Pietro Rabezzana

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Pietro Rabezzana
Giovanni Artero
Pietro Rabezzana
dall’interventismo garibaldino all’internazionalismo proletario
Parte prima: L’internazionalista garibaldino
La tradizione militare risorgimentale piemontese; La guerra greco-turca e i socialisti italiani; La
spedizione in Grecia (1897); Nel socialismo toscano (1897-1900); Nel socialismo torinese dell’età
giolittiana (1901-1914)
.
Parte seconda: L’internazionalista comunista
Contro la guerra (1914-16); Per un nuovo internazionalismo (1916-17); Dalla rivolta di Torino al
dopoguerra (1917-20); Missione in Sicilia (1920); Il deputato comunista (1921-26); Le “contrastate
nozze” (1922); Il confino (1926-31)
Le vicende del gruppo dell' “Ordine Nuovo”, nato a Torino nel primo dopoguerra e alla guida del
maggior partito comunista d'occidente nel secondo, sono state ampiamente trattate dagli storici e da
alcuni degli stessi protagonisti1 ponendo le fondamenta di una narrazione per molto tempo quasi
ufficiale che, anche nelle migliori espressioni,2 ha “monumentalizzato” alcune figure celandone altre.
E' questo il caso di Pietro Rabezzana, uno dei capi popolari - con Giovanni Boero e Francesco
Barberis, - dell'opposizione alla guerra del proletariato torinese culminata nei moti del maggio 1915
e nella rivolta dell’agosto 1917.
Avendo partecipato alla spedizione garibaldina in Grecia del 1897, egli testimonia il percorso di gran
parte dei socialisti della prima generazione che, partendo da una concezione di “internazionale delle
patrie” di ispirazione mazziniana, giunsero al neutralismo ed all’internazionalismo nel corso della
Grande Guerra.
1 L. Longo Dal socialfascismo alla guerra di Spagna,. Milano, 1976; Quando diventammo
comunisti:conversazione con Umberto Terracini, Milano, 1981; P. Robotti Scelto dalla vita, Roma, 1980; M.
Montagnana Ricordi di un operaio torinese, Roma, 1949; A. Leonetti Da Andria contadina a Torino operaia,
Urbino, 1974; Id. Il cammino di un ordinovista, Bari, 1978, Id. Un comunista : 1895-1930 Milano, 1977; C.
Ravera Diario di trent'anni, Roma, 1973 2 P.Spriano, Storia di Torino operaia e socialista: da De Amicis a Gramsci, Torino, 1958;
Parte prima: L’internazionalista garibaldino
La tradizione militare risorgimentale piemontese
Pietro Rabezzana nacque a Casale Monferrato (Alessandria) da Pietro e da Adelaide Galliani il 2
ottobre 18763 in una famiglia di tradizioni militari. Il padre, capitano del genio, lo iscrisse
all'accademia di Modena, istituto che provvedeva a formare ufficiali del Regio esercito devoti alla
dinastia e ligi al ruolo di custodi dell’ordine, fornendo loro un’istruzione professionale basata su
materie tecnico-scientifiche, del tutto priva di aperture politiche e culturali4.
Un quarto degli ufficiali superiori ancora a fine secolo era di origine piemontese 5. Nel Piemonte del
periodo risorgimentale e del Regno d’Italia la carriera militare non era appannaggio della nobiltà
“alcuni provenivano dalla media proprietà terriera, altri uscivano dalla medio-piccola borghesia
impiegatizia, per la quale l’ingresso nell’esercito costituiva una promozione sociale e una garanzia
di stabilità; mancava quasi del tutto la borghesia industriale e commerciale. In complesso, il corpo
ufficiali era reclutato nella borghesia specialmente nelle armi “colte” artiglieria e genio, con una
prevalenza di nobili solo nell’arma di cavalleria... Gli ufficiali che ascendevano agli alti gradi
provenivano quasi sempre da famiglie della media e alta borghesia terriera, cioè da quella che nel
1860 era la classe dirigente del paese; erano quindi anche personalmente interessati alla difesa
del nuovo ordine politico e sociale”. "Gli ufficiali avevano una presenza e un prestigio nella società
borghese...[che] era il riflesso del ruolo riconosciuto all’esercito a tutti i livelli. La presenza di una
caserma era sempre gradita perché garantiva prestigio, ordine e affari, la fanfara reggimentale
aveva un posto di primo piano nella vita locale, le parate erano uno dei non molti spettacoli aperti
a tutti, le cerimonie traevano il maggior splendore dalle divise militari.” 6
L’esercito ebbe una parte importante nella politica interna dello stato unitario e molti ufficiali
partecipavano attivamente alla lotta politica schierati sia nella destra che nella sinistra
parlamentare ma sempre nell’area patriottica e monarchica, come il generale di origine savoiarda
Luigi Pelloux7, che fino a quando succedette a Di Rudinì nel 1899 costituendo un ministero
orientato a destra, aveva partecipato alla politica nella “Sinistra storica”.
Con il ‘900 si accentua lo spostamento del ceto militare nel campo conservatore. Le vicende della
famiglia Cadorna8 sono emblematiche: Raffaele ebbe incarichi ministeriali nel governo democratico
del 1848 ed entrò a Roma nel 1970 per la breccia di Porta Pia mentre il figlio Luigi, comandante
nella grande guerra, entrato a dieci anni nel Collegio militare di Milano e a quindici all’Accademia
militare di Torino, era bigottamente cattolico.
Pietro Rabezzana, come già detto, apparteneva a una famiglia di tradizioni militari, era stato
educato in una rigida scuola di guerra, ma uscì dal suo ambiente e dal suo ceto, si distaccò dai
valori familiari e tradizionali, per influsso di letture e di amicizie negli ambienti sovversivi e
3 L’Anagrafe del comune di Casale non ha più gli “stati di famiglia” relativi a quel periodo storico. Sappiamo
solo dell’esistenza di una sorella, come si vedrà più avanti.
4 Si ringrazia la Scuola Militare di Modena che ha trasmesso le pagelle degli anni 1893/4, 1894/5 e 1895/6.
Nel 1894/5, non avendo raggiunto la media di 12/20, fu ammesso a ripetere l’anno ma nel 1896 abbandonò
la scuola
5 da Pietro Badoglio a Ugo Cavallero a Vittorio Ambrosio, ecc.. "I generali valgono poco; sono usciti dai
ranghi quando si mandavano nell'esercito i figli di famiglia più stupidi, dei quali non si sapeva cosa fare..."
Giovanni Giolitti Memorie della mia vita Milano, 1922
6 A.D'Orsi, La macchina militare: le forze armate in Italia, Milano, 1971
7G.Manacorda Luigi Pelloux, in Rivoluzione borghese e socialismo: studi e saggi , Roma, 1975
8 L.Friz-G.Silengo, I Cadorna: atti del convegno, Verbania, 1991, Novara, 1994; S. Cavicchioli L' eredità
Cadorna : una storia di famiglia dal 18. al 20. Secolo, Roma, 2001
repubblicani: atteggiamento non inconsueto nella generazione che arrivò alla giovinezza negli
anni '90-'900.
La tradizione risorgimentale aveva unito nella causa nazionale e nella lotta anticlericale sinistra
costituzionale ed "estrema", cioè radicali e repubblicani, ma anche in campo socialista aveva presa
l'internazionalismo garibaldino a favore della causa degli oppressi che legittimava la guerra
nazionale per inserirla nella causa della rivoluzione socialista costituendo un tramite fra la
tradizione patriottica e il sovversivismo sociale.
Il socialista italiano di fine secolo guardava più a Garibaldi che a Marx, alle imprese del
Risorgimento che alle indicazioni dei Congressi della Seconda Internazionale, e ciò anche a livello
dirigenziale del partito, dove solo Turati e la Kuliscioff presero una posizione conforme alle direttive
dell'Internazionale di fronte alla guerra del 1897.
Nonostante il dibattito in seno al socialismo europeo, il superamento della causa nazionale non fu
automatico né pacifico. Mentre il movimento socialista europeo elaborava un orientamento
pacifista, solo in età giolittiana il PSI prese una posizione concretamente antimilitarista, affidando
tra l'altro una rubrica fissa sull’“Avanti!” a Gioacchino Martini, ex-tenente colonnello dell’esercito e
già volontario nella terza guerra d’indipendenza, che firmava gli articoli con lo pseudonimo di
Sylvia Viviani.9.
La questione della lotta di un popolo oppresso per la propria indipendenza era l'argomento
classico su cui cadeva la rigida opposizione socialista tra l'universalismo internazionalista e le
problematiche nazionali, lo scoglio contro cui si dimostrava che nella pratica era necessaria una
"sintesi", una conciliazione di queste due tradizioni. Un'esigenza talmente forte che si riscontrava
anche nella propaganda del partito socialista italiano quando all'alba della mobilitazione per la
Grecia affermava: Il partito socialista italiano è unanime nel ritenere che gli interessi suoi, che gli
interessi del proletariato europeo collimano colle aspirazioni del popolo greco. ....Permettiamoci
l'orgoglio di constatare che la parte più bella e più pura della tradizione rivoluzionaria della
borghesia italiana, caratterizzata da quello spirito di fratellanza internazionale che dava i
combattenti all'America, alla Francia e alla Polonia, sia passata nel partito socialista che la
riconsacra nella lotta per l'emancipazione operaia10.
La guerra greco-turca e i socialisti italiani
Nel 1897 la guerra tra la Grecia e l'impero ottomano per il controllo delle isole dell'Egeo prese le
mosse dalla rivolta cretese dell'anno precedente durante la quale greci ortodossi e turchi si
scontrarono sanguinosamente.
Nel settembre 1896 i partiti dell'estrema (Repubblica Radicali Socialisti) convocarono a Milano un
comizio a favore degli insorti greci, il governo invece si allineò alle posizioni di Francia e
Inghilterra, che intendevano preservare l'impero ottomano da scosse che ne avrebbero minato la
stabilità col rischio di una conflagrazione dagli esiti imprevedibili. A questo scopo, le tre potenze
inviarono un contingente navale assegnandone il comando all'ammiraglio Canevaro.
I partiti dell'estrema continuarono a sostenere gli insorti cretesi e organizzarono comitati «Pro
Candia», che ebbero il consenso dell'opinione pubblica e l'appoggio in Parlamento di Imbriani,
Bovio, Barzilai, Colajanni e Cavallotti11. Si sviluppò un ampio movimento di solidarietà pro-ellenica
per l’invio di aiuti e l’arruolamento di volontari e i primi a recuperare il modello del volontariato
internazionale furono i socialisti12, che anticiparono l'azione di Ricciotti Garibaldi.
9 R.Giacomini Antimilitarismo e pacifismo nel primo Novecento: Ezio Bartalini e "La Pace":1903-1915,
Milano,1991; G.Oliva Esercito, paese e movimento operaio: l'antimilitarismo dal 1861 all'età giolittiana,
Milano, 1986
10 Il partito socialista italiano nella questione greca, «Avanti!» 12.3. 1897
11 Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Discussioni, XX legislatura, sessione 1897, tornate 8-12 aprile
1897, pp. 22-45, 62-83, 123-143, 159-174.
Il dirigente del Fasci siciliani Nicola Barbato, che il Comitato «Pro Candia» di Milano aveva inviato
il 24 febbraio «come soldato, come medico e come propagandista»,13 il primo marzo, da Corfù
confermava con una lettera all'«Avanti!» il senso del proprio essere lì: Non basta, no, o amici, la
nostra predica nei giorni tranquilli per imprimere qualche nota socialista nei cervelli degli oppressi
e dei sitibondi d'ideale; da veri missionari dobbiamo qui in Grecia, come altrove, trovarci in tutti i
luoghi di maggior pericolo; il denaro e la vita di qualunque di noi, lasciata sul campo di
combattimento credetemi, non saranno spesi male”14.
Lo scultore repubblicano Ettore Ferrari, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, guidò il Comitato
di coordinamento dei volontari che aveva il referente militare in Ricciotti Garibaldi, uno dei figli
dell'Eroe, il quale inviò parte delle sue truppe in Epiro sotto il comando del colonnello Mereu15.
Gli arruolamenti, repressi dalla polizia, avvennero clandestinamente a Trieste, Milano, in Umbria, in
varie località della costa adriatica e in Sicilia, mentre i socialisti costituirono un comitato
concorrente con quello demo-repubblicano.
Mentre il grosso dei legionari si ritrovò sotto il comando di Ricciotti Garibaldi, una piccola legione
si raccolse sotto la guida di Enrico Bertet 16 che si unì al comitato filoellenico promosso dai
socialisti17 e, in sua rappresentanza, si recò in Grecia. per organizzare una legione di volontari
italiani. Rientrato a Roma si dedicò all'arruolamento dei volontari mentre la cassa fu amministrata
da Giulio Casalini18 e impiegata nel nolo del bastimento Unione.
Frattanto, proveniente da Parigi, Amilcare Cipriani,19 formava una Legione20 di una settantina di
volontari eterogenei, poco inclini ad essere irreggimentati e senza esperienza di guerra.
12 Alessandro Tasca di Cutò (1874-1942), Nicola Barbato (1856-1923), Giuseppe De Felice Giuffrida (18591920), Arturo Labriola (1873-1959), Gaetano Zirardini (1857-1931), Giulio Casalini (1876-), Walter Mocchi
(1870-1955) e Giuseppe Ciancabilla (1872-1904)
13 «Avanti!», 25.2.1897.
14 La questione di Candia. La Grecia resisterà alle potenze. Una lettera di Nicola Barbato, «Avanti!»,
6.3.1897; Per Candia. La partenza della flotta – Il linguaggio dei giornali – Un manifesto di Barbato, «Avanti!
», 7.3.1897
15 Nato a Nizza nel 1842, si arruolò volontario nella guerra del 1859, nel 1860 seguì Garibaldi nella
spedizione dei Mille. Nuovamente nelle schiere garibaldine alla terza. guerra d'indipendenza, al termine di
essa accorse a difesa di Creta per l'indipendenza dalla Turchia guidando un contingente di 2.000 volontari e
80 ufficiali che affrontò 12.000 turchi concludendo vittoriosamente la campagna. Nel 1870 seguì ancora una
volta Garibaldi nella campagna dei Vosgi contro i prussiani. Già maturo di anni, nel 1897 prese parte alla
campagna contro i Turchi. Morì a Roma nel 1907
16 Il colonnello savoiardo Enrico Bertet (1826-1899) fondò nel 1880 la società ginnastica «Pro Italia» di
Arona che nel 1885 presenziò all'inaugurazione della bandiera della Società dei Figli del Lavoro di
Gallarate, sodalizio d'impronta operaista. Il Bertet sosteneva il principio della «nazione armata», cioè di un
esercito popolare e diffuso adottato dai radicali e da alcune componenti del socialismo e in polemica con le
scuole dominanti dell'acrobatismo, degli attrezzi e del bastone Jager era a favore di un'educazione fisica
basata sulla libertà del corpo, sull'armonia del gesto e sulla naturalità del movimento. Rassegnò le
dimissioni dall'esercito per aderire al mazzinianesimo e alle elezioni del 1892 fu candidato dai cavallottiani e
dai socialisti aronesi. Partecipò alla Società per la Pace e l'Arbitrato Internazionale, presieduta da Ernesto
Teodoro Moneta (1833-1918) con il medico Angelo Filippetti (1866-1936), futuro sindaco socialista di
Milano, presidente della sezione verbanese.
17 Comitato socialista per la Grecia, «Avanti!», 6.3.1897.
18 Nato a Vigevano (PV) nel 1876 si laureò a Torino in medicina. Nel 1893 si iscrisse al PSI e nel 1894 fu
condannato al confino di polizia. Collaboratore del "Grido del popolo" organizzò una raccolta di fondi per
finanziare la spedizione garibaldina in Grecia andando egli stesso volontario. Al ritorno diresse "Il corriere
biellese", ma nel 1898 fu costretto a rifugiarsi in Svizzera per sfuggire all’arresto. Socialista riformista si
occupò di igiene sociale e della costruzione di case operaie. Più volte eletto al Consiglio comunale di Torino
e vicesindaco nel secondo dopoguerra.
Tra gli uomini della Legione si distinguevano alcune componenti non solo geograficamente
connotate: i siciliani, ma soprattutto i fiorentini e i napoletani, entrambi di orientamento socialista, i
secondi, però, assai più politicizzati. Tra di loro Arturo Labriola21, Ettore Croce22, Walter Mocchi23,.
L'etichetta «Compagnia della morte» era stata imposta in Grecia alla Legione Cipriani, ironizzando
sulla volontà di battersi a tutti i costi, pur in condizioni improbabili. Essa dava anche il titolo ad una
memoria scritta a più mani, con palesi intenti polemici, da alcuni degli uomini che avevano lasciato
quella formazione prima del suo scioglimento24: in quelle pagine c'era la rivendicazione della
dignità delle proprie scelte, la denuncia della conduzione delle operazioni e la condanna del
Cipriani come capo militare e leader politico. Nella prefazione, Arturo Labriola, diretta parte in
causa, ricordava che i socialisti erano partiti per la Grecia «per concorrere a portare un colpo
decisivo alla barbarie turca, supposta il propugnacolo avanzato della politica reazionaria e anticivile della Russia», convinti di giovare nel contempo alla causa del proletariato
I primi a chiamare esplicitamente in causa l'emblema garibaldino erano stati gli uomini guidati da
Cipriani, per bocca di Ciancabilla, il corrispondente dell'«Avanti!» che si unì a quei volontari 25 e
questo atteggiamento traspariva da altre pagine di Ciancabilla."con profondo disgusto udii gridarmi
all'orecchio da quella buona gente che credeva di farmi piacere: Viva Cavallotti! Viva Menotti
Garibaldi! Ah! Queste vecchie e tarlate cariatidi di una democrazia vigliacca e infrollita hanno
saputo con qualche telegramma e con qualche indirizzo giuocar la buona fede di tutto un popolo.
in cui l'aggressiva polemica del corrispondente socialista colpisce per l'assimilazione di un
personaggio come Cavallotti alla linea governativa.
Ciancabilla, confessa che anche nella legione del figlio di Garibaldi i socialisti non erano pochi: tra
di loro – nel battaglione Mereu – il catanese Giuseppe De Felice Giuffrida, che, pur su posizioni
diverse, era stato al fianco di Barbato nei Fasci siciliani. Alcune decine di uomini, tra di loro Arturo
Labriola, avevano del resto lasciato la formazione di Cipriani ancor prima del suo scioglimento, per
venire integrati in quel battaglione garibaldino, e lo stesso Cipriani così come Ciancabilla e alcuni
altri, si sarebbe unito in extremis a Ricciotti nello scontro di Domokós.
Paride Marincola Cattaneo nel 1897 era un giovane socialista calabrese, studente a Roma, e si
era arruolato solo quando ebbe la certezza di un impegno diretto di Ricciotti, «anelante l'onore
d'indossare la camicia rossa e di emulare i gloriosi garibaldini» 26. Egli non era l'unico
internazionalista a nutrire stima per Ricciotti, come lo scultore ravennate Gaetano Zirardini, futuro
deputato socialista27,
19 Nato nel 1843, partecipò giovanissimo alle spedizioni garibaldine e alla Comune di Parigi; visse esule
per evitare condanne e quando rientrò in Italia nel 1881 fu detenuto per alcuni anni. Eletto più volte alla
Camera, non potè entrare in carica perchè rifiutava di giurare fedeltà alla monarchia. Nel 1914 come
l'anarchico russo Kropotkin prese posizione a favore della repubblica francese contro il militarismo
germanico. Morì nel 1918. Luigi Campolonghi, Amilcare Cipriani: una vita di avventure eroiche, Milano, 1912.
M.Antonioli La compagnia della morte Gli anarchici garibaldini nella guerra greco-turca. del 189 7, in "Saggi
storici in inore di Romain H. Rainero", Milano, 2005
20 G. Oliva, Illusioni e disinganni del volontariato socialista: la «Legione Cipriani» nella guerra greco-turca
del 1897, «Movimento operaio e socialista», 1982 n. 3. Id., Un dibattito socialista di fine secolo: la nazione
armata e la guerra greco-turca del 1897, «Rivista storica italiana», 1982 n. 2
21 Napoli 1873-1959
22 1866-1956. All'epoca appena uscito dal carcere, già condannato al domicilio coatto, attivo nel primo
dopoguerra in Emilia e in Romagna, iscritto al PCd’I dalla fondazione, esule in Francia dal 1924 al '40
23 Torino, 1870-Buenos Aires, 1955. Sindacalista rivoluzionario, emigrato nel 1906 in Argentina dove
divenne impresario teatrale.
24 G. Cavaciocchi, La Compagnia della Morte. Ricordi di un volontario della Legione Cipriani, Napoli 1898.
Da quanto emerge Cavaciocchi era in realtà solo il curatore del testo definitivo, responsabilità anche di
Giuseppe Belli, Mario Benenati, Arturo Labriola (prefatore) e Pietro Marogna.
25 Giuseppe Ciancabilla,Lettera dalla Grecia, «Avantí!», 31.3.1897.
Il volontarismo socialista era organizzato in modo diverso da quello dei repubblicani borghesi di
Ricciotti Garibaldi per il prevalere di un individualismo disorganizzato, una motivazione solidale ma
avversa ad ogni tipo di disciplina e gerarchia, che rendeva difficile la loro incorporazione
nell'esercito regolare. In più, gli ideali di riferimento e le convinzioni personali che avevano spinto
alla partecipazione i membri della Legione erano assai lontane dal baldanzoso volontarismo
garibaldino. Emergeva una nuova generazione che, come lo stesso Cipriani affermava, "ha sete di
epopee e rifiuta questo stanco e snervante fine secolo", ma che nel frattempo perdeva in un
passato sempre più mitizzato le esperienze garibaldine di fronte alla realtà di società impegnate a
rafforzare le proprie conquiste istituzionali.
Alla fine del secolo, insomma, costruite ormai le nazioni, il volontarismo in nome della liberazione
degli oppressi non poteva avere un'interpretazione così univoca ed entusiasta, soprattutto per il
mondo di sinistra.
Lo stesso Cipriani dovette constatare il fallimento dell'esperienza sia dal punto militare che da
quello politico, soprattutto a causa dei forti contrasti in seno al mondo socialista ma anche
anarchico. Malatesta in una serie di articoli su “L’Agitazione” in contrasto con la lettura
spontaneista di Cipriani, che abbracciava la causa greca per un sentimento ancora intriso di
insegnamenti garibaldini, esprimeva una posizione contraria alle guerre di liberazione puramente
nazionaliste come giudicava quella della Grecia contro la Turchia. Era l'affermazione di una
questione di priorità: l'internazionalismo operaio doveva avere la precedenza come battaglia
rivoluzionaria perché essa portava in sé anche la soluzione delle cause nazionali. Di fronte a
questo, la guerra come evento cambiava profondamente di senso passando da esperienza
rivoluzionaria di emancipazione degli oppressi a prodotto del capitalismo.
La spedizione in Grecia (1897)
La Legione di Cipriani raggiungeva la Grecia il 12 marzo; formati due plotoni, con Labriola
segretario e Francesco Malgeri ufficiale medico, il 19 si era mossa in nave da Atene verso Vólos, e
di lì in direzione di Tríkala, raggiunta in varie tappe del tragitto da altri volontari, come il
corrispondente dell'«Avanti!» Giuseppe Ciancabilla.
Il 9 aprile, dopo il primo scontro con i turchi, Cipriani aveva decretato lo scioglimento della Legione,
che, per sua stessa ammissione, aveva fallito nel proprio scopo, non essendo riuscita a far
divampare e diffondere l'insurrezione macedone
Mentre giungevano in Italia le notizie degli scontri di cui era stata protagonista la colonna Cipriani,
il Bertet sbarcò al Pireo alla testa di 250-300 volontari, trovando che il governo greco faceva
affidamento su Ricciotti Garibaldi28 come comandante unico dell'intero contingente italiano, ai cui
ordini Bertet si rifiutò di passare. L'incidente si concluse solo con la decisione di mettere tra i due
gruppi di volontari una consistente distanza: Ricciotti raggiunse il fronte della Tessaglia, Bertet fu
sbarcato sul fronte occidentale. Mereu occupò le posizioni in Epiro già tenute dai legionari di Bertet
,
Ricciotti finalmente partiva il 21 aprile da Brindisi, mentre altri 150, organizzati da Antonio Fratti,
partivano da Rimini
26 P. Marincola Cattaneo, In Grecia. Ricordi e considerazioni di un reduce garibaldino, Catanzaro 1897, G.
Pécout, Une amitié méditerranéenne le philhellenisme italien et francais au XIX siècle, in “La democrazia
radicale nell'Ottocento europeo. Forme della politica, modelli culturali, riforme sociali” «Annali della
Fondazione Feltrinelli», 2005, pp. 81-106.
27 Anche Zirardini compariva tra i socialisti schedati. Nato nel 1857, nel 1894 lo si segnalava già attivo
dagli anni Ottanta. Si impegnò nel giornalismo, collaborando anche all'«Avanti!», e nell'organizzazione dei
lavoratori, divenendo nel 1914 segretario della Camera del Lavoro di Ferrara..
28 R. Garibaldi, La Camicia Rossa nella guerra greco-turca (1897), Roma 1899, pp. 16-17.
Destinato a partecipare alle operazioni di guerra in Tessaglia, il Corpo garibaldino comandato da
Ricciotti ammontava complessivamente a quasi 700 su circa 2000 volontari stranieri presenti in
Grecia nel 1897.
Più di 500 garibaldini poterono essere presenti alla battaglia di Domokòs, che costò ai volontari
diciannove morti e varie decine di feriti. 29 Ad essi si aggiungevano una sezione inglese, una
francese, un battaglione greco ed un altro misto.
Morto prematuramente il padre, Pietro “non si sentì più vincolato alla tradizione paterna ed
abbandonò subito la carriera delle armi perché gli ideali suoi mal soffrivano e la vita e la disciplina
del soldato.30
Nel marzo 1897 partì da Firenze per Brindisi dove si imbarcò alla volta di Atene; qui giunto, avendo
Amilcare Cipriani sciolto la sua formazione, si arruolò nella Camicie Rosse di Ricciotti Garibaldi,
venendo inquadrato nel primo battaglione al comando dell’ufficiale garibaldino Luciano Mereu.
Descrisse poi in un diario31 le tappe della campagna di guerra fino al 17 maggio, quando prese
parte alla battaglia di Domokos in Tessaglia, dove si svolse il principale evento militare della guerra
greco-turca.
Nel manoscritto a descrivere la battaglia subentra un altro narratore, forse Giuseppe Ciancabilla 32
che cita il sottufficiale Rabezzana e il suo comportamento “semplicemente splendido, superbo”
Nella zona di Domokós, il 17 maggio, quando la Tessaglia era stata in gran parte invasa
dall'esercito ottomano, sembra fossero presenti nel complesso 35.000 greci e più o meno 50.000
turchi. Le forze greche erano posizionate sulle colline attorno alla città, mentre i turchi dal mattino
si muovevano dalla pianura sottostante, aprendo il fuoco, però, anche da una cresta delle alture.
Nelle ore centrali della giornata l'azione delle batterie greche era iniziata su tutta la linea per
contrastare l'assalto nemico. Uno degli episodi che coinvolsero direttamente i garibaldini – collocati
nelle posizioni inferiori, in prima linea di fronte ai turchi – si verificò quando le truppe ottomane
portarono contro la destra della linea greca un'offensiva verso una trincea occupata da 150
camicie rosse, che alla lunga costrinsero i turchi a retrocedere verso la pianura.
In quegli scontri ci furono i primi caduti tra i volontari e rimase ferito Amilcare Cipriani, che con altri
guidava in quel frangente la formazione. Solo alla sera il fuoco si spense da entrambe le parti,
dopo che gli ellenici erano riusciti a sostenere assalti poderosi e ben condotti, spesso in condizioni
di inferiorità numerica: le loro linee furono rotte solo alla fine della giornata.
I garibaldini presenti agli scontri descritti erano gli uomini del l' battaglione guidato da Luciano
Mereu, reduci dall'Epiro, cui all'ultimo momento fu ordinato dai comandi greci di rimanere sul fronte
principale della battaglia, al fianco delle forze regolari, e di non unirsi alla colonna dei volontari di
Ricciotti. A quest'ultimo era stata invece assegnata la difesa di una gola strategica, allo scopo di
garantire all'esercito la possibilità della ritirata. Ai primi segnali della battaglia, Ricciotti ritenne di
avvicinarsi alle forze elleniche in difficoltà, trovandosi presto di fronte ad un corpo turco in
avanzata, di circa 6000 uomini, con cui ingaggiò una lotta per la conquista di un'altura di
fondamentale importanza. I garibaldini ebbero la meglio, aprendo quindi il fuoco contro il nemico,
oramai a poche decine di passi, avanzando e distendendosi su un fronte di circa un chilometro, da
cui, anche con attacchi alla baionetta, costrinsero i turchi a retrocedere. Fu in queste manovre che
perse la vita, tra gli altri, Antonio Fratti.
29 MCRR, VM 1043, nn. 25 e 34, Stato numerico del Corpo.
30 in ACS, CPC busta 4182
31 di 56 pagine in 8., che contiene anche alcune poesie datate dal 1891 al 1918 e fu trascritto intorno al
1930 da una cugina che in una nota lo compiange per il suo invio al confino. E’ attualmente in possesso
della biblioteca dell'università di Princeton (USA): Archival/Manuscript Material. Rare Books: Manuscripts
Collection (MSS) Call Number:C0938 (no. 282)
32 Nato a Roma nel 1872, nel 1890 combatté in Grecia con Cipriani, iniziando la sua carriera giornalistica
come corrispondente dell'Avanti!. Inizialmente aderì al PSI ma nell'ottobre 1897 intervistò per l' "Avanti!".
Malatesta sullo stato di salute dell'anarchismo italiano dopo la diserzione di Merlino e la discussione che si
sviluppò fu uno dei motivi che lo convinsero ad abbracciare l'anarchismo. Costretto dalle persecuzioni
poliziesche a spostarsi in Svizzera e in Francia, alla fine del 1898 lasciò l'Europa per gli Stati Uniti, dove
svolse attività politica e giornalistica tra gli emigrati italiani. Morì a San Francisco nel 1904
I volontari italiani resistettero per ore all’assalto di preponderanti forze nemiche ma dovettero infine
ritirarsi per ordine del Comando greco e per l’esaurirsi delle munizioni
Dopo la Battaglia di Domokós, il 21 maggio veniva concluso un armistizio tra i due contendenti.
Cominciava quindi la ritirata, per riguadagnare la strada verso la capitale. Molti volontari
garibaldini vennero raccolti dalle navi italiane impegnate nella forza multinazionale inviata a
presidiare l'isola e rimpatriati. Molti dei numerosi caduti di Domokòs furono abbandonati insepolti
per giorni e s'incominciò a diffondere il timore di epidemie tra i soldati turchi rimasti padroni del
campo.
Piccoli gruppi di legionari di Bertet disertarono per raggiungere Ricciotti o per rimpatriare e, il 22
maggio, nell'imminenza dell'imbarco, si scontrarono con la popolazione dopo aver assaltato il forno
del paese, lasciando a terra un anarchico romano e diversi feriti. Finalmente, il piccolo esercito di
guerriglieri disillusi raggiunse Bari il 27 maggio,
Le disillusioni erano arrivate subito, suscitate innanzitutto dall'atteggiamento del governo e
dell'esercito greco; ma fatale era stata l'unione con gli insorti macedoni, rispetto ai quali Cipriani
non seppe condursi con autorevolezza né garantire la dignità dei propri uomini, incrinando ben
presto la loro già instabile fiducia nei suoi confronti.
La rievocazione a pochi mesi dai fatti collimava con le spiegazioni che i volontari «dimissionari»
avevano voluto fornire all'indomani della decisione33
La Legione Cipriani si scontrò indubbiamente con gli aspetti peggiori dell'esperienza del '97; la
particolare ambizione degli obiettivi politici ostentati contribuì del resto ad esasperare per questa
formazione dichiaratamente rivoluzionaria lo scarto tra le attese e la realtà. Chiamati a farsi
volontari dallo «spirito umanitario e giovanile», quei combattenti intendevano dissociarsi
apertamente, di fronte alla Grecia, dall'«Italia diplomatica, [che] obliando le sue nobile tradizioni ...
scagliava le sue corazzate e fuoco e piombo su di lei». Nutriti – in molti casi – di suggestioni
classiche, oltre che di fervori ideologici, questi italiani, appena messo piede in terra greca, si erano
ingenuamente stupiti, a Patrasso, di non riuscire a comprendere la lingua sulla base del greco
antico. Ad Atene la delusione si faceva estetica oltre che politica: la tiepida accoglienza priva di
entusiasmi guerrieri si combinava ad una veste urbanistica poco attraente e all'aspetto delle
donne, quasi per nulla corrispondente ai canoni della bellezza greca.
Durante la campagna Rabezzana strinse amicizia con Joseph Marcou-Baruch 34 e con lui parlava
di storia, di filosofia, di politica e di sionismo “Rabezzana disse accennando a me e rivolto ai
soldati: ecco un uomo che ha un ideale più bello di tutti noi, sì più bello del vostro socialismo, più
bello della vostra anarchia, un ideale splendido come quello della Grecia che andiamo a
difendere…consacrare i pensieri, la vita per cercare la nazionalità perduta del popolo suo. E questi
accenti egli pronunciò con tale commozione, con la voce soffocata dalle lacrime, con tono così
malinconico che mi pareva quasi di vedere un Byron ispirato ai canti giudaici”35
33 La legione Cipriani. Dichiarazione collettiva dei reduci, «Avantil», 26 aprile 1897. Il documento, datato
Atene 15 aprile 1897, era sottoscritto dai 20 volontari che avevano lasciato la Legione, tra cui Mario
Benenati, Ettore Croce, Pasquale Guarivo, Arturo Labriola, Francesco Malgeri. Giuseppe Cavaciocchi aveva
già abbandonato in precedenza ill Corpo per ragioni private.
34 Joseph Marcou-Baruch (1872-1899) di cui è stato recentemente ripubblicato (ripreso dal periodico “Il
Vessillo Israelitico”) il diario della campagna di Grecia con il titolo “Un ebreo garibaldino” (Biblioteca Franco
Serantini, Pisa, 2009, a cura di Valentina Vantaggio), nato in Turchia e passato bambino a Parigi, combatté
per l’indipendenza della Grecia nel primo battaglione della Legione garibaldina, animato dall’ideale della
solidarietà tra cause patriottiche dei popoli in lotta per l’indipendenza.
Operando negli stessi anni in cui Teodoro Herzl fondava il movimento sionista, la sua causa era la
riconquista dell’indipendenza ebraica perduta diciotto secoli prima. A Roma formò l’esiguo primo gruppo
sionista dei Prigionieri di Tito.. Quando gli fu chiesto se fosse socialista, rispose che pensava sempre “a
questo grande proletariato che chiamasi il giudaismo” anticipando, nell’applicazione a un popolo il criterio di
classe, il Pascoli della “grande proletaria”
35 J.Marcou-Baruch “Un ebreo garibaldino”, cit., pag. 64. E’ tanto più significativa questa presa di posizione
in quanto, almeno fino all’”Affare Dreyfus”, erano assai diffusi anche nell’estrema sinistra i pregiudizi anti
ebraici (si veda il caso di Henry Rochefort, ma anche certe posizioni di Proudhon e altri). Si veda Michele
Battini Il socialismo degli imbecilli: propaganda, falsificazione, persecuzione degli ebrei, Torino, 2010
E’ evidente, da queste frasi, che Rabezzana all’epoca della campagna greca non era un socialista
ma un “interventista democratico” che si ispirava agli ideali patriottici mazziniani. Bisogna
aggiungere anche che Baruch lo riteneva “educato a quella fratellanza che tanto onora gli animi
grandi”, cioè affiliato alla massoneria.
“In Rabezzana Marcou-Baruch trovò un compagno di lotta, un amico un punto di riferimento :
conclusa la campagna di Grecia infatti, raggiunse l’amico a Firenze dove conobbe e si innamorò
della sorella Maria (o Myriam, come lui la chiamava)”.
Rimasto a Firenze, lavorò per alcune riviste e fece propaganda per l’idea sionista fondando
numerosi circoli. “Tuttavia la sua eccessiva passione che, come gli ricordava l’amico Pietro, lo
portava a fantasticare di progetti irrealizzabili, gli impedì di trovare un lavoro e una sistemazione
stabili, causando la fine del fidanzamento e un peggioramento della sua già precaria salute
mentale. Il 24 agosto 1899, a soli 27 anni, abbandonato da Myriam e in preda a un’apparente
follia d’amore, poneva fine alla sua vita con un colpo di rivoltella al cuore, come un eroe tragico e
romantico” 36
Nel socialismo toscano (1897-1900)
Al ritorno dalla campagna di Grecia si ristabilì a Firenze in via dei Neri n.1, al 3 piano.
Abbiamo lasciato Rabezzana durante la campagna di Grecia “mazziniano”. Lo troviamo due anni
dopo socialista: così viene descritto nella scheda biografica compilata dalla Prefettura di Firenze il
20 gennaio 1900 “E’ intelligente, colto, educato, d’animo mite ma energico di carattere … Studiò
privatamente e con spiccato interresse opere sociali e finì col sentirsi fermamente convinto negli
ideali socialisti. Nel partito non si è ancora formato un nome ed ha influenza limitata alla città di
Firenze, ma la cultura di cui è fornito e la passione ai propri ideali fanno presagire che potrà
diventare influente ed utilissimo nella propaganda. Ha la parola facile, infiammata, convincente.
Frequenta fino ad ora solo i giovani socialisti di qua, che tenta ricondurre, come dice, ai propri
ideali cioè al socialismo evolutivo, in opposto del sistema rivoluzionario, che ritiene dannoso alla
causa. E’ amico intimo di Amilcare Cipriani, che ritiene socialista e non anarchico… Insomma, si
farà strada perché non avendo necessità di di darsi ad altre occupazioni essendo provvisto di
qualche bene di fortuna, ha capo di applicarsi ai suoi studi prediletti e di abbandonarsi ad attività
propagandistiche…Non ha riportato condanne né fu mai proposto pel domicilio coatto ” 37,
A Firenze esisteva un vivace ambiente intellettuale in cui si veniva formando tra il 1892 e il 1895
l'organizzazione socialista38, su una matrice garibaldina, repubblicana e anticlericale, che fu alla
base del suo cospicuo sviluppo e delle sue rapide fortune. Dando largo spazio alla cultura,
all'organizzazione, alla propaganda, privilegiando tematiche risorgimentali, laiche, anticlericali i
Ciacchi, i Pescetti, i Danielli esercitarono anzitutto un irresistibile influsso sull'intellighenzia
36 J.Marcou-Baruch “Un ebreo garibaldino” cit., pag.22. Dalla presentazione di Valentina Vantaggio che si
ringrazia per aver consentito la consultazione del carteggio Rabezzana-Baruch, custodito ai Central Zionist
Archives di Gerusalemme, consistente in una cinquantina di lettere scritte in francese perlopiù di carattere
personale.
37 ACS, CPC busta 4182
38 S. Caretti, M. Degl'Innocenti Il socialismo in Firenze e provincia , 1871-1961, Pisa, 1987; E. Conti Le
origini del socialismo a Firenze : 1860-1880, Roma, 1950; N. Capitini Maccabruni La Camera del lavoro
nella vita politica e amministrativa fiorentina : dalle origini al 1900, Firenze, 1965; G.Spini, A. Casali, Firenze,
in "Storia delle città italiane", Bari 1986; L. Tomassini, Associazionismo operaio a Firenze fra '800 e '900 :
societa di mutuo soccorso di Rifredi (1883-1922), Firenze 1984; Pier Luigi Ballini, Lotta politica e movimento
sindacale in Toscana agli inizi dell'età giolittiana : lo sciopero generale di Firenze, Rassegna storica toscana,
2, 1975; Gian Bruno Ravenni, Gli asini e i sovversivi : societa di mutuo soccorso e partiti operai in un
quartiere fiorentino. Firenze, 1982; S. Buti, La manifattura Ginori : trasformazioni produttive e condizione
operaia, 1860-1915 Firenze, 1990
giovanile della città: fra il 1892 e il 1895 divennero socialisti Gaetano Salvemini (1873-1957) 39 ed
Ernestina Bittanti (1872-1957), Rodolfo e Ugo Guido Mondolfo (1877-1976; 1875-1958), Gaetano
Pieraccini (1864-1957) 40 e Carlo Pucci (1879-1918), Assunto Mori e Gennaro Mondami. Si creò
un'atmosfera che lo stesso Salvemini rievocherà esemplarmente su un fascicolo della rivista «Il
Ponte» del 1950: “Eravamo amici dell' «Ernestina» un gruppo di giovani, che siamo rimasti stretti
con lei e fra noi per tutta la vita. Andavamo la sera a trovare lei, e il suo fratello, e le due sorelle, in
via Lungo il Mugnone. A quel tempo in Italia tutti diventavano socialisti. Diventò socialista in blocco
anche via Lungo il Mugnone. E la sera risolvevamo tutti i problemi sociali con tanto calore che il
padrone di casa minacciò di sfrattare Carlo Marx e la sua chiesa femminile e maschile, se non
diventava meno rumorosa”.
Ma se il giovane socialismo fiorentino faceva presa sugli intellettuali, non trascurava per questo i
primi nuclei di classe operaia moderna e soprattutto le vaste masse di artigiani, piccoli
commercianti, impiegati che caratterizzavano con la loro animata presenza la vita dei quartieri
popolari; furono anzi proprio i socialisti, attraverso Eugenio Ciacchi e Sebastiano Del Buono
(1858-1922), a perorare più di tutti la costituzione di una Camera del Lavoro che, ad imitazione
delle Bourses du Travail francesi, desse una sede istituzionale alle forme di solidarismo maturate
fra ceti operai e ceti popolari all'interno del tessuto urbano. Il marzo 1893 vedeva la nascita della
Camera, che poté contare inizialmente su circa 2000 soci e una ventina di sezioni. Un anno dopo
queste erano già 40 e i soci circa 5000 con in testa tipografi, cuochi, camerieri, caffettieri, sarti,
litografi, venditori ambulanti, spazzini, doratori, verniciatori, legatori di libri, meccanici, fabbri ferrai,
cocchieri, commessi di negozio, falegnami, ferrovieri, ceramisti, fornai, lattai. Iniziava una vasta
opera di promozione della cooperazione e della resistenza che avrebbe visto d'ora innanzi la
Camera del Lavoro alla testa di numerose vertenze, fra cui quella in favore delle trecciaiole negli
scioperi del 1896-97.
Grazie anche all'organismo camerale, i socialisti potevano estendere l'organizzazione economica e
superare vittoriosamente la repressione crispina del '94 (che portò al momentaneo arresto di
Pescetti, Giacchi, Buoninsegni e dello studente universitario Arturo Caroti); presentatisi con
candidati propri alle amministrative del '95 con un programma che prevedeva la
municipalizzazione dei servizi pubblici, la riforma delle imposte comunali, la fondazione di nuove
scuole nonché facilitazioni per gli studenti bisognosi, mancavano per poco l'ingresso in Palazzo
Vecchio. Ma l'affermazione clamorosa era ormai nell'aria e giungeva puntualmente il 23 marzo '97
quando con 1086 voti Giuseppe Pescetti diventava il primo deputato socialista del capoluogo e
dell'intera Toscana.
La reazione di fine secolo contribuì a unire e cementare tutte le frazioni dell'Estrema, facendo
passare in secondo piano rivalità e diversità d'accenti mentre si profilava la concorrenza dei fasci
democratici-cristiani, nati attorno al messaggio di Romolo Murri e di Giuseppe Toniolo,
particolarmente forti nelle campagne, dove i socialisti incontravano difficoltà di penetrazione. Qui le
organizzazioni economiche democratico-cristiane promossero la piccola proprietà, le affittante
collettive, l'inquadramento dei braccianti in cooperative, giungendo nel 1901 a inglobare nella
provincia 14 unioni professionali operaie ed agricole.
Per la sua opera di propagandista e agitatore Rabezzana nel 1900 fu eletto nella commissione
esecutiva della Federazione Regionale Socialista Toscana. 41
Nel socialismo torinese dell’età giolittiana (1901-1914)
Nel 1901 si trasferì da Firenze a Torino impiegandosi presso l'ufficio dell'anagrafe comunale in
39 Nato a Molfetta nel 1873, giunse a Firenze per studiare all’Istituto di Studi Superiori, dove fu allievo di
Pasquale Villari.
40 F. Carnevale, G.B. Ravenni, Gaetano Pieraccini medico del lavoro : la salute dei lavoratori in Toscana
all'inizio del 20. secolo Firenze 1993; F. Carnevale, G. Pieraccini : l'uomo, il medico, il politico (1864-1957),
Firenze, 2003; M. Degl'Innocenti, G. Pieraccini : socialismo, medicina sociale e previdenza obbligatoria,
Manduria, 2003;
occasione del censimento. Aveva ormai 25 anni e pareva l’inizio del suo «ravvedimento» come
affermava la questura di Torino, che si indusse a sperare che l'impiego alle dipendenze di uno zio,
“persona proba ed onesta che offre garanzia del ravvedimento”42 lo distogliessero dalla politica.
Rabezzana però nel quindicennio successivo proseguì la sua militanza socialista all'interno della
sezione torinese, nella cui Commissione Esecutiva fu spesso eletto.
Per inquadrare la sua partecipazione a socialismo torinese dall’inizio del secolo allo scoppio della
guerra43 forniamo alcuni dati essenziali di inquadramento.
La sezione socialista torinese si era formata su alcune basi politiche e ideologiche: propensione
all’analisi sociologica, influenza del socialismo prampoliniano-emiliano; critica dell’ordinamento
borghese più moralista che marxista. Come scriverà La Stampa alcuni anni dopo, il partito
socialista a Torino “lo fondarono un esiguo numero di persone, giovanissime quasi tutte, alcune
colte, quasi tutte sentimentali e talune fino alla mobosità, agitate da sogni seducenti di
ricostruzione dell’attuale società viziata e corrotta” 44
Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della
Lombardia. Nel capoluogo raccolsero 5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI. In
una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della
popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l’alleanza con la piccola borghesia
impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione
democratica che la rappresentasse (in provincia di Torino contro i 48.000 voti costituzionali e
14.000 socialisti si ebbero appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati
socialisti.
Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i dirigenti di quelle associazioni mutualistiche
che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe
operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L'equilibrio si ruppe nei primi anni del '900 quando la nascita
della grande industria dilatò la massa operaia.
Passata la reazione degli anni 1898-99 che colpì le organizzazioni operaie a Torino come in tutta
41 Organismo di raccordo a livello regionale tra le sezioni locali e gli organi nazionali del partito, previsto
all’art. 6 dello Statuto del PSI del 1892. Non ovunque si costituirono le Federazioni regionali: oltre a quella
Toscana, è documentata l’esistenza della federazione piemontese, anch’essa svoltasi attraverso 7 congressi
a cadenza annuale fino al 1900. Dopo questa data i congressi regionali non furono più convocati e il Partito
in età giolittiana si basò sulla Sezione comunale e sui congressi nazionali biennali. Solo nel 1912 vi fu un
tentativo di riforma organizzativa con la creazione di federazioni provinciali. La Federazione Regionale
Socialista Toscana si era sviluppata attraverso 7 congressi: Empoli, 3 aprile 1893, Siena, 8-9 aprile 1894,
Firenze 7 aprile 1895, Lucca 17 maggio 1896, Livorno 25 luglio 1897, Firenze, 17 settembre 1899 e 25
novembre 1900. Ved. D. Cherubini Alle origini dei partiti : Federazione socialista toscana, 1893-1900,
Manduria, 1997
42 ACS, CPC, busta 4182
43 Tra i tanti citiamo: P. Spriano “Storia di Torino operaia e socialista”, Torino, 1958; P.P.Bellomi “Lotte di
classe, sindacalismo e riformismo a Torino 1898-1910” in “Storia del movimento operaio, del socialismo e
delle lotte sociali in Piemonte”, vol. 2., Bari, 1979; M. Grandinetti “Il tempo della lotta e dell' organizzazione:
linee di storia della CdL di Torino”, Milano, 1992; M. Scavino, “Con la penna e con la lima. Operai e
intellettuali nella nascita del socialismo torinese. 1889-1893”, Torino, 1999
44 ”La Stampa”, 6.12.1899. Questo il bilancio, poco simpatizzante, dei caratteri del primo movimento
socialista a Torino che traccerà, un trentennio dopo, Piero Gobetti:”La fisionomia del vecchio socialismo
torinese fu data quasi essenzialmente dall'esistenza dell'Alleanza cooperativa, grande organismo economico che
si rivelò capace di sostenere la concorrenza del libero commercio nel provvedere alle esigenze del consumo
ma, in sede politica, fu scuola di collaborazionismo e di spirito burocratico. Né alcuna corrente che divenisse
dominante nel partito ne potè prescindere, perché questa era la vera base finanziaria del partito nella sua
azione locale. Nofri, tecnico del cooperativismo, nel quale potè anche trovare il suo canonicato; Casalini, il
missionario dell'igiene, il medico dei poveri, che lavorando nel suo Comune esauriva tutti i suoi ideali
filantropici; Morgari, l'apostolo popolare nella lotta contro i soprusi e i privilegi, furono le figure emi nenti e
popolari nella psicologia rudimentale delle masse. Il «marchese» Balsamo-Crivelli, il raffinato dell'erudiziene, il
Pastonchi degli studi storici, e il «professore» Zino Zini recarono al quadro i necessari colori romantici, con
la loro adesione aristocratica e filosofica alla causa degli umili e degli oppressi.”
Italia, il nuovo secolo si aprì, per il socialismo piemontese, con la celebrazione del 7. Congresso
regionale, tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui la proposta di alleanza tra i partiti popolari come
elemento permanente della politica socialista, incontrò resistenze nella sezione torinese dove il
riformismo era accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners.
Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e
Oddino Morgari), 17 consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare essenzialmente
alla lotta politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si
accresce di altri nove consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e
accademica.
Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la ricostruzione a metà febbraio 1900 della
Camera del lavoro, con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.
Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai 5500 iniziali a 3500 45, è nominato
nell’aprile 1902 il tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del 1906, ed è
quello della sua segreteria un periodo di ripresa (funestata però da scontri come quello del 17
settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a metà del 1903 gli iscritti sono 8000,
mentre le sezioni sono salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con 528 soci,
dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste tre sezioni comprendono più di un terzo di
tutti gli organizzati.
Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene affidata nella primavera del 1906 a
Oddino Morgari che, tra contrasti di corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un
atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con le controparti, coadiuvato dal
sindaco di Torino, il giolittiano Secondo Frola.
Il movimento rivendicativo,delle masse operaie torinesi nel maggio è di un'ampiezza mai prima
conosciuta. partito il 3 maggio 1906 dalle 800 operaie del cotonificio Bass che richiedono alla
direzione la riduzione dell'orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL, considerata la
disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni forma di lotta, estesosi il 5 ai lavoratori del
settore tessile e il 7 maggio agli operai meccanici e chimici, la proclamazione dello sciopero
generale iI giorno 8 dopo l'uccisioni di un dimostrante e il ferimento di 22
Quasi tutte le categorie richiedono, spesso ottenendoli, miglioramenti salariali e normativi; in alcuni
casi non è nemmeno necessario il ricorso allo sciopero. La favorevole congiuntura economica
consiglia gli imprenditori a non rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe
una perdita di profitto.
Morgari si dimette da segretario della CdL in seguito alla sua elezione alla segreteria nazionale del
PSI nell'ottobre 1906. A maggio 1907 gli iscritti alla CdL sono aumentati da 8768 a 15626 e le
sezioni di mestiere da 68 a 110; scendono a 11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e
a 9.117 nel 1912
Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i riformisti, i quattro delegati della sezione
torinese votano per la mozione Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione in
maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri comunali, commissione esecutiva della CdL)
riformista; solo agli inizi del 1904 l'acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il capoluogo
piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima
precongressuale, a Enrico Ferri è un' anticipazione della scelta di campo della sezione
È Riccardo Momigliano, leader della corrente intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del
«Grido del Popolo», la posizione politica della sezione: non dovrà essere consumata alcuna
scissione, ma non dovranno esserci cedimenti nel senso che il PSI non deve diventare un partito
possibilista accodato a una frazione della democrazia. A Bologna, all'8. Congresso (8-11 aprile
1904), dei sette delegati torinesi sei si pronunciano nella prima votazione a favore dell'odg
presentato da Labriola, mentre uno si astiene. Nella seconda, tutti i voti torinesi confluiscono
sull'OdG presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che prevale e diventa segretario.
Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai
primi socialisti nella loro opera di «apostolato laico». Ora che gli intransigenti hanno conquistato
maggiore spazio nel quadro organizzativo del partito, la propaganda anticlericale tende a uscire
dalle sale di conferenza dei circoli culturali per divenire momento di mobilitazione. Il 22 maggio,
giorno della tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono indetti dai socialisti
45 Contemporaneamente la CdL di Milano conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e 6.000 Bologna
un corteo e un comizio anticlericali. Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione, un
gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere in forma privata il comizio. Le truppe
caricano il corteo e arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente intransigente torinese.
II 2 giugno 1904, nel 22° anniversario della morte di Giuseppe Garibaldi, è organizzato dai
socialisti e dai repubblicani un grande corteo-comizio. Riformisti e rivoluzionari trovano
nell'anticlericalismo un momento unificante di lotta.
Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di un'azienda municipalizzata per l'energia
elettrica, in cui i suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della proposta formulata
dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono condizioni per una convergenza su punti importanti:
dalla riforma delle imposte, all'abolizione delle «spese di lusso», al passaggio al comune di alcuni
servizi pubblici; dall'attuazione di una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo
dei viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora sino al 1911, quando in
coincidenza col dibattito sull'allargamento della cinta daziaria tornarono sulle posizioni critiche dei
liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle dell'antagonismo.
Nel 1906 la mozione “integralista” del deputato torinese Oddino Morgari conquista la maggioranza
della sezione perché, pur basata su posizioni riformiste, offre la possibilità di mantenere una
posizione intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino, per mancanza di partiti affini,
non si pone neppure, diventando una sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico.
Tale facile estremismo riesce al Congresso provinciale a strappare, nonostante la loro aumentata
influenza, la maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti delle sezioni, 14
votano l'ordine del giorno integralista e 11 quello rivoluzionario. Non diverso è l'esito preelettorale
nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è riuscito, nonostante la sua campagna per
il metodo dell'azione diretta fosse stata suffragata dai successi dei lavoratori, a trasformare la
natura, la composizione sociale e l'orientamento del partito in città.
Parte seconda: L’internazionalista comunista
Contro la guerra (1914-15)
Lo scoppio della guerra mondiale agì su Rabezzana, impiegato comunale quarantenne, come un
detonatore delle sue idealità sino ad allora sopite, lo risvegliò nuovamente alla politica su posizioni
sentimentalmente e politicamente partecipi del risentimento popolare contro la guerra.
Senza dimenticare che il suo antico maestro Cipriani, (come l'anarchico russo Kropotkin ed altri
sovversivi) prese posizione a favore della repubblica francese contro il militarismo germanico.
Nella sezione socialista torinese si formò un gruppo di giovani operai che si caratterizzarono per
un massimalismo capace di manifestarsi sia sul terreno dell'agitazione di classe sia su quello della
propaganda ideologica. Fortissima fu, in questo gruppo, la critica agli intellettuali e ai «giovani
puritani», a quegli operai, cioè, che aspiravano a divenir classe dirigente non soltanto con l'azione,
ma anche con l'affermazione e la testimonianza di un costume ascetico di vita. Rabezzana invece,
rivendicava «il sentimento contro la cultura», ovvero la piena libertà di costumi e di pensiero.
La Direzione nazionale del PSI, riunita col Gruppo Parlamentare a Firenze dal 16 al 18 gennaio
1915, confermò l’incompatibilità per gli iscritti al partito della militanza nei Fasci interventisti,
affermò nell’OdG che in caso di guerra il partito avrebbe fatto “esatta valutazione della forza
effettiva del proletariato ma intende dichiarare subito che la borghesia non potrà esonerarsi dalle
tremende responsabilità politiche e storiche cui una mobilitazione non necessaria la esporrebbe”,
ma poi si limitò ad indire manifestazioni in occasione della riapertura della Camera.
La manifestazione per la neutralità deliberata a gennaio dalla Direzione si tenne il 21 febbraio
nelle principali città con comizi e cortei spesso seguiti da scontri con interventisti e polizia. A Milano
aderirono alla manifestazione “contro la guerra e la politica affamatrice” 10.000 persone e
rappresentanze delle Camere del Lavoro di tutta la Lombardia. Altri scontri si verificarono il 24
febbraio a Napoli, ed il giorno dopo a Reggio Emilia dove la polizia uccise un dimostrante. Sempre
a febbraio a Milano si svolse, con tafferugli e scontri, una delle prime adunate dei mussoliniani
“Fasci d’Azione Rivoluzionaria”.
A causa di questi incidenti il governo proibì tutte le manifestazioni pericolose per l'ordine pubblico,
ma in pratica osteggiò solo quelle neutraliste.
In occasione del Primo Maggio furono proibiti i tradizionali cortei perchè si temeva che potessero
trasformarsi in manifestazioni contro la guerra. Di fronte a questi nuovi attacchi la Direzione si riunì
a Milano dal 26 al 29 aprile ma dovette limitarsi a respingere il divieto di manifestazione, poiché
Rigola46 aveva dichiarato la contrarietà della CgdL alla mobilitazione generale contro la guerra. In
questo frangente gli unici neutralisti furono le combattive Sezioni di Torino e Milano e la lotta
solitaria di Bordiga a Napoli.
La tensione cresceva da settimane e la pressione della base operaia di Torino spinse la Sezione
cittadina, assai dubbiosa pur essendo diretta dagli intransigenti, a proclamare per il 17 maggio lo
sciopero generale per contrastare le manifestazioni indette per appoggiare l'ingresso dell'Italia in
guerra, dagli interventisti chiamate "radiose giornate".
Gli operai occuparono le strade formando qualche barricata e il prefetto passò i poteri all'autorità
militare. La forza armata intervenne e la giornata si concluse con un pesante bilancio: 14 feriti e
un morto tra i dimostranti; molti gli arrestati, anche tra i dirigenti, processati poi e condannati dalla
Corte d'Assise. La Camera del lavoro, devastata, venne occupata dall'esercito fino al 25 maggio.
Nell'occasione i dirigenti torinesi Morgari, Buozzi e Pastore erano a Bologna per partecipare alla
Direzione nazionale dove fu adottata la linea riassunta dal segretario Lazzari nella formula "né
aderire né sabotare". La repressione aveva ormai partita vinta. Morgari, rientrato a Torino, girò per
la città con Casalini e Quaglino per persuadere gli scioperanti a riprendere il lavoro.
Con i membri della Commissione Esecutiva della Sezione arrestati, e che rimarranno in carcere
più di tre mesi, viene nominato in un Esecutivo provvisorio in cui erano rappresentate le
irreconciliabili tendenze intransigente e riformista, capeggiate rispettivamente da Barberis e Bruno
Buozzi.
Il 12 luglio 1915 si svolgono le elezioni che vedono contrapposte due liste; quella dei «rigidi» che si
oppone alla partecipazione ai comitati di mobilitazione e in generale a intrattenere durante la
guerra rapporti con le istituzioni statali, con Pietro Rabezzana47, appoggiata da Giuseppe Romita e
dal direttore del «Grido» Bianchi, che però orientò il giornale in senso quasi «patriottico», mentre
l’altra, pur nell’ ossequio alle «ragioni ideali dell’opposizione alla guerra», chiede la partecipazione
ai comitati d’assistenza «in modo che il partito rifulga per doti morali dinanzi ai cittadini» e che
«possa raccogliere tutte le voci di dolore della massa lavoratrice e difenderne tutte le aspirazioni di
fronte all’autorità»48.
Vincono gli intransigenti con uno scarto minimo (257 voti Morgari, 252 Rabezzana, contro i 245 di
Allasia e di Buozzi) e la nuova CE annovera 8 membri della prima lista e tre della seconda.
Rabezzana, eletto segretario della Sezione, è protagonista delle dure polemiche contro ogni
46 Uno dei massimi dirigenti della CGdL. C.Cartiglia Rinaldo Rigola e il sindacalismo riformista in Italia ,
Milano,1976
47 Che comprende anche Francesco Barberis, Odifla Bioletto, Giovanni Boero, Giulio Cattaneo, Francesco
Maina, Oddino Morgari, Domenico Odone, Giovanni Rastaldi, Arturo Terrini, Enrico Vagnone Luigi Gilardi,
Elvira Zocca.
48 Con Leandro Allasia, Vittorio Barge, Giuseppe Balossi, Oreste Bertero, Bruno Buozzi, Lorenzo Bocco,
Giovanni Damonte, Domenico Ghigo, Vincenzo Merlo
genere di patriottismo e delle lotte del proletariato torinese.
La polizia in occasione della visita di Salandra a Torino il 2 febbraio 1916, perquisisce il suo
alloggio e trova un volantino che incita i lavoratori a manifestare contro il presidente del consiglio
sfidando le proibizioni.
Nel marzo 1916 si elegge la nuova Commissione Esecutiva. Votano 300 soci su 600 iscritti e sono
eletti Virginio Boccignoni, Pietro Rabezzana, eletto segretario, Tommaso Cavallo, Attilio Boido,
Giovanni Benso, Elvira Zocca, mentre Barberis per protesta contro i sindacalisti non si candida, ma
la stessa «Stampa» osserva che «quest’anno le elezioni non sono contrassegnate da nessuna
competizione di tendenza: quella intransigente, che si impersonifica in Rabezzana e altri, ha
ancora una volta la sanzione del partito»49
Per il I° maggio i socialisti torinesi progettano di indire un pubblico comizio e un corteo. Inviano una
lettera al Prefetto Verdinois (che ha sostituito il giolittiano Vittorelli con l’ascesa al governo di
Salandra) e questi, consultatosi con il ministro dell’Interno, li diffida dal mettere in opera un
proposito che contravviene alle disposizioni del periodo bellico. Pietro Rabezzana non si impegna
ad accettare tale diffida tanto che il prefetto chiede rinforzi di truppa al comando generale dei
carabinieri e al ministero della guerra (150 carabinieri e 300 soldati di cavalleria). Il Consiglio
dell’Associazione Generale degli Operai (AGO) obbedisce invece all’ingiunzione proibendo partito
l’uso dei propri locali, e quando il I° maggio Rabezzana guida un corteo non autorizzato verso la
sede dell’AGO trova il portone chiuso dai riformisti, contrari a superare i limiti di legge. Dodici
militanti vengono arrestato dinanzi al palazzo chiuso «perché invitati ad allontanarsi non
obbediscono agli ordini», tra questi l’anarchico Ilario Margarita e Pietro Rabezzana.
Rabezzana, che La Stampa bolla come «l’impersonificazione dell’intransigentismo» e che già ha
subito la prima condanna a 100 giorni nel 1915, è condannato a 60 giorni commutati in 30 dal
giudizio d’appello. Ottiene poi la libertà vigilata e soprattutto il raggiungimento del suo obiettivo:
quel I° primo maggio è giorno di sciopero in tutta la città e il segretario del PSI, Costantino Lazzari
di ritorno dal convegno di Kienthal del 24-30 aprile, può parlare alla folla festante dei lavoratori.
Col 1. Maggio 1916 assume la responsabilità della pagina torinese dell’Avanti!, avendo come
redattori Ottavio Pastore, Antonio Gramsci, Leo Galetto.
Per un nuovo internazionalismo (1916-17)
Rabezzana uscito dal carcere nell’estate del 1916 intraprende con Barberis una serie di
conferenze sul tema dell’Unione dei lavoratori del mondo, concetto che egli reputa superiore a
quello di Internazionale. Quest’ultimo, infatti, «ammette il concetto di nazione e questo concetto
deve dimenticarsi. Dobbiamo allargarlo nel più vero concetto di Unione proletaria del mondo in
modo da determinare la decadenza della borghesia».
Volgendosi al passato, il Rabezzana ricorda che “nell’ultimo decennio il partito ha avuto due
revisioni. Bernstein ha introdotto il concetto del riformismo che ha dato cattiva prova. E allora è
venuto il sindacalismo a riportare il nostro movimento alle fonti del marxismo e a far comprendere
che le organizzazioni sindacali saranno i fulcri della futura società. Sull’ organizzazione sindacale,
insomma, si fonda la rivoluzione sociale. Ed il proletariato dovrà basare la sua politica su questa
organizzazione economica”
Le affermazioni sono abbastanza rivelatrici del timbro che possiede il suo estremismo che si
ricollega ai motivi soreliani. Sono i germi di un filone di pensiero che permeò, in diversa misura e
49 La Stampa, 9 aprile 1916
con variazioni d’accento, tutta un’ala rivoluzionaria del movimento operaio torinese ed avrà un
ruolo non indifferente nella vicenda ordinovista dei consigli di fabbrica, avvicinandolo agli anarchici
del Fascio libertario, composto di una cinquantina di soci secondo un rapporto prefettizio.
Soprattutto, attraverso l’azione di Garino e di Ferrero, nelle fabbriche, nell’ organizzazione
sindacale, massimalisti e libertari danno le stesse battaglie di corrente, pur essendo ancora in
minoranza.
Il 2 settembre 1916 si tiene nel salone dell’AGO un comizio per scongiurare l’esecuzione dell’
anarchico Carlo Tresca, emigrato negli Stati Uniti dove viene imputato di «complotto diretto a
commettere assassini», in seguito a un grande sciopero di minatori nel Minnesota, in cui prendono
la parola Rabezzana, Barberis, Boccignoni, Maria Giudice, Leopoldo Cavallo, e Ilario Margarita,
per gli anarchici. I giovani improvvisano un corteo, che giunge dinanzi al caffè Ligure. Molti
dimostranti sono arrestati. I fermati sono condannati tra i 30 e i 45 giorni.
Rabezzana è arrestato l’8 settembre per la diffusione ad una manifestazione del manifesto di
Kienthal, ed è condannato il 22 a 82 giorni .
A fine anno in un’assemblea della Sezione50 sul banco degli accusati è l’affermazione di Turati alla
Camera del 17 dicembre sulla necessità di difendere i confini della patria, anzi di «rettificarli in
modo che all’Italia spetti ciò che veramente e indiscutibilmente è italiano».
Una mozione presentata da Elvira Zocca disapprova apertamente il discorso e impegna i
compagni a «continuare ed intensificare quell’opera per la pace immediata che è stata già
iniziata». Il compagno Faggiano si alza per primo per rispondere a Turati: «L’ultimo proletario
austriaco è più stimabile del primo borghese italiano». Boccignoni assicura che «Torino socialista
ha superato la questione della patria». Rabezzana aggiunge che «tutta la sezione senza equivoci
si è espressa sulla questione della nazionalità» Oberti insiste sull’opportunità dì dare un nuovo
impulso alla lotta per la pace finché Elvira Zocca propone la sua mozione. Rabezzana affermò che
«non bisogna perdere tempo e lavorare attivamente per una insurrezione generale, impadronirsi
delle bombe, che si fabbricano in grande quantità in tante officine di Torino, per adoperarle contro i
soldati»51
Mentre Barberis presentava, il 12 febbraio 1917, al congresso provinciale di Torino, un’ordine del
giorno, poi approvato, che auspicava che «il Partito socialista, italiano, in una con tutti i partiti o le
frazioni di partito rimasti fedeli al socialismo, abbandonasse la vecchia Internazionale e lavorasse
alla ricostituzione e alla affermazione di una nuova Internazionale» molti compagni di partito, come
Rabezzana, si spingevano (per ispirazione anarco-sindacalista o magari luxemburghiana) a
negare le nazionalità in nome dell’Unione internazionale.
Al «convegno di consultazione» sull’atteggiamento pratico da tenersi nel corso della guerra indetto
dal PSI il 25 febbraio 1917 a Roma Rabezzana portò con Barberis, Maria Giudice, Chiappo (in
rappresentanza dei giovani) un mandato vincolante in senso «intransigentissimo» (con
l’opposizione di Antonio Oberti, Luigi Castagno, A. De Giovanni, Bruno Buozzi): «Tagliare tutti i
ponti con la borghesia, ordinando a tutti gli iscritti di ritirarsi da qualsiasi comitato sia esso di
assistenza o di mobilitazione civile... I compagni che tengono pubbliche cariche nelle
amministrazioni comunali e provinciali [debbono] tenersi pronti all’abbandono immediato e
simultaneo di tali cariche» ed è perciò tra i portatori dei quattordicimila mandati per Bordiga contro
Rossi, di Genova, favorevole all’operato della direzione, che ne ottiene diciassettemila. È in questo
periodo che Rabezzana strinse stretti rapporti con Bordiga.
Nella sezione torinese del partito i «rigidi» conducono una polemica con fini precongressuali,
proponendosi di schierare la maggioranza della sezione su posizioni non solo genericamente
intransigenti, ma tali da contenere una nota di biasimo per «la pusillanimità del gruppo
parlamentare socialista e della CGL», da chiedere l’espulsione dal partito dei membri che fanno
parte dei comitati di mobilitazione. Nell’assemblea sezionale del 17 luglio in riferimento al discorso
di Treves che alla Camera aveva detto “il prossimo inverno non più in trincea” propone un’«azione
nazionale per far cessare la guerra prima dell’inverno» e attacca personalmente Morgari 52,
50 In Grido del popolo del 6 gennaio 1917
51 Rapporto all’autorità giudiziaria del commissario di P.S. del rione Monviso. In Acs Guerra Busta 31
52 ACS, sunti della situazione province.
accusandolo di non aver fatto nulla di serio per la pace nelle sue missioni all’estero e chiedendogli
di “giustificare come egli abbia speso i denari del partito con lo starsene tre mesi all’estero”
Nel rapporto del 16 luglio 1917 sullo stato delle cose tra i socialisti torinesi il prefetto Verdinois così
afferma: ”La frazione rigida non rappresenta un organismo vero e proprio di consociati ma una
accozzaglia acefala dei più scalmanati contro la guerra, frammisti agli anarchici pure iscritti al P.S.
E al seguito di Rabezzana, Giudice, Barberis, accozzaglia che cresce e diminuisce di numero a
seconda degli argomenti che vengono trattati nelle assemblee ma che finora rimane minoranza,
sebbene minoranza capace al momento opportuno di travolgere un’assemblea e spingerla a
deliberazioni gravi nei riflessi dell’ordine pubblico.”
La direzione del partito, riunita a Firenze dal 23 al 27 luglio 1917 fissa per settembre la
convocazione del congresso (che sarà però rinviato per un anno ancora). In quella riunione la
frattura nel partito si mostra insanabile. Di qui può datare la formazione di una «frazione
intransigente rivoluzionaria» o «massimalista» che annovera soprattutto a Milano, a Napoli, a
Firenze e a Torino i suoi maggiori esponenti e che si prepara a dare battaglia non solo contro la
tradizionale destra parlamentare e sindacale, ma contro il segretario Lazzari, centrista, con punte
polemiche anche verso Serrati.
È nella prima metà di agosto, che a Firenze, attorno ad Egidio Gennari, che ha ora assunto anche
la direzione della sezione cittadina, all’on. Caroti di Livorno, a Spartaco Lavagnini, a Gino Pesci,
all’avvocato Trozzi di Sulmona, a Salvatori di Viareggio e ad altri compagni, che si prepara la
piattaforma precongressuale della «frazione intransigente rivoluzionaria». Il settimanale «La
Difesa»diretto da Egidio Gennari e «Il Grido del Popolo» di Torino diventano i due organi di stampa
più battaglieri della frazione.
Una circolare53 a stampa datata Firenze 23 agosto 1917 comunica che, in vista del congresso, «le
sezioni e federazioni provinciali di Firenze, di Milano, di Torino, di Napoli e altre minori decisero di
costituire il primo nucleo della Frazione Intransigente Rivoluzionaria procedendo alla nomina del
CE, sede Firenze».
Nei rigidi il punto massimo di differenziazione investe l’atteggiamento da tenere nel caso di
«agitazioni che abbiano contenuto rivoluzionario». Non si parla di provocarle o di organizzarle.
Eppure, la diatriba teorico-politica è superata dagli avvenimenti che travolgono con sé proprio in
quei giorni le masse lavoratrici torinesi. Tre membri della frazione torinese, Pietro Rabezzana,
Giovanni Boero e Arturo Terrini trasmettono il programma al segretario del partito Costantino
Lazzari, che risponde54 il 24 agosto, quando la sommossa di Torino divampa ormai da due giorni.
Dalla rivolta di Torino al dopoguerra (1917-20 )
A Torino l'opposizione alla Grande Guerra è vivissima sin dall'inizio, dal 1914: la presenza in città
della grande industria ne hanno fatto in pochi mesi la prima città industriale italiana, gli operai sono
diventati centinaia di migliaia, ma il guadagno reale continua a scendere, e inoltre i generi di prima
necessità continuano ad essere irreperibili. Da qui cresce e si diffonde un forte malcontento, che
sfocia già nel 1915 a grandi scioperi e manifestazioni di piazza, che portano in piazza decine di
migliaia di operai.
Il 1917 è l'anno peggiore, tre anni di guerra hanno portato le condizioni di vita del proletariato
urbano al limite, alle quali si aggiunge, tra marzo e agosto, una costante penuria di pane.
53 ACS, Guerra, busta 46. La circolare a nome del Comitato Esecutivo della frazione afferma i seguenti
punti: a) ripudio del concetto di patria borghese; b) nessun residuo ideologico borghese; «bisogna avvalersi
di ogni debolezza delle classi capitalistiche»; c) l’azione socialista deve esplicarsi esclusivamente sui terreno
della lotta di classe;d) il partito deve ricordare che la violenza è l’ostetrica di tutte le vecchie società gravide
di una nuova. Partendo da tali presupposti, il XV congresso, continua il documento, deve proclamare il diritto
del proletariato di instaurare la sua dittatura. Accogliendo l’appello lanciato dal Soviet russo, in previsione di
eventuali moti, conseguenza naturale della crisi bellica e del disagio morale e materiale che sempre più si
estende e si aggrava, si propone di seguire e guidare le agitazioni che abbiano contenuto rivoluzionario, per
coordinarle e condurle al fine di imporre la pace immediata e di proseguire la lotta contro le istituzioni
borghesi; non solo sul terreno politico, ma con l’espropriazione.
Scendono in agitazione e in sciopero in questi mesi decine di fabbriche torinesi, dalle metallurgiche
alle automobilistiche, e alle rivendicazioni economiche si intreccia la propaganda per la pace e,
poiché proprio in questo periodo giungono gli echi della rivoluzione russa del febbraio, sempre più
spesso la parola d'ordine diventa di "fare come in Russia".
Il 21 agosto la situazione precipita, e si contano almeno 80 fornai chiusi: gruppi di donne
manifestano davanti alla Prefettura e al Municipio, mentre il giorno successivo iniziano le battaglie
in strada.
Nel quartiere Vanchiglia la folla attacca la caserma delle guardie, che sparano ferendo tre
dimostranti, gli scontri si allargano a macchia d'olio in tutta la città, mentre sempre più operai
scendono in sciopero.
Il 23 lo sciopero è spontaneo e chiaramente preinsurrezionale in tutta la città, i negozi vengono
saccheggiati, in tutti i quartieri vengono erette barricate, gli scontri a fuoco si moltiplicano, i roghi
cominciano ad essere appiccati in punti nevralgici della città. È in questa giornata che si contano i
primi due morti della rivolta, uccisi dalle guardie in Piazza Statuto.
Il 24 è la giornata culminante dell'insurrezione. Nella mattinata tutti i quartieri operai periferici sono
in mano al popolo insorto (verranno definiti la "cintura rossa"), mentre il centro città è presidiato
dall'esercito; gli operai spingono tutt'intorno al centro, cercando di convincere i soldati tramite
manifesti, volantini e donne infiltrate, o perlomeno di disarmarli, con un susseguirsi di piccoli
combattimenti. I risultati di questo tentativo di fraternizzazione con i soldati sono del tutto deludenti,
in quanto tra le forze armate è mancato, e manca, un lavoro di propaganda e un centro ideologico
ed organizzativo.
Gli sconti spontanei sono ormai dilagati in tutta la città, ma gli insorti, male o per niente armati, si
scontrano con la forza pubblica che utilizza mitragliatrici e tank. A sud della città un dimostrante e
54 Questa la risposta di Lazzari, sequestrata dalla censura, in ACS, Guerra, 1915-18, fascicolo «Torino,
agitazione c la guerra», busta 31 “Cari compagni, ho letto attentamente il programma di frazione che mi
avete mandato. Voi affermate: 1) non essere conforme all’assoluta intransigenza la teoria di non favorire né
sabotare la guerra; 2) essere necessario per tale intransigenza smentire la mia frase contraria alla
indifferenza tra un padrone italiano e un padrone austriaco, perché cosi viene ad essere negata la
continuità e l’internazionalità dello sfruttamento capitalistico e si valorizza il concetto di nazionalità, che
dovrebbe essere bandito per sempre dalla coscienza del lavoratore. Le vostre osservazioni sono giuste in
astratto. Ma se voi giudicate la mia posizione come vuole la ragione e l’esperienza, attraverso il tempo e lo
spazio, voi non potete fare a meno di ricordare che essa dovette essere subordinata a quella dolorosa
constatazione di fatto rilevata dalla riunione generale di Bologna del 16 maggio 1915 nella quale la mancata
compattezza nazionale e ancora più quella internazionale delle organizzazioni e del partito ci rese
impossibile di impedire con un generale movimento di resistenza lo effettuarsi della minacciata dichiarazione
di guerra, come noi volevamo e come io appunto sostenevo. Partendo da questo fatto, tenuto conto della
nostra dottrina ripugnante ai metodi di sabotaggio, che sono per loro natura individuali e non potrebbero
essere diversamente, data la condizione di minoranza in cui si trova il movimento nostro anche nel nostro
Paese, io vi domando se e come voi possiate sentire il coraggio di sostenere e di fare un’azione diversa da
quella formulata nella tesi che voi ripudiate. Il Partito socialista ha una tradizione di miglioramento sociale e
di bontà e non può mettere a suo carico la responsabilità di aumentare i danni e i dolori. Voi come frazione
potete benissimo spregiare questo dovere morale ma come partito, chi ha la responsabilità di condurre
incolume il nostro movimento attraverso le presenti difficoltà non può non tenerne conto. In quanto alla
vostra seconda proposizione voi non potete a me no di riconoscere che in un regime di dominio straniero
tutte le forze politiche sono naturalmente rivolte a impedire che nei territori dominati le forze economiche
indigene possano liberamente e indipendentemente svilupparsi in concorrenza alle forze economiche
straniere, e quindi come tale compressione esercitata anche soltanto coi mezzi della tecnica capitalistica
impedisca quello stato di progresso e di civiltà che è dato dalla formazione delle classi le quali sono la forza
e la ragione del nostro movimento. Noi abbiamo sempre riconosciuto come un bene per la causa del
progresso e dell’umanità il raggiungimento della unità e indipendenza delle nazioni, cominciando dalla
nostra. Però, in quarant’anni di azione di propaganda, io non ho mancato mai ai doveri della dottrina
internazionalista la quale non ha affatto bisogno di sacrificare il naturale sentimento di preferenza e di amore
per il paese nativo, considerato non per le sue istituzioni politiche ed economiche ma per il fatto della
convivenza in esso di tanti lavoratori simili a noi nello spirito, nelle condizioni, nei costumi. Non possiamo
senza danno per il progresso del partito che amiamo sopra ogni cosa metterci in contrasto con simile
sentimento naturale il cui riconoscimento può essere sfruttato dai nostri nemici, ma non da noi che sopra di
esso mettiamo la necessità e la possibilità di agire per l’emancipazione del proletariato internazionale..."
un soldato restano uccisi in barriera Nizza, mentre la battaglia continua in San Paolo.
Ma è a nord che la lotta è più dura: sulla Dora ed in Corso Vercelli l'esercito riesce infine ad
espugnare le barricate erette dai rivoltosi, mentre in Corso Novara i dimostranti hanno la meglio,
occupano il commissariato di Corso Mosca, superano Porta Palazzo e si dirigono verso il centro.
Le parole del cronista di "Stato Operaio" danno un'idea di ciò che accade: "La folla sente che può
vincere e lotta con furore, con eroismo: semina le strade di morti e di feriti. Ma la riscossa della
forza pubblica è terribile. Entrano in campo le automobili blindate e si scagliano a corsa folle per le
vie gremite, scaricando le mitragliatrici all'impazzata sulla gente che fugge, su coloro che
resistono, nelle finestre delle case, nelle porte, nei negozi alla cieca. I morti non si contano e
l'attacco dei rivoltosi è respinto ancora una volta. In questo momento la folla si spezzetta nel
dedalo delle vie che stanno tra il centro e Corso Regina Margherita e lungo questo corso. Cento
combattimenti individuali e di piccoli gruppi hanno luogo e gli operai e le donne operaie dimostrano
cento volte il loro coraggio, il loro eroismo".
Nel pomeriggio gli scontri continuano e un gruppo di donne disarmate cera di frenare l'avanzata
dei carri armati in Corso Regina: i tank continuano ad avanzare, mentre le donne vi si lanciano
sopra, aggrappandosi alle mitragliatrici e cercando di convincere i soldati a buttare le armi. I carri
armati sono costretti ad arrestarsi.
Solo verso sera, con carri armati e mitragliatrici, le truppe riescono a fermare gli scontri nelle zone
più agguerrite.
Il bilancio al termine di questa giornata è pesante: ventuno morti tra i manifestanti, tre tra le forze di
polizia, un centinaio di feriti e millecinquecento arresti.
Sabato 25 agosto si notano i primi segni del rifluire del moto operaio, gli scontri si susseguono
ancora in tutta la città ma i manifestanti non tentano più di arrivare al centro, si limitano a difendere
i propri quartieri; la domenica l'insurrezione è praticamente battuta,anche se lo sciopero continua
compatto.
"Stato Operaio" scriverà dell'insurrezione di Torino, dieci anni dopo: "Le donne operaie e gli operai
che insorsero nell'agosto a Torino che presero le armi, combatterono e caddero come eroi, non
soltanto erano contro la guerra, ma volevano che la guerra terminasse con la disfatta dell'esercito
della borghesia italiana e con una vittoria di classe del proletariato."
All’inizio di agosto, a tre settimane dallo scoppio della rivolta, il 6, l’8, il 10 agosto la frazione
torinese dei «rigidi» tiene riunioni separate, ma esse si muovono unicamente attorno all’attività
interna di partito da condurre, escludendo assolutamente ogni preparazione concreta
all’insurrezione
Morgari, Romita e Serrati il 13 agosto 1917 ricevettero alla Casa del popolo di Torino i
rappresentanti dei Soviet di Pietrogrado che stavano compiendo un giro di propaganda noi paesi
dell'Intesa. Si tenne anche un comizio affollatissimo, il primo dall'inizio della guerra.
Il 22 agosto scoppiò a Torino uno sciopero determinato dalla carenza di generi alimentari, che
assunse subito carattere politico e si trasformò in aperta rivolta contro la guerra 55. Dalla
testimonianza resa al processo per i moti dell'agosto dal segretario della CdL Dalberto, egli si mise
in contatto prima con Rigola a Biella che rifiutò di intervenire, poi si rivolse ai deputati Casalini in
vacanza e Morgari a Roma, perchè rientrassero.
Nella notte tra sabato e domenica furono arrestati quasi tutti i membri delle commissioni esecutive
della sezione socialista e della CdL, molti segretari di Leghe e Circoli e parecchi altri compagni tra i
più noti, che decisero di affidare ai deputati socialisti torinesi (Casalini, De Giovanni, Morgari) il
compito di funzionare da direttivo provvisorio.
Nonostante la sospensione dei moti, o forse proprio per questo, nella notte tutti i principali «capi»
socialisti e operai, a eccezione di Barberis (il quale riesce a nascondersi nella sede dell’Alleanza
cooperativa torinese), sono arrestati: finiscono in carcere Romita, Maria Giudice, Elvira Zocca,
Pietro Rabezzana, Virgilio Boccigoani, Giuseppe Pianezza, Luigi Borghi, Luigi Chignoli, Ottavio
Pastore, Alessandro Uberti, Mario Montagnana, Saverio d’Alberto, Anselmo Acutis, Leopoldo
Cavallo, Antonio Oberti e altri: ventiquattro in tutto. Gli arresti tuttavia proseguiranno raggiungendo,
in pochi giorni, il migliaio…….Pianezza, che era in carcere sin dal giorno 13 per aver incitato la
folla a rovesciare la monarchia, sarà condannato a tre anni e un mese di carcere. La Giudice
resterà in galera sino a guerra finita. Barberis, successivamente preso, sarà condannato a sei anni
55 G. Carcano, Cronaca di una rivolta: i moti torinesi del '17 Torino, 1977
e verrà amnistiato solo nel 1919.
Rabezzana sarà condannato a quattro anni di carcere che però non scontò interamente , dopo
esser stato arrestato a casa propria nella notte del 25 Al processo non esitò a proclamare dinanzi
ai giudici: «Se avessimo diretto i moti, che sono stati assolutamente spontanei, essi sarebbero
andati ben diversamente!» E ripeterà, ancora: «Noi non abbiamo proclamato e provocato lo
sciopero a Torino, ma adesso però i mi associo e dichiaro con esso una piena solidarietà» . E non
meno di lui, Francesco Barberis affermerà che « non sconfessa niente». «Pur non avendo preso
parte ai moti, non organizzati dal partito, mi sento più responsabile degli altri» .
Il 26 agosto il C.E. Provvisorio presentò per il visto al Comando del Corpo d'Armata, che aveva
assunto la tutela dell'ordine pubblico, il seguente manifesto: "Lavoratori Torinesi: L’inefficienza del
Governo Centrale, l’ignavia dell’ Amministrazione cittadina, le provocazioni indicibili del potere
politico locale, vi hanno fatto scattare unanimi in un movimento di sciopero generale, meraviglioso,
forte, ammonitore ed esemplare. Scoppiato per la mancanza del pane, esso si è subito tramutato
in una decisa manifestazione contro la guerra, che tanti lutti ha . seminato e tanto sdegno suscita
in ogni animo, in tutti i paesi. La forza brutale dello stato borghese, la incoscienza da parte dei
proletari vestiti in divisa, la dolorosa impreparazione della nostra organizzazione ad una azione
risolutiva, ci costringono a consigliarvi a tornare lunedì al lavoro. Non è consiglio di viltà quello che
vi diamo, ma di saggezza e di forza. Noi intendiamo che non solo questo grandioso movimento
proletario torinese sia avvertimento serio e definitivo al governo monarchico borghese, perchè
cessi questa strage inutile e inumana, ma indichi anche a tutti i proletari d’Italia ed
all’Internazionale il dovere di una più intensa e definitiva preparazione. Torniamo al lavoro, o
compagni, ma torniamo colla coscienza di aver compiuto un atto coraggioso degno e fecondo
senza dedizioni e senza rinunzie. E’ stato sparso sangue proletario, ma non invano. Salutiamo le
vittime con una promessa di prossima, preparata rivincita. Salutiamole al grido: “Viva lo sciopero
generale. Viva la pace. Abbasso la guerra!”
E poiché il nulla osta fu negato, consegnano il 27 al generale Sartirana il testo di un nuovo
manifesto assai più moderato e breve: “Ai lavoratori torinesi: Compagni! Avendo accettato di
rappresentare provvisoriamente le oprganizzazioni che per i noti eventi non possono regolarmente
funzionare....crediamo nostro dovere avvertirvi che le nostre organizzazioni hanno delberato di
invitarvi a riprendere il lavoro lunedì corrente. Mandiamo intanto un riverente saluto alle vittime
cadute con quella fede che rimarrà intatta nei nostri cuori”
Nel 1917 oltre alla rivolta di Torino si registrarono una più vigorosa opposizione alla guerra e
anche alcuni atti di sabotaggio. La stampa borghese incominciò a parlare di bolscevizzazione e di
«pericolo di un sabotamento proletario della guerra». Materiale di propaganda socialista
internazionalista e pacifista veniva distribuito clandestinamente e talvolta giungeva anche fra le
truppe al fronte grazie «alle cassette di munizioni, sul cui fondo si nascondono dei manifesti
sediziosi» Le autorità militari erano anche molto preoccupate per la frequenza con cui andavano
ripetendosi incidenti nei principali stabilimenti militari.
“Noi siamo un partito che è costruito da trent’anni e da trent’anni combattiamo la guerra...(...)...c’è
il patriottismo dei signori che crede possa la gloria e il benessere della patria realizzarsi solo
nell’espansionismo e vi è il patriottismo della povera gente, il nostro, che cerca il benessere e la
gloria della patria nello sviluppo interno delle risorse interne,. La guerra è il vero sabotaggio della
guerra. Voi sabotate la razza; è la distruzione dei giovani, dei validi che imperversa”56
Il 1918 iniziò con una ventata di reazione antisocialista. Il 24 gennaio il governo ordinò l'arresto del
segretario politico del P.S.I. Lazzari e del vice-segretario Bombacci, per il loro atteggiamento «in
evidente contrasto con le necessità della difesa nazionale».
“Intanto, con l'amnistia del 21 febbraio 1919 (ministero Orlando) tutti i condannati per i fatti di
agosto del 1917 erano stati scarcerati. Tra essi due figure di primo piano: per Torino Pietro
Rabezzana e, sul piano nazionale, Giacinto Menotti Serrati. Rabezzana riprese la sua attività di
militante a Torino. Come Boero, era un uomo sulla quarantina. Celibe, alto, snello, capelli scuri,
occhi severi, portava occhiali da professore. Non aveva nulla dell'impiegato comunale, che pure
era la sua professione. Aveva, piuttosto, qualcosa del Savonarola senza tonaca. Era difatti un
"rigorista" nella vita privata e un "rigido" in politica. In quanto tale era il vero capo e ispiratore di
questa frazione estremista. La sua adesione al socialismo era avvenuta un po' tardi, attorno al
56 In Avanti!, 10 novembre 1917
1914, ma aveva già un magnifico, passato di combattente rivoluzionario. A vent'anni, nel 1897,
democratico e repubblicano, si era arruolato per difendere l'indipendenza dei greci contro i turchi.
Si batti a Domokòs, in Tessaglia, insieme ad Amilcare Cipriani; di questo passato gli era rimasta la
sicura intrepidezza dell'uomo che crede nelle cose che dice e che fa.
Appena uscito dal carcere, Rabezzana si rimise al lavoro nella sezione socialista. Era un oratore
efficace, caldo ma pacato, un espositore convincente. Più che marxista, lo direi razionalista e
giacobino. Un giorno - eravamo, credo, in marzo - si doveva andare in prefettura per ottenere
l'autorizzazione a una manifestazione: il prefetto, Paolino Taddei, un funzionario che si pretendeva
liberale e che dovrà avere tanta parte nella storia del movimento operaio torinese e poi nei rapporti
col fascismo, non la voleva concedere. Accompagnai Rabezzana come giornalista, e ricordo
ancora il tono dignitoso, asciutto, con il quale si rivolse al prefetto. "Vengo," disse iniziando il suo
di- scorso con i pugni stretti sul tavolo, "da potenza a potenza." Scandí queste parole lentamente,
quasi sillabandole. Il prefetto, in piedi, ascoltava con rispetto. Capiva che i tempi erano mutati
davvero e che il carcerato per "disfattismo" e per "tradimento indiretto" era, in quel momento, il
portavoce di una potenza che si veniva affermando: la classe operaia. Tornammo in corso Siccardi
con l'autorizzazione richiesta: la "potenza" proletaria l'aveva strappata a quella statale. Cosí, e
cosí soltanto, si ponevano ormai i termini della lotta: potenza contro potenza, classe contro
classe.57
Delegato dalla sezione torinese al congresso di Bologna (5-8 ottobre1919) coi massimalisti
Barberis, Frola, Pagella, Pastore, Romita (con cui ha consentito pure l'«Ordine nuovo» e che sono
uniti sino ai «rigidi» più anziani, o «vecchi», anche in quanto si riconoscono nella tradizione
socialista), gli astensionisti Boero e Parodi e Casalini per i riformisti, Rabezzana presenta la
mozione comunista elezionista in contrapposizione agli astensionisti Boero e Parodi.
Dopo 6 anni dalle precedenti elezioni, il 16 novembre 1919 si svolsero le prime elezioni politiche a
suffragio universale maschile con il sistema proporzionale basato su collegi pluri-provinciali al
posto dei collegi uninominali, tradizionale appannaggio dei “notabili” i quali presentatisi divisi in
varie liste ”“liberali”, ottennero solo metà dei seggi. Notevole l’affermazione dei partiti organizzati: il
PSI ottenne un terzo dei voti con 156 deputati su 508 e il Partito Popolare, espressione dei
cattolici, che si presentava per prima volta, ne ottenne 100. Rabezzana fu eletto alla Camera dei
deputati dal collegio di Torino per il PSI (ancora unito prima della scissione comunista) con 39.291
voti di preferenza su 116.000 votanti.
Da una corrispondenza di Silvia Pankurst apprendiamo che "Rabezzana (segretario della
sezione) e altri chiedono che ogno membro socialista del Parlamento sia tenuto al momento della
candidatura a rimettere al Comitato Esecutivo del Partito una lettera di dimissioni scritte
anticipatamente e di cui il Partito potrebbe servirsi qualora il suo rappresentante dovesse deviare
dalla linea politica stabilita"58
Nel 1920 Rabezzana viene nominato direttore e gerente dell'organo della federazione provinciale
del PSI Falce e martello
Missione in Sicilia (1920)
La Sicilia fu interessata da imponenti movimenti popolari soprattutto contadini ma anche
operai, quando i fanti reduci dalla guerra reclamarono l'adempimento delle promesse di
distribuzione delle terre fatte loro mentre combattevano nelle trincee. In Sicilia comunque le
organizzazioni di classe erano da tempo presenti e avevano inaugurato già alla fine
dell'800 con i "Fasci siciliani" un'importante stagione di lotte che le poneva alla pari di
quelle del nord Italia. 59
Al 1. Congresso regionale dei contadini, svoltosi a Palermo nel feb braio 1920, i socialisti si
57 A. Leonetti “Un comunista”, Milano, 1977, pag. 35-36
58S.Pankurst "L'Italie devant la revolution", "International Communiste" 1920, pag. 1005-10
divisero sull'occupazione delle terre: il massimalista Alongi sosten ne l'azione diretta per
l'occupazione dei latifondi e la loro socializzazione, il riformista Loncao propose di costituire
un demanio comunale comprendente gli usi civici già di proprietà dei comuni prima del 1820;
il centrista Vacirca auspicò una legge per affidare la coltivazione di tenute e feudi
superiori a 200 ettari a cooperative di contadini, cui assegnare i mezzi tecnico-finanziari
«adeguati all'assolvimento del loro compito sociale»; per la Giudice occorreva respingere
ogni iniziativa bor ghese, ingannevole in quanto tale, e avere fiducia solo nella forza dei
lavoratori. Prevalse la posizione di Alongi che divenne quella ufficiale del PSI 60
Il 22 aprile 1920 il decreto Falcioni istituì commissioni provinciali con competenza a decidere sulla
concessione di terre e introdusse sanzioni penali a carico degli invasori di terreni. Ciò non ostante a
fine maggio a Vittoria i socialisti confermarono la scelta per l'azione diretta e formarono un
comitato regionale per coordinare le organizzazione comunali e provinciali dei lavoratori agricoli. In
successive riunioni a Salemi, Marsala, Lentini, Siracusa, Catania, le organizzazioni contadine
chiesero l'esproprio delle terre senza indennità in favore cooperative agricole formate di
contadini salariati e piccoli proprietari, respingendo qualsiasi proroga dei contratti di fitto dei
latifondi e protestando contro il governo che escludeva dai provvedimenti i coltivatori aderenti alla
alla Federterra aderente alla CGdL, mentre favoriva le cooperative collegate con l'ANC e l'Opera
Nazionale Combattenti (ONC) .
In un convegno a Palermo all'inizio dell'autunno, che espresse insoddisfazione per i decreti
Visocchi e Falcioni perché i contadini esigevano non l'assegnazione delle terre incolte ma la
formazione di un nuovo sistema contrattuale agricolo e la risoluzione «in modo uniforme e
radicale» del problema del latifondo, furono posti gli obiettivi della seconda ondata di occupazioni, che iniziò nella tarda estate del 1920 superando per qualità, estensione e partecipazione di masse, quella del precedente anno. "Piú coscienti dei propri diritti e meglio organizzati, i lavo ratori marciavano sui feudi calmi e decisi, suscitando perciò lo stupore degli stessi agrari, i quali coglievano nei volti dei contadini un qualcosa di
nuovo, di vivo, di energico, che li faceva raffigurare ad un esercito di cavalieri antichi. Le lunghe
file di lavoratori si muovevano dai paesi con carri, muli, cavalli, a piedi, al suono di tamburi,
trombe, organetti e fischietti e al canto di inni rivoluzionari o in mezzo a bandiere rosse lo
sparo di bombe e il suono e il canto dei propri inni"61.
Rabezzana, come altri deputati socialisti, 62 fu inviato dalla Direzione del PSI nel 1919-20 in
Sicilia per svolgere attività di propaganda e intervenire nella situazione 63
La presenza dei dirigenti socialisti nazionali doveva dimostrare l'interesse per le lotte
59 Renda I fasci siciliani, Torino, 1972
60 Nel corso dei lavori venne approvato un ordine del giorno proposto da Maria Giudice, in cui era
ricordato che le leggi borghesi restano lettera morta «fino a che il proletariato non le impone
con la propria forza», si auspicava il rafforzamento delle organizzazioni proletarie perché i lavoratori
divenissero capaci «di invadere il latifondo ed imporre mediante la propria forza e la solidarietà del
proletariato la socializzazione»; considerato poi «che la questione del latifondo è questione non solo
siciliana, ma italiana», si invitavano la FNLT, la CGL e il PSI a indire un congresso nazionale « per
tracciare definitivamente e preparare un'univoca azione per la risoluzione del grande problema » (Cfr.
Giornale di Sicilia, 9-10 febbraio 1920 e La Dittatura proletaria, 14.2.1920).
61 G.Miccichè Dopoguerra e fascismo in Sicilia 1919-1927, Roma, 1976
62 F.Lo Sardo "Nessuno lo dimentichi", Verona, 1981, p. 46: in Sicilia nel primo dopoguerra "Il movimento
socialista venne incoraggiato e propagandato da deputati del settentrione come Bellagarda, Bombacci,
Manzi, Rabezzana e dai dirigenti locali Lo Sardo, Calì, Caminiti, Maria Giudice, Sapienza, Grammatico ed
altri " Anche Maria Giudice, che era stata segretaria della Camera del Lavoro di Torino e direttrice de
"Il grido del popolo" nel 1916, vi fu inviata e quì si unì in libera unione con l'esponente socialista
catanese avvocato Sapienza.
63 Il 18.8.1920 il Prefetto di Messina, nel segnalare la sua attività in quella provincia neu mesi di giugno e
luglio (tiene comizi a Messina, Mistretta, Patti, ecc.) riferisce che “aveva presentato vaglia emesso dalla
Banca di Boston, per 2.900 lire. Data sospetta provenienza… probabilmente tratto sulla Banca Commerciale
italiana sede di Genova” ACS, CPC busta 4182
contadine siciliane e la volontà di imprimere al movimento un preciso carattere di classe.
Sforzi non sempre coronati da successo vennero compiuti per evitare spontaneismo e
chiusure municipalistiche ma i quadri isolani mancavano di preparazione e scarseggiavano
mentre permaneva la tendenza a escludere dal movimento i piccoli affittuari e i coloni, isolando
cosí le masse bracciantili.
Socialriformisti e Popolari, presenti nei movimenti con finalità diverse da quelle socialiste,
complicavano lo svolgimento delle lotte.
Fra settembre e ottobre 1920 furono occupati feudi in 46 comuni della provincia di Palermo,
in 20 di quella di Girgenti, in tutti i comuni del Trapanese e «in numero straordinario»
nelle province di Catania, Mes sina e Siracusa, tra cui quelle della ducea di Nelson a
Bronte: " Dovunque le bandiere rosse venivano issate sulle case degli odiati gabelloti e degli
uomini di fiducia dei latifondisti, a indicare l'inizio di un'era nuova nelle campagne
sicíliane. Migliaia e migliaia di ettari di terra passavano cosí nelle mani dei lavoratori, che,
a volte senza attendere la legalizzazione di quanto era avvenuto, le aravano e seminavano."64
Al termine della seconda ondata delle occupazioni furono costituite alcune centinaia di
cooperative agricole, molte delle quali ad indirizzo socialista, che richiedevano il
riconoscimento legale delle occupazioni e la stipula di contratti d'affitto predisponendo già
piani valorizzazione delle terre. Furono abilitate a prendere in affitto le terre senza
intermediari e a promuovere il credito agrario; era stata già legalizzata dalle commissioni
provinciali l'occupazione di 339 feudi per una superficie complessiva di 90.000 ettari e una
notevole estensione di terra era stata espropriata e affidata all'ONC.
Il deputato comunista (1921-24)
Al congresso di Livorno del gennaio 1921 aderì al Pcd’I. Rievocando questo congresso, Luigi
Longo lo ricordò “in un angolo [del ristorante], severo, sempre in nero, prendeva i suoi pasti
sempre solo, accigliato e si vedeva che non amava la compagnia: mentre consumava i suoi pasti
aveva sempre le braccia, le mani e i muscoli della faccia in moto”65
Aderendo al Pcd'I divenne uno dei 16 parlamentari66 eletti nelle liste del PSI che nello scorcio
finale della legislatura rappresentarono il nuovo partito alla Camera. Nel maggio 1921 fu uno dei
due eletti di Torino nelle liste del Pcd’’I, con 52.177 preferenze (su 217.800 votanti) collocandosi
con un breve distacco dopo Misiano e prima di Gramsci che risultò quarto.
Direttore e gerente dell’organo del Pcd’I ”l’Ordine nuovo” quotidiano, accumulò nuove denunce per
«eccitamento all’odio di classe e offese contro i poteri dello Stato» e si distinse per l’azione di
organizzatore e di esperto dirigente operaio in vari settori dell’attività del suo partito.
Il 1. settembre 1921 si tenne un grande comizio dei disoccupati, in cui fu uno dei tre oratori con
Bordiga e Roveda. In occasione della celebrazione del quarto anniversario della rivoluzione
sovietica viene inviato dall'Esecutivo a tenere una serie di conferenze in varie località, anche del
sud Italia: il 1 novembre 1921 a Voghera, il 2 a Piacenza, il 3 a Genzano (Roma), il 4 a Foggia:e il
6 a Ururi (Campobasso)67
Per l’articolo “Commenti proletari” pubblicato dall’ “Ordine Nuovo” del 5 maggio 1922 viene
64 G.Miccichè, cit
65 L.Longo-C.Salinari Dal socialfascismo alla guerra di Spagna : ricordi e riflessioni di un militante
comunista.Milano, 1976 pag.102
66 Garosi, Ferrari, Franceschi, Bombacci, Belloni, Croce, Della Seta, Grandi, Graziadei, Marabini, Misiano,
Radi, Repossi (Milano), Roberto (Cuneo) e Salvatori (Viareggio)
67 "Il Comunista" 21 ottobre 1921: "II CE dell'I.C. ha stabilito che la prima settimana di novembre sia
consacrata dai lavoratori del mondo alla celebratone del quarto anniversario della Rivoluzione russa. In tale
occasione tutte le sezioni dell'I.C. indiranno conferenze e comizi ...Il C.E. del Partito ha stabilito una serie di
comizi e di conferenze che si terranno in tutti i centri d'Italia dall'1 al 7 novembre. Il CE ha provveduto,
altresì, ad impegnare alcuni compagni per la "settimana russa" e a distribuirli in vari centri"
denunciato dalla Procura di Torino per il reato di “eccitamento all’odio di classe e offesa contro i
poteri dello Stato” ma il 3 dicembre 1924 la Corte d’Assise lo assolve.
Il 21 novembre 1922 pronuncia alla Camera contro il governo Mussolini il discorso che, soppressi
gli organi di stampa del partito, pubblicò L’Ordine nuovo clandestino: «Il fondersi di tutti i partiti
borghesi intorno al fascismo è una conferma dell’esattezza della critica nostra. Il fascismo al
governo dimostra assai meglio di cento conferenze nostre che un’epoca rivoluzionaria si è aperta.
La morte della democrazia coincide con l’agonia della classe dominante. Non siamo qui a dolerci
della singolare diminuzione di prestigio che l’istituto parlamentare subisce per il modo come il
governo fascista si è costituito e per i modi usati dal presidente del consiglio verso la Camera nelle
sue dichiarazioni… Cosa chiede il proletariato al nuovo governo? Nulla. Ci darete poca o molta
libertà? Noi ci serviremo di quella libertà che ci darete. Le briciole di libertà saranno per noi d’oro e
le impiegheremo in maniera redditizia... Il proletariato tradito, sia pure in buona fede, nel 1919 e
nel 1920, impara a caro prezzo la via della sua redenzione, ma impara. Voi fascisti siete i
continuatori ed eredi legittimi di tutta la tradizione politica della borghesia italiana” 68
Nel luglio 1923 fu contattato da Gaetana Recchia, un'operaia torinese iscritta alla FIOM e al PCd'I
dove si occupava dell'organizzazione delle donne e dell'amministrazione del loro periodico
"Compagna" che cercò di convincerlo ad assumerne la gerenza. In una lettera alla Ravera la
Recchia racconta che "...la risposta fu negativa: Non solo! Ma ci fece una predica di mezzora
lasciandoci insoddisfatte"69
Candidato nel 1924 nelle liste dell’Unità Popolare (in cui erano confluiti i “terzinternazionalisti” del
PSI), riporta 2143 voti su 41.000 votanti 70 e non è rieletto. La prefettura di Torino il 3.2.1925
comunica che “non risulta che abbia in questi ultimi tempi svolto alcuna palese attività politica…è
attualmente impiegato locale municipio e conduce una vita ritirata dedicandosi al lavoro e alla
famiglia” Nondimeno, è segretario del Comitato pro vittime politiche di Torino e quando alla fine
del 1924 il PCd’I costituisce delle (peraltro effimere) formazioni di autodifesa e di “servizio d’ordine”
denominate “Centurie Rosse”, ne viene nominato responsabile per il Piemonte, per la sua
giovanile formazione militare.
Le “contrastate nozze”
Si sposa con rito civile a Firenze, a Palazzo Vecchio, con Emma Lemegni 71 il 12 giugno 1922, nel
periodo di maggior virulenza dello squadrismo 72, poche settimane prima dello “sciopero
legaliatario” proclamato dall’”Alleanza del lavoro” nell’agosto, il cui fallimento travolge le ultime
resistenze antifasciste e spiana la strada alla marcia su Roma dell’ottobre.
Le sue nozze sono un episodio emblematico dei tempi: un deputato dell’opposizione viene
bastonato in pieno centro di Firenze durante una cerimonia privata e gli aggressori vengono
individuati ma il tribunale li assolve.
Vale la pena di riportare l’episodio così come viene descritto (con una punta di malcelato
compiacimento) nelle cronache cittadine del quotidiano fiorentino “La Nazione” 73
“Anche la giornata di ieri è stata assai ricca di incidenti. Si è sparsa la voce, di prima mattina, che
dovevano celebrarsi a Palazzo Vecchio, le nozze del deputato comunista di Torino on. Pietro
Rabezzana, con la signorina Emma Lemegni, di Firenze, quivi abitante in via dei Robbia.
68 “O.N”. 21.11.1922
69 ACS, Atti sequestrati al PCd'I da Questura Milano, 1920-25, b. 5, Fasc. Movimento femminile, lettera
30.7.1923
70 Nel 1919 aveva riportato 39.291 preferenze su 116 mila voti e nel 1921 52177 su 217 mila.
71 nata a Firenze il 6.8.1886; i genitori, originari di Fiesole e morti negli anni '30, ebbero 6 figli di cui una
morta ad un anno; aveva come titolo di studio la licenza tecnica e risultava operaia. Prese la residenza a
Torino il 20 giugno 1922 e qui rimase vedova il 12 aprile 1950. Si trasferì a Firenze il 3 dicembre 1957
72 M.Franzinelli Squadristi: protagonisti e tecniche della violenza fascista 1919-1922 Milano, 2004
Qualcuno si è fatto subito un dovere di aggiungere, per conto suo e di sua testa, che gli onorevoli
Bombacci e Garosi sarebbero stati presenti in qualità di testimoni. Ciò ha richiamato l’attenzione
dei fascisti, dei quali una ventina, a cominciare dalle 7,30, hanno montato la guardia alla sede del
Municipio.
Tuttavia il rito legale ha potuto essere celebrato, con tutte le formalità del codice…borghese, alle
ore 9, dal prof. D’Ancona, che funzionava da ufficiale di Stato Civile. Erano testimoni del
quarantacinquenne sposino d’estrema sinistra e della consorte, invece di Bombacci e Garosi, più
modestamente il ferroviere Ettore Pinzauti e il mosaicista Degli Innocenti.
Il guaio è successo dopo. La coppia stava scendendo, per uscire ed avviarsi al sospirato istante
dell’enfin seuls, quando è capitata dinanzi ai fascisti, che l’attendevano nell’ultima branca delle
scale, per porre qualche spina tra i fiori d’arancio.
È nata una certa confusione. La sposa novella, rivolgendosi ai fascisti, ha esclamato: Lasciateci in
pace, in questo giorno.
E i fascisti, rivolgendosi all’on. Rabezzana, gli hanno detto: Vergognatevi a sposare dinanzi a chi
cinge la fascia tricolore. Andate a sposare in Russia…
L’interessante colloquio è terminato con un colpo di bastone o qualcosa di simile, riscosso dall’on.
Rabezzana, che è rimasto leggermente contuso.
Il putiferio, con ciò, è andato crescendo. Alte e stridule si levavano voci di donna, per esprimere
galanti epiteti di:
¨Mascalzoni, vigliacchi!...
È accorsa gente, e con essa alcuni vigili municipali. Per merito di questi ultimi, e specialmente
delle guardie Scotti e Tattanelli, la coppia è stata fatta passare dalla porticina dell’Ufficio
Assistenza e Lavoro, quindi rinchiusa nella stanza numero sei; ove è rimasta fino al
sopraggiungere del Commissario di San Giovanni dottor Cammarota. Il funzionario liberatore ha
scortato i coniugi Rabezzana, e li ha fatti salire in un’automobile, che si è rapidamente allontanato,
senza nuovi incidenti.
Dal canto loro, i fascisti se ne sono andati e così ha avuto termine il singolare episodio di…lotta
politica.
L’arresto di un ingegnere
Subito dopo il fatto, la Polizia ha intrapreso indagini per rintracciare i fascisti che vi avevano
partecipato. Queste indagini hanno portato all’arresto dell’ing. Alberto Costantini il quale sarebbe il
maggiore responsabile delle minacce rivolte al deputato comunista.
L’ing. Costantini è stato accompagnato ieri sera in Questura e quindi tradotto al Carcere delle
Murate a disposizione della Autorità Giudiziaria.
La partenza della coppia
L’on. Rabezzana ha trascorso tutta la giornata di ieri in casa della sposa sotto l’occhio vigile della
Polizia. A tarda notte e cioè dopo le 23,30 sono incominciate in via Robbia, le operazioni di
partenza della coppia.
Alla chetichella, senza che la cosa fosse avvertita da alcuno, il deputato comunista e la sua metà
sono saliti sopra ad una vettura pubblica chiusa, sulla quale hanno preso posto anche il
Commissario Soldani Bensi e due agenti investigativi.
La vettura si è quindi diretta verso la Stazione seguita da un “camion” di guardie regie.
Alla Stazione Centrale era stato disposto un largo servizio di vigilanza diretto dal Questore comm.
Annino in persona. Col Questore si trovava anche il Capo di Gabinetto del Prefetto cav. Bettarini.
Quando la coppia è giunta sotto la tettoia della Stazione si trovavano alcuni gruppi di fascisti che
avevano accompagnato gli onorevoli Chiostri e Capanni. Il deputato comunista però non veniva
riconosciuto e poteva salire indisturbato sul diretto di Roma.
L’ing. Costantini giudicato per direttissima
73 Si ringrazia Paolo Casciola per la ricerca effettuata all’anagrafe di Firenze e per aver trascritto gli articoli
“Le contrastate nozze dell’on Rabezzana. Un pandemonio a Palazzo Vecchio” [Primo articolo sotto il titolo
comune: “Gli incidenti di ieri”, nella “Cronaca di Firenze”], La Nazione, a. LXIV, n. 139, martedì 13 giugno
1922, p. 4 e “L’ing. Costantini giudicato per direttissima”, sempre su La Nazione, numero successivo (14
giugno 1922). Il quotidiano comunista torinese “Ordine Nuovo” dà la semplice notizia dell’aggressione e del
processo per direttissima nella rubrica “Il terrore bianco in Italia” a pag. 2 del 14 e del 15 giugno
rispettivamente, senza commenti.
Ieri, dinanzi alla terza Sezione del Tribunale – presieduta dall’avv. Gracchi, Giudici Donzellini e
Bonerba, P.M. Mele e Cancelliere Poggi – è stata discussa la causa per direttissima contro l’ing.
Costantini, arrestato ieri l’altro per minacce all’on. Rabezzana in Palazzo Vecchio, mentre il
deputato si recava ad unirsi in matrimonio con la signorina Lemegni. La sala era gremita di fascisti
e la polizia aveva preso severe disposizioni perché l’ordine non venisse turbato.
L’imputato ha ammesso di essersi trovato presente, insieme ad altri compagni, ma ha escluso
di avere pronunziato minacce e usato violenze. Sono stati interrogati gli agenti che eseguirono
l’arresto ed è risultato che i fascisti avevano la sola intenzione, dopo celebrato il matrimonio, di
appendere all’abito dello sposo comunista, i segni della bandiera nazionale. Il P.M. ha chiesto che
l’ing. Costantini venisse condannato a 150 lire di multa.
L’avv. Umberto Nidiacei ha parlato, con la consueta eloquenza, sostenendo la inesistenza di reato
e la mancanza di qualsiasi denunzia da parte del preteso minacciato. Il Tribunale ha assolto l’ing.
Costantini per mancanza di denunzia da parte dell’on. Rabezzana. Così l’ingegnere è stato subito
rimesso in libertà, festeggiatissimo dai compagni fascisti..
Al confino (1926-31)
ll fallito attentato di Bologna contro Mussolini del 31 ottobre 1926, attribuito al giovane Anteo
Zamboni74 fu utilizzato nel Consiglio dei ministri del 5 novembre per deliberare la soppressione dei
giornali antifascisti, lo scioglimento dei partiti, l’istituzione del confino di polizia e del Tribunale
speciale per i reati contro il regime75.
In quei giorni vennero arrestati tutti gli oppositori, tranne i pochi che erano riusciti a scappare e
riparare all’estero. Rabezzana fu assegnato al confino il 26 novembre 1926, prima alle Tremiti (il
peggiore dei luoghi di custodia per la dimensione ridottissima dell’isolotto) e poi il 17 febbraio
1927 a Lipari76 dove lo raggiunse la moglie.
Il compagno di confino Jaures Busoni77 così lo ricorda durante il trasferimento dalle Tremiti a Lipari
“… ha fatto legare con una corda i manici delle sue due valigie e, la corda sull’omero, porta una
valigia sulle spalle e una sul petto, dritto, fiero, quasi orgoglioso. Anche quando, sia pur per
qualche tratto, qualcuno si è offerto di trasportargli i bagagli, ha rifiutato fermamente di farsi
aiutare, ha voluto sottoporsi all’intralcio e alla fatica. Varie volte gli abbiamo fatto osservare che
non ha scritto in fronte «confinato politico»: cortese e ostinato, con una certa consapevole
sufficienza, scuotendo il capo ha continuato a risponderei che dobbiamo comprendere che «è
un’altra cosa».
Il Busoni tenta di approfondire l’analisi della sua personalità: “il suo carattere [era] il più
formalisticamente cortese che si possa immaginare”. Nonostante ciò “aveva subito vigilanza,
denunce, ancora arresti, perché occhiutamente sorvegliato in quanto anche facente parte dei
«duri» o intransigenti…dovette subire quasi un mese di carcere perché sorpreso a bere un
74 Probabilmente opera di fascisti dissidenti legati al ras bolognese Arpinati, che utilizzarono il quindicenne
Anteo come capro espiatorio, pugnalandolo a morte per depistare le indagini e far sparire ogni traccia. Ved.
B. Dalla Casa, Attentato al duce: le molte storie del caso Zamboni Bologna 2000
75 A. Aquarone, L' organizzazione dello Stato totalitario, Torino, 1978 ed edizioni successive; C.Longhitano,
Il Tribunale di Mussolini : storia del Tribunale Speciale 1926-1943 1994
76 Ved. A. Pagano Il confino politico a Lipari:1926-1933, Milano, 2003 secondo cui “sull’isola siciliana
erano presenti anche ex deputati comunisti come Luigi Alfani, Enrico Ferrari, Leone Mucci, Pietro
Rabezzana e Luigi Repossi, che cercarono di contrastare l’influsso giellista con la distribuzione di opuscoli di
Lenin e di Trotzkij”. Anche G. Amato, Il confino politico a Lipari,(a c.del Centro studi e ricerche di storia e
problemi eoliani) 1990. Del confino di Lipari hanno scritto, oltre a J. Busoni, Emilio Lussu, La catena, Parigi,
1930 (poi 1945 e 1997), lo scrittore e pittore fascista Mino Maccari Visita al confino: a Ponza e a Lipari nel
1929 e l'imprenditore torinese Riccardo Gualino, Solitudine 1945 (poi 1948 e 1997).
77 Socialista (e dal 1976 comunista) empolese autore di "Nel tempo del fascismo", Roma, 1975; “Confinati
a Lipari”, Milano, 1980.
bicchiere di vino in una rivendita autorizzata per confinati, e venne accusato di ubriachezza,
mentre era un uomo serio, corretto, controllato fino alla pignoleria”
Il legame tra i due fu rafforzato dal fatto che, essendo ”sposato a una fiorentina, Emma, pure
presente e che, quindi in certo modo rappresentava la mia città” Rabezzana fu “testimone di mia
parte” nel matrimonio del Busoni con una liparota avvenuto durante il confino.
Più pessimista la rievocazione del socialista Giovanni Ferro di Rovigo: “Volpi a Roma e
Rabezzana di Torino erano due deputati del Partito comunista ormai prostrati dal lungo isolamento
e di null’altro pensosi che della loro quiete domestica.”78
Scontati i cinque anni di confino, nel novembre 1931 rientra a Torino, (dal 18 giugno 1933 risiede in
via Vanchiglia n.21) sottoposto a vigilanza. Da tale data fino al marzo 1942 nel suo fascicolo
personale presso il Casellario Politico Centrale si susseguono i trimestrali rapporti della Questura
che riportano tutti la formula di rito “ha serbato regolare condotta… non consta che si interessi di
politica”
Non riprende i rapporti con il Partito comunista dopo la Liberazione, a differenza di altri esponenti
ritiratisi anch’essi nel privato durante il regime fascista, che vengono riammessi e riutilizzati. Muore
a Torino il 12 aprile 1950. La moglie Emma riprende la residenza a Firenze nel dicembre 1957.
78 G.Ferro “Noviziato tra le isole. Socialisti senza divisa (1929-45)” Lacaita, Bari, 1998. Giulio Volpi, leader
dei contadini e braccianti laziali, era entrato nel PCd’I nel 1924 con i “terzinternazionalisti”.