l`emigrazione a cardano al campo nei primi decenni del xx secolo

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l`emigrazione a cardano al campo nei primi decenni del xx secolo
cultura
e storia
F
L'EMIGRAZIONE
A CARDANO AL CAMPO
NEI PRIMI DECENNI
DEL XX SECOLO
rancesco Saverio Nitti definiva l'emigrazione come un atto di protesta sociale
paragonabile soltanto al brigantaggio.
Essa comunque eÁ risultata una necessaria valvola di sfogo di fronte ai gravi problemi posti
dalla questione sociale in Italia. Nell'equilibrare
la bilancia dei pagamenti con le rimesse di denaro dall'estero, rafforzando la moneta e favorendo l'accumulazione del risparmio, nel diminuire la pressione demografica e la disoccupazione, con aumento conseguente dei salari, eÁ da
individuare una funzione positiva d'incidenza
sui fattori della nostra arretratezza.
L'emigrazione era comunque ancora un fenomeno straordinario in vari comuni della Lombardia, fra Busto e Gallarate specialmente, nel
periodo postunitario 1, quando ancora si lottava
per la grande scelta dell'industrializzazione rispetto all'abbandono del paese. Il fenomeno
migratorio era allora un fatto in prevalenza settentrionale (40 per cento dal triangolo, 28 per
cento dal Veneto), mentre l'inversione di tendenza si sarebbe determinata a carico del Meridione attorno all'inizio del 1900 con l'emigrazione transoceanica, essendo assai scarsa quella
orientata dal Sud verso i paesi europei.
Vari i provvedimenti destinati a contenerla o
disciplinarla 2, sino alle norme emanate nel 1901
contro gli speculatori e certi agenti di reclutamento delle industrie straniere, gli interessi incontrollati delle compagnie di navigazione e all'istituzione contemporanea di un Commissariato per l'emigrazione presso il ministero degli
Esteri per ispezioni presso porti e navi, fissazione del prezzo di viaggio, controllo dei contratti
di lavoro. Non proprio consolanti furono gli
esiti. Si pensi che l'emigrante era giaÁ sfruttato
in patria prima dell'imbarco e spesso derubato
su vitto, alloggio e cambio della valuta.
Negli anni 1873-96 l'economia ha accusato
una grande depressione su scala internazionale
(a parte le fluttuazioni cicliche: boom nel 1882
e nel 1890, crisi negli anni 1879, 1886, 1893); la
sovrappopolazione delle campagne in tempi
d'accumulazione primitiva a spese di queste e
la scarsa qualificazione della manodopera, onde
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Vent'anni circa di emigrazione
in un piccolo centro del triangolo
industriale tessile, Cardano al Campo,
calati nel contesto politico, economico
e sociale dei primi decenni del Novecento.
Gli uomini e le donne che espatriarono
alla ricerca di condizioni di lavoro
e di vita migliori e le loro mete,
dalle destinazioni tradizionalmente
piuÁ ricorrenti, come le vicine Svizzera
e Francia, alle ignote cittaÁ del Nuovo
Mondo al di laÁ dell'oceano.
Livio Ghiringhelli
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(indice industriale = 41, risulteraÁ comunque attestato su 55 nel 1908 e su 56 nel 1914), la grave
crisi del 1907 determina lo spartiacque tra i due
momenti di crescita: il ritmo di creazione di
nuove societaÁ si allenta, il risparmio fugge dagli
investimenti, mentre i debiti si consolidano; settore particolarmente colpito dalla crisi eÁ quello
cotoniero, tipico del Gallaratese, con accumulazione di stock e misure di dumping nell'esportazione verso i mercati esteri (cosõÁ eÁ per le giacenze smaltite in Sudamerica e nei paesi del
Sultano). Troppi risultano i quattro milioni di
fusi del 1908. Se dal 1908 al 1913 si constata il
declino delle industrie tessili ± il settore, pur
sempre predominante, eÁ secondo soltanto all'agricoltura ±, si ha un rallentamento anche in
quelle meccaniche. Mentre i prezzi delle materie prime, di cui l'Italia eÁ carente, aumentano
piuÁ di quelli dei prodotti finiti e si crea sovrapproduzione, i generi di prima necessitaÁ arrivano
a costare tra il 20 e il 50 per cento in piuÁ e i
salari vengono assorbiti per larghissima parte
dai bisogni alimentari (un miglioramento s'era
avuto nel 1906-7, dopo l'impennata del 1905).
La crisi del 1907 eÁ da imputare a uno squilibrio strutturale tra finanziamenti e investimenti;
la politica delle banche si pronuncia deflazionistica (gli investimenti si mantengono stazionari
tra il 1909 e il 1913), proprio nel momento in
cui si sta invece provvedendo alla ristrutturazione delle industrie: nel 1911-12 si coglie una
nuova fase di organizzazione della produzione
e del potere in fabbrica, con un potenziamento
delle macchine e un processo di razionalizzazione. Nel 1913 eÁ creato l'Istituto cotoniero italiano per promuovere la ristrutturazione di filatura e tessitura, componendo i vivaci contrasti di
interesse tra i due comparti.
Di contro le schiere dei disoccupati si van
facendo sempre piuÁ fitte dal 1910 in un contesto organizzativo operaio in difficoltaÁ nei confronti di quello padronale sempre piuÁ robusto;
nonostante contrasti di categoria, controversie
di metodi e di tendenze si cerca d'avversare la
revoca di concessioni anteriori, instaurando larghe lotte anche sul campo delle questioni di
la facilitaÁ di reclutamento, hanno determinato
salari a mala pena di sussistenza (il livello salariale in Italia era il piuÁ basso tra quelli dei principali paesi capitalistici) e nel revival protezionistico, che ha caratterizzato l'Europa dal 1875 al
1900, si eÁ potuta conservare l'unitaÁ del blocco
dominante di fronte alla debolezza politica e
sindacale pressoche assoluta del proletariato: assenza di qualsiasi normativa giuridica per lavoro
straordinario, notturno, festivo e minorile, mancanza di forme di contrattazione collettiva (eÁ nel
1900 che la legislazione sociale eÁ assunta come
impegno strategico). Nel totalitarismo protezionistico di un Alessandro Rossi han potuto convergere sia le ragioni degli agrari, che quelle
degli industriali, consolidandosi cosõÁ via via un
blocco industriale-agrario. Una magra integrazione dei miseri salari eÁ stata consentita dal lavoro dei campi e dalla struttura familiare; ma il
basso livello di reddito e dei consumi popolari
nella compressione dei salari reali ha poi condizionato negativamente il nostro capitalismo.
Quindi, dopo la gravissima crisi politico-sociale di fine secolo, s'apre una congiuntura favorevole; nella struttura tecnico-produttiva e
nell'estensione geografica dell'apparato industriale s'avvertono miglioramenti qualitativi, aumentano le societaÁ per azioni, il capitale azionario. Il 1901 vede un'esplosione di lotta operaia, protagonisti di primo piano i tessili, che
fan peroÁ registrare la piuÁ bassa qualificazione;
l'etaÁ giolittiana coincide col formarsi di aree
limitate d'aristocrazia operaia, mentre si tenta
d'allargare le basi dello Stato liberale borghese,
ma la rigiditaÁ dei salari in genere eÁ destinata a
favorire gli investimenti grazie all'abbondante
disponibilitaÁ di manodopera a basso costo.
Dopo la breve recessione economica del 1904
E. Corbetta, I contadini e l'industria, in ``Cooperazione e
industria'', 15 gennaio 1869.
2
Si vedano la nota circolare ai prefetti e ai sindaci del 23
gennaio 1868, la comunicazione del ministero dell'Interno del 24 maggio 1891 sull'emigrazione negli Usa e le
circolari dello stesso risalenti al 1890-91 per sconsigliarla
verso Uruguay, Brasile, Hawai, Massaua, Venezuela ecc.
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Angiolo Tommasi, Gli emigranti, 1895, Galleria nazionale
d'arte moderna, Roma (da Vita civile degli italiani,
CittaÁ, fabbriche e nuove culture alle soglie della societaÁ
di massa 1850-1920, Milano, Electa, 1990).
la nostra economia eÁ evitato grazie alle rimesse
degli emigranti: l'esportazione di cospicue eccedenze di forza lavoro, che ha costituito l'arma
segreta dell'industrializzazione italiana tra il
1896 e il 1912, facendo piuÁ che triplicare le
riserve auree, con l'unitaÁ di carta a fare aggio
su quella dell'oro, ora non basta a sanare il
passivo nella bilancia dei pagamenti; nel 1912
la lira eÁ giaÁ al di sotto della paritaÁ.
Questo eÁ il quadro, di necessitaÁ fin troppo
sintetico, in cui si colloca lo sviluppo intenso,
macroscopico della nostra emigrazione (un esodo biblico che ha consentito un gettito attivo
nella bilancia di 12.291 milioni di lire contro un
deficit commerciale di 10.230 milioni). Nel
quinquennio 1896-1900 si annoverano in media
annualmente 310.434 espatri; 510.980 tra il
1901 e il 1904; 739.661 unitaÁ annue dal 1905
al 1907; 486.674 risultano gli esuli nel 1908 in
coincidenza colla crisi economica generale;
679.000 dal 1909 al 1913, sempre in media an-
principio. Il malessere economico, con riduzione degli orari di lavoro, non deprime, ma radicalizza le masse. Si ha una ripresa delle correnti
massimalistiche dopo il declino seguito allo
sciopero generale del 1904. Nel 1913 leghe operaie, Camere del lavoro e federazioni di mestiere raggruppano 1.700.000 iscritti. E a ulteriori
restrizioni al lavoro dei fanciulli nell'industria
corrispondono le prime norme per la protezione delle donne. Sovvenzioni statali sono state
studiate per sovvenire alla Cassa di assicurazione sugli infortuni e di previdenza per la vecchiaia. Nonostante tutto la remunerazione reale
del lavoro industriale tra il 1901 e la vigilia della
guerra fa registrare un aumento del 26 per cento rispetto a un aumento del reddito nazionale
in termini reali del 17 per cento. I salari erano
stati invece pressoche stazionari sin quasi alla
fine dell'Ottocento. Solo che il 1909 ha conosciuto un ulteriore divaricarsi della forbice tra
salari industriali e salari agricoli. Il tracollo delLOMBARDIA NORD-OVEST
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La copertina della ``Domenica del Corriere'' del 7 aprile 1901,
con una tavola di Achille Beltrame dedicata all'emigrazione
italiana.
Maggior polo d'attrazione eÁ via via la Svizzera, anche per la contiguitaÁ rispetto alla nostra
regione. L'afflusso verso i paesi europei, meno
notevole, appare anche meno oscillante. Spicca
come prevalente di gran lunga la provenienza
rurale degli interessati, anche se le professioni
agricole si rivelano progressivamente in diminuzione. Il Meridione offre un contributo di maggior rilievo all'emigrazione definitiva. Mentre
tra il 1881 e il 1901 l'emigrazione copre il 35
per cento dell'incremento demografico naturale, tra il 1901 e il 1911 si ascende al 43 per cento.
La popolazione conta 32,6 milioni di abitanti
nel 1901, 34,9 milioni nel 1911, nonostante il
salasso dell'emigrazione, in ragione della diminuzione del tasso di mortalitaÁ.
Per quanto concerne l'incidenza del fenomeno sul comune di Cardano al Campo, eÁ da premettere la discrepanza anche notevole dei dati
tra i prospetti agli atti riguardanti le variazioni
demografiche e i registri relativi alle domande
di passaporto per l'espatrio, che figurano tra
l'altro in archivio solo a far data dal 1907. Ovvio eÁ peroÁ lo scarto tra emigrazione temporanea
e definitiva, con la cancellazione dall'anagrafe
dei residenti e inevitabile lo scorrimento delle
registrazioni dalla fine di ogni anno all'inizio
del successivo. Non m'eÁ riuscito di consultare
a raffronto le liste nominative di bordo. Le risultanze riflettono peraltro attendibilmente le
tendenze generali.
La popolazione nel 1907 fa registrare un saldo attivo di 5 abitanti (da 2957 a 2962), nonostante i 34 emigrati all'estero (figurano peroÁ
come richiedenti il passaporto solo 2 maschi,
contadini, in partenza uno per l'Argentina,
uno per gli Usa). Il 1908 vede in partenza 17
maschi (14 operai e 3 artigiani) e 3 operaie; 12
verso i paesi europei, con preferenza per la
Svizzera, 6 per gli Stati Uniti, 2 in Argentina.
Il 1909 si affolla giaÁ di 47 partenti, con l'aggiunta di 7 figli (39 i maschi, tra cui 33 operai, 1
minatore, 1 carrettiere, 3 artigiani e 1 assistente
tessile; 8 le femmine, tra cui 7 operaie e 1 contadina). Mete principali gli Usa con 27 emigranti e l'Argentina con 6, mentre in Europa l'af-
nua, con una punta di 872.598 in quest'ultimo
anno (esportazione del 2,5 per cento della forza
lavoro); 479.152 nel 1914, e le cifre ufficiali
sono sicuramente inferiori alla realtaÁ.
Vale peroÁ la pena di scomporre i dati tra
emigrazione in Europa e nel Mediterraneo per
un verso ed emigrazione oltremare:
Anni
Europa e Mediterraneo
Oltremare
1891-1900
129.000
154.000
1901-1905
245.000
309.000
1906-1910
258.000
394.000
1911
271.000
263.000
1912
308.000
403.000
1913
313.000
560.000
Si tenga peraltro presente che i due terzi
dell'emigrazione totale e almeno i nove decimi
dell'emigrazione nei paesi europei sono da ritenere temporanei: tra il 1901 e il 1913 tornano
annualmente in Italia fra i 300.000 e i 400.000
emigranti. Nel 1908 i rimpatri dai paesi transoceanici superano gli espatri. Triste constatazione: tra il 1908 e il 1913 il 76 per cento degli
emigranti che tornavano dagli Usa risultavano
ancora lavoratori non specializzati. Vi avevano
svolto lavori nell'edilizia, nella costruzione di
strade e ferrovie, avevano lavorato come manovali nelle industrie, vivendo come cittadini di
seconda categoria in ghetti urbani. Scomponendo i dati concernenti l'emigrazione in Europa queste sono le quote:
Anni
Austria-Ungheria
Francia
Germania
Svizzera
1896-1900
46.000
25.000
31.000
26.000
1901-1905
54.000
54.000
56.000
54.000
1906-1910
37.000
60.000
62.000
77.000
1911
35.000
63.000
65.000
89.000
1912
42.000
74.000
76.000
89.000
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New York: la Statua della libertaÁ e lo skyline di Manhattan
da Brooklyn in due fotografie di inizio Novecento
(dall'album New-York, New York, National Art Views Co.,
1903).
stati 67 i giorni di sospensione del lavoro nell'industria tessile cotoniera.
Nel 1912 il fenomeno migratorio si accentua
in modo particolare, interessando 78 persone
(61 maschi e 17 femmine), con l'aggiunta di 5
figli; tra i maschi 42 operai, 1 minatore, 1 cameriere, 10 artigiani e 7 contadini; tra le femmine 14 operaie e 3 casalinghe. Mete gli Stati
Uniti con 39 partenti, l'Argentina (13), l'Uruguay (2), la Libia (1), mentre in Europa la Svizzera ne accoglie 12, la Germania 10, la Francia
5 e 1 il Lussemburgo.
Ancor piuÁ preoccupanti le dimensioni del
fenomeno nel 1913, anno segnato da un imponente sciopero generale in agosto e da una crisi
di sovrapproduzione mondiale. Il parroco don
Luigi Villa eÁ vivamente impressionato dall'esodo in America. Gli emigranti sono 89; 78 i maschi (57 operai, 3 carrettieri, 1 salumiere, 1 ambulante, 14 artigiani, 2 contadini), 11 le femmine (8 operaie, 1 artigiana e 2 casalinghe). Tre i
figli al seguito. Mete gli Usa con 46 partenti,
l'Argentina (5), l'Uruguay (1) e in Europa la
Svizzera (20), la Germania (15), la Francia (5).
Il 1914 eÁ l'anno in cui scoppia il conflitto
europeo, poi mondiale, che segna una significativa contrazione delle uscite: 53, tra cui 48 maschi e 5 femmine (4 operaie), con l'aggiunta di 3
figli. Tra i maschi figurano 30 operai, 2 carrettieri, 1 minatore, 9 artigiani, 4 contadini; a parte
1 commerciante e 1 benestante. Mete: Stati
Uniti (per 30), Uruguay (2), Argentina (1) e,
in Europa, Svizzera (8), Germania (7), Francia
(5), Lussemburgo (2) e Inghilterra (1). Numerosi sono stati i licenziamenti per mancanza di
lavoro ± ricordiamo la crisi della fonderia Meschini di Gallarate e del cotonificio Cantoni;
quindi i torbidi della settimana rossa e in agosto
il ritorno a precipizio di molti emigrati. Come
s'eÁ potuto notare sono via via privilegiati costantemente gli Stati Uniti e la Svizzera; netta
eÁ la prevalenza degli operai sulle altre categorie
(la loro qualificazione non eÁ comunque in genere elevata); trascurabile al confronto l'incidenza di quanti provengono dal mondo agricolo: si eÁ ben lontani dagli afflussi imponenti de-
fluenza eÁ di 18 emigranti in Svizzera e 3 in
Francia. A chiusura dell'anno il prospetto demografico (evidentemente i precedenti non
sono stati compilati con cura) registra 236 abitanti non presi prima in considerazione, per un
ammontare totale di 3205.
Nel 1910 c'eÁ un calo degli emigranti (31, di
cui 30 maschi, 25 operai e 5 artigiani, e 1 operaia); mete gli Usa (10), l'Argentina (9), Svizzera (10), Francia (1), Trento (ancora appartenente all'Austria, 1). Si risale a 47 emigranti piuÁ 9
familiari nel 1911: 41 i maschi (26 operai, 1
minatore, 1 carrettiere, 10 artigiani, 2 contadini,
1 commerciante), 6 le femmine (4 operaie e 2
casalinghe), con destinazione gli Usa (24), l'Argentina (13), l'Uruguay (1); 13 si dirigono in
Svizzera, 2 in Germania, 2 in Lussemburgo e
1 in Francia. Si registrano 46 emigranti a titolo
definitivo. Nell'anno si verifica una serrata dei
padroni in settembre, che fa seguito a una serie
di scioperi a partire dallo stabilimento F.lli Maino di Gallarate. EÁ da quest'anno che si scatena
l'offensiva degli industriali. Nel 1909 si sono nel
complesso contati 12 giorni di chiusura degli
opifici; dal marzo 1910 al gennaio 1911 sono
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zare l'indifferenza verso i problemi di costo e
d'efficienza aziendale, mentre grande eÁ il numero degli interventi statali.
Nel 1915 l'emigrazione da Cardano si eÁ ulteriormente contenuta: 26 le richieste di partenza
per 19 maschi (9 gli operai, 1 minatore, 4 contadini, 4 artigiani, 1 albergatore) e 7 femmine (5
operaie e 2 casalinghe), con l'aggiunta di 5 figli.
Verso gli Usa si orientano solo in 5, uno in Uruguay, mentre la Svizzera ne attrae 13 e la Francia
12. Si registrano 7 emigranti a titolo definitivo.
Il 1916 vede cadere le percentuali: 10 gli espatri (3 maschi operai, si eÁ ormai impegnati nel
conflitto, e 7 operaie), oltre a 2 figli; le destinazioni sono equamente ripartite: 6 verso gli Stati
Uniti, 4 verso la Svizzera e 2 verso la Francia. Si
registrano 3 emigranti a titolo definitivo. Nel
1917 e nel 1918 il fenomeno sembra azzerarsi:
2 i maschi coinvolti (1 contadino e 1 frate) e 4
operaie nel 1917; 3 opzioni per gli Usa e altrettante per la Svizzera. Nel 1918 ci si limita all'esodo di 2 operai, 2 operaie e 1 casalinga; mete gli
Stati Uniti (2) e l'Egitto (1), la Francia (2).
Dalla primavera del 1919 eÁ un'ondata di scioperi con aspre e ampie lotte sociali per il caro-
terminatisi in merito dal Meridione. Schiacciante poi la percentuale relativa ai maschi rispetto
alle femmine (non poche le casalinghe), come
prevedibile.
Con la prima guerra mondiale l'impennata
inflazionistica si fa preoccupante, i salari reali
praticamente si dimezzano, mentre cresce la
svalutazione della lira: non ci sono larghi margini per le proteste operaie, a parte alcune agitazioni, come quella nel circondario di Gallarate per l'aumento delle paghe giornaliere (1915)
o quella a Torino del 1917 contro il rincaro del
pane e il conflitto. La gente eÁ invelenita, nonostante gli inviti alla resistenza morale. Per riso e
pasta son continue sommosse di donne, il malcontento per le requisizioni eÁ diffuso tra i contadini. Se la popolazione attiva in agricoltura si
eÁ andata riducendo in termini assoluti, rimane
pur sempre il grave problema della sovrappopolazione nel settore primario, da cui la promessa ai contadini dell'attribuzione di terre, a
tonificarne lo spirito combattivo. Nel comparto
industriale si ha una forte spinta alla concentrazione delle imprese e si perviene a un gigantesco indebitamento dello Stato. EÁ da stigmatizLOMBARDIA NORD-OVEST
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con le corporazioni fasciste contemplano un
decremento del 10 per cento nel maggio del
1927 e del 20 per cento in ottobre, cui si aggiungeraÁ un terzo taglio dell'8 per cento con
l'avvento della grande crisi. Anche la crescita
insufficiente del commercio europeo contribuisce tra il 1926 e il 1933 al forte incremento della
disoccupazione industriale.
In questo contesto l'emigrazione scende entro il 1921-22 a 280.000 unitaÁ annue, risalendo
nel 1923 a 389.000, per ricadere addirittura a
83.000 entro il 1931; la media annua del periodo 1921-30 eÁ di 258.000 emigrati. Efficienti i
vincoli posti dalla legislazione fascista con sostanziale chiusura della valvola di sfogo. Nel
primo dopoguerra (1919) a Cardano torna a
rilevarsi il fenomeno migratorio provocato dalle
difficoltaÁ economiche tutt'altro che superate:
36 e 1 figlio i partenti; 26 i maschi (10 operai,
4 minatori, 1 carrettiere, 6 artigiani, 3 contadini, 1 industriale, e 1 sergente congedato) e 10 le
femmine (4 operaie, 1 artigiana, 4 casalinghe, 1
suora). Destinazioni: Usa (11), Argentina (3),
Brasile (1), Uruguay (1), Francia (15), Svizzera
(3), Inghilterra (1), Germania (1), Lussemburgo
(1). Evidente eÁ l'inversione nel rapporto tradizionale tra Francia e Svizzera (mete richieste
per la prima: Metz, Strasburgo, Lione, Belfort).
EÁ un anno di scioperomania a detta del parroco, mentre i padroni non si vogliono assumere
responsabilitaÁ di scintille rivoluzionarie e secondano le domande di aumento per tener tutto tranquillo secondo le direttive del governo.
Sinche nel dicembre eÁ proclamato uno sciopero
generale.
Con il 1920 si giunge al picco migratorio di
100 persone in partenza, oltre a 6 figli: 71 i
maschi (51 operai, 2 minatori, 2 carrettieri, 11
artigiani, 3 contadini, 1 industriale, 1 albergatore), 29 le femmine (21 operaie, 7 casalinghe, 1
suora). Mete gli Stati Uniti con 69 partenti,
Argentina (3), Brasile (1) e, in Europa, Francia
(23), Svizzera (6), Lussemburgo (3), Inghilterra
(1). EÁ definitivamente scomparsa dal novero
delle mete appetibili la Germania. Sono tempi
di vaste agitazioni, come di accesi confronti e
vita: nel 1920 si registrano piuÁ di 2000 scioperi
di protesta contro l'inflazione, processo che si
accentua dal secondo semestre del 1919, e la
diminuzione dei salari reali. Tra il 1918 e il
1919 si sono intanto formate le commissioni
interne di fabbrica (per il miglioramento dei
salari, una migliore definizione degli orari di
lavoro, il riconoscimento quali organismi di
rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro)
e nell'agosto-settembre del 1920 l'occupazione
delle fabbriche, intesa a creare istituti di democrazia proletaria, con la necessitaÁ di estendere
le alleanze al mondo contadino e agli intellettuali, per proiettarsi poi dalla fabbrica al potere
statale, si risolve in un sostanziale clamoroso
insuccesso. All'interno del Partito socialista si
aggrava la frattura tra riformisti e massimalisti.
Alla fine del 1920 e al principio del 1921 una
significativa crisi industriale, sviluppatasi in
sede internazionale, investe anche l'Italia.
Sono anni, questi, altresõÁ caratterizzati dal fenomeno dell'occupazione delle terre nell'Italia
centrale, meridionale, insulare.
Con la ricomposizione a destra del fronte
borghese (nel 1920 eÁ nata la Confindustria) e
la crisi di autoritaÁ, che travolge il liberalismo,
con l'opposizione dei nuclei piuÁ forti della
grande industria contro i progetti giolittiani di
riforma economica e finanziaria, si mira ormai
alla distruzione del potere operaio in fabbrica e
tra il 1921 e il 1922 si determina il crollo dei
salari soprattutto al Nord. Imperversano i sistemi tayloristici nel settore metalmeccanico. Da
registrare il ritorno al livello prebellico della
produzione manifatturiera, mentre l'industria
del cotone si espande tra il 1921 e il 1925; vertiginosa poi la crescita degli investimenti nel
periodo 1922-1925, ma la lira dopo l'ottobre
1922, che vede l'avvento del fascismo al governo, va deprezzandosi. A partire dal 1926 in
pieno regime l'attacco ai salari assume una dimensione istituzionale. La rivalutazione della
lira a quota 90 (annuncio a Pesaro nell'agosto,
realizzazione nel giugno del 1927) provoca a
livello governativo una raffica di tagli in un
processo di decisa compressione. I concordati
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LOMBARDIA NORD-OVEST
Due tra le numerose pubblicazioni di carattere informativo
e di orientamento destinate agli emigranti nei primi decenni
del Novecento: l'una edita nel 1909 dalla SocietaÁ Umanitaria
di Milano, l'altra stampata nel 1930 per iniziativa
della Federazione provinciale fascista varesina.
discriminazioni subiti dalle leghe bianche per
opera di quelle rosse (taglio di subbi, accesso
impedito o cacciata dagli stabilimenti).
Il contingente dell'esodo si riduce nel 1921:
34 gli emigranti e 4 figli: 25 i maschi (19 operai, 1
minatore, 1 carrettiere e 4 artigiani) e 9 le femmine (3 operaie e 6 casalinghe). Destinazioni, al
solito, gli Usa (19), Argentina (3), Francia (9),
Svizzera (5), Lussemburgo (2). Si registrano 71
emigranti a titolo definitivo. Ancora controversie
e divisioni nel campo del lavoro sino allo sciopero generale di tessili e muratori (settembre).
La sensibile diminuzione del potere d'acquisto delle masse riaccende il desiderio di trovare
all'estero miglior fortuna nel 1922: 58 i partenti,
piuÁ 1 figlio: 43 maschi (27 operai, 2 camerieri, 9
artigiani, 1 contadino, cui si aggiungono 1 industriale, 1 benestante, 1 commerciante, 1 insegnante) e 15 femmine (8 operaie, 6 casalinghe,
1 insegnante) diretti negli Usa (14), in Argentina (4), in Brasile (1) e in Europa: Francia, che
registra ormai una costante preferenza rispetto
agli altri paesi (19), Belgio (10), Svizzera (6),
Lussemburgo (4), Ungheria (1). L'emigrazione
transoceanica non riscuote piuÁ le maggiori opzioni. Si registrano 30 emigranti a titolo definitivo. I fascisti ormai impazzano e non solo a
danno delle sinistre, bensõÁ anche delle organizzazioni cattoliche: a Gallarate in dicembre si
verificano l'invasione notturna e l'incendio dell'Ufficio del lavoro.
Il 1923 non segna ancora un'attenuazione
sensibile del fenomeno migratorio: 51 i partenti, con l'aggiunta di 3 figli: 40 maschi (23 operai, 2 artigiani, 5 contadini, 3 commercianti, 1
industriale, 1 direttore d'albergo, 1 medico, 4
possidenti) e 11 femmine (4 operaie, 3 casalinghe, 1 commerciante, 3 benestanti). L'incidenza
dei prestatori di manodopera eÁ comunque in
calo. Destinazioni: Usa (14), Argentina (6) e,
in Europa, Francia (25), Svizzera (7), Germania
(1), Olanda (1). Si registrano 20 emigrati a titolo definitivo.
Con il 1924 il richiamo dei paesi esteri si fa
sempre minore: 31 i partenti, piuÁ un figlio, di
cui 23 maschi (10 operai, 1 carrettiere, 4 artiLOMBARDIA NORD-OVEST
giani, 2 contadini, 2 industriali, 1 commerciante, 1 medico, 2 benestanti) e 8 femmine (2 operaie, 4 casalinghe, 1 insegnante, 1 benestante)
diretti negli Stati Uniti (11), Argentina (5), Uruguay (3), Francia (9), Svizzera (2), Lussemburgo
(1), Austria (1). Si registrano 7 emigrati a titolo
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ne (2 operaie, 1 casalinga, 1 albergatrice, 1 benestante). Mete: Usa (1), Venezuela (1), Francia
(25), Belgio (2), Svizzera (2).
Nell'arco di tempo studiato l'emigrazione in
Cardano rivela pertanto un volto drammatico,
con pesanti costi in termini di disagio, di sradicamento, di straniazione e momenti di tumultuoso affollamento, con le conseguenze tristi di
tante delusioni, umiliazioni, perdita di forza lavoro (nel 1913 il 2,5 per cento del totale in
Italia), peraltro non particolamente qualificata.
L'analfabetismo riguardava all'incirca il 15 per
cento nelle regioni del triangolo industriale.
Sono anche le risultanze di un modello di sviluppo in cui dominano produzioni ad alta intensitaÁ di lavoro (tessile, dell'abbigliamento,
meccanica leggera). Il mondo contadino non eÁ
stato da noi certo investito nelle proporzioni di
quello industriale, bensõÁ marginalmente. Ben
peggiori prospettive si sarebbero aperte se nel
Nord, e nel caso nel Gallaratese, il processo
industriale non avesse conosciuto uno sviluppo
non trascurabile.
Ad aggravare la situazione un livello d'istruzione generale francamente non adeguato, per
non dire di un'istruzione professionale largamente insufficiente, con la certezza di uno
sfruttamento ancora piuÁ intensivo di contro a
una bassa remunerazione. In Europa eravamo
considerati degli `sterratori'. Le penose e spesso
sfortunate condizioni di vita degli emigranti si
evidenziavano giaÁ nel primo decennio del secolo nelle relazioni richieste ai funzionari consolari. Allarmanti le misure di tutela ben poco
operanti e la serie degli infortuni sul lavoro. E
in termini percentuali preoccupanti sono le incidenze sulla consistenza demografica del comune: ad esempio nel 1912 si ha il 2,66 per
cento di emigranti su un totale di 3118 abitanti;
il tasso si attesta sul 2,93 per cento nel 1913 su
3137 abitanti, sul 3,22 per cento nel 1920 su
3291 abitanti.
definitivo. Con l'instaurarsi del regime fascista
(1925) si hanno ancora 29 emigranti, con l'aggiunta di un figlio: 20 maschi (7 operai, 5 artigiani, 3 contadini, 1 commerciante, 3 benestanti,
1 medico) e 9 femmine (4 operaie, 2 casalinghe,
3 benestanti). La presenza di benestanti, per lo
piuÁ in viaggio turistico-culturale, si va facendo
sempre piuÁ pronunciata. Le mete sono, come di
consueto, gli Usa (6), Argentina (6), Francia (7),
Svizzera (5), Lussemburgo (3), Europa (indicazione generica, 3). Si registrano 2 emigranti a
titolo definitivo. Nel 1926 sono 28 gli individui
che espatriano, piuÁ 2 figli: 21 maschi (6 operai,
3 minatori, 2 artigiani, 5 industriali, 4 commercianti, 1 medico) e 7 femmine (1 operaia, 3
casalinghe, 3 benestanti). Mete: Usa (10), Argentina (2), Uruguay (2), Francia (11), Svizzera
(3), Lussemburgo (1), Germania (1).
Drastico il ridimensionamento nel 1927 per il
pressante condizionamento politico; eppure negli stabilimenti del Gallaratese si eÁ fatta sensibile la riduzione delle giornate di lavoro. In
ottobre si estende il cosiddetto sciopero bianco
a causa della diminuzione delle paghe e dell'eliminazione del caroviveri; 9 i partenti piuÁ un
figlio: 6 maschi (2 operai, 1 artigiano, 1 capomastro, 1 contadino, 1 ingegnere) e 3 femmine
(1 operaia, 2 casalinghe). Destinazioni: Stati
Uniti (3), Argentina (1), Francia (5), Svizzera
(1). Il 1928 presenta un esodo poco significativo, con 8 partenti, piuÁ 3 figli: maschi 3 (2 operai
e 1 industriale) e 5 femmine (in maggioranza,
come durante il periodo bellico: 2 operaie e 3
casalinghe). Mete: Usa (3), Argentina (1), Francia (7). La reazione antisindacale trascina in
tribunale operai di diversi stabilimenti per lo
sciopero bianco, severo eÁ il monito per l'avvenire a non insistere. Nel 1929 risultano 8 emigranti, piuÁ 3 figli: 2 maschi (1 artigiano, 1 contadino) e 6 femmine (4 operaie, 1 casalinga, 1
possidente). Destinazioni: Usa (6), Australia
(1), Francia (3), Svizzera (1).
Con il 1930 invece il discorso si riapre: 30 i
partenti, piuÁ un figlio: 25 maschi (16 operai, 1
minatore, 1 carrettiere, 1 assistente edile, 2 artigiani, 3 commercianti, 1 albergatore) e 5 femmi3/2001
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