con la minore presenza nel mondo del
lavoro ma sicuramente contraddittoria rispetto ai migliori risultati quantitativi
e qualitativi che si registrano nell’ambito dei percorsi formativi in senso lato.
“La partecipazione ad attività formative è maggiore per gli uomini (44,1%)
rispetto alle donne (39,5%)”, ma questo dato è ancor più significativo se
messo in relazione con quanto descritto nella tabella sottostante che descrive
in generale la partecipazione di donne e uomini ad attività di formazione
formale e informale, corsi di studio o di formazione, nonché attività di
autoformazione di uomini e donne. In sostanza ciò ci consente di verificare (e
confermare) la maggiore frequenza femminile ad attività di studio e
formazione in senso lato per constatare, poi, che questa non solo non ha una
ricaduta equivalente nel mercato del lavoro, ma la stessa frequenza alla
formazione si modifica in relazione al genere tanto più questa è collegata con
l’attività lavorativa soprattutto nel privato, a partire, per altro, proprio dalla
formazione continua.
8
LeNove, Sistemi organizzativi e differenze retributive fra donne e uomini, in Isfol, Esiste un differenziale retributivo di
genere in Italia?, Roma, I libri del Fondo Sociale Europeo, 2007, ma anche LeNove, Differenziali retributivi di genere
e organizzazione del lavoro. Una indagine qualitativa, Isfol, 2008.
17
Integrazione e pari opportunità Tabella 1
Occupati di 18 anni e più per frequenza di corsi di studio, e/o formazione e/o
autoformazione classe di età e sesso. Anno 2006 (per 100 occupati di 18 anni e più della
stessa età e dello stesso sesso)
Frequenta corsi di studio, e/o formazione, e/o
autoformazione
CLASSI DI
ETÀ
di cui
No
Sì
Corsi di
studio
18 - 19
20 - 24
25 - 34
35 - 44
45 - 54
55 - 59
60 - 64
65 e più
Totale
44.2
48.1
44.0
46.6
48.4
50.6
61.0
69.6
47.7
55.8
51.9
56.0
53.4
51.6
49.4
39.0
30.4
52.3
15.1
8.6
5.2
2.5
1.5
1.6
0.9
0.3
3.1
18 - 19
20 - 24
25 - 34
35 - 44
45 - 54
55 - 59
60 - 64
65 e più
Totale
34.1
37.5
37.6
41.1
44.3
49.2
56.3
80.3
41.9
65.9
62.5
62.4
58.9
55.7
50.8
43.7
19.7
58.1
33.3
14.7
9.4
4.2
2.8
1.5
5.6
18 - 19
20 - 24
25 - 34
35 - 44
45 - 54
55 - 59
60 - 64
65 e più
Totale
41.0
43.8
41.3
44.4
46.8
50.1
59.9
72.3
45.4
59.0
56.2
58.7
55.6
53.2
49.9
40.1
27.7
54.6
20.8
11.1
6.9
3.2
2.0
1.6
0.6
0.2
4.1
Corsi di
formazione
Attività di
autoformazione
MASCHI
21.3
19.1
23.2
24.3
24.3
21.7
15.9
10.9
23.1
FEMMINE
25.6
31.2
32.1
31.9
30.4
25.0
21.3
4.4
30.7
MASCHI E FEMMINE
22.7
24.0
26.9
27.4
26.7
22.9
17.2
9.3
26.1
Fonte: Istat – AES (Adult Education Survey) Italia 2007
18
Hanno effettuato
Solo corsi di
studio e/o di
formazione
Solo autoformazione
Sia corsi di
studio e/o
di formazione, sia autoformazione
42.5
45.0
50.2
47.0
45.1
43.8
34.3
28.9
46.2
23.8
13.2
10.4
11.8
12.6
11.2
12.0
4.9
11.7
44.9
53.3
54.0
52.8
52.1
55.5
59.1
64.0
53.4
31.8
33.4
35.6
35.4
35.3
33.3
28.8
31.1
34.9
57.6
52.0
54.3
50.0
47.5
44.7
35.9
17.7
49.8
12.7
16.9
13.0
15.1
14.6
11.9
17.7
10.2
14.3
28.8
41.5
43.2
43.5
44.8
49.6
51.3
77.8
44.1
58.6
41.7
43.8
41.4
40.6
38.5
31.0
12.1
41.6
47.2
47.9
51.9
48.2
46.0
44.2
34.7
26.1
47.6
19.9
14.9
11.5
13.2
13.4
11.4
13.6
5.8
12.8
39.3
48.0
49.2
48.8
49.1
53.4
57.0
66.4
49.5
40.8
37.1
39.3
38.0
37.5
35.2
29.4
27.8
37.7
Integrazione e pari opportunità Sempre da un rapporto Isfol ma questa volta del 2006, traiamo la seguente
tabella:
Tabella 2.
Caratteristiche dei/delle partecipanti ad attività di formazione continua nel 2004 (%)
Caratteristiche
dei formati
Media formati
Genere
Uomini
Donne
Tipologia lavoratori/lavoratrici
Dipendenti
Dipendenti
indipendenti
privati
pubblici
26,7
53,1
27,6
28,7
23,3
49,2
56,2
Media
lavoratori/trici
formati
32,7
29,0
24,3
31,9
33,9
Fonte: Rapporto Isfol 2006 sulla formazione continua
Come si vede, salvo nel Pubblico Impiego, il rapporto uomo/donna vede
sempre una più ridotta frequenza femminile alle attività formative 9.
Un ulteriore approfondimento sulla partecipazione delle donne alla formazione
è stato realizzato dall’Istat all’interno di una indagine multiscopo10
da cui
Patrizia Dandolo del Dipartimento Formazione Ricerca CGIL ricava una
dettagliata analisi su “Formazione e partecipazione femminile”. I dati ripresi
da questa nota ci consentono di ampliare le informazioni in nostro possesso.
Per prima cosa, si trova la conferma del quadro riassunto con la Tab. 2: le
donne occupate nella Pubblica Amministrazione: “hanno dei tassi di
partecipazione più elevati di quelli degli uomini: le occupate partecipano ad
attività formative nel 58,1% dei casi rispetto al 52,3% degli uomini e tali
differenze permangono anche a parità di livello professionale. Ad esempio le
donne direttive, quadri e impiegate partecipano ad attività formative nel
67,9% dei casi rispetto al 65,9% dei maschi nella stessa posizione
professionale”, mentre le distinzioni in negativo riemergono se si va a
guardare l’ambito privato e, in generale, quando vengono svolte le diverse
attività di studio e formazione:
9
M. G. Ruggerini e A. Bozzoli, Le donne nella formazione continua e in Fondimpresa, pubblicata in “ Contrattare e
valutare la formazione: il caso di Fondimpresa”, a cura di F. Bednarz e R. Pettenello Ed. Ediesse, 2008.
10
Istat – AES (Adult Education Survey) Italia 2007
. La tabella 1. è stata tratta dall’indagine qui citata.
19
Integrazione e pari opportunità “Sono più gli uomini che le donne a seguire i corsi di studio durante le ore
lavorative (40,4% dei maschi rispetto al 36,1%), anche a parità di posizione
nella professione. Il divario è più elevato tra dirigenti, imprenditori e liberi
professionisti e diminuisce tra i direttivi, quadri e impiegati e tra gli operai
mentre tra i lavoratori in proprio e coadiuvanti la situazione si inverte (42,3%
delle donne contro il 30,8% degli uomini).
Per gli occupati che hanno svolto corsi durante l’orario di lavoro, le ore del
corso sono state considerate nel 59,5% dei casi completamente o in parte
come orario di lavoro. La quota più alta di occupati che hanno potuto
conteggiare le ore di corso in tutto o in parte come orario di lavoro si registra
tra i direttivi, quadri, impiegati (65,4%), seguiti dagli operai e apprendisti
(55,8%) e dai dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (50%). Anche in
questo caso si registrano delle forti differenze di genere a favore degli uomini,
differenze che non sono comunque costanti al variare della posizione nella
professione. Il vantaggio maschile è forte se consideriamo i direttivi, quadri,
impiegati (72,4% dei maschi rispetto al 60,2% delle femmine) e gli operai e
apprendisti (62,5% rispetto al 47,4% delle donne) mentre tra i dirigenti,
imprenditori e liberi professionisti e i lavoratori in proprio e coadiuvanti sono
le donne ad aver potuto considerare più degli uomini le ore di corso come
orario di lavoro”.
“Esistono, inoltre, delle differenze di genere tra gli occupati per quanto
riguarda la partecipazione ai corsi svolti in ambito lavorativo e/o proposti dal
datore di lavoro. Tra gli uomini impiegati, direttivi o quadri, il 71% segue dei
corsi in ambito lavorativo contro il 63,7% delle donne nella stessa condizione
professionale:
Inoltre, il tasso di partecipazione tra gli operai uomini è del 62,1% contro il
49,2% delle loro colleghe donne.
Tra i dirigenti, gli imprenditori e i liberi professionisti emerge un vantaggio
femminile (46,7% contro 42,7%)”.
20
Integrazione e pari opportunità “Sono più gli uomini a seguire corsi per motivi lavorativi (72,5% rispetto al
58,3% delle donne), gli occupati e in particolare i dirigenti, gli imprenditori e i
liberi professionisti (85,8%) e i direttivi, quadri e impiegati (77,4%).
Anche in questa tipologia di formazione gli orari nei quali viene svolta la
formazione incidono sulla partecipazione di genere: “Forti le differenze di
genere: solo il 43,2% delle donne occupate ha seguito il corso durante
l’orario di lavoro rispetto al 61% degli uomini occupati. Tale svantaggio
sembra essere assai radicato, in quanto permane anche a parità di posizione
nella professione. Inoltre, anche considerando solo le donne e gli uomini
occupati che svolgono corsi proposti dal datore di lavoro o corsi per la
crescita professionale lo svantaggio femminile permane”.
Dove poi, il costo del corso è a carico del datore di lavoro (o della formazione
finanziata) è “Interessante è notare come il contributo economico da parte
del datore di lavoro riguarda il 29% degli uomini contro il 20% delle donne.”
L’indagine
a
cui
ci
riferiamo
propone
inoltre
un
approfondimento
relativamente alle difficoltà che si incontrano quando si intende frequentare
un corso di studio o di formazione. Purtroppo ancora una volta sono le donne
ad incontrane di più: 32,1% rispetto al 28,2% dei maschi. E, guarda caso,
per “le donne (45,7%) pesano in maggior misura i motivi familiari, contro il
33% tra gli uomini; contano di più gli impegni sul lavoro per gli uomini
(45,5%), piuttosto che per le donne (25,2%). Ambedue i motivi interessano
prevalentemente le fasce d’età centrali”.
Passando ora ad un affondo mirato alla formazione continua finanziata poche
le possibilità di conoscenza attraverso il Rapporto Isfol compreso l’ultimo del
2008. Il rapporto infatti, non propone dati distinti per genere né per le attività
finanziate dai Fondi interprofessionali paritetici, né per quella finanziata dalla
L. 53/00. Gli unici dati disponibili attengono la Legge 236/93 che confermano
nella sostanza quanto già registrato sopra:
21
Integrazione e pari opportunità Tabella 3
Distribuzione dei formati per genere
Genere
Femmine
Valori assoluti
40.055
%
45,1
Maschi
48.732
54,9
Totale*
88.787
100,0
Nota: * Il totale è stato calcolato sui dati di concluso disponibili per genere
Fonte: Elaborazioni Isfol – Area Politiche e Offerte per la Formazione Continua
Per quel che riguarda invece, i fondi paritetici interprofessionali disponiamo di
qualche elemento conoscitivo se facciamo riferimento ai rapporti di
monitoraggio realizzati dai singoli Fondi ma anche a qualche indagine
specifica dedicata proprio alla coinvolgimento delle donne nelle attività
formative: è il caso, per esempio, di Fondimpresa11 o di Fon.Ter12 e, per
quel che riguarda il Fapi a quanto pubblicato in “Formazione continua per lo
sviluppo e l’occupabilità – La domanda e l’offerta nella proposta del Fapi –
rapporto 2008, o di Foncoop che pubblica anch’esso, nel proprio rapporto di
monitoraggio, dati relativi ai destinatari distinti per genere.
Qui, per esigenze di comparazione, verranno utilizzati sono i dati presenti nei
rapporti di monitoraggio di Foncoop e di Fapi che, come si vedrà, non
presentano particolari novità rispetto a quanto noto a chi si occupa di questi
temi. L’interesse di questi dati, però,
sta proprio qui: nel fatto cioè di
continuare ad essere uguali a se stessi ormai da diverso tempo e ciò
nonostante tutti si dicano d’accordo sulla necessità di un riequilibrio nelle
condizioni di lavoro di donne e uomini e quindi anche nella formazione, tanto
più se si tratta di quella rivolta a lavoratrici e lavoratori dipendenti.
11
M. G. Ruggerini e A. Bozzoli, Le donne nella formazione continua e in Fondimpresa, citata.
12
“S’Ignora – Occupazione femminile nel terziario” che ricostruisce anch’essa il quadro della condizione di lavoro
delle donne nel nostro Paese e lo stato di “avamzamento” delle politiche di conciliazione”.
22
Integrazione e pari opportunità Qui di seguito quindi, troverete una
tabella relativa ai destinatari della
formazione finanziata dai Fondi interprofessionali relativi a tutti Fondi, tratti
dal rapporto 2007 dell’Isfol e dei riquadri più di dettaglio relativi alla
partecipazione alla formazione distinta per genere dei due Fondi sopra citati
che ci consentono di guardare alle qualifiche e ai titoli di studio di chi ha
frequentato i corsi.
Infine è importante precisare che la scelta di mettere a confronto i dati di
questi due Fondi è anche motivata dalla possibilità che questi ci offrono di
leggere con immediatezza un ulteriore elemento caratterizzante la condizione
di lavoro femminile e cioè la segregazione settoriale.
L’insieme di queste cifre quindi, ci aiutano a mettere in evidenza ancora una
volta:
- la minore presenza delle donne nella formazione;
- la segregazione occupazionale;
- la svalorizzazione delle competenze e dei saperi femminili;
Tabella 4
Ripartizione per genere dei lavoratori coinvolti nei piani formativi dei Fondi Paritetici13
Fondi
Fon. Coop
Fon. Ter
Fondimpresa*
Fondir
Fondirigenti
Fondo Artigianato
Formazione
Fondo Formazione PMI
For. Te
Totale
Uomini
59,5
37,1
71,9
89,4
91,9
56,0
Donne
40,5
62,9
28,1
10,6
8,1
44,0
Totale
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
68,4
46,3
55,7
31,6
53,7
44,3
100,00
100,00
100,00
* Dati aggiornati al 24 novembre 2006
• NB Il dato non è disponibile per tutti i Fondi – Fonte: Elaborazione Isfol
Fonte: Rapporto Isfol 2006 sulla formazione continua
13
La tabella è tratta dall’indagine pubblicata in “ Contrattare e valutare la formazione: il caso di Fondimpresa”, Ed.
Ediesse, a cura di F. Bednarz e R. Pettenello.
23
Integrazione e pari opportunità Già da questa Tabella è possibile cogliere quella che viene chiamata
segregazione occupazionale e la straripante presenza maschile nel Fondo che
si rivolge ai dirigenti; passando ora alle tabelle relative al Fondo Pmi e a
Foncoop, le prime due renderanno ancora più evidente le presenze femminili
e maschili nei diversi settori produttivi:
Tabella 5
Partecipanti ad attività formative finanziate da Fon.Coop. Distribuzione per settore
e sesso
Settore
Sesso
Totale
Maschi
%
73,9
v.a.
203
Femmine
%
26,1
Settore primario
v.a.
576
v.a.
779
%
100,0
Settore secondario
1.021
73,2
373
26,8
1.394
100,0
Costruzioni
916
91,4
86
8,6
1.002
100,0
Commercio e
riparazione
2.075
43,8
2.660
56,2
4.735
100,0
Fonte: elaborazione su dati Fon.Coop, 2008
24
Integrazione e pari opportunità Tabella 6
Fondo PMI : Partecipanti per settore di appartenenza (cod CNEL ) e sesso
Descrizione CNEL
Agricoltura
Alimentaristi - Agroindustriale
Amministrazione Pubblica
Aziende di servizi
Chimici
Commercio
Credito Assicurazioni
Edilizia
Enti ed Istituzioni Private
Meccanici
Poligrafici e spettacolo
Tessili
Trasporti
Altri Vari
ND
Totale complessivo
F
0,2%
2,5%
0,0%
5,1%
3,9%
18,9%
0,9%
1,4%
1,6%
26,6%
0,6%
4,5%
0,6%
23,2%
10,1%
100,0%
M
0,9%
1,8%
0,0%
3,8%
2,9%
10,8%
0,7%
2,3%
0,4%
38,3%
0,3%
1,3%
1,6%
23,5%
11,2%
100,0%
Totale
complessivo
0,7%
2,0%
0,0%
4,2%
3,2%
13,4%
0,8%
2,0%
0,8%
34,6%
0,4%
2,3%
1,3%
23,4%
10,8%
100,0%
Come si vede, per quel che riguarda Foncoop le donne sono prevalenti fino a
raggiungere quasi l’80% nei servizi alla persona a fronte di dati rovesciati,
nello stesso Fondo, se si vanno a guardare le impresi edili o anche le attività
finanziarie. Di contro, i destinatari della formazione del Fondo PMI sono in
prevalenza uomini anche se guardando i singoli settori, l’alternanza della
prevalenza di genere cambia a seconda che si tratti di ambiti occupazionali
tradizionalmente maschili o femminili.
25
Integrazione e pari opportunità Tabella 7
Partecipanti ad attività formative finanziate da Fon.Coop. - Distribuzione per livello
professionale
Livello
professionale
Sesso
Totale
Maschi
Dirigenti, quadri, e
direttivi
Impiegati
Operai qualificati e
personale non
qualificato
TOTALE
Femmine
v.a.
2.030
%
25,4
v.a.
1.232
%
10,0
v.a.
3.262
%
16,1
3.172
39,7
5.015
40,8
8.187
40,4
2.780
34,8
6.043
49,2
8.823
43,5
7.982
100,0
12.290
100,0
20.272
100,0
Fonte: elaborazione su dati Fon.Coop, 2008
Tabella 8
Fondo PMI: partecipanti per sesso e livello di inquadramento professionale
Dirigenti
Impiegati
amministrativi
e
tecnici
Impiegati direttivi
Operai generici
Operai qualificati
Quadri
Altro
personale
generico
ND
Importo totale
F
M
0,8%
70,4%
2,4%
43,1%
Importo
totale
1,9%
51,7%
3,9%
9,9%
5,0%
2,8%
2,9%
4,3%
21,4%
16,0%
5,1%
1,8%
4,2%
17,8%
12,5%
4,4%
2,2%
4,3%
100,0%
6,0%
100,0%
5,5%
100,0%
26
Integrazione e pari opportunità Par. 1.4 Considerazioni finali
Nel corso di questa breve ricognizione normativa e contestualizzione relativa
alla presenza delle donne nel mercato del lavoro e alla loro partecipazione ad
attività formativa, sono stati sentiti diversi testimoni privilegiati. Si tratta di
rappresentanti
sindacali
e
datoriali
che
da
una
parte
gestiscono
pariteticamente il Fondo e dall’altra, anzi in primis, sono rispettivamente
impegnati sui temi del mercato del lavoro e dello sviluppo d’impresa; in
questa sede, però, sono stati intervistati in quanto responsabili delle donne
sia in ambito sindacale14 che datoriale15 .
Pur non essendo una novità, il dato più rilevante evidenziato da tutte e
quattro le organizzazioni è la lettura univoca delle ragioni che ancora oggi
determinano le maggiori difficoltà delle donne nel mercato del lavoro,
individuate fondamentalmente in una cultura ancora fortemente radicata nel
nostro Paese che mantiene le donne in una posizione marginale in ambito
produttivo. Persiste cioè una sostanziale divisione sessuale del lavoro – non
smentita dalla pur crescente presenza femminile in termini occupazionali.
Come scritto sopra, è proprio questa “non novità” che ci interroga e su cui si
sono interrogate le nostre testimoni privilegiate.
E, a questo proposito, vale la pena di presentare ancora qualche cifra che,
seppure note, proprio per la loro reiterazione oggi chiamano tutti ad uno
sforzo in direzione opposta non più rinviabile.
Sono i dati sui congedi parentali che, come è noto, con la Legge 53/00,
possono essere richiesti anche dai padri: “Dopo sette anni di utilizzo della
legge, si rileva – a livello nazionale – un leggero aumento delle richieste dei
padri che però, tendenzialmente, permangono di breve durata.
L’indagine Istat 2005 conferma che l’astensione facoltativa dal lavoro e i
congedi parentali sono ampiamente utilizzati dalle madri, più al Nord (oltre
14
15
Sono state intervistati le responsabili femminili nazionali di Cgil, Cisl e Uil;
E’ stata intervistata la responsabile nazionale dell’APID
27
Integrazione e pari opportunità l’80% delle madri) che al Sud (62,7%) ... Solo l’8% dei padri poi ha usufruito
di un periodo di congedo parentale entro i primi due anni di vita del bambino
..”16 .
Di contro “i risultati dell’indagine17
della Banca d’Italia sui “Bilanci delle
famiglie italiane” (2000) in relazione alle ore dedicate al lavoro (retribuito) e
alle attività domestica delle donne e degli uomini ci dice che sommando
l’orario di lavoro (retribuito) medio settimanale delle donne alle ore dedicate
alle attività domestica si arriva ad un totale di 64,8 ore settimanali (35,5 +
29,3); mentre per quel che riguarda gli uomini il totale è di 55,6 ore
settimanali (43,1 + 12,5).
Ancora: “le statistiche dell’Unione Europea ci informano che le italiane hanno
la tabella di marcia più faticosa di tutto il continente. A parità di impegni fuori
casa, si sobbarcano almeno tre ore di lavoro domestico in più delle loro
viziate metà. Vivono dilaniate tra l’esigenza moderna di mantenere un ruolo
faticosamente conquistato nel mondo del lavoro, e l’organizzazione ancora
tradizionale della società e della famiglia”18 .
Che tutto ciò crei squilibri sia in ambito sociale che produttivo è un dato
altrettanto noto. Qui, a mo’ di esempio si possono richiamare due dati: quello
relativo al contributo potenziale che una crescita dei livelli occupazionali
femminili porterebbero alla crescita del PIL nazionale e quelli relativi ai bassi
tassi di natalità che si riscontrano nel nostro Paese, anche questi con
significative ricadute sulla situazione socio-economica italiana.
Rispetto al primo dato: “La crescita del lavoro femminile contribuisce ad
alimentare la produttività nazionale. Analizzando le pari opportunità da un
punto di vista economico, è possibile quantificare gli effetti di una maggiore
partecipazione femminile sul Pil. Elevando il tasso di occupazione delle donne
fino a raggiungere quello maschile (da 55,3% a 75,3% nel Centro Nord e da
16
Merelli M., Nava P., Ruggerini MG., Maternità, paternità e lavoro: una conciliazione possibile, citato.
Da Alla pari (speciale marzo 2004), citato.
18
Merelli M., Nava P., Ruggerini MG., Maternità, paternità e lavoro: una conciliazione possibile, citato
17
28
Integrazione e pari opportunità 31,1% a 62,2% al Sud) il Pil italiano potrebbe crescere complessivamente del
12,3 per cento”19 .
Guardando ora al secondo verifichiamo che la crescita naturale20 riferita agli
anni 2005-2008 è per il nostro Paese quantificata dall’Istat tra il -0,2 del 2005
allo 0,1 del 2008 che come è noto rappresenta uno degli indici più bassi a
livello europeo21 .
In sostanza “il nostro Paese registra la più bassa fecondità e la più bassa
occupazione femminile nell’ambito del contesto europeo. Ciò potrebbe
sembrare un paradosso, ma ci siamo riusciti!”22
Per muoversi nella direzione opposta sono sicuramente diversi i nodi da
sciogliere a partire dalle criticità sottolineate dalle testimoni intervistate:
Gli accordi tra le parti sociali possono essere uno degli aspetti di “debolezza”
(o diffidenza)23
nei confronti dell’uso delle risorse che pure la normativa
mette a disposizione di imprese e lavoratori. Non a caso le risorse messe a
disposizione dall’art. 6, sopratutto con modalità non negoziali, sono quelle più
utilizzate. D’altra parte, queste stesse risorse, sono anche quelle meno
conosciute dalle tre responsabili femminili intervistate e ciò probabilmente
perchè non considerate risorse immediatamente volte alla “conciliazione” e
quindi ad interventi rivolti prevalentemente alle donne.
Da qui un ulteriore criticità: una assunzione, anche da parte sindacale, del
tema della “conciliazione” come tema solo “femminile”24. Queste stesse
ragioni fanno proporre alla Uil25 “incentivi premianti” per i padri che chiedono
19
Tratto da www.sole24ore.com, 5 giugno 2008
Con “crescita naturale” si intendono i nati da genitori italiani, se si considerano invece le nascite da genitori stranieri
il “saldo” natalità/mortalità è positivo.
21
Istat tabella 3. Bilanci demografici per regione - Anni 2005-2008
22
Da un’intervista all’autore del libro: “Famiglie sole – sopravvivere con un welfare inefficiente” (Ed il Mulino, 2009)
Alessandro Rosina, andata in onda su radio 3 il 17 luglio 2009. Il testo è stato recensito in data odierna anche da
Repubblica” da cui si ricava la seguente citazione: “Alice Monetti, 65 anni, insegnante in pensione, è oggi nonna di due
bambine, di cui si occupa quasi a tempo pieno, quando non deve assistere la madre. "Mi sono sempre sentita schiacciata
tra le generazioni - racconta -. Adoro tutti, figli, nipoti, mia madre, ma senza la mia presenza lei non potrebbe alzarsi dal
letto e mia figlia non potrebbe andare a lavorare". E infatti , dice la ricerca, "finora i servizi pubblici per l'infanzia sono
stati pensati come complementari al servizio gratuito fornito da madri e nonni".
23
E’ questo uno degli interrogativi che si è posta le responsabile delle donne della Cgil intervistata in questa occasione.
24
E, infatti la responsabile delle donne Cisl , sottolinea proprio questo aspetto quale elemento di debolezza
nell’approccio alla Legge.
25
Dall’intervista alla responsabile delle donne della Uil.
20
29
Integrazione e pari opportunità i congedi parentali rovesciando così, la tendenza attuale di un sur plus di
penalizzazione proprio perchè dagli uomini non ci aspetta che si allontanino
per questo dal lavoro.
E’ un tema questo, che, nelle sue origini e nei suoi contenuti, ha impegnato
ed impegna le Parti sociali. Le stesse che gestiscono i Fondi paritetici
interprofessionali. Le stesse che sono chiamate a firmare accordi formativi e
sperimentazioni aziendali che almeno comincino ad incrinare
non solo i
“soffitti di vetro” ma l’insieme degli ostacoli che incontrano le lavoratrici.
Ed è per queste stesse ragioni che un piccolo lavoro come questo, insieme
all’approfondimento che seguirà, diventa importante soprattutto guardando al
nodo di fondo che qui è stato più ampiamente analizzato e cioè il tema della
conciliazione tra sfera personale e professionale a partire dalle sue ricadute in
termini di formazione.
Il Fapi è un organismo bilaterale e la Confapi è l’unica Associazione datoriale
che ha siglato un accordo per l’attuazione delle L. 53/00 con Cgil, Cisl e Uil.
L’accordo, allegato qui di seguito, è stato firmato nel mese di dicembre del
2001, non è stato applicato con grande probabilità per il disimpegno di tutte
le parti firmatarie.
Potrebbe essere questa un’occasione per rileggerlo insieme e dargli un
seguito.
30
Integrazione e pari opportunità Roma, 5 Dicembre 2001
CONFAPI-CGIL-CISL-UIL
AZIONI POSITIVE VOLTE A CONCILIARE TEMPI DI VITA E DI LAVORO NELLE
PICCOLE E MEDIE IMPRESE
-
premesso che l’art. 9 della Legge 8 marzo 2000, n. 53, dispone la concessione di contributi a
carico del Fondo per l’occupazione in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che
prevedono azioni positive per la flessibilità, dirette a favorire la conciliazione fra tempi di vita e
tempi di lavoro per lavoratrici e lavoratori;
-
considerato che il Decreto 15 maggio 2001 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di
concerto con il Ministro per la solidarietà sociale e il Ministro per le pari opportunità, individua
i criteri e le modalità di erogazione dei contributi di cui all’art. 9, co. 2, della legge 8 marzo
2000, n. 53;
-
considerato che l’accordo collettivo rappresenta il presupposto per l’ammissibilità al
finanziamento;
-
considerato che le risorse per incentivare le imprese ad attuare le azioni positive sono destinate
nella misura del 50% dei contributi in favore di aziende la cui dimensione occupazionale è
inferiore a 50 dipendenti;
-
valutata la possibilità di sviluppare la bilateralità nelle politiche di pari opportunità tra donne e
uomini nel quadro delle relazioni industriali tra le Parti sociali e nel rispetto delle differenti
realtà rappresentate;
-
valutata con interesse la possibilità di avviare iniziative congiunte per consentire di meglio
conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari e per contribuire ad agevolare il
reinserimento delle lavoratrici e dei lavoratori nell’attività produttiva dopo il periodo di
congedo;
CONFAPI e CGIL CISL UIL
convengono sulla necessità di:
-
intervenire sul Ministero del Lavoro per contribuire alla definizione di disposizioni applicative
della normativa che stabiliscano con chiarezza le modalità e i criteri per accedere ai
finanziamenti previsti in favore delle aziende che intendono realizzare azioni positive per la
flessibilità contrattata;
31
Integrazione e pari opportunità -
promuovere la stipulazione di accordi collettivi di secondo livello che prevedano azioni positive
per la flessibilità, che tengano conto delle specifiche esigenze delle realtà territoriali di
riferimento nella scelta delle iniziative da realizzare, attraverso la sensibilizzazione
sull’importanza delle misure che consentono di conciliare meglio l’attività lavorativa con gli
impegni familiari e degli interventi formativi successivi ai periodi di congedo. In tale ambito si
realizzeranno gli accordi aziendali. Come previsto dal decreto, nel caso di aziende dove non
siano presenti le rappresentanze sindacali, dovranno essere coinvolte le strutture territoriali dei
sindacati confederali e datoriali di riferimento. Per agevolare tali procedure, gli enti bilaterali
territoriali potranno realizzare una iniziativa di supporto attraverso la raccolta delle esigenze
avanzate sia dalle lavoratrici e dai lavoratori che dai datori di lavoro;
-
promuovere l’erogazione di servizi d’informazione su tutte le tipologie di azioni positive
previste dal decreto e d’orientamento nei confronti delle lavoratrici, dei lavoratori e delle
imprese sulle opportunità esistenti anche attraverso il coinvolgimento della struttura nazionale e
delle strutture territoriali degli enti bilaterali;
-
monitorare attraverso un osservatorio che verrà costituito lo stato di attuazione degli accordi
collettivi sul territorio e contribuire alla diffusione e allo scambio di buone pratiche da parte di
eventuali iniziative pilota che potranno essere in seguito avviate.
CONFAPI
Presidente
Dott. Roberto Maria Radice
CGIL
Aitanga Giraldi
Marco Di Luccio
32
CISL
Anna Maria Parente
Pasquale Inglisano
UIL
Grazia Brinchi
Franco Lago
Integrazione e pari opportunità CAPITOLO
2
INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: LAVORO E DISABILITA’
Par. 2.1 Premessa
Il lavoro assume un ruolo preminente nella vita di ogni persona umana, non
solo in quanto fonte di un reddito fondamentale per vivere, ma anche quale
possibilità di esprimere la propria personalità, di costruirsi una propria
identità, una soggettività fondata sul senso di appartenenza ad una
collettività, ad un’organizzazione o ad un’azienda.
La riflessione su come garantire il diritto al lavoro delle persone con disabilità
si interseca, dunque, con la verifica dell’effettiva fruizione degli altri diritti
individuali fondamentali.
Purtroppo, molto spesso, la disabilità viene intesa come “inabilità” al lavoro,
per cui l‘idea di inserire una persona diversamente abile in un contesto
lavorativo viene percepita come difficoltosa se non addirittura improbabile.
L’esperienza aiuta a sfatare questa credenza e dà conferma della possibilità
per le persone disabili di inserirsi nel mondo del lavoro non solo in modo
efficace, ma anche più che soddisfacente. Oggi le innovazioni tecnologiche,
organizzative e sociali agevolano l’inserimento lavorativo dei disabili e
consentono loro di svolgere numerose mansioni, favorendo così un positivo
inserimento sociale e valorizzando il loro impegno.
Il lavoro, per un disabile è un elemento essenziale perché si ricollega ai
concetti di creatività, produttività, autostima e realizzazione di sé, diventando
il modo più importante ed evidente per combattere la discriminazione
culturale e sociale che ancora persiste nei confronti della disabilità. Il lavoro
rappresenta per il disabile uno strumento fondamentale di emancipazione e
crescita: essere occupati significa integrarsi nella società, affermare con
dignità e coscienza il proprio IO.
33
Integrazione e pari opportunità Par. 2.2 La normativa di riferimento: il quadro normativo Internazionale
L’obiettivo della promozione di pari opportunità di trattamento in ambito
professionale e lavorativo viene perseguito dall’ILO - International Labour
Organization, Agenzia Speciale delle Nazioni Unite, il cui compito è quello di
promuovere il miglioramento delle condizioni di lavoro in tutto il mondo.
L’ILO ha attivato, nel corso degli anni svariati Programmi di sostegno, tra i
quali va citato il Disability Programme, un Piano che si prefigge
di
supportare i legislatori e gli attori sociali nella realizzazione di programmi
legislativi tesi all’equiparazione delle opportunità e alla parità di trattamento
delle persone con disabilità nella formazione e nel lavoro.
Le finalità concrete sono assicurare pari opportunità ai lavoratori con disabilità
sul posto di lavoro; incrementare le prospettive di impiego delle persone
disabili attraverso sostegni effettivi nella fase di assunzione, di ritorno al
lavoro, di mantenimento del posto di lavoro e di opportunità di carriera.
Nel 2004, a seguito del Progetto dell’ILO denominato “The Employment of
People whit Disabilities: the Impact of
Legislation” vengono pubblicate le
linee guida per il raggiungimento di uguali opportunità di lavoro per
le persone con disabilità attraverso la legislazione.
I suggerimenti offerti ai legislatori degli Stati Membri sono molteplici: la
segnalazione che siano norme di diritto privato o di diritto del lavoro a
promuovere opportunità per le persone disabili già occupate o in cerca di
lavoro; l’adozione di una o più definizioni di disabilità che siano coerenti con
le difficoltà ( non necessariamente legate alla condizione soggettiva, ma
anche di tipo ambientale) connesse alla partecipazione nel mercato del
lavoro; l’opportunità di prevedere delle quote a favore delle persone con
disabilità con contestuale effettivo rafforzamento di strategie di occupazione
nel lungo periodo della persona disabile.
34
Integrazione e pari opportunità Par. 2.3 La normativa di riferimento: il quadro normativo Comunitario
La politica della disabilità in ambito europeo è incentrata, soprattutto, sulle
misure finalizzate a favorire l’emersione delle potenzialità di partecipazione
sociale dei soggetti disabili, anche attraverso interventi volti a promuovere
l’inserimento nel mondo del lavoro degli stessi ed ad assicurare la
prevenzione e la repressione dei fenomeni discriminatori.
Per quanto attiene l’aspetto relativo al riconoscimento e alla protezione dei
diritti delle persone disabili va segnalata la Direttiva 2000/78/CE che
stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro. Tale direttiva è stata recepita in Italia
con il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n. 216.
Per quanto concerne le politiche comunitarie volte a favorire l’inclusione attiva
dei disabili nel mondo del lavoro e nella società, i principali strumenti
finanziari sono i Programmi generali del Fondo Sociale Europeo e
l’iniziativa comunitaria EQUAL. Attraverso gli stessi è stata finanziata
un’ampia gamma di azioni per l’integrazione delle persone con disabilità nel
mercato del lavoro.
In ambito comunitario si sostiene la necessità di erogare incentivi e
prestazioni legati al lavoro dei disabili più che a passive misure di assistenza
sociale. In questa prospettiva il quadro di riferimento è costituito dal Piano
d’Azione dell’Unione Europea a favore ei Disabili (PAD). Nell’ottica
della valorizzazione del potenziale economico delle persone disabili e del
contributo che esse possono dare alla crescita economica e all’occupazione, il
PAD persegue obiettivi operativi quali la piena applicazione della direttiva
sull’uguaglianza in materia di occupazione e il miglioramento della cosiddetta
“accessibilità” dei disabili al lavoro, intesa quale possibilità per gli stessi di
fruire di sistemi tecnologici.
Il Pad copre il periodo 2004-2010 e si sviluppa in fasi successive:
1. favorire l’accesso dei disabili al mercato del lavoro
35
Integrazione e pari opportunità 2. promozione di una formazione continua
3. diffusione delle tecnologie dell’informazione
4. agevolazione dell’accesso dei disabili nell’ambiente di lavoro.
Par. 2.4 La normativa di riferimento: la legislazione Italiana
Sin dagli ani ’60 lo Stato Italiano ha emanato una specifica normativa per
garantire alle persone con disabilità l’applicazione del diritto al lavoro.
Le disposizioni che, nel corso degli anni, si sono succedute in questa materia
hanno avuto, come finalità, l’agevolazione dell’inserimento lavorativo delle
persone disabili.
I riferimenti legislativi:
o L. 104/92 Legge quadro sull’handicap
o D.lgs 23 dicembre 1997 n. 469 Conferimento alle Regioni e agli Enti
locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma
dell’Art. 1 della L. 15 marzo 1997 n. 59, come modificato dall’art. 6
comma 2 della L. 12 marzo 1999 n. 68 – art. 6 “Soppressione di organi
collegiali”.
o L. 12 marzo 1999 n. 68 Norme per il diritto alk lavoro dei disabili
o DM 10 gennaio 2000 Individuazione di qualifiche equipollenti a quella
del centralinista telefonico non vedente, ai fini dell’applicazione della L.
29 marzo 1985 n. 113 ai sensi di quanto disposto dall’art. 45 comma
12 della L. 17 maggio 1999 n. 144
o DPCM 13 gennaio 2000 Atto di indirizzo e cooordinamento in materia
di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell’art. 1 comma 4
della L. 12 marzo 1999 n. 68
o DM 13 gennaio 2000 n. 91 Regolamento recante norme per il
funzionamento del Fondo Nazionale per il diritto al lavoro dei disabili,
istituito dall’art. 13 comma 4 della L. 12 marzo 1999 n. 68
36
Integrazione e pari opportunità o L. 18 maggio 2000 n. 126 Conversione in legge del Decreto legge 16
marzo 2000 n. 60 recante disposizioni urgenti per assicurare la
prosecuzione degli interventi assistenziali in favore dei disabili con
handicap intellettivo.
o D.D. 26 settembre 2000 Ripartizione tra le Regioni delle risorse
finanziarie del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, istituito dall’art.
13 comma 4 della L. 12 marzo 1999 n. 68
o D.P.R. 10 ottobre 2000 n. 333 Regolamento di esecuzione per
l’attuazione della L. 12 marzo 1999 n. 68 recante norme per il diritto al
lavoro dei disabili
o Decreto Legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 Disposizioni in materia di
assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali,
a norma dell'articolo 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144
o Decreto Legislativo 10 settembre 2003 n. 276 di attuazione della L. 14
febbraio 2003 n. 30 riforma del mercato del lavoro
o D.M. 8 Luglio 2005 Ripartizione tra le regioni e le province autonome le
risorse del Fondo nazionale il diritto al lavoro dei disabili, ai sensi
dell'art. 13, comma. 4, della legge 68/1999
Par. 2.4.1 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: i principi
La norma di riferimento in materia è la Legge 68/99 “Norme per il diritto
al lavoro dei disabili” ed il relativo regolamento di Esecuzione D. P.R. 10
ottobre 2000 n. 333 Regolamento di Esecuzione della Legge 12
marzo 1999, n. 68, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili.
La nuova normativa supera il sistema di tipo assistenzialistico e coercitivo
della
precedente
disciplina
(L.
482/68)
basato
esclusivamente
sul
collocamento numerico, muovendosi nella direzione dell’incremento dei livelli
di occupabilità delle persone disabili attraverso gli strumenti del collocamento
37
Integrazione e pari opportunità mirato. Il nuovo impianto legislativo presuppone un pieno coinvolgimento
degli attori sociali ed istituzionali nell’individuazione di soluzioni favorevoli per
i disabili, e sostenibili anche dal punto di vista dell’efficienza dell’impresa.
L’inserimento lavorativo delle persone con disabilità non può più connotarsi
come un onere per l’impresa, una diseconomia accettabile per ragioni del
tutto estranee alle logiche dell’efficienza produttiva e, pertanto, attuabile solo
nei termini di una misura di carattere assistenziale imposta al mondo della
produzione attraverso il sistema delle quote. La legge 12 marzo 1999 n. 68
pone l’accento sulla valorizzazione delle capacità lavorative residue, considera
il soggetto disabile come una risorsa sulla quale investire definendo percorsi
professionali che permettano un inserimento stabile e proficuo nel posto di
lavoro, da individuarsi in considerazione delle singole caratteristiche personali.
Sono previsti, in particolare, un insieme di strumenti tecnici e di supporto che
permettono la valutazione delle capacità lavorative del disabile e il suo
inserimento più idoneo nel mondo del lavoro.
Par. 2.4.2 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: i beneficiari
I
beneficiari
della
tutela
predisposta
dalla
L.
68/1999
non
sono
indistintamente tutti i soggetti con una qualsiasi disabilità, ma solo coloro che
hanno una stabilita riduzione della capacità lavorativa.
L’art. 1 prevede i seguenti destinatari:
-
persone in età lavorativa con minorazione fisica, psichica o sensoriale e
portatori di handicap intellettivo con riduzione della capacità lavorativa
superiore al 45 %
-
invalidi del lavoro con minorazione uguale o superiore al 33 %
-
non vedenti e sordomuti
-
invalidi di guerra, invalidi civili di guerra, invalidi per servizio con
minorazioni dalla I alla VIII categoria.
38
Integrazione e pari opportunità Tali soggetti possono essere iscritti in un elenco a graduatoria unica istituito presso
il Centro per l’impiego. La legge prevede che per ogni persona disabile venga
redatta una specifica scheda in cui sono indicate le capacità, le abilità lavorative, le
inclinazioni e competenze, la natura e il grado della disabilità. Il centro l’impiego
provvede ad effettuare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.
Par. 2.4.3 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: gli obblighi
Il diritto all’avviamento si sostanzia nella previsione, in capo ai datori di lavoro
pubblici e privati, di garantire che una certa quota di dipendenti (cosiddetta quota
di riserva) sia riservata a persone con disabilità.
Le aziende sono tenute ad avere alle proprie dipendenze lavoratori disabili,
secondo articolati criteri di conteggio e computabilità, nelle seguenti proporzioni:
-
un lavoratore se occupano da 15 a 35 dipendenti;
-
due lavoratori se occupano da 36 a 50 dipendenti
-
7% dei lavoratori occupati se occupano più di 50 dipendenti
Strumento fondamentale, previsto dalla legge, per favorire l’inserimento lavorativo
dei disabili è la convenzione tra gli Uffici provinciali competenti e il datore di
lavoro.
La L. 68/1999 indica diversi tipi di convenzione:
-
la convenzione di inserimento lavorativo
-
la convenzione di integrazione lavorativa (per soggetti che presentano
particolari difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario
-
la convenzione con soggetti dediti ad attività sociali (Cooperative sociali,
consorzi, organizzazioni di volontariato)
-
la convenzione di inserimento temporaneo
Con la previsione di modalità flessibili e consensuali di inserimento nei luoghi di
lavoro, la legge non solo mira a valorizzare le caratteristiche professionali dei
lavoratori, ma anche a soddisfare le esigenze occupazionali dei datori di lavoro in
modo graduale e progressivo.
39
Integrazione e pari opportunità Par. 2.4.4 La Legge 12 marzo 1999 n. 68: agevolazioni e incentivi
La legge 68/99 indica all’art. 13 quali sono le agevolazioni di tipo economico
finalizzate a sostenere le assunzioni delle persone con disabilità quando il datore di
lavoro stipula una convenzione (che ne sia obbligato o meno).
In estrema sintesi si prevedono quattro tipologie di agevolazioni economiche che si
diversificano principalmente per durata ed entità.
1. Per ogni lavoratore assunto che abbia una riduzione della capacità
lavorativa superiore al 79 %, o un handicap intellettivo o psichico, viene
riconosciuta la fiscalizzazione totale per un massimo di otto anni dei
contributi assistenziali e previdenziali.
2. Per ogni disabile assunto con riduzione della capacità lavorativa fra il 67%
ed il 79%, la fiscalizzazione prevista è pari al 50% per un massimo di
cinque anni.
3. Rimborso forfetario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del
posto di lavoro per renderlo adeguato alle possibilità operative dei disabili
con
riduzione
della
capacità
lavorativa
superiore
al
50%
o
per
l’apprestamento di tecnologie di telelavoro ovvero per la rimozione delle
barriere architettoniche che limitano in quals8iasi modo l’integrazione
lavorativa del disabile.
4. possibilità di assolvere l’obbligo di assunzione mediante tirocinio finalizzato
all’assunzione (per una durata massima di 24 mesi) lasciando a carico del
Fondo regionale per l’occupazione dei disabili l’assicurazione del tirocinante
contro infortuni e responsabilità civile.
A copertura
queste agevolazioni la Legge 68/99 prevede l’istituzione presso il
Ministero del lavoro del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili.
A chiudere il quadro delle previsioni normative l’art. 15 della L. 68/99 prevede
sanzioni a carico delle imprese private che non rispettano le prescrizioni a loro
carico.
40
Integrazione e pari opportunità Par. 2.5 La formazione professionale
Altro elemento chiave, che si affianca allo strumento legislativo, al fine di
agevolare l’inserimento lavorativo dei disabili è la formazione: essa risponde al
bisogno di qualificazione e garantisce l’acquisizione e il mantenimento di
competenze spendibili, nonché la capacità di interagire correttamente in un
ambiente di lavoro.
I disabili possono essere inseriti nei corsi di formazione professionale ordinari
oppure nei corsi di formazione al lavoro riservati a loro.
Nel primo caso è previsto l’inserimento di un piccolo gruppo di allievi disabili in
ciascun corso ordinario con un insegnante di sostegno e con la possibilità di
frequentare più cicli. Nell’altro caso invece, si tratta di corsi finalizzati
all’acquisizione di competenze lavorative, spendibili in più contesti professionali,
rivolti a giovani disabili che possono durare fino ad un massimo di 4 anni.
I corsi di formazione al lavoro sono gratuiti, sono programmati dalle Province e
dalle Regioni, sono organizzati e gestiti da enti di formazione accreditati presso le
Regioni stesse.
I corsi propedeutici, preliminari alla frequenza dei corsi professionali, sono invece
della durata di un anno scolastico e sono rivolti a disabili che necessitano di un
percorso orientativo e formativo per un accesso mirato ai corsi di Formazione
professionale Si tratta di una proposta formativa da svolgere sia in forma
individuale che collettiva, finalizzata a sostenere i giovani e gli adulti nella
costruzione e nello sviluppo dei propri percorsi formativi, professionali e personali
per favorirne l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro.
Le persone disabili possono accedere a tutti i percorsi formativi finanziati offerti
dagli enti di formazione e alcuni di questi prevedono anche speciali integrazioni per
allievi disabili. A ciascuna Regione è demandato ii compito di legiferare in relazione
ai singoli percorsi formativi, alle caratteristiche e alla durata dei diversi interventi.
41
Integrazione e pari opportunità Nella Regione Lombardia ad esempio, esistono percorsi formativi dedicati e pensati
per i disabili: si tratta del corsi F.L.A.D. (Formazione al Lavoro per Allievi Disabili)
e F.I.L.D. (Formazione per l’Inserimento Lavorativo dei Disabili).
I corsi di formazione al lavoro per allievi disabili (F.L.A.D.) si rivolgono
principalmente ad adolescenti e a giovani che hanno conseguito la licenza di scuola
media inferiore, oppure che hanno compiuto il 15° anno di età. I corsi F.L.A.D.
sono strutturati in percorsi formativi flessibili (tre le 2.400 e le 3.200 ore) il cui
programma viene articolato su più anni (al massimo 4). Oltre alle lezioni in aula,
sono previsti periodi di stage in azienda, la cui durata è proporzionale al percorso
che si sceglie di intraprendere. Al termine di ogni percorso formativo, viene
rilasciata una certificazione.
In base al tipo di corso ed ai risultati conseguiti dall’utente, può essere rilasciato
un “Attestato di abilitazione al lavoro”, oppure un “Attestato di Frequenza”.
I corsi di Formazione per l‘Inserimento Lavorativo del Disabili (F.I.L.D.) presentano
alcune differenze sostanziali rispetto ai corsi F.L.A.D., sia rispetto all’utenza, sia
rispetto al tipo di corsi. I corsi F.I.L.D. si rivolgono a coloro che hanno già
compiuto i 18 anni di età, e che sono in possesso della Certificazione di Invalidità
Civile superiore al 45% (oppure di una relazione dei servizi sociali attestante la
percentuale di invalidità) e che siano iscritti presso un Centro per l’impiego. I corsi
F.I.L.D. sono articolati in percorsi formativi annuali che hanno una durata
complessiva compresa tra 450 e 600 ore, suddivise tra attività d’aula e stage in
azienda. Anche in questo caso è previsto il rilascio di una certificazione a fine
corso. A seconda del percorso formativo intrapreso ed ai risultati conseguiti, viene
rilasciato ai partecipanti un “Attestato di Qualifica professionale”. oppure un
“Attestato di Frequenza con profitto”
Oltre a questi percorsi esistono, sempre a livello regionale lombardo, anche i corsi
triennali. Essi sono finalizzati principalmente al conseguimento di un titolo di
qualifica valido per assolvere al diritto-dovere di istruzione e formazione fino ai
diciotto anni, necessario per poter iscriversi ai Centri per l’Impiego. I corsi triennali
si rivolgono ad adolescenti e giovani che hanno conseguito la licenza di scuola
42
Integrazione e pari opportunità media inferiore. Alcuni di questi percorsi formativi sono rivolti a tutti i giovani
(disabili e non), altri invece sono destinati in modo specifico ad allievi disabili.
Come già accennato i corsi FSE sono un’altra modalità formativa per acquisire
competenze subito spendibili nel mondo del lavoro, sono finanziati dall’Unione
Europea e finalizzati a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro.
Par. 2.6 La formazione continua
Come emerge dalle interviste effettuate ai testimoni privilegiati interpellati, nonchè
dai riscontri documentali, la Formazione Continua erogata a favore delle persone
con disabilità rappresenta l’anello debole della catena. La cosa è tanto più grave se
si pensa che, mentre sono accurati gli strumenti predisposti dal legislatore per
consentire al lavoratore disabile l’accesso al lavoro, mancano invece indicazioni e
prescrizioni di tipo promozionale e incentivante volte al mantenimento del posto di
lavoro
finalmente
conquistato.
Senza
adeguato
supporto
e
preparazione
(formazione e orientamento) il disabile si trova catapultato in un mondo
sconosciuto, con regole e logiche che non capisce e che difficilmente può
condividere ed è chiamato a svolgere un lavoro spesso nuovo e poco adatto alle
sue caratteristiche.
43
Integrazione e pari opportunità Par. 2.7 Analisi del quadro attuale
Par. 2.7.1 Le informazioni statistiche
La disponibilità di informazioni statistiche sulla disabilità rappresenta un
presupposto fondamentale per la corretta attuazione delle norme e per la
programmazione di interventi mirati. Tuttavia in Italia, come nella maggior parte
degli altri Paesi, non si è ancora giunti ad un insieme organico e completo di dati
sui diversi aspetti della disabilità.
Nel 2001, nel corso della 54° Assemblea Mondiale della Sanità, è stata elaborata la
nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità
e della Salute – ICF- quale standard di valutazione e classificazione di salute e
disabilità.
In attesa del recepimento delle indicazioni dell’ICF — diventa pertanto difficile
operare on rapporto tra numero totale di persone con disabilità e numero delle
persone che rientrano nell’ambito di applicazione della legge n. 68 dei 1999.
L’ultima indagine ISTAT (dati riferiti all’anno 2002) rivela che le persone con
disabilità in età lavorativa erano pari a 577.000 unità.
La percentuale di persone con problemi di salute e riduzione di autonomia
continuativa, che risultano occupate nel 2002, è pari al 18,7 per cento mentre per
le persone con problemi di salute ma nessuna riduzione di autonomia, o con una
riduzione di autonomia saltuaria, la percentuale è pari al 42,2 per cento: per le
persone senza disabilità. invece. gli occupati sono il 56,6 per cento di tutta la
popolazione in età lavorativa.
Secondo Ia stessa rilevazione (relativa all’anno 2002), il 74.5 per cento degli
occupati con problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa non si
sentono in grado di svolgere alcuni tipi di lavoro.
La presenza di un grave problema di salute influenza la risposta in relazione al
carico di lavoro dell’impiego disponibile, Infatti. il 69.7 per cento delle persone con
problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa non si sentono in grado di
gestire un pesante carico di lavoro. Mentre 8,1 per cento delle persone con
44
Integrazione e pari opportunità problemi di salute e riduzione di autonomia continuativa, non occupate. dichiarano
di essere disponibili a lavorare a condizioni adeguate.
Nell’Italia settentrionale prevalgono. fra i disabili occupati. Ie persone senza
riduzione o con riduzione di autonomia saltuaria (55,2 per cento), Nell’Italia
centrale la prevalenza di occupati si ha tra le persone che hanno una riduzione di
autonomia continuativa (21.1 per cento) E nell’Italia meridionale la percentuale
maggiore di occupati, il 28.6 per cento, dichiara essere senza problemi di salute.
Considerando la distribuzione degli occupati per genere, i maschi con un’età
compresa fra i 15 ed i 64 anni con una riduzione di autonomia continuativa sono il
65.2 per cento; le femmine sono il 34,8 per cento.
Nella stessa fascia d’età, i maschi senza riduzione o con riduzione di autonomia
saltuaria sono il 65.1 per cento, mentre le femmine rappresentano il 34,9 per
cento. I maschi senza problemi di salute costituiscono il 61.8 per cento del totale:
le femmine sono il 38,2 per cento.
Il tasso di disoccupazione è più alto tra le donne (circa l’11 per cento) a
prescindere dalla gravità delle condizioni di salute dichiarate.
In relazione alla tipologia di contratto le persone con riduzione di autonomia
continuativa sono prevalentemente impiegate con contratto a tempo indeterminato
(61,1 per cento; con contratto a tempo determinato 7.4 per cento), che sembra
prevalere come tipologia contrattuale anche tra le altre categorie di persone.
Si osserva. inoltre, che ben il 35,9 per cento delle persone con riduzione di
autonomia continuativa dichiarano di aver bisogno di un aiuto sul posto di lavoro
per il migliore svolgimento dell’attività lavorativa.
Esaminando il numero di iscritti all’anno 2004 nelle graduatorie provinciali per
distribuzione geografica, si osserva che nel Nord Ovest le persone con disabilità
sono 68.767 (in leggero aumento rispetto ai precedenti due anni), il 68,4 per cento
delle quali si dichiara disponibile al lavoro.
Nel Nord Est il numero degli iscritti è inferiore rispetto agli anni precedenti,
ammontando a 33.987, il 63 per cento dei quali è disponibile al lavoro.
45
Integrazione e pari opportunità Una consistente variazione del numero degli iscritti si riscontra nell’Italia Centrale.
In valore assoluto si tratta di 107.634 persone (rispetto a! precedente dato 2003:
87.188). I disponibili al lavoro sono in percentuale l’80,6 per cento degli iscritti.
La stessa situazione si riscontra anche nell’Italia Meridionale (isole comprese): gli
iscritti sono 345.668 (rispetto ai precedente dato: 259.386), Solo il 33.2 per cento
degli iscritti si dichiara disponibile al lavoro.
Guardando alla variazione annua nel periodo 2002-2004 delle quote di riserva nelle
imprese di diversa fascia dimensionale si osserva che nelle imprese dai 15 ai 35
dipendenti si è riscontrato un incremento di 15.691 unità rispetto alle 11.924 del
2002.
Lo stesso trend incrementale si rileva nelle imprese che occupano dai 36 ai 50
dipendenti: rispetto al 2002 (6.748). l’incremento è di 6.323 potenziali posti di
lavoro in più.
In termini quantitativi l’incremento più rilevante è rinvenibile nelle imprese con
oltre 50 dipendenti: da una quota di riserva pan a 52.174 unità (2002). si passa a
137.288 unità (2004) (variazione di 85.114).
Esaminando i numeri relativi alle assunzioni in relazione alla tipologia di
avviamento in ambito nazionale, si riscontra una tendenziale diminuzione degli
assunti con richiesta nominativa nell’anno 2004 rispetto all’anno precedente..
Secondo le ultime relazioni al Parlamento (Isfol 2008) sono complessivamente
32.000 le assunzioni di persone disabili a tempo indeterminato.
46
Integrazione e pari opportunità Par. 2.7.2 Le criticità
I dati, certamente provvisori, che emergono da questa prima analisi dimostrano
che i risultati degli inserimenti lavorativi di persone con disabilità nelle aziende, sia
in termini numerici sia in termini di qualità e continuità, non sono del tutto
soddisfacenti.
Numerosi sono gli elementi di criticità riconducibili a tre macro-categorie: criticità
di carattere culturale – criticità di carattere organizzativo – criticità di carattere
economico.
1 – criticità culturali
Purtroppo ancora oggi lo scenario competitivo che caratterizza l’organizzazione e il
funzionamento delle imprese, specialmente le medio – piccole, porta a considerare
l’inserimento di una persona con disabilità come un mero obbligo normativo ed il
lavoratore come una persona da assistere e da collocare in situazioni lavorative
dove possa nuocere il meno possibile, piuttosto che una risorsa da valorizzare. E’
necessario
che,
nell’ottica
dell’impresa,
venga
completamente
rimosso
il
pregiudizio derivante dal nesso, impropriamente stabilito, tra invalidità e
improduttività.
D’altro canto resistenze in termini di disponibilità, seppur con motivazioni diverse,
riguardano anche lo stesso lavoratore. Dai dati che emergono si evince che molto
spesso le persone con disabilità, magari condizionate da negative esperienze
vissute in precedenza, si dimostrano restie ad affrontare percorsi formativi e
professionali, che possono rivelarsi anche lunghi, per la ricerca del lavoro più
adatto e soddisfacente.
2 – criticità di organizzazione
Il successo dell’incontro tra disabile e azienda dipende dalla conciliabilità tra le
esigenze e i limiti del disabile e la capacità di accoglienza e i margini di adattabilità
dell’azienda. Essenziale, a questo proposito, è una corretta valutazione della
corrispondenza “persona-posizione lavorativa”. E’ stato, infatti, riscontrato che una
delle cause più rilevanti di fallimento dell’inserimento lavorativo dei disabili è stata
47
Integrazione e pari opportunità la non corretta valutazione delle reali abilità e competenze del lavoratore in
riferimento alla tipologia di mansione affidata.
Le strutture che sono preposte o coinvolte nell’applicazione della normativa
incontrano, tuttavia, molto spesso difficoltà di vario genere nell’assumere il ruolo
loro affidato e nell’integrare le rispettive funzioni.
La normativa affida a soggetti di emanazione regionale e provinciale (Commissione
Regionale tripartita – Commissione Unica Provinciale – Comitato tecnico di esperti
– Commissioni di accertamento presso le ASL – Centri per l’Impiego) una posizione
cruciale per la realizzazione di interventi di politica attiva del lavoro e la loro
funzione
non
può
limitarsi
ad
assicurare
il
rispetto
degli
adempimenti
amministrativi, ma deve sostanziarsi nell’organizzazione e gestione efficace di un
servizio specifico per il collocamento mirato.
Il quadro legislativo prevede l’integrazione di informazioni di tipo sanitario e di
carattere sociale (la posizione della persona disabile nel suo ambiente, la sua
situazione familiare, di scolarità e lavoro). Sulla base dei dati rilevati viene
effettuata una diagnosi funzionale volta ad individuare la capacità globale per il
collocamento lavorativo della persona disabile.
Da un’indagine condotta recentemente dall’ISFOL risulta che in circa il 40 per
cento delle province tale servizio specifico non è stato strutturato.
Si registra, inoltre, un forte squilibrio territoriale tra il Centro-Nord, dove la
normativa risulta applicata con risultati sostanzialmente positivi, e il Mezzogiorno e
le Isole, dove le strutture territorialmente competenti operano in condizioni di
grave difficoltà. Dai dati rilevati dalle interviste effettuate il 45 per cento dei servizi
per l’impiego non svolge, specialmente al sud, alcuna parte attiva per l’inserimento
mirato.
Questa difformità produce effetti non trascurabili anche dal punto di vista
economico per quanto concerne il riparto dei fondi pubblici. In sostanza in alcune
Regioni è completamente ignorato il meccanismo offerto dalla L. 68/99 per
accedere ai finanziamenti del Fondo per il diritto al lavoro dei disabili. Il rischio
che il persistere di una condotta inerte, da parte di queste regioni, possa produrre
un effetto pressoché permanente di perdita delle risorse pubbliche indispensabili
48
Integrazione e pari opportunità per assicurare uno sviluppo organico dei servizi per il collocamento mirato, con
conseguente forte penalizzazione delle persone con disabilità che vivono al sud.
3 – criticità di carattere economico
Gli esperti interpellati concordano sulla presenza di diversi ostacoli, di carattere
economico, che rendono difficoltosa la piena applicazione delle norme per
l’inserimento lavorativo dei disabili.
Si evidenzia, innanzitutto, la complessiva esiguità delle risorse a disposizione del
Fondo per il diritto al lavoro dei disabili, istituito presso il ministero del Lavoro e
della Previdenza sociale che poi lo ripartisce annualmente tra le varie Regioni. Per
l’anno 2008 la dotazione era di 42 milioni di euro somma giudicata insufficienti per
sostenere un sistema di agevolazioni effettivamente funzionante.
Il Fondo passerà dai 31 milioni di euro del 2006 a 37 milioni di euro nel 2007,
mentre a decorrere dal 2008 sarà.
Una grossa criticità è, poi, rappresentata dalla tardiva erogazione dei benefici
previsti dalle normative, anche a causa della complessità delle modalità di
ripartizione delle risorse e della scelta della fiscalizzazione quale strumento di
finanziamento. Gli incentivi non vengono erogati al momento dell’assunzione del
disabile, ma in un momento successivo e subordinatamente alla disponibilità della
dotazione da parte delle province.
In questo contesto di scarsa incisività del sistema degli incentivi e in assenza di un
adeguato intervento del capitale pubblico, soprattutto per le piccole e medie
imprese, l’integrazione lavorativa dei soggetti disabili diventa un adempimento
oneroso e solo come tale viene percepito. La maggioranza dei datori di lavoro
valuta l’inserimento delle persone con disabilità in azienda, solo in un’ottica di
costo. Si rilevano esclusivamente i dispendiosi adeguamenti per rendere accessibile
e salubre il posto di lavoro, i complessi problemi organizzativi, il rallentamento dei
ritmi lavorativi, la diminuzione della produzione, i problemi di integrazione con i
colleghi, la necessità di prevedere risorse destinate a seguire l’inserimento.
Sull’altro fronte, l’analisi dei dati rilevati fa emergere che, molte persone con
disabilità, pur essendo iscritte nella graduatoria unica prevista dalla L. 68/99, non
49
Integrazione e pari opportunità sono effettivamente disponibili al lavoro. Ciò si deve, in parte, al timore dei disabili
di perdere le prestazioni assistenziali di cui fruiscono a seguito dell’inizio di
un’attività lavorativa. Non è da escludere, tuttavia, che alla base della scelta del
“non impegno nella ricerca del lavoro” vi sia un altro calcolo di “costo-opportunità”.
Spesso, infatti, l’utilità economica derivante dalla prestazione di un’attività
lavorativa, se equiparata ai disagi che la persona si trova ad affrontare, non è
sufficientemente appetibile pur a fronte di una integrazione di reddito.
Le nuove tecnologie ( vedi ad es. il telelavoro) potrebbero favorire il superamento
di questa criticità e consentire di guardare in modo maggiormente positivo
all’inserimento lavorativo dei disabili.
Par. 2.8 Considerazioni finali
Dalla ricerca e dalle interviste realizzate, pur con le criticità evidenziate, si ricava
un giudizio complessivamente positivo circa l’idoneità degli strumenti e delle tutele
normative vigenti a perseguire i fini di integrazione lavorativa delle persone con
disabilità. Progetti specifici di successo e buone prassi sperimentate in alcune
realtà del Paese dimostrano come, attraverso una gestione concertata di tutte le
fasi dell’inserimento lavorativo, si possano concretizzare ottime opportunità di
occupazione a favore dei disabili.
Unanime è il riconoscimento del ruolo cruciale ricoperto dalla Formazione,
specificatamente sotto la forma di percorsi individualizzati di qualificazione e
aggiornamento professionale, in grado di valorizzare le residue capacità lavorative
del disabile.
Gli interventi di formazione continua per le persone disabili, già occupate, sono
indispensabili alle imprese per mantenere costante la produttività del lavoratore e
al disabile per mantenere basso il rischio di essere emarginato dal processo
produttivo o di essere espulso dal mercato con la perdita dell'occupazione e senza
prospettive.
La formazione professionale, partendo dalle sue tradizionali caratteristiche, deve
da subito, cioè dalla formazione iniziale al lavoro, sviluppare nel lavoratore quelle
50
Integrazione e pari opportunità potenzialità cognitive e relazionali che più gli saranno utili per poi continuare
costantemente a formarsi.
E’, dunque, fortemente sentita e auspicata la progettazione di percorsi di
formazione e accompagnamento del disabile che prevedano interventi mirati
all’aggiornamento professionale continuo.
Il Fondo Formazione PMI può contribuire a far sì che la dimensione della
formazione continua a favore dei soggetti con disabilità sia inserita nei progetti
strategici delle imprese aderenti.
Si possono ipotizzare Avvisi specifici con particolari caratteristiche di durata e
periodicità al fine di verificare, nel tempo, il grado e la tenuta delle competenze
lavorative del lavoratore disabile, per potenziare "in itinere" le sue competenze
cognitive, professionali e relazionali, per adeguare, con nuova formazione,
eventuali cambiamenti di mansione, reparto e referenti.
51
Integrazione e pari opportunità CAPITOLO
3
INTEGRAZIONE E PARI OPPORTUNITÀ: I MIGRANTI
Par. 3.1 Premessa
Scrivere di integrazione e pari opportunità con riferimento ai migranti, non è facile. Né può
essere proposto qui lo stesso schema adottato per le donne o i disabili (fermo restando
che in tutti e tre i casi si è di fronte non solo a contesti oggettivamente diversi, con
problematiche sedimentate e affrontate nel tempo con percorsi propri e specifici, ma, per
quel che riguarda le donne – altra metà del cielo - dentro una dimensione trasversale che
coinvolge sia il fenomeno della migrazione che quello della disabilità).
Diversamente dalle brevi analisi legate alla presenza delle donne e delle persone disabili
nel mercato del lavoro, nei confronti delle quali si è proceduto a partire dalle normative di
sostegno e/o promozione, per poi presentare una breve disamina del dato relativo alla
quantità e qualità dell’occupazione e con l’esame della partecipazione alla formazione,
quanto qui di seguito proposto non potrà che fare un accenno alla dimensione legislativa
per poi offrire uno spaccato della presenza dei migranti nel Mercato del lavoro italiano e
sul ruolo della formazione per contribuire a modificare lo stato di cose presente.
Par. 3.2 La presenza delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri nel MDL Si stima che nei 27 Paesi della UE alla fine del 2006 fossero presenti 29 milioni e 734 mila
stranieri, il 33% in più degli stranieri stimati a dicembre del 200026. Gli aumenti più
rilevanti sono stati registrati soprattutto in Italia e Spagna dove la popolazione immigrata è
raddoppiata nello stesso periodo cui sopra si è fatto riferimento.
Per quel che riguarda il numero dei residenti nel nostro Paese questi al 31.12.2007 erano
3.432.651, il 16,8% in più rispetto all’anno precedente. Va detto però che nel 2007,
contrariamente agli anni precedenti, si è registrato un aumento consistente delle presenze
26
Questi dati e quelli che seguiranno, salvo diversa indicazione, sono tutti tratti dall’ultimo Rapporto Caritas/Migrantes
– Dossier statistico 2008 – XVIII Rapporto
52
Integrazione e pari opportunità di stranieri nelle regioni del Sud e nelle Isole piuttosto che nel Nord dove fin’ora era stato
registrato l’afflusso più rilevante: più 26,2% nel Sud, più 25% nelle Isole, con punte del
44,5% in Calabria e del 42,7% in Basilicata. Mentre nel Nord si registra un più 11,9% in
Lombardia e un più 15,0% in Emilia-Romagna, per citare solo due tra le regioni
settentrionali maggiormente interessate al fenomeno della immigrazione.
Sempre secondo la Caritas, inoltre, il totale di presenze indicato sopra potrebbe essere
ulteriormente aumentato mettendo assieme ed elaborando “dati diversi” i cui esiti
porterebbero il totale dei migranti regolari a 3.987.000.
Ci si trova di fronte quindi, ad un fenomeno importante che riguarda milioni di cittadini
stranieri/e e tutti noi, a tutti i livelli; ed è probabile che il “breve arco temporale nel quale
sono state raggiunte queste cifre”27 motivi le difficoltà e le contraddizioni che segnano le
modalità con cui lo si sta affrontando. E’ noto, infatti, che il nostro Paese tradizionalmente
soggetto al fenomeno emigratorio, in poco più di venti anni ha rovesciato questa
tendenza, anche se, come ha messo in evidenza il recente rapporto della Svimez, da alcuni
anni sta riemergendo prepotente una nuova emigrazione nostrana dal Sud al Nord del
Paese. Sicuramente però, rispetto alla velocità e alle dimensioni del fenomeno migratorio
verso la penisola, l’Italia si è trovata e si trova ad affrontare una novità rilevante sia sul
piano culturale che economico-sociale.
In ragione di quanto scritto sopra, pur senza addentrarci in ambito normativo, è bene
ricordare che il primo intervento organico in materia di immigrazione risale al 1990 con la
legge n. 39 (meglio nota come Legge Martelli), cui segue, nel 1998, la legge n. 40 (TurcoNapolitano). Nel 2002 interviene poi la Bossi Fini (legge n. 189), che è quella che a
tutt’oggi regolamenta la presenza straniera in Italia seppure con il cosiddetto “Pacchettosicurezza” sono state introdotte ulteriori e discusse norme che intervengono nei confronti
delle e degli stranieri/e regolari oltreché irregolari.
Tornando alle cifre che descrivono lo “stato dell’arte” attuale, le donne rappresentano
quasi il 50% degli immigrati e, ancora una volta si tratta di donne regolarmente residenti
in Italia. A queste andrebbe aggiunte le circa 700.000 “badanti” e colf irregolari. Questa è
infatti la stima a cui si fa riferimento in questo scorcio di anno in relazione al numero di
27
Dall’intervista realizzata con il Responsabile nazionale immigrazione della Uil.
53
Integrazione e pari opportunità lavoratrici straniere che potrebbero beneficiare della cosiddetta “sanatoria selettiva”
attualmente in corso di approvazione in Parlamento.
Il sommerso, però, non riguarda solo il lavoro di cura, è bene quindi richiamare altre stime
relative al numero di persone prive di permesso di soggiorno quali quelle indicate dalla Cgil
e dell’Isfol: rispettivamente di circa un milione nel primo caso e di 600.000 nel secondo.28.
E se queste cifre, per le loro dimensioni ci impressionano, ancor più impressionate è il dato
OCSE relativo all’incidenza dell’economia sommersa in Italia: il 25,7% del PIL!
Passando ora alla presenza dei migranti nel mondo del lavoro, questi rappresentano poco
più del 9% del totale degli occupati e, in relazione ai nuovi assunti sono quattro volte di
più degli italiani. La popolazione attiva straniera è molto più alta rispetto a quella italiana:
si tratta del 73,2% con riferimento alla classe di età compresa tra i 15 e i 64 anni, mentre
in Italia è del 66%. Questo dato è tanto più importante se si considera che secondo
Eurostat: “Sarà l'Italia a registrare, tra il 2010 e il 2025, il più forte calo della popolazione
attiva tra i Paesi dell'Unione Europea. Quando, infatti, usciranno dal mondo del lavoro le
generazioni del «baby boom» del dopoguerra, la forza lavoro subirà un calo pari al 7,5%
su scala nazionale, con punte del -15,7% e del -14,3%, rispettivamente in Liguria e
Piemonte”29. Non meraviglia quindi, rilevare che l’età media degli stranieri è più bassa di
quella degli italiani: l’80% degli occupati ha meno di 45 anni. D’altra parte è anche facile
immaginare che ad impegnarsi in un progetto migratorio incerto fin dagli esiti del viaggio
che si intraprende, non possano che essere giovani donne e giovani uomini, magari
disperati per le ragioni che li allontanano dal loro Paese, ma carichi di speranze anche in
virtù della loro giovinezza.
Altro dato interessante ai fini del nostro lavoro è relativo ai titoli di studio in possesso dei
migranti: più del 50% degli/delle straniere infatti, possiede un titolo di studio di scuola
superiore (il 41,3%), mentre l’11,8% ha un titolo universitario. Come è noto,
contrariamente alle competenze di cui sono portatori, nel nostro sistema produttivo gli /le
stranieri/i si collocano nelle posizioni lavorative più dequalificate, quelle cioè “che gli
italiani non vogliono più ricoprire”.
28
29
Dall’intervista al responsabile nazionale migranti della Cgil.
Eurostat, Rapporto sullo sviluppo delle forze lavoro regionali nell'Unione Europea, 2002
54
Integrazione e pari opportunità E qui si innesta un altro importante nodo problematico, evidenziato anche dalla
responsabile nazionale delle Cisl nel corso dell’intervista realizzata in occasione di questa
contestualizzazione tematica: quello della “etnicizzazione del lavoro”, quel fenomeno per
cui vi sono attività lavorative che impiegano lavoratori/trici di una stessa nazionalità. E’ il
caso, per esempio dei/le filippini/e nel lavoro domestico, dei cingalesi nell’allevamento
bovino e così via. Senza contare la perdita di capacità e competenze che questa modalità
di “divisione etnica del lavoro” determina (nelle qualifiche più basse, nei lavori stagionali
agricoli, nel lavoro domestico o di cura, ecc.).
Ma per dare uno sguardo più di dettaglio sulla presenza dei migranti nel mercato del
lavoro le tabelle30 che seguono ci consentono una fotografia particolarmente aggiornata
della situazione lavorativa della popolazione straniera regolarmente occupata:
Occupati stranieri per settore di attività e per tipologia di lavoro – al 1 gennaio
2009 – (valori in migliaia di unità)
Macr
Agricoltura
o
Dipende Autono
aree
nti
mi
24
2
Nord
13
0
Cent
ro
20
0
Sud
Italia
57
2
Tab. n 1 – Fonte dati Uil
tota
le
26
13
Dipende
nti
425
130
20
59
35
590
Industria
Autono
mi
66
33
4
103
tota
le
491
163
Dipende
nti
512
231
39
693
98
841
Servizi
Autono
mi
84
34
40
158
tota
le
596
265
Dipende
nti
961
374
136
999
153
1.488
Totale
Auto
nomi
152
67
44
263
totale
1.113
441
197
1.751
Incidenza % occupati stranieri sul totale degli occupati stranieri per settore di
attività e per tipologia di lavoro – al 1 gennaio 2009
Macro
aree
Agricoltura
Dipendenti Autonomi
totale
Industria
Dipendenti Autonomi
totale
Servizi
Dipendenti Autonomi
totale
Totale
Dipendenti Autonomi
totale
Nord
92,3
7,7
100
86,6
13,4
100
85,9
14,1
100
86,3
13,7
100
Centro
100
0
100
79,8
20,2
100
87,2
12,8
100
84,8
15,2
100
Sud
100
0
100
89,7
10,3
100
71,0
29,0
100
77,7
22,3
100
Italia
96,6
3,4
100
89,7
14,9
100
84,2
15,8
100
85,00
15,0
100
Tab. n 2 – Fonte dati Uil
30
“I cittadini immigrati, La crisi ed il lavoro, maggio 2009 – Uil I colori del lavoro. I dati Eurostat, Unioncamere e
Eurostat sono stati elaborati dalla Uil
55
Integrazione e pari opportunità Le due tabelle n. 1 e n. 2 riassumono compiutamente la distribuzione dei lavoratori e delle
lavoratrici straniere sia nei diversi settori produttivi, sia nelle tre grandi macro aree
territoriali italiane. Come si vede il totale dei degli/le stranieri/e occupati, a tutto il 2008, è
di 1.751.000 di cui ben 263.000 lavoratori autonomi.
La presenza più rilevante la ritroviamo nei servizi anche se l’industria registra un numero
significativo di migranti.
Ma ancora più interessante rilevare l’incidenza sul totale degli occupati nei diversi settori e
sempre per macro aree. Diventa più chiara così, la copertura che i lavoratori stranieri
garantiscono nei tre grandi comparti produttivi e quindi il loro contributo che questi
apportano al sistema economico nazionale in generale:
Incidenza % occupati stranieri per settore e macro aree sul totale nazionale
occupati per settore e macro area – 1 gennaio 2009
Macro aree
Agricoltura
Industria
Servizi
Totale
Nord
7,5
11,8
7,9
9,2
Centro
11,3
12,6
6,4
7,5
Sud
4,8
2,6
3,0
3,0
Italia
6,6
10,0
6,4
7,5
Tab. n 3 – Fonte dati Uil
Complessivamente quindi i migranti rappresentano il 7,5% degli occupati di tutti i settori.
Vediamo poi che l’industria è quella che vede le maggiori presenze mentre agricoltura e
servizi, percentualmente, quasi si equivalgono. E’ però importante ricordare che nel Sud
persiste più che altrove, una rilevante quota di lavoro nero (e talvolta di vera e propria
schiavitù) nel settore agricolo tra gli stagionali impegnati nelle diverse attività di raccolta.
Nei servizi invece, è sempre il lavoro domestico e di cura che assorbe quote significative di
lavoro non regolare, mentre per quel che riguarda l’industria, la maggiore presenza di
lavoro nero si registra nel comparto edile.
56
Integrazione e pari opportunità Occupati stranieri e tasso di occupazione per genere (dati in migliaia e in %)
Macro area
Occupati
uomini
totale
Nord
2007
607
698
2008
Differenze %
+15,0
Centro
2007
220
242
2008
Differenze %
+10,0
Mezzogiorno
2007
98
110
2008
Differenze %
+12,2
Italia
2007
925
1.050
2008
Differenze %
+13,5
Tab. n 4 – Fonte dati Uil
Occupati
donne
totale
Occupati totale
totale
% occupazione
U
15-64 anni
% occupazione
D
15-64 anni
% occup.
totale
15-64 anni
340
415
+22,1
947
1.113
+17,5
84,7
83,8
-1,4
50,0
51,9
+1,9
67,8
68,2
+0,4
165
199
+20,6
385
441
+14,5
83,0
81,0
-2
55,1
57,1
+2
68,2
68,2
0
74
87
+17,6
172
197
+14,5
75,3
72,5
-2,8
48,8
47,4
-1,3
61,
58,8
-2,3
579
701
+21,1
1.504
1.751
+16,4
83,2
81,8
-1,4
51,2
52,7
+1,5
67,1
67,0
-0,1
La modalità di costruzione della tabella n. 3 consente rilevare diverse informazioni utili: ci
presenta la distribuzione per genere dei lavoratori e delle lavoratrici straniere occupati/e
in italia; ci da un’immagine immediata dell’aumento dell’occupazione straniera su tutto il
territorio del Paese; evidenzia l’importante aumento dell’occupazione femminile straniera
rispetto a quella maschile, sempre straniera.
E’ bene però non dimenticare che stiamo parlando dell’occupazione relativa al 2008, anno
in cui la crisi mondiale ha cominciato ad incidere sull’occupazione anche in Italia. L’anno
appena trascorso, quindi, nonostante l’esplicitarsi dall’autunno in poi, delle conseguenze
della crisi, ha visto proseguire la crescita del lavoro degli immigrati nel nostro paese e
questa ha interessato sopratutto le donne. Potrebbe darsi, come ritengono unanimemente
le responsabili nazionali delle lavoratrici delle tre organizzazioni sindacali intervistate, che
l’occupazione femminile (straniera e non) abbia tenuto di più di quella maschile soprattutto
in considerazione del suo minor costo.
Certamente però la significativa crescita del lavoro femminile straniero sollecita nuove
domande a cui qui non è possibile nemmeno tentare qualche risposta, ma che è bene
tenere presenti se ci si vuole confrontare con i possibili esiti dei cambiamenti
socio
economici in corso: le donne straniere (e le coppie di stranieri) sono anche quelle che
hanno mediamente più figli delle italiane (è grazie a loro che il saldo della popolazione
italiana risulti ancora positivo). Sono sempre, le donne straniere che in larga parte
57
Integrazione e pari opportunità permettono alle donne italiane di lavorare surrogando gli scarsi servizi di welfare presenti
in Italia. Tutto ciò non è ininfluente né in relazione all’andamento demografico e alle sue
conseguenze, né in rapporto con il nostro sistema di welfare e con la sua crisi.
Spostando ora il focus sulla crisi economica in corso, proviamo a dare uno sguardo sulle
possibili ricadute che la crisi più avere sulle lavoratrici e lavoratori migranti.
La stima della Uil pubblicate nel Dossier già citato, calcola in 142.218 i migranti lavoratori
a rischio.
Stime Uil immigrati a rischio di disagio lavorativo nell’anno 2009
(valori assoluti)
Macro aree
Stime nuove
assunzioni
2009 lav.
Stranieri
Stranieri/e in
cerca di
occupazione al 1°
gennaio 2009
Differenza stime
nuove assunz. E
persona in cerca
di occup. 1°
gennaio 2009
Occupati
stranieri/e al
1 gennaio
2009
96.657
46.808
18.226
161.691
62.622
34.008
7.066
103.696
1.112.572
441.110
197.288
1.705.970
*
Nord
Centro
Mezzogiorno
Totale
34.035
12.800
11.160
57.995
Stima
perdita di
posti di
lavoro di
occupati
stranieri nel
2009
**
24.486
9.702
4.334
38.522
Totale stima
persone
straniere a
rischio di
disagio
lavorativo nel
2009
87.108
43.710
11.400
142.218
Tab. n 5 – Fonte dati Uil
* Elaborazione Uil su dati Unioncamere-Ministero del lavoro Sistema informativo Excelsior (aprile 2009)
** Elaborazione Uil su dati Istat e le stime Eurostat 2009.
Come è noto, però, le difficoltà cui vanno incontro gli stranieri lasciati a casa dalla crisi
economica comprendono anche la perdita del permesso di soggiorno con l’aggravante
della nuova fattispecie di reato introdotta dalla recente approvazione del cosiddetto
“pacchetto sicurezza”. E se i rischi per i migranti aumentano, l’obbligo di lasciare il Paese
dopo sei mesi di ricerca infruttuoso di un nuovo lavoro può produrre perdite anche in
termini di competenze ed esperienza acquisita nel corso, magari, di diversi anni di
permanenza all’interno di una stessa impresa.
58
Integrazione e pari opportunità Prima di passare ad una disamina più approfondita, e per chiudere con i dati relativi al
lavoro dipendente si ricorda che questo comunque interessa l’84,4% degli stranieri e delle
straniere; che, di questi, circa il 70% svolge un lavoro operaio.
Inoltre, giusto per rimanere in linea con tendenze ampiamente presenti anche nel mondo
del lavoro di nazionalità italiana, il part-time è una modalità contrattuale che coinvolge
anche i migranti e tra questi le donne sono coloro che ne usufruiscono maggiormente:
36,6% contro il 6,3% degli uomini
Infine, sempre per quel che riguarda il lavoro dipendente, sono di grande interesse i dati
sulle iscrizioni al sindacato.
Il Rapporto Caritas/Migrantes ci presenta una tabella
che riassume l’andamento delle
iscrizione delle lavoratrici e dei lavoratori stranieri/e al sindacato:
Incidenza degli immigrati sul totale degli iscritti alla tre confederazione
principali e alla Ugl (2007)
Sindacati
Cgil
Iscritti
totali
5.604.741
Cisl
% colonna
% colonna
Immigrati
iscritti
271.238
37,0
% immigrati
su totale
4,8
36,6
293.114
39,9
6,6
17,0
170.239
23,1
8,1
100,0
734.591
100,0
6,1
46,4
4.427.037
Uil
Tot. Conf
2.060.909
12.092.687
Ugl
79.720
Totale
3,3
814.311
12.092.687
Tab. n 6
Elaborazione dati: cgil – cisl – uil e ugl
Queste cifre sono ancora più interessanti se si considera che si tratta non solo del 5% del
totale degli iscritti ma addirittura del 12% se ci si riferisce agli iscritti attivi. Da questo
punto di vista è davvero la giovinezza il punto di forza dei migranti a fronte di un
continente intero (quello europeo) e di un Paese (il nostro),
che come fanno
tendenzialmente gli anziani, si chiudono più facilmente in casa insieme alle loro paure
lasciando fuori dalla porta un intero mondo, foriero di problemi da affrontare, certo, ma
59
Integrazione e pari opportunità anche ricco di speranze e delle tante potenzialità che scaturiscono dall’incontro di culture e
saperi diversi.
Ma al di là di qualche facile commento, questo tema non poteva non essere oggetto di
approfondimento nel corso delle interviste realizzate con i responsabili dei migranti di Cgil,
Cisl e Uil.
Evidentemente orgogliosi di questi risultati e tanto più nel caso della Cisl che ha appena
eletto una migrante a responsabile nazionale per la confederazione31, tutti riconoscono
che ancora non si può parlare di una presenza proporzionale degli e delle stranieri/e iscritti
nel corpo del sindacato stesso.
Intanto però iscrivendosi così numerosi stanno allargando un sentiero che potrebbe
rappresentare una domani una strada vera e proprio per giungere ad una maggiore
integrazione nel mondo del lavoro e nella società tutta. Non a caso la Ocmin precisa che “i
delegati stranieri non devono essere i delegati degli stranieri, ma di tutti”. Mentre, per le
stesse ragioni la Cgil sta “portando avanti un importante progetto di formazione per quadri
e delegati che coinvolge circa 20.000 persone”.
I dati sopra riportati, per altro, fanno riferimento al 2007 mentre già oggi le stime delle tre
organizzazioni sono decisamente più elevate: la Cgil parla del traguardo dei 300.000
iscritti, la Cisl di 330.000 nel 2008, mentre la Uil alla fine dello scorso anno stima di aver
raggiunto
i 190.000 iscritti che, sul totale degli iscritti a questa organizzazione,
rappresentano la crescita più significativa.
Par. 3.3 I migranti e il mondo delle imprese La tabella n. 1, riportata sopra, che descrive in cifre la situazione dell’occupazione degli
stranieri e delle straniere nel nostro Paese, indica in 265 mila i migranti impegnati in
attività di lavoro autonomo. I dati come sappiamo fanno riferimento alla fine del 2008. La
tabella riportata nel sintetico ma denso dossier della Uil, che riepiloga per territorio le
imprese individuali con titolare un/a immigrato/a non UE e le imprese individuali totali
indica, sempre per il 2008, in 240.594 il totale degli/le stranieri/e che lavorano in proprio.
Si tratta del 7% del totale delle imprese. I dati, elaborati dalla Uil hanno come fonte
l’Unioncamere.
31
Liliana Ocmin è responsabile dei migranti, delle donne e dei giovani.
60
Integrazione e pari opportunità Se invece facciamo riferimento alle cifre riportate nel dossier della Caritas/migrantes,
presentate nella tabella sottostante, vediamo che sono 165.114 le imprese costituite da
immigrati di cittadinanza estera per attività economica. L’elaborazione, in questo caso è
dell’ufficio statistico della CNA su dati Infocamere.
Ora, pur tenendo conto delle differenze sopra evidenziate, probabilmente dovute a diverse
modalità di estrapolazione ed elaborazione dei dati all’interno di un universo ancora di
difficile quantificazione, il fenomeno rappresentato ha indubbiamente una rilevanza da non
sottovalutare. Se anche le imprese avviate e gestiste da migranti fossero meno del 7% del
totale delle imprese registrate, come si vede dalla tabella che segue, la crescita delle
attività economiche autonome da questi svolte è decisamente significativa: almeno del
192,6% nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006.
Inoltre presupponendo che siano circa 200.000 i migranti occupati in tali attività, a questi
vanno aggiunti almeno altri 52.715 soci e 85.990 altre figure societarie. Si tratta quindi di
circa 330.000 persone che rappresentano quasi un decimo della popolazione straniera
adulta.
Imprese costituite da immigrati di cittadinanza estera per attività economica
(2003-2008)
Attività
economiche
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Variaz.
%
2003/08
132,6
0,0
270,8
% vert
2008
1.095
1.377
1.654
1.992
2.213
2.547
1,5
Agricoltura
1
1
1
1
1
1
0,0
Estraz. minerali
599
916
1.162
1.511
1.823
2.221
1,3
Industria
alimentare
Tessile
abbigliamento
3.968
5.244
5.926
7.580
8.963
10.740
170,7
6,5
Calzature
pelletteria
1.052
1.590
1.990
2.578
3.079
3.670
248,9
2,2
Metalmeccanica
1.029
1.366
1.599
1.857
2.089
2.397
132,9
1.5
Altre industrie
10.859
20.405
29.432
40.760
52.151
64.549
494,4
39,1
Costruzioni
20.404
30.114
38.727
47.757
52.479
57.723
182,9
35,0
Commercio e
riparazioni
1.189
1.438
1.665
1.944
2.216
2.786
134,3
1,7
Alberghi e
ristoranti
2.009
3.451
3.824
7.127
4.732
7.370
266,8
4,5
Trasporti
3.715
4.902
8.264
13.166
10.455
9.636
159,4
5,8
Attività servizi
10.501
1.039
389
10.528
1.192
1.475
-86,0
0,9
Non classificati
Totale
56.421
71.843
94.633
130.969
141.393
165.114
192,6
100,0
Tab. n 7
Fonte: Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazione Ufficio Statistico CNA su dati infocamere
61
Integrazione e pari opportunità La tabella ripresa dal Dossier Caritas/Migrantes ci consente poi, di
sapere come sono
distribuiti tra le diverse attività economiche e, come si vede, l’edilizia e il commercio sono
nelle due posizioni più alte. La Lombardia, la Toscana e la l’Emilia-Romagna sono invece le
regioni dove si registra la presenza più rilevante di imprese costituite da immigrati:
rispettivamente 44.581, 25.373 e 24.73032.
L’andamento crescente del lavoro autonomo e delle piccole imprese gestite da migranti è
un segnale importante relativamente al processo di integrazione degli/le stranieri/e che
vengono a lavorare in Italia e, come ci dice il responsabile del settore della Uil: “ è anche
un modo attraverso il quale si valorizzano le competenze degli immigrati” che altrimenti
sono impiegati nelle attività e nei lavori più dequalificati.
A fronte di un impegno di lavoro in attività di gestione complesse che comportano la
necessità di conoscenze normative specifiche i migranti si sono dotati anche di un sito
(www.impresaetnica.it). Il sito offre informazioni a tutto campo rivolte a coloro che già
gestiscono un’impresa o vogliano provare a mettersi in proprio. Più di dettaglio le notizie e
le opportunità che il sito offre agli immigrati che vivono in Lombardia. Il sito infatti, è stato
registrato a Milano, capoluogo della regione che vede il maggior numero di imprese
straniere. I link con i siti della Regione, della Camera di Commercio lombarda, con
l’Agenzia regionale per l’istruzione, la formazione il lavoro, o con il portale delle buone
prassi nei progetti europei finanziati con gli FSE, ecc., sono poi, un ulteriore indice di
presenza attiva e professionale alla vita economica del nostro Paese e non solo di una
regione pur importante come la Lombardia.
Par. 3.4 Lavoro e Sicurezza
La sicurezza è uno dei temi più importanti da affrontare quando si guarda al mondo del
lavoro. Importante per tutti: nativi e migranti. E’ un fenomeno, per altro, che negli ultimi
anni è monitorato con maggiore attenzione e sensibilità e che chiama tutti coloro che
abbiano responsabilità organizzative a non ridurre mai i livelli di guardia anche a fronte
della “lenta ma continua diminuzione” degli infortuni registrata “nell’ultimo quinquennio”33
32
33
Uil: i colori del lavoro, citato
Dossier Caritas/Migrantes, citato.
62
Integrazione e pari opportunità Il fenomeno per quel che riguarda gli immigrati riveste poi un carattere di maggiore
delicatezza: la minore dimestichezza con la lingua italiana, infatti, aumenta i rischi di
infortuni per chi fa più fatica a conoscere le regole e le modalità tese a prevenire gli
incidenti sul lavoro.
Nel 2007 sono occorsi agli stranieri 140.579 infortuni: il 21% in più rispetto al 2006. Gli
incidenti mortali sono stati 174 e rappresentano il 14,9% del totale degli infortuni mortali.
Queste cifre non ci permettono di affermare una maggiore incidenza degli infortuni tra gli
stranieri in quanto l’aumento pur rilevante indicato sopra è anche determinato
dall’aumento dei lavoratori e delle lavoratrici immigrati/e presenti sul nostro territorio, ma
sono comunque, fin troppo significative.
Una descrizione per cifre, dell’andamento degli infortuni per quel che riguarda i migranti ci
viene proposta dalla tabella34 che segue:
Infortuni dei lavoratori nati in Paesi non comunitari (2003-2007)
Paese di
nascita
Totale infortuni
2003
2004
2005
2006
Di cui mortali
2007
2003
2004
2005
2006
2007
22.594
23.523
22.117
22.625
23.327
18
22
14
Marocco
14.256
14.827
14.269
14.665
15.015
36
24
20
Albania
8.841
10.502
10.637
11.251
17.832
22
35
29
Romania
6.577
6.555
6.063
6.108
6.067
8
8
6
Tunisia
5.432
5.462
5.178
5.180
4.989
6
7
6
Jugoslavia
4.687
4.667
4.202
4.371
4.168
6
5
7
Senegal
2.391
2.693
2.876
3.042
3.127
4
6
2
India
2.268
2.605
2.652
2.747
2.797
1
1
Pakistan
42.801
46.628
44.102
46.316
65
68
65
Altri Paesi
109.847
117.462
112.096
116.305
140.579
166
175
150
Totale
Tab. n 8
Fonte: Dossier Statistico immigrazione Caritas/Migrantes. Elaborazione su dati INAIL
Dall’anno 2005 sono esclusi i nuovi 10 Paesi entrati nella UE
14
22
30
6
9
10
3
1
46
141
23
18
41
5
5
7
6
Nd
174
Tasso
x
1.000
0,98
1,20
2,30
0,82
1,00
1,40
1,92
Nd
1,24
I settori produttivi nei quali si registrano più infortuni che hanno coinvolto migranti sono
gli stessi che coinvolgono maggiormente i lavoratori italiani e cioè quelli delle costruzioni
(20379),dell’ industria dei metalli (13.602), dei trasporti (10.920), per citare solo i primi
tre. E, in tutta evidenza, sono anche quei settori nei quali gli/le stranieri/e ricoprono più
34
Dossier Caritas/Migrantes, citato.
63
Integrazione e pari opportunità numerosi le posizioni lavorative
pericolose anche in virtù di una tendenziale minore
presenza degli italiani.
La formazione è da tutti riconosciuta essenziale per la prevenzione degli infortuni e, là
dove i Fondi hanno cominciato ad intervenire con Avvisi specifici (è il caso, per esempio,
dell’Avviso emesso dal Fapi nel 2008 dedicato alla sicurezza),
è stato sicuramente
importante introdurre modalità premianti per le aziende che hanno coinvolto i propri
dipendenti stranieri nelle attività formative programmate.
Par. 3.5 La formazione come leva dei percorsi di integrazione
Pochi i dati a disposizione circa il coinvolgimento dei migranti nelle attività di formazione
finanziate.
Il rapporto Isfol del 2008 non indica cifre circa i lavoratori/trici stranieri/e coinvolti in
attività formative. Forse a tutt’oggi si tratta di dati non ancora rilevati ma intanto – questa
assenza – è di per sé un indice dello scarso coinvolgimento di questi lavoratori/trici.
Il Fapi ha provato a verificarne la partecipazioni in occasione del Primo Monitoraggio delle
proprie attività formative35 con riferimento all’Avviso 1/2005 e all’Avviso 3/2006, ma le
cifre risultano davvero sconfortanti:
Lavoratori : Cittadinanza
N.D.
Africa
Altri Paesi UE
America
Asia
Italia
Paesi Europei non UE
Totale complessivo
A 1 2005
A 1 2006
A 2 2006
A 3 2006
Totale %
Totale %
Totale %
Totale %
73
0,5
25
1,0
47
1,6
248
3,4
40
0,7
38
0,6
28
0,6
67
0,9
20
0,3
14
0,6
27
0,6
54
0,7
11
0,1
7
0,2
8
0,2
26
0,4
17
0,5
23
0,4
19
0,4
9
0,1
5301
97,5
4958
96,4
4333
96,4
6827
93,7
38
0,4
22
0,7
31
0,7
57
0,8
5500
100,0
5087
100,0
4493
100,0
7288
100,0
Tab. n 9
35
“Formazione continua per lo sviluppo e l’occupabilità – La domanda e l’offerta nella proposta del Fapi – Rapporto
2008
64
Integrazione e pari opportunità In totale i lavoratori stranieri che, considerando tutti gli Avvisi, hanno svolto attività di
formazione è di 603 (2,7% del totale), probabilmente inferiore alla effettiva partecipazione
in quanto, come viene scritto nel Rapporto per quel che riguarda l’Avviso 3/06, sono state
molte le mancate risposte ai questionari di monitoraggio dell’Isfol da cui sono stati tratti i
dati, ciò non di meno non si ritiene che una maggiore completezza dei numeri a
disposizione cambi significativamente il quadro riportato sopra.
Sarà, invece, importante verificare la partecipazione dei migranti all’Avviso dedicato ai temi
della sicurezza emesso nel 2008. Come indicato sopra, infatti, in quella circostanza vi è
stata data una particolare attenzione alla promozione alla partecipazione alla formazio ne
di destinatari stranieri/e.
Altri dati, al momento non ne sono stati individuati. Ad oggi quindi, non si può che dare
uno sguardo in prospettiva, auspicando che nell’immediato futuro si possa registrare una
situazione di maggiore attenzione e coinvolgimento proprio in funzione dell’importanza che
l’attività formativa può avere all’interno di un processo di integrazione che, seppure con
passi incerti e a volte contraddittori, sta comunque andando avanti.
Vale la pena, a questo proposito, ricordare il sito già citato sopra che, non a caso,
evidenzia con intelligenza le diverse opportunità di formazione presenti sul territorio
lombardo tra cui, in particolare, quelle relative all’apprendimento della lingua italiana, ai
corsi per la sicurezza e, non ultimi, a quelli legate all’uso delle nuove tecnologie.
Il Rapporto Isfol, a sua volta sottolinea i passi avanti che si stanno registrando attraverso i
CCNL che, sempre più numerosi, si pongono l’obiettivo di sviluppare la formazione rivolta
ai migranti e ciò, in particolare nei settori produttivi più a rischio infortunistico. Per quel
che riguarda l’edilizia, per esempio, troviamo un importante richiamo agli “Accordi di
rinnovo dei CCNL per le imprese e le PMI edili (che) assegnano un ruolo attivo al Formedil
e alle Scuole edili per la formazione dei lavoratori migranti”.
L’Accordo, come si vede, interviene in modo preciso in relazione agli ambito nei quali
promuovere attività formative assegnando “al Formedil il compito di affrontare i problemi
connessi alle differenze
linguistiche e culturali e all’integrazione socio-lavorativa degli
stranieri attraverso:
65
Integrazione e pari opportunità ƒ la razionalizzazione e lo sviluppo della formazione preventiva nei paesi di origine dei
lavoratori migranti;
ƒ la realizzazione di
corsi di lingua italiana e di formazione specifica presso Enti
pubblici o Scuole edili;
ƒ l’attuazione di programmi interculturali di formazione finalizzati a migliorare la
comunicazione tra le varie etnie e il funzionamento dei cantieri.”
Infine, come è facile immaginare, le organizzazioni sindacali attribuiscono grande
importanza al ruolo della formazione e ovviamente a quello della contrattazione sia in
relazione ai percorsi di integrazione socio-lavorativi in generale, sia in relazione al
miglioramento delle condizioni di lavoro. “La questione formativa è essenziale non solo per
specializzarsi ma anche per l’innalzamento culturale di base” e, in questo senso è
“essenziale muoversi sia nella contrattazione che nella formazione stando attenti alle
specificità del lavoro migrante a cominciare dal tema della lingua e della sicurezza”36.
In particolare, lo strumento su cui si punta l’attenzione, è il voucher che consente una
formazione specificatamente mirata al/la singolo/a lavoratore/trice negli ambiti considerati
prioritari: lingua (e non solo italiano L2), sicurezza, diritti-doveri, informatica.
In questo senso altrettanta condivisione la si coglie relativamente al ruolo che possono
svolgere i Fondi interprofessionali paritetici sia in quanto organismi bilaterali sia per la
maggiore flessibilità di utilizzo delle risorse che questi consentono. Il tutto nella
consapevolezza che “in Italia non è facile ma ... è anche così che si costruisce il futuro”37
36
37
Dall’intervista al Responsabile Nazionale della Uil
Dall’intervista al Responsabile Nazionale della Uil
66